Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società
Sociologia - 3
I ragazzini con la pistola per le strade di Napoli quelle scene da Gomorra che superano la fiction
(Roberto Saviano).
25/03/2015 di triskel182
Il racconto
Nei quartieri a est della città le giovani ronde dei clan terrorizzano gli abitanti
Decine di colpi esplosi all’impazzata mentre donne e bambini cercano di mettersi al riparo Ecco l’ultima follia svelata da un video-shock.
ACCADE spesso che realtà rincorra, superandola, la creazione cinematografica. Vedendo il video diffuso dai carabinieri della compagnia di Torre del Greco si resta talmente increduli da credere di stare guardando un mafia-movie. I commenti che in pochi minuti sono giunti sui social network ovunque tracciavano un’interpretazione: «Sembra Gomorra ».
L’espressione “sembra un film” descrive qualcosa di straordinario e spettacolare. Talmente spettacolare da ricordare l’esagerazione filmica, da non poter essere considerata un evento reale.
Questa espressione nasce da un equivoco, la differenza tra film e realtà è solo questione di diottrie. La vicinanza al dettaglio spesso è possibile solo in una costruzione scenica e per questo motivo quando un evento, che sia un terremoto o un omicidio, viene ripreso nei suoi dettagli immediatamente fa pensare a un film.
Perché la realtà la immaginiamo antagonista della tv o del cinema, la pensiamo distante o non catturabile. La realtà che percepiamo è fluida e, accade sempre, distante. La immaginiamo possibile da registrare solo nella memoria.
La ricostruzione invece la sentiamo lenta, vicinissima e rassicurante. La realtà ci spaventa, la ricostruzione ci incuriosisce. Questi sono i vecchi codici ma sempre più non è così. Le telecamere nascoste e la capacità degli obiettivi rendono possibile raccontare la realtà nel dettaglio talmente preciso che spinge spesso a far credere alla messa in scena dinanzi a un fatto reale osservato.
La precisione con cui la realtà viene narrata ribalta i canoni che abbiamo descritto prima e crea immediatamente un effetto cospirazione in molti osservatori. Pensiamo: la cronaca non può esser descritta e ripresa così bene. Immaginiamo che la realtà sia diversa e crediamo quindi che sia stata costruita o ricostruita.
La tendenza a considerare tutte le immagini dei “falsi” costruiti nasce dalla diversa percezione che abbiamo della realtà che immaginiamo confusa, non scenica. Anche questo è falso. La realtà spesso è assai più scenica della sua ricostruzione fantasiosa ma non solo, sta cambiando la dialettica tra schermo e realtà . La presenza disseminata di telecamere, cimici; la diffusione di dispositivi in grado di riprendere tutto con precisione riscrive l’immaginario a cui si appella il cinema. Si vive e si recita alla stessa maniera, ci si influenza vicendevolmente e spesso inconsapevolmente. Non c’è bisogno di possedere talento registico o cinematografico, gli smartphone hanno la capacità di catturare foto di qualità o video raramente sfocati, quindi anche sul piano della qualità realtà e finzione iniziano a essere immagini identiche.
Quindi bisognerebbe ribaltare il commento, quando si guarda la tv o un film al cinema bisognerebbe dire “sembra la realtà”. Il rapporto tra film e realtà è lo stesso che passa tra una tela e una fotografia, certo dipende dallo stile del pittore e del fotografo ma nell’obiettivo della ricostruzione sceni- ca non c’è un calco della realtà ma la realizzazione di una profondità. Guardando questo video si ha la sensazione di una sorta di prova scientifica di quanto si era raccontato nella serie Gomorra. Il video dei carabinieri mostra una tipica scena di inseguimento sugli scooter, uno dei camorristi al posto del passeggero spara in aria, poi spunta sulla destra una sentinella che spara correndo, persone che stanno scappando e un bambino alla sua sinistra.
Lungo la traiettoria dello sparo c’è una persona che fugge terrorizzata. Scappano tutti, uomini e animali, si vede un cane, forse un gatto, fuggire. “Sembra Gomorra”, titolano i primi siti mentre scrivo. In realtà ci si è accorti di tutto questo attraverso il racconto, ma scene come queste ci sono sempre state, ma non avevano cittadinanza nell’attenzione nazionale.
Il video mostra come dopo la sparatoria la vita torni normale, come se si mettesse in conto che per le strade di Ponticelli ci si può imbattere uno scontro tra bande e che, nel caso, bisogna semplicemente accelerare il passo. Non vedete una somiglianza con l’abitudine di chi vive sotto il tiro dei cecchini? Alcune scene di “Gomorra, la serie” del resto, sono girate a Ponticelli.
Questa è la guerra dimenticata del paese che qualche volta viene ripresa dalle telecamere nascoste e costringe quindi per un attimo a non voltarsi. Una guerra che abbiamo deciso di narrare oltre l’emergenza e con lo strumento dell’arte. D’istinto mi verrebbe da dire: ma non ero io ad aver inventato queste cose? Non eravamo stati noi con la serie ad aver esagerato, sporcato la città? È la realtà che ora in molti tenderanno a liquidare dicendo che succede ovunque, che ci sono più reati in Belgio che in Italia, che in fondo lo stesso sta accadendo anche a Buenos Aires o Parigi ma che si insiste su Napoli per mangiarci sopra.
