referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
Referendum costituzionale, ecco tutte le tappe per arrivare al voto. Che potrebbe slittare fino a Natale
Referendum Costituzionale
Il voto finale si è svolto il 12 aprile scorso, poi il 6 maggio è arrivato il parere favorevole della Corte di Cassazione. Vediamo ora i passaggi successivi che porteranno alla consultazione, senza quorum, con cui gli italiani promuoveranno o bocceranno l’impianto di riforme del governo
di Gianluca Roselli | 30 luglio 2016
COMMENTI
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Se ne discuterà per tutta l’estate. Anche perché su questo Matteo Renzi si gioca la permanenza a Palazzo Chigi, come da lui più volte annunciato.
Parliamo del referendum costituzionale, che si terrà in autunno, anche se ancora non c’è una data certa e, se il timing si allungasse, potrebbe arrivare anche a ridosso di Natale.
Il voto finale si è svolto il 12 aprile scorso a Montecitorio: con 361 sì, 7 no e 2 astenuti la Camera ha dato l’ultimo via libera.
Successivamente il 6 maggio la Corte di Cassazione si è espressa favorevolmente sulla richiesta di referendum confermativo avanzata da un quinto dei senatori.
Vediamo ora le successive tappe che porteranno alla consultazione, senza quorum, con cui gli italiani promuoveranno o bocceranno l’impianto di riforme del governo, il famoso ddl Boschi.
La Cassazione sulle firme
Entro il 15 agosto, ovvero entro un mese dalla presentazione delle 500 mila firme, la Cassazione deve esprimersi sull’ammissibilità delle firme medesime: 580 mila raccolte dal comitato per il Sì, mentre il comitato per il No ha fallito l’obbiettivo.
Nel caso la Cassazione non ammettesse le firme, il referendum si terrebbe lo stesso.
Le firme, quindi, servono solo a consentire a chi le raccoglie di aver una sorta di imprimatur popolare che dà maggiore forza politica, garantisce gli spazi televisivi adeguati quando si entrerà in regime di par condicio e dà diritto a un rimborso elettorale di 500 mila euro (1 euro a firma).
La palla al governo
Dopo la Cassazione, che può decidere anche prima del 15 agosto, la palla passa al governo.
Entro 60 giorni dal parere della Corte, il consiglio dei ministri deve deliberare la data del referendum, che poi viene indetto da un decreto del presidente della Repubblica.
Quindi al più tardi entro il 15 ottobre si conoscerà la data della consultazione referendaria.
Si può finire anche a Natale
Il consiglio dei ministri, con la sua delibera, deve decidere una data che cada in una domenica compresa tra il 50esimo e il 70esimo giorno dalla riunione del cdm medesimo.
Se tutto procedesse con la massima velocità, dalla prima domenica di ottobre ogni data potrebbe essere buona.
Se invece il governo scegliesse di dilatare i tempi al massimo, si arriverebbe al 25 dicembre ma, in questo caso, vista la festività, l’ultima data utile per votare sarebbe domenica 18 dicembre.
Il costituzionalista
“La decisione sui tempi è una valutazione che risponde a criteriessenzialmente politici.
E’ il governo che decide secondo la sua convenienza.
Probabilmente Renzi vuole votare dopo il primo passaggio in Parlamento della legge di stabilità, così da elargire qualche mancia in vista delle urne”, osserva Massimo Villone, esponente del Comitato per il No e professore emerito di Diritto Costituzionale all’Università Federico II di Napoli.
“Votare a dicembre, oltre a essere anomalo e sospetto, favorirebbe l’astensione, visto che gli italiani sarebbero distratti dall’arrivo delle festività.
Sarebbe un po’ come votare in agosto.
Quindi si può asserire che la data più probabile dovrebbe cadere all’interno di una finestra compresa tra l’ultima settimana di ottobre e le prime due di novembre”, aggiunge Villone.
di Gianluca Roselli | 30 luglio 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... e/2943371/
Referendum Costituzionale
Il voto finale si è svolto il 12 aprile scorso, poi il 6 maggio è arrivato il parere favorevole della Corte di Cassazione. Vediamo ora i passaggi successivi che porteranno alla consultazione, senza quorum, con cui gli italiani promuoveranno o bocceranno l’impianto di riforme del governo
di Gianluca Roselli | 30 luglio 2016
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Se ne discuterà per tutta l’estate. Anche perché su questo Matteo Renzi si gioca la permanenza a Palazzo Chigi, come da lui più volte annunciato.
Parliamo del referendum costituzionale, che si terrà in autunno, anche se ancora non c’è una data certa e, se il timing si allungasse, potrebbe arrivare anche a ridosso di Natale.
Il voto finale si è svolto il 12 aprile scorso a Montecitorio: con 361 sì, 7 no e 2 astenuti la Camera ha dato l’ultimo via libera.
Successivamente il 6 maggio la Corte di Cassazione si è espressa favorevolmente sulla richiesta di referendum confermativo avanzata da un quinto dei senatori.
Vediamo ora le successive tappe che porteranno alla consultazione, senza quorum, con cui gli italiani promuoveranno o bocceranno l’impianto di riforme del governo, il famoso ddl Boschi.
La Cassazione sulle firme
Entro il 15 agosto, ovvero entro un mese dalla presentazione delle 500 mila firme, la Cassazione deve esprimersi sull’ammissibilità delle firme medesime: 580 mila raccolte dal comitato per il Sì, mentre il comitato per il No ha fallito l’obbiettivo.
Nel caso la Cassazione non ammettesse le firme, il referendum si terrebbe lo stesso.
Le firme, quindi, servono solo a consentire a chi le raccoglie di aver una sorta di imprimatur popolare che dà maggiore forza politica, garantisce gli spazi televisivi adeguati quando si entrerà in regime di par condicio e dà diritto a un rimborso elettorale di 500 mila euro (1 euro a firma).
La palla al governo
Dopo la Cassazione, che può decidere anche prima del 15 agosto, la palla passa al governo.
Entro 60 giorni dal parere della Corte, il consiglio dei ministri deve deliberare la data del referendum, che poi viene indetto da un decreto del presidente della Repubblica.
Quindi al più tardi entro il 15 ottobre si conoscerà la data della consultazione referendaria.
Si può finire anche a Natale
Il consiglio dei ministri, con la sua delibera, deve decidere una data che cada in una domenica compresa tra il 50esimo e il 70esimo giorno dalla riunione del cdm medesimo.
Se tutto procedesse con la massima velocità, dalla prima domenica di ottobre ogni data potrebbe essere buona.
Se invece il governo scegliesse di dilatare i tempi al massimo, si arriverebbe al 25 dicembre ma, in questo caso, vista la festività, l’ultima data utile per votare sarebbe domenica 18 dicembre.
Il costituzionalista
“La decisione sui tempi è una valutazione che risponde a criteriessenzialmente politici.
E’ il governo che decide secondo la sua convenienza.
Probabilmente Renzi vuole votare dopo il primo passaggio in Parlamento della legge di stabilità, così da elargire qualche mancia in vista delle urne”, osserva Massimo Villone, esponente del Comitato per il No e professore emerito di Diritto Costituzionale all’Università Federico II di Napoli.
“Votare a dicembre, oltre a essere anomalo e sospetto, favorirebbe l’astensione, visto che gli italiani sarebbero distratti dall’arrivo delle festività.
Sarebbe un po’ come votare in agosto.
Quindi si può asserire che la data più probabile dovrebbe cadere all’interno di una finestra compresa tra l’ultima settimana di ottobre e le prime due di novembre”, aggiunge Villone.
di Gianluca Roselli | 30 luglio 2016
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
CHI VUOLE IL RITORNO DEL FASCISMO NEL TERZO MILLENNIO, VOTI SI'.
Referendum, Verdini e i centristi per il Sì. D’Anna: “La guerra contro la sinistra e la bersaneria vinta sotto la guida del duce”
Politica
Il leader di Ala insieme al viceministro Zanetti lanciano la campagna in favore delle riforme: "Il problema è nei numeri, la politica si riduce a questo". Il senatore in un messaggio della chat interna intercettato e pubblicato dall'Huffington post sbeffeggia gli avversari: "L'esercito bolscevico del Generale Von Gotor è annientato"
di F. Q. | 2 agosto 2016
COMMENTI (0)
“La guerra contro la Sinistra e la Bersaneria sotto l’alta guida di sua maestà Denis Verdini, duce supremo, è vinta”. Ovvero il nemico è fuggito, è vinto, è battuto. Detto in altre parole, i verdiniani festeggiano la legittimazione definitiva tra i banchi della maggioranza con la formazione dei comitati per il Sì al referendum per le riforme. Vincenzo D’Anna, come riportato dall’Huffington post, sbeffeggia gli avversari nella chat interna con i colleghi di Ala con un messaggio trionfale: il colpo di Stato è avvenuto e “l’esercito del Bolscevico al comando del Generale Von Gotor è annientato”, si legge nel testo autografo. Non c’è altro da aggiungere. Tanto che al giornalista che chiede al plurimputato Verdini se la campagna per il Sì sia un “cavallo di Troia” per entrare nel governo, lui risponde quasi intenerito dall’ingenuità della domanda: “I numeri parlano, il resto sono chiacchiere. La funzionalità del Senato è legata all’esistenza di Ala, poi uno può dire quello che vuole. Il problema è nei numeri, la politica alla fine si riduce a questo. Il resto sono simpatie o antipatie”. E’ la legge di Verdini e finora ha avuto campo libero.
