DI TUTTO E DI PIU'
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
Nibali ha fatto la grande impresa
stacca Chaves e si prende il Giro
una gran fatica e alla fine una gran soddisfazione per questo siculo.
Un gran sportivo l'ex maglia rosa , un colombiano, e la sua famiglia che dopo l'arrivo con un abbraccio si congratulano con il vincitore.
stacca Chaves e si prende il Giro
una gran fatica e alla fine una gran soddisfazione per questo siculo.
Un gran sportivo l'ex maglia rosa , un colombiano, e la sua famiglia che dopo l'arrivo con un abbraccio si congratulano con il vincitore.
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
Dovend ,tra poco,compilare la Dichiarazione dei Redditi,dove trovo l'elenco delle associazioni culturali,cui destinare il 2x1000?
Enrico, da Altamura
Risposta:
Deve ancora essere emanato. Il termine per le domande di iscrizione è scaduto appena lunedi scorso, 11 aprile- sarà disponibile dopo il 31 maggio
http://www.beniculturali.it/mibac/expor ... 56909.html
Io ho già dovuto consegnare il precompilato .
Enrico, da Altamura
Risposta:
Deve ancora essere emanato. Il termine per le domande di iscrizione è scaduto appena lunedi scorso, 11 aprile- sarà disponibile dopo il 31 maggio
http://www.beniculturali.it/mibac/expor ... 56909.html
Io ho già dovuto consegnare il precompilato .
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
Più facile sparare per difesa. Un milione di firme per il sì alla nuova legge
L’Italia dei Valori deposita oggi le sottoscrizioni al Senato per il testo di iniziativa popolare: i cittadini devono aver la possibilità di reagire
di LIANA MILELLA-repubblica.it
MA. A Ravenna 23mila. A Viterbo 19.950. A Trento 5.200. A Saluzzo 3.200. A Lanciano 3.500. A Porcia 2.690. A Calvisano 2.600. A Carpi 2.500. Ad Azzano Decimo 2.228. Ad Arzignano 2.100. A Niscemi 1.987. A Monselice 1.982. A Cervinara 1.560. Un milione di firme per cambiare la legge sulla legittima difesa e fare una legge che non mandi in galera chi spara per difendersi e lo costringa pure a risarcire il ladro se, com’è accaduto, il cane lo ha morso.
Un milione, e questi sono i Comuni – mescolati tra Nord e Sud – dove i cittadini sono entrati in municipio per dare il proprio nome certificato. «Un milione per adesso, ma il numero potrebbe crescere ancora, c’è tempo fino al 16 agosto» dice il segretario dell’Idv Ignazio Messina che oggi porterà la sua piramide di scatoloni in Senato, dal presidente Piero Grasso, e chiederà che la legge d’iniziativa popolare proposta dal suo piccolo gruppo sia messa in calendario per superare le diatribe politiche che invece, alla Camera, bloccano la modifica della legittima difesa.
L’ultimo scontro documentato tra Pd, alfaniani e Lega il 21 aprile, il ddl che torna in commissione Giustizia. Poi più nulla. Il responsabile Giustizia del Pd David Ermini il 28 aprile presenta un testo con un articolo. Ma nel calendario di giugno della Camera la legittima difesa non figura all’ordine del giorno. Né la commissione Giustizia è riuscita a riprendere in mano il dossier. Anche perché non c’è alcun accordo politico.
Eppure, tra le tante nuove leggi possibili, forse poche come questa sono popolari. Lo dimostra la raccolta di firme dell’Idv che per la sua mole ha spiazzato perfino gli organizzatori. Ha pure messo in imbarazzo la Lega, che della legittima difesa ha fatto un cavallo di battaglia per anni. Ma Messina rivela: «So che Salvini diceva di non firmare per noi, ma molti dei suoi l’hanno fatto perché me lo hanno anche detto».
Cosa chiede Idv, ma soprattutto come si è arrivati a un milione di firme. La proposta è semplice. Innanzitutto punire più severamente la violazione del domicilio, oggi da 1 a 3 anni, domani da 2 a 6 anni, per cui è più probabile che il ladro resti dentro. Poi il boccone grosso: via l’eccesso colposo di legittima difesa, per cui spesso chi spara finisce sotto inchiesta. Via anche il risarcimento al rapinatore se finisce pure danneggiato nella sua “azione”. La cronaca, che Idv riporta in un dossier, non è certo avara di esempi: un pensionato spara in aria perché trova un ladro nella sua casa di campagna e finisce sotto inchiesta per “esplosioni pericolose”. Un commerciante scopre il rapinatore nel suo negozio, lo chiude dentro, si precipita dai Cc e viene denunciato per sequestro di persona. Il ladro è morso da una cane e chiede al derubato il risarcimento dei danni.
Sono storie come queste, di cui sono ricche le pagine delle cronache, che hanno spinto 900mila italiani – le altre 100mila firme le ha raccolte Idv coi gazebo – a entrare in Comune e sottoscrivere per la legge d’iniziativa popolare. Lo hanno letto sul web oppure sui manifesti affissi in municipio. È accaduto pure che in un paesino della Val d’Aosta tutti i 500 abitanti, sindaco compreso, abbiano firmato. E tutto in tempi sorprendentemente rapidi: il 18 febbraio Idv deposita in Cassazione la legge che viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale. Basterebbero 50mila firme. Ma il 20 aprile, quando Idv manifesta sotto Montecitorio – come farà anche oggi prima di andare al Senato – le firme sono già 250mila. «Tantissime» chiosa allora Enrico Costa, il ministro della Famiglia di Ncd, che da tempo di batte per una nuova legge. Tant’è che va in piazza.
Un altro mese, e le firme esplodono. Quando la notizia del prossimo deposito al Senato si diffonde
c’è gente che manda la firma autenticata da un notaio, pagando di tasca propria 150 euro, direttamente a Idv. Un partito che conta oggi 1 deputato e 2 senatori. Un dettaglio per chi vive drammaticamente nelle nostre città la paura di un’aggressione in casa.
Personalmente sono contrario all'uso delle armi, ma prendete i casi sottolineati sopra e mi chiedo se sia colpa dei maGISTRATI O DI LEGGI POCO CHIARE.
L’Italia dei Valori deposita oggi le sottoscrizioni al Senato per il testo di iniziativa popolare: i cittadini devono aver la possibilità di reagire
di LIANA MILELLA-repubblica.it
MA. A Ravenna 23mila. A Viterbo 19.950. A Trento 5.200. A Saluzzo 3.200. A Lanciano 3.500. A Porcia 2.690. A Calvisano 2.600. A Carpi 2.500. Ad Azzano Decimo 2.228. Ad Arzignano 2.100. A Niscemi 1.987. A Monselice 1.982. A Cervinara 1.560. Un milione di firme per cambiare la legge sulla legittima difesa e fare una legge che non mandi in galera chi spara per difendersi e lo costringa pure a risarcire il ladro se, com’è accaduto, il cane lo ha morso.
Un milione, e questi sono i Comuni – mescolati tra Nord e Sud – dove i cittadini sono entrati in municipio per dare il proprio nome certificato. «Un milione per adesso, ma il numero potrebbe crescere ancora, c’è tempo fino al 16 agosto» dice il segretario dell’Idv Ignazio Messina che oggi porterà la sua piramide di scatoloni in Senato, dal presidente Piero Grasso, e chiederà che la legge d’iniziativa popolare proposta dal suo piccolo gruppo sia messa in calendario per superare le diatribe politiche che invece, alla Camera, bloccano la modifica della legittima difesa.
L’ultimo scontro documentato tra Pd, alfaniani e Lega il 21 aprile, il ddl che torna in commissione Giustizia. Poi più nulla. Il responsabile Giustizia del Pd David Ermini il 28 aprile presenta un testo con un articolo. Ma nel calendario di giugno della Camera la legittima difesa non figura all’ordine del giorno. Né la commissione Giustizia è riuscita a riprendere in mano il dossier. Anche perché non c’è alcun accordo politico.
Eppure, tra le tante nuove leggi possibili, forse poche come questa sono popolari. Lo dimostra la raccolta di firme dell’Idv che per la sua mole ha spiazzato perfino gli organizzatori. Ha pure messo in imbarazzo la Lega, che della legittima difesa ha fatto un cavallo di battaglia per anni. Ma Messina rivela: «So che Salvini diceva di non firmare per noi, ma molti dei suoi l’hanno fatto perché me lo hanno anche detto».
Cosa chiede Idv, ma soprattutto come si è arrivati a un milione di firme. La proposta è semplice. Innanzitutto punire più severamente la violazione del domicilio, oggi da 1 a 3 anni, domani da 2 a 6 anni, per cui è più probabile che il ladro resti dentro. Poi il boccone grosso: via l’eccesso colposo di legittima difesa, per cui spesso chi spara finisce sotto inchiesta. Via anche il risarcimento al rapinatore se finisce pure danneggiato nella sua “azione”. La cronaca, che Idv riporta in un dossier, non è certo avara di esempi: un pensionato spara in aria perché trova un ladro nella sua casa di campagna e finisce sotto inchiesta per “esplosioni pericolose”. Un commerciante scopre il rapinatore nel suo negozio, lo chiude dentro, si precipita dai Cc e viene denunciato per sequestro di persona. Il ladro è morso da una cane e chiede al derubato il risarcimento dei danni.