È quell’omertà alleata dell’impotenza (o forse della codardia) che genera questi commenti. Qui non c’è da sottovalutare questi episodi, qui c’è solo da ribadire che il Sud vive un abbandono, assenza di progetto, assenza di risorse, assenza di visione, assenza di attenzione. Il lamento del Mezzogiorno verrà descritto come se fosse soltanto un languido lamento e un’infantile richiesta d’attenzione e assistenza. Qui si consuma un dramma che abbiamo iniziato a sopportare come il più ordinario dei modi di vivere.
Naturalmente queste cose accadono, ma quel meccanismo che fa immaginare una realtà spaventosa e la trasforma in una ricostruzione curiosa crea una pericolosa distanza. Queste immagini rischiano di essere percepite come messa in scena di una guerra lontana che non interessa, tutto diventa sopportabile e al massimo attira la curiosità di un video visto come decine di altri sullo smartphone postato da qualche amico.
La realtà non è peggiorata dal suo racconto ma, al contrario, la sua rappresentazione ne restituisce i codici e prova a darle un senso. Il punto è un altro: se si rimane solo spettatori hanno fallito sia l’arte del cinema e della fiction sia il video diffuso dai carabinieri di Napoli.
Da La Repubblica del 25/03/2015.
I ragazzini con la pistola per le strade di Napoli quelle scene da Gomorra che superano la fiction
(Roberto Saviano).
25/03/2015 di triskel182
Il racconto
Nei quartieri a est della città le giovani ronde dei clan terrorizzano gli abitanti
Decine di colpi esplosi all’impazzata mentre donne e bambini cercano di mettersi al riparo Ecco l’ultima follia svelata da un video-shock.
ACCADE spesso che realtà rincorra, superandola, la creazione cinematografica. Vedendo il video diffuso dai carabinieri della compagnia di Torre del Greco si resta talmente increduli da credere di stare guardando un mafia-movie. I commenti che in pochi minuti sono giunti sui social network ovunque tracciavano un’interpretazione: «Sembra Gomorra ».
L’espressione “sembra un film” descrive qualcosa di straordinario e spettacolare. Talmente spettacolare da ricordare l’esagerazione filmica, da non poter essere considerata un evento reale.
Questa espressione nasce da un equivoco, la differenza tra film e realtà è solo questione di diottrie. La vicinanza al dettaglio spesso è possibile solo in una costruzione scenica e per questo motivo quando un evento, che sia un terremoto o un omicidio, viene ripreso nei suoi dettagli immediatamente fa pensare a un film.
Perché la realtà la immaginiamo antagonista della tv o del cinema, la pensiamo distante o non catturabile. La realtà che percepiamo è fluida e, accade sempre, distante. La immaginiamo possibile da registrare solo nella memoria.
La ricostruzione invece la sentiamo lenta, vicinissima e rassicurante. La realtà ci spaventa, la ricostruzione ci incuriosisce. Questi sono i vecchi codici ma sempre più non è così. Le telecamere nascoste e la capacità degli obiettivi rendono possibile raccontare la realtà nel dettaglio talmente preciso che spinge spesso a far credere alla messa in scena dinanzi a un fatto reale osservato.
La precisione con cui la realtà viene narrata ribalta i canoni che abbiamo descritto prima e crea immediatamente un effetto cospirazione in molti osservatori. Pensiamo: la cronaca non può esser descritta e ripresa così bene. Immaginiamo che la realtà sia diversa e crediamo quindi che sia stata costruita o ricostruita.
La tendenza a considerare tutte le immagini dei “falsi” costruiti nasce dalla diversa percezione che abbiamo della realtà che immaginiamo confusa, non scenica. Anche questo è falso. La realtà spesso è assai più scenica della sua ricostruzione fantasiosa ma non solo, sta cambiando la dialettica tra schermo e realtà . La presenza disseminata di telecamere, cimici; la diffusione di dispositivi in grado di riprendere tutto con precisione riscrive l’immaginario a cui si appella il cinema. Si vive e si recita alla stessa maniera, ci si influenza vicendevolmente e spesso inconsapevolmente. Non c’è bisogno di possedere talento registico o cinematografico, gli smartphone hanno la capacità di catturare foto di qualità o video raramente sfocati, quindi anche sul piano della qualità realtà e finzione iniziano a essere immagini identiche.
Quindi bisognerebbe ribaltare il commento, quando si guarda la tv o un film al cinema bisognerebbe dire “sembra la realtà”. Il rapporto tra film e realtà è lo stesso che passa tra una tela e una fotografia, certo dipende dallo stile del pittore e del fotografo ma nell’obiettivo della ricostruzione sceni- ca non c’è un calco della realtà ma la realizzazione di una profondità. Guardando questo video si ha la sensazione di una sorta di prova scientifica di quanto si era raccontato nella serie Gomorra. Il video dei carabinieri mostra una tipica scena di inseguimento sugli scooter, uno dei camorristi al posto del passeggero spara in aria, poi spunta sulla destra una sentinella che spara correndo, persone che stanno scappando e un bambino alla sua sinistra.
Lungo la traiettoria dello sparo c’è una persona che fugge terrorizzata. Scappano tutti, uomini e animali, si vede un cane, forse un gatto, fuggire. “Sembra Gomorra”, titolano i primi siti mentre scrivo. In realtà ci si è accorti di tutto questo attraverso il racconto, ma scene come queste ci sono sempre state, ma non avevano cittadinanza nell’attenzione nazionale.