Nel giorno della vittoria “finale” sfilano uno di fianco all’altro gli autori delle riforme. I volti sono quelli dei parenti scomodi del governo, che Renzi vuole tenere sotto il tappeto, ma che come elefanti tornano fuori ad ogni sussulto. Ci sono: l’ex pontiere delle riforme Verdini, poi il segretario di Scelta civica Enrico Zanetti, i deputati di Ala, gli ex membri del gruppo di Scelta Civica, alcuni deputati del gruppo Maie, il Tosiano Marco Marcolini. La nascita dei comitati per il Sì dei centristi coincide con la nascita di una nuova formazione politica che riunisce quelle facce scontente dei loro ex partiti e che come obiettivo hanno solo quello di stare al tavolo di quelli che contano dettando legge pur essendo più piccoli degli altri. “Questa riunione”, ha detto Verdini, “ha un altro valore, quello di permettere di smettere di lagnarsi della forza altrui. Abbiamo numeri straordinari, siamo 134 deputati e senatori non del Pd che hanno sostenuto le riforme, sono numeri non trascurabili. Mi auguro che questo tipo di riunione si ripeta, se son rose fioriranno”.
Il messaggio di D’Anna del resto racconta questo. A riportarlo integralmente è l’Huffington post che è riuscito a intercettarlo in esclusiva: “La guerra contro la Sinistra e la Bersaneria che, sotto l’alta guida di S.M. Denis Verdini, duce supremo, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 8 Agosto 2015 con il determinate apporto numerico di 4 Senatori Campani su 10 in totale, e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 12 mesi, è vinta”. La saga inizia un anno fa e arriva al suo culmine con la mossa del viceministro Zanetti di apparentarsi con Ala e far passare la nuova linea anche ai colleghi di Scelta civica con una direzione ai limiti della correttezza. “La gigantesca battaglia ingaggiata in Senato”, continua D’Anna, “nel corso dell’anno ed alla quale pendevano parte fino a 20 Senatori di cui 2 successivamente dispersi contro le divisioni Bersaniane, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del Generale Zanetti, che immolava sul campo intere (e perenni) divisioni, sbarrando le vie della ritirata alle armate Anti Liberali, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria”.
Rese dei conti da Montecitorio a Palazzo Madama raccontate da D’Anna che da questo momento sente di potersi fregiare del titolo di costituente: alfaniani contro divisioni di cavalleria, il duca Marcello Pera “che avanza rapidamente alla testa della sua invitta Costituente per il SÌ anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate”, fino “all’esercito Bolscevico al comando del Generale Von Gotor”. “E’ annientato”, conclude D’Anna, “esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta, (fango, sterco, articoli di giornali e menzogne propalate) e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trenta senatori prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila pernacchie non ancora utilizzate. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.
di F. Q. | 2 agosto 2016
Referendum, Verdini e i centristi per il Sì. D’Anna: “La guerra contro la sinistra e la bersaneria vinta sotto la guida del duce”
Politica
Il leader di Ala insieme al viceministro Zanetti lanciano la campagna in favore delle riforme: "Il problema è nei numeri, la politica si riduce a questo". Il senatore in un messaggio della chat interna intercettato e pubblicato dall'Huffington post sbeffeggia gli avversari: "L'esercito bolscevico del Generale Von Gotor è annientato"
di F. Q. | 2 agosto 2016
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“La guerra contro la Sinistra e la Bersaneria sotto l’alta guida di sua maestà Denis Verdini, duce supremo, è vinta”. Ovvero il nemico è fuggito, è vinto, è battuto. Detto in altre parole, i verdiniani festeggiano la legittimazione definitiva tra i banchi della maggioranza con la formazione dei comitati per il Sì al referendum per le riforme. Vincenzo D’Anna, come riportato dall’Huffington post, sbeffeggia gli avversari nella chat interna con i colleghi di Ala con un messaggio trionfale: il colpo di Stato è avvenuto e “l’esercito del Bolscevico al comando del Generale Von Gotor è annientato”, si legge nel testo autografo. Non c’è altro da aggiungere. Tanto che al giornalista che chiede al plurimputato Verdini se la campagna per il Sì sia un “cavallo di Troia” per entrare nel governo, lui risponde quasi intenerito dall’ingenuità della domanda: “I numeri parlano, il resto sono chiacchiere. La funzionalità del Senato è legata all’esistenza di Ala, poi uno può dire quello che vuole. Il problema è nei numeri, la politica alla fine si riduce a questo. Il resto sono simpatie o antipatie”. E’ la legge di Verdini e finora ha avuto campo libero.
Nel giorno della vittoria “finale” sfilano uno di fianco all’altro gli autori delle riforme. I volti sono quelli dei parenti scomodi del governo, che Renzi vuole tenere sotto il tappeto, ma che come elefanti tornano fuori ad ogni sussulto. Ci sono: l’ex pontiere delle riforme Verdini, poi il segretario di Scelta civica Enrico Zanetti, i deputati di Ala, gli ex membri del gruppo di Scelta Civica, alcuni deputati del gruppo Maie, il Tosiano Marco Marcolini. La nascita dei comitati per il Sì dei centristi coincide con la nascita di una nuova formazione politica che riunisce quelle facce scontente dei loro ex partiti e che come obiettivo hanno solo quello di stare al tavolo di quelli che contano dettando legge pur essendo più piccoli degli altri. “Questa riunione”, ha detto Verdini, “ha un altro valore, quello di permettere di smettere di lagnarsi della forza altrui. Abbiamo numeri straordinari, siamo 134 deputati e senatori non del Pd che hanno sostenuto le riforme, sono numeri non trascurabili. Mi auguro che questo tipo di riunione si ripeta, se son rose fioriranno”.
Il messaggio di D’Anna del resto racconta questo. A riportarlo integralmente è l’Huffington post che è riuscito a intercettarlo in esclusiva: “La guerra contro la Sinistra e la Bersaneria che, sotto l’alta guida di S.M. Denis Verdini, duce supremo, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 8 Agosto 2015 con il determinate apporto numerico di 4 Senatori Campani su 10 in totale, e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 12 mesi, è vinta”. La saga inizia un anno fa e arriva al suo culmine con la mossa del viceministro Zanetti di apparentarsi con Ala e far passare la nuova linea anche ai colleghi di Scelta civica con una direzione ai limiti della correttezza. “La gigantesca battaglia ingaggiata in Senato”, continua D’Anna, “nel corso dell’anno ed alla quale pendevano parte fino a 20 Senatori di cui 2 successivamente dispersi contro le divisioni Bersaniane, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del Generale Zanetti, che immolava sul campo intere (e perenni) divisioni, sbarrando le vie della ritirata alle armate Anti Liberali, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria”.
Rese dei conti da Montecitorio a Palazzo Madama raccontate da D’Anna che da questo momento sente di potersi fregiare del titolo di costituente: alfaniani contro divisioni di cavalleria, il duca Marcello Pera “che avanza rapidamente alla testa della sua invitta Costituente per il SÌ anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate”, fino “all’esercito Bolscevico al comando del Generale Von Gotor”. “E’ annientato”, conclude D’Anna, “esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta, (fango, sterco, articoli di giornali e menzogne propalate) e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trenta senatori prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila pernacchie non ancora utilizzate. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.
di F. Q. | 2 agosto 2016
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
7 AGO 2016 16:30
AVVISO AI NAVIGATI DEL “GUARDIAN”: ‘’DOPO QUELLO BRITANNICO SULLA BREXIT, IL REFERENDUM ITALIANO SULLE RIFORME COSTITUZIONALI POTREBBE SCHIANTARE L'EUROPA
- E IN CASO DI SCONFITTA, RENZI RISCHIA DI ANDARE INCONTRO ALLO STESSO DESTINO DI DAVID CAMERON
- IL GIORNALE BRITANNICO SOTTOLINEA COME RENZI ABBIA RIBADITO CHE IL VOTO SULLE RIFORME NON SIA UN VOTO SUL GOVERNO. MA NOTA CHE ANCHE CAMERON ESCLUDEVA DI DIMETTERSI PRIMA DEL REFERENDUM SULL'UE…
http://www.huffingtonpost.it/?ref=HRBH-1
Dopo quello britannico sulla Brexit, un altro referendum rischia di 'abbattersi' sull'Europa: lo scrive oggi l'Observer, il domenicale del Guardian, che in una corrispondenza da Roma dedicata al prossimo voto referendario in Italia sulle riforme costituzionali si domanda se Matteo Renzi non rischi - in caso di sconfitta - di andare incontro allo stesso "destino di David Cameron", dimessosi a causa del risultato delle urne nel Regno Unito del 23 giugno.