Sono storie come queste, di cui sono ricche le pagine delle cronache, che hanno spinto 900mila italiani – le altre 100mila firme le ha raccolte Idv coi gazebo – a entrare in Comune e sottoscrivere per la legge d’iniziativa popolare. Lo hanno letto sul web oppure sui manifesti affissi in municipio. È accaduto pure che in un paesino della Val d’Aosta tutti i 500 abitanti, sindaco compreso, abbiano firmato. E tutto in tempi sorprendentemente rapidi: il 18 febbraio Idv deposita in Cassazione la legge che viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale. Basterebbero 50mila firme. Ma il 20 aprile, quando Idv manifesta sotto Montecitorio – come farà anche oggi prima di andare al Senato – le firme sono già 250mila. «Tantissime» chiosa allora Enrico Costa, il ministro della Famiglia di Ncd, che da tempo di batte per una nuova legge. Tant’è che va in piazza.
Un altro mese, e le firme esplodono. Quando la notizia del prossimo deposito al Senato si diffonde
c’è gente che manda la firma autenticata da un notaio, pagando di tasca propria 150 euro, direttamente a Idv. Un partito che conta oggi 1 deputato e 2 senatori. Un dettaglio per chi vive drammaticamente nelle nostre città la paura di un’aggressione in casa.
Personalmente sono contrario all'uso delle armi, ma prendete i casi sottolineati sopra e mi chiedo se sia colpa dei maGISTRATI O DI LEGGI POCO CHIARE.
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
IN UN MONDO CHE VA A ROTOLI CI MANCAVA QUESTA NOTIZIA.
Rapporto Unicef 2016: “Entro il 2030 moriranno 69 milioni di bambini”
Diritti
È l’allarme lanciato oggi dall’Unicef con il rapporto annuale La Condizione dell’Infanzia nel Mondo 2016. Secondo la onlus quello descritto è uno scenario che potrebbe diventare realtà entro i prossimi 14 anni. Eppure esistono modi efficaci ed economicamente convenienti
di Luisiana Gaita | 28 giugno 2016
COMMENTI
Entro il 2030 moriranno per cause prevedibili 69 milioni di bambini sotto i 5 anni, altri 167 milioni vivranno in povertà e 750 milioni di donne si saranno sposate da bambine mentre più di 60 milioni di piccoli in età da scuola primaria non avranno istruzione. Questo l’allarme lanciato oggi dall’Unicef con il rapporto annuale La Condizione dell’Infanzia nel Mondo 2016. Secondo la onlus quello descritto è uno scenario che potrebbe diventare realtà entro i prossimi 14 anni (quando scadrà il termine per i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile promossi dall’Onu). Eppure esistono modi efficaci ed economicamente convenienti per raggiungere i bambini, le famiglie e le comunità in difficoltà. Le nuove tecnologie, la rivoluzione digitale, i modi innovativi di finanziare gli interventi essenziali e i movimenti guidati dai cittadini stanno contribuendo a guidare il cambiamento in favore dei più svantaggiati. “Per raggiungere i nostri obiettivi di sviluppo globale – spiega la onlus – dobbiamo investire innanzitutto sui bambini che sono rimasti più indietro”.
COSA È STATO FATTO: MORTALITÀ, ISTRUZIONE E POVERTÀ - Secondo il rapporto sono stati fatti importanti progressi nel salvare le vite dei bambini, ma anche per la loro istruzione e per combattere la povertà. Anche se, nel complesso, è stato mancato l’Obiettivo di sviluppo del Millennio della riduzione di due terzi della mortalità infantile tra il 1990 e il 2015, 24 paesi a medio e basso reddito l’hanno raggiunto. “Dal 1990 il tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni è più che dimezzato – riporta il dossier – ed in Paesi come Etiopia, Liberia, Malawi e Niger è sceso di oltre due terzi”. Il numero di bambini sotto i 5 anni che perdono la vita ogni anno per polmonite, diarrea, malaria, sepsi, pertosse, tetano, meningite, morbillo e Aids è diminuito da 5,4 milioni nel 2000 a 2,5 milioni nel 2015. Il calo di circa il 70% dei decessi sotto i 5 anni nel mondo dall’inizio del millennio a oggi può essere ricondotto alla prevenzione e al trattamento delle malattie infettive. I programmi per le vaccinazioni hanno portato a una diminuzione di circa l’80% dei decessi per morbillo tra il 2000 e il 2014, prevenendo quella di circa 1,7 milioni di piccoli.
UN PROGRESSO NON EQUO - Secondo il rapporto c’è ancora tanto lavoro da fare, anche perché i bambini più poveri hanno il doppio delle probabilità, rispetto a quelli più ricchi, di non arrivare al loro quinto compleanno e di soffrire di malnutrizione cronica. Qualche dato: “Un bambino nato oggi in Sierra leone ha probabilità 30 volte maggiori di morire prima dei 5 anni rispetto a chi nasce nel Regno Unito”. In molte aree dell’Asia del Sud e dell’Africa Sub sahariana, i figli di madri non istruite hanno circa tre probabilità in più di morire prima del quinto compleanno rispetto a un bambino nato da una madre con un livello di istruzione secondaria. Le ragazze delle famiglie più povere hanno il doppio delle probabilità di essere sposate da bambine rispetto alle ragazze di famiglie più benestanti.
L’EMERGENZA SUB SAHARIANA - La prospettiva più incerta è in Africa Sub Sahariana, “dove almeno 247 milioni di bambini (2 su 3) vivono in condizioni di povertà multidimensionale – rileva il rapporto – deprivati di ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere e svilupparsi, e dove circa il 60% dei giovani tra i 20 e i 24 anni ha meno di quattro anni di scolarizzazione alle spalle”. Il futuro? Stando alle tendenze attuali, secondo la onlus, è proprio nell’Africa sub Sahariana che entro il 2030 si verificheranno la metà di quei 69 milioni di decessi di bambini che, invece, si potrebbero prevenire. Trenta milioni non andranno a scuola (anche in questo caso la metà del dato globale) e 9 bambini su 10 vivranno in condizioni di povertà estrema. “Non dare una giusta opportunità nella vita a centinaia di milioni di bambini significa minacciare ancora di più il loro futuro” ha dichiarato Anthony Lake, direttore generale dell’Unicef, secondo cui “in questo modo si alimentano i cicli di svantaggio intergenerazionale, mettendo in pericolo il futuro delle loro società”.
ISTRUZIONE NELLE EMERGENZE E NELLE CRISI CRONICHE - Le emergenze umanitarie e le crisi protratte hanno interrotto l’istruzione di più di 75 milioni di bambini dai 3 ai 18 anni di età in 35 paesi. “Di questi – spiega la onlus – più di 17 milioni sono rifugiati, sfollati o appartenenti a un’altra popolazione a rischio”. Nel 2014 in Nigeria, il gruppo armato Boko Haram ha rapito centinaia di donne e ragazze nel corso di pesanti attacchi. Tra il 2012 e il 2014, il gruppo ha ucciso 314 bambini nelle scuole della Nigeria nord-orientale. Docenti e alunni sono stati attaccati, rapiti e uccisi anche nello Yemen, nella Repubblica araba di Siria e in molti altri paesi. Solo nel 2014, sono avvenuti 163 attacchi contro scuole in Afghanistan, nove istituti nella Repubblica Centrafricana e 67 scuole in Iraq.
I DATI SU POVERTÀ E DISUGUAGLIANZA IN EUROPA - Secondo i dati Eurostat dopo il 2008 i tassi di povertà infantile sono aumentati in 23 Paesi Ocse. In cinque di questi, sono saliti di più del 50%. “Comunità emarginate come la popolazione rom in Europa centrale e orientale – rileva l’Unicef – subiscono continuamente disuguaglianze nell’accesso e nell’utilizzo dei servizi sanitari”. Ecco i dati: un bambino rom su cinque in Bosnia ed Erzegovina e uno su quattro in Serbia presenta moderati o gravi ritardi nella crescita. Nel 2012, solo il 4% dei bambini rom tra i 18 e i 29 mesi in Bosnia ed Erzegovina aveva ricevuto tutte le vaccinazioni raccomandate, in confronto al 68% dei coetanei non rom.
PERCHÉ INVESTIRE - La stragrande maggioranza dei decessi infantili si potrebbe prevenire con interventi ben noti, a basso costo e facilmente erogabili. Quanto costerebbe porre fine in modo efficace ai decessi prevenibili? “Sei pacchetti di investimenti principali per 74 Paesi a mortalità elevata – spiega il rapporto – costerebbero circa 30 miliardi di dollari in spese annuali aggiuntive, con un aumento del 2% rispetto ai livelli attuali. I pacchetti coprirebbero salute materna e neonatale, vaccinazione, pianificazione familiare, Hiv/Aids e malaria, con la nutrizione come tema trasversale”. Tra il 2013 e il 2035, questo investimento salverebbe la vita di 147 milioni di bambini, eviterebbe 32 milioni di bambini nati morti e 5 milioni di decessi materni. Dal rapporto emerge dunque che puntare sulle nuove generazioni più svantaggiate può dare benefici nell’immediato e nel lungo periodo. “I sussidi in denaro aiutano i bambini ad andare a scuola più a lungo – spiega l’Unicef – consentendo loro di raggiungere livelli di istruzione più alti”. In media, ogni anno in più di scuola per un bambino rappresenta da adulto un incremento di circa il 10% della paga da lavoro. E per ogni anno di scuola in più completato da un giovane adulto in un Paese, il tasso di povertà di quel Paese diminuisce del 9%.
L’INNOVAZIONE - Negli ultimi 25 anni le innovazioni hanno favorito progressi incredibili per l’infanzia: dalla distribuzione attraverso la catena del freddo, ai sali di reidratazione orale, fino ai cibi terapeutici pronti all’uso per i bambini gravemente malnutriti. Due esempi su tutti: in Mongolia i dispositivi tablet stanno facilitando la conduzione di sondaggi per monitorare la salute, l’alimentazione e l’inclusione sociale dei bambini e in Malawi, in Africa Orientale, si stanno testando nuovi sistemi basati su droni per velocizzare i risultati dei test per l’Hiv, affinché anche i neonati possano essere curati in tempo.
