IL LAVORO

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camillobenso
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Re: IL LAVORO

Messaggio da camillobenso »

È finita la droga del Jobs Act: ​crollano le assunzioni stabili
Le imprese frenano dopo il taglio degli incentivi: 77% in meno rispetto al 2015. Brunetta attacca Renzi: "Adesso si torna dalla dura realtà"


Sergio Rame - Mer, 18/05/2016 - 14:11
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Il mercato del lavoro boccia Matteo Renzi. Nei primi tre mesi del 2016, stando ai numeri dell'Osservatorio sul precariato dell'Inps, sono stati stipulati 428.584 contratti a tempo indeterminato mentre le cessazioni, sempre di contratti a tempo indeterminato, sono state 377.497 con un saldo positivo di 51.087 unità.


"Il dato - rileva l'Inps - è peggiore del 77% rispetto al saldo positivo di 224.929 contratti stabili dei primi tre mesi 2015 e risente della riduzione degli incentivi sui contratti stabili". Il dato è peggiore anche del 2014. "I dati confermano le nostre amare ma purtroppo realistiche previsioni - commenta Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, - finita parzialmente la droga dal Jobs Act, che per tutto il 2015 ha distribuito a pioggia incentivi sui contratti stabili, adesso si torna dalla dura realtà".

Nei primi tre mesi del 2016 le assunzioni complessive attivate dai datori di lavoro privati, comprese quindi le assunzioni a termine sono state 1.187.854 a fronte di 946.729 cessazioni totali. "Nel periodo - rileva l'Inps - la variazione netta dei rapporti di lavoro subordinato è stata positiva per 241.125 unità, dato inferiore del 26% rispetto allo stesso periodo del 2015 quando erano in vigore incentivi all'assunzione stabile più consistenti". Complessivamente le assunzioni nel periodo gennaio-marzo 2016 sono risultate 1,18 milioni con un calo di 176mila unità rispetto allo stesso periodo del 2015 (-12,9%). Questo rallentamento ha coinvolto essenzialmente i contratti a tempo indeterminato (-162mila, pari a -33,4%). Per i contratti a tempo determinato nel primo trimestre del 2016 si registrano 814mila assunzioni, una dimensione del tutto analoga a quella degli anni precedenti (-1,7% sul 2015 e -1,1% sul 2014). Le assunzioni con contratto di apprendistato sono state quasi 50mila, stabili rispetto al 2015. Le cessazioni risultano diminuite dell'8,8%. Per quelle a tempo indeterminato, invece, la riduzione è pari al 5,3%. Le dinamiche descritte consentono di registrare, per il trimestre gennaio-marzo 2016 un saldo, tra assunzioni e cessazioni (+241mila), inferiore a quello del corrispondente trimestre del 2015 (+326mila). Tale differenza è totalmente attribuibile alle posizioni di lavoro a tempo indeterminato. "Su base annua - sottolinea l'Inps - il saldo consente di misurare la variazione tendenziale delle posizioni di lavoro".

Brunetta fa subito notare a Renzi che i numeri dell'Inps sono "addirittura peggiori anche rispetto al 2014". In compenso crescono, nello stesso lasso temporale, i voucher (+45,6%) che, come denuncia lo stesso Brunetta, vengono utilizzati "in modo inappropriato e incontrollato". "Quello di Renzi e Poletti si rivela ancora una volta un Flop Act - conclude il presidente del deputati azzurri - non hanno riformato il mercato del lavoro, hanno solo usato soldi pubblici per alterare in modo truffaldino i numeri sui contratti a tempo indeterminato. Che tristezza, che miseria per il nostro malandato Paese".

http://www.ilgiornale.it/news/economia/ ... 60369.html
camillobenso
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Re: IL LAVORO

Messaggio da camillobenso »

È finita la droga del Jobs Act: ​crollano le assunzioni stabili
Le imprese frenano dopo il taglio degli incentivi: 77% in meno rispetto al 2015. Brunetta attacca Renzi: "Adesso si torna dalla dura realtà"



Sergio Rame - Mer, 18/05/2016 - 14:11
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Il mercato del lavoro boccia Matteo Renzi. Nei primi tre mesi del 2016, stando ai numeri dell'Osservatorio sul precariato dell'Inps, sono stati stipulati 428.584 contratti a tempo indeterminato mentre le cessazioni, sempre di contratti a tempo indeterminato, sono state 377.497 con un saldo positivo di 51.087 unità.


"Il dato - rileva l'Inps - è peggiore del 77% rispetto al saldo positivo di 224.929 contratti stabili dei primi tre mesi 2015 e risente della riduzione degli incentivi sui contratti stabili". Il dato è peggiore anche del 2014. "I dati confermano le nostre amare ma purtroppo realistiche previsioni - commenta Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, - finita parzialmente la droga dal Jobs Act, che per tutto il 2015 ha distribuito a pioggia incentivi sui contratti stabili, adesso si torna dalla dura realtà".