Il video mostra come dopo la sparatoria la vita torni normale, come se si mettesse in conto che per le strade di Ponticelli ci si può imbattere uno scontro tra bande e che, nel caso, bisogna semplicemente accelerare il passo. Non vedete una somiglianza con l’abitudine di chi vive sotto il tiro dei cecchini? Alcune scene di “Gomorra, la serie” del resto, sono girate a Ponticelli.
Questa è la guerra dimenticata del paese che qualche volta viene ripresa dalle telecamere nascoste e costringe quindi per un attimo a non voltarsi. Una guerra che abbiamo deciso di narrare oltre l’emergenza e con lo strumento dell’arte. D’istinto mi verrebbe da dire: ma non ero io ad aver inventato queste cose? Non eravamo stati noi con la serie ad aver esagerato, sporcato la città? È la realtà che ora in molti tenderanno a liquidare dicendo che succede ovunque, che ci sono più reati in Belgio che in Italia, che in fondo lo stesso sta accadendo anche a Buenos Aires o Parigi ma che si insiste su Napoli per mangiarci sopra.
È quell’omertà alleata dell’impotenza (o forse della codardia) che genera questi commenti. Qui non c’è da sottovalutare questi episodi, qui c’è solo da ribadire che il Sud vive un abbandono, assenza di progetto, assenza di risorse, assenza di visione, assenza di attenzione. Il lamento del Mezzogiorno verrà descritto come se fosse soltanto un languido lamento e un’infantile richiesta d’attenzione e assistenza. Qui si consuma un dramma che abbiamo iniziato a sopportare come il più ordinario dei modi di vivere.
Naturalmente queste cose accadono, ma quel meccanismo che fa immaginare una realtà spaventosa e la trasforma in una ricostruzione curiosa crea una pericolosa distanza. Queste immagini rischiano di essere percepite come messa in scena di una guerra lontana che non interessa, tutto diventa sopportabile e al massimo attira la curiosità di un video visto come decine di altri sullo smartphone postato da qualche amico.
La realtà non è peggiorata dal suo racconto ma, al contrario, la sua rappresentazione ne restituisce i codici e prova a darle un senso. Il punto è un altro: se si rimane solo spettatori hanno fallito sia l’arte del cinema e della fiction sia il video diffuso dai carabinieri di Napoli.
Da La Repubblica del 25/03/2015.
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società
La Stampa TuttoScienze 9.9.15
Ansia e depressione: una questione non solo di testa, ma anche di pancia
di Paola Mariano
Ansia e depressione sono «disturbi di pancia»: una ricerca canadese rivela che i batteri dell’intestino hanno un ruolo cruciale nel processo di sviluppo dei disagi mentali e che l’assenza di queste colonie - identificate in gergo medico come il microbiota - rappresenta una sorta di potente vaccino contro queste malattie.
Pubblicata sulla rivista «Nature Communications» e condotta da Premysl Bercik della McMaster University, la ricerca mostra che i topi diventati «ansiosi» e «depressi», perché sottoposti già da cuccioli a condizioni di stress, presentano anche una serie di disfunzioni significative della flora intestinale. E tuttavia, se privati del loro microbiota, risultano «guariti», vale a dire immuni ai disturbi che li caratterizzavano in precedenza.
Per studiare l’influenza dei batteri intestinali sulla psiche, gli esperti si sono serviti di topi particolari: appena nati, sono stati separati per alcune ore dalla mamma: si è trattato di un forte shock, tale da indurli, nel corso del tempo, a sviluppare comportamenti anomali. Un secondo gruppo, privato invece della flora batterica, è stato anch’esso separato dalle madri e si è osservato che in questo caso non si ammalano di ansia e depressione. L’assenza del microbiota li rende, di fatto, immuni, nonostante il trauma. È però sufficiente trapiantare in loro la flora batterica dei topolini ansiosi per «trasmettere» loro il disagio psichico.
Adesso, stabilita questa sorprendente associazione tra mente e pancia, il passo successivo - ha spiegato Bercik - è capire se si verifica (e in che misura) anche negli esseri umani. Si tratta di uno scenario che apre inattese possibilità di diagnosi e di cura.
Ansia e depressione: una questione non solo di testa, ma anche di pancia
di Paola Mariano
Ansia e depressione sono «disturbi di pancia»: una ricerca canadese rivela che i batteri dell’intestino hanno un ruolo cruciale nel processo di sviluppo dei disagi mentali e che l’assenza di queste colonie - identificate in gergo medico come il microbiota - rappresenta una sorta di potente vaccino contro queste malattie.
Pubblicata sulla rivista «Nature Communications» e condotta da Premysl Bercik della McMaster University, la ricerca mostra che i topi diventati «ansiosi» e «depressi», perché sottoposti già da cuccioli a condizioni di stress, presentano anche una serie di disfunzioni significative della flora intestinale. E tuttavia, se privati del loro microbiota, risultano «guariti», vale a dire immuni ai disturbi che li caratterizzavano in precedenza.
Per studiare l’influenza dei batteri intestinali sulla psiche, gli esperti si sono serviti di topi particolari: appena nati, sono stati separati per alcune ore dalla mamma: si è trattato di un forte shock, tale da indurli, nel corso del tempo, a sviluppare comportamenti anomali. Un secondo gruppo, privato invece della flora batterica, è stato anch’esso separato dalle madri e si è osservato che in questo caso non si ammalano di ansia e depressione. L’assenza del microbiota li rende, di fatto, immuni, nonostante il trauma. È però sufficiente trapiantare in loro la flora batterica dei topolini ansiosi per «trasmettere» loro il disagio psichico.
