DI TUTTO E DI PIU'
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DI TUTTO E DI PIU'
Repubblica 22.3.16
Perché il bisogno di giustizia è più forte del relativismo etico
Da una raccolta di saggi d’autore dedicati a Gustavo Zagrebelsky una riflessione sulle radici della nostra “voce della coscienza”
di Vito Mancuso
La principale malattia spirituale del nostro tempo consiste nell’incapacità di fondare nella coscienza l’imperatività della giustizia, ovvero di rispondere al perché si debba sempre fare il bene e operare ciò che è giusto anche in assenza di interessi, o addirittura contro i propri interessi. Rimandando a Dio e ai suoi comandamenti, l’etica religiosa tradizionale è capace di assolutezza, ma paga questa sua capacità con l’incapacità di universalità e quindi di tolleranza. D’altro canto l’etica laica nei suoi modelli fondamentali (giusnaturalismo, consensus gentium, formalismo, utilitarismo) è sì capace di tolleranza, ma incapace di generare l’assolutezza dell’obbedienza; anzi, applicando la tolleranza al proprio io nella pratica concreta, i soggetti trovano non di rado una comoda giustificazione alla loro incoerenza rispetto all’imperativo etico.
Il risultato è che oggi non si sa più rispondere al perché il bene dovrebbe essere sempre meglio del male. Tale assenza di fondazione è una grave minaccia che incombe sull’etica in quanto tale, perché in mancanza di fondazione o c’è imperatività senza discernimento, come nel caso del fanatismo, o non c’è imperatività e quindi non c’è etica, come nel caso dell’utilitarismo opportunistico.
Dato che l’etica si lega intrinsecamente al diritto, la crisi della sua fondazione si traduce immediatamente nella crisi del concetto di giustizia, ovvero dello stesso fondamento teoretico della filosofia del diritto. In questa prospettiva Gustavo Zagrebelsky scrive significativamente di «nostra ignoranza teoretica sul contenuto della giustizia». Il diritto infatti o è in grado di rimandare a un fondamento etico in base a cui mostrare che ciò che prescrive è veramente diritto nel senso di retto, oppure non può che risultare fondato ultimamente sul potere che dapprima l’istituisce in quanto positum, e poi si cura di farlo rispettare mediante la forza. L’alternativa è quella classica: è la verità o è l’autorità a costituire la legge?
È noto il detto di Hobbes: Auctoritas, non veritas, facit legem. Ma se si deve ammettere che questo vale per la legge positiva, non ritengo che valga allo stesso modo per il diritto sostanziale che precede e fonda la legislazione. L’autorità è indispensabile per mediare il passaggio dalla sfera del diritto alla sfera della legge, e in questo senso è giusto dire che senza autorità non si avrebbe la legge (Auctoritas facit legem). Non per questo però è lecito concludere che l’autorità sia anche la fonte sorgiva del diritto, il quale al contrario precede l’autorità e la giudica, distinguendola in autorità legittima e giusta a cui obbedire, e autorità illegittima e ingiusta a cui ribellarsi (e quindi si potrebbe dire: Veritas facit ius).
Se il diritto precede l’autorità, esso riceve il suo fondamento nella coscienza, in particolare in quella forma della coscienza etica che intende comportarsi in modo retto e giusto, e che tradizionalmente si chiama etica. Torniamo quindi a quanto affermato sopra, ovvero al fatto che l’odierna crisi dell’etica trascina con sé anche la crisi della fondazione del diritto e la conseguente «nostra ignoranza teoretica sul contenuto della giustizia».
Tuttavia esiste negli esseri umani un enorme bisogno di giustizia. La mancata realizzazione di questo bisogno genera in essi malessere e risentimento rispetto alla società, alla storia, alla condizione umana. La questione si pone in modo radicale: quando parliamo di «fame e sete di giustizia », quale dimensione dell’essere umano nominiamo? Io ritengo che il fondamento dell’etica e il fondamento del diritto si leghino intrinsecamente l’uno all’altro, e che la forza dell’uno sia la forza dell’altro, e la rovina dell’uno la rovina dell’altro.
Esistenzialmente la questione del fondamento dell’etica si traduce in una domanda molto concreta: perché dovrei fare il bene e non il mio interesse? La mia risposta è la seguente: si deve fare il bene per essere fedeli a se stessi, perché è nel bene oggettivo che risiede il più grande interesse soggettivo.
Che cos’è infatti il bene? Il bene nella sua essenza peculiare è forma, ordine, armonia, relazione armoniosa. E che cosa siamo noi? Siamo forma, ordine, armonia, un concerto di relazioni armoniose: è grazie a questa dinamica, chiamata in fisica informazione, che a partire dai livelli primordiali delle nostre particelle subatomiche si formano i nostri atomi, i quali a loro volta, grazie all’informazione che li guida, formano le nostre molecole, le quali a loro volta, grazie all’informazione che le guida, formano gli organelli alla base delle nostre cellule, le quali a loro volta… e via di questo passo secondo una progressiva organizzazione che giunge fino alla coscienza e alla personalità.
La logica che ci dà forma, che ci in-forma, è la relazione armoniosa, e quindi praticare l’etica, in quanto relazione armoniosa con gli altri e con il mondo, significa essere fedeli a se stessi, alla nostra più intima logica interiore. In questa prospettiva l’altruismo non risulta difforme da un retto egoismo in quanto intelligente cura di sé. La fondazione dell’etica quindi è fisica, basata su una filosofia che guarda alla natura con ottimismo e favore, senza ignorare le numerose manifestazioni di caos e di disordine che essa presenta ma riconducendole all’interno di un processo complessivamente orientato alla crescita della complessità e dell’organizzazione vitale, e che per questo sa che essere fedeli alla natura e alla sua logica relazionale equivale a fare il bene, e di conseguenza a stare bene, per la gioia che infallibilmente scaturisce in ogni essere umano quando cresce la qualità delle sue relazioni.
Da questa logica armoniosa dell’essere procede anche il richiamo al rispetto della giustizia che tradizionalmente chiamiamo «voce della coscienza».
IL LIBRO
Il costituzionalista riluttante ( Einaudi, a cura Andrea Giorgis, Enrico Grosso e Jörg Luther, pagg. 489, euro 35) è una raccolta di saggi dedicata alla riflessione intellettuale di Gustavo Zagrebelsky, in tutte le sue articolazioni: dalla democrazia alla giustizia. Tra i numerosi contributi ci sono quelli di Ezio Mauro, Enzo Bianchi, Luciano Canfora, Carlo Petrini, Nadia Urbinati. Questo è un estratto del saggio di Vito Mancuso
Perché il bisogno di giustizia è più forte del relativismo etico
Da una raccolta di saggi d’autore dedicati a Gustavo Zagrebelsky una riflessione sulle radici della nostra “voce della coscienza”
di Vito Mancuso
La principale malattia spirituale del nostro tempo consiste nell’incapacità di fondare nella coscienza l’imperatività della giustizia, ovvero di rispondere al perché si debba sempre fare il bene e operare ciò che è giusto anche in assenza di interessi, o addirittura contro i propri interessi. Rimandando a Dio e ai suoi comandamenti, l’etica religiosa tradizionale è capace di assolutezza, ma paga questa sua capacità con l’incapacità di universalità e quindi di tolleranza. D’altro canto l’etica laica nei suoi modelli fondamentali (giusnaturalismo, consensus gentium, formalismo, utilitarismo) è sì capace di tolleranza, ma incapace di generare l’assolutezza dell’obbedienza; anzi, applicando la tolleranza al proprio io nella pratica concreta, i soggetti trovano non di rado una comoda giustificazione alla loro incoerenza rispetto all’imperativo etico.
Il risultato è che oggi non si sa più rispondere al perché il bene dovrebbe essere sempre meglio del male. Tale assenza di fondazione è una grave minaccia che incombe sull’etica in quanto tale, perché in mancanza di fondazione o c’è imperatività senza discernimento, come nel caso del fanatismo, o non c’è imperatività e quindi non c’è etica, come nel caso dell’utilitarismo opportunistico.
Dato che l’etica si lega intrinsecamente al diritto, la crisi della sua fondazione si traduce immediatamente nella crisi del concetto di giustizia, ovvero dello stesso fondamento teoretico della filosofia del diritto. In questa prospettiva Gustavo Zagrebelsky scrive significativamente di «nostra ignoranza teoretica sul contenuto della giustizia». Il diritto infatti o è in grado di rimandare a un fondamento etico in base a cui mostrare che ciò che prescrive è veramente diritto nel senso di retto, oppure non può che risultare fondato ultimamente sul potere che dapprima l’istituisce in quanto positum, e poi si cura di farlo rispettare mediante la forza. L’alternativa è quella classica: è la verità o è l’autorità a costituire la legge?
È noto il detto di Hobbes: Auctoritas, non veritas, facit legem. Ma se si deve ammettere che questo vale per la legge positiva, non ritengo che valga allo stesso modo per il diritto sostanziale che precede e fonda la legislazione. L’autorità è indispensabile per mediare il passaggio dalla sfera del diritto alla sfera della legge, e in questo senso è giusto dire che senza autorità non si avrebbe la legge (Auctoritas facit legem). Non per questo però è lecito concludere che l’autorità sia anche la fonte sorgiva del diritto, il quale al contrario precede l’autorità e la giudica, distinguendola in autorità legittima e giusta a cui obbedire, e autorità illegittima e ingiusta a cui ribellarsi (e quindi si potrebbe dire: Veritas facit ius).
Se il diritto precede l’autorità, esso riceve il suo fondamento nella coscienza, in particolare in quella forma della coscienza etica che intende comportarsi in modo retto e giusto, e che tradizionalmente si chiama etica. Torniamo quindi a quanto affermato sopra, ovvero al fatto che l’odierna crisi dell’etica trascina con sé anche la crisi della fondazione del diritto e la conseguente «nostra ignoranza teoretica sul contenuto della giustizia».