Nei primi tre mesi del 2016 le assunzioni complessive attivate dai datori di lavoro privati, comprese quindi le assunzioni a termine sono state 1.187.854 a fronte di 946.729 cessazioni totali. "Nel periodo - rileva l'Inps - la variazione netta dei rapporti di lavoro subordinato è stata positiva per 241.125 unità, dato inferiore del 26% rispetto allo stesso periodo del 2015 quando erano in vigore incentivi all'assunzione stabile più consistenti". Complessivamente le assunzioni nel periodo gennaio-marzo 2016 sono risultate 1,18 milioni con un calo di 176mila unità rispetto allo stesso periodo del 2015 (-12,9%). Questo rallentamento ha coinvolto essenzialmente i contratti a tempo indeterminato (-162mila, pari a -33,4%). Per i contratti a tempo determinato nel primo trimestre del 2016 si registrano 814mila assunzioni, una dimensione del tutto analoga a quella degli anni precedenti (-1,7% sul 2015 e -1,1% sul 2014). Le assunzioni con contratto di apprendistato sono state quasi 50mila, stabili rispetto al 2015. Le cessazioni risultano diminuite dell'8,8%. Per quelle a tempo indeterminato, invece, la riduzione è pari al 5,3%. Le dinamiche descritte consentono di registrare, per il trimestre gennaio-marzo 2016 un saldo, tra assunzioni e cessazioni (+241mila), inferiore a quello del corrispondente trimestre del 2015 (+326mila). Tale differenza è totalmente attribuibile alle posizioni di lavoro a tempo indeterminato. "Su base annua - sottolinea l'Inps - il saldo consente di misurare la variazione tendenziale delle posizioni di lavoro".

Brunetta fa subito notare a Renzi che i numeri dell'Inps sono "addirittura peggiori anche rispetto al 2014". In compenso crescono, nello stesso lasso temporale, i voucher (+45,6%) che, come denuncia lo stesso Brunetta, vengono utilizzati "in modo inappropriato e incontrollato". "Quello di Renzi e Poletti si rivela ancora una volta un Flop Act - conclude il presidente del deputati azzurri - non hanno riformato il mercato del lavoro, hanno solo usato soldi pubblici per alterare in modo truffaldino i numeri sui contratti a tempo indeterminato. Che tristezza, che miseria per il nostro malandato Paese".

http://www.ilgiornale.it/news/economia/ ... 60369.html
lilly
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Re: IL LAVORO

Messaggio da lilly »

Fin dall'inizio era necessario diminuire il cuneo fiscale per il lavoro a tempo indeterminato e facendo in modo che quello flessibile costasse di più per effetto della diminuzione di quello indeterminato.Per il lavoro flessibile il reddito può essere più alto se si lasciano defluire parte di risparmi della spesa pubblica sulla retribuzione senza che il costo del lavoro lieviti.Questo evita che ci sia la precarietà e non si danneggiano i giovani che vogliono formare una famiglia.Il contratto a tutele crescenti non serve a niente bastava un'anno di prova e poi l'assunzione.In merito all'art 18 per i disciplinari erano sufficenti tre infrazioni semplici in un anno e per il gmo la reintegrazione nel caso dell'inesistenza della causa specificata che a differenza dell'insussistenza non dà origine ad incertezze interpretative.Poi si può mettere l'opting out del magistrato che se verifica che non esistono più le condizioni per rimanere in quell'azienda può dare l'indennizzo anziche la reintegrazione anche se il dipendente avrebbe diritto alla reintegrazione
camillobenso
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Re: IL LAVORO

Messaggio da camillobenso »

NELL'ITALIA DOVE E' TORNATO DI MODA IL "ME NE FREGO", UNA DOMANDA AL FORUM:

QUAL'E' IL PUNTO DI ROTTURA A TUTTO QUESTO????





Istat: “2,2 milioni di famiglie non hanno lavoro
Sei giovani su 10 ancora a casa dopo i trent’anni”

Rapporto 2016: cresce disuguaglianza. Occupazione migliora, ma poco: nel 2025 attesi livelli del 2010
Picco negativo delle nascite nel 2015. I minori pagano di più la crisi: 1 su 5 sotto la soglia di povertà

Società
Famiglie senza lavoro in aumento, una spesa sociale inefficiente, migliore solo di quella greca, una crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Questo è il quadro fornito dall’ultimo rapporto annuale dell’Istat, relativo al 2015. Ma l’istituto scatta la fotografia anche di una società italiana dove 6 giovani su 10 vivono ancora con i genitori, mentre uno su quattro non studia e non lavora. Il tutto in un contesto economico non certo esaltante, con un’inflazione molto debole e un mercato del lavoro incerto, anche se segnato da una leggera ripresa
camillobenso
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Re: IL LAVORO

Messaggio da camillobenso »

E MUSSOLONI SBRODOLONI, COME MAI FA FINTA DI NIENTE???????????????????????????????????????????