Il giornale britannico sottolinea come il presidente del Consiglio abbia ribadito che il voto sulle riforme non sia un voto sul governo. Ma nota che anche Cameron escludeva di dimettersi prima del referendum sull'Ue, e che poi ha finito invece per farsi da parte: un esempio che - scrive l'Observer - non può non far sentire a Renzi un certo "malessere".
Nell'articolo si rileva che gli analisti italiani sono divisi sulle conseguenze di un'eventuale vittoria del 'no' alle riforme. Ma si cita almeno come potenziale lo sbocco di elezioni politiche anticipate e lo scenario di un Movimento 5 Stelle - forza definita "populista" - che "potrebbe spingere il Pd fuori dal potere".
Mentre si ricorda come il M5S abbia più volte evocato un referendum sull'euro. A complicare la partita per il governo, prosegue la corrispondenza, vi sono i problemi del sistema bancario, in particolare del Monte dei Paschi di Siena, e "il rallentamento della crescita dell'economia".
L'ultima parola è tuttavia affidata Gianni Riotta, "ex direttore del Sole 24 Ore", che avanza un pronostico ottimistico per Renzi sul referendum: "La mia previsione - dice Riotta - è che vincerà", malgrado tutto. "Ma prima - conclude - dovrà cospargersi un po’ il capo di cenere, unire le forze con qualche suo ex nemico e riconoscere che non può fare tutto da solo".
AVVISO AI NAVIGATI DEL “GUARDIAN”: ‘’DOPO QUELLO BRITANNICO SULLA BREXIT, IL REFERENDUM ITALIANO SULLE RIFORME COSTITUZIONALI POTREBBE SCHIANTARE L'EUROPA
- E IN CASO DI SCONFITTA, RENZI RISCHIA DI ANDARE INCONTRO ALLO STESSO DESTINO DI DAVID CAMERON
- IL GIORNALE BRITANNICO SOTTOLINEA COME RENZI ABBIA RIBADITO CHE IL VOTO SULLE RIFORME NON SIA UN VOTO SUL GOVERNO. MA NOTA CHE ANCHE CAMERON ESCLUDEVA DI DIMETTERSI PRIMA DEL REFERENDUM SULL'UE…
http://www.huffingtonpost.it/?ref=HRBH-1
Dopo quello britannico sulla Brexit, un altro referendum rischia di 'abbattersi' sull'Europa: lo scrive oggi l'Observer, il domenicale del Guardian, che in una corrispondenza da Roma dedicata al prossimo voto referendario in Italia sulle riforme costituzionali si domanda se Matteo Renzi non rischi - in caso di sconfitta - di andare incontro allo stesso "destino di David Cameron", dimessosi a causa del risultato delle urne nel Regno Unito del 23 giugno.
Il giornale britannico sottolinea come il presidente del Consiglio abbia ribadito che il voto sulle riforme non sia un voto sul governo. Ma nota che anche Cameron escludeva di dimettersi prima del referendum sull'Ue, e che poi ha finito invece per farsi da parte: un esempio che - scrive l'Observer - non può non far sentire a Renzi un certo "malessere".
Nell'articolo si rileva che gli analisti italiani sono divisi sulle conseguenze di un'eventuale vittoria del 'no' alle riforme. Ma si cita almeno come potenziale lo sbocco di elezioni politiche anticipate e lo scenario di un Movimento 5 Stelle - forza definita "populista" - che "potrebbe spingere il Pd fuori dal potere".
Mentre si ricorda come il M5S abbia più volte evocato un referendum sull'euro. A complicare la partita per il governo, prosegue la corrispondenza, vi sono i problemi del sistema bancario, in particolare del Monte dei Paschi di Siena, e "il rallentamento della crescita dell'economia".
L'ultima parola è tuttavia affidata Gianni Riotta, "ex direttore del Sole 24 Ore", che avanza un pronostico ottimistico per Renzi sul referendum: "La mia previsione - dice Riotta - è che vincerà", malgrado tutto. "Ma prima - conclude - dovrà cospargersi un po’ il capo di cenere, unire le forze con qualche suo ex nemico e riconoscere che non può fare tutto da solo".
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
Vox Ricca: quorum, bicameralismo, Italicum
Se le parole della politica sono un mistero
Le espressioni usate dai giornali e date per scontate nei titoli sono davvero comprensibili ai cittadini?
Ascoltando le risposte dei cittadini non si direbbe. L’esperimento di “Uomo da marciapiede” a Napoli
ricca parole politica 990
FattoTv
Quanto è accessibile il linguaggio della politica alle persone comuni? Fra sigle, acronimi e neologismi, la maggioranza dei cittadini ignora le parole che costellano le prime pagine dei giornali in edicola. Così, nel centro del capoluogo campano, il “Porcellum” diventa un’aggregazione di politici e i “50 voti di fiducia” una cinquantina di parlamentari fiduciosi nel governo. Fra risposte sbagliate e spesso esilaranti, il dato allarmante è che la gente fatica a capire il senso del dibattito pubblico di Piero Ricca e Fabio Capasso
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/08/ ... li/549552/
8 agosto 2016 | di Piero Ricca
Quorum, Csm e Italicum questi sconosciuti.
Le parole di politica e giornali sono un mistero: l’esperimento in centro a Napoli
Le parole usate nei titoli dei giornali e dalla politica sono davvero comprensibili da tutti? Non si direbbe, ascoltando le risposte dei cittadini in strada. Come la scorsa estate sulle rive del lago di Albano, Uomo da marciapiede ha effettuato un esperimento sociale nel centro di Napoli, con risultati non proprio incoraggianti. Ben pochi tra gli intervistati mostrano di conoscere il significato di termini come quorum, brexit, spread, Italicum. Incomprensibili ai più risultano parole che i titolisti danno per scontate come bicameralismo, premio di maggioranza, voto di fiducia, questione morale. Ancor più ostiche espressioni come stress test, Csm, lgtb, family day. Insomma, per molti comprendere in pieno il senso della cronaca politica ed economica è un’impresa ardua. In attesa di elevare gli standard di istruzione primaria e cultura diffusa – assai vasto programma – forse protagonisti e mediatori del dibattito pubblico dovrebbero impegnarsi a usare un linguaggio più accessibile di Piero Ricca, riprese e montaggio Fabio Capasso
Se le parole della politica sono un mistero
Le espressioni usate dai giornali e date per scontate nei titoli sono davvero comprensibili ai cittadini?
Ascoltando le risposte dei cittadini non si direbbe. L’esperimento di “Uomo da marciapiede” a Napoli
ricca parole politica 990
FattoTv
Quanto è accessibile il linguaggio della politica alle persone comuni? Fra sigle, acronimi e neologismi, la maggioranza dei cittadini ignora le parole che costellano le prime pagine dei giornali in edicola. Così, nel centro del capoluogo campano, il “Porcellum” diventa un’aggregazione di politici e i “50 voti di fiducia” una cinquantina di parlamentari fiduciosi nel governo. Fra risposte sbagliate e spesso esilaranti, il dato allarmante è che la gente fatica a capire il senso del dibattito pubblico di Piero Ricca e Fabio Capasso
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/08/ ... li/549552/
8 agosto 2016 | di Piero Ricca
Quorum, Csm e Italicum questi sconosciuti.
Le parole di politica e giornali sono un mistero: l’esperimento in centro a Napoli
Le parole usate nei titoli dei giornali e dalla politica sono davvero comprensibili da tutti? Non si direbbe, ascoltando le risposte dei cittadini in strada. Come la scorsa estate sulle rive del lago di Albano, Uomo da marciapiede ha effettuato un esperimento sociale nel centro di Napoli, con risultati non proprio incoraggianti. Ben pochi tra gli intervistati mostrano di conoscere il significato di termini come quorum, brexit, spread, Italicum. Incomprensibili ai più risultano parole che i titolisti danno per scontate come bicameralismo, premio di maggioranza, voto di fiducia, questione morale. Ancor più ostiche espressioni come stress test, Csm, lgtb, family day. Insomma, per molti comprendere in pieno il senso della cronaca politica ed economica è un’impresa ardua. In attesa di elevare gli standard di istruzione primaria e cultura diffusa – assai vasto programma – forse protagonisti e mediatori del dibattito pubblico dovrebbero impegnarsi a usare un linguaggio più accessibile di Piero Ricca, riprese e montaggio Fabio Capasso
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
IlFattoQuotidiano.it / Referendum Costituzionale
Referendum, ok della Cassazione. Data entro 60 giorni. M5S: “Con le firme il Pd incassa 500mila euro, ma non servivano”
Referendum Costituzionale
Da oggi parte il conto alla rovescia per decidere quando gli elettori saranno chiamati alle urne. Sarà una domenica compresa tra il 50°e il 70° giorno successivo al decreto di indizione. In arrivo rimborso di per il "Comitato per il sì" che ha raccolto le sottoscrizioni dei cittadini, non necessarie visto che la consultazione era già stata richiesta da 1/5 dei parlamentari. Il Movimento 5 Stelle attacca
di F. Q. | 8 agosto 2016
COMMENTI (715)
Via libera ufficiale della Cassazione alle firme raccolte dal Comitato per il Sì al referendum sulla riforma costituzionale: la Suprema Corte ha attestato che oltre 500mila sono valide.