Rapporto Unicef 2016: “Entro il 2030 moriranno 69 milioni di bambini”
Diritti
È l’allarme lanciato oggi dall’Unicef con il rapporto annuale La Condizione dell’Infanzia nel Mondo 2016. Secondo la onlus quello descritto è uno scenario che potrebbe diventare realtà entro i prossimi 14 anni. Eppure esistono modi efficaci ed economicamente convenienti
di Luisiana Gaita | 28 giugno 2016
COMMENTI
Entro il 2030 moriranno per cause prevedibili 69 milioni di bambini sotto i 5 anni, altri 167 milioni vivranno in povertà e 750 milioni di donne si saranno sposate da bambine mentre più di 60 milioni di piccoli in età da scuola primaria non avranno istruzione. Questo l’allarme lanciato oggi dall’Unicef con il rapporto annuale La Condizione dell’Infanzia nel Mondo 2016. Secondo la onlus quello descritto è uno scenario che potrebbe diventare realtà entro i prossimi 14 anni (quando scadrà il termine per i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile promossi dall’Onu). Eppure esistono modi efficaci ed economicamente convenienti per raggiungere i bambini, le famiglie e le comunità in difficoltà. Le nuove tecnologie, la rivoluzione digitale, i modi innovativi di finanziare gli interventi essenziali e i movimenti guidati dai cittadini stanno contribuendo a guidare il cambiamento in favore dei più svantaggiati. “Per raggiungere i nostri obiettivi di sviluppo globale – spiega la onlus – dobbiamo investire innanzitutto sui bambini che sono rimasti più indietro”.
COSA È STATO FATTO: MORTALITÀ, ISTRUZIONE E POVERTÀ - Secondo il rapporto sono stati fatti importanti progressi nel salvare le vite dei bambini, ma anche per la loro istruzione e per combattere la povertà. Anche se, nel complesso, è stato mancato l’Obiettivo di sviluppo del Millennio della riduzione di due terzi della mortalità infantile tra il 1990 e il 2015, 24 paesi a medio e basso reddito l’hanno raggiunto. “Dal 1990 il tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni è più che dimezzato – riporta il dossier – ed in Paesi come Etiopia, Liberia, Malawi e Niger è sceso di oltre due terzi”. Il numero di bambini sotto i 5 anni che perdono la vita ogni anno per polmonite, diarrea, malaria, sepsi, pertosse, tetano, meningite, morbillo e Aids è diminuito da 5,4 milioni nel 2000 a 2,5 milioni nel 2015. Il calo di circa il 70% dei decessi sotto i 5 anni nel mondo dall’inizio del millennio a oggi può essere ricondotto alla prevenzione e al trattamento delle malattie infettive. I programmi per le vaccinazioni hanno portato a una diminuzione di circa l’80% dei decessi per morbillo tra il 2000 e il 2014, prevenendo quella di circa 1,7 milioni di piccoli.
UN PROGRESSO NON EQUO - Secondo il rapporto c’è ancora tanto lavoro da fare, anche perché i bambini più poveri hanno il doppio delle probabilità, rispetto a quelli più ricchi, di non arrivare al loro quinto compleanno e di soffrire di malnutrizione cronica. Qualche dato: “Un bambino nato oggi in Sierra leone ha probabilità 30 volte maggiori di morire prima dei 5 anni rispetto a chi nasce nel Regno Unito”. In molte aree dell’Asia del Sud e dell’Africa Sub sahariana, i figli di madri non istruite hanno circa tre probabilità in più di morire prima del quinto compleanno rispetto a un bambino nato da una madre con un livello di istruzione secondaria. Le ragazze delle famiglie più povere hanno il doppio delle probabilità di essere sposate da bambine rispetto alle ragazze di famiglie più benestanti.
L’EMERGENZA SUB SAHARIANA - La prospettiva più incerta è in Africa Sub Sahariana, “dove almeno 247 milioni di bambini (2 su 3) vivono in condizioni di povertà multidimensionale – rileva il rapporto – deprivati di ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere e svilupparsi, e dove circa il 60% dei giovani tra i 20 e i 24 anni ha meno di quattro anni di scolarizzazione alle spalle”. Il futuro? Stando alle tendenze attuali, secondo la onlus, è proprio nell’Africa sub Sahariana che entro il 2030 si verificheranno la metà di quei 69 milioni di decessi di bambini che, invece, si potrebbero prevenire. Trenta milioni non andranno a scuola (anche in questo caso la metà del dato globale) e 9 bambini su 10 vivranno in condizioni di povertà estrema. “Non dare una giusta opportunità nella vita a centinaia di milioni di bambini significa minacciare ancora di più il loro futuro” ha dichiarato Anthony Lake, direttore generale dell’Unicef, secondo cui “in questo modo si alimentano i cicli di svantaggio intergenerazionale, mettendo in pericolo il futuro delle loro società”.
ISTRUZIONE NELLE EMERGENZE E NELLE CRISI CRONICHE - Le emergenze umanitarie e le crisi protratte hanno interrotto l’istruzione di più di 75 milioni di bambini dai 3 ai 18 anni di età in 35 paesi. “Di questi – spiega la onlus – più di 17 milioni sono rifugiati, sfollati o appartenenti a un’altra popolazione a rischio”. Nel 2014 in Nigeria, il gruppo armato Boko Haram ha rapito centinaia di donne e ragazze nel corso di pesanti attacchi. Tra il 2012 e il 2014, il gruppo ha ucciso 314 bambini nelle scuole della Nigeria nord-orientale. Docenti e alunni sono stati attaccati, rapiti e uccisi anche nello Yemen, nella Repubblica araba di Siria e in molti altri paesi. Solo nel 2014, sono avvenuti 163 attacchi contro scuole in Afghanistan, nove istituti nella Repubblica Centrafricana e 67 scuole in Iraq.
I DATI SU POVERTÀ E DISUGUAGLIANZA IN EUROPA - Secondo i dati Eurostat dopo il 2008 i tassi di povertà infantile sono aumentati in 23 Paesi Ocse. In cinque di questi, sono saliti di più del 50%. “Comunità emarginate come la popolazione rom in Europa centrale e orientale – rileva l’Unicef – subiscono continuamente disuguaglianze nell’accesso e nell’utilizzo dei servizi sanitari”. Ecco i dati: un bambino rom su cinque in Bosnia ed Erzegovina e uno su quattro in Serbia presenta moderati o gravi ritardi nella crescita. Nel 2012, solo il 4% dei bambini rom tra i 18 e i 29 mesi in Bosnia ed Erzegovina aveva ricevuto tutte le vaccinazioni raccomandate, in confronto al 68% dei coetanei non rom.
PERCHÉ INVESTIRE - La stragrande maggioranza dei decessi infantili si potrebbe prevenire con interventi ben noti, a basso costo e facilmente erogabili. Quanto costerebbe porre fine in modo efficace ai decessi prevenibili? “Sei pacchetti di investimenti principali per 74 Paesi a mortalità elevata – spiega il rapporto – costerebbero circa 30 miliardi di dollari in spese annuali aggiuntive, con un aumento del 2% rispetto ai livelli attuali. I pacchetti coprirebbero salute materna e neonatale, vaccinazione, pianificazione familiare, Hiv/Aids e malaria, con la nutrizione come tema trasversale”. Tra il 2013 e il 2035, questo investimento salverebbe la vita di 147 milioni di bambini, eviterebbe 32 milioni di bambini nati morti e 5 milioni di decessi materni. Dal rapporto emerge dunque che puntare sulle nuove generazioni più svantaggiate può dare benefici nell’immediato e nel lungo periodo. “I sussidi in denaro aiutano i bambini ad andare a scuola più a lungo – spiega l’Unicef – consentendo loro di raggiungere livelli di istruzione più alti”. In media, ogni anno in più di scuola per un bambino rappresenta da adulto un incremento di circa il 10% della paga da lavoro. E per ogni anno di scuola in più completato da un giovane adulto in un Paese, il tasso di povertà di quel Paese diminuisce del 9%.
L’INNOVAZIONE - Negli ultimi 25 anni le innovazioni hanno favorito progressi incredibili per l’infanzia: dalla distribuzione attraverso la catena del freddo, ai sali di reidratazione orale, fino ai cibi terapeutici pronti all’uso per i bambini gravemente malnutriti. Due esempi su tutti: in Mongolia i dispositivi tablet stanno facilitando la conduzione di sondaggi per monitorare la salute, l’alimentazione e l’inclusione sociale dei bambini e in Malawi, in Africa Orientale, si stanno testando nuovi sistemi basati su droni per velocizzare i risultati dei test per l’Hiv, affinché anche i neonati possano essere curati in tempo.
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
Bernie Sanders, una lezione di democrazia. ‘La globalizzazione non opera in favore della maggioranza’
di Roberto Marchesi | 3 luglio 2016 -iL FATTO QUOTIDIANO
Il “socialista” Bernie Sanders, pur avendo perso il confronto con la Clinton per le primarie del partito democratico nelle elezioni presidenziali americane, ha scritto per il New York Times pochi giorni fa un interessante articolo, “Democrats need to Wake-up” (I democratici devono svegliarsi), al quale, in Italia, pochi media hanno dato la giusta attenzione, considerando ormai Sanders fuori dal “grande gioco” per la presidenza.
