LA SFIDA del REFERENDUM
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
I GIORNI DEL KAOS
Mancano 4 mesi al pronunciamento di ottobre e di giravolte ne vedremo abbastanza. Quella di Benigni ha fatto scalpore a sinistra e procura divertimento a destra perché affonda un sostegno trentennale della sinistra che aveva più volte messo alla berlina l'ex campione della destra Berlusconi.
L'articolo che segue si conclude così:
Poi però a convicere il comico a dire Sì a Renzi sarebbe bastata una chiacchierata con Ezio Mauro: "Riforma pasticciata? Vero. Scritta male? Sottoscrivo. Ma meglio di nulla".
Al che si presterebbe la risposta su twitter di Minzolini a Cacciari, pubblicata dall'Espresso nella rubrica STUPIDARIO DELLA SETTIMANA.
QUANTE STELLE DAI?
Augusto Minzolini
La raffinata similitudine del senatore di Forza Italia (Twitter)
"Dice Cacciari: la riforma costituzionale è brutta, ma è meglio di niente! È come dire se c'è solo la merda nel piatto mi mangio la merda. Geniale?! Sigh!"
27-mag-16
voto medio: 4.06 | numero di voti: 216
Benigni, il retroscena sul Sì alle riforme: "Così lo hanno convinto"
Stefano Rodotà spiega come Roberto Benigni abbia deciso di schierarsi per il sì al referendum sull Costituzione: "Mi disse che non voleva esprimersi". Poi qualcosa è cambiato
Claudio Cartaldo - Sab, 04/06/2016 - 10:37
commenta
Qualcosa ha convinto Roberto Benigni a votare "sì" al referendum di ottobre sulla Costituzione.
Cosa abbia convinto il comico a cambiare opinione sulla "Costituzione più bella del mondo" non è ancora dato sapere. O forse sì. In questi giorni si sprecano le ricostruzioni sulla decisione del premio Oscar, e ora a spazzare via gli utlimi dubbi ci sono le dichiarazioni di Stefano Rodotà. Con cui il comico si è sentito poco prima di dire dal palco di Rai1 che avrebbe appoggiato la riforma di Renzi.
Il cambio di casacca di Benigni
Fino a pochi giorni fa, Roberto Benigni era ancora indeciso. E pensava di non prendere posizione. Il 3 maggio, ricostruisce il Fatto Quotidiano, il comico si era lasciato andare a questa dichiarazione: "Sarei orientato a votare No - diceva Benigni - proprio per proteggere la nostra meravigliosa Costituzione. La Costituzione è certamente perfettibile, ma preferirei un dibattito più ampio e pacato sui contenuti, piuttosto che il referendum su Renzi". Poi concluse: "Comunque no ho ancora un'opinione definitiva". A quanto pare, però, poco dopo ha cambiato idea. I promotori del comitato per il No, infatti, avrebbero contattato Benigni per chiedere se voleva fare da testimonial. E lui cortesemente avrebbe rifiutato perché ancora "indeciso" sulla posizione da prendere, anche se orientato per il No. Poi tutto cambia.
La svolta renziana
Ad un certo punto, pochi giorni dopo, però, il comico ha cambiato idea. A spiegare tutto è Stefano Rodotà, che del comitato del No è una delle bandiere. "Alcuni gorni fa Alfiero Grandi e Alfonso Giannim attivissimi nel Comitato per il No, mi dissero che Roberto Benigni voleva parlarmi. Benigni mi ha chiamato tre volte". E in una di quelle telefonate arriva la "confessione": "Mi disse che non se la sentiva di esprimersi per il Sì o per il No". Poi però a convicere il comico a dire Sì a Renzi sarebbe bastata una chiacchierata con Ezio Mauro: "Riforma pasticciata? Vero. Scritta male? Sottoscrivo. Ma meglio di nulla".
Mancano 4 mesi al pronunciamento di ottobre e di giravolte ne vedremo abbastanza. Quella di Benigni ha fatto scalpore a sinistra e procura divertimento a destra perché affonda un sostegno trentennale della sinistra che aveva più volte messo alla berlina l'ex campione della destra Berlusconi.
L'articolo che segue si conclude così:
Poi però a convicere il comico a dire Sì a Renzi sarebbe bastata una chiacchierata con Ezio Mauro: "Riforma pasticciata? Vero. Scritta male? Sottoscrivo. Ma meglio di nulla".
Al che si presterebbe la risposta su twitter di Minzolini a Cacciari, pubblicata dall'Espresso nella rubrica STUPIDARIO DELLA SETTIMANA.
QUANTE STELLE DAI?
Augusto Minzolini
La raffinata similitudine del senatore di Forza Italia (Twitter)
"Dice Cacciari: la riforma costituzionale è brutta, ma è meglio di niente! È come dire se c'è solo la merda nel piatto mi mangio la merda. Geniale?! Sigh!"
27-mag-16
voto medio: 4.06 | numero di voti: 216
Benigni, il retroscena sul Sì alle riforme: "Così lo hanno convinto"
Stefano Rodotà spiega come Roberto Benigni abbia deciso di schierarsi per il sì al referendum sull Costituzione: "Mi disse che non voleva esprimersi". Poi qualcosa è cambiato
Claudio Cartaldo - Sab, 04/06/2016 - 10:37
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Qualcosa ha convinto Roberto Benigni a votare "sì" al referendum di ottobre sulla Costituzione.
Cosa abbia convinto il comico a cambiare opinione sulla "Costituzione più bella del mondo" non è ancora dato sapere. O forse sì. In questi giorni si sprecano le ricostruzioni sulla decisione del premio Oscar, e ora a spazzare via gli utlimi dubbi ci sono le dichiarazioni di Stefano Rodotà. Con cui il comico si è sentito poco prima di dire dal palco di Rai1 che avrebbe appoggiato la riforma di Renzi.