Il governo ha ora 60 giorni per fissare la data della consultazione.
Gli elettori saranno chiamati alle urne in una domenica compresa tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo al decreto di indizione, che sarà firmato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Stando alle indiscrezioni circolate nel fine settimana, il premier Matteo Renzi punta alle domeniche tra il 13 e il 27 novembre, quando la legge di Stabilità dovrebbe essere stata approvata almeno dalla Camera.
Nel frattempo, il 4 ottobre, la Consulta si pronuncerà sull’Italicum.
La Suprema Corte aveva tempo per pronunciarsi fino al 15 agosto, ma ha anticipato i tempi e non ha utilizzato tutti i 30 giorni disponibili dalla presentazione delle firme, avvenuta il 14 luglio.
Si noti che il referendum si sarebbe svolto comunque, visto che ne avevano fatto richiesta un quinto dei parlamentari.
La raccolta di sottoscrizioni presso i cittadini è stata un di più, grazie al quale il Comitato per il Sì otterrà un rimborso di 500mila euro: 1 euro per ogni firma valida.
Rimborso che ora dà lo spunto per una nuova polemica.
“Con la riforma costituzionale il Pd rende gli italiani cornuti e mazziati – attaccano in una nota congiunta i parlamentari del M5S di Camera e Senato – infatti, mentre da una parte mente sapendo di mentire, affermando che la revisione della Carta taglia i costi della politica, dall’altra si intasca i 500 mila euro di rimborsi, denaro pubblico, che sono destinati per legge al loro comitato del sì che ha raccolto le firme per l’indizione del referendum popolare.
La cosa più grave è che non c’era neanche bisogno di raccoglierle in quanto il referendum si sarebbe svolto lo stesso dato che, come prevede la Costituzione all’articolo 138, un quinto dei deputati ne aveva già fatto richiesta”.
La grande macchina, intanto, è già pronta a partire.
“L’ufficio centrale per il referendum presso la Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza dell’8 agosto 2016″, si legge nel comunicato, “ha dichiarato conforme all’art. 138 e alla legge 352 del 1970 la richiesta di referendum depositata il 14 luglio 2016, alle ore 18.45, sul testo di legge costituzionale avente ad oggetto il seguente quesito referendario: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione’, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”.
Renzi ha ritwittato il tweet del comitato promotore per il sì al quesito: “Adesso possiamo dirlo: questo è il referendum degli italiani”.
Ma ora tutte le opposizioni spingono perché il governo indichi al più presto la data del voto.
I parlamentari M5S di Camera e Senato hanno diffuso una nota in cui chiedono che ora Renzi “indichi immediatamente la data in cui si andrà a votare”, sostenendo che “ogni altro vergognoso tentativo di rimandare il voto alle calende greche, oltre a quelli messi in atto fino ad ora, rappresenterebbe una grave violazione delle regole democratiche e una mancanza di rispetto nei confronti di tutti i cittadini italiani”.
“Abbiamo compreso che Renzi, il quale prima affermava che il referendum si sarebbe svolto il 2 ottobre, vuole far votare gli italiani solo quando avrà in mano sondaggi positivi”, conclude la nota, “ma si è superato ampiamente il limite”.
Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, ha twittato: “Da Cassazione via libera a consultazione costituzionale.
Ora governo @matteorenzi indichi subito data voto.
Stop scuse/trucchetti“.
Sulla stessa linea il senatore della Lega Nord Roberto Calderoli: “Renzi indichi subito la data nella quale ha deciso di farci votare, senza inutili perdite di tempo e senza prendere in giro gli elettori.
Si voti il prima possibile, per non prolungare oltre l’agonia di un governo che ormai sa già di essere sulla strada del tramonto.
Lo stesso premier aveva auspicato un voto entro la metà di ottobre – prosegue Calderoli – ora dimostri di essere coerente e replichi l’inconsueta velocità agostana dimostrata dalla Suprema Corte”.
Referendum, ok della Cassazione. Data entro 60 giorni. M5S: “Con le firme il Pd incassa 500mila euro, ma non servivano”
Referendum Costituzionale
Da oggi parte il conto alla rovescia per decidere quando gli elettori saranno chiamati alle urne. Sarà una domenica compresa tra il 50°e il 70° giorno successivo al decreto di indizione. In arrivo rimborso di per il "Comitato per il sì" che ha raccolto le sottoscrizioni dei cittadini, non necessarie visto che la consultazione era già stata richiesta da 1/5 dei parlamentari. Il Movimento 5 Stelle attacca
di F. Q. | 8 agosto 2016
COMMENTI (715)
Via libera ufficiale della Cassazione alle firme raccolte dal Comitato per il Sì al referendum sulla riforma costituzionale: la Suprema Corte ha attestato che oltre 500mila sono valide.
Il governo ha ora 60 giorni per fissare la data della consultazione.
Gli elettori saranno chiamati alle urne in una domenica compresa tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo al decreto di indizione, che sarà firmato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Stando alle indiscrezioni circolate nel fine settimana, il premier Matteo Renzi punta alle domeniche tra il 13 e il 27 novembre, quando la legge di Stabilità dovrebbe essere stata approvata almeno dalla Camera.
Nel frattempo, il 4 ottobre, la Consulta si pronuncerà sull’Italicum.
La Suprema Corte aveva tempo per pronunciarsi fino al 15 agosto, ma ha anticipato i tempi e non ha utilizzato tutti i 30 giorni disponibili dalla presentazione delle firme, avvenuta il 14 luglio.
Si noti che il referendum si sarebbe svolto comunque, visto che ne avevano fatto richiesta un quinto dei parlamentari.
La raccolta di sottoscrizioni presso i cittadini è stata un di più, grazie al quale il Comitato per il Sì otterrà un rimborso di 500mila euro: 1 euro per ogni firma valida.
Rimborso che ora dà lo spunto per una nuova polemica.
“Con la riforma costituzionale il Pd rende gli italiani cornuti e mazziati – attaccano in una nota congiunta i parlamentari del M5S di Camera e Senato – infatti, mentre da una parte mente sapendo di mentire, affermando che la revisione della Carta taglia i costi della politica, dall’altra si intasca i 500 mila euro di rimborsi, denaro pubblico, che sono destinati per legge al loro comitato del sì che ha raccolto le firme per l’indizione del referendum popolare.
La cosa più grave è che non c’era neanche bisogno di raccoglierle in quanto il referendum si sarebbe svolto lo stesso dato che, come prevede la Costituzione all’articolo 138, un quinto dei deputati ne aveva già fatto richiesta”.
La grande macchina, intanto, è già pronta a partire.
“L’ufficio centrale per il referendum presso la Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza dell’8 agosto 2016″, si legge nel comunicato, “ha dichiarato conforme all’art. 138 e alla legge 352 del 1970 la richiesta di referendum depositata il 14 luglio 2016, alle ore 18.45, sul testo di legge costituzionale avente ad oggetto il seguente quesito referendario: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione’, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”.
Renzi ha ritwittato il tweet del comitato promotore per il sì al quesito: “Adesso possiamo dirlo: questo è il referendum degli italiani”.
Ma ora tutte le opposizioni spingono perché il governo indichi al più presto la data del voto.
I parlamentari M5S di Camera e Senato hanno diffuso una nota in cui chiedono che ora Renzi “indichi immediatamente la data in cui si andrà a votare”, sostenendo che “ogni altro vergognoso tentativo di rimandare il voto alle calende greche, oltre a quelli messi in atto fino ad ora, rappresenterebbe una grave violazione delle regole democratiche e una mancanza di rispetto nei confronti di tutti i cittadini italiani”.
“Abbiamo compreso che Renzi, il quale prima affermava che il referendum si sarebbe svolto il 2 ottobre, vuole far votare gli italiani solo quando avrà in mano sondaggi positivi”, conclude la nota, “ma si è superato ampiamente il limite”.
Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, ha twittato: “Da Cassazione via libera a consultazione costituzionale.
Ora governo @matteorenzi indichi subito data voto.
Stop scuse/trucchetti“.
Sulla stessa linea il senatore della Lega Nord Roberto Calderoli: “Renzi indichi subito la data nella quale ha deciso di farci votare, senza inutili perdite di tempo e senza prendere in giro gli elettori.
Si voti il prima possibile, per non prolungare oltre l’agonia di un governo che ormai sa già di essere sulla strada del tramonto.
Lo stesso premier aveva auspicato un voto entro la metà di ottobre – prosegue Calderoli – ora dimostri di essere coerente e replichi l’inconsueta velocità agostana dimostrata dalla Suprema Corte”.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
ANCHE SE A TRE MESI DAL REFERENDUM, IL NO E' IN VANTAGGIO, NON BISOGNA MOLLARE NEL FARE PROPAGANDA PER VINCERE.