Adesso, stabilita questa sorprendente associazione tra mente e pancia, il passo successivo - ha spiegato Bercik - è capire se si verifica (e in che misura) anche negli esseri umani. Si tratta di uno scenario che apre inattese possibilità di diagnosi e di cura.
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società
Costume & Società
Repubblica 4.1.16
Sesso
Con lei, lui o tutti e due così gli under 30 non hanno più tabù
Un sondaggio sul nuovo eros a geometrie variabili: quasi la metà dei giovani non si ritiene più soltanto “etero” ma neanche gay o bisex
Un’identità in evoluzione che è anche frutto della caduta di molti pregiudizi sull’omosessualità
di Enrico Franceschini
LONDRA LUI ama lei. Lei ama lei. Lui ama lui o lei: contemporaneamente, alternativamente, indifferentemente. Va’ dove ti porta il cuore — o un altro organo. La nuova regola dell’attrazione per i più giovani è che non ci sono più regole. In gergo si chiama “sexual fluidity”, fluidità sessuale: ovvero libertà di pendere da una parte, dall’altra, di tornare alla precedente o di mescolarle insieme con leggerezza, e così via a seconda delle circostanze, della disponibilità, della predilezione del momento. Un fenomeno fotografato da un recente sondaggio di YouGov: quasi metà degli inglesi fra i 18 e i 30 anni, un terzo degli americani e percentuali analoghe negli altri Paesi occidentali non si definiscono né completamente eterosessuali, né completamente gay. Ma neppure bisessuali, poiché anche quella è una scelta, un’identità. Il nuovo orientamento per gli under 30 è piuttosto il contrario: non avere un’identità, andare con la corrente, navigare a vista. Come viene, viene.
Non a caso sta avendo grande successo un’applicazione chiamata 3ender (il nome riecheggia volutamente Tinder, l’app popolarissima fra ventenni-trentenni che consente di individuare chi è interessato a una relazione, di solo sesso o d’amore si vedrà, nelle immediate vicinanze: il bancone di un bar, una discoteca, un quartiere) con cui trovare coetanei di qualunque sesso desiderosi di un rapporto a tre: due lui e una lei, due lei e un lui o variazioni sul tema. Lanciata quest’estate in Inghilterra, è passata in tre mesi da 70mila a 700mila iscritti. I sessuologi parlano di “pan-erotismo”. Con il suo linguaggio più crudo ed esplicito, la cantante Miley Cyrus, simbolo della generazione dei “Millennials” e specializzata nell’arte di scandalizzare, riassume così il concetto: «Mi va di fare a letto qualunque cosa con chiunque di qualunque sesso e di qualunque orientamento, basta che siano atti consenzienti, esclusi animali e minorenni».
Sulla cosiddetta “scala Kinsey”, dal nome dello studioso americano autore negli anni ‘60 del primo grande rapporto sulla sessualità, zero rappresenta chi è esclusivamente eterosessuale, 3 chi è egualmente eterosessuale e omosessuale, 6 chi è esclusivamente omosessuale. Ebbene, nel sondaggio di YouGov, pubblicato dal Guardian, il 49% degli inglesi fra i 16 e i 24 anni non ha scelto né zero né 6, posizionandosi a metà circa della scala Kinsey. E non si tratta solo delle nuove generazioni: persone di tutte le età oggi accettano l’idea che «l’orientamento sessuale esiste lungo una linea flessibile piuttosto che fissato su una scelta netta», concorda il 60% degli eterosessuali e il 73% degli omosessuali. Ciò non significa, naturalmente, che la maggior parte della popolazione, in Europa o negli Stati Uniti (dove simili indagini danno più o meno gli stessi risultati), sia attivamente bisessuale o meglio ancora cambi orientamento a seconda di come tira il vento. In effetti, l’89% dei britannici continua a definirsi etero. Ma lo studio di YouGov rivela una crescente apertura mentale sull’argomento: il 35% di quanti si identificano con 1 sulla scala Kinsey, dunque appena un gradino al di sopra di un’identità «esclusivamente eterosessuale», afferma di poter immaginare di avere un rapporto omosessuale, se la persona giusta si facesse avanti al momento giusto. Del resto, nel 2008 solo il 48% degli americani considerava le relazioni gay «moralmente accettabili»; ora la percentuale è salita al 63% tra la popolazione in generale e al 79 nella fascia di età fra i 18 e i 34 anni.
In parte questa nuova fluidità è certamente il risultato di una maggiore accettazione dell’omosessualità, rafforzata dalla legge che consente il matrimonio gay in Gran Bretagna, Irlanda e molti Paesi d’Occidente. Se gli omosessuali possono sposarsi e avere figli come gli eterosessuali, non appaiono più “diversi”. Una propensione che in passato veniva trattata come conseguenza della genetica, dell’ambiente, se non addirittura di traumi infantili, e considerata da alcuni perfino una malattia, è rientrata nella norma a termini di legge: e dunque l’amore gay può diventare interscambiabile con quello che si era sempre vantato di rappresentare la presunta normalità, l’amore etero. Lui va con lui o con lei con la stessa disinvoltura con cui andrebbe con una bionda o una bruna; e viceversa. Un modo di essere, di vivere e di amare che sta prendendo piede tra i giovanissimi; ma presto saranno gli adulti di domani, ed è presumibile che porteranno con sé il medesimo orientamento. Non è strettamente necessario consumare un rapporto per sentire il richiamo di questa fluidità: sul web spopola il blog “19 cose leggermente lesbiche che puoi fare con la tua migliore amica” (in inglese l’acronimo “Bff”, Best friends forever), e su 19 non ce n’è una strettamente sessuale. È un modo di stare insieme felicemente tra femmine a base di confidenze, carezzine, selfie e risatine alle spalle dei maschi. Basta un’occhiata alle pagine Facebook delle adolescenti per capire che non c’è bisogno di dichiararsi gay o bisex per avere relazioni di questo genere.