E’ vero, lui non può più ribaltare l’esito delle primarie, anche perché la Clinton è ampiamente preferita dall’establishment democratico rispetto a lui e, tutto sommato, anche dagli avversari repubblicani rispetto a Trump, l’altro trionfatore delle primarie, il cui populismo opportunista ha, per l’establishment repubblicano, la stessa attrattiva del fumo negli occhi per ciascuno di noi (è lo stesso direttore Alan Murray a dirlo nel suo editoriale del 15 giugno sul magazine “Fortune”).
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Ma non è delle elezioni americane che qui voglio parlare, bensì del messaggio forte che Sanders ha lasciato ai suoi sostenitori e a tutto il popolo, non solo americano, circa l’evoluzione della politica e gli effetti dell’economia globale.
Nell’articolo lui parte da una constatazione che è ormai di dominio pubblico in tutti i media delle economie sviluppate: “The top 1 percent now owns more wealth than the whole of the bottom 99 percent” (l’1% dei più ricchi dispone di maggiore ricchezza che l’intero 99% sottostante). E subito dopo si chiede come sia possibile che così pochi ultra-ricchi possano godersi tanta “lussuria” mentre per miliardi di persone persista la povertà, la disoccupazione, insieme all’indisponibilità di cure mediche, di un sistema scolastico equo, di abitazioni adeguate e persino di cibo e acqua.
Sembra di essere tornati ai temi sociali del secolo scorso, quando la povertà estrema del cosiddetto “terzo mondo” commuoveva milioni di persone dei paesi occidentali benestanti convincendoli a privarsi almeno di un poco per darlo ai più bisognosi.
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Ma Sanders, che nei suoi viaggi per la campagna presidenziale ha visitato 46 Stati Usa (su 50) e ha visto direttamente sul territorio una realtà che normalmente non emerge nei notiziari televisivi, non sta guardando indietro, lui guarda avanti e avverte: “Could this rejection of the current form of the global economy happen in the United States? You bet it could” (Può questo effetto di ritorno della globalizzazione davvero accadere qui, negli Stati Uniti d’America? Potete scommetterci, può!).
Ed ha proprio ragione, posso confermarlo anch’io dopo 20 anni circa di residenza negli Usa: nonostante che la “Grande Recessione”, iniziata nel 2007, sia ormai soltanto un brutto ricordo negli Usa, le sacche di povertà non sono svanite. Nonostante le perdite della Borsa siano state ampiamente recuperate e il sistema delle imprese abbia conosciuto negli ultimi quindici anni (malgrado due grandi recessioni) un miracolo economico senza precedenti, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è tuttora l’unico fenomeno economico e sociale che cresce imperterrito.
Nella ricchissima America che ha già superato brillantemente la crisi (al contrario dell’Europa che non ce la fa proprio ad uscirne) pochi ricchissimi ridono mentre il popolo, in proporzione sempre maggiore, piange!
E’ sempre Sanders a dire: “Despite major increases in productivity, the median male worker in America today is making $726 dollars less than he did in 1973, while the median female worker is making $1,154 less than she did in 2007, after adjusting for inflation. Nearly 47 million Americans live in poverty” (Nonostante l’elevata crescita della produttività, il lavoratore mediano americano guadagna oggi 726 dollari in meno che nel 1973. E per le femmine il disavanzo sale a 1154 dollari rispetto al 2007. Ancora oggi circa 47 milioni di americani vivono in povertà).
“Let’s be clear. The global economy is not working for the majority of people in our country and the world. This is an economic model developed by the economic elite to benefit the economic elite. We need real change” (Parliamoci chiaro: la globalizzazione non opera in favore della maggioranza della popolazione, questo modello economico è stato sviluppato dalle elite per le elite. Occorre un reale cambiamento).
Poi Sanders prosegue dicendo che non serve l’iper-nazionalsmo di certi partiti o politici, serve un presidente che lavori davvero per realizzare le conquiste democratiche per il popolo, non per Wall Street o per le imprese farmaceutiche o per gli altri grandi interessi privati. Occorre anche rigettare risolutamente le grandi politiche del “Free Trade” (N.a.f.t.a., T.p.p., T.t.i.p., ecc.) e adottare invece il “Fear Trade” (il commercio buono, ovvero quello che favorisce la produzione locale e l’esportazione dei prodotti, non l’inverso). Perché i lavoratori americani non debbano competere contro lavoratori all’estero pagati pochi centesimi all’ora.
E continua dicendo che è indispensabile combattere l’evasione e l’elusione fiscale che consente alle grandi multinazionali di evadere o eludere il pagamento delle tasse, unico guadagno che potrebbe venire alle economie forti dalla globalizzazione del lavoro.
E molte altre vere riforme, solo accennate nell’articolo, egli propone a beneficio dei popoli.
Eppure tutto questo ancora non basta a vincere le barriere che l’establishment di destra e di sinistra americani, fiancheggiati contro di lui dal campione mondiale dei populisti moderni (Trump), hanno eretto per sconfiggere colui che sarebbe stato per loro il più pericoloso competitore.
Sanders conclude con quello che è il suo testamento politico e che purtroppo non potrà essere lui a gestire nelle vesti di presidente: “We must create national and global economies that work for all, not just a handful of billionaires” (Noi dobbiamo creare economie nazionali e globali che lavorino per tutti, non soltanto per una manciata di miliardari).
di Roberto Marchesi | 3 luglio 2016 -iL FATTO QUOTIDIANO
Il “socialista” Bernie Sanders, pur avendo perso il confronto con la Clinton per le primarie del partito democratico nelle elezioni presidenziali americane, ha scritto per il New York Times pochi giorni fa un interessante articolo, “Democrats need to Wake-up” (I democratici devono svegliarsi), al quale, in Italia, pochi media hanno dato la giusta attenzione, considerando ormai Sanders fuori dal “grande gioco” per la presidenza.
E’ vero, lui non può più ribaltare l’esito delle primarie, anche perché la Clinton è ampiamente preferita dall’establishment democratico rispetto a lui e, tutto sommato, anche dagli avversari repubblicani rispetto a Trump, l’altro trionfatore delle primarie, il cui populismo opportunista ha, per l’establishment repubblicano, la stessa attrattiva del fumo negli occhi per ciascuno di noi (è lo stesso direttore Alan Murray a dirlo nel suo editoriale del 15 giugno sul magazine “Fortune”).
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Ma non è delle elezioni americane che qui voglio parlare, bensì del messaggio forte che Sanders ha lasciato ai suoi sostenitori e a tutto il popolo, non solo americano, circa l’evoluzione della politica e gli effetti dell’economia globale.
Nell’articolo lui parte da una constatazione che è ormai di dominio pubblico in tutti i media delle economie sviluppate: “The top 1 percent now owns more wealth than the whole of the bottom 99 percent” (l’1% dei più ricchi dispone di maggiore ricchezza che l’intero 99% sottostante). E subito dopo si chiede come sia possibile che così pochi ultra-ricchi possano godersi tanta “lussuria” mentre per miliardi di persone persista la povertà, la disoccupazione, insieme all’indisponibilità di cure mediche, di un sistema scolastico equo, di abitazioni adeguate e persino di cibo e acqua.
Sembra di essere tornati ai temi sociali del secolo scorso, quando la povertà estrema del cosiddetto “terzo mondo” commuoveva milioni di persone dei paesi occidentali benestanti convincendoli a privarsi almeno di un poco per darlo ai più bisognosi.
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Ma Sanders, che nei suoi viaggi per la campagna presidenziale ha visitato 46 Stati Usa (su 50) e ha visto direttamente sul territorio una realtà che normalmente non emerge nei notiziari televisivi, non sta guardando indietro, lui guarda avanti e avverte: “Could this rejection of the current form of the global economy happen in the United States? You bet it could” (Può questo effetto di ritorno della globalizzazione davvero accadere qui, negli Stati Uniti d’America? Potete scommetterci, può!).
Ed ha proprio ragione, posso confermarlo anch’io dopo 20 anni circa di residenza negli Usa: nonostante che la “Grande Recessione”, iniziata nel 2007, sia ormai soltanto un brutto ricordo negli Usa, le sacche di povertà non sono svanite. Nonostante le perdite della Borsa siano state ampiamente recuperate e il sistema delle imprese abbia conosciuto negli ultimi quindici anni (malgrado due grandi recessioni) un miracolo economico senza precedenti, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è tuttora l’unico fenomeno economico e sociale che cresce imperterrito.
Nella ricchissima America che ha già superato brillantemente la crisi (al contrario dell’Europa che non ce la fa proprio ad uscirne) pochi ricchissimi ridono mentre il popolo, in proporzione sempre maggiore, piange!
E’ sempre Sanders a dire: “Despite major increases in productivity, the median male worker in America today is making $726 dollars less than he did in 1973, while the median female worker is making $1,154 less than she did in 2007, after adjusting for inflation. Nearly 47 million Americans live in poverty” (Nonostante l’elevata crescita della produttività, il lavoratore mediano americano guadagna oggi 726 dollari in meno che nel 1973. E per le femmine il disavanzo sale a 1154 dollari rispetto al 2007. Ancora oggi circa 47 milioni di americani vivono in povertà).
“Let’s be clear. The global economy is not working for the majority of people in our country and the world. This is an economic model developed by the economic elite to benefit the economic elite. We need real change” (Parliamoci chiaro: la globalizzazione non opera in favore della maggioranza della popolazione, questo modello economico è stato sviluppato dalle elite per le elite. Occorre un reale cambiamento).
Poi Sanders prosegue dicendo che non serve l’iper-nazionalsmo di certi partiti o politici, serve un presidente che lavori davvero per realizzare le conquiste democratiche per il popolo, non per Wall Street o per le imprese farmaceutiche o per gli altri grandi interessi privati. Occorre anche rigettare risolutamente le grandi politiche del “Free Trade” (N.a.f.t.a., T.p.p., T.t.i.p., ecc.) e adottare invece il “Fear Trade” (il commercio buono, ovvero quello che favorisce la produzione locale e l’esportazione dei prodotti, non l’inverso). Perché i lavoratori americani non debbano competere contro lavoratori all’estero pagati pochi centesimi all’ora.