Tuttavia esiste negli esseri umani un enorme bisogno di giustizia. La mancata realizzazione di questo bisogno genera in essi malessere e risentimento rispetto alla società, alla storia, alla condizione umana. La questione si pone in modo radicale: quando parliamo di «fame e sete di giustizia », quale dimensione dell’essere umano nominiamo? Io ritengo che il fondamento dell’etica e il fondamento del diritto si leghino intrinsecamente l’uno all’altro, e che la forza dell’uno sia la forza dell’altro, e la rovina dell’uno la rovina dell’altro.
Esistenzialmente la questione del fondamento dell’etica si traduce in una domanda molto concreta: perché dovrei fare il bene e non il mio interesse? La mia risposta è la seguente: si deve fare il bene per essere fedeli a se stessi, perché è nel bene oggettivo che risiede il più grande interesse soggettivo.
Che cos’è infatti il bene? Il bene nella sua essenza peculiare è forma, ordine, armonia, relazione armoniosa. E che cosa siamo noi? Siamo forma, ordine, armonia, un concerto di relazioni armoniose: è grazie a questa dinamica, chiamata in fisica informazione, che a partire dai livelli primordiali delle nostre particelle subatomiche si formano i nostri atomi, i quali a loro volta, grazie all’informazione che li guida, formano le nostre molecole, le quali a loro volta, grazie all’informazione che le guida, formano gli organelli alla base delle nostre cellule, le quali a loro volta… e via di questo passo secondo una progressiva organizzazione che giunge fino alla coscienza e alla personalità.
La logica che ci dà forma, che ci in-forma, è la relazione armoniosa, e quindi praticare l’etica, in quanto relazione armoniosa con gli altri e con il mondo, significa essere fedeli a se stessi, alla nostra più intima logica interiore. In questa prospettiva l’altruismo non risulta difforme da un retto egoismo in quanto intelligente cura di sé. La fondazione dell’etica quindi è fisica, basata su una filosofia che guarda alla natura con ottimismo e favore, senza ignorare le numerose manifestazioni di caos e di disordine che essa presenta ma riconducendole all’interno di un processo complessivamente orientato alla crescita della complessità e dell’organizzazione vitale, e che per questo sa che essere fedeli alla natura e alla sua logica relazionale equivale a fare il bene, e di conseguenza a stare bene, per la gioia che infallibilmente scaturisce in ogni essere umano quando cresce la qualità delle sue relazioni.
Da questa logica armoniosa dell’essere procede anche il richiamo al rispetto della giustizia che tradizionalmente chiamiamo «voce della coscienza».
IL LIBRO
Il costituzionalista riluttante ( Einaudi, a cura Andrea Giorgis, Enrico Grosso e Jörg Luther, pagg. 489, euro 35) è una raccolta di saggi dedicata alla riflessione intellettuale di Gustavo Zagrebelsky, in tutte le sue articolazioni: dalla democrazia alla giustizia. Tra i numerosi contributi ci sono quelli di Ezio Mauro, Enzo Bianchi, Luciano Canfora, Carlo Petrini, Nadia Urbinati. Questo è un estratto del saggio di Vito Mancuso
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
L'oro di Dongo. Un tema che ci ha accompagnato per 70 anni, come un fiume carsico.
Carpeoro: l’oro di Dongo, il segreto con cui Gelli ricattò il Pci
Scritto il 27/3/16 • nella Categoria: segnalazioni
La fortuna economica di Licio Gelli iniziò con l’oro di Dongo che diventerà uno dei suoi segreti. Non era uno stragista ma venne utilizzato per i vari depistaggi. Ad un certo punto scaricò Berlusconi. Sono alcune delle rivelazioni di Gianfranco Pecoraro, meglio conosciuto come Carpeoro, ex gran maestro della “legittima e storica comunione di Piazza del Gesù”, rilasciate nel corso del programma radiofonico “Border Nights”, in onda ogni martedi alle 22 su “Web Radio Network”. «È scomparso un personaggio che trova le sue radici nella gran confusione dell’Italia del dopoguerra. Gelli si è riciclato talmente bene che da fascista è diventato partigiano, partecipando all’operazione della sparizione dell’oro di Dongo. Quello rimane il segreto principale della sua vita, che gli ha permesso di ricattare gli unici che potevano dargli problemi, cioè i comunisti. Con l’oro di Dongo iniziò a costruire le sue fortune imprenditoriali. Per lui era inoltre facile avere indiscrezioni sulle oscillazioni della Borsa. Dedicava 24 ore al giorno alla ricerca delle informazioni che poi utilizzava per varie finalità».
Accostato più volte alle stragi, secondo Carpeoro il suo ruolo si era però limitato a quello di depistatore: «Era un personaggio di riferimento di certi equilibri politici, veniva utilizzato per depistare. Non era l’organizzatore delle stragi. Veniva semmai utilizzato dai servizi segreti, dei quali fu collaboratore stimato e sempre utilizzato: serviva ad evitare che si arrivare ad individuare connivenze un po’ particolari. Non era uno stragista, non ne sarebbe stato neanche in grado. Si occupava di un altro aspetto: quello che non si arrivasse mai alla verità. Gelli era un massone che aveva tradito la massoneria, i suoi stessi compagni di strada. Si sentirono traditi da lui personaggi come Giulio Caradonna o Alliata di Montereale. Per opportunismo non guardava in faccia a nessuno». La famigerata P2 era in questa ottica lo strumento di potere di Gelli, che però non aveva ramificazioni tali per andare oltre ed intaccare davvero il tessuto istituzionale: «L’operazione P2 era ramificata e potente in termini di seconde linee iper permettere a Gelli di avere potere e fare affari. Ma non per condizionare la politica italiana. Finché era dentro il Goi, infatti, era soggetta ad altri organismi».
«Non bisogna mai dimenticare che, in un rigurgito di perbenismo, la P2 venne buttata fuori dal Goi. Quando scoppiò lo scandalo erano già passati sei anni da quell’espulsione. C’era una parte della lista P2, che Gelli non ha fatto ritrovare, che era composta da ecclesiastici». L’ex gran maestro si è sentito anche danneggiato dall’azione di Gelli: «Mi ha fatto la guerra. Non avendo più una organizzazione massonica di riferimento, negli anni ‘90 voleva appropriarsi della mia, la più storica d’Italia, sufficientemente piccola per i suoi scopi. Fece una serie di manovre in questo senso per impossessarsene, provocandomi una serie di danni. Non mi prestai, e anche per questo ho “chiuso” la mia obbedienza. Sapevo che ne avrei pagato le conseguenze, ma non me me sono mai pentito».
(Fabio Frabetti, “Gelli fu un depistatore, non uno stragista. L’oro di Dongo il suo segreto”, da “Blasting News” del 30 dicembre 2015).
La fortuna economica di Licio Gelli iniziò con l’oro di Dongo che diventerà uno dei suoi segreti. Non era uno stragista ma venne utilizzato per i vari depistaggi. Ad un certo punto scaricò Berlusconi. Sono alcune delle rivelazioni di Gianfranco Pecoraro, meglio conosciuto come Carpeoro, ex gran maestro della “legittima e storica comunione di Piazza del Gesù”, rilasciate nel corso del programma radiofonico “Border Nights”, in onda ogni martedi alle 22 su “Web Radio Network”. «È scomparso un personaggio che trova le sue radici nella gran confusione dell’Italia del dopoguerra. Gelli si è riciclato talmente bene che da fascista è diventato partigiano, partecipando all’operazione della sparizione dell’oro di Dongo. Quello rimane il segreto principale della sua vita, che gli ha permesso di ricattare gli unici che potevano dargli problemi, cioè i comunisti. Con l’oro di Dongo iniziò a costruire le sue fortune imprenditoriali. Per lui era inoltre facile avere indiscrezioni sulle oscillazioni della Borsa. Dedicava 24 ore al giorno alla ricerca delle informazioni che poi utilizzava per varie finalità».
Accostato più volte alle stragi, secondo Carpeoro il suo ruolo si era però limitato a quello di depistatore: «Era un personaggio di riferimento di certi equilibri politici, veniva utilizzato per depistare. Non era l’organizzatore delle stragi. Veniva semmai Licio Gelliutilizzato dai servizi segreti, dei quali fu collaboratore stimato e sempre utilizzato: serviva ad evitare che si arrivare ad individuare connivenze un po’ particolari. Non era uno stragista, non ne sarebbe stato neanche in grado. Si occupava di un altro aspetto: quello che non si arrivasse mai alla verità. Gelli era un massone che aveva tradito la massoneria, i suoi stessi compagni di strada. Si sentirono traditi da lui personaggi come Giulio Caradonna o Alliata di Montereale. Per opportunismo non guardava in faccia a nessuno». La famigerata P2 era in questa ottica lo strumento di potere di Gelli, che però non aveva ramificazioni tali per andare oltre ed intaccare davvero il tessuto istituzionale: «L’operazione P2 era ramificata e potente in termini di seconde linee iper permettere a Gelli di avere potere e fare affari. Ma non per condizionare la politica italiana. Finché era dentro il Goi, infatti, era soggetta ad altri organismi».
«Non bisogna mai dimenticare che, in un rigurgito di perbenismo, la P2 venne buttata fuori dal Goi. Quando scoppiò lo scandalo erano già passati sei anni da quell’espulsione. C’era una parte della lista P2, che Gelli non ha fatto ritrovare, che era composta da ecclesiastici». L’ex gran maestro si è sentito anche danneggiato dall’azione di Gelli: «Mi ha fatto la guerra. Non avendo più una organizzazione massonica di riferimento, negli anni ‘90 voleva appropriarsi della mia, la più storica d’Italia, sufficientemente piccola per i suoi scopi. Fece una serie di manovre in questo senso per impossessarsene, provocandomi una serie di danni. Non mi prestai, e anche per questo ho “chiuso” la mia obbedienza. Sapevo che ne avrei pagato le conseguenze, ma non me me sono mai pentito».
(Fabio Frabetti, “Gelli fu un depistatore, non uno stragista. L’oro di Dongo il suo segreto”, da “Blasting News” del 30 dicembre 2015).
