Diario della caduta di un regime.

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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camillobenso
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COME CI SIAMO RIDOTTI


Qualcuno se la ricorderà la gag di Totò a "Studio Uno 1966"

Allora ridevamo tutti con quell'interpretazione di Totò.


E' passato mezzo secolo, ma oggi NON C'E' PIU' NIENTE DA RIDERE.

Sia per noi italiani, ma anche per il resto del mondo, da qualche anno PASQUALE-TOTO' SIAMO DIVENTATI NOI.

IL POTERE CI TRATTA IN QUESTO MODO E ALLA FINE RISPONDIAMO:

"E CHE SONO IO PASQUALE?"


https://www.youtube.com/watch?v=NMW5ug4lS4U
camillobenso
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REGOLAMENTO DEI CONTI


PRIMA DEI BALLOTTAGGI, MUSSOLONI AVEVA ANNUNCIATO CHE SI SAREBBE PRESENTATO CON IL LANCIAFIAMME.


POI SI E' VERIFICATO IL FLOP TOTALE DEL PD TARGATO RENZI.

GIA' NELLE ULTIME ORE SI E' ARRAMPICATO SUI VETRI COME IL SUO SOLITO.


VEDREMO OGGI COSA SUCCEDE.



REAZIONI
Dopo la sconfitta è guerra nel Pd romano: "Tutta colpa di Orfini", "No, colpa dei notabili"
La sconfitta di Roberto Giachetti e il trionfo di Virginia Raggi costringono il partito a una riflessione. E scatta la caccia al colpevole in attesa del congresso convocato a ottobre
DI SARA DELLABELLA
20 giugno 2016


Dopo la sconfitta è guerra nel Pd romano: Tutta colpa di Orfini, No, colpa dei notabili


l risveglio è complicato. Lo si capisce dalla poca voglia di parlare e dai commenti affidati a caldo sui social network. I telefoni dei parlamentari romani del Pd squillano a vuoto, solo qualche dirigente di partito lascia un commento il giorno dopo la sconfitta.

Così dopo vari tentativi risponde Patrizia Prestipino membro della Direzione nazionale del PD e segretaria del circolo dell'Eur, uno di quelli annullati dal commissario Orfini.

"Era tutto già previsto" commenta così il 32,8 per cento di Giachetti, "ma se su Roma potevamo aspettarcelo, il dato di Torino ci impone una riflessione ulteriore sul modello di partito. - Ma di fronte ad una sconfitta così, non si può che essere ottimisti per ricominciare".

Meno delicato è stato Stefano Pedica che nella nottata appena trascorsa è stato tra i primi a chiedere il congresso romano anticipato. La sua è un'accusa netta ed un invito ad "allontanare dal partito chi si faceva fotografare a cena con i Buzzi di turno. Allo stesso tempo, bisogna far capire ad alcune persone che non basta solo presentarsi come renziani o turbo renziani della prima, seconda o terza ora per avere posizioni di potere, bisogna sentirsi del Pd e del centrosinistra. Adesso, bisogna ricreare un partito e cancellare le aree di potere che hanno rovinato il Pd romano".

Il dito oggi è puntato contro Matteo Orfini e i sub commissari che avrebbero dovuto traghettare il Pd dai giorni funesti dell'inchiesta Mafia Capitale fino alle amministrative, cercando di limitare i danni.

Eppure c'è chi sul territorio da mesi accusa un sistema che ha badato più a fustigare che a ricucire quel che rimaneva dopo lo tsunami dell'inchiesta giudiziaria. Non lesina critiche neppure Marco Miccoli , battagliero deputato del Pd ed ex segretario del partito cittadino che ravvisa nella cacciata di Marino l'origine del malcontento. "Lo abbiamo deciso noi di andare al voto. Quelli come me, ed altri come i militanti di Donna Olimpia, che avevano consigliato di non farlo sono stati attaccati e isolati. E, dopo aver chiuso il circolo 'ribelle', ci e' stato impedito anche di essere seggio alle primarie. Ora c'è da ricostruire il partito partendo da quella classe dirigente che nei municipi e' stata attaccata. Nel Pd romano e nel Pd laziale il 'lanciafiamme' e' poco. Orfini e' responsabile della disfatta ma non e' il solo: chi lo ha sostenuto non provi a salire sul carro dei ripulitori"