E continua dicendo che è indispensabile combattere l’evasione e l’elusione fiscale che consente alle grandi multinazionali di evadere o eludere il pagamento delle tasse, unico guadagno che potrebbe venire alle economie forti dalla globalizzazione del lavoro.
E molte altre vere riforme, solo accennate nell’articolo, egli propone a beneficio dei popoli.
Eppure tutto questo ancora non basta a vincere le barriere che l’establishment di destra e di sinistra americani, fiancheggiati contro di lui dal campione mondiale dei populisti moderni (Trump), hanno eretto per sconfiggere colui che sarebbe stato per loro il più pericoloso competitore.
Sanders conclude con quello che è il suo testamento politico e che purtroppo non potrà essere lui a gestire nelle vesti di presidente: “We must create national and global economies that work for all, not just a handful of billionaires” (Noi dobbiamo creare economie nazionali e globali che lavorino per tutti, non soltanto per una manciata di miliardari).
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
Non che il presidente Usa conti molto, come ci avevano fatto credere in passato, ma l'eventuale presenza futura (non che la Clinton sia meglio perché democratica) mette piuttosto a disagio per i destini del pianeta.
Sempre l'Espresso di questa settimana pubblica un articolo di Antonio Carlucci in cui si legge già nel titolo:
Donald il Gran Bugiardo
Un sito web ha analizzato 163 sue dichiarazioni; solo 3 sono vere.
Ecco una carellata di quelle false. Che lui difende: così acchiappo voti.
Questa esperienza noi l'abbiamo già fatta a partire dal 1994, con Silvietto Berlusconi e poi con il suo erede, il mega pallonaro Matteo Mussoloni-Bomba.
Se tanto mi dà tanto, sappiamo la fine che aspetta.
Sempre l'Espresso di questa settimana pubblica un articolo di Antonio Carlucci in cui si legge già nel titolo:
Donald il Gran Bugiardo
Un sito web ha analizzato 163 sue dichiarazioni; solo 3 sono vere.
Ecco una carellata di quelle false. Che lui difende: così acchiappo voti.
Questa esperienza noi l'abbiamo già fatta a partire dal 1994, con Silvietto Berlusconi e poi con il suo erede, il mega pallonaro Matteo Mussoloni-Bomba.
Se tanto mi dà tanto, sappiamo la fine che aspetta.
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
La Stampa 11.7.16
Così funziona il mercato nero dei trapianti
Al mercato nero 250 mila dollari per un rene
I grandi affari dei mercanti di organi
Dall’America Latina all’Europa dell’Est le rotte del commercio illegale dei trapianti In Cina mutilati i condannati a morte, amputazioni tra i migranti del Mediterraneo
di Antonio Maria Costa
Non c’è maggiore generosità. Un benefattore dona un proprio organo a qualcuno la cui sopravvivenza dipende dal suo trapianto.
Un altro samaritano autorizza nel testamento l’espianto di una parte del proprio corpo, post-mortem.
Gesti ripetuti nel mondo migliaia di volte l’anno: generosi, ma non sufficientemente frequenti. L’organizzazione Onu per la salute (Oms) stima che in Europa, Usa e Cina si trapiantino annualmente circa 20 mila organi, con una spesa aggregata di 1 miliardo di dollari l’anno in ciascuna regione (3500 trapianti in Italia nel 2015). Eppure le liste di attesa attestano una richiesta aggregata di 100 mila organi. In media, il fabbisogno è 5-8 volte superiore alla disponibilità.
Con la maggioranza della domanda di organi insoddisfatta, le opportunità di arricchimento, per chi non teme sanzione terrena né celeste, sono illimitate. L’umanità è trasformata in un immenso giacimento di tessuti organici, dal quale si estraggono reni, cornee, fegato, pancreas e, persino cuore e polmoni – offerti a prezzi esorbitanti, che riflettono l’ansia di pazienti disposti a pagare qualsiasi ammontare pur di avere l’innesto necessario alla sopravvivenza.
A sfruttare la miniera umana ci pensa la mafia internazionale, assistita da agenzie di viaggio, società di trasporto ed enti sanitari. Pur di lucrare sulla disgraziata necessità di malati ricchi, professionisti in camice bianco (chirurghi, anestesisti e urologi) non esitano a causare la diminuzione permanente nella condizione fisica del donatore – inevitabilmente povero e spesso involontario. I guadagni ammontano a 15-20 volte il capitale investito. All’espianto un organo vale 5-10 mila dollari. Il suo prezzo al trapianto raggiunge i 70-100 mila dollari, fino a 250 mila, a seconda dell’organo e soprattutto della lunghezza della lista di attesa.
Il terzo protocollo Onu contro la criminalità organizzata (la convenzione di Palermo), sanziona le origini criminali degli organi immessi sul mercato: movimenti migratori rendono i soggetti vulnerabili ad amputazioni forzate (i casi scoperti nel Mediterraneo); violenza su manodopera coatta per indurla a donare una parte del corpo; cessione contrattuale di un organo mai remunerata (in Africa); espianto forzato a degenti in ospedale per altra terapia (America Latina). Notorio è poi il commercio di organi asportati da avversari politici spariti nel nulla, da prigionieri di guerra appositamente assassinati (nei Balcani), e da cadaveri di condannati a morte (in Asia). Quando l’espianto è volontario, le vittime sono generalmente giovani, indigenti e inconsapevoli dei rischi: riduzione permanente dell’attività fisica a seguito dell’amputazione, inadeguata cura post-chirurgica, e condizioni psico-fisiche degradate fino alla morte.
Annunci online
La Convenzione del Consiglio d’Europa in materia (2014), protegge il sacrosanto diritto al trapianto eseguito rispettando le procedure. Eppure internet, che pubblicizza disponibilità, ubicazione e prezzi, mostra la globalità del contrabbando di organi. Informazioni desunte da Lexis/Nexis, MedLine e PubMed, oltre che da comuni motori di ricerca mostrano 2000 innesti illegali di reni in Pakistan negli ultimi anni, 3000 nelle Filippine, 500 in Egitto e diverse centinaia, recentemente, in Moldavia.
L’industria del trapianto consiste in una catena logistica dove l’efficienza nel raccordo tra donatore e recettore, sono fondamentali. Le opzioni sono tre: il donatore raggiunge il malato; oppure quest’ultimo e i suoi medici viaggiano per incontrare il donatore; oppure l’organo è trasportato tra i due. Problemi di frontiera (visti d’ingresso) ostacolano la prima opzione: i donatori dal terzo mondo hanno difficoltà nel raggiungere i malati nei paesi ricchi. Il terzo caso è più frequente ora, grazie alla migliore farmacologia anti-rigetto. La seconda opzione, nota come turismo del trapianto, coinvolge il malato e i suoi professionisti: l’intera squadra raggiunge il donatore, complici autorità corrotte, al fine di ridurre il rischio di deterioramento dei tessuti nel trasporto.
I profitti nelle cliniche
In Kosovo, il cui primo ministro è accusato di omicidi di prigionieri serbi a scopo di trapianto, diversi medici sono stati identificati per innesti illegali da vittime russe e moldave. In Sudafrica centinaia di trapianti illegali su ricchi occidentali hanno accumulato un profitto milionario in cliniche locali. In Usa recenti indagini hanno identificato 110 trapianti su cittadini americani, eseguiti in 18 paesi esteri.
Susumu Shimazono, il maggiore esperto in materia, stima che il 10% dei trapianti effettuati nel mondo comportano organi trafficati, con il coinvolgimento di malati di oltre 100 nazionalità: 700 dall’Arabia Saudita, 450 da Taiwan, 131 in Malesia, migliaia da Australia e Giappone. Pur se orrende, queste sono probabilmente una sottovalutazione: qualche anno addietro, nella sola Cina sono stati fatti 11 mila espianti da cadaveri di condannati a morte (molteplici asportazioni dallo stesso corpo sono comuni).
I Principi Guida dell’Oms sanciscono che «il corpo umano, e ogni parte di esso, non possono essere fonte di lucro». In ossequio, i paesi non sanzionano né donatori, che perdono parte del corpo, né recettori, per lo più inconsapevoli dell’approvvigionamento clandestino dell’organo. Il destinatario delle sanzioni è l’intermediario criminale che, con inganno o violenza, mercifica il corpo umano. I trafficanti di migranti nel Mediterraneo sono tra essi.
Così funziona il mercato nero dei trapianti
Al mercato nero 250 mila dollari per un rene
I grandi affari dei mercanti di organi
Dall’America Latina all’Europa dell’Est le rotte del commercio illegale dei trapianti In Cina mutilati i condannati a morte, amputazioni tra i migranti del Mediterraneo
di Antonio Maria Costa
Non c’è maggiore generosità. Un benefattore dona un proprio organo a qualcuno la cui sopravvivenza dipende dal suo trapianto.
Un altro samaritano autorizza nel testamento l’espianto di una parte del proprio corpo, post-mortem.
Gesti ripetuti nel mondo migliaia di volte l’anno: generosi, ma non sufficientemente frequenti. L’organizzazione Onu per la salute (Oms) stima che in Europa, Usa e Cina si trapiantino annualmente circa 20 mila organi, con una spesa aggregata di 1 miliardo di dollari l’anno in ciascuna regione (3500 trapianti in Italia nel 2015). Eppure le liste di attesa attestano una richiesta aggregata di 100 mila organi. In media, il fabbisogno è 5-8 volte superiore alla disponibilità.