Istat: “2,2 milioni di famiglie senza lavoro. Spesa sociale inefficiente, peggio di noi solo la Grecia”
Società
Nel suo rapporto annuale 2016, l'istituto di statistica spiega che un minore su cinque è in condizione di povertà, mentre cresce la disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Sei giovani su 10 vivono a casa dai genitori, uno su quattro non studia e non lavora. E si prevede che nel 2025 il tasso di occupazione resti ai livelli del 2010
di F. Q. | 20 maggio 2016
COMMENTI (125)


Famiglie senza lavoro in aumento, una spesa sociale inefficiente, una crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito.


Questo è il quadro fornito dall’ultimo rapporto annuale dell’Istat, relativo al 2015.


Ma l’istituto scatta la fotografia anche di una società italiana dove 6 giovani su 10 vivono ancora con i genitori, mentre uno su quattro non studia e non lavora.


Il tutto in un contesto economico non certo esaltante, con un’inflazione molto debole e un mercato del lavoro incerto: nel 2015, l’istituto prevede che l’occupazione rimanga ferma a un livello simile al 2010.



Oltre 2 milioni di famiglie senza lavoro. Un minore su 5 in condizione di povertà - In Italia 2,2 milioni di famiglie vivono senza redditi da lavoro.


Le famiglie “jobless” sono passate dal 9,4% del 2004 al 14,2% dell’anno scorso e nel Mezzogiorno raggiungono il 24,5%, quasi un nucleo su quattro.


La quota scende all’8,2% al Nord e al 11,5% al Centro.


L’incremento ha riguardato le famiglie giovani rispetto alle adulte: tra le prime l’incidenza è raddoppiata dal 6,7% al 13%, tra le seconde è passata dal 12,7% al 15,1%.

I minori sono i soggetti che hanno pagato il prezzo più elevato della crisi in termini di povertà e deprivazione, scontando un peggioramento della loro condizione relativa anche rispetto alle generazioni più anziane.


L’incidenza di povertà relativa per i minori, che tra il 1997 e il 2011 aveva oscillato su valori attorno all’11-12%, ha raggiunto il 19% nel 2014.


Al contrario, tra gli anziani – che nel 1997 presentavano un’incidenza di povertà di oltre 5 punti percentuali superiore a quella dei minori – si è osservato un progressivo miglioramento che è proseguito fino al 2014 quando l’incidenza tra gli anziani è di 10 punti percentuali inferiore a quella dei più giovani.




La spesa sociale è inefficiente, peggio di noi solo la Grecia.
(E Mussoloni- Sbrodoloni tace- ndt)




E aumenta la disuguaglianza - Il sistema di protezione sociale italiano è tra quelli europei “uno dei meno efficaci“.


Lo rileva il Rapporto annuale Istat 2016, evidenziando come “la spesa pensionistica comprime il resto dei trasferimenti sociali”, aumentando il rischio povertà.



Nel 2014 il tasso delle persone a rischio si riduceva dopo il trasferimenti di 5,3 punti (dal 24,7% al 19,4%) a fronte di una riduzione media nell’Ue di 8,9 punti.



Solo in Grecia il sistema di aiuti è meno efficiente che in Italia.



In Italia, sottolinea l’Istat, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito (misurata attraverso l’indice di Gini sui redditi individuali lordi da lavoro) è aumentata da 0,40 a 0,51 tra il 1990 e il 2010; si tratta dell’incremento più alto tra i paesi per i quali sono disponibili i dati.


Sei giovani su 10 a casa dai genitori. Il 25% non studia e non lavora -


La generazione dei bamboccioni non molla: nel 2014 più di 6 giovani su 10 (62,5%) tra i 18 e i 34 anni hanno vissuto ancora a casa con i genitori.


Il dato ha riguardato nel 68% dei casi i ragazzi e nel 57% le ragazze.


Nel contesto europeo l’Italia si schiera quindi in pieno con le medie dei paesi mediterranei (“dove i legami sono ‘fortì”), a fronte di una media Ue del 48,1%.

Sono più di 2,3 milioni nel 2015 i giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione (Neet), di cui tre su quattro vorrebbero lavorare.


I Neet sono aumentati di oltre mezzo milione sul 2008 ma diminuiscono di 64mila unità nell’ultimo anno (-2,7%).


L’incidenza dei Neet sui giovani di 15-29 anni è al 25,7% (+6,4 punti percentuali su 2008 e -0,6 punti su 2014).

Dopo la laurea i giovani non cercano lavoro, ma continuano a studiare - Rispetto a una ventina di anni fa sono quasi raddoppiati i giovani che a tre anni dalla laurea non cercano lavoro, la maggior parte perché ha deciso di continuare a studiare.



A tre anni dal conseguimento del titolo, nel 1991 i laureati occupati erano il 77,1%.