In fondo è un ritorno alle radici, considerato che nell’era classica la distinzione non era così netta come è stata in seguito, sotto il peso della morale religiosa e dei suoi condizionamenti. «L’attrazione è attrazione e non le serve un’etichetta», taglia corto Charles Blow, columnist del New York Times. Dunque siamo o diventeremo sempre più “fluidi”, termine coniato nel 2009 dalla psicologa americana Lisa Diamond, l’autrice di “Sexual fluidity: understanding women’s love and desire”, il libro che ha aperto il dibattito sostenendo che le etichette tradizionali per il desiderio sono inadeguate e che la società contemporanea dovrebbe spingersi oltre. Non etero, non omo, non bisex, bensì “pansessuali”, come si dichiara con l’abituale spregiudicatezza Miley Cyrus. Liberi di sperimentare, di cambiare, di avere un’identità in perenne movimento. Di andare dovunque ci porta il cuore. O un altro organo.
Repubblica 4.1.16
Sesso
Con lei, lui o tutti e due così gli under 30 non hanno più tabù
Un sondaggio sul nuovo eros a geometrie variabili: quasi la metà dei giovani non si ritiene più soltanto “etero” ma neanche gay o bisex
Un’identità in evoluzione che è anche frutto della caduta di molti pregiudizi sull’omosessualità
di Enrico Franceschini
LONDRA LUI ama lei. Lei ama lei. Lui ama lui o lei: contemporaneamente, alternativamente, indifferentemente. Va’ dove ti porta il cuore — o un altro organo. La nuova regola dell’attrazione per i più giovani è che non ci sono più regole. In gergo si chiama “sexual fluidity”, fluidità sessuale: ovvero libertà di pendere da una parte, dall’altra, di tornare alla precedente o di mescolarle insieme con leggerezza, e così via a seconda delle circostanze, della disponibilità, della predilezione del momento. Un fenomeno fotografato da un recente sondaggio di YouGov: quasi metà degli inglesi fra i 18 e i 30 anni, un terzo degli americani e percentuali analoghe negli altri Paesi occidentali non si definiscono né completamente eterosessuali, né completamente gay. Ma neppure bisessuali, poiché anche quella è una scelta, un’identità. Il nuovo orientamento per gli under 30 è piuttosto il contrario: non avere un’identità, andare con la corrente, navigare a vista. Come viene, viene.
Non a caso sta avendo grande successo un’applicazione chiamata 3ender (il nome riecheggia volutamente Tinder, l’app popolarissima fra ventenni-trentenni che consente di individuare chi è interessato a una relazione, di solo sesso o d’amore si vedrà, nelle immediate vicinanze: il bancone di un bar, una discoteca, un quartiere) con cui trovare coetanei di qualunque sesso desiderosi di un rapporto a tre: due lui e una lei, due lei e un lui o variazioni sul tema. Lanciata quest’estate in Inghilterra, è passata in tre mesi da 70mila a 700mila iscritti. I sessuologi parlano di “pan-erotismo”. Con il suo linguaggio più crudo ed esplicito, la cantante Miley Cyrus, simbolo della generazione dei “Millennials” e specializzata nell’arte di scandalizzare, riassume così il concetto: «Mi va di fare a letto qualunque cosa con chiunque di qualunque sesso e di qualunque orientamento, basta che siano atti consenzienti, esclusi animali e minorenni».
Sulla cosiddetta “scala Kinsey”, dal nome dello studioso americano autore negli anni ‘60 del primo grande rapporto sulla sessualità, zero rappresenta chi è esclusivamente eterosessuale, 3 chi è egualmente eterosessuale e omosessuale, 6 chi è esclusivamente omosessuale. Ebbene, nel sondaggio di YouGov, pubblicato dal Guardian, il 49% degli inglesi fra i 16 e i 24 anni non ha scelto né zero né 6, posizionandosi a metà circa della scala Kinsey. E non si tratta solo delle nuove generazioni: persone di tutte le età oggi accettano l’idea che «l’orientamento sessuale esiste lungo una linea flessibile piuttosto che fissato su una scelta netta», concorda il 60% degli eterosessuali e il 73% degli omosessuali. Ciò non significa, naturalmente, che la maggior parte della popolazione, in Europa o negli Stati Uniti (dove simili indagini danno più o meno gli stessi risultati), sia attivamente bisessuale o meglio ancora cambi orientamento a seconda di come tira il vento. In effetti, l’89% dei britannici continua a definirsi etero. Ma lo studio di YouGov rivela una crescente apertura mentale sull’argomento: il 35% di quanti si identificano con 1 sulla scala Kinsey, dunque appena un gradino al di sopra di un’identità «esclusivamente eterosessuale», afferma di poter immaginare di avere un rapporto omosessuale, se la persona giusta si facesse avanti al momento giusto. Del resto, nel 2008 solo il 48% degli americani considerava le relazioni gay «moralmente accettabili»; ora la percentuale è salita al 63% tra la popolazione in generale e al 79 nella fascia di età fra i 18 e i 34 anni.