Con la maggioranza della domanda di organi insoddisfatta, le opportunità di arricchimento, per chi non teme sanzione terrena né celeste, sono illimitate. L’umanità è trasformata in un immenso giacimento di tessuti organici, dal quale si estraggono reni, cornee, fegato, pancreas e, persino cuore e polmoni – offerti a prezzi esorbitanti, che riflettono l’ansia di pazienti disposti a pagare qualsiasi ammontare pur di avere l’innesto necessario alla sopravvivenza.
A sfruttare la miniera umana ci pensa la mafia internazionale, assistita da agenzie di viaggio, società di trasporto ed enti sanitari. Pur di lucrare sulla disgraziata necessità di malati ricchi, professionisti in camice bianco (chirurghi, anestesisti e urologi) non esitano a causare la diminuzione permanente nella condizione fisica del donatore – inevitabilmente povero e spesso involontario. I guadagni ammontano a 15-20 volte il capitale investito. All’espianto un organo vale 5-10 mila dollari. Il suo prezzo al trapianto raggiunge i 70-100 mila dollari, fino a 250 mila, a seconda dell’organo e soprattutto della lunghezza della lista di attesa.
Il terzo protocollo Onu contro la criminalità organizzata (la convenzione di Palermo), sanziona le origini criminali degli organi immessi sul mercato: movimenti migratori rendono i soggetti vulnerabili ad amputazioni forzate (i casi scoperti nel Mediterraneo); violenza su manodopera coatta per indurla a donare una parte del corpo; cessione contrattuale di un organo mai remunerata (in Africa); espianto forzato a degenti in ospedale per altra terapia (America Latina). Notorio è poi il commercio di organi asportati da avversari politici spariti nel nulla, da prigionieri di guerra appositamente assassinati (nei Balcani), e da cadaveri di condannati a morte (in Asia). Quando l’espianto è volontario, le vittime sono generalmente giovani, indigenti e inconsapevoli dei rischi: riduzione permanente dell’attività fisica a seguito dell’amputazione, inadeguata cura post-chirurgica, e condizioni psico-fisiche degradate fino alla morte.
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La Convenzione del Consiglio d’Europa in materia (2014), protegge il sacrosanto diritto al trapianto eseguito rispettando le procedure. Eppure internet, che pubblicizza disponibilità, ubicazione e prezzi, mostra la globalità del contrabbando di organi. Informazioni desunte da Lexis/Nexis, MedLine e PubMed, oltre che da comuni motori di ricerca mostrano 2000 innesti illegali di reni in Pakistan negli ultimi anni, 3000 nelle Filippine, 500 in Egitto e diverse centinaia, recentemente, in Moldavia.
L’industria del trapianto consiste in una catena logistica dove l’efficienza nel raccordo tra donatore e recettore, sono fondamentali. Le opzioni sono tre: il donatore raggiunge il malato; oppure quest’ultimo e i suoi medici viaggiano per incontrare il donatore; oppure l’organo è trasportato tra i due. Problemi di frontiera (visti d’ingresso) ostacolano la prima opzione: i donatori dal terzo mondo hanno difficoltà nel raggiungere i malati nei paesi ricchi. Il terzo caso è più frequente ora, grazie alla migliore farmacologia anti-rigetto. La seconda opzione, nota come turismo del trapianto, coinvolge il malato e i suoi professionisti: l’intera squadra raggiunge il donatore, complici autorità corrotte, al fine di ridurre il rischio di deterioramento dei tessuti nel trasporto.
I profitti nelle cliniche
In Kosovo, il cui primo ministro è accusato di omicidi di prigionieri serbi a scopo di trapianto, diversi medici sono stati identificati per innesti illegali da vittime russe e moldave. In Sudafrica centinaia di trapianti illegali su ricchi occidentali hanno accumulato un profitto milionario in cliniche locali. In Usa recenti indagini hanno identificato 110 trapianti su cittadini americani, eseguiti in 18 paesi esteri.
Susumu Shimazono, il maggiore esperto in materia, stima che il 10% dei trapianti effettuati nel mondo comportano organi trafficati, con il coinvolgimento di malati di oltre 100 nazionalità: 700 dall’Arabia Saudita, 450 da Taiwan, 131 in Malesia, migliaia da Australia e Giappone. Pur se orrende, queste sono probabilmente una sottovalutazione: qualche anno addietro, nella sola Cina sono stati fatti 11 mila espianti da cadaveri di condannati a morte (molteplici asportazioni dallo stesso corpo sono comuni).
I Principi Guida dell’Oms sanciscono che «il corpo umano, e ogni parte di esso, non possono essere fonte di lucro». In ossequio, i paesi non sanzionano né donatori, che perdono parte del corpo, né recettori, per lo più inconsapevoli dell’approvvigionamento clandestino dell’organo. Il destinatario delle sanzioni è l’intermediario criminale che, con inganno o violenza, mercifica il corpo umano. I trafficanti di migranti nel Mediterraneo sono tra essi.
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
camillobenso ha scritto:La Stampa 11.7.16
Così funziona il mercato nero dei trapianti
Al mercato nero 250 mila dollari per un rene
I grandi affari dei mercanti di organi
Dall’America Latina all’Europa dell’Est le rotte del commercio illegale dei trapianti In Cina mutilati i condannati a morte, amputazioni tra i migranti del Mediterraneo
di Antonio Maria Costa
Non c’è maggiore generosità. Un benefattore dona un proprio organo a qualcuno la cui sopravvivenza dipende dal suo trapianto.
Un altro samaritano autorizza nel testamento l’espianto di una parte del proprio corpo, post-mortem.
Gesti ripetuti nel mondo migliaia di volte l’anno: generosi, ma non sufficientemente frequenti. L’organizzazione Onu per la salute (Oms) stima che in Europa, Usa e Cina si trapiantino annualmente circa 20 mila organi, con una spesa aggregata di 1 miliardo di dollari l’anno in ciascuna regione (3500 trapianti in Italia nel 2015). Eppure le liste di attesa attestano una richiesta aggregata di 100 mila organi. In media, il fabbisogno è 5-8 volte superiore alla disponibilità.
Con la maggioranza della domanda di organi insoddisfatta, le opportunità di arricchimento, per chi non teme sanzione terrena né celeste, sono illimitate. L’umanità è trasformata in un immenso giacimento di tessuti organici, dal quale si estraggono reni, cornee, fegato, pancreas e, persino cuore e polmoni – offerti a prezzi esorbitanti, che riflettono l’ansia di pazienti disposti a pagare qualsiasi ammontare pur di avere l’innesto necessario alla sopravvivenza.
A sfruttare la miniera umana ci pensa la mafia internazionale, assistita da agenzie di viaggio, società di trasporto ed enti sanitari. Pur di lucrare sulla disgraziata necessità di malati ricchi, professionisti in camice bianco (chirurghi, anestesisti e urologi) non esitano a causare la diminuzione permanente nella condizione fisica del donatore – inevitabilmente povero e spesso involontario. I guadagni ammontano a 15-20 volte il capitale investito. All’espianto un organo vale 5-10 mila dollari. Il suo prezzo al trapianto raggiunge i 70-100 mila dollari, fino a 250 mila, a seconda dell’organo e soprattutto della lunghezza della lista di attesa.
Il terzo protocollo Onu contro la criminalità organizzata (la convenzione di Palermo), sanziona le origini criminali degli organi immessi sul mercato: movimenti migratori rendono i soggetti vulnerabili ad amputazioni forzate (i casi scoperti nel Mediterraneo); violenza su manodopera coatta per indurla a donare una parte del corpo; cessione contrattuale di un organo mai remunerata (in Africa); espianto forzato a degenti in ospedale per altra terapia (America Latina). Notorio è poi il commercio di organi asportati da avversari politici spariti nel nulla, da prigionieri di guerra appositamente assassinati (nei Balcani), e da cadaveri di condannati a morte (in Asia). Quando l’espianto è volontario, le vittime sono generalmente giovani, indigenti e inconsapevoli dei rischi: riduzione permanente dell’attività fisica a seguito dell’amputazione, inadeguata cura post-chirurgica, e condizioni psico-fisiche degradate fino alla morte.
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La Convenzione del Consiglio d’Europa in materia (2014), protegge il sacrosanto diritto al trapianto eseguito rispettando le procedure. Eppure internet, che pubblicizza disponibilità, ubicazione e prezzi, mostra la globalità del contrabbando di organi. Informazioni desunte da Lexis/Nexis, MedLine e PubMed, oltre che da comuni motori di ricerca mostrano 2000 innesti illegali di reni in Pakistan negli ultimi anni, 3000 nelle Filippine, 500 in Egitto e diverse centinaia, recentemente, in Moldavia.
L’industria del trapianto consiste in una catena logistica dove l’efficienza nel raccordo tra donatore e recettore, sono fondamentali. Le opzioni sono tre: il donatore raggiunge il malato; oppure quest’ultimo e i suoi medici viaggiano per incontrare il donatore; oppure l’organo è trasportato tra i due. Problemi di frontiera (visti d’ingresso) ostacolano la prima opzione: i donatori dal terzo mondo hanno difficoltà nel raggiungere i malati nei paesi ricchi. Il terzo caso è più frequente ora, grazie alla migliore farmacologia anti-rigetto. La seconda opzione, nota come turismo del trapianto, coinvolge il malato e i suoi professionisti: l’intera squadra raggiunge il donatore, complici autorità corrotte, al fine di ridurre il rischio di deterioramento dei tessuti nel trasporto.