Referendum, il "no" avanti: sondaggi amari per Renzi
Dai sondaggi nuova batosta per il premier. I "no" al referendum sono in testa. Si avvicinano le elezioni anticipate?
Sergio Rame - Mar, 09/08/2016 - 10:25
commenta
Per Matteo Renzi e Maria Elena Boschi le cose non si mettono bene.
All'indomani del via libera della Cassazionei ai quesiti referendari sulla riforma costituzionale, i nuovi sondaggi fanno venire il mal di stomaco a Renzi.
Come riporta il Messaggero, sia per Ipr Marketing di Antonio Noto sia per l'Istituto Piepoli di Nicola Piepoli il fronte del "No" è in testa. Al referendum incasserebbe, infatti, il 52% dei voti, mentre i "sì" si fermerebbero al 48%.
Il cammino che porterà alla consultazione d'autunno è tutta in salita.
Fino a qualche mese fa Renzi era convinto che sarebbe stata un passaggiata.
Adesso inizia ad accorgersi che l'arrampicata sarà ardua.
E non è detto che non ci pianterà uno scivolone tale da farlo cadere a terra.
In quel caso la caduta sarebbe tanto dolorosa e imbarazzante che rialzarsi gli sarà pressoché impossbile.
"Sarà una campagna elettorale molto interessante perché nulla è scontato - spiega Noto al Messaggero - l'unica previsione che al momento mi sento di indicare è che l'affluenza potrebbe essere un elemento decisivo per l'eventuale vittoria del 'sì' perché i dati attuali riflettono la maggiore motivazione degli elettori appartenenti alle aree politiche contrarie alla riforma".
Un altro elemento di incertezza nel voto deriva da quello che i sondaggisti chiamano"tendenza di fondo".
"Fino a primavera non c'è stata partita: il 'sì' aveva un vantaggio enorme - fa notare Piepoli - da maggio in poi invece il 'no' ha mostrato un trend di costante ascesa la cui forza si è però molto indebolita nelle ultime settimane.
Se oggi dovessi dire qual è la tendenza dominante non sarei in grado di indicarla. Direi che la partita è apertissima".
Referendum, il "no" avanti: sondaggi amari per Renzi
Dai sondaggi nuova batosta per il premier. I "no" al referendum sono in testa. Si avvicinano le elezioni anticipate?
Sergio Rame - Mar, 09/08/2016 - 10:25
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Per Matteo Renzi e Maria Elena Boschi le cose non si mettono bene.
All'indomani del via libera della Cassazionei ai quesiti referendari sulla riforma costituzionale, i nuovi sondaggi fanno venire il mal di stomaco a Renzi.
Come riporta il Messaggero, sia per Ipr Marketing di Antonio Noto sia per l'Istituto Piepoli di Nicola Piepoli il fronte del "No" è in testa. Al referendum incasserebbe, infatti, il 52% dei voti, mentre i "sì" si fermerebbero al 48%.
Il cammino che porterà alla consultazione d'autunno è tutta in salita.
Fino a qualche mese fa Renzi era convinto che sarebbe stata un passaggiata.
Adesso inizia ad accorgersi che l'arrampicata sarà ardua.
E non è detto che non ci pianterà uno scivolone tale da farlo cadere a terra.
In quel caso la caduta sarebbe tanto dolorosa e imbarazzante che rialzarsi gli sarà pressoché impossbile.
"Sarà una campagna elettorale molto interessante perché nulla è scontato - spiega Noto al Messaggero - l'unica previsione che al momento mi sento di indicare è che l'affluenza potrebbe essere un elemento decisivo per l'eventuale vittoria del 'sì' perché i dati attuali riflettono la maggiore motivazione degli elettori appartenenti alle aree politiche contrarie alla riforma".
Un altro elemento di incertezza nel voto deriva da quello che i sondaggisti chiamano"tendenza di fondo".
"Fino a primavera non c'è stata partita: il 'sì' aveva un vantaggio enorme - fa notare Piepoli - da maggio in poi invece il 'no' ha mostrato un trend di costante ascesa la cui forza si è però molto indebolita nelle ultime settimane.
Se oggi dovessi dire qual è la tendenza dominante non sarei in grado di indicarla. Direi che la partita è apertissima".
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
STATISTI La ministra: “Chi dice di votare No vuol buttare il lavoro
del Parlamento”. Il premier: “Mezzo miliardo a chi ha di meno”
Boschi incostituzionale,
Renzi si vende i poveri
» SILVIA TRUZZI
La frase – tenetevi forte - è
questa: “Chi propone di
votare No al referendum e
buttar via due anni di lavoro
del Parlamento non rispetta
il lavoro del Parlamento”. Chi l’ha
detto? Il ministro Maria Elena
Boschi. Per completezza, prima
aveva dichiarato: “Abbiamo scelto
di rispettare in toto
la procedura prevista
dall’art. 138 della
Costituzione per
modificarla, questo
ha significato scegliere
la strada più
dura”. Che un povero
cittadino si domanda:
di grazia, che procedura
avrebbero
dovuto seguire? Una
incostituzionale? Una
illegittima?
DEL RESTO, il Parlamento
che ha votato la riforma,
proprio legittimo non è (vista la
sentenza della Consulta sul Porcellum).
Bisogna dire che negli ultimi
tempi il ministro ci ha abituati
ad affermazioni bizzarre. Il 18
luglio aveva spiegato come, con la
nuova Costituzione, saremo più
forti nella lotta al terrorismo: “Ab -
biamo bisogno di un’Europa più
forte e in grado di rispondere unita
al terrorismo internazionale.
E per riuscirci abbiamo bisogno
anche di un’Italia più forte verso
l’Europa: una Costituzione che ci
consenta maggiore stabilità”.
All’inizio di giugno disse che, a riforma
attuata, davanti all’Italia si
sarebbe spalancato
un luminoso destino
di agi e fasti: il Pil in
dieci anni sarebbe
aumentato del 6%.
Quali fossero i modelli
econometrici
usati dal ministro
ancora non è dato
sapere.
Ma nemmeno il
premier Matteo
Renzi ha chiarito da
quale cilindro ha tirato
fuori la sua affermazione
di ieri:
“Se passa il Sì si eliminano costi
per la politica per circa 500 milioni
di euro l’anno. Pensate come sarà
bello dall’anno prossimo metterli
sul fondo per la povertà”.
Peccato che, secondo le stime della
Ragioneria dello Stato, i risparmi
saranno circa di 50 milioni
all’anno. Cosucce. Naturlamente
in serata è arrivata la “precisazio -
ne” da parte dello staff del ministro
Boschi: la frase “è stata riportata
male dalle agenzie. Non si riferiva
ai cittadini che legittimamente
voteranno no ma solo a
quelli che oggi propongono di ripartire
da capo, pensando di fare
un’altra riforma in sei mesi”.
LA TOPPA è peggio del buco. Il
perché ce lo spiega Gaetano Azzariti,
ordinario di Diritto Costituzionale
a La Sapienza di Roma:
“Il governo, da quando ha deciso
di non ‘personalizzare’, auspica una
‘discussione nel merito’. Eppure
tutte queste affermazioni sono
solo propaganda. Non posso credere
che un ministro della Repubblica
abbia pensato di delegittimare
lo strumento referendario,
previsto dalla Costituzione! Non è
vero che l’Italia non ha avuto riforme
incisive anche dopo esiti
referendari negativi. Ne sono una
prova la modifica del Titolo V e la
modifica dell’art. 81, approvata in
sei mesi. Aggiungo: una delle ragioni
del No è che questa riforma
comprime l’autonomia del Parlamento.
Che ora il governo si faccia
paladino del Parlamento è davvero
incredibile, visto come ha forzato
tempi e modi dell’approva -
zione della riforma per arrivare,
in combinato disposto con l’Itali -
cum, a un assetto costituzionale
sbilanciato verso l’esecutivo”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dalla pagina 5, del Fatto Quotidiano di stamani.
del Parlamento”. Il premier: “Mezzo miliardo a chi ha di meno”
Boschi incostituzionale,
Renzi si vende i poveri
» SILVIA TRUZZI
La frase – tenetevi forte - è
questa: “Chi propone di
votare No al referendum e
buttar via due anni di lavoro
del Parlamento non rispetta
il lavoro del Parlamento”. Chi l’ha
detto? Il ministro Maria Elena
Boschi. Per completezza, prima
aveva dichiarato: “Abbiamo scelto
di rispettare in toto
la procedura prevista
dall’art. 138 della
Costituzione per
modificarla, questo
ha significato scegliere
la strada più
dura”. Che un povero
cittadino si domanda:
di grazia, che procedura
avrebbero
dovuto seguire? Una
incostituzionale? Una
illegittima?
DEL RESTO, il Parlamento
che ha votato la riforma,
proprio legittimo non è (vista la
sentenza della Consulta sul Porcellum).