Carpeoro: l’oro di Dongo, il segreto con cui Gelli ricattò il Pci
Scritto il 27/3/16 • nella Categoria: segnalazioni
La fortuna economica di Licio Gelli iniziò con l’oro di Dongo che diventerà uno dei suoi segreti. Non era uno stragista ma venne utilizzato per i vari depistaggi. Ad un certo punto scaricò Berlusconi. Sono alcune delle rivelazioni di Gianfranco Pecoraro, meglio conosciuto come Carpeoro, ex gran maestro della “legittima e storica comunione di Piazza del Gesù”, rilasciate nel corso del programma radiofonico “Border Nights”, in onda ogni martedi alle 22 su “Web Radio Network”. «È scomparso un personaggio che trova le sue radici nella gran confusione dell’Italia del dopoguerra. Gelli si è riciclato talmente bene che da fascista è diventato partigiano, partecipando all’operazione della sparizione dell’oro di Dongo. Quello rimane il segreto principale della sua vita, che gli ha permesso di ricattare gli unici che potevano dargli problemi, cioè i comunisti. Con l’oro di Dongo iniziò a costruire le sue fortune imprenditoriali. Per lui era inoltre facile avere indiscrezioni sulle oscillazioni della Borsa. Dedicava 24 ore al giorno alla ricerca delle informazioni che poi utilizzava per varie finalità».
Accostato più volte alle stragi, secondo Carpeoro il suo ruolo si era però limitato a quello di depistatore: «Era un personaggio di riferimento di certi equilibri politici, veniva utilizzato per depistare. Non era l’organizzatore delle stragi. Veniva semmai utilizzato dai servizi segreti, dei quali fu collaboratore stimato e sempre utilizzato: serviva ad evitare che si arrivare ad individuare connivenze un po’ particolari. Non era uno stragista, non ne sarebbe stato neanche in grado. Si occupava di un altro aspetto: quello che non si arrivasse mai alla verità. Gelli era un massone che aveva tradito la massoneria, i suoi stessi compagni di strada. Si sentirono traditi da lui personaggi come Giulio Caradonna o Alliata di Montereale. Per opportunismo non guardava in faccia a nessuno». La famigerata P2 era in questa ottica lo strumento di potere di Gelli, che però non aveva ramificazioni tali per andare oltre ed intaccare davvero il tessuto istituzionale: «L’operazione P2 era ramificata e potente in termini di seconde linee iper permettere a Gelli di avere potere e fare affari. Ma non per condizionare la politica italiana. Finché era dentro il Goi, infatti, era soggetta ad altri organismi».
«Non bisogna mai dimenticare che, in un rigurgito di perbenismo, la P2 venne buttata fuori dal Goi. Quando scoppiò lo scandalo erano già passati sei anni da quell’espulsione. C’era una parte della lista P2, che Gelli non ha fatto ritrovare, che era composta da ecclesiastici». L’ex gran maestro si è sentito anche danneggiato dall’azione di Gelli: «Mi ha fatto la guerra. Non avendo più una organizzazione massonica di riferimento, negli anni ‘90 voleva appropriarsi della mia, la più storica d’Italia, sufficientemente piccola per i suoi scopi. Fece una serie di manovre in questo senso per impossessarsene, provocandomi una serie di danni. Non mi prestai, e anche per questo ho “chiuso” la mia obbedienza. Sapevo che ne avrei pagato le conseguenze, ma non me me sono mai pentito».
(Fabio Frabetti, “Gelli fu un depistatore, non uno stragista. L’oro di Dongo il suo segreto”, da “Blasting News” del 30 dicembre 2015).
La fortuna economica di Licio Gelli iniziò con l’oro di Dongo che diventerà uno dei suoi segreti. Non era uno stragista ma venne utilizzato per i vari depistaggi. Ad un certo punto scaricò Berlusconi. Sono alcune delle rivelazioni di Gianfranco Pecoraro, meglio conosciuto come Carpeoro, ex gran maestro della “legittima e storica comunione di Piazza del Gesù”, rilasciate nel corso del programma radiofonico “Border Nights”, in onda ogni martedi alle 22 su “Web Radio Network”. «È scomparso un personaggio che trova le sue radici nella gran confusione dell’Italia del dopoguerra. Gelli si è riciclato talmente bene che da fascista è diventato partigiano, partecipando all’operazione della sparizione dell’oro di Dongo. Quello rimane il segreto principale della sua vita, che gli ha permesso di ricattare gli unici che potevano dargli problemi, cioè i comunisti. Con l’oro di Dongo iniziò a costruire le sue fortune imprenditoriali. Per lui era inoltre facile avere indiscrezioni sulle oscillazioni della Borsa. Dedicava 24 ore al giorno alla ricerca delle informazioni che poi utilizzava per varie finalità».
Accostato più volte alle stragi, secondo Carpeoro il suo ruolo si era però limitato a quello di depistatore: «Era un personaggio di riferimento di certi equilibri politici, veniva utilizzato per depistare. Non era l’organizzatore delle stragi. Veniva semmai Licio Gelliutilizzato dai servizi segreti, dei quali fu collaboratore stimato e sempre utilizzato: serviva ad evitare che si arrivare ad individuare connivenze un po’ particolari. Non era uno stragista, non ne sarebbe stato neanche in grado. Si occupava di un altro aspetto: quello che non si arrivasse mai alla verità. Gelli era un massone che aveva tradito la massoneria, i suoi stessi compagni di strada. Si sentirono traditi da lui personaggi come Giulio Caradonna o Alliata di Montereale. Per opportunismo non guardava in faccia a nessuno». La famigerata P2 era in questa ottica lo strumento di potere di Gelli, che però non aveva ramificazioni tali per andare oltre ed intaccare davvero il tessuto istituzionale: «L’operazione P2 era ramificata e potente in termini di seconde linee iper permettere a Gelli di avere potere e fare affari. Ma non per condizionare la politica italiana. Finché era dentro il Goi, infatti, era soggetta ad altri organismi».
«Non bisogna mai dimenticare che, in un rigurgito di perbenismo, la P2 venne buttata fuori dal Goi. Quando scoppiò lo scandalo erano già passati sei anni da quell’espulsione. C’era una parte della lista P2, che Gelli non ha fatto ritrovare, che era composta da ecclesiastici». L’ex gran maestro si è sentito anche danneggiato dall’azione di Gelli: «Mi ha fatto la guerra. Non avendo più una organizzazione massonica di riferimento, negli anni ‘90 voleva appropriarsi della mia, la più storica d’Italia, sufficientemente piccola per i suoi scopi. Fece una serie di manovre in questo senso per impossessarsene, provocandomi una serie di danni. Non mi prestai, e anche per questo ho “chiuso” la mia obbedienza. Sapevo che ne avrei pagato le conseguenze, ma non me me sono mai pentito».
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
IL PROFETA MUSA DI MUSSOLONI
Auto elettrica, il boom Tesla beffa il “profeta” Marchionne
Scritto il 10/5/16 • nella Categoria: segnalazioni
Prima ti ignorano, poi ti irridono, poi ti combattono. Poi hai vinto. Il vincitore si chiama Nikola Tesla, geniale scienziato di origine serba. Ma anche Elon Musk, Ceo della statunitense Tesla Motors, produttrice della più rivoluzionaria auto elettrica esistente sul pianeta, emissioni zero e 500 chilometri di autonomia. Il grande sconfitto? Sergio Marchionne. Lo afferma Pietro Cambi, ripercorrendo le “profezie” del boss di Fiat-Chrysler riguardo all’auto del futuro. Una storia che ripropone la nota parabola gandhiana: prima di trionfare, ogni grande innovatore viene inizialmente ignorato, poi canzonato, quindi osteggiato. E dire che Marchionne era stato messo sulla giusta strada persino da un parlamentare Pd, Andrea Lulli, che chiese investimenti per 100 milioni di euro sulla promozione dei veicoli a impatto zero. «Marchionne fece quello che per lui doveva essere un enorme sacrificio: si mise la cravatta. E andò alla Camera a spiegare che il suo piano industriale escludeva i veicoli elettrici». Il confronto con Tesla, per quanto riguarda dedizione e capacità di analisi del futuro, è illuminante, scrive Cambi: «Serve a far comprendere la cecità e ottusità di un management che sta cancellando, è inesorabile, la presenza italiana nel mercato dell’auto».Nel 2010, ricorda Cambi su “Crisis, what crisis”, in Italia sono sono state vendute le prime 50 Tesla “Roadster”. Marchionne: «Gli esperti internazionali concordano sul fatto che la quota di vetture elettriche non potrà superare il 5% del totale neppure tra dieci anni». Motivo: prezzi ancora troppo alti, per via dei bassi numeri di produzione e del costo della batteria. E 12 mesi dopo: «L’anno prossimo lanceremo la 500 elettrica sul mercato americano e perderemo 10.000 dollari ogni auto prodotta e venduta lì. Figuratevi se dovessimo esportarla verso l’Europa», dove – a differenza degli Usa – non esistono incentivi per lo sviluppo di veicoli a emissioni zero. E ancora: «Il costo della tecnologia è altissimo, è inutile illuderci che salvi il mercato dell’auto». Sempre nel 2012: «Si tratta di una tecnologia che non è alla portata delle tasche normali, è una mobilità poco sostenibile in termini di diffusione di massa. Non sto dicendo che sia una tecnologia da abbandonare, tutt’altro, ma indirizzare tutto lo sforzo normativo per promuovere questo tipo di trazione porterebbe solo ad un aumento di costi senza nessun beneficio immediato e concreto. Sembra più saggio concentrarsi su motori tradizionali e carburanti alternativi».Intanto, nel gennaio 2013, sbarca anche in Italia la Tesla “Model S”. Marchionne: «Non sto dicendo