I profitti nelle cliniche
In Kosovo, il cui primo ministro è accusato di omicidi di prigionieri serbi a scopo di trapianto, diversi medici sono stati identificati per innesti illegali da vittime russe e moldave. In Sudafrica centinaia di trapianti illegali su ricchi occidentali hanno accumulato un profitto milionario in cliniche locali. In Usa recenti indagini hanno identificato 110 trapianti su cittadini americani, eseguiti in 18 paesi esteri.
Susumu Shimazono, il maggiore esperto in materia, stima che il 10% dei trapianti effettuati nel mondo comportano organi trafficati, con il coinvolgimento di malati di oltre 100 nazionalità: 700 dall’Arabia Saudita, 450 da Taiwan, 131 in Malesia, migliaia da Australia e Giappone. Pur se orrende, queste sono probabilmente una sottovalutazione: qualche anno addietro, nella sola Cina sono stati fatti 11 mila espianti da cadaveri di condannati a morte (molteplici asportazioni dallo stesso corpo sono comuni).
I Principi Guida dell’Oms sanciscono che «il corpo umano, e ogni parte di esso, non possono essere fonte di lucro». In ossequio, i paesi non sanzionano né donatori, che perdono parte del corpo, né recettori, per lo più inconsapevoli dell’approvvigionamento clandestino dell’organo. Il destinatario delle sanzioni è l’intermediario criminale che, con inganno o violenza, mercifica il corpo umano. I trafficanti di migranti nel Mediterraneo sono tra essi.
LIBRE news
Traffico di organi nel Kosovo controllato dalla Nato
Scritto il 26/7/10 • nella Categoria: LIBRE friends, Recensioni Condividi
Centomila euro: è il valore di un rene – umano – sul mercato nero. Quello del traffico di organi è uno dei business su cui si regge l’economia criminale del Kosovo, la cui indipendenza affrettata dagli Usa è stata appena convalidata dall’Onu, nonostante l’opposizione della Serbia. Il Kosovo, “liberato” dieci anni fa dalla Nato e affidato alla debole amministrazione delle Nazioni Unite, è il terreno di caccia ideale per i “lupi nella nebbia”, gli sciacalli del narcotraffico che, smesse le uniformi indipendentiste dell’Uck, ora governano l’ex regione serba sotto la protezione degli Usa, che vi hanno installato una gigantesca base militare. Il Kosovo? Armi e mafia, moltissima droga e, appunto, traffico di organi.
E’ la tesi del libro-denuncia “Lupi nella nebbia” dei giornalisti italiani Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano (“Il Kosovo: ostaggio di mafie e Usa”) uck 2edito da JacaBook. Un reportage sconvolgente, su una realtà di cui nessuno vuole parlare: il Kosovo affidato alla gestione criminale dei clan, in cambio del controllo geopolitico dell’area-chiave dei Balcani. «Senza tacere le atrocità commesse dalle truppe serbe di Milosevic contro la popolazione albanese – afferma Giuseppe Ciulla, freelance con all’attivo diverse trasmissioni Rai – il libro accende i riflettori su una parte della verità che ci viene negata: finora in Occidente abbiamo sempre considerato “buoni” gli albanesi e “cattivi” i serbi, senza sapere che non la popolazione, ma i clan albanesi legittimati da Nato e Onu non sono i “buoni”, ma pericolosi criminali».
Il libro non mette sotto accusa l’Uck in quanto esercito albanese di liberazione del Kosovo, ma solo alcune sue componenti, le più spietatate: banditi senza scrupoli, che nel 1999 si travestirono da guerrieri nazionalisti per meglio controllare il territorio e sviluppare le loro attività illecite: tratta di prostitute, partite di armi, affari milionari con l’eroina e traffico di organi. “Lupi nella nebbia” rivela il coinvolgimento della Medicus, una clinica privata gestita da un urologo «molto vicino all’attuale premier kosovaro, Hashim Thaçi». Il medico è stato arrestato perché i giudici della missione europea hanno scoperto che dirigeva il traffico di organi. Una scoperta sala operatoriacasuale: al momento dell’imbarco, all’aeroporto, un turco svenne davanti agli agenti. Ricoverato, confessò di aver subito l’asportazione di un rene in cambio di appena 2.000 euro.
«Un rene – spiega Ciulla – sul mercato nero frutta circa 100.000 euro. Gli investigatori dell’Unione Europea ci hanno detto che questa è una pratica accertata in 5 casi, ma ci sono altri 25 casi sospetti: ci sono molti occidentali, soprattutto americani, e anche israeliani, che alimentano questo mercato nero». Quello che Ciulla e Romano hanno scoperto, e che pubblicano nel libro, è che l’indagine sul traffico di organi in Kosovo è emersa agli inizi del 2009.
Una barbarie che poteva essere interrotta già alcuni anni prima, quando un’unità speciale delle Nazioni Unite, la Fiu (Financial Investigation Unit) aveva scoperto che quella clinica faceva richieste eccessive di plasma alla banca del sangue di Pristina. «Si erano domandati perché richiedessero così tanto sangue e hanno sollecitato le Nazioni Unite ad approfondire le indagini uck 1e aumentare i controlli – dice Ciulla – ma poi non è stato fatto niente: per anni la pratica è rimasta in un cassetto, fin quando quel turco non è svenuto all’aeroporto».
La pratica del traffico di organi era già stata scoperta (e investigata) da Carla Del Ponte, l’alto magistrato per la Corte Internazionale dell’Aia che ha portato sul banco degli imputati anche Ramush Haradinaj. Direttamente in Albania, a Barrel, la Del Ponte aveva inoltre individuato una centrale dell’orrore, la “casa gialla” (Yellow House), dove durante la guerra «venivano asportati gli organi non solo a militari serbi, ma anche a presunti collaborazionisti kosovaro–albanesi», riferiscono Ciulla e Romano. «Questa pratica è continuata evidentemente anche durante la fallimentare gestione del protettorato Onu».
Perché è importante parlare di Kosovo oggi? «Perché ci insegna come non comportarci», risponde Romano: «Se continuiamo ad andare in guerra, lupi nella nebbia coverbombardare uno Stato, allearci con i criminali sul posto, i trafficanti di eroina, e poi gestire il territorio tramite il controllo di questi “signori della guerra”, non siamo in una situazione post conflitto, ma pre-conflitto, perché creiamo ingiustizie destinate ad esplodere». Un’analisi amara: «Oggi, dopo dieci anni, il Kosovo è un territorio povero, amministrato dalla mafia, tenuto calmo solo dai soldi dell’Unione Europea e dai militari della Nato. Più che una situazione post-bellica, sembra uno scenario che prelude ad un altro conflitto: se continueremo ad allearci coi criminali facendoli alleati dell’Occidente, prima o poi anche la popolazione civile vedrà nell’Occidente un nemico».
(Il libro: Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano, “Lupi nella nebbia – Kosovo: l’Onu ostaggio di mafie e Usa”, JacaBook, 151 pagine, 14 euro).
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
Scontro fra treni nel Barese: almeno 20 morti
Delrio: “Ispettori al lavoro per capire le cause”
Frontale tra due convogli in un tratto a binario unico di Ferrovie nord Barese, tra Corato e Andria
“Molti feriti gravi”. Persone ancora bloccate tra le lamiere (ora per ora). TgNorba: “Errore umano” (video)
Cronaca
Scontro frontale tra due treni nel tratto Corato-Andria delle Ferrovie del Nord Barese, una linea utilizzata prevalentemente da studenti universitari e pendolari. Almeno 20 vittime e diverse decine di feriti. “Alcune carrozze sono completamente accartocciate e i soccorritori stanno ancora estraendo persone dalle lamiere”, spiega il comandante dei vigili urbani di Andria: “C’è ancora molto da fare”. Il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio sul posto: “Ispettori al lavoro, faremo una commissione di indagine per accertare le responsabilità”
^^^^^^
Puglia, scontro frontale tra due treni nel tratto a binario unico tra Corato e Andria. Venti morti, decine di feriti
(con foto)
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... e/2899246/
Delrio: “Ispettori al lavoro per capire le cause”
Frontale tra due convogli in un tratto a binario unico di Ferrovie nord Barese, tra Corato e Andria
“Molti feriti gravi”. Persone ancora bloccate tra le lamiere (ora per ora). TgNorba: “Errore umano” (video)
Cronaca
Scontro frontale tra due treni nel tratto Corato-Andria delle Ferrovie del Nord Barese, una linea utilizzata prevalentemente da studenti universitari e pendolari. Almeno 20 vittime e diverse decine di feriti. “Alcune carrozze sono completamente accartocciate e i soccorritori stanno ancora estraendo persone dalle lamiere”, spiega il comandante dei vigili urbani di Andria: “C’è ancora molto da fare”. Il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio sul posto: “Ispettori al lavoro, faremo una commissione di indagine per accertare le responsabilità”
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Puglia, scontro frontale tra due treni nel tratto a binario unico tra Corato e Andria. Venti morti, decine di feriti
(con foto)
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... e/2899246/
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Re: DI TUTTO E DI PIU'
TG DELLE 19,00 E DELLE 20,00, MATTARELLA VUOL SAPERE.
ADESSO SAPPIAMO, E VEDIAMO DOMANI SE AVRA' IL CORAGGIO DI CHIEDERE GIUSTIZIA.