Bisogna dire che negli ultimi
tempi il ministro ci ha abituati
ad affermazioni bizzarre. Il 18
luglio aveva spiegato come, con la
nuova Costituzione, saremo più
forti nella lotta al terrorismo: “Ab -
biamo bisogno di un’Europa più
forte e in grado di rispondere unita
al terrorismo internazionale.
E per riuscirci abbiamo bisogno
anche di un’Italia più forte verso
l’Europa: una Costituzione che ci
consenta maggiore stabilità”.
All’inizio di giugno disse che, a riforma
attuata, davanti all’Italia si
sarebbe spalancato
un luminoso destino
di agi e fasti: il Pil in
dieci anni sarebbe
aumentato del 6%.
Quali fossero i modelli
econometrici
usati dal ministro
ancora non è dato
sapere.
Ma nemmeno il
premier Matteo
Renzi ha chiarito da
quale cilindro ha tirato
fuori la sua affermazione
di ieri:
“Se passa il Sì si eliminano costi
per la politica per circa 500 milioni
di euro l’anno. Pensate come sarà
bello dall’anno prossimo metterli
sul fondo per la povertà”.
Peccato che, secondo le stime della
Ragioneria dello Stato, i risparmi
saranno circa di 50 milioni
all’anno. Cosucce. Naturlamente
in serata è arrivata la “precisazio -
ne” da parte dello staff del ministro
Boschi: la frase “è stata riportata
male dalle agenzie. Non si riferiva
ai cittadini che legittimamente
voteranno no ma solo a
quelli che oggi propongono di ripartire
da capo, pensando di fare
un’altra riforma in sei mesi”.
LA TOPPA è peggio del buco. Il
perché ce lo spiega Gaetano Azzariti,
ordinario di Diritto Costituzionale
a La Sapienza di Roma:
“Il governo, da quando ha deciso
di non ‘personalizzare’, auspica una
‘discussione nel merito’. Eppure
tutte queste affermazioni sono
solo propaganda. Non posso credere
che un ministro della Repubblica
abbia pensato di delegittimare
lo strumento referendario,
previsto dalla Costituzione! Non è
vero che l’Italia non ha avuto riforme
incisive anche dopo esiti
referendari negativi. Ne sono una
prova la modifica del Titolo V e la
modifica dell’art. 81, approvata in
sei mesi. Aggiungo: una delle ragioni
del No è che questa riforma
comprime l’autonomia del Parlamento.
Che ora il governo si faccia
paladino del Parlamento è davvero
incredibile, visto come ha forzato
tempi e modi dell’approva -
zione della riforma per arrivare,
in combinato disposto con l’Itali -
cum, a un assetto costituzionale
sbilanciato verso l’esecutivo”.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
STATISTI La ministra: “Chi dice di votare No vuol buttare il lavoro
del Parlamento”. Il premier: “Mezzo miliardo a chi ha di meno”
Boschi incostituzionale,
Renzi si vende i poveri
» SILVIA TRUZZI
La frase – tenetevi forte - è
questa: “Chi propone di
votare No al referendum e
buttar via due anni di lavoro
del Parlamento non rispetta
il lavoro del Parlamento”. Chi l’ha
detto? Il ministro Maria Elena
Boschi. Per completezza, prima
aveva dichiarato: “Abbiamo scelto
di rispettare in toto
la procedura prevista
dall’art. 138 della
Costituzione per
modificarla, questo
ha significato scegliere
la strada più
dura”. Che un povero
cittadino si domanda:
di grazia, che procedura
avrebbero
dovuto seguire? Una
incostituzionale? Una
illegittima?
DEL RESTO, il Parlamento
che ha votato la riforma,
proprio legittimo non è (vista la
sentenza della Consulta sul Porcellum).
Bisogna dire che negli ultimi
tempi il ministro ci ha abituati
ad affermazioni bizzarre. Il 18
luglio aveva spiegato come, con la
nuova Costituzione, saremo più
forti nella lotta al terrorismo: “Ab -
biamo bisogno di un’Europa più
forte e in grado di rispondere unita
al terrorismo internazionale.
E per riuscirci abbiamo bisogno
anche di un’Italia più forte verso
l’Europa: una Costituzione che ci
consenta maggiore stabilità”.
All’inizio di giugno disse che, a riforma
attuata, davanti all’Italia si
sarebbe spalancato
un luminoso destino
di agi e fasti: il Pil in
dieci anni sarebbe
aumentato del 6%.
Quali fossero i modelli
econometrici
usati dal ministro
ancora non è dato
sapere.
Ma nemmeno il
premier Matteo
Renzi ha chiarito da
quale cilindro ha tirato
fuori la sua affermazione
di ieri:
“Se passa il Sì si eliminano costi
per la politica per circa 500 milioni
di euro l’anno. Pensate come sarà
bello dall’anno prossimo metterli
sul fondo per la povertà”.
Peccato che, secondo le stime della
Ragioneria dello Stato, i risparmi
saranno circa di 50 milioni
all’anno. Cosucce. Naturlamente
in serata è arrivata la “precisazio -
ne” da parte dello staff del ministro
Boschi: la frase “è stata riportata
male dalle agenzie. Non si riferiva
ai cittadini che legittimamente
voteranno no ma solo a
quelli che oggi propongono di ripartire
da capo, pensando di fare
un’altra riforma in sei mesi”.
LA TOPPA è peggio del buco. Il
perché ce lo spiega Gaetano Azzariti,
ordinario di Diritto Costituzionale
a La Sapienza di Roma:
“Il governo, da quando ha deciso
di non ‘personalizzare’, auspica una
‘discussione nel merito’. Eppure
tutte queste affermazioni sono
solo propaganda. Non posso credere
che un ministro della Repubblica
abbia pensato di delegittimare
lo strumento referendario,
previsto dalla Costituzione! Non è
vero che l’Italia non ha avuto riforme
incisive anche dopo esiti
referendari negativi. Ne sono una
prova la modifica del Titolo V e la
modifica dell’art. 81, approvata in
sei mesi. Aggiungo: una delle ragioni
del No è che questa riforma
comprime l’autonomia del Parlamento.
Che ora il governo si faccia
paladino del Parlamento è davvero
incredibile, visto come ha forzato
tempi e modi dell’approva -
zione della riforma per arrivare,
in combinato disposto con l’Itali -
cum, a un assetto costituzionale
sbilanciato verso l’esecutivo”.
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Dalla pagina 5, del Fatto Quotidiano di stamani.
del Parlamento”. Il premier: “Mezzo miliardo a chi ha di meno”
Boschi incostituzionale,
Renzi si vende i poveri
» SILVIA TRUZZI
La frase – tenetevi forte - è
questa: “Chi propone di
votare No al referendum e
buttar via due anni di lavoro
del Parlamento non rispetta
il lavoro del Parlamento”. Chi l’ha
detto? Il ministro Maria Elena
Boschi. Per completezza, prima
aveva dichiarato: “Abbiamo scelto
di rispettare in toto
la procedura prevista
dall’art. 138 della
Costituzione per
modificarla, questo
ha significato scegliere
la strada più
dura”. Che un povero
cittadino si domanda:
di grazia, che procedura
avrebbero
dovuto seguire? Una
incostituzionale? Una
illegittima?
DEL RESTO, il Parlamento
che ha votato la riforma,
proprio legittimo non è (vista la
sentenza della Consulta sul Porcellum).
Bisogna dire che negli ultimi
tempi il ministro ci ha abituati
ad affermazioni bizzarre. Il 18
luglio aveva spiegato come, con la
nuova Costituzione, saremo più
forti nella lotta al terrorismo: “Ab -
biamo bisogno di un’Europa più
forte e in grado di rispondere unita
al terrorismo internazionale.
E per riuscirci abbiamo bisogno
anche di un’Italia più forte verso
l’Europa: una Costituzione che ci
consenta maggiore stabilità”.
All’inizio di giugno disse che, a riforma
attuata, davanti all’Italia si
sarebbe spalancato
un luminoso destino
di agi e fasti: il Pil in
dieci anni sarebbe
aumentato del 6%.
Quali fossero i modelli
econometrici
usati dal ministro
ancora non è dato
sapere.
Ma nemmeno il
premier Matteo
Renzi ha chiarito da
quale cilindro ha tirato
fuori la sua affermazione
di ieri:
“Se passa il Sì si eliminano costi
per la politica per circa 500 milioni
di euro l’anno. Pensate come sarà
bello dall’anno prossimo metterli
sul fondo per la povertà”.
Peccato che, secondo le stime della
Ragioneria dello Stato, i risparmi
saranno circa di 50 milioni
all’anno. Cosucce. Naturlamente
in serata è arrivata la “precisazio -
ne” da parte dello staff del ministro
Boschi: la frase “è stata riportata
male dalle agenzie. Non si riferiva
ai cittadini che legittimamente
voteranno no ma solo a
quelli che oggi propongono di ripartire
da capo, pensando di fare
un’altra riforma in sei mesi”.