Il cambio di casacca di Benigni
Fino a pochi giorni fa, Roberto Benigni era ancora indeciso. E pensava di non prendere posizione. Il 3 maggio, ricostruisce il Fatto Quotidiano, il comico si era lasciato andare a questa dichiarazione: "Sarei orientato a votare No - diceva Benigni - proprio per proteggere la nostra meravigliosa Costituzione. La Costituzione è certamente perfettibile, ma preferirei un dibattito più ampio e pacato sui contenuti, piuttosto che il referendum su Renzi". Poi concluse: "Comunque no ho ancora un'opinione definitiva". A quanto pare, però, poco dopo ha cambiato idea. I promotori del comitato per il No, infatti, avrebbero contattato Benigni per chiedere se voleva fare da testimonial. E lui cortesemente avrebbe rifiutato perché ancora "indeciso" sulla posizione da prendere, anche se orientato per il No. Poi tutto cambia.
La svolta renziana
Ad un certo punto, pochi giorni dopo, però, il comico ha cambiato idea. A spiegare tutto è Stefano Rodotà, che del comitato del No è una delle bandiere. "Alcuni gorni fa Alfiero Grandi e Alfonso Giannim attivissimi nel Comitato per il No, mi dissero che Roberto Benigni voleva parlarmi. Benigni mi ha chiamato tre volte". E in una di quelle telefonate arriva la "confessione": "Mi disse che non se la sentiva di esprimersi per il Sì o per il No". Poi però a convicere il comico a dire Sì a Renzi sarebbe bastata una chiacchierata con Ezio Mauro: "Riforma pasticciata? Vero. Scritta male? Sottoscrivo. Ma meglio di nulla".
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
LE RIFORME VALGONO 6 PUNTI DI PIRLA
RIFORMA COSTITUZIONALE
Per Boschi l'ottimista “Vale 10 miliardi”. Ma quanto si risparmia col nuovo Senato?
Intervenendo in Parlamento il ministro ha citato uno studio Ocse: «Le riforme valgono 6 punti di Pil». Le opposizioni: «Cifre di fantasia»
DI LUCA SAPPINO
09 giugno 2016
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
RIFORMA COSTITUZIONALE
Per Boschi l'ottimista “Vale 10 miliardi”. Ma quanto si risparmia col nuovo Senato?
Intervenendo in Parlamento il ministro ha citato uno studio Ocse: «Le riforme valgono 6 punti di Pil». Le opposizioni: «Cifre di fantasia»
DI LUCA SAPPINO
09 giugno 2016
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
SE VINCE IL “SÌ”
AVREMO UN PADRONE
» MAURIZIO VIROLI
Per decisione di Renzi,
il referendum di ottobre
sarà di fatto un
plebiscito sulla sua
leadership. E se vincerà,
Renzi potrà vantare di avere
il consenso diretto (senza la mediazione
del Pd) ed esplicito del
popolo da lui chiamato a pronunciarsi.
L’Italia diventerà così una
democrazia plebiscitaria. La
posta in gioco non è trasformare
il Senato in un’accozzaglia di
nominati e modificare il rapporto
Stato-regioni, ma cambiare
la Repubblica democratica
in una democrazia plebiscitaria
con Renzi padrone assoluto.
Ecco il motivo di tanto accanimento
da parte di Renzi e dei
suoi.
La democrazia plebiscitaria,
ci insegna Gianfranco Pasquino
dalle colonne del Dizionario di
P o li t i ca , non è né necessariamente,
né sempre una democrazia
autoritaria.
William Gladstone
(1809-1898), ad esempio,
è stato un
leader plebiscitario
n e l l ’ I n g h i l t e r r a
dell’Ottocento, ma la
democrazia inglese
non è degenerata in
democrazia autoritaria.
Condizione essenziale
affinché il
leader plebiscitario
non diventi il centro
di un sistema autoritario
è che i freni e i
contrappesi “che
Parlamento e società
sono in grado di produrre
e di fare funzionare”
siano forti.
“Lo straordinario impatto
che la televisione ha sulla politica
contemporanea, – ci mette
in guardia Pasquino – re nde
quei freni e quei contrappesi
sempre più importanti per evitare
che la demagogia di massa
si traduca in regimi autoritari”.
DOPO L’INVESTITURA plebisci -
taria di ottobre, Renzi, se vincerà
le elezioni, com’è quasi certo,
avrà, grazie al sistema elettorale
da lui voluto, un controllo completo
sul Parlamento.
Potrà infatti contare non soltanto
su una maggioranza invincibile
composta da persone che
devono esclusivamente a lui, in
quanto capo del Pd, la loro elezione.
Il presidente della Repubblica,
di fronte a un capo plebiscitario,
potrà soltanto tacere
e avallare.
La televisione pubblica è già
largamente in mano sua. I giornali,
a eccezione del Fatto Quotidianoe
del manifesto, assecondano
il suo volere.
La società civile italiana –con
la crisi irreversibile dei partiti
politici, del sindacato e delle associazioni
culturali –è del tutto
frantumata.
Orbene, c’è qualcuno intellettualmente
onesto disposto a sostenere
che stando così le cose la
democrazia plebiscitaria renziana
non diventerà un regime
autoritario e possiamo dormire
tranquilli? “Se vincerà il sì, l’Italia
avrà un nuovo padrone”.
Qualcuno comincia, per fortuna,
a rendersene conto. “Se Renzi
vince – ha scritto Eugenio
Scalfari su Repubblicail 22 maggio,
sarà padrone, se perde si apre
uno scenario
nuovo sul quale è
molto difficile fare
previsioni”.
Ma poi osserva che
“personalmente —
l’ho già detto e scritto
—voterò no, ma non
tanto per le domande
d e l r e f e r e n d u m
quanto per la legge elettorale
che gli è
strettis simamente
connessa. Se Renzi
cambia quella legge
(personalmente ho
suggerito quella di
De Gasperi del 1953)
voterò si”.
Anche Scalfari pare
dunque non capire
che la vittoria del sì da sola segnerà
l’inizio della democrazia
plebiscitaria. In politica i mali
devono essere curati appena si
manifestano, non quando diventano
incurabili.
Ora che Renzi ha risposto che
non ci pensa neppure a cambiare
l’Italicum c’è da augurarsi che
Scalfari, e la dissennata minoranza
interna del Pd, dichiarino
a chiare lettere che voteranno
un bel No ed esortino lettori e
seguaci a seguirli. Ma non ci
scommetterei.
NON MI STUPIREI di leggere avvitamenti
intellettualmente e
moralmente spregevoli come
quelli di Cacciari e Benigni.
Se non sarà così ne sarò felice.