Scontro treni Puglia, “raddoppio linea entro il 30 giugno 2015″. Ma i lavori, finanziati dalla Ue con 180 milioni, non sono mai partiti
Cronaca
Il cantiere per la duplicazione dei 12 chilometri della linea finanziato quasi interamente dall'Europa quattro anni fa con 33 milioni di euro, parte di una erogazione complessiva di 180 milioni. Fallito il cronoprogramma - "per motivi burocratici", dice oggi Ferrotramviaria - la Regione ha riprogrammato i lavori, spostandoli dai Fondi Europei 2007-2013 al 2014-2020. Ma ad oggi l'appalto non è stato ancora assegnato
di Andrea Tundo | 12 luglio 2016
COMMENTI (9)
379
Più informazioni su: Puglia, Regione Puglia, Treni
Ci sono tre date impresse nei documenti ancora disponibili sul sito delle Ferrovie Nord Barese: “Raddoppio linea ferroviaria Corato-Andria. Inizio lavori martedì 1/1/2013, fine martedì 30/6/2015. Termine collaudo 1/10/15”. I due treni avrebbero potuto viaggiare su due binari diversi, se i tempi fossero stati rispettati. Invece i lavori non sono ancora iniziati. Perché il “Grande Progetto” per l’adeguamento ferroviario dell’area metropolitana del nord barese è in ballo dal 2007, per un costo complessivo di 180 milioni di euro e non ha ancora visto la fine.
Progetto - 2“Intoppi burocratici hanno provocato gravi ritardi”, spiega un dirigente della Ferrotramviaria a ilfattoquotidiano.it. Così le opere di raddoppio, velocizzazione e potenziamento nella tratta tra Corato e Barletta, all’interno della quale ricade il punto dello scontro frontale di martedì mattina, sono fermi. Meglio, si muovono molto lentamente.
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Al momento siamo alla presentazione delle offerte relative alla gara di appalto per la progettazione e l’esecuzione dei lavori per il raddoppio della tratta Corato-Andria. Il bando è stato pubblicato da Ferrotramviaria lo scorso 19 aprile e sarebbe dovuto scadere a giugno, ma è stata disposta una proroga fino al 19 luglio. È tutto nella home page del sito di Ferrotramviaria, compreso l’importo di partenza per quei dodici chilometri scarsi di nuovi binari: 33 milioni e 427mila euro.
Progetto - 1Tre anni e mezzo di ritardo, visto che secondo il primo cronoprogramma l’espletamento della procedura di gara avrebbero dovuto concludersi il 31 dicembre 2012. Il piano d’intervento era stato finanziato dall’Unione Europea il 27 aprile di quattro anni fa. Ma poi si è proceduto a fatica. Tanto che il 10 luglio 2014 una deliberazione di giunta della Regione ha riprogrammato il raddoppio della Corato-Andria dividendolo in due lotti e spostandolo dai Fondi Europei 2007-2013 al 2014-2020. Il motivo? “Da una serie di incontri tenuti con il beneficiario – si legge nella delibera – è risultato che l’acquisizione dei pareri richiesti dalle norme vigenti, ivi compresi gli adempimenti a cura delle amministrazioni locali interessate dal suddetto intervento, ha determinato un allungamento imprevisto della fase istruttoria propedeutica all’avvio delle attività di realizzazione dell’intervento”. Secondo la Regione, insomma, la colpa sarebbe dei Comuni.Progetto - 3
Un progetto molto importante, perché il tratto Barletta-Bari gestito da Ferrotramviaria permette ai cittadini del nord barese di spostarsi verso il capoluogo e ai turisti di arrivare direttamente all’aeroporto di Palese. La linea ha subito un’impennata di passeggeri da quando esiste una fermata all’interno dello scalo di Bari e da lì alla stazione delle Ferrovie dello Stato. Tante le opere previste oltre al raddoppio della Corato-Andria, alcune già completate: l’interramento di alcuni tratti e nuove stazioni ad Andria, parcheggi di scambio a Enziteto, Bitonto, Ruvo e Fesca-San Girolamo per un totale di 180 milioni di spesa, quasi interamente finanziati dall’Unione Europea.
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Eppure le procedure per arrivare al raddoppio degli 11,6 chilometri tra Corato e Andria, luogo dell’incidente, procedono con lentezza. Tanto che a giugno 2013, l’onorevole pentastellato Giuseppe D’Ambrosio, andriese di nascita, aveva scritto al ministro Delrio. Poiché “il collaudo, per problematiche connesse al finanziamento, dovrà essere effettuato entro il 2015”, scriveva D’Ambrosio a Delrio, “se intenda verificare che non vi siano motivi ostativi, anche in sede europea, alla cantierizzazione dei lavori, se si intenda porre in essere ogni opportuna iniziativa, per quanto di competenza per agevolare la realizzazione di questa strategica infrastruttura ferroviaria”. Tre anni dopo, “il ministro non ha mai risposto”, dice ora D’Ambrosio a ilfattoquotidiano.it. E i lavori, che dovevano essere finiti, non sono ancora partiti.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... i/2900976/
ADESSO SAPPIAMO, E VEDIAMO DOMANI SE AVRA' IL CORAGGIO DI CHIEDERE GIUSTIZIA.
Scontro treni Puglia, “raddoppio linea entro il 30 giugno 2015″. Ma i lavori, finanziati dalla Ue con 180 milioni, non sono mai partiti
Cronaca
Il cantiere per la duplicazione dei 12 chilometri della linea finanziato quasi interamente dall'Europa quattro anni fa con 33 milioni di euro, parte di una erogazione complessiva di 180 milioni. Fallito il cronoprogramma - "per motivi burocratici", dice oggi Ferrotramviaria - la Regione ha riprogrammato i lavori, spostandoli dai Fondi Europei 2007-2013 al 2014-2020. Ma ad oggi l'appalto non è stato ancora assegnato
di Andrea Tundo | 12 luglio 2016
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Più informazioni su: Puglia, Regione Puglia, Treni
Ci sono tre date impresse nei documenti ancora disponibili sul sito delle Ferrovie Nord Barese: “Raddoppio linea ferroviaria Corato-Andria. Inizio lavori martedì 1/1/2013, fine martedì 30/6/2015. Termine collaudo 1/10/15”. I due treni avrebbero potuto viaggiare su due binari diversi, se i tempi fossero stati rispettati. Invece i lavori non sono ancora iniziati. Perché il “Grande Progetto” per l’adeguamento ferroviario dell’area metropolitana del nord barese è in ballo dal 2007, per un costo complessivo di 180 milioni di euro e non ha ancora visto la fine.
Progetto - 2“Intoppi burocratici hanno provocato gravi ritardi”, spiega un dirigente della Ferrotramviaria a ilfattoquotidiano.it. Così le opere di raddoppio, velocizzazione e potenziamento nella tratta tra Corato e Barletta, all’interno della quale ricade il punto dello scontro frontale di martedì mattina, sono fermi. Meglio, si muovono molto lentamente.
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Al momento siamo alla presentazione delle offerte relative alla gara di appalto per la progettazione e l’esecuzione dei lavori per il raddoppio della tratta Corato-Andria. Il bando è stato pubblicato da Ferrotramviaria lo scorso 19 aprile e sarebbe dovuto scadere a giugno, ma è stata disposta una proroga fino al 19 luglio. È tutto nella home page del sito di Ferrotramviaria, compreso l’importo di partenza per quei dodici chilometri scarsi di nuovi binari: 33 milioni e 427mila euro.
Progetto - 1Tre anni e mezzo di ritardo, visto che secondo il primo cronoprogramma l’espletamento della procedura di gara avrebbero dovuto concludersi il 31 dicembre 2012. Il piano d’intervento era stato finanziato dall’Unione Europea il 27 aprile di quattro anni fa. Ma poi si è proceduto a fatica. Tanto che il 10 luglio 2014 una deliberazione di giunta della Regione ha riprogrammato il raddoppio della Corato-Andria dividendolo in due lotti e spostandolo dai Fondi Europei 2007-2013 al 2014-2020. Il motivo? “Da una serie di incontri tenuti con il beneficiario – si legge nella delibera – è risultato che l’acquisizione dei pareri richiesti dalle norme vigenti, ivi compresi gli adempimenti a cura delle amministrazioni locali interessate dal suddetto intervento, ha determinato un allungamento imprevisto della fase istruttoria propedeutica all’avvio delle attività di realizzazione dell’intervento”. Secondo la Regione, insomma, la colpa sarebbe dei Comuni.Progetto - 3
Un progetto molto importante, perché il tratto Barletta-Bari gestito da Ferrotramviaria permette ai cittadini del nord barese di spostarsi verso il capoluogo e ai turisti di arrivare direttamente all’aeroporto di Palese. La linea ha subito un’impennata di passeggeri da quando esiste una fermata all’interno dello scalo di Bari e da lì alla stazione delle Ferrovie dello Stato. Tante le opere previste oltre al raddoppio della Corato-Andria, alcune già completate: l’interramento di alcuni tratti e nuove stazioni ad Andria, parcheggi di scambio a Enziteto, Bitonto, Ruvo e Fesca-San Girolamo per un totale di 180 milioni di spesa, quasi interamente finanziati dall’Unione Europea.
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Eppure le procedure per arrivare al raddoppio degli 11,6 chilometri tra Corato e Andria, luogo dell’incidente, procedono con lentezza. Tanto che a giugno 2013, l’onorevole pentastellato Giuseppe D’Ambrosio, andriese di nascita, aveva scritto al ministro Delrio. Poiché “il collaudo, per problematiche connesse al finanziamento, dovrà essere effettuato entro il 2015”, scriveva D’Ambrosio a Delrio, “se intenda verificare che non vi siano motivi ostativi, anche in sede europea, alla cantierizzazione dei lavori, se si intenda porre in essere ogni opportuna iniziativa, per quanto di competenza per agevolare la realizzazione di questa strategica infrastruttura ferroviaria”. Tre anni dopo, “il ministro non ha mai risposto”, dice ora D’Ambrosio a ilfattoquotidiano.it. E i lavori, che dovevano essere finiti, non sono ancora partiti.
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