Questo valore è sceso al 72% nel 2015, anno nel quale non cercano lavoro circa il 12,5% dei giovani laureati, quasi il doppio di quelli del 1991 (6,6%).



Quest’ultimo dato va letto – spiegano i ricercatori – assieme al fenomeno della prosecuzione delle attività di formazione: nel 2015, infatti, il 78,7% di coloro che dichiarano di non cercare lavoro risultano impegnati in dottorati, master, stage o ulteriori corsi di laurea, quando nel 1991 la stessa quota era pari a 59,7%.

Mercato del lavoro incerto: nel 2025 la stessa occupazione del 2010 - Nel 2016 l’andamento dei prezzi “appare ancora molto debole” e quello del mercato del lavoro “è incerto“.



Lo afferma l’Istat nell’ultimo rapporto annuale, ritenendo “plausibile”, per il primo semestre, il succedersi di periodi di debole crescita tendenziale dei prezzi e di episodi deflazionistici.



La ripresa dei consumi risulta infatti insufficiente a bilanciare il calo dei prezzi energetici.


Allo stesso tempo, il mercato del lavoro nei primi tre mesi 2016 mostra una sostanziale stabilità degli occupati.



L’Istat prevede inoltre, in un esercizio statistico, “un miglioramento piuttosto modesto del grado di utilizzo dell’offerta di lavoro” nei prossimi anni.




Nel 2025 il tasso di occupazione potrebbe così restare “prossimo a quello del 2010, a meno che non intervengano politiche di sostegno alla domanda di beni e servizi e un ampliamento della base produttiva”.



Aumentano gli occupati, ma dal 2008 scende l’incidenza del lavoro stabile. Nel 2015 gli occupati in Italia sono 22,5 milioni, 186mila in più sull’anno (+0,8%).




L’anno scorso il contratto a tempo indeterminato è stato il più diffuso: vi hanno fatto ricorso quasi due terzi delle aziende manifatturiere e del terziario.



Nonostante l’aumento dei contratti fissi, l’incidenza del lavoro standard sul totale degli occupati è scesa al 73,4% nel 2015 dal 77% del 2008 con 1,3 milioni di occupati in meno.



A trainare le assunzioni, in particolare nelle imprese manifatturiere, sono stati in primis gli sgravi contributivi.



La popolazione italiana diminuisce e invecchia.



Nel 2015 minimo storico per le nascite – Al 1 gennaio 2016 la stima della popolazione italiana è di 60,7 milioni di residenti (-139mila sull’anno precedente) mentre gli over 64 sono 161,1 ogni 100 giovani con meno di 15 anni.



Il nostro Paese è tra i più invecchiati al mondo, insieme a Giappone e Germania.




Nel desolante quadro demografico si inserisce il nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia per le nascite: nel 2015 sono state 488mila, 15mila in meno rispetto al 2014.


Per il quinto anno consecutivo diminuisce la fecondità, solo 1,35 i figli per donna.
camillobenso
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Re: IL LAVORO

Messaggio da camillobenso »

Lavoro, ad aprile torna a salire la disoccupazione all’11,7%. Aumentano anche gli occupati
Lavoro & Precari
Il tasso dei senza impiego, riporta l'Istat, registra un incremento (+0,1% in un mese), anche tra i giovani (+0,2%). Scendono invece gli inattivi, cioè quelli che non hanno un posto e non lo cercano, mentre cresce la quota di quanti hanno un lavoro
di F. Q. | 31 maggio 2016
COMMENTI (360)



Ad aprile torna a salire il tasso di disoccupazione, ma al contempo aumentano anche gli occupati. Lo rileva l’Istat, sottolineando che il dato si spiega con l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione nel mese sale dello 0,1%, arrivando all’11,7% . L’occupazione, intanto, incrementa dello 0,2% rispetto a marzo: in Italia ora lavorano 22,6 milioni di persone. Diminuiscono infatti gli inattivi, cioè quelli che non hanno un lavoro e non lo cercano, e aumentano quanti hanno un impiego (occupati) oppure sono alla ricerca (disoccupati).

La disoccupazione aumenta dello 0,1% - Il tasso di disoccupazione è pari all’11,7%, in aumento di 0,1 punti percentuali su marzo. Rispetto a un anno fa, invece, il dato diminuisce di 0,4 punti percentuali. I disoccupati sono quasi 3 milioni, in crescita di 50mila unità su marzo e in calo di 93mila unità su aprile 2015. L’aumento è attribuibile alle donne (+4,2%), mentre si registra un lieve calo per gli uomini (-0,4%).

51mila occupati in più ad aprile - Il tasso di occupazione, pari al 56,9%, aumenta di 0,2 punti percentuali sul mese precedente. La stima degli occupati ad aprile registra un aumento di 51 mila persone al lavoro: il totale degli occupati arriva 22,6 milioni. L’aumento riguarda sia i dipendenti sia gli indipendenti. La crescita dell’occupazione coinvolge uomini e donne e riguarda tutte le classi d’età ad eccezione dei 35-49enni. Gli occupati crescono di 215mila su aprile 2015 trainati dalla crescita dell’occupazione degli over 50.