La prospettiva di una democrazia
plebiscitaria autoritaria dovrebbe
far paura a chiunque ami
la libertà e abbia un minimo di
senno. Qualsiasi scenario politico,
nel caso di una vittoria del
No, è molto meno preoccupante.
Quando un uomo conquista
un potere enorme –poco importa
se con la forza, o con l’inganno
e con l’astuzia, come nel caso di
Renzi – dipendiamo tutti dalla
sua volontà, e dunque non siamo
più liberi, ma servi.
Purtroppo, dopo aver sperimentato
il potere enorme di
Berlusconi, pare sia rimasto nella
maggioranza degli italiani un
desiderio incontenibile di vivere
servi. Qualcuno ricorda ancora
l’aureo principio della saggezza
politica repubblicana che
essere liberi non vuol dire avere
un buon padrone, ma non avere
alcun padrone?
viroli@princeton.edu
© RIPRODUZIONE RISERVATA
AVREMO UN PADRONE
» MAURIZIO VIROLI
Per decisione di Renzi,
il referendum di ottobre
sarà di fatto un
plebiscito sulla sua
leadership. E se vincerà,
Renzi potrà vantare di avere
il consenso diretto (senza la mediazione
del Pd) ed esplicito del
popolo da lui chiamato a pronunciarsi.
L’Italia diventerà così una
democrazia plebiscitaria. La
posta in gioco non è trasformare
il Senato in un’accozzaglia di
nominati e modificare il rapporto
Stato-regioni, ma cambiare
la Repubblica democratica
in una democrazia plebiscitaria
con Renzi padrone assoluto.
Ecco il motivo di tanto accanimento
da parte di Renzi e dei
suoi.
La democrazia plebiscitaria,
ci insegna Gianfranco Pasquino
dalle colonne del Dizionario di
P o li t i ca , non è né necessariamente,
né sempre una democrazia
autoritaria.
William Gladstone
(1809-1898), ad esempio,
è stato un
leader plebiscitario
n e l l ’ I n g h i l t e r r a
dell’Ottocento, ma la
democrazia inglese
non è degenerata in
democrazia autoritaria.
Condizione essenziale
affinché il
leader plebiscitario
non diventi il centro
di un sistema autoritario
è che i freni e i
contrappesi “che
Parlamento e società
sono in grado di produrre
e di fare funzionare”
siano forti.
“Lo straordinario impatto
che la televisione ha sulla politica
contemporanea, – ci mette
in guardia Pasquino – re nde
quei freni e quei contrappesi
sempre più importanti per evitare
che la demagogia di massa
si traduca in regimi autoritari”.
DOPO L’INVESTITURA plebisci -
taria di ottobre, Renzi, se vincerà
le elezioni, com’è quasi certo,
avrà, grazie al sistema elettorale
da lui voluto, un controllo completo
sul Parlamento.
Potrà infatti contare non soltanto
su una maggioranza invincibile
composta da persone che
devono esclusivamente a lui, in
quanto capo del Pd, la loro elezione.
Il presidente della Repubblica,
di fronte a un capo plebiscitario,
potrà soltanto tacere
e avallare.
La televisione pubblica è già
largamente in mano sua. I giornali,
a eccezione del Fatto Quotidianoe
del manifesto, assecondano
il suo volere.
La società civile italiana –con
la crisi irreversibile dei partiti
politici, del sindacato e delle associazioni
culturali –è del tutto
frantumata.
Orbene, c’è qualcuno intellettualmente
onesto disposto a sostenere
che stando così le cose la
democrazia plebiscitaria renziana
non diventerà un regime
autoritario e possiamo dormire
tranquilli? “Se vincerà il sì, l’Italia
avrà un nuovo padrone”.
Qualcuno comincia, per fortuna,
a rendersene conto. “Se Renzi
vince – ha scritto Eugenio
Scalfari su Repubblicail 22 maggio,
sarà padrone, se perde si apre
uno scenario
nuovo sul quale è
molto difficile fare
previsioni”.
Ma poi osserva che
“personalmente —
l’ho già detto e scritto
—voterò no, ma non
tanto per le domande
d e l r e f e r e n d u m
quanto per la legge elettorale
che gli è
strettis simamente
connessa. Se Renzi
cambia quella legge
(personalmente ho
suggerito quella di
De Gasperi del 1953)
voterò si”.
Anche Scalfari pare
dunque non capire
che la vittoria del sì da sola segnerà
l’inizio della democrazia
plebiscitaria. In politica i mali
devono essere curati appena si
manifestano, non quando diventano
incurabili.
Ora che Renzi ha risposto che
non ci pensa neppure a cambiare
l’Italicum c’è da augurarsi che
Scalfari, e la dissennata minoranza
interna del Pd, dichiarino
a chiare lettere che voteranno
un bel No ed esortino lettori e
seguaci a seguirli. Ma non ci
scommetterei.
NON MI STUPIREI di leggere avvitamenti
intellettualmente e
moralmente spregevoli come
quelli di Cacciari e Benigni.
Se non sarà così ne sarò felice.
La prospettiva di una democrazia
plebiscitaria autoritaria dovrebbe
far paura a chiunque ami
la libertà e abbia un minimo di
senno. Qualsiasi scenario politico,
nel caso di una vittoria del
No, è molto meno preoccupante.
Quando un uomo conquista
un potere enorme –poco importa
se con la forza, o con l’inganno
e con l’astuzia, come nel caso di
Renzi – dipendiamo tutti dalla
sua volontà, e dunque non siamo
più liberi, ma servi.
Purtroppo, dopo aver sperimentato
il potere enorme di
Berlusconi, pare sia rimasto nella
maggioranza degli italiani un
desiderio incontenibile di vivere
servi. Qualcuno ricorda ancora
l’aureo principio della saggezza
politica repubblicana che
essere liberi non vuol dire avere
un buon padrone, ma non avere
alcun padrone?
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
La democrazia plebiscitaria, ci insegna Gianfranco Pasquino
dalle colonne del Dizionario di P o li t i ca , non è né necessariamente, né sempre una democrazia autoritaria.
William Gladstone (1809-1898), ad esempio,è stato un
leader plebiscitario n e l l ’ I n g h i l t e r r a dell’Ottocento, ma la democrazia inglese non è degenerata in democrazia autoritaria.