che l’auto elettrica sia un progetto da non considerare, in Fiat ci stiamo lavorando seriamente con Chrysler che ha sviluppato grandi competenze. Ma è bene sapere che per ogni 500 elettrica venduta perderemo circa 10.000 dollari, un affare al limite del masochismo». Un anno dopo, nel gennaio 2014, le Tesla vendute in Italia salgono a quota 22.000. In un convegno negli Usa, Marchionne insiste sulla sua tesi. E aggiorna il costo dell’operazione per la 500 elettrica: non ci rimette più solo 10.000 dollari a veicolo, ma 14.000. Poi, finalmente, nel 2015 la diga comincia a vacillare: «Sono rimasto incredibilmente impressionato da quello che è riuscito a fare quel ragazzo», ammette Marchionne, parlando di Elon Musk e della sua Tesla. La frana, intanto, diventa un cataclisma: nel gennaio 2016, le Tesla vendute sono ormai oltre 55.000. Eppure, sull’auto elettrica Marchionne frena ancora: «Dateci tempo di dimostrare il nostro valore, ma quando sarà prodotta e sul mercato, non prima. La verità è che nessuno guadagna con le auto a zero emissioni. Nemmeno Elon Musk, che pure considero il guru del settore».Poi, nell’aprile 2016: «Non mi vergogno di dirlo: se Musk mi dimostrerà che l’auto può essere redditizia a quel prezzo», cioè 35.000 dollari, «copierò la formula, aggiungerò il design italiano e la porterò sul mercato entro un anno». Aggiunge Marchionne: «Le numerose prenotazioni non mi sorprendono, ma poi bisogna vendere le auto e guadagnare:meglio arrivare tardi che essere dispiaciuti». Davvero? Nello stesso mese – aprile 2016 – la nuovissima “Tesla 3” è accolta da qualcosa come 400.000 ordini. E’ un caso senza precedenti nella storia del marketing, osserva Cambi. Oggi, maggio 2016, finalmente Marchionne fa sapere che Fiat-Fca sta cercando un accordo con Google per sviluppare sistemi di guida autonoma, come i dispositivi anti-incidente già montati sulle auto di Elon Musk, che sono in grado di parcheggiare da sole, evitare ostacoli improvvisi, dribblare veicoli. «Non è il futuro. E’ presente. I proprietari di Tesla stanno utilizzando questa tecnologia ORA».Sintesi: «L’auto elettrica ha vinto, il suo Napoleone si chiama Tesla (perché i meriti vanno allargati all’azienda e non solo al suo fondatore)». E gli altri? Fiat, Bmw, Audi, Volkswagen, Volvo e General Motors «inseguono, senza grandi speranze». Attenzione: «La “guerra” continua e continuerà, vedrete, in modi sempre più feroci». Per intanto, vediamo di capirci, conclude Cambi: «Caro Marchionne: sono almeno sette anni che ci spieghi, con molta pazienza e altrettanta ottusa ostinazione, che le auto elettriche non hanno un futuro. Poi ti tocca ammettere, di fronte all’evidenza dei fatti, che questo futuro è qui, è qui per restare. E tu sei stato volutamente fermo, perdendo sette anni. Poi, senza alcun sprezzo del pericolo, immemore delle “proiezioni” sesquipedali di cui hai infarcito i tuoi comunicati per anni, mancandole tutte, dichiari che IN UN ANNO potresti fare una auto in grado di competere con una Tesla? In un anno? Quando da alcuni anni non riesci ad azzeccare un modello che è uno, nemmeno per sbaglio? Senso del pudore, mi pare evidente, non l’hai mai avuto. Senso del ridicolo? No, eh?».
Auto elettrica, il boom Tesla beffa il “profeta” Marchionne
Scritto il 10/5/16 • nella Categoria: segnalazioni
Prima ti ignorano, poi ti irridono, poi ti combattono. Poi hai vinto. Il vincitore si chiama Nikola Tesla, geniale scienziato di origine serba. Ma anche Elon Musk, Ceo della statunitense Tesla Motors, produttrice della più rivoluzionaria auto elettrica esistente sul pianeta, emissioni zero e 500 chilometri di autonomia. Il grande sconfitto? Sergio Marchionne. Lo afferma Pietro Cambi, ripercorrendo le “profezie” del boss di Fiat-Chrysler riguardo all’auto del futuro. Una storia che ripropone la nota parabola gandhiana: prima di trionfare, ogni grande innovatore viene inizialmente ignorato, poi canzonato, quindi osteggiato. E dire che Marchionne era stato messo sulla giusta strada persino da un parlamentare Pd, Andrea Lulli, che chiese investimenti per 100 milioni di euro sulla promozione dei veicoli a impatto zero. «Marchionne fece quello che per lui doveva essere un enorme sacrificio: si mise la cravatta. E andò alla Camera a spiegare che il suo piano industriale escludeva i veicoli elettrici». Il confronto con Tesla, per quanto riguarda dedizione e capacità di analisi del futuro, è illuminante, scrive Cambi: «Serve a far comprendere la cecità e ottusità di un management che sta cancellando, è inesorabile, la presenza italiana nel mercato dell’auto».Nel 2010, ricorda Cambi su “Crisis, what crisis”, in Italia sono sono state vendute le prime 50 Tesla “Roadster”. Marchionne: «Gli esperti internazionali concordano sul fatto che la quota di vetture elettriche non potrà superare il 5% del totale neppure tra dieci anni». Motivo: prezzi ancora troppo alti, per via dei bassi numeri di produzione e del costo della batteria. E 12 mesi dopo: «L’anno prossimo lanceremo la 500 elettrica sul mercato americano e perderemo 10.000 dollari ogni auto prodotta e venduta lì. Figuratevi se dovessimo esportarla verso l’Europa», dove – a differenza degli Usa – non esistono incentivi per lo sviluppo di veicoli a emissioni zero. E ancora: «Il costo della tecnologia è altissimo, è inutile illuderci che salvi il mercato dell’auto». Sempre nel 2012: «Si tratta di una tecnologia che non è alla portata delle tasche normali, è una mobilità poco sostenibile in termini di diffusione di massa. Non sto dicendo che sia una tecnologia da abbandonare, tutt’altro, ma indirizzare tutto lo sforzo normativo per promuovere questo tipo di trazione porterebbe solo ad un aumento di costi senza nessun beneficio immediato e concreto. Sembra più saggio concentrarsi su motori tradizionali e carburanti alternativi».Intanto, nel gennaio 2013, sbarca anche in Italia la Tesla “Model S”. Marchionne: «Non sto dicendo che l’auto elettrica sia un progetto da non considerare, in Fiat ci stiamo lavorando seriamente con Chrysler che ha sviluppato grandi competenze. Ma è bene sapere che per ogni 500 elettrica venduta perderemo circa 10.000 dollari, un affare al limite del masochismo». Un anno dopo, nel gennaio 2014, le Tesla vendute in Italia salgono a quota 22.000. In un convegno negli Usa, Marchionne insiste sulla sua tesi. E aggiorna il costo dell’operazione per la 500 elettrica: non ci rimette più solo 10.000 dollari a veicolo, ma 14.000. Poi, finalmente, nel 2015 la diga comincia a vacillare: «Sono rimasto incredibilmente impressionato da quello che è riuscito a fare quel ragazzo», ammette Marchionne, parlando di Elon Musk e della sua Tesla. La frana, intanto, diventa un cataclisma: nel gennaio 2016, le Tesla vendute sono ormai oltre 55.000. Eppure, sull’auto elettrica Marchionne frena ancora: «Dateci tempo di dimostrare il nostro valore, ma quando sarà prodotta e sul mercato, non prima. La verità è che nessuno guadagna con le auto a zero emissioni. Nemmeno Elon Musk, che pure considero il guru del settore».Poi, nell’aprile 2016: «Non mi vergogno di dirlo: se Musk mi dimostrerà che l’auto può essere redditizia a quel prezzo», cioè 35.000 dollari, «copierò la formula, aggiungerò il design italiano e la porterò sul mercato entro un anno». Aggiunge Marchionne: «Le numerose prenotazioni non mi sorprendono, ma poi bisogna vendere le auto e guadagnare:meglio arrivare tardi che essere dispiaciuti». Davvero? Nello stesso mese – aprile 2016 – la nuovissima “Tesla 3” è accolta da qualcosa come 400.000 ordini. E’ un caso senza precedenti nella storia del marketing, osserva Cambi. Oggi, maggio 2016, finalmente Marchionne fa sapere che Fiat-Fca sta cercando un accordo con Google per sviluppare sistemi di guida autonoma, come i dispositivi anti-incidente già montati sulle auto di Elon Musk, che sono in grado di parcheggiare da sole, evitare ostacoli improvvisi, dribblare veicoli. «Non è il futuro. E’ presente. I proprietari di Tesla stanno utilizzando questa tecnologia ORA».Sintesi: «L’auto elettrica ha vinto, il suo Napoleone si chiama Tesla (perché i meriti vanno allargati all’azienda e non solo al suo fondatore)». E gli altri? Fiat, Bmw, Audi, Volkswagen, Volvo e General Motors «inseguono, senza grandi speranze». Attenzione: «La “guerra” continua e continuerà, vedrete, in modi sempre più feroci». Per intanto, vediamo di capirci, conclude Cambi: «Caro Marchionne: sono almeno sette anni che ci spieghi, con molta pazienza e altrettanta ottusa ostinazione, che le auto elettriche non hanno un futuro. Poi ti tocca ammettere, di fronte all’evidenza dei fatti, che questo futuro è qui, è qui per restare. E tu sei stato volutamente fermo, perdendo sette anni. Poi, senza alcun sprezzo del pericolo, immemore delle “proiezioni” sesquipedali di cui hai infarcito i tuoi comunicati per anni, mancandole tutte, dichiari che IN UN ANNO potresti fare una auto in grado di competere con una Tesla? In un anno? Quando da alcuni anni non riesci ad azzeccare un modello che è uno, nemmeno per sbaglio? Senso del pudore, mi pare evidente, non l’hai mai avuto. Senso del ridicolo? No, eh?».
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
Dove alla fine Carpeoro rimane ermetico su cosa consiste "il sapere dei misteri dell'universo".