Gli inattivi calano dello 0,3% - Il tasso di inattività scende al 35,4%, con un calo di 0,3 punti percentuali rispetto a marzo. Gli inattivi ad aprile diminuiscono di 113mila unità rispetto a marzo e di 292mila unità su aprile 2015. La diminuzione riguarda uomini e donne e si distribuisce tra tutte le classi d’età.

Aumentano i giovani disoccupati: +11mila in un mese - Il tasso di disoccupazione dei giovani risale ad aprile al 36,9% con un aumento di 0,2 punti percentuali rispetto a marzo e un calo di 1,3 punti su aprile 2015. L’Istat sottolinea che tra i 15 e i 24 anni gli occupati sono 988mila, in aumento di 11mila unità su marzo e di 74mila unità su aprile 2015. Gli inattivi in questa fascia di età sono 4,3 milioni con una diminuzione di 25mila unità su marzo e di 46mila unità su aprile 2015.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... i/2782791/
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Re: IL LAVORO

Messaggio da camillobenso »

Termina così, l'articolo di oggi di LIBRE:


Conclusione: «La domanda, epocale, è persino disperatamente semplice. Che fine faranno quei miliardi di esseri umani senza possibilità di guadagnarsi da vivere vendendo la propria forza lavoro?».


AMBARABA' CICI COCO', TRE CIVETTE SUL COMO'.......... GUARDA UN PO'CHE FARANNO QUEI MILIARDI DI ESSERE UMANI???????

IL TEMA LO ABBIAMO TRATTATO A PIU' RIPRESE NEL FORUM. ORA SIAMO AD UN BIVIO DRAMMATICO DELLA STORIA DELL'UMANITA'.

IL PROBLEMA DELLE MIGRAZIONI EPOCALI SI INSERISCE DRAMMATICAMENTE IN QUESTO CONTESTO, CHE A MIO AVVISO E' STATO STUDIATO A TAVOLINO GIA' DA TEMPO.




LIBRE news

Operai licenziati, meglio i robot: la Foxconn fa da apripista

Scritto il 02/6/16 • nella Categoria: segnalazioni


La Foxconn, azienda taiwanese che produce la metà delle componenti dei dispositivi elettronici di consumo venduti nel mondo, ha ridotto la propria forza lavoro, grazie all’introduzione dei robot che sostituiscono gli operai.

Un taglio drammatico: da 110.000 ad appena 50.000 operatori.

Niente da dire: «Un successo nella riduzione del costo del lavoro».

Fino a dieci anni fa, scrive “Contropiano”, per capire dove stava andando il capitalismo occorreva guardare agli Stati Uniti.

Ora invece fa testo la Cina, divenuta “la manifattura del mondo” grazie a un costo del lavoro che 40 anni fa era ai minimi mondiali.

Altri punti di forza: la concentrazione politica del potere (il sindacato assorbito dal partito unico) e l’apertura agli investimenti stranieri, in cambio della condivisione del know how.

Centinaia di milioni di persone avevano così «smesso di essere contadini in esubero per trasformarsi in operai industriali, assicurando un tasso di crescita del Pil superiore al 10% per oltre venti anni e facendo conquistare al paese il ruolo di seconda potenza industriale del pianeta».

Ma la musica sta cambiando: «Ogni favola ha una fine, anche e soprattutto quelle capitalistiche».

La Foxconn, aggiunge “Contropiano”, era anche conosciuta per l’alto tasso di suicidi tra i suoi lavoratori, schiacciati da ritmi infernali.

«Ma i robot fanno meglio, più velocemente, senza soste fisiologiche, 24 ore su 24. Non si lamentano, non pretendono adeguamenti salariali, non si ammalano, non scioperano mai e non rischiano di farlo in futuro.

Al massimo si rompono e vanno aggiustati».

Ed è solo l’inizio: «Decine di altre aziende operanti in Cina stanno per fare lo stesso, magari su scala dimensionale anche superiore al 50% del personale».

L’automazione sta conquistando tutte le fabbriche del pianeta.

E i “futurologi” «stanno già sfornando elenchi di mansioni lavorative a rischio scomparsa», con «percentuali da capogiro nella sostituzione di uomini e donne con macchine».

Attenzione: tutto ciò che è seriale può esser fatto meglio, «non c’è impiegato “di concetto” che possa sentirsi al sicuro: solo le professioni “creative” possono – entro certi limiti, comunque – essere risparmiate da questa corsa alla robotizzazione».

La “quarta rivoluzione industriale”, aggiunge “Contropiano”, ha per orizzonte la produzione senza lavoro umano, o quasi: «Resteranno, seppur molto più limitate, solo le attività di installazione, manutenzione e programmazione dei robot».