.Di avviso contrario è il diretto interessato. Matteo Orfini in un'intervista rilasciata a La Stampa ha negato che la cacciata di Marino abbia avuto ripercussioni sulla sfiducia che i romani hanno dimostrato verso il Pd. Tuttavia il Commissario non fa autocritica neppure oggi additando tra le cause della disfatta l'avere affidato i rapporti con i quartieri popolari (dove il Pd sparisce nel segreto dell'urna) al "notabilato più deteriore". In un lungo post su Facebook lo stesso Orfini ha poi annunciato il congresso del Pd romano entro ottobre e provato ad abbozzare un'analisi sui motivi della disfatta: "Chiunque abbia girato la città in questa campagna elettorale sa che i romani in periferia non ci criticavano per aver dimesso Ignazio Marino, ma per averlo eletto."

Ma se Roma piange, Cartagine non ride, verrebbe da dire. E la sconfitta di Piero Fassino a Torino impone al Pd una riflessione in più sul perchè quello di Renzi non sia più il partito a vocazione popolare. E' Roberto Morassut, assessore all'Urbanistica durante la giunta Veltroni, ad allargare il ragionamento anticipando probabilmente quelle che saranno le riflessioni della Direzione nazionale di venerdì. "Il tema di fondo è il funzionamento di questo partito dove non c'è più una libera circolazione delle idee, c'è un pluralismo finto di mille correnti che non esprimono un'idea e non hanno collegamento con la società – analizza il deputato - Non possiamo pensare di andare avanti solo con la figura trainante di Renzi. A Roma bisogna trovare le forme giuste per riportare la politica in mezzo alla gente e su come organizzare l'opposizione sulle cose".

Oggi, inizia un giorno nuovo per il Movimento 5 stelle, ma inevitabilmente anche per il Pd.

http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
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Roma, sistema mazzette: indagato deputato Ncd
24 arresti, in manette 2 funzionari delle Entrate
Operazione “Labirinto” coordinata dalla Procura della Capitale. Sotto inchiesta anche Antonio Marotta
Arrestato il fratello del segretario della Dc Giuseppe Pizza (indagato): “Relazioni ed entrature politiche”

Giustizia & Impunità
Il fratello di Giuseppe Pizza (ex sottosegretario del governo Berlusconi) arrestato e un parlamentare del Nuovo Centrodestra, Antonio Marotta, indagato. Sono questi i nomi più importanti coinvolti nell’ultima operazione anticorruzione della procura di Roma. La Guardia di Finanza ha eseguito 24 ordinanze di custodia cautelale (dodici in carcere e dodici ai domiciliari), cinque misure interdittive e sequestrato beni per 1,2 milioni di euro. I reati ipotizzati dalla Procura di Roma vanno dall’associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale alla corruzione, dal riciclaggio alla truffa ai danni dello Stato e all’appropriazione indebita
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PREMIATO PUTTANIFICIO TRICOLORE




Direzione Pd, Renzi sfida la minoranza: "Se volete che lasci, chiedete un congresso"
Il premier-segretario risponde picche a chi chiede un'analisi del voto delle amministrative e una gestione più condivisa, e "più di sinistra", del Partito. Riproponendo il suo schema preferito: un partito nuovo, il suo ovviamente, contro uno vecchio che si balocca nelle questioni interne
DI LUCA SAPPINO
04 luglio 2016

Ci arriva dopo aver parlato di banche, del barcone recuperato nel Mediterraneo, di Dacca, di Brexit, di tasse e di jobs act, dopo aver mandato in onda non slide ma ben tre video di cui uno sul giocatore Eric Cantona e l’importanza del gioco di squadra, ma alla fine Matteo Renzi ha risposto alla minoranza del Pd che chiedeva un’analisi del voto delle amministrative e una gestione più condivisa, e «più di sinistra», del Partito.

E ha risposto picche, in estrema sintesi, come deve registrareGianni Cuperlo che amaro gli replica: «Oggi tu sei vissuto come avversario da una parte della destra, e va bene così, ma anche da una parte della sinistra, e questo è un dramma. Senza una svolta tu condurrai la sinistra italiana a una sconfitta storica». Renzi non la pensa così, evidentemente, visto il sorriso sarcastico con cui ha finito la sua introduzione, rivolto alla minoranza dem: «Se volete che io lasci, nE «in bocca al lupo», dice Renzi con quel sorriso. Allo stesso modo, «se volete dividere le cariche», continua rivolto a chi, da Bersani e D’Alema in giù, chiede che il segretario non sia più automaticamente il candidato premier, «non avete che da proporre una modifica allo Statuto». E poi, ancora una volta: «Non avete che da trovare i numeri. In bocca al lupo».