Condizione essenziale affinché il leader plebiscitario non diventi il centro di un sistema autoritario è che i freni e i
contrappesi “che Parlamento e società sono in grado di produrre e di fare funzionare”siano forti.
VIROLI si sbaglia.
Non può paragonare l'Inghilterra che non ha mai avuto un ventennio fascista con gli italici, che hanno generato il fascismo nel mondo.
Venga Viroli da queste parti così gli faccio incontrare la pattuglia renziana della Biblioteca Civica.
Si renderà conto che il mito del duce nel Bel Paese non è mai tramontato.
dalle colonne del Dizionario di P o li t i ca , non è né necessariamente, né sempre una democrazia autoritaria.
William Gladstone (1809-1898), ad esempio,è stato un
leader plebiscitario n e l l ’ I n g h i l t e r r a dell’Ottocento, ma la democrazia inglese non è degenerata in democrazia autoritaria.
Condizione essenziale affinché il leader plebiscitario non diventi il centro di un sistema autoritario è che i freni e i
contrappesi “che Parlamento e società sono in grado di produrre e di fare funzionare”siano forti.
VIROLI si sbaglia.
Non può paragonare l'Inghilterra che non ha mai avuto un ventennio fascista con gli italici, che hanno generato il fascismo nel mondo.
Venga Viroli da queste parti così gli faccio incontrare la pattuglia renziana della Biblioteca Civica.
Si renderà conto che il mito del duce nel Bel Paese non è mai tramontato.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Il Fatto Quotidiano titola così in prima pagina:
MINCULPOP Dati Agcom: a Pace, presidente del Comitato, neanche due minuti
Referendum, par condicio Rai:
7 ore a Renzi e 79 secondi al No
HA RAGIONE IL FATTO??????
MUSSOLONI RIUSCIRA' NEL SUO INTENTO DI FARE IL LAVAGGIO DEL CERVELLO AI TRICOLORI?????
MINCULPOP Dati Agcom: a Pace, presidente del Comitato, neanche due minuti
Referendum, par condicio Rai:
7 ore a Renzi e 79 secondi al No
HA RAGIONE IL FATTO??????
MUSSOLONI RIUSCIRA' NEL SUO INTENTO DI FARE IL LAVAGGIO DEL CERVELLO AI TRICOLORI?????
Ultima modifica di camillobenso il 16/06/2016, 11:51, modificato 1 volta in totale.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Anche la destra evidenzia l'occupazione del ducione.
Referendum, "No" avanti E Renzi occupa il video: sette ore in 48 giorni
I dati dei sondaggi preoccupano il premier. La risposta è l'invasione dei notiziari tv
Francesca Angeli - Gio, 16/06/2016 - 08:33
commenta
Matteo Renzi ha sicuramente dalla sua parte soltanto tre italiani su dieci. Per il momento. Il premier ha puntato tutto sul referendum che si terrà in ottobre e anche ieri ha ribadito che «la riforma costituzionale è la madre di tutte le sfide» per dare «stabilità e governabilità all'Italia nei prossimi anni».
Ma il premier comincia a fiutare aria di sconfitta perché gli ultimi sondaggi mostrano una progressiva diminuzione di coloro che voterebbero Sì alle scelte del governo. Un segnale negativo che mostra pure come i cittadini non si siano fatti influenzare dall'onnipresenza di Renzi che predica a favore delle sue riforme sui media.
La luna di miele tra il premier e il paese è finita da un pezzo e lo confermano i dati di Euromedia Research, come fa notare il presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta. «Il trend è chiaro, Renzi ha poco di cui star sereno - dice Brunetta -. Se ai ballottaggi il Pd perderà le grandi città i numeri a favore del No si rafforzeranno ulteriormente». Il sondaggio indica in generale un 53,2 per cento di No ed un 46,8 di Sì. Ma tra gli intervistati esiste una larga parte di indecisi. Tra quelli che hanno dichiarato la loro scelta soltanto il 29 per cento è a favore del Sì e si tratta per l'82,3 di elettori del Pd. Il No invece è già stato scelto dal 33 per cento dei cittadini decisi. Ieri infatti Renzi è tornato a difendere le sue riforme invitando a «vivere con tranquillità la discussione sia sul referendum sia sulle amministrative».
Ma quanto pare il primo a non essere tranquillo è proprio Renzi che sente il bisogno di rassicurare i cittadini rispetto all'impatto che la riforma avrebbe sul Paese. «I poteri del governo non cambiano - assicura Renzi -. Cambiano le regole del gioco». Ma è lecito cambiare le regole del gioco per un governo che non è stato eletto e che al momento ha un consenso in continuo calo? Proprio nel tentativo di recuperare consenso Renzi impazza in tv e sui media con messaggi persuasivi sulla riforma.
Anche in questo caso sono le cifre a parlare. L'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni (Agcom) su sollecitazione del presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, Roberto Fico, ha reso noti «i dati relativi ai tempi di parola, notizia ed antenna di tutti i soggetti politico istituzionali sull'argomento referendum costituzionale» per il periodo che va dal 20 aprile all'8 giugno nei programmi di informazione della Rai. È evidente lo schieramento di truppe sul piccolo schermo a favore del Sì, sette ore in 48 giorni. Renzi da solo occupa oltre un'ora e mezza saltando tra i vari notiziari per parlare a favore del suo referendum. Tempo al quale si aggiunge quello dedicato alla presenza in altri programmi Rai, ovvero un'altra oretta scarsa sempre per parlare solo e soltanto del referendum. Ma poi il governo ha schierato anche il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi: oltre mezz'ora nei tg e altrettanto in altri programmi. Interventi che vanno paragonati a quelli concessi ai contrari al referendum che stranamente di rado superano i 3 minuti. In pratica ogni intervento spesso si riduce ad una manciata di secondi. Schierati sui media a favore del Sì sono sfilati anche Lorenzo Guerini, Debora Serracchiani, Angelino Alfano, Matteo Orfini.
Per il senatore azzurro Maurizio Gasparri, ex ministro per le Comunicazioni, Fico si mostra «troppo debole» di fronte a queste palesi violazioni della par condicio in fatto di informazione. «C'è uno squilibrio colossale a vantaggio del sì - denuncia Gasparri - Il presidente della Commissione di Vigilanza non riesce a garantire una riunione che possa constatare le palesi violazioni confermate dall'Agcom».