In parte questa nuova fluidità è certamente il risultato di una maggiore accettazione dell’omosessualità, rafforzata dalla legge che consente il matrimonio gay in Gran Bretagna, Irlanda e molti Paesi d’Occidente. Se gli omosessuali possono sposarsi e avere figli come gli eterosessuali, non appaiono più “diversi”. Una propensione che in passato veniva trattata come conseguenza della genetica, dell’ambiente, se non addirittura di traumi infantili, e considerata da alcuni perfino una malattia, è rientrata nella norma a termini di legge: e dunque l’amore gay può diventare interscambiabile con quello che si era sempre vantato di rappresentare la presunta normalità, l’amore etero. Lui va con lui o con lei con la stessa disinvoltura con cui andrebbe con una bionda o una bruna; e viceversa. Un modo di essere, di vivere e di amare che sta prendendo piede tra i giovanissimi; ma presto saranno gli adulti di domani, ed è presumibile che porteranno con sé il medesimo orientamento. Non è strettamente necessario consumare un rapporto per sentire il richiamo di questa fluidità: sul web spopola il blog “19 cose leggermente lesbiche che puoi fare con la tua migliore amica” (in inglese l’acronimo “Bff”, Best friends forever), e su 19 non ce n’è una strettamente sessuale. È un modo di stare insieme felicemente tra femmine a base di confidenze, carezzine, selfie e risatine alle spalle dei maschi. Basta un’occhiata alle pagine Facebook delle adolescenti per capire che non c’è bisogno di dichiararsi gay o bisex per avere relazioni di questo genere.
In fondo è un ritorno alle radici, considerato che nell’era classica la distinzione non era così netta come è stata in seguito, sotto il peso della morale religiosa e dei suoi condizionamenti. «L’attrazione è attrazione e non le serve un’etichetta», taglia corto Charles Blow, columnist del New York Times. Dunque siamo o diventeremo sempre più “fluidi”, termine coniato nel 2009 dalla psicologa americana Lisa Diamond, l’autrice di “Sexual fluidity: understanding women’s love and desire”, il libro che ha aperto il dibattito sostenendo che le etichette tradizionali per il desiderio sono inadeguate e che la società contemporanea dovrebbe spingersi oltre. Non etero, non omo, non bisex, bensì “pansessuali”, come si dichiara con l’abituale spregiudicatezza Miley Cyrus. Liberi di sperimentare, di cambiare, di avere un’identità in perenne movimento. Di andare dovunque ci porta il cuore. O un altro organo.
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società
Sociologia - 4
Repubblica 7.1.16
Contrordine in classe “Attenti al tablet crea nuovi analfabeti”
Lo studio di Vertecchi, decano dei pedagogisti italiani: difficoltà a scrivere in chi usa troppi strumenti hi-tech
“Il copia e incolla riduce la consapevolezza ortografica e le capacità argomentative”
di Salvo Intravaia
ROMA L’uso massiccio di pc e internet a scuola non assicura miglioramenti nelle performance degli alunni.
Ma addirittura ne determinerebbe un calo negli apprendimenti.
Benedetto Vertecchi, noto pedagogista italiano, riapre la diatriba tra coloro che considerano tablet e Lim (le lavagne interattive multimediali) nelle aule scolastiche un toccasana contro gli scarsi risultati e i tanti docenti che continuano a credere nell’insegnamento alla vecchia maniera, con tabelline e poesie imparate e memoria. L’ultimo scritto del docente umbro ha un titolo emblematico:
Alfabeto a rischio.
E fa un passo avanti rispetto alla ricerca – Nulla dies sine linea – condotta un paio di anni fa. Vertecchi, docente di pedagogia sperimentale all’università di Roma Tre, sostiene che l’uso delle tecnologie determina «una caduta nella capacità di scrivere» non solo in senso meccanico, con grafie sempre più incomprensibili o strani mix di stili e caratteri nelle stesse parole: corsivo e stampatello, maiuscolo e minuscolo. Ma problemi anche nell’apprendimento. «Una caduta che investe sia la capacità di tracciare i caratteri, sia quella di organizzarli correttamente in parole, da usare per organizzare il messaggio». In pratica, «l’uso di mezzi digitali comporta l’attenuazione, e talvolta la perdita, della capacità di coordinare il pensiero con l’attività necessaria per tracciare i segni»: gli alunni delle scuole elementari hanno sempre più difficoltà a usare le forbici e a livello ortografico sono spesso un disastro. «L’intervento nella scrittura digitale di correttori automatici riduce la consapevolezza ortografica. Il ricorso ossessivo alla funzione copia e incolla riduce la necessità di sviluppare una linea argomentativa ».
Ma per Vertecchi l’effetto più pericoloso è la caduta della memoria. «La tecnologia abitua i bambini a pensare che c’è sempre una risposta all’esterno», e non nella loro testa.