Vincenzo De Luca in direzione nazionale Pd definisce «bambolina imbambolata» Virginia Raggi.
— Ciro Pellegrino (@ciropellegrino) 4 luglio 2016
Lancia dunque la sfida convinto di vincerla, Matteo Renzi, e non c’è modo più comodo per chiudere la discussione con la minoranza interna. Perché Renzi non lo dice, ovviamente, ma cosa pensano i suoi, della minoranza, è noto. Il notista de l’Unità Fabrizio Rondolino, ad esempio, l’ha detto a La7 senza troppi giri di parole: «Nessuno può insediare la leadership di Renzi. Sono morti che camminano».

Toni così li usava Grillo, ma non fa niente: sono «morti che camminano», sì (e Virginia Raggi, d’altronde, per Vincenzo De Luca è «una bambolina imbambolata»)on avete che da chiedere un congresso anticipato e vincerlo».

Perché lo schema della direzione del Pd è dunque, ancora una volta, quello del Pd nuovo, «dove finché il segretario lo faccio io le correnti non avranno spazio», contro il Pd vecchio, incapace di seguire le rapide evoluzioni del primo e di comprendere soprattutto che - è sempre la versione del premier - «nei tempi della comunicazione», bisognerebbe imparare qualcosa persino dai Cinque Stelle, «che litigano senza avere il coraggio di farlo in diretta streaming», dice ancora Renzi, ma che sanno almeno di doversi mostrare pubblicamente «come una falange».

#Renzi a #direzionePd : correnti non contano, ma i renziani che scendono dal carro lo troveranno occupato. Poca logica ma che eleganza!

— Marco Meloni (@MarcoMeloni) 4 luglio 2016
Il Pd vecchio, dunque, che vorrebbe baloccarsi di questioni interne mentre lui si spende in Europa, trova i soldi per le banche italiane, recupera il barcone nel Mediterraneo, approva le unioni civili. «Mi sono appuntato otto punti che vorrei toccare nel mio intervento», dice Renzi aprendo la direzione del partito. L’esito delle amministrative è solo il quinto; il suo ruolo nel partito, l’ultimo. Che Renzi sveli la scaletta
dell’intervento non è un caso, ma il modo perfetto per rappresentare plasticamente quali sarebbero le sue priorità, se solo non ci fosse qualcuno nel partito con strane passioni: «Il problema non sono le amministrative», dice ancora Renzi, «diciamoci la verità: per molti di voi il problema è il partito, di quello volete discutere».
Non abbiamo perso le amministrative tutt'e insieme, abbiamo perso un'amministrativa per volta
— Antonio Polito (@antoniopolito1) 4 luglio 2016
Anche perché parlare delle amministrative non porta lontano. Renzi conferma infatti più o meno quando detto a caldo due settimane fa: «Per dare una lettura nazionale del voto bisogna avere molta fantasia», dice. Insomma: i Cinque Stelle saranno pure stati bravi a vincere a Roma e Torino, ma poi ci sono i piccoli comuni e c’è soprattutto Milano, «simbolo delle elezioni».
«Le amministrative non sono andate bene», dice Renzi, che dipinge però praticamente un pareggio. Pareggio che così non giustifica nessuna riorganizzazione interna, che dà torto «a chi dice che c’è un problema di linea politica». Non c’è alcun problema, per Renzi, che come prova porta il risultato «anche peggiore» del Pd pugliese rispetto al Pd nazionale. Il Pd pugliese di Michele Emiliano, un Pd che sarebbe dunque più di sinistra.
Renzi: "reddito di cittadinanza è messaggio devastante" mentre il lavoro gratuito di Expo e i voucher sono un bel messaggio eh#direzionePd
— Claudio Riccio (@claudioriccio) 4 luglio 2016
Un Pd che vorrebbe logorarlo, è l’accusa: «Guardate le vostre bacheche facebook», dice Renzi, «non diffondete mai le cose buone che fa il Pd, che facciamo noi». Sempre a polemizzare, anzi, sta la minoranza, che si è convinta, ad esempio, che sia il premier a personalizzare lo scontro sul referendum costituzionale. E invece non è così, dice sempre Renzi, che però conferma che se vincono i no lui lascia palazzo Chigi e anzi, introdotto dal video dell’intervento della rielezione di Napolitano, aggiunge: «Per me dovrebbe prenderne atto anche il Parlamento». Via il governo, dunque, e ritorno alle urne. Con che legge elettorale? Questo è invece l’unico spiraglio che arriva dalla direzione. Perché il premier di Italicum non parla - dopo aver detto alla vigilia che «non c’è la maggioranza per modificarlo». Ma Dario Franceschini invece sì. Il ministro - che i retroscena delle ultime settimane danno indaffarato a organizzare l’era post Renzi - apre alla richiesta numero uno della minoranza: «Il premio alla coalizione vuol dire includere, allargare. Così si batte il populismo».
E noi a scrivere che la minoranza avrebbe chiesto la modifica dell'Italicum. Invece l'ha chiesto Franceschini. #direzionePd
— Elisa Calessi (@elisacalessi) 4 luglio 2016