Referendum, "No" avanti E Renzi occupa il video: sette ore in 48 giorni
I dati dei sondaggi preoccupano il premier. La risposta è l'invasione dei notiziari tv
Francesca Angeli - Gio, 16/06/2016 - 08:33
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Matteo Renzi ha sicuramente dalla sua parte soltanto tre italiani su dieci. Per il momento. Il premier ha puntato tutto sul referendum che si terrà in ottobre e anche ieri ha ribadito che «la riforma costituzionale è la madre di tutte le sfide» per dare «stabilità e governabilità all'Italia nei prossimi anni».
Ma il premier comincia a fiutare aria di sconfitta perché gli ultimi sondaggi mostrano una progressiva diminuzione di coloro che voterebbero Sì alle scelte del governo. Un segnale negativo che mostra pure come i cittadini non si siano fatti influenzare dall'onnipresenza di Renzi che predica a favore delle sue riforme sui media.
La luna di miele tra il premier e il paese è finita da un pezzo e lo confermano i dati di Euromedia Research, come fa notare il presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta. «Il trend è chiaro, Renzi ha poco di cui star sereno - dice Brunetta -. Se ai ballottaggi il Pd perderà le grandi città i numeri a favore del No si rafforzeranno ulteriormente». Il sondaggio indica in generale un 53,2 per cento di No ed un 46,8 di Sì. Ma tra gli intervistati esiste una larga parte di indecisi. Tra quelli che hanno dichiarato la loro scelta soltanto il 29 per cento è a favore del Sì e si tratta per l'82,3 di elettori del Pd. Il No invece è già stato scelto dal 33 per cento dei cittadini decisi. Ieri infatti Renzi è tornato a difendere le sue riforme invitando a «vivere con tranquillità la discussione sia sul referendum sia sulle amministrative».
Ma quanto pare il primo a non essere tranquillo è proprio Renzi che sente il bisogno di rassicurare i cittadini rispetto all'impatto che la riforma avrebbe sul Paese. «I poteri del governo non cambiano - assicura Renzi -. Cambiano le regole del gioco». Ma è lecito cambiare le regole del gioco per un governo che non è stato eletto e che al momento ha un consenso in continuo calo? Proprio nel tentativo di recuperare consenso Renzi impazza in tv e sui media con messaggi persuasivi sulla riforma.
Anche in questo caso sono le cifre a parlare. L'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni (Agcom) su sollecitazione del presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, Roberto Fico, ha reso noti «i dati relativi ai tempi di parola, notizia ed antenna di tutti i soggetti politico istituzionali sull'argomento referendum costituzionale» per il periodo che va dal 20 aprile all'8 giugno nei programmi di informazione della Rai. È evidente lo schieramento di truppe sul piccolo schermo a favore del Sì, sette ore in 48 giorni. Renzi da solo occupa oltre un'ora e mezza saltando tra i vari notiziari per parlare a favore del suo referendum. Tempo al quale si aggiunge quello dedicato alla presenza in altri programmi Rai, ovvero un'altra oretta scarsa sempre per parlare solo e soltanto del referendum. Ma poi il governo ha schierato anche il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi: oltre mezz'ora nei tg e altrettanto in altri programmi. Interventi che vanno paragonati a quelli concessi ai contrari al referendum che stranamente di rado superano i 3 minuti. In pratica ogni intervento spesso si riduce ad una manciata di secondi. Schierati sui media a favore del Sì sono sfilati anche Lorenzo Guerini, Debora Serracchiani, Angelino Alfano, Matteo Orfini.
Per il senatore azzurro Maurizio Gasparri, ex ministro per le Comunicazioni, Fico si mostra «troppo debole» di fronte a queste palesi violazioni della par condicio in fatto di informazione. «C'è uno squilibrio colossale a vantaggio del sì - denuncia Gasparri - Il presidente della Commissione di Vigilanza non riesce a garantire una riunione che possa constatare le palesi violazioni confermate dall'Agcom».
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Questo articolo di Pellizzetti potrebbe stare anche nel 3D di pancho Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?, per la discussione in corso.
La sinistra morta afferra quella viva. E Renzi fiata
Politica
di Pierfranco Pellizzetti | 19 giugno 2016
COMMENTI (134)
Pierfranco Pellizzetti
Saggista
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Uccellini dalla voce malignamente insistente mi dicono che i partiti schierati sul fronte del “no” al referendum ottobrino non paiono impegnarsi con particolare entusiasmo nella raccolta delle500mila firme, promossa dal comitato referendario costituito proprio per sostenere quello stesso “no”. Qualche vocina particolarmente maligna arriva perfino a parlare di boicottaggio.
Quale follower di umilissima base in tale raccolta, mi sforzo di capire la ragione sottostante a quanto segnalato; visto che il mancato raggiungimento dell’obiettivo offrirebbe a Matteo Renzi& Co. argomenti di un qualche effetto probatorio per sostenere loscarso seguito popolare di chi contrasta il progetto reazionario in corso (Italicum + Deforma Costituzione).
Eppure le ferite non ancora suturate della “Lista Ingroia” riportano alla mente la vicenda suicida di mediocri ambizioni che, con le loro indebite velleità di protagonismo, soffocarono il sensato e opportuno tentativo di dare vita a un soggetto organizzato che potesse rappresentare a tuttotondo, senza vincoli impropri e contraddizioni l’istanza di AltraPolitica. Operazione che fallì per l’inestirpabile reducismo di sopravvissuti ai mille naufragi della sinistra (dis)organizzata, pervicacemente avvinghiati a qualsivoglia opportunità di auto-promozione.
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Ricordate? Si era all’appuntamento elettorale per le elezioni politiche 2013 e l’allora magistrato superstar Antonio Ingroia apparve come il possibile punto di aggregazione di una “rivoluzione civile” per l’uscita democratica e progressista dallaSeconda Repubblica in caduta libera. Tentativo finito nel ridicolo non (solo) per l’imitazione caricaturale, esilarante al limite dell’irrisione, che Maurizio Crozza fece del leader dell’operazione; bensì per il carro di Tespi allestito da Ingroia: aggregazione cancellata all’istante dal 2% dei suffragi raccolti e aggregatore sprofondato rapidamente nell’anonimato (nonostante improvvidi tentativi di riemergere, frustrati sul nascere dalla cronica maldestraggine del soggetto).