LA TOPPA è peggio del buco. Il
perché ce lo spiega Gaetano Azzariti,
ordinario di Diritto Costituzionale
a La Sapienza di Roma:
“Il governo, da quando ha deciso
di non ‘personalizzare’, auspica una
‘discussione nel merito’. Eppure
tutte queste affermazioni sono
solo propaganda. Non posso credere
che un ministro della Repubblica
abbia pensato di delegittimare
lo strumento referendario,
previsto dalla Costituzione! Non è
vero che l’Italia non ha avuto riforme
incisive anche dopo esiti
referendari negativi. Ne sono una
prova la modifica del Titolo V e la
modifica dell’art. 81, approvata in
sei mesi. Aggiungo: una delle ragioni
del No è che questa riforma
comprime l’autonomia del Parlamento.
Che ora il governo si faccia
paladino del Parlamento è davvero
incredibile, visto come ha forzato
tempi e modi dell’approva -
zione della riforma per arrivare,
in combinato disposto con l’Itali -
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
“Costituzione fatta a fette come un formaggino”
Arte, cultura, scienze: c’è chi dice no. Ecco perché
Dall’immunologo Fernando Aiuti al regista Roberto Faenza, da Piergiorgio Odifreddi a Rossella Brescia
Uniti contro la riforma Renzi-Boschi: chi per il padre partigiano, chi per le novità poco democratiche
respect costituzione 990
Palazzi & Potere
C’è il No in nome del padre partigiano, il No perché la Costituzione, seppur anzianotta, è ancora bella. Il No di chi intravede dietro la riforma, la mano lunga della finanza e delle multinazionali. Attori, attrici, registi, cantanti, avvocati, studiosi, medici, magistrati. ilfattoquotidiano.it ha raccolto voci autorevoli della società civile, personaggi eccellenti di destra e di sinistra, schierati contro la riforma voluta dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e dalla ministra Maria Elena Boschi. Chiedendo le ragioni del loro No. Pronunciamenti sentiti e sofferti, ma che dimostrano quanto ormai il Paese è diviso. Ecco nel dettaglio le ragioni dei nostri interpellati
di Valeria Chichi
^^^^^
Referendum, “perché No”: le dichiarazione di voto di Aiuti, Faenza, Freccero, Guerritore, Gullotta. “Costituzione fatta a fette”
Governo
E poi Maselli, Montalto, Odifreddi, Ovadia, Parietti e altri ancora. Ilfattoquotidiano.it ha interpellato un campione significativo di personaggi celebri della società civile. Attori, musicisti, medici, registi. Che si schierano decisamente contro la riforma Renzi-Boschi. Chi in nome del padre partigiano, chi per le novità poco democratiche introdotte, chi per l'intervento pesante del governo. Ecco nel dettaglio le risposte
di Valeria Chichi | 11 agosto 2016
COMMENTI (277)
In nome del padre partigiano, il No perché la Costituzione, seppur anzianotta, è ancora bella. Il No di chi intravede dietro la riforma, la mano lunga della finanza e delle multinazionali. Attori, attrici, registi, cantanti, avvocati, studiosi, medici, magistrati. ilfattoquotidiano.it ha raccolto voci autorevoli della società civile, personaggi eccellenti di destra e di sinistra, schierati contro la riforma voluta dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e dalla ministra Maria Elena Boschi. Chiedendo le ragioni del loro No. Pronunciamenti sentiti e sofferti, ma che dimostrano quanto ormai il Paese è diviso. Ecco nel dettaglio le ragioni dei nostri interpellati.
BRUTTO IMPICCIO
Fernando Aiuti, immunologo. «Voterò no perché questa riforma, che viene a costare un sacco di soldi, è una riforma a metà che non riduce i costi e limita soltanto il potere democratico dei cittadini. Politici di destra e di sinistra lo dicono: ancora una volta, un impiccio».
IMPOSIZIONE DITTATORIALE
Anna Bernardini De Pace, avvocato matrimonialista. «Ciò che non mi fa amare questa riforma è che sa tutto di puzzle strategico politico, tutto il contrario di come dovrebbe essere una riforma della Costituzione. Io da liberale, sono disorientata. Certo siamo di fronte a un’iniziativa messa a punto da una formazione governativa e non parlamentare e quindi espressione solo di una parte politica, mentre la Costituzione deve esprimere il pensiero e il sentimento di tutto un popolo. Questa imposizione dall’alto non mi sembra né leale, né rispettosa, mi sembra un’imposizione dittatoriale».
SOTTO RICATTO Rossella Brescia, conduttrice, ballerina. «Voto No perché c’è gente che è morta per la nostra Costituzione e credo che se si procede a una riforma, questa debba essere comunicata nel modo più corretto possibile ai cittadini. Invece mi accorgo che i contenuti di questa legge sono assolutamente in secondo piano, rispetto al ricatto di far cadere il Governo, che terrorizza tanti cittadini».
NON C’E’ DA FIDARSI
Rosita Celentano, attrice, conduttrice. «Io sono grillina nel midollo, io di Renzi non mi fido e non lo stimo e non sono contenta di questa riforma. Mi sento presa per il culo. Sono sempre andata a votare e andrò a votare anche questa volta e voterò No».
POVERI ANIMALI
Roberto Faenza, regista. «Non tutta la proposta governativa è da buttare, ma se si voleva fare una vera riforma, allora bisognava abolire del tutto il Senato. Voterò No soprattutto per il motivo che mi fanno orrore le argomentazioni di chi parla di veri partigiani, di gufi e civette, in attesa che si prendano di mira anche le galline e i maiali».
OCCHIO AI FASCI
Carlo Freccero, autore televisivo, consigliere della Rai. «Il Governo vuole oggi “rottamare” la Costituzione. Ma il fatto che non esistano più nel panorama politico parlamentare partiti che possano definirsi ideologici, non significa che la nostra libertà non corra dei rischi. Il fascismo storico è morto. Ma quando Mussolini prese il potere, azzerò i partiti e sostituì i sindacati con le corporazioni, lo fece invocando gli stessi concetti di efficientismo e pragmatismo che autorizzano oggi il fronte del Sì a richiedere il disarmo della nostra Costituzione. Oggi non si tratta più di combattere il fascismo storico, ma lo strapotere delle multinazionali, il TTIP, la militarizzazione che ci ha fatto superare, il divieto esplicito nella nostra Costituzione, a fare la guerra. Oggi più che mai le minoranze parlamentari devono avere diritto di parola».
NERVI SCOPERTI
Claudio Gioè, attore. «Sto seguendo il dibattito e ho le idee chiare: voterò No perché questa riforma attacca pericolosamente i nervi e la struttura della Costituzione che è basata sull’equilibrio dei poteri. Oltretutto trovo allucinante il rischio che i rappresentanti dei poteri locali insediati al Senato, guadagnino l’immunità parlamentare. Un pericoloso scudo magico».
CARTA A FETTE
Leo Gullotta, attore. «Non si può fare a fette la Costituzione come fosse un formaggino. Non mi convince la sicumera di questo Governo che dovrebbe mettersi a disposizione per un confronto e invece fa passare solo il messaggio che, se voti No, sei contro il Governo. Per questo voto No».
BRUTTI VIZI
Monica Guerritore, attrice. «A me non va che una legge raffazzonata diventi la mia Costituzione. Vivendo accanto a un costituzionalista (Roberto Zaccaria n.d.r.), so che questa riforma genererà una serie di vizi nelle procedure e di necessità di verifiche, per cui l’iter di approvazione delle leggi, al contrario di quanto si dice, si complicherà e allungherà. per questo sono contraria».
COSE BELLE
Rosetta Loy scrittrice. «Sono convinta per il No per una ragione fondamentale: la Costituzione è una delle poche cose belle che ci restano e i principi col tempo non si deteriorano, perché la morale pubblica, cambia».
DOVEROSAMENTE CONTRO
Paolo Maddalena, magistrato. La riforma, unitamente all’Italicum, rende possibile a una minoranza di elettori di diventare magicamente maggioranza. Insomma, anche contro la volontà di tutto un Paese, diventa possibile modificare anche i diritti fondamentali contenuti nella prima parte della Costituzione. I nostri politici non vogliono capire la realtà, si rendono strumento dello strapotere della finanza e delle multinazionali, che per le loro logiche di mercato e a sfavore dei cittadini, perseguono l’indebolimento delle costituzioni e degli Stati nazionali. A ottant’anni, in pensione da giudice della Corte Costituzionale, mi sento di dire: guardate che vi stanno raccontando delle menzogne. Il No è un dovere civico».
APPLICARLA, NON CAMBIARLA
Citto Maselli, regista. «Innanzitutto non può essere un Governo che cambia la Costituzione e per di più a colpi di maggioranza. Serve un Parlamento che rappresenti il Paese reale, come fu quello eletto con il proporzionale, che scrisse la nostra Costituzione. Che intanto andrebbe applicata, prima di pensare a cambiarla. Questo sarebbe un fatto quasi “rivoluzionario”».