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Ha scritto così, Barbara Spinelli, la settimana scorsa:


Ma nelle classi politiche ormai la memoria dura meno di un anno; di questo passo tra poco usciranno di casa la mattina dimenticandosi di essere ancora in mutande.


Peggio ancora è lo stato della memoria degli italiani.

NON RICORDANO PIU' CHE LA CADUTA DELLA DC E DEL PENTAPARTITO, E' AVVENUTA IN UN CLIMA DI SCANDALI INFERIORE A QUELLI CHE SI STANNO VERIFICANDO ORA.

I POLITICI TACCIONO SU GLI ARRESTI DI STAMANI A ROMA E SUL FATTO CHE SIA IMPLICATO UN PARLAMENTARE DEL PARTITO OMBRA DI ALGERINO ALFANO.

MENO CHE MENO, MUSSOLONI & C.

LA STAMPELLA ALFANO SERVE A REGGERE PER LE PROSSIME SETTIMANE.
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Direzione Pd, Cuperlo a Renzi: “Esci dal talent. Sei visto come avversario da parte della sinistra”

Nella direzione nazionale del Partito democratico, la prima dopo il flop delle amministrative, l’esponente della minoranza dem Gianni Cuperlo attacca frontalmente il premier-segretario Matteo Renzi: “E’ suonato l’allarme. Oggi sei vissuto come l’avversario di parte della destra, ma anche di un pezzo della sinistra. E questo è un dramma. Il rischio è che senza una svolta condurrai la sinistra italiana a una sconfitta storica”. Sulle riforme costituzionali come sulla legge elettorale, il commento di Cuperlo è tranchant:
Insistere non è una prova di coraggio ma di miopia”

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/07/ ... ra/540653/
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LA SECONDA REPUBBLICA E' FINITA.

MORTA E SEPOLTA

E' FINITA ANCHE LA DEMOCRAZIA ??????????





ARRESTI
Il Labirinto della corruzione: politica e affari all’ombra del Parlamento
Blitz della Guardia di Finanza con 24 persone finite in manette. Al centro del groviglio di interessi tra imprenditoria e Palazzo il faccendiere Raffaele Pizza, fratello dell’ex sottosegretario Giuseppe, e Antonio Marotta, parlamentare alfaniano, ex membro del Csm
DI MICHELE SASSO
04 luglio 2016


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ANTICIPAZIONE
Enrico Letta: "La classe dirigente? Non esiste più"
La crisi europea e i leader del Continente in difficoltà. Ma anche la situazione italiana, tra coalizioni di vecchi partiti, leggi elettorali da cambiare e referendum. Intervista all'ex premier. Che non risparmia critiche a Matteo Renzi
DI MARCO DAMILANO
30 giugno 2016


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Enrico Letta: La classe dirigente? Non esiste più
Enrico Letta
«La classe dirigente non c’è più. Le élite non esistono più...». Comincia così, sull'Espresso in edicola da venerdì, la conversazione con Enrico Letta, non un apocalittico ma l’ex presidente del Consiglio, ora a Parigi come direttore di Sciences Po, nel cuore dell’Europa a rischio dissoluzione dopo il referendum inglese. Un punto di osservazione privilegiato: «Credo che il rilancio dell’Europa sia decisivo. Anche l’attentato di Istanbul dimostra che la parola chiave di questo tempo è protezione e non protezionismo. C’è bisogno di un’Europa che protegga i suoi cittadini, le fasce deboli, i perdenti della globalizzazione».