L’anno dopo fu la volta della “Lista Tsipras per l’Europa”, nata per sfruttare l’immagine dell’astro nascente greco, subito circondato da una pattuglia di ex sessantottardi interessati a sfruttare l’occasione per i propri narcisismi. Con il bel risultato che se il progetto veniva accreditato a inizio 2014 del 7% dei consensi, nel maggio successivo, all’apertura delle urne, questi si erano ridotti al 4,03%; tanto da vanificare sul nascere l’iniziativa, che ha prodotto come unico risultato la possibilità per due noti giornalisti (Curzio Maltese e Barbara Spinelli) di svernare a Bruxelles in attesa che si chiarisca meglio quanto avviene nel loro ambiente di lavoro, nella redazione de la Repubblica. Anche in questo caso un fallimento politico all’insegna della strumentalizzazione personalistica; ben prima che lo stesso uomo immagine – Alexis Tsipras – venisse scalpato dai tecno-boiardi dell’Unione, in combutta con la lady killer luterana Merkel e i suoi panzer.
Con siffatti precedenti non c’è da stare tranquilli. Specie se i partitini nosferatu dei professionisti del presenzialismo continuano a esercitare un controllo improprio su iniziative – diciamolo – finalizzate al loro superamento. Ed è un grosso guaio, visto che ilrenzismo dà segni di involuzione, come dimostra la messa in scena da parte dei suoi spin-doctor dell’affare D’Alema (divorato dai risentimenti, ma non al punto da dimenticare di essere una vecchia volpe della politica): evidente costruzione di un alibi per fallimenti del premier in arrivo. Come conferma la ministra Boschitelefonista e terrorista verbale: ennesima prova che “sti/ste qui” si sentono in diritto di calpestare ogni regola e piegare le norme a capriccio.
Segnale di debolezza che rischia di venire vanificato dall’insanabile famelicità di vecchi arnesi, intenzionati a occupare la scena pubblica costi quello che costi. Laddove hanno già fallito a sufficienza, dove non hanno più nulla da dire.
Per la vox populi vedi anche:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... a/2842852/
La sinistra morta afferra quella viva. E Renzi fiata
Politica
di Pierfranco Pellizzetti | 19 giugno 2016
COMMENTI (134)
Pierfranco Pellizzetti
Saggista
Post | Articoli
Uccellini dalla voce malignamente insistente mi dicono che i partiti schierati sul fronte del “no” al referendum ottobrino non paiono impegnarsi con particolare entusiasmo nella raccolta delle500mila firme, promossa dal comitato referendario costituito proprio per sostenere quello stesso “no”. Qualche vocina particolarmente maligna arriva perfino a parlare di boicottaggio.
Quale follower di umilissima base in tale raccolta, mi sforzo di capire la ragione sottostante a quanto segnalato; visto che il mancato raggiungimento dell’obiettivo offrirebbe a Matteo Renzi& Co. argomenti di un qualche effetto probatorio per sostenere loscarso seguito popolare di chi contrasta il progetto reazionario in corso (Italicum + Deforma Costituzione).
Eppure le ferite non ancora suturate della “Lista Ingroia” riportano alla mente la vicenda suicida di mediocri ambizioni che, con le loro indebite velleità di protagonismo, soffocarono il sensato e opportuno tentativo di dare vita a un soggetto organizzato che potesse rappresentare a tuttotondo, senza vincoli impropri e contraddizioni l’istanza di AltraPolitica. Operazione che fallì per l’inestirpabile reducismo di sopravvissuti ai mille naufragi della sinistra (dis)organizzata, pervicacemente avvinghiati a qualsivoglia opportunità di auto-promozione.
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Ricordate? Si era all’appuntamento elettorale per le elezioni politiche 2013 e l’allora magistrato superstar Antonio Ingroia apparve come il possibile punto di aggregazione di una “rivoluzione civile” per l’uscita democratica e progressista dallaSeconda Repubblica in caduta libera. Tentativo finito nel ridicolo non (solo) per l’imitazione caricaturale, esilarante al limite dell’irrisione, che Maurizio Crozza fece del leader dell’operazione; bensì per il carro di Tespi allestito da Ingroia: aggregazione cancellata all’istante dal 2% dei suffragi raccolti e aggregatore sprofondato rapidamente nell’anonimato (nonostante improvvidi tentativi di riemergere, frustrati sul nascere dalla cronica maldestraggine del soggetto).
L’anno dopo fu la volta della “Lista Tsipras per l’Europa”, nata per sfruttare l’immagine dell’astro nascente greco, subito circondato da una pattuglia di ex sessantottardi interessati a sfruttare l’occasione per i propri narcisismi. Con il bel risultato che se il progetto veniva accreditato a inizio 2014 del 7% dei consensi, nel maggio successivo, all’apertura delle urne, questi si erano ridotti al 4,03%; tanto da vanificare sul nascere l’iniziativa, che ha prodotto come unico risultato la possibilità per due noti giornalisti (Curzio Maltese e Barbara Spinelli) di svernare a Bruxelles in attesa che si chiarisca meglio quanto avviene nel loro ambiente di lavoro, nella redazione de la Repubblica. Anche in questo caso un fallimento politico all’insegna della strumentalizzazione personalistica; ben prima che lo stesso uomo immagine – Alexis Tsipras – venisse scalpato dai tecno-boiardi dell’Unione, in combutta con la lady killer luterana Merkel e i suoi panzer.
Con siffatti precedenti non c’è da stare tranquilli. Specie se i partitini nosferatu dei professionisti del presenzialismo continuano a esercitare un controllo improprio su iniziative – diciamolo – finalizzate al loro superamento. Ed è un grosso guaio, visto che ilrenzismo dà segni di involuzione, come dimostra la messa in scena da parte dei suoi spin-doctor dell’affare D’Alema (divorato dai risentimenti, ma non al punto da dimenticare di essere una vecchia volpe della politica): evidente costruzione di un alibi per fallimenti del premier in arrivo. Come conferma la ministra Boschitelefonista e terrorista verbale: ennesima prova che “sti/ste qui” si sentono in diritto di calpestare ogni regola e piegare le norme a capriccio.