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Il volo del pellicano, i Rosacroce sono ancora tra noi?
Scritto il 15/5/16 • nella Categoria: Recensioni
Tutto comincia con un certo Melchisedek, il biblico “re di giustizia” che ha la facoltà di autorizzare Abramo ad esercitare il potere terreno sul suo popolo.
Figura estramamente misteriosa, Melchisedek: secondo la recentissima decrittazione di Mauro Biglino, nientemeno che un Elohim, come lo stesso Yahwè; per l’interpretazione esoterico-simbolica, invece, era una personalità “a diretto contatto col divino”, emblema vivente della perduta regalità, fondata su una speciale conoscenza gelosamente custodita, nei millenni, dalla cosiddetta Radix Davidis, la Stirpe di Giuda il cui destino è prefigurato nella pagina della Genesi su cui, ancora oggi, giurano i presidenti degli Stati Uniti.
Dall’evangelico Giuseppe d’Arimatea fino al genio visionario di Salvador Dalì, passando per Alarico il re dei Goti, Dante Alighieri e Giordano Bruno, Bach e Cartesio, Leonardo e Giorgione.
Una “confraternita del sapere”, che si sarebbe poi chiamata – anche – Rosacroce, nome col quale, all’inizio del ‘600, firmò un manifesto che chiedeva l’abolizione della proprietà privata e dei confini tra le nazioni.
Melchisedek è anche il nome dell’editore che oggi ripubblica l’originalissimo romanzo che Gianfranco Carpeoro, ex avvocato e giornalista, già “sovrano gran maestro” della massoneria indipendente di rito scozzese, nonché appassionato studioso di linguaggi simbolici, ha dedicato al mistero dei Rosacroce, “Il volo del pellicano”. Molti simboli rappresentano la porta di un mondo che ci sfugge, al quale abbiamo accesso soltanto nella dimensione del sogno, che però – ha sostenuto l’autore in una recente presentazione milanese – al nostro risveglio non possiamo ricordare, perché ci manca il linguaggio adatto, dal momento che il sogno è il reame degli archetipi.
L’archetipo rivive proprio nel simbolo, un’astrazione concepita per veicolare un messaggio attraverso i secoli.
E noi, frastornati dal pensiero magico-manipolatorio del potere (religione, economia, politica), in realtà siamo circondati da simboli che ci “parlano”, se solo li sapessimo “leggere”.
E’ quello che scopre Giulio Cortesi, il protagonista de “Il volo del pellicano”, uccello-simbolo della militanza rosacrociana, richiamato anche in una delle ultime apparizioni pubbliche di una rockstar come Freddy Mercury, leader dei Queen.
Il libro di Carpeoro è un avvincente thriller alchemico-esoterico che si svolge su due livelli, due binari separati che corrono parallelamente alla verità di un mondo che è davanti ai nostri occhi, a patto che ci decidiamo ad accorgercene.
Vi inciampa il grafico quarantenne Cortesi, disoccupato e con la passione per la cucina: sospettato di omicidio, si trova per caso coinvolto in un’insolita ricerca, un’avventura intellettuale tra antichi simboli e opere d’arte, che lo porterà a scoprire i segreti dei Rosacroce, gli iniziati alla fratellanza, attraverso i personaggi storici che, nei secoli, hanno costruito il destino della Stirpe di David, scrive lo stesso Carpeoro sul suo sito.
Punto di partenza, l’opera di Giorgione: quale segreto si nasconde dietro la vera identità del grande pittore, la sua breve esistenza e le sue opere misteriose? E poi Giordano Bruno: cosa lo spinge a Wittenberg qualche anno prima della sua morte? E quale incontro, ad Ulm, cambierà la vita del filosofo e matematico Cartesio? E ancora: perché il protestante Silesio andò a Padova, prima di convertirsi al cattolicesimo, e cosa lo collega alle terzine del Pellegrino Cherubico e ai quadri di Giorgione?Lo stesso pittore è stranamente collegato anche al principe Sangro di Sansevero; a proposito: chi fu veramente Cagliostro?
E che mistero si cela dietro la storia della famiglia Bach? E ancora: dove finirono le spoglie di Mozart? Gli enigmi si prolungano fino al ‘900, intrecciando indizi che coinvolgono il musicista Eric Satie, il “vate” Gabriele D’Annunzio, il francese Jean Coucteau e lo stesso Dalì, ultimo “Ormùs” (gran maestro) della segretissima confraternita, che prima di morire pare abbia trasmesso un fondamentale segreto: a chi? Tessere di un mosaico, verso il quale Cortesi viene guidato da svariate figure, tra cui un paio di professori torinesi, che lo spingono alla scoperta delle opere di Giordano Bruno e fra’ Luca Pacioli, il precettore di Leonardo, e poi Ruggero Bacone, Raimondo Lullo, lo stesso Cagliostro. Giulio Cortesi fa amicizia con altri due personaggi singolari: l’anziano architetto Quinto Ammonio Solfo, membro di una loggia massonica e raffinato intellettuale, e fra’ Tommasino di Chiaravalle, al secolo Tommaso Sale, un anziano mistico. «Entrambi – racconta Carpeoro – daranno a Giulio utilissime indicazioni sulla pista da seguire per addentrarsi nei misteri dei Rosa+Croce».
Altri indizi gli vengono forniti in sogno da Cecilia, la fanciulla amata dal Giorgione, morta di peste a Venezia nel 1511. «A questo punto il protagonista ha varcato la soglia di un mondo che non conosceva, è proiettato in una dimensione spirituale che lo porta a una comprensione diversa e più profonda della realtà».
Chiarito l’arcano dell’omicidio, Giulio proseguirà nelle sue ricerche e arriverà alla conclusione che anche Giorgione aveva appartenuto alla fratellanza dei Rosacroce. Studiando le opere di iniziati e maestri, «emergerà la verità sulla stirpe di David e sulla discendenza della famiglia in cui nacque Cristo». Giulio Cortesi scoprirà che la confraternita fondata dall’apostolo Giacomo (e da Giuseppe d’Arimatea) ha lo scopo di «conservare e diffondere il Sang Real, la stirpe di David, dalla tribù di Giuda, e accogliere anche tutti gli eletti, uomini e donne d’ogni censo e razza, che pur non avendo legami di sangue con la stirpe reale, sono stati e saranno iniziati per tramandare di maestro in maestro l’antica conoscenza».
«Tutti gli interrogativi posti potrebbero trovare una risposta tra le righe del romanzo», scrive Carpeoro. «Ricomponendo le tesserine del mosaico si potrebbe trovare l’origine biblica dei Rosa+Croce della nostra bandiera tricolore o, analogamente, degli Stati Uniti d’America».
Alcune risposte, però, «sono scritte con l’inchiostro simpatico», e quindi «solo il calore della grande passione per il simbolismo le farà magicamente apparire».
E il finale è a sorpresa: sarà la persona più insospettabile a portare Giulio a conoscere una nobildonna austriaca, astrologa e seguace di Rudolf Steiner, che passerà le consegne della confraternita. «L’incontro con l’anziana astrologa condurrà Giulio a conoscere il nome degli ultimi due maestri Rosa+Croce ancora in vita, e lo lascerà con un interrogativo: ci sarà in futuro ancora qualcuno che possa divenire un maestro?».
Ovvero, a tramandare la “segreta conoscenza” custodita nei millenni, le cui prime tracce risalgono al racconto biblico di Melchisedek?(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Il volo del pellicano”, Melchisedek editore, 512 pagine, 26 euro – 22,10 su Macrolibrarsi).
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Il volo del pellicano, i Rosacroce sono ancora tra noi?
Scritto il 15/5/16 • nella Categoria: Recensioni
Tutto comincia con un certo Melchisedek, il biblico “re di giustizia” che ha la facoltà di autorizzare Abramo ad esercitare il potere terreno sul suo popolo.
Figura estramamente misteriosa, Melchisedek: secondo la recentissima decrittazione di Mauro Biglino, nientemeno che un Elohim, come lo stesso Yahwè; per l’interpretazione esoterico-simbolica, invece, era una personalità “a diretto contatto col divino”, emblema vivente della perduta regalità, fondata su una speciale conoscenza gelosamente custodita, nei millenni, dalla cosiddetta Radix Davidis, la Stirpe di Giuda il cui destino è prefigurato nella pagina della Genesi su cui, ancora oggi, giurano i presidenti degli Stati Uniti.
Dall’evangelico Giuseppe d’Arimatea fino al genio visionario di Salvador Dalì, passando per Alarico il re dei Goti, Dante Alighieri e Giordano Bruno, Bach e Cartesio, Leonardo e Giorgione.
Una “confraternita del sapere”, che si sarebbe poi chiamata – anche – Rosacroce, nome col quale, all’inizio del ‘600, firmò un manifesto che chiedeva l’abolizione della proprietà privata e dei confini tra le nazioni.
Melchisedek è anche il nome dell’editore che oggi ripubblica l’originalissimo romanzo che Gianfranco Carpeoro, ex avvocato e giornalista, già “sovrano gran maestro” della massoneria indipendente di rito scozzese, nonché appassionato studioso di linguaggi simbolici, ha dedicato al mistero dei Rosacroce, “Il volo del pellicano”. Molti simboli rappresentano la porta di un mondo che ci sfugge, al quale abbiamo accesso soltanto nella dimensione del sogno, che però – ha sostenuto l’autore in una recente presentazione milanese – al nostro risveglio non possiamo ricordare, perché ci manca il linguaggio adatto, dal momento che il sogno è il reame degli archetipi.
L’archetipo rivive proprio nel simbolo, un’astrazione concepita per veicolare un messaggio attraverso i secoli.
E noi, frastornati dal pensiero magico-manipolatorio del potere (religione, economia, politica), in realtà siamo circondati da simboli che ci “parlano”, se solo li sapessimo “leggere”.
E’ quello che scopre Giulio Cortesi, il protagonista de “Il volo del pellicano”, uccello-simbolo della militanza rosacrociana, richiamato anche in una delle ultime apparizioni pubbliche di una rockstar come Freddy Mercury, leader dei Queen.