ESPRESSO+ LEGGI L'INTERVISTA INTEGRALE

«Il punto è: che qualità deve avere una leadership? Oggi la crisi delle élite esalta la necessità di unire, non di semplificare. Servono leader che uniscano, non leader che semplificano e dividono. Quando semplifichi, a furia di cancellare e di tagliare ogni complessità, arriva qualcuno che semplifica più di te e che alla fine ti manda a casa. Per questo la crisi scuote in particolare i sistemi presidenziali, i più verticali. Vivo in Francia, in questo momento il paese più shakerato d’Europa.... Vale anche per l’Italia: voler introdurre un sistema simil-presidenziale come quello che esce dall’Italicum è un errore profondo, una spinta artificiale che provocherà gli stessi danni di cui soffrono oggi altri Paesi europei. I sistemi presidenziali ti danno la forza, ma non ti obbligano a includere. E invece questo è il tempo di unire. Di fare coalizioni».

È questo il futuro: grandi coalizioni contro partiti anti-sistema?
«La grande coalizione può essere una soluzione eccezionale, emergenziale, ma se diventa stabile si trasforma in un vantaggio per chi resta fuori, per chi lucra sul fatto di non essere in quello schema. Non credo che la soluzione sia l’alleanza tra le famiglie politiche sopravvissute al Novecento, i socialisti e i popolari. È una reazione difensiva, che non attrae nessuno, perdente. Il vino nuovo non può stare negli otri vecchi, servono discontinuità di tipo politico e organizzativo».

Ma non avevate fondato il Pd per questo motivo, per superare le identità politiche tradizionali? Lo avete ripetuto per anni...
«Prima del Pd è venuto l’Ulivo. Innovazioni della politica italiana che hanno anticipato l’Europa. Ora non si può continuare a fare finta che non sia successo nulla o continuare a evocare parole fuorvianti come populismo».

Perché fuorvianti?
«Perché catalogare sotto lo stesso concetto il partito di Marine Le Pen e il Movimento 5 Stelle è onestamente sbagliato. È un’analisi che non ci fa capire come stanno le cose e che ci porta a conclusioni paradossali. Davvero il 67 per cento degli elettori romani che ha votato per Virginia Raggi si può definire in blocco populista? È una frattura che va chiamata con il suo nome: partiti tradizionali da una parte, forze politiche nuove dall’altra».

Vecchio contro nuovo?
«Io vedo due errori: identificare la grande coalizione come l’accordo dei vecchi partiti. Oppure puntare sulla verticalizzazione del potere, in un momento in cui i nuovi movimenti affermano la necessità di riaprire le élite, i circuiti chiusi in cui non si entra senza la cooptazione. In Italia M5S è riuscito a inserire gli outsider nel gioco della politica, è questo il merito che gli riconoscono gli elettori».

La sfiducia ha corroso le élite. A Roma chi ha votato la Raggi ha detto: un salto nel vuoto, ma degli altri non mi fido più.
«Siamo entrati nel tempo di San Tommaso. Nella società mediatica credi solo a quello che vedi e che tocchi con mano. Non ti fidi della tradizione orale, meno che mai degli esperti e dei politici. E sei disposto ad accettare decisioni complesse, dolorose, coraggiose, solo quando la casa brucia. Il guaio è che a quel punto è tardi: la casa è già bruciata. Non dubito che ora molti inglesi, se potessero, voterebbero per il “remain”. Ma nel voto è prevalsa la voglia di dare una lezione a David Cameron, a Oxford, Cambridge e la City».

E Renzi con il referendum sulla Costituzione?
«È stato un errore personalizzare il referendum, mettere insieme piani diversi: la riforma costituzionale, la vita del governo, il futuro del leader. Un errore clamoroso che può provocare altre ripercussioni. E nuovi danni».

Si può rimediare?
«I francesi dicono: non si rimette la schiuma nello spray. È complicato, ma decisivo per evitare altri sconquassi. Non sarebbe sbagliato pensare a spacchettare la riforma in più quesiti, per permettere agli elettori di discutere i singoli punti: il Senato, le regioni, come si fanno le leggi...».