Segnale di debolezza che rischia di venire vanificato dall’insanabile famelicità di vecchi arnesi, intenzionati a occupare la scena pubblica costi quello che costi. Laddove hanno già fallito a sufficienza, dove non hanno più nulla da dire.
Per la vox populi vedi anche:
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
POLITICA sabato 18/06/2016
Referendum riforme, il “Perché No” arriva a teatro con il Fatto
Referendum - È partita da Firenze la pièce di Travaglio e Salari sul voto costituzionale di ottobre
VEDI
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... -il-fatto/
Referendum riforme, il “Perché No” arriva a teatro con il Fatto
Referendum - È partita da Firenze la pièce di Travaglio e Salari sul voto costituzionale di ottobre
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Adesso occorre schierarsi per il referendum.
Il punto è che la riforma in se porta a un pasticcio peggio di quella di Calderoli.
Questo in termini di "efficienza politica", la cosiddetta velocità nelle decisioni.
La "governabilità".
Per di più i "pesi e contrappesi" ammorbiditi (finalmente via "lacci e lacciuoli"
ricorda qualcosa?) uniti all'Italicum impedirebbero qualunque contrasto
politico diretto a derive politiche non desiderabili.
Si vota e si giudica ogni 5 anni.
Nel mezzo la minoranza maggiore nomina chi vuole, governa a proprio piacimento,
senza contrasto o discussione politica alcuna... a questo serve il premio di maggioranza
dopotutto.
Questo disegno, d'altronde, è auspicato dalla destra, con la quale queste riforme
sono state concordate.
Ma anche dai grillini che non vedono l'ora col 35% di prendersi tutto.
Temo quindi di dover dire che al momento opportuno M5S si schiererà
per il SI alle riforme. Quando realizzeranno l'opportunità che hanno di fronte
si terranno Renzi in vista delle elezioni col nuovo sistema, per poi sparigliare.
Nel frattempo arriveremo al 2017.
La realtà di Roma e Torino metterà in difficoltà M5S.
CSX e destre organizzereranno un listone elettorale, ognuno aggregando
le vecchie compagnie politiche.
La SX-SX dovrà decidere cosa fare, ma influirà, al solito, ben poco ora che
i propri elettori o stanno a casa o votano 5S.
Per cui la vedo grigia.
Sia per il referendum che sarà approvato grazie ai grillini (e questo forse era
nei piani di Renzi fin dall'inizio).
Sia per le politiche del 2018 (e forse Renzi NON aveva calcolato il tracollo del PD
e delle destre per via della corruzione e della disaffezione popolare).
soloo42001
Il punto è che la riforma in se porta a un pasticcio peggio di quella di Calderoli.
Questo in termini di "efficienza politica", la cosiddetta velocità nelle decisioni.
La "governabilità".
Per di più i "pesi e contrappesi" ammorbiditi (finalmente via "lacci e lacciuoli"
ricorda qualcosa?) uniti all'Italicum impedirebbero qualunque contrasto
politico diretto a derive politiche non desiderabili.
Si vota e si giudica ogni 5 anni.
Nel mezzo la minoranza maggiore nomina chi vuole, governa a proprio piacimento,
senza contrasto o discussione politica alcuna... a questo serve il premio di maggioranza
dopotutto.
Questo disegno, d'altronde, è auspicato dalla destra, con la quale queste riforme
sono state concordate.
Ma anche dai grillini che non vedono l'ora col 35% di prendersi tutto.
Temo quindi di dover dire che al momento opportuno M5S si schiererà
per il SI alle riforme. Quando realizzeranno l'opportunità che hanno di fronte
si terranno Renzi in vista delle elezioni col nuovo sistema, per poi sparigliare.
Nel frattempo arriveremo al 2017.
La realtà di Roma e Torino metterà in difficoltà M5S.
CSX e destre organizzereranno un listone elettorale, ognuno aggregando
le vecchie compagnie politiche.
La SX-SX dovrà decidere cosa fare, ma influirà, al solito, ben poco ora che
i propri elettori o stanno a casa o votano 5S.
Per cui la vedo grigia.
Sia per il referendum che sarà approvato grazie ai grillini (e questo forse era
nei piani di Renzi fin dall'inizio).
Sia per le politiche del 2018 (e forse Renzi NON aveva calcolato il tracollo del PD
e delle destre per via della corruzione e della disaffezione popolare).
soloo42001
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
VERO, FALSO, O A 72 ANNI CACCIARI HA SBARELLATO?????
LIBRE news
Cacciari: ma il M5S non farà guerra a Renzi sul referendum
Scritto il 21/6/16 • nella Categoria: idee Condividi
Il voto politicamente decisivo, per Renzi, era Milano. S’è salvato, a Milano, e adesso può continuare a raccontare che il voto non è politicamente significativo. Ma, a questo punto, la sfida di ottobre diventa per lui assolutamente decisiva. E, con i risultati di queste elezioni, se il Movimento 5 Stelle si dovesse impegnare davvero “pancia a terra” per il referendum, per il No, rischia la pelle. Ma non ne sono convinto: non sono affatto convinto che il Movimento 5 Stelle condurrà una battaglia all’ultimo respiro su questo tema, perché ormai è evidente che al Movimento 5 Stelle la riforma Renzi conviene, è molto semplice – a meno che Renzi non decida di cambiare la legge elettorale. Come vado ripetendo dall’inizio della sua avventura, quello dei 5 Stelle non è un movimento di destra, assolutamente, e quindi anche una certa riforma istituzionale molti dei militanti l’avrebbero appoggiata. Metà dell’elettorato e dei militanti 5 Stelle hanno una storia che è Ulivo, è centrosinistra; sono persone che la sciagurata direzione del centrosinistra, dell’Ulivo prima e del Pd dopo, ha perso per strada. Non hanno nulla a che fare, antropologicamente, col Fronte Nazionale e Lega, sono molto più simili agli Tsipras, ai Podemos. Quindi, perché dovrebbero schierarsi “usque ad mortem” contro Renzi sul referendum? Non credo che lo faranno, e non solo per ragioni tattiche.L’affermazione del Movimento 5 Stelle viene da lontano, e viene soprattutto dalle strutturali debolezze del Partito Democratico, che non dipendono tanto dalle lacerazioni interne, come si continua a blaterare, ma da una radicale debolezza del mondo in cui questo partito è stato organizzato fin