Il libro di Carpeoro è un avvincente thriller alchemico-esoterico che si svolge su due livelli, due binari separati che corrono parallelamente alla verità di un mondo che è davanti ai nostri occhi, a patto che ci decidiamo ad accorgercene.
Vi inciampa il grafico quarantenne Cortesi, disoccupato e con la passione per la cucina: sospettato di omicidio, si trova per caso coinvolto in un’insolita ricerca, un’avventura intellettuale tra antichi simboli e opere d’arte, che lo porterà a scoprire i segreti dei Rosacroce, gli iniziati alla fratellanza, attraverso i personaggi storici che, nei secoli, hanno costruito il destino della Stirpe di David, scrive lo stesso Carpeoro sul suo sito.
Punto di partenza, l’opera di Giorgione: quale segreto si nasconde dietro la vera identità del grande pittore, la sua breve esistenza e le sue opere misteriose? E poi Giordano Bruno: cosa lo spinge a Wittenberg qualche anno prima della sua morte? E quale incontro, ad Ulm, cambierà la vita del filosofo e matematico Cartesio? E ancora: perché il protestante Silesio andò a Padova, prima di convertirsi al cattolicesimo, e cosa lo collega alle terzine del Pellegrino Cherubico e ai quadri di Giorgione?Lo stesso pittore è stranamente collegato anche al principe Sangro di Sansevero; a proposito: chi fu veramente Cagliostro?
E che mistero si cela dietro la storia della famiglia Bach? E ancora: dove finirono le spoglie di Mozart? Gli enigmi si prolungano fino al ‘900, intrecciando indizi che coinvolgono il musicista Eric Satie, il “vate” Gabriele D’Annunzio, il francese Jean Coucteau e lo stesso Dalì, ultimo “Ormùs” (gran maestro) della segretissima confraternita, che prima di morire pare abbia trasmesso un fondamentale segreto: a chi? Tessere di un mosaico, verso il quale Cortesi viene guidato da svariate figure, tra cui un paio di professori torinesi, che lo spingono alla scoperta delle opere di Giordano Bruno e fra’ Luca Pacioli, il precettore di Leonardo, e poi Ruggero Bacone, Raimondo Lullo, lo stesso Cagliostro. Giulio Cortesi fa amicizia con altri due personaggi singolari: l’anziano architetto Quinto Ammonio Solfo, membro di una loggia massonica e raffinato intellettuale, e fra’ Tommasino di Chiaravalle, al secolo Tommaso Sale, un anziano mistico. «Entrambi – racconta Carpeoro – daranno a Giulio utilissime indicazioni sulla pista da seguire per addentrarsi nei misteri dei Rosa+Croce».
Altri indizi gli vengono forniti in sogno da Cecilia, la fanciulla amata dal Giorgione, morta di peste a Venezia nel 1511. «A questo punto il protagonista ha varcato la soglia di un mondo che non conosceva, è proiettato in una dimensione spirituale che lo porta a una comprensione diversa e più profonda della realtà».
Chiarito l’arcano dell’omicidio, Giulio proseguirà nelle sue ricerche e arriverà alla conclusione che anche Giorgione aveva appartenuto alla fratellanza dei Rosacroce. Studiando le opere di iniziati e maestri, «emergerà la verità sulla stirpe di David e sulla discendenza della famiglia in cui nacque Cristo». Giulio Cortesi scoprirà che la confraternita fondata dall’apostolo Giacomo (e da Giuseppe d’Arimatea) ha lo scopo di «conservare e diffondere il Sang Real, la stirpe di David, dalla tribù di Giuda, e accogliere anche tutti gli eletti, uomini e donne d’ogni censo e razza, che pur non avendo legami di sangue con la stirpe reale, sono stati e saranno iniziati per tramandare di maestro in maestro l’antica conoscenza».
«Tutti gli interrogativi posti potrebbero trovare una risposta tra le righe del romanzo», scrive Carpeoro. «Ricomponendo le tesserine del mosaico si potrebbe trovare l’origine biblica dei Rosa+Croce della nostra bandiera tricolore o, analogamente, degli Stati Uniti d’America».
Alcune risposte, però, «sono scritte con l’inchiostro simpatico», e quindi «solo il calore della grande passione per il simbolismo le farà magicamente apparire».
E il finale è a sorpresa: sarà la persona più insospettabile a portare Giulio a conoscere una nobildonna austriaca, astrologa e seguace di Rudolf Steiner, che passerà le consegne della confraternita. «L’incontro con l’anziana astrologa condurrà Giulio a conoscere il nome degli ultimi due maestri Rosa+Croce ancora in vita, e lo lascerà con un interrogativo: ci sarà in futuro ancora qualcuno che possa divenire un maestro?».
Ovvero, a tramandare la “segreta conoscenza” custodita nei millenni, le cui prime tracce risalgono al racconto biblico di Melchisedek?(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Il volo del pellicano”, Melchisedek editore, 512 pagine, 26 euro – 22,10 su Macrolibrarsi).
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
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Qui Carpeoro è un pò più concreto
Carpeoro: l’élite ricorre alle bombe perché adesso ha paura
Scritto il 03/4/16 • nella Categoria: idee
Siamo in pericolo, e lo saremo sempre di più.
Motivo: l’élite planetaria, quella che oggi ricorre anche al terrorismo stragista, sta cominciando ad avere paura.
Teme, per la prima volta, di perdere il potere assoluto che ha esercitato, negli ultimi decenni, in modo incontrastato.
A inquietare le super-oligarchie mondiali non è solo il progressivo risveglio democratico di una parte dell’opinione pubblica, sempre più scettica di fronte alla narrazione ufficiale degli eventi.
Pesa, soprattutto, la clamorosa diserzione di una parte consistente di quello stesso vertice di potere, spaventato dalle rovinose conseguenze, su scala mondiale, della “dittatura” neoliberista, il cui obiettivo è chiaro: confiscarci ogni diritto e retrocedere tutti noi a livelli di sfruttamento da terzo mondo.
Lo afferma Gianfranco Carpeoro, giornalista e scrittore, acuto osservatore dei retroscena internazionali anche in virtù della sua lunga militanza nella massoneria indipendente.
Già avvocato, eminente studioso della cultura simbolica esoterica, Carpeoro è oggi schierato con Gioele Magaldi nella denuncia degli abusi sempre più devastanti che costellano la deriva autoritaria della leadership globale.
Qualcuno, lassù, ha cominciato a sfilarsi.
E il massimo potere si è spaventato a morte, al punto da pianificare stragi, affidate alla manovalanza dell’Isis.
Questa la sintesi della posizione di Carpeoro, espressa durante un lungo intervento alla trasmissione web-radio “Border Nights” del 29 marzo, condotta da Fabio Frabetti con la partecipazione di Paolo Franceschetti, indagatore di molti misteri irrisolti della cronaca italiana.
Sul tappeto, l’analisi della situazione internazionale all’indomani dell’ultima ondata di attentati terroristici, da Bruxelles al Pakistan.
«E’ evidente che il problema non è l’Isis, ma chi lo manovra», premette Carpeoro, che peraltro denuncia come “deliranti” le tante fantasie complottiste che inondano il web: «Assurdo perdere tempo a domandarsi se è autentico o meno il video di un attentato trasmesso in televisione: i morti sono reali, e nessuno si sforza di capire cosa c’è dietro all’organizzazione stragistica».
Certo la colpa non è dell’Islam: «Per secoli, i musulmani hanno protetto ogni minoranza perseguitata, compresi gli ebrei».
Siamo noi, colonialisti occidentali, che nell’ultimo scorcio storico abbiamo represso e depresso i popoli arabi, “coltivando” deliberatamente la disperazione di massa che oggi può produrre anche il fenomeno dei kamikaze.
Ma bisogna sapere che si tratta di dinamiche accuratamente pilotate: non dal Califfo, ma da chi detiene il potere reale, economico e finanziario, in Occidente.
Nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi denuncia apertamente – per la prima volta – il ruolo criminoso di alcune superlogge segrete del vertice occulto internazionale, come ha “Hathor Pentalpha” creata dai Bush, cui avrebbero aderito anche personaggi come Blair, Sarkozy e lo stesso Erdogan.
Una macchina perfetta per attuare la strategia della tensione a livello geopolitico, dall’11 Settembre fino alla creazione dell’Isis per destabilizzare il Medio Oriente e imporre ovunque la logica della guerra.
Dal canto suo, Carpeoro cita spesso un grande intellettuale come Francesco Saba Sardi, che nel saggio “Dominio” condanna la natura oppressiva del potere sorto all’epoca della prima civilizzazione: con la scoperta dell’agricoltura nasce la guerra per il possesso della terra, quindi lo sfruttamento del lavoro e l’istituzione religiosa per la manipolazione psicologica di soldati e lavoratori.
Carpeoro segnala il progressivo e fatale deterioramento delle condizioni sociali, imposto da un potere che ricorre ad un pensiero di tipo “magico”: fa’ quello che ti dico e avrai un premio, l’importante è non ti chieda mai il vero perché delle cose.
«Per sua natura, il potere tende sempre a degradarsi col passare del tempo: un vecchio boss mafioso non avrebbe mai seppellito scorie tossiche nel prato dove giocano i suoi figli».
Un ragionamento che prende in prestito da Noam Chomsky una celebre riflessione sulla comunicazione mainstream, ispirata dal potere: il pubblico viene “astratto” dalla percezione del reale e rinchiuso in un “cerchio magico”, in cui vigono le regole del “mago”, il persuasore di massa, il cui obiettivo è sempre la manipolazione, quindi la neutralizzazione della coscienza critica di chi ascolta.
«A questo scopo, viene regolarmente fabbricato un nemico da detestare».
Quando questo nemico tramonta – esempio, Al-Qaeda – c’è già pronto il nuovo nemico, l’Isis.
«L’importante è che noi odiamo il nemico di turno, senza collegare le cose e senza mai domandarci chi vi sta dietro, a chi serve tutto il male che viene creato a suon di bombe».