E quindi, «miliardi di esseri umani non avranno più un’occupazione, né potranno riciclarsi in altre attività in espansione, perché non avranno le cognizioni di base per fare il salto da una all’altra».


Facile da capire: «Un tecnico, per quanto bravissimo, non può diventare un ingegnere informatico o elettromeccanico.

Se perde il lavoro, mettiamo, intorno a 40 anni, con famiglia e figli a carico, non può tornare all’università per i cinque sei anni necessari a fare l’upgrade delle sue conoscenze.

In ogni caso, serviranno assai meno ingegneri di quanti tecnici si troveranno a spasso».

Idem per la sicurezza: «I poliziotti “indispensabili” saranno solo quelli necessari per le scorte e il controllo delle manifestazioni di piazza, oltre a informatici e analisti video».

Conclusione: «La domanda, epocale, è persino disperatamente semplice. Che fine faranno quei miliardi di esseri umani senza possibilità di guadagnarsi da vivere vendendo la propria forza lavoro?».
aaaa42
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Re: IL LAVORO

Messaggio da aaaa42 »

il reddito minimo garantito è cosa molto diversa da reddito di cittadinanza ( VEDI CLAUS OFFE E REDDITO DI CITTADINANZA presente in questo forum ).
detto questo l intervento prof. Lunghini è molto interessante.
come esiste una economia dei valori d' uso cosi esistono i lavori dei valori d'uso.
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http://www.sinistrainrete.info/lavoro-e ... avoro.html
erding
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Iscritto il: 21/02/2012, 22:55

Re: IL LAVORO

Messaggio da erding »

«La domanda, epocale, è persino disperatamente semplice. Che fine faranno quei miliardi di esseri umani senza possibilità di guadagnarsi da vivere vendendo la propria forza lavoro?».
Anche volendo essere cinici, si impone una considerazione ed una domanda:
I robot possono sostituire i lavoratori, possono sostituire anche i consumatori?
camillobenso
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Iscritto il: 06/04/2012, 20:00

Re: IL LAVORO

Messaggio da camillobenso »

08:19)’INCHIESTA
La generazione rebus
dei giovani «Né né»

Quelli che per le statistiche non lavorano e non studiano.
Dalle Onlus alle ripetizioni ecco in che cosa sono impegnati
di Dario Di Vico
Giovani «né-né» che hanno abbandonato la scuola per darsi allo judo shadow