Tra qualche giorno – dal 22 gennaio al 22 febbraio – partiranno le iscrizioni al prossimo anno scolastico e per accaparrarsi iscritti, nei loro giri di promozione nelle scuole medie, i docenti delle superiori pubblicizzano l’armamentario tecnologico in possesso del proprio istituto. Il non plus ultra è rappresentato dal tablet in dotazione a tutti i docenti della scuola per aggiornare il registro elettronico e collegarsi ad internet, e le classi tappezzate di Lim. Ma adesso comincia a farsi strada l’idea che tutta questa tecnologia all’interno delle aule scolastiche possa anche essere deleteria.
Del resto, che l’uso ossessivo dalla più giovane età di smartphone e
console produrrebbe solo problemi, e non solo a carico della scrittura, non è un’idea del solo Vertecchi. Manfred Spitzer, che nel 2013 ha scritto il saggio Demenza digitale, ha posto in rilievo i danni mentali che conseguono da un uso dissennato di strumenti tecnologici. Perfino l’Ocse ha di recente ammesso che «nonostante i notevoli investimenti in computer, connessioni internet e software per uso didattico, non ci sono prove solide che un maggiore uso del computer tra gli studenti porti a punteggi migliori in matematica e lettura» nei test Pisa. In uno degli ultimi approfondimenti – Students, Computers and Learning. Making the connection – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico mette in evidenza una realtà piuttosto inquietante: i quindicenni che mostrano le migliori performance in lettura e matematica sono quelli che utilizzano le tecnologie a scuola meno della media dei loro compagni. Per questo «in alcune scuole svizzere e statunitensi – conclude Vertecchi – l’uso delle tecnologie è inibito fino ad una certa età o fortemente limitato».
Repubblica 7.1.16
Contrordine in classe “Attenti al tablet crea nuovi analfabeti”
Lo studio di Vertecchi, decano dei pedagogisti italiani: difficoltà a scrivere in chi usa troppi strumenti hi-tech
“Il copia e incolla riduce la consapevolezza ortografica e le capacità argomentative”
di Salvo Intravaia
ROMA L’uso massiccio di pc e internet a scuola non assicura miglioramenti nelle performance degli alunni.
Ma addirittura ne determinerebbe un calo negli apprendimenti.
Benedetto Vertecchi, noto pedagogista italiano, riapre la diatriba tra coloro che considerano tablet e Lim (le lavagne interattive multimediali) nelle aule scolastiche un toccasana contro gli scarsi risultati e i tanti docenti che continuano a credere nell’insegnamento alla vecchia maniera, con tabelline e poesie imparate e memoria. L’ultimo scritto del docente umbro ha un titolo emblematico:
Alfabeto a rischio.
E fa un passo avanti rispetto alla ricerca – Nulla dies sine linea – condotta un paio di anni fa. Vertecchi, docente di pedagogia sperimentale all’università di Roma Tre, sostiene che l’uso delle tecnologie determina «una caduta nella capacità di scrivere» non solo in senso meccanico, con grafie sempre più incomprensibili o strani mix di stili e caratteri nelle stesse parole: corsivo e stampatello, maiuscolo e minuscolo. Ma problemi anche nell’apprendimento. «Una caduta che investe sia la capacità di tracciare i caratteri, sia quella di organizzarli correttamente in parole, da usare per organizzare il messaggio». In pratica, «l’uso di mezzi digitali comporta l’attenuazione, e talvolta la perdita, della capacità di coordinare il pensiero con l’attività necessaria per tracciare i segni»: gli alunni delle scuole elementari hanno sempre più difficoltà a usare le forbici e a livello ortografico sono spesso un disastro. «L’intervento nella scrittura digitale di correttori automatici riduce la consapevolezza ortografica. Il ricorso ossessivo alla funzione copia e incolla riduce la necessità di sviluppare una linea argomentativa ».
Ma per Vertecchi l’effetto più pericoloso è la caduta della memoria. «La tecnologia abitua i bambini a pensare che c’è sempre una risposta all’esterno», e non nella loro testa.
Tra qualche giorno – dal 22 gennaio al 22 febbraio – partiranno le iscrizioni al prossimo anno scolastico e per accaparrarsi iscritti, nei loro giri di promozione nelle scuole medie, i docenti delle superiori pubblicizzano l’armamentario tecnologico in possesso del proprio istituto. Il non plus ultra è rappresentato dal tablet in dotazione a tutti i docenti della scuola per aggiornare il registro elettronico e collegarsi ad internet, e le classi tappezzate di Lim. Ma adesso comincia a farsi strada l’idea che tutta questa tecnologia all’interno delle aule scolastiche possa anche essere deleteria.
Del resto, che l’uso ossessivo dalla più giovane età di smartphone e
console produrrebbe solo problemi, e non solo a carico della scrittura, non è un’idea del solo Vertecchi. Manfred Spitzer, che nel 2013 ha scritto il saggio Demenza digitale, ha posto in rilievo i danni mentali che conseguono da un uso dissennato di strumenti tecnologici. Perfino l’Ocse ha di recente ammesso che «nonostante i notevoli investimenti in computer, connessioni internet e software per uso didattico, non ci sono prove solide che un maggiore uso del computer tra gli studenti porti a punteggi migliori in matematica e lettura» nei test Pisa. In uno degli ultimi approfondimenti – Students, Computers and Learning. Making the connection – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico mette in evidenza una realtà piuttosto inquietante: i quindicenni che mostrano le migliori performance in lettura e matematica sono quelli che utilizzano le tecnologie a scuola meno della media dei loro compagni. Per questo «in alcune scuole svizzere e statunitensi – conclude Vertecchi – l’uso delle tecnologie è inibito fino ad una certa età o fortemente limitato».