E’ la legge della paura, per paralizzare la società: strategia della tensione, appunto.
«L’intensità del terrorismo sta crescendo – sottolinea Carpeoro – perché, evidentemente, chi lo organizza pensa di non avere più altre chances per dominarci».
A preoccupare i registi occulti del terrore, sempre secondo Carpeoro, sono le importanti defezioni che ormai si registrano in tutto l’Occidente, dall’Europa agli Usa, anche nel mondo massonico e finanziario, ma non solo: «Alle primarie americane un “socialista” dichiarato come Bernie Sanders si è imposto nello Stato di Washington: un segnale inequivocabile».
Qualcosa si è incrinato, nell’élite di potere, e i vecchi “dominus” non si sentono più così al sicuro: temono di perdere l’attuale onnipotenza, che consente loro – attraverso la finanza – di fare e disfare popoli, guerre, crisi, esodi (e affari colossali, nell’impunità più assoluta).
Ed ecco allora il crescere dell’instabilità, il ricorso sistematico al terrore.
I grandi assenti? Manco a dirlo, siamo noi: serve una contro-politica, per imporre un nuovo sistema di valori, capace di farci uscire dal delirio crisi-guerra.
Se scoppiano più bombe, dice Carpeoro, è perché chi comanda ha paura che si possa arrivare a un rovesciamento dell’attuale governance.
Problema: «Ci vorrà molto tempo, e intanto la situazione peggiorerà ancora. Non possiamo restare a guardare, bisognerà pur fare qualcosa».
E cioè: spingere la società a risvegliarsi, per rompere l’assedio dell’orrore, ormai sistematico e quotidiano.
Qui Carpeoro è un pò più concreto
Carpeoro: l’élite ricorre alle bombe perché adesso ha paura
Scritto il 03/4/16 • nella Categoria: idee
Siamo in pericolo, e lo saremo sempre di più.
Motivo: l’élite planetaria, quella che oggi ricorre anche al terrorismo stragista, sta cominciando ad avere paura.
Teme, per la prima volta, di perdere il potere assoluto che ha esercitato, negli ultimi decenni, in modo incontrastato.
A inquietare le super-oligarchie mondiali non è solo il progressivo risveglio democratico di una parte dell’opinione pubblica, sempre più scettica di fronte alla narrazione ufficiale degli eventi.
Pesa, soprattutto, la clamorosa diserzione di una parte consistente di quello stesso vertice di potere, spaventato dalle rovinose conseguenze, su scala mondiale, della “dittatura” neoliberista, il cui obiettivo è chiaro: confiscarci ogni diritto e retrocedere tutti noi a livelli di sfruttamento da terzo mondo.
Lo afferma Gianfranco Carpeoro, giornalista e scrittore, acuto osservatore dei retroscena internazionali anche in virtù della sua lunga militanza nella massoneria indipendente.
Già avvocato, eminente studioso della cultura simbolica esoterica, Carpeoro è oggi schierato con Gioele Magaldi nella denuncia degli abusi sempre più devastanti che costellano la deriva autoritaria della leadership globale.
Qualcuno, lassù, ha cominciato a sfilarsi.
E il massimo potere si è spaventato a morte, al punto da pianificare stragi, affidate alla manovalanza dell’Isis.
Questa la sintesi della posizione di Carpeoro, espressa durante un lungo intervento alla trasmissione web-radio “Border Nights” del 29 marzo, condotta da Fabio Frabetti con la partecipazione di Paolo Franceschetti, indagatore di molti misteri irrisolti della cronaca italiana.
Sul tappeto, l’analisi della situazione internazionale all’indomani dell’ultima ondata di attentati terroristici, da Bruxelles al Pakistan.
«E’ evidente che il problema non è l’Isis, ma chi lo manovra», premette Carpeoro, che peraltro denuncia come “deliranti” le tante fantasie complottiste che inondano il web: «Assurdo perdere tempo a domandarsi se è autentico o meno il video di un attentato trasmesso in televisione: i morti sono reali, e nessuno si sforza di capire cosa c’è dietro all’organizzazione stragistica».
Certo la colpa non è dell’Islam: «Per secoli, i musulmani hanno protetto ogni minoranza perseguitata, compresi gli ebrei».
Siamo noi, colonialisti occidentali, che nell’ultimo scorcio storico abbiamo represso e depresso i popoli arabi, “coltivando” deliberatamente la disperazione di massa che oggi può produrre anche il fenomeno dei kamikaze.
Ma bisogna sapere che si tratta di dinamiche accuratamente pilotate: non dal Califfo, ma da chi detiene il potere reale, economico e finanziario, in Occidente.
Nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi denuncia apertamente – per la prima volta – il ruolo criminoso di alcune superlogge segrete del vertice occulto internazionale, come ha “Hathor Pentalpha” creata dai Bush, cui avrebbero aderito anche personaggi come Blair, Sarkozy e lo stesso Erdogan.
Una macchina perfetta per attuare la strategia della tensione a livello geopolitico, dall’11 Settembre fino alla creazione dell’Isis per destabilizzare il Medio Oriente e imporre ovunque la logica della guerra.
Dal canto suo, Carpeoro cita spesso un grande intellettuale come Francesco Saba Sardi, che nel saggio “Dominio” condanna la natura oppressiva del potere sorto all’epoca della prima civilizzazione: con la scoperta dell’agricoltura nasce la guerra per il possesso della terra, quindi lo sfruttamento del lavoro e l’istituzione religiosa per la manipolazione psicologica di soldati e lavoratori.
Carpeoro segnala il progressivo e fatale deterioramento delle condizioni sociali, imposto da un potere che ricorre ad un pensiero di tipo “magico”: fa’ quello che ti dico e avrai un premio, l’importante è non ti chieda mai il vero perché delle cose.
«Per sua natura, il potere tende sempre a degradarsi col passare del tempo: un vecchio boss mafioso non avrebbe mai seppellito scorie tossiche nel prato dove giocano i suoi figli».
Un ragionamento che prende in prestito da Noam Chomsky una celebre riflessione sulla comunicazione mainstream, ispirata dal potere: il pubblico viene “astratto” dalla percezione del reale e rinchiuso in un “cerchio magico”, in cui vigono le regole del “mago”, il persuasore di massa, il cui obiettivo è sempre la manipolazione, quindi la neutralizzazione della coscienza critica di chi ascolta.
«A questo scopo, viene regolarmente fabbricato un nemico da detestare».
Quando questo nemico tramonta – esempio, Al-Qaeda – c’è già pronto il nuovo nemico, l’Isis.
«L’importante è che noi odiamo il nemico di turno, senza collegare le cose e senza mai domandarci chi vi sta dietro, a chi serve tutto il male che viene creato a suon di bombe».
E’ la legge della paura, per paralizzare la società: strategia della tensione, appunto.
«L’intensità del terrorismo sta crescendo – sottolinea Carpeoro – perché, evidentemente, chi lo organizza pensa di non avere più altre chances per dominarci».
A preoccupare i registi occulti del terrore, sempre secondo Carpeoro, sono le importanti defezioni che ormai si registrano in tutto l’Occidente, dall’Europa agli Usa, anche nel mondo massonico e finanziario, ma non solo: «Alle primarie americane un “socialista” dichiarato come Bernie Sanders si è imposto nello Stato di Washington: un segnale inequivocabile».
Qualcosa si è incrinato, nell’élite di potere, e i vecchi “dominus” non si sentono più così al sicuro: temono di perdere l’attuale onnipotenza, che consente loro – attraverso la finanza – di fare e disfare popoli, guerre, crisi, esodi (e affari colossali, nell’impunità più assoluta).
Ed ecco allora il crescere dell’instabilità, il ricorso sistematico al terrore.
I grandi assenti? Manco a dirlo, siamo noi: serve una contro-politica, per imporre un nuovo sistema di valori, capace di farci uscire dal delirio crisi-guerra.
Se scoppiano più bombe, dice Carpeoro, è perché chi comanda ha paura che si possa arrivare a un rovesciamento dell’attuale governance.
Problema: «Ci vorrà molto tempo, e intanto la situazione peggiorerà ancora. Non possiamo restare a guardare, bisognerà pur fare qualcosa».
E cioè: spingere la società a risvegliarsi, per rompere l’assedio dell’orrore, ormai sistematico e quotidiano.
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
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IL RITRATTO
Marco Pannella, ultimo profeta dell'antipolitica
La morte, la vita, la fame, la sete, i liquidi, la pipì. Il corpo come arma di lotta. Odiato, negli anni Settanta, dalla destra, dai moderati, dai democristiani, dalla sinistra comunista. Torrenziale, logorroico, irrefrenabile. Tra digiuno e televisione, scandalo e politica-spettacolo, coraggio e narcisismo. Storia di un uomo che con le sue battaglie ha cambiato l'Italia più di tanti partiti
DI MARCO DAMILANO
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
19 maggio 2016
IL RITRATTO
Marco Pannella, ultimo profeta dell'antipolitica
La morte, la vita, la fame, la sete, i liquidi, la pipì. Il corpo come arma di lotta. Odiato, negli anni Settanta, dalla destra, dai moderati, dai democristiani, dalla sinistra comunista. Torrenziale, logorroico, irrefrenabile. Tra digiuno e televisione, scandalo e politica-spettacolo, coraggio e narcisismo. Storia di un uomo che con le sue battaglie ha cambiato l'Italia più di tanti partiti
DI MARCO DAMILANO
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
19 maggio 2016
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
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Morte di Toffolo, aperta l'inchiesta. "Legami tra una caduta e l'infarto?"
I famigliari vogliono capire se l'ospedale l'abbia curato adeguatamente
Luca Romano - Ven, 20/05/2016 - 13:01
commenta
È stata aperta un'inchiesta a Venezia sulla morte di Lino Toffolo. La moglie e la figlia dell'attore si sono rivolte alla procura per verificare se ci possa essere un legame di qualche tipo tra una caduta a causa di una buca segnalata, per cui era finito in pronto soccorso, e il suo decesso.