Ma cosa fanno veramente i Neet? Sono davvero solo dei forzati del divano oppure anche tra di loro passa una linea di ulteriore disuguaglianza? Una divisione che separa gli «esogeni», quelli che sono impegnati ogni giorno in un duro corpo a corpo con un mercato del lavoro che non vuole includerli, dagli «endogeni», gli scoraggiati che si sentono drammaticamente inadeguati e sono portati ad arretrare davanti a qualsiasi sfida? L'Italia ha il triste primato europeo dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in un corso di formazione. Parte di loro - un milione su 2,3 totali - compare alla voce «disoccupati» ed è disponibile dunque a iniziare un lavoro nelle successive due settimane. Sono 700 mila - sempre secondo le classificazioni statistiche - «le forze di lavoro potenziali», le persone che nelle ultime 4 settimane non hanno cercato lavoro ma sono mobilitabili a breve, infine ci sono gli «inattivi totali» che raggiungono quota 600 mila. Dietro questi ultimi c’è quasi sempre un percorso accidentato di studi con bocciature e interruzioni, un basso livello di autostima e una forte dipendenza dal contesto familiare di provenienza. Ma per calibrare gli interventi e non limitarsi a invocare misure miracolose è forse necessario capire da dentro il fenomeno Neet (in Italia «né né»), monitorare i loro comportamenti, le piccole mosse che maturano nel quotidiano, sapere come e dove passano la giornata. Il programma di Garanzia Giovani avrebbe dovuto servire anche a questo ma purtroppo non è stato così. Eppure una strategia d’attacco bisognerà darsela in tempi brevi perché non possiamo permetterci di bruciare quasi un’intera generazione. Un giorno qualcuno, legittimamente, ci chiederà dove eravamo quando il Paese della Bellezza dilapidava una quantità così rilevante di capitale umano.
Cosa fanno
In aiuto alla nostra ricognizione viene una delle poche ricerche («Ghost») su cosa fanno i Neet condotta nel 2015 da WeWorld, una Onlus impegnata nel secondo welfare. L’indagine è articolata su più campioni, integrata da interviste individuali a giovani tra i 15 e i 29 anni e ci conferma il peso delle condizioni di disuguaglianza a monte che determinano la caduta in una trappola. In più ci aiuta a focalizzare una porzione interessante dei Neet, i volontari. È chiaro che la scelta di fare volontariato (condivisa in Italia da un milione di coetanei, maschi e femmine alla pari) nasce come opzione di ripiego ma è pur sempre una scelta sorretta da un robusta rete valoriale e dall’incoraggiamento dei genitori che condividono/supportano. È un antidoto al sentirsi Neet e identifica una tribù di giovani che come dicono loro stessi «non si lascia andare» (vedi intervista 1). Anzi ha persino maturato un atteggiamento critico nei confronti degli altri giovani a cui rimprovera un atteggiamento passivo, «una mancanza di progettualità».
Senso di esclusione
I volontari seppur non contrattualizzati, non si considerano e non si sentono parcheggiati in una Onlus e quando devono parlare della loro esperienza usano la parola «lavoro». È evidente dai racconti che avere un ambito di socializzazione serve a mitigare il senso di esclusione ma l’unica istituzione veramente amica è la famiglia. Il 92% pensa che abbia un ruolo positivo e solo l’8% le rimprovera la condizione di Neet «perché non ascolta i bisogni dei giovani». Volontari o non, la fiducia nello Stato e nelle istituzioni è al 19%, nei politici al 14% e la prima parola abbinata ai partiti è «corruzione». I volontari, pur sorretti da una forte identità, sono pessimisti sul futuro, non vedono maturare miglioramenti a breve, almeno per tre anni. Del resto è la prima grande crisi che vivono, non hanno in mente raffronti. Temono però che la recessione favorisca il dilagare di raccomandazioni e precariato e allarghi l’area del lavoro nero. Sono coscienti che la loro attività nelle Onlus spesso non è coerente con la formazione ricevuta ma confidano che possa aggiungere skill al proprio curriculum e in questa convinzione sono aiutati dall’opinione di molti reclutatori. Che sostengono come la gestione di attività complesse, e spesso caratterizzate da piccole e grandi emergenze, faccia maturare in fretta.
Una vera tribù
La seconda tribù dei Neet che seppur con qualche approssimazione si può intravedere è quella degli sportivi che a sua volta ospita molte figure, dal frequentatore di palestre al tifoso ultrà. Lo sportivo vive in un mondo in cui i valori della competizione più dura riempiono la giornata e diventano una piccola filosofia di vita. Del resto il mondo dello sport ha giornali, tv, produce lessico, genera meccanismi di solidarietà che creano attorno al nostro Neet un effetto-comunità ed evitano la ghettizzazione. Sia chiaro però: mentre il volontario interpreta tutto nella chiave del «noi», lo sportivo si trova più a suo agio usando la prima persona singolare. Anche loro non si sentono Neet perché hanno una vita attiva e anche solo essere legati a una pratica continuativa, o meglio far parte di un club, aiuta a non sentirsi fantasmi. A Torino è nato negli anni scorsi a cura di Action Aid un programma-pilota di recupero dei Neet (vedi intervista 2) centrato sull’attività sportiva che insegna ad affrontare «vittorie e sconfitte e attraverso lo sport dà la forza per riprendere gli studi o cercare lavoro». Dentro l’ampia tribù troviamo figure diverse: il mistico del fitness, il patito del calcetto, l’atleta tesserato convinto di poter diventare un campione, il tifoso organizzato. È chiaro che a differenza dei volontari queste esperienze non si rivelano professionalizzanti, non aggiungono molto al curriculum. Per finanziare i suoi corsi, attività e tornei il Neet attinge alla paghetta dei genitori (che si chiama così anche nell’era di Facebook) e finisce per prolungare la condizione adolescenziale. È vero che le palestre (in Italia sono 8.500) fanno a gara nell’offrire abbonamenti a prezzi stracciati, mentre nell’ambito del tifo organizzato i gruppi giovanili spesso operano come piccole ditte, ricevono ingaggi per servizi e piccoli lavori che ridistribuiscono al loro interno per finanziare trasferte, ingressi allo stadio e coreografie.