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società
Sociologia 5
La Stampa TuttoScienze 13.1.16
L’eccesso di televisione da ragazzi «spegnerà»il cervello da adulti
di Paola Mariano
Accendere per tre ore al giorno la televisione, quando si è ragazzi, «spegne» il cervello 25 anni dopo: lo rivela una ricerca pubblicata sulla rivista «Jama Psychiatry», secondo la quale l’abuso di serial e quiz nella prima età adulta, tra i 18 e i 30 anni, è associato a ridotte performance cognitive una volta raggiunta la mezza età.
Coordinata da Kristine Yaffe della University of California a San Francisco, lo studio mostra inoltre che, se all’abitudine di vedere la tv per tre ore al giorno, si somma anche la tendenza a praticare poca o nessuna attività sportiva, le abilità mentali a distanza di un quarto di secolo risultano ancora peggiori.
Il team ha monitorato lo stato di salute di 3300 individui di 18-30 anni per un periodo di 25 anni, visitandoli periodicamente. A ogni visita hanno controllato una serie di parametri, compresa l’abitudine a fare sport. Alla fine di questo periodo gli specialisti hanno valutato le prestazioni intellettuali di ogni volontario, ricorrendo a una serie di test specifici. È emerso così che i «drogati» di televisione dimostravano una minore velocità di elaborazione delle informazioni e anche delle funzioni esecutive, quali la capacità di spostare l’attenzione da un oggetto a un altro e di pianificare e organizzare azioni.
La conclusione è un evidente campanello d’allarme: i giovani tendenzialmente sedentari, i famosi «couch potato» a stelle e strisce (e non solo), mettono a repentaglio la propria salute futura. Del corpo e soprattutto della mente. Ecco perché rappresentano un «target», sempre più numeroso, a cui famiglie e medici devono rivolgere grande attenzione. In primo luogo con una saggia filosofia di prevenzione
Ecco perchè ci sono tanti ammiratori dei Matteo su piazza.
La Stampa TuttoScienze 13.1.16
L’eccesso di televisione da ragazzi «spegnerà»il cervello da adulti
di Paola Mariano
Accendere per tre ore al giorno la televisione, quando si è ragazzi, «spegne» il cervello 25 anni dopo: lo rivela una ricerca pubblicata sulla rivista «Jama Psychiatry», secondo la quale l’abuso di serial e quiz nella prima età adulta, tra i 18 e i 30 anni, è associato a ridotte performance cognitive una volta raggiunta la mezza età.
Coordinata da Kristine Yaffe della University of California a San Francisco, lo studio mostra inoltre che, se all’abitudine di vedere la tv per tre ore al giorno, si somma anche la tendenza a praticare poca o nessuna attività sportiva, le abilità mentali a distanza di un quarto di secolo risultano ancora peggiori.
Il team ha monitorato lo stato di salute di 3300 individui di 18-30 anni per un periodo di 25 anni, visitandoli periodicamente. A ogni visita hanno controllato una serie di parametri, compresa l’abitudine a fare sport. Alla fine di questo periodo gli specialisti hanno valutato le prestazioni intellettuali di ogni volontario, ricorrendo a una serie di test specifici. È emerso così che i «drogati» di televisione dimostravano una minore velocità di elaborazione delle informazioni e anche delle funzioni esecutive, quali la capacità di spostare l’attenzione da un oggetto a un altro e di pianificare e organizzare azioni.
La conclusione è un evidente campanello d’allarme: i giovani tendenzialmente sedentari, i famosi «couch potato» a stelle e strisce (e non solo), mettono a repentaglio la propria salute futura. Del corpo e soprattutto della mente. Ecco perché rappresentano un «target», sempre più numeroso, a cui famiglie e medici devono rivolgere grande attenzione. In primo luogo con una saggia filosofia di prevenzione
Ecco perchè ci sono tanti ammiratori dei Matteo su piazza.
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Re: Psicologia, Psichiatria, Sociologia, Costume & Società
inps compra casa all estero per i pensionati italiani con pensione sociale.
chi ha la pensione sociale può emigrare all esterno e chiedere all'INPS una casa all estero a titolo gratuito.
l ex ministro fornero sarà la presidente di una commissione incaricata di comprare case all estero
le case verranno comprate a Tenerife Varna Bulgaria viet name
filippine costa rica
un sindacalista pensionato che ha condotto la trattativa sindacale con l'INPS
ha dichiarato ' abbiamo sconfitto i cretini sociali neoliberisti '
risposta della ex ministro fornero : ' abbiamo esportato la nostra costituzione nel mondo,abbiamo fatto investimenti con una redditività
netta annuale superiore al 40 per cento '
chi ha la pensione sociale può emigrare all esterno e chiedere all'INPS una casa all estero a titolo gratuito.
l ex ministro fornero sarà la presidente di una commissione incaricata di comprare case all estero
le case verranno comprate a Tenerife Varna Bulgaria viet name
filippine costa rica
un sindacalista pensionato che ha condotto la trattativa sindacale con l'INPS
ha dichiarato ' abbiamo sconfitto i cretini sociali neoliberisti '
risposta della ex ministro fornero : ' abbiamo esportato la nostra costituzione nel mondo,abbiamo fatto investimenti con una redditività
netta annuale superiore al 40 per cento '
Ultima modifica di aaaa42 il 25/05/2016, 22:14, modificato 2 volte in totale.
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