Secondo giornali locali, gli inquirenti stanno verificando se un nesso esista e l'avvocato della famiglia sta esaminando le cure prestate dall'ospedale civile di Venezi all'attore. L'81enne Toffolo era stato dimesso dopo un intervento al polso, rotto nella caduta.
Antonio Forza, legale dei parenti, chiede che si verifichi quanto accaduto e la qualità delle cure.
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Morte di Toffolo, aperta l'inchiesta. "Legami tra una caduta e l'infarto?"
I famigliari vogliono capire se l'ospedale l'abbia curato adeguatamente
Luca Romano - Ven, 20/05/2016 - 13:01
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È stata aperta un'inchiesta a Venezia sulla morte di Lino Toffolo. La moglie e la figlia dell'attore si sono rivolte alla procura per verificare se ci possa essere un legame di qualche tipo tra una caduta a causa di una buca segnalata, per cui era finito in pronto soccorso, e il suo decesso.
Secondo giornali locali, gli inquirenti stanno verificando se un nesso esista e l'avvocato della famiglia sta esaminando le cure prestate dall'ospedale civile di Venezi all'attore. L'81enne Toffolo era stato dimesso dopo un intervento al polso, rotto nella caduta.
Antonio Forza, legale dei parenti, chiede che si verifichi quanto accaduto e la qualità delle cure.
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
l’élite planetaria, quella che oggi ricorre anche al terrorismo stragista, sta cominciando ad avere paura.
Io resto colpito molto di più dal fatto che in Cina una città di circa un milione di abitanti distrutta da terremoto viene ricostruita in due anni ed è molto meglio di prima , collegata con l'alta velocità ( Km 300/ora) dotata di tutte le ultime trovate tecnologiche e con un futuro da invidiare.
Ma questi cinesi, anche da NOI li vediamo lavorare 20ore/24, stanno conquistando il mondo senza colpo ferire.
Io resto colpito molto di più dal fatto che in Cina una città di circa un milione di abitanti distrutta da terremoto viene ricostruita in due anni ed è molto meglio di prima , collegata con l'alta velocità ( Km 300/ora) dotata di tutte le ultime trovate tecnologiche e con un futuro da invidiare.
Ma questi cinesi, anche da NOI li vediamo lavorare 20ore/24, stanno conquistando il mondo senza colpo ferire.
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
I BENPENSANTI TEDESCHI CHE VIVEVANO DAVANTI AI CAMPI DI STERMINIO NAZISTI ERANO INDIFFERENTI AI FUMI CHE USCIVANO DAI CAMINI DEI CAMPI.
NOI SIAMO INDIFFERENTI A QUESTO.
Giornata dei bambini scomparsi: ‘Ne sparisce uno ogni 2 minuti. In Ue 10mila minori migranti svaniti nel nulla nel 2015′
Diritti
A rivelarlo sono gli ultimi dati di Missing Children Europe, il network di 29 organizzazioni non governative attive in 24 Paesi europei, che gestiscono altrettante linee telefoniche. L'anno scorso in Italia Telefono Azzurro si è occupato di 163 casi di segnalazioni su minorenni, fuggiti di casa o da un istituto, rapiti o sottratti da un genitore
di Luisiana Gaita | 25 maggio 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... 5/2763297/
DOMANDA
QUAL'E' LA DIFFERENZA??????????????????????????????
NOI SIAMO INDIFFERENTI A QUESTO.
Giornata dei bambini scomparsi: ‘Ne sparisce uno ogni 2 minuti. In Ue 10mila minori migranti svaniti nel nulla nel 2015′
Diritti
A rivelarlo sono gli ultimi dati di Missing Children Europe, il network di 29 organizzazioni non governative attive in 24 Paesi europei, che gestiscono altrettante linee telefoniche. L'anno scorso in Italia Telefono Azzurro si è occupato di 163 casi di segnalazioni su minorenni, fuggiti di casa o da un istituto, rapiti o sottratti da un genitore
di Luisiana Gaita | 25 maggio 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... 5/2763297/
DOMANDA
QUAL'E' LA DIFFERENZA??????????????????????????????
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
FORSE 10.000 O 20.000 ANNI FA NON SI SONO COMPORTATI COSI.
MIGLIAIA DI ANNI BUTTATI IN FUMO. IL PROGRESSO TECNOLOGICO NON COMPENSERA' MAI LA MANCATA EVOLUZIONE DALLA CONDIZIONE ANIMALE.
INACCETTABILE PER LA DISPARITA' DELLE FORZE IN CAMPO.
Brasile, 33 uomini violentano minorenne e pubblicano il video sul web. “Coinvolto un calciatore del Boavista”
Mondo
Secondo le prime ricostruzioni, la giovane, dopo avere partecipato a una festa in una favela di Rio de Janeiro, è stata drogata e stuprata da un gruppo di persone che hanno filmato gli abusi per poi pubblicarli su internet. Quattro sospetti sono intanto stati identificati: tra loro, spiega la stampa locale, c'è il giocatore Luquinhas
di F. Q. | 27 maggio 2016
COMMENTI (0)
Violentata a turno da una trentina di uomini, filmata e poi umiliata anche sul web: stanno sollevando un’ondata di indignazione in Brasile gli abusi subiti da una 16enne, vittima di uno stupro collettivo alla periferia di Rio de Janeiro, metropoli che tra meno di tre mesi ospiterà le Olimpiadi. La polizia locale sta dando la caccia al branco, composto da almeno 33 persone che hanno pubblicato il video delle aggressioni sui social network. Quattro sospetti sono intanto stati identificati: per tutti è stato già emesso un mandato di cattura. Tra di loro, secondo il sito GloboEsporte, ci sarebbe anche Lucas Perdomo Duarte Santos detto Luquinhas, un calciatore del Boavista, squadra di serie A del campionato statale di Rio de Janeiro. L’atleta, di 20 anni, è considerato latitante dalla notte scorsa.
Secondo una prima ricostruzione dei fatti da parte della stampa, la ragazza è stata fidanzata con un sospetto trafficante della favela Barao a Jacarepaguà, nella zona ovest della città. All’origine delle violenze – sostiene la nonna materna della sedicenne – c’è dunque una vendetta proprio dell’ex.
Alle forze dell’ordine, la ragazza ha raccontato di essere andata nella baraccopoli sabato scorso per partecipare a una festa. Dopo essersi recata in casa di Luquinhas, con cui – sostengono i media – manteneva una relazione da circa tre anni, la ragazza ha detto agli agenti di non aver ricordato più niente fino all’indomani, quando si è risvegliata, nuda e drogata, in un’altra casa, circondata da narcos armati che la osservavano ridendo e sbeffeggiandola.
Il suo caso ha provocato reazioni di shock e rabbia su internet, dove vari gruppi stanno organizzando manifestazioni di protesta “contro la cultura dello stupro”. La maggioranza dei commenti sono stati di appoggio alla vittima, che ha anche risposto ad alcuni e ringraziato. “A far male non è l’utero, ma l’anima, per il fatto di esistere persone crudeli che restano impunite”, ha scritto in uno dei post.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... a/2773602/
MIGLIAIA DI ANNI BUTTATI IN FUMO. IL PROGRESSO TECNOLOGICO NON COMPENSERA' MAI LA MANCATA EVOLUZIONE DALLA CONDIZIONE ANIMALE.
INACCETTABILE PER LA DISPARITA' DELLE FORZE IN CAMPO.
Brasile, 33 uomini violentano minorenne e pubblicano il video sul web. “Coinvolto un calciatore del Boavista”
Mondo
Secondo le prime ricostruzioni, la giovane, dopo avere partecipato a una festa in una favela di Rio de Janeiro, è stata drogata e stuprata da un gruppo di persone che hanno filmato gli abusi per poi pubblicarli su internet. Quattro sospetti sono intanto stati identificati: tra loro, spiega la stampa locale, c'è il giocatore Luquinhas
di F. Q. | 27 maggio 2016
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Violentata a turno da una trentina di uomini, filmata e poi umiliata anche sul web: stanno sollevando un’ondata di indignazione in Brasile gli abusi subiti da una 16enne, vittima di uno stupro collettivo alla periferia di Rio de Janeiro, metropoli che tra meno di tre mesi ospiterà le Olimpiadi. La polizia locale sta dando la caccia al branco, composto da almeno 33 persone che hanno pubblicato il video delle aggressioni sui social network. Quattro sospetti sono intanto stati identificati: per tutti è stato già emesso un mandato di cattura. Tra di loro, secondo il sito GloboEsporte, ci sarebbe anche Lucas Perdomo Duarte Santos detto Luquinhas, un calciatore del Boavista, squadra di serie A del campionato statale di Rio de Janeiro. L’atleta, di 20 anni, è considerato latitante dalla notte scorsa.
Secondo una prima ricostruzione dei fatti da parte della stampa, la ragazza è stata fidanzata con un sospetto trafficante della favela Barao a Jacarepaguà, nella zona ovest della città. All’origine delle violenze – sostiene la nonna materna della sedicenne – c’è dunque una vendetta proprio dell’ex.
Alle forze dell’ordine, la ragazza ha raccontato di essere andata nella baraccopoli sabato scorso per partecipare a una festa. Dopo essersi recata in casa di Luquinhas, con cui – sostengono i media – manteneva una relazione da circa tre anni, la ragazza ha detto agli agenti di non aver ricordato più niente fino all’indomani, quando si è risvegliata, nuda e drogata, in un’altra casa, circondata da narcos armati che la osservavano ridendo e sbeffeggiandola.
Il suo caso ha provocato reazioni di shock e rabbia su internet, dove vari gruppi stanno organizzando manifestazioni di protesta “contro la cultura dello stupro”. La maggioranza dei commenti sono stati di appoggio alla vittima, che ha anche risposto ad alcuni e ringraziato. “A far male non è l’utero, ma l’anima, per il fatto di esistere persone crudeli che restano impunite”, ha scritto in uno dei post.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... a/2773602/
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