Colpa dell’iperprotezione
Non va nascosto che in qualche caso questo tipo di attività è monitorato dalle Questure, secondo le quali nel tempo si sono create zone grigie (la più alta quota di tifosi sottoposti a provvedimenti restrittivi — il 55% — è nell’età 18-30). È difficile che lo sportivo trovi un lavoro stabile nel settore che lo appassiona (a meno che non sfondi) e quindi più del volontario questa si presta a essere una condizione di passaggio. Ma il rapporto di dipendenza con la famiglia che lo sportivo perpetua è tra i motivi che fanno dire al demografo Alessandro Rosina, nel suo libro dedicato ai Neet, come «l’iperprotezione tende a mantenere immaturi più a lungo i figli, mentre nei Paesi nord-europei la spinta all’autonomia subito dopo i 20 anni porta a confrontarsi prima con la realtà circostante». Risultato: i giovani italiani sono nella maggior parte dei casi «passivamente dipendenti dai genitori» e «disorientati sul proprio futuro».
Arrangiarsi coi piccoli lavori
La terza tribù di Neet che si può individuare è quella di chi si arrangia con i piccoli lavori. «Non studio ma con le promozioni lavoricchio» dice Anna, torinese. Aggiunge Silvia, una coetanea milanese: «Ho studiato come estetista, ho fatto periodi di stage in centri benessere, ho accudito bambini e ho fatto persino la donna delle pulizie». La ricerca Ghost ci dice che l’80% degli intervistati ha avuto esperienze intermittenti, nella maggior parte dei casi un ingaggio nella ristorazione e nel commercio come cameriere, commessa, fattorino per consegne a domicilio, facchinaggio leggero e volantinaggio, dogsitting. Un 20% ha già fatto l’operaio per brevi periodi. Il 44% sottolinea che l’interruzione del rapporto seppur precario di lavoro è stata subita, loro avrebbero continuato. E infatti ci tengono a smentire che i Neet stiano a vegetare davanti alla tv, i media li presentano come fannulloni e invece «noi ci sbattiamo da mattina a sera, siamo attivi». Nella grande tribù dei lavoretti un comparto importante e per certi versi specializzato è quello femminile (vedi intervista 3). L’occupazione prevalente è la babysitter, figura richiestissima, dotata di una propria identità sociale e abituata a fare i conti con il passaparola della reputazione. Nelle grandi città le stesse ragazze fanno anche spesso le hostess, attività più stressante ma pagata tramite i voucher. In definitiva la tribù dei lavoretti entra e esce di continuo dal mercato del lavoro, non riesce a stabilizzare un proprio profilo professionale e stenta a includere nel curriculum la maggior parte delle esperienze. La famiglia rimane sullo sfondo, si comporta come un ammortizzatore sociale nelle fasi di totale inoccupazione, segue con trepidazione il rinvio delle scelte di vita della prole. Nel 55% dei casi i genitori restano decisivi per scegliere il percorso di studio e sono anche il principale veicolo per cercare lavoro grazie alle conoscenze (al 32%, superando Internet al 21% e la consegna del curriculum vitae di persona al 14%). Commenta Stefano Scabbio, amministratore delegato di Manpower: «Bisogna distinguere tra lavoro intermittente e un lavoretto che manca di sviluppo professionale, è legato al breve termine e serve solo al guadagno temporaneo. Ai ragazzi per crescere servirebbe una specializzazione orizzontale e una formazione rivolta al digitale e saltando di qua e di là non si ottengono».
I laureati
Una quarta tribù dei Neet è quella dei già laureati, potenzialmente più occupabili ma ingabbiati anche loro. I numeri dicono che su 10 giovani Neet uno è laureato, 5 sono diplomati e 4 hanno al massimo la licenza media. Lo riporta nel suo libro Rosina citando una ricerca Oecd e aggiunge che il rischio di restare nella trappola dell’inattività volontaria è superiore per chi ha basse competenze. I dati dell’ultimo Rapporto Istat dicono che un laureato impiega in media 36 mesi nel trovare lavoro, ma se è in possesso di un titolo umanistico l’attesa è più lunga. Un laureato dunque transita nella condizione di Neet quasi a sua insaputa e finisce per alimentare il mercato delle ripetizioni a studenti più giovani (vedi intervista 4). Su 100 docenti pomeridiani 30 sono per lo più freschi laureati. Il 90% dei ricavi non è dichiarato al Fisco e vale 800 milioni di euro l’anno, secondo stime della Fondazione Einaudi. Un laureato disoccupato è dunque automaticamente un Neet al punto che Ivano Dionigi, ex rettore e ora presidente di Almalaurea, punta l’indice verso il sistema del 3+2, le lauree triennali deboli viste come concausa dell’allargarsi del fenomeno. E i dati gli danno ragione: i laureati disoccupati sono il 20,6% con picchi di oltre il 30% nelle specializzazioni umanistiche.
La trappola del divano
Il minimo comun denominatore delle tribù di cui abbiamo parlato è una sorta di resilienza all’apatia, il tentativo di uscire dalla trappola del divano. Ma nel grande contenitore della disuguaglianza giovanile c’è un girone ancor più svantaggiato. È quello dei Neet endogeni, come li chiamano gli psicologi del lavoro, giovani che non si integrano a prescindere dalle condizioni esterne del mercato del lavoro. Non si sentono adeguati ai ritmi della vita contemporanea, hanno la tendenza ad auto-isolarsi e non emanciparsi dalla famiglia, sono demotivati sul futuro. È lo zoccolo duro dell’apartheid generazionale e le catene che li hanno bloccati rimandano quasi sempre all’eredità negativa del contesto familiare: una storia di immigrazione, un basso livello di scolarizzazione, vivere in territori marginali, genitori disoccupati o anche solo divorziati. Nel mondo che esalta l’innovazione, che registra il trionfo del digitale, che si prepara a governare l’intelligenza artificiale loro rappresentano la più desolata e mal illuminata delle periferie.
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9 luglio 2016 (modifica il 10 luglio 2016 | 08:19)
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