Oppure si cambierà la legge elettorale?
«L’Italicum non andava fatto. Il mio ultimo atto da deputato è stato votare contro una legge che è come il Porcellum. Renzi l’ha voluta su misura di sé e del Pd al 40 per cento. Difficile tornare indietro, anche perché sembrerebbe di farlo contro M5S. Ma votare con l’Italicum sarebbe irresponsabile».

L'articolo integrale sull'Espresso in edicola dal 1 luglio e già online su Espresso+

http://espresso.repubblica.it/archivio/ ... =HEF_RULLO
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LIBRE news

Carpeoro: via Renzi arriva Di Maio, il Piano-B dello Zio Sam
Scritto il 05/7/16 • nella Categoria: idee Condividi


«Tranquilli, non c’ è pericolo che in Italia cambi qualcosa: se cade Renzi, c’è già pronto Di Maio, il grillino».

Con la consueta chiarezza, l’avvocato Gianfranco Carpeoro – scrittore, studioso di linguaggio simbolico e già gran maestro della massoneria di rito scozzese, ospite dell’ultima puntata della trasmissione web-radio “Border Nights”, sostiene che in Italia non vi sarà nessuna immediata conseguenza politica della Brexit.

Premessa: secondo Carpeoro, l’Inghilterra è uscita dall’Unione Europea “per modo di dire”, perché di fatto «in Europa la Gran Bretagna non c’è mai stata davvero».

Terremoti geopolitici in vista? Nemmeno: «Al di là delle apparenze – terrorismo europeo, crisi, Isis e chi più ne ha più ne metta – il quadro non cambierà, perché gli Usa sono interessati a congelare la situazione: il loro debito è in mano alla Cina e non vedono l’ora di chiudere questo problema, perché non tollerano l’idea di dipendere da qualcun altro.

Hanno bisogno tempo, dunque di stabilità.

Fingono di osteggiare l’intervento russo in Siria, ma in realtà fa comodo anche a loro.

Idem l’Italia: nulla di sostanziale deve cambiare, e quindi non cambierà».

Di ispirazione socialista, Carpeoro esprime un punto di vista sempre fuori dal coro, L’esoterismo? «Il potere non esita a metterlo in burletta, promuovendo i Maghi Otelma di turno, perché teme il potenziale di verità dell’esoterismo serio».

L’analisi sullo scenario coincide con quella di Gioele Magaldi: «La massoneria reazionaria internazionale è al lavoro per il massimo profitto dell’élite, revocando diritti e sicurezze».

Forse qualcuno si sta sfilando, da quel super-vertice occulto, mettendo in allarme i grandi manovratori, che infatti – attraverso i servizi segreti e manovalanza anche islamica – ricorrono in modo ormai sistematico alla strategia della tensione targata Isis.

L’Unione Europea azzoppata dalla Brexit? Ma no: l’Ue non è mai stata altro che una colossale trappola congegnata per drenare ricchezza dal basso verso l’alto, impedendo all’Europa di conquistare una vera sovranità, in autonomia dagli Usa.


«E poi: come potrebbe mai funzionare una Unione con al suo interno democrazie parlamentari e monarchie?».

Insomma, tutto sotto controllo (si fa per dire).

Nel senso: nessun rivolgimento in vista. Anche perché non ci sono segni che possa essere insidiato, nel suo meccanismo fondamentale, «un sistema come questo, fondato su un’economia che prevede che, perché qualcuno stia meglio, c’è bisogno che altri stiano peggio».

Inutile illudersi che cambi qualcosa di sostanziale, in Europa come in Italia.

Da noi c’è in panchina il movimento fondato da Beppe Grillo? Appunto: «I 5 Stelle sono sempre stati la carta di riserva degli americani, nel caso cedesse il Pd».

Che i militanti se ne rendano conto o meno, il movimento è stato “coltivato” dallo Zio Sam.

Non a caso, oggi non si accoda agli inglesi che hanno scelto il “leave”.

Uscire dall’Ue? Nemmeno per idea, hanno subito chiarito i vari portavoce pentastellati.

Su cui svetta il possibile futuro premier Luigi Di Maio: «Le sue visite al consolato americano a Roma sono aumentate, forse è un segno che il tempo di Renzi sta davvero per finire.

Beninteso: per gli italiani non cambierà assolutamente niente».
camillobenso
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" Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi"

Il Gattopardo

Tomasi di Lampedusa

Il Gattopardo
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Deve cambiare tutto perché niente cambi


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