dall’inizio, dimenticando totalmente il “problemino” di un suo radicamento territoriale, la valorizzazione delle energie locali. Sono scelte sciagurate, che dimostrano come la dirigenza ex socialdemocratico-comunista ed ex democristiana che hanno dato vita al Pd non comprendessero nulla, negli anni ‘90 e nel primo decennio del nuovo millennio, delle trasformazioni sociali e strutturali che erano in atto. Questo non è il senno di poi. Si chieda a Fassino delle decine di riunioni, anche con lui, e allora anche con Chiamparino, per vedere di organizzare un Partito Democratico federalistico, che puntasse sul radicamento territoriale nelle periferie. Le energie c’erano, basti pensare all’andamento del voto amministrativo nel ventennio berlusconiano: sempre vi era un’affermazione maggiore del centrosinistra, dell’Ulivo, rispetto al centrodestra.Tutto ciò è stato sradicato, è stato dimenticato, ed è da lì che nasce il successo dei grillini – da lì e poi, certo, anche da un movimento generale anti-sistema che è comune in tutta Europa. Ma la specificità del caso italiano va compresa lì. E non è che sia scomparsa la classe operaia, non è scomparso il lavoro dipendente. E cosa votano costoro, soprattutto i giovani? Votano 5 Stelle massicciamente, o stanno a casa. L’astensionismo? Impressionante, ma ormai è fisiologico: centrodestra e centrosinistra dovrebbero cambiare radicalmente (ma non c’è alcuna prospettiva), e diventare nuovamente attrattivi di settori dell’elettorato “ragionante”. Perché comunque questa non è l’astensione dell’indifferenza, è l’astensione del “non ne possiamo più”: non ne possiamo più di andare a scegliere in quale demagogia identificarci. Metà di quest’astensione è un’astensione matura, consapevole: non possiamo continuare a votare tra chi promette di più e chi è più incompetente. Questi dati non cambieranno fino a quando non ci sarà un’offerta politica più intelligente e più adeguata alle tragedie che viviamo.(Massimo Cacciari, “Risultato Torino sintomatico disastro Pd”, dichiarazioni rilasciate ad Anna Zippel per “Repubblica Tv” il 20 giugno 2016).
LIBRE news
Cacciari: ma il M5S non farà guerra a Renzi sul referendum
Scritto il 21/6/16 • nella Categoria: idee Condividi
Il voto politicamente decisivo, per Renzi, era Milano. S’è salvato, a Milano, e adesso può continuare a raccontare che il voto non è politicamente significativo. Ma, a questo punto, la sfida di ottobre diventa per lui assolutamente decisiva. E, con i risultati di queste elezioni, se il Movimento 5 Stelle si dovesse impegnare davvero “pancia a terra” per il referendum, per il No, rischia la pelle. Ma non ne sono convinto: non sono affatto convinto che il Movimento 5 Stelle condurrà una battaglia all’ultimo respiro su questo tema, perché ormai è evidente che al Movimento 5 Stelle la riforma Renzi conviene, è molto semplice – a meno che Renzi non decida di cambiare la legge elettorale. Come vado ripetendo dall’inizio della sua avventura, quello dei 5 Stelle non è un movimento di destra, assolutamente, e quindi anche una certa riforma istituzionale molti dei militanti l’avrebbero appoggiata. Metà dell’elettorato e dei militanti 5 Stelle hanno una storia che è Ulivo, è centrosinistra; sono persone che la sciagurata direzione del centrosinistra, dell’Ulivo prima e del Pd dopo, ha perso per strada. Non hanno nulla a che fare, antropologicamente, col Fronte Nazionale e Lega, sono molto più simili agli Tsipras, ai Podemos. Quindi, perché dovrebbero schierarsi “usque ad mortem” contro Renzi sul referendum? Non credo che lo faranno, e non solo per ragioni tattiche.L’affermazione del Movimento 5 Stelle viene da lontano, e viene soprattutto dalle strutturali debolezze del Partito Democratico, che non dipendono tanto dalle lacerazioni interne, come si continua a blaterare, ma da una radicale debolezza del mondo in cui questo partito è stato organizzato fin dall’inizio, dimenticando totalmente il “problemino” di un suo radicamento territoriale, la valorizzazione delle energie locali. Sono scelte sciagurate, che dimostrano come la dirigenza ex socialdemocratico-comunista ed ex democristiana che hanno dato vita al Pd non comprendessero nulla, negli anni ‘90 e nel primo decennio del nuovo millennio, delle trasformazioni sociali e strutturali che erano in atto. Questo non è il senno di poi. Si chieda a Fassino delle decine di riunioni, anche con lui, e allora anche con Chiamparino, per vedere di organizzare un Partito Democratico federalistico, che puntasse sul radicamento territoriale nelle periferie. Le energie c’erano, basti pensare all’andamento del voto amministrativo nel ventennio berlusconiano: sempre vi era un’affermazione maggiore del centrosinistra, dell’Ulivo, rispetto al centrodestra.Tutto ciò è stato sradicato, è stato dimenticato, ed è da lì che nasce il successo dei grillini – da lì e poi, certo, anche da un movimento generale anti-sistema che è comune in tutta Europa. Ma la specificità del caso italiano va compresa lì. E non è che sia scomparsa la classe operaia, non è scomparso il lavoro dipendente. E cosa votano costoro, soprattutto i giovani? Votano 5 Stelle massicciamente, o stanno a casa. L’astensionismo? Impressionante, ma ormai è fisiologico: centrodestra e centrosinistra dovrebbero cambiare radicalmente (ma non c’è alcuna prospettiva), e diventare nuovamente attrattivi di settori dell’elettorato “ragionante”. Perché comunque questa non è l’astensione dell’indifferenza, è l’astensione del “non ne possiamo più”: non ne possiamo più di andare a scegliere in quale demagogia identificarci. Metà di quest’astensione è un’astensione matura, consapevole: non possiamo continuare a votare tra chi promette di più e chi è più incompetente. Questi dati non cambieranno fino a quando non ci sarà un’offerta politica più intelligente e più adeguata alle tragedie che viviamo.(Massimo Cacciari, “Risultato Torino sintomatico disastro Pd”, dichiarazioni rilasciate ad Anna Zippel per “Repubblica Tv” il 20 giugno 2016).
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