BRUTTA RIFORMA
Giuliano Montaldo, regista. «Questa riforma non mi piace. Ritengo che l’attuale bicameralismo sia un po’ un ping pong, ma le novità che sono introdotte da questa riforma non convincono. Dopo tanti anni di lotte, di amore e di fede, sono deluso. Togliatti, Nenni, De Gasperi, non stavano sempre davanti ai microfoni come fanno attualmente i politici, amavano molto di più questo Paese».
QUESTIONE DI MODI
Piergiorgio Odifreddi matematico e saggista. «Voto No, perché non mi piacciono i modi del Presidente del Consiglio che controlla un Parlamento che è stato Eletto da una legge incostituzionale e che si prende la briga di fare riforme addirittura sulla Costituzione. E’ vero che formalmente la cosa è possibile, ma un governo così, per decenza dovrebbe limitarsi a occuparsi dell’ordinaria amministrazione».
DERIVA AUTORITARIA
Moni Ovadia, attore, drammaturgo. «Dire No al referendum significa arginare la deriva autoritaria. Questa classe politica proterva, vive sulla delegittimazione dell’avversario: gli altri sono tutti parrucconi, conservatori, rosiconi. Distingue fra partigiani veri e partigiani falsi, enfatizza il cambiamento e un giovanilismo frusto, con argomentazioni retoriche. Avevamo bisogno di reiterare l’articolo 3, quello sull’uguaglianza, altro che riformare il meccanismo della Costituzione».
IN NOME DEL PADRE
Alba Parietti conduttrice opinionista. «Mio padre per la Costituzione ha rischiato la vita. Aveva diciassette anni, quando col nome di partigiano Naviga, accanto al capitano Tino, fu l’unico sopravvissuto di una strage. Mi sembra un motivo sufficiente per dire, da figlia di un partigiano, che lui non sarebbe contento. La Costituzione va attualizzata, ma non nella sostanza. Parlo a nome di mio padre e a nome di un altro partigiano, il partigiano Nan: Don Gallo, che è stato il mio padre spirituale».
ALTRO DA CAMBIARE
Daniela Poggi, attrice. «Credo che i cittadini sentano il bisogno di cambiare altre cose che non vanno nel Paese reale, prima di modificare la Costituzione, scritta dai nostri Padri costituenti, che ha perfettamente garantito fino ad oggi, la vita democratica del nostro Paese».
Arte, cultura, scienze: c’è chi dice no. Ecco perché
Dall’immunologo Fernando Aiuti al regista Roberto Faenza, da Piergiorgio Odifreddi a Rossella Brescia
Uniti contro la riforma Renzi-Boschi: chi per il padre partigiano, chi per le novità poco democratiche
respect costituzione 990
Palazzi & Potere
C’è il No in nome del padre partigiano, il No perché la Costituzione, seppur anzianotta, è ancora bella. Il No di chi intravede dietro la riforma, la mano lunga della finanza e delle multinazionali. Attori, attrici, registi, cantanti, avvocati, studiosi, medici, magistrati. ilfattoquotidiano.it ha raccolto voci autorevoli della società civile, personaggi eccellenti di destra e di sinistra, schierati contro la riforma voluta dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e dalla ministra Maria Elena Boschi. Chiedendo le ragioni del loro No. Pronunciamenti sentiti e sofferti, ma che dimostrano quanto ormai il Paese è diviso. Ecco nel dettaglio le ragioni dei nostri interpellati
di Valeria Chichi
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Referendum, “perché No”: le dichiarazione di voto di Aiuti, Faenza, Freccero, Guerritore, Gullotta. “Costituzione fatta a fette”
Governo
E poi Maselli, Montalto, Odifreddi, Ovadia, Parietti e altri ancora. Ilfattoquotidiano.it ha interpellato un campione significativo di personaggi celebri della società civile. Attori, musicisti, medici, registi. Che si schierano decisamente contro la riforma Renzi-Boschi. Chi in nome del padre partigiano, chi per le novità poco democratiche introdotte, chi per l'intervento pesante del governo. Ecco nel dettaglio le risposte
di Valeria Chichi | 11 agosto 2016
COMMENTI (277)
In nome del padre partigiano, il No perché la Costituzione, seppur anzianotta, è ancora bella. Il No di chi intravede dietro la riforma, la mano lunga della finanza e delle multinazionali. Attori, attrici, registi, cantanti, avvocati, studiosi, medici, magistrati. ilfattoquotidiano.it ha raccolto voci autorevoli della società civile, personaggi eccellenti di destra e di sinistra, schierati contro la riforma voluta dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e dalla ministra Maria Elena Boschi. Chiedendo le ragioni del loro No. Pronunciamenti sentiti e sofferti, ma che dimostrano quanto ormai il Paese è diviso. Ecco nel dettaglio le ragioni dei nostri interpellati.
BRUTTO IMPICCIO
Fernando Aiuti, immunologo. «Voterò no perché questa riforma, che viene a costare un sacco di soldi, è una riforma a metà che non riduce i costi e limita soltanto il potere democratico dei cittadini. Politici di destra e di sinistra lo dicono: ancora una volta, un impiccio».
IMPOSIZIONE DITTATORIALE
Anna Bernardini De Pace, avvocato matrimonialista. «Ciò che non mi fa amare questa riforma è che sa tutto di puzzle strategico politico, tutto il contrario di come dovrebbe essere una riforma della Costituzione. Io da liberale, sono disorientata. Certo siamo di fronte a un’iniziativa messa a punto da una formazione governativa e non parlamentare e quindi espressione solo di una parte politica, mentre la Costituzione deve esprimere il pensiero e il sentimento di tutto un popolo. Questa imposizione dall’alto non mi sembra né leale, né rispettosa, mi sembra un’imposizione dittatoriale».
SOTTO RICATTO Rossella Brescia, conduttrice, ballerina. «Voto No perché c’è gente che è morta per la nostra Costituzione e credo che se si procede a una riforma, questa debba essere comunicata nel modo più corretto possibile ai cittadini. Invece mi accorgo che i contenuti di questa legge sono assolutamente in secondo piano, rispetto al ricatto di far cadere il Governo, che terrorizza tanti cittadini».
NON C’E’ DA FIDARSI
Rosita Celentano, attrice, conduttrice. «Io sono grillina nel midollo, io di Renzi non mi fido e non lo stimo e non sono contenta di questa riforma. Mi sento presa per il culo. Sono sempre andata a votare e andrò a votare anche questa volta e voterò No».
POVERI ANIMALI
Roberto Faenza, regista. «Non tutta la proposta governativa è da buttare, ma se si voleva fare una vera riforma, allora bisognava abolire del tutto il Senato. Voterò No soprattutto per il motivo che mi fanno orrore le argomentazioni di chi parla di veri partigiani, di gufi e civette, in attesa che si prendano di mira anche le galline e i maiali».
OCCHIO AI FASCI
Carlo Freccero, autore televisivo, consigliere della Rai. «Il Governo vuole oggi “rottamare” la Costituzione. Ma il fatto che non esistano più nel panorama politico parlamentare partiti che possano definirsi ideologici, non significa che la nostra libertà non corra dei rischi. Il fascismo storico è morto. Ma quando Mussolini prese il potere, azzerò i partiti e sostituì i sindacati con le corporazioni, lo fece invocando gli stessi concetti di efficientismo e pragmatismo che autorizzano oggi il fronte del Sì a richiedere il disarmo della nostra Costituzione. Oggi non si tratta più di combattere il fascismo storico, ma lo strapotere delle multinazionali, il TTIP, la militarizzazione che ci ha fatto superare, il divieto esplicito nella nostra Costituzione, a fare la guerra. Oggi più che mai le minoranze parlamentari devono avere diritto di parola».
NERVI SCOPERTI
Claudio Gioè, attore. «Sto seguendo il dibattito e ho le idee chiare: voterò No perché questa riforma attacca pericolosamente i nervi e la struttura della Costituzione che è basata sull’equilibrio dei poteri. Oltretutto trovo allucinante il rischio che i rappresentanti dei poteri locali insediati al Senato, guadagnino l’immunità parlamentare. Un pericoloso scudo magico».
CARTA A FETTE
Leo Gullotta, attore. «Non si può fare a fette la Costituzione come fosse un formaggino. Non mi convince la sicumera di questo Governo che dovrebbe mettersi a disposizione per un confronto e invece fa passare solo il messaggio che, se voti No, sei contro il Governo. Per questo voto No».
BRUTTI VIZI
Monica Guerritore, attrice. «A me non va che una legge raffazzonata diventi la mia Costituzione. Vivendo accanto a un costituzionalista (Roberto Zaccaria n.d.r.), so che questa riforma genererà una serie di vizi nelle procedure e di necessità di verifiche, per cui l’iter di approvazione delle leggi, al contrario di quanto si dice, si complicherà e allungherà. per questo sono contraria».
COSE BELLE
Rosetta Loy scrittrice. «Sono convinta per il No per una ragione fondamentale: la Costituzione è una delle poche cose belle che ci restano e i principi col tempo non si deteriorano, perché la morale pubblica, cambia».
DOVEROSAMENTE CONTRO
Paolo Maddalena, magistrato. La riforma, unitamente all’Italicum, rende possibile a una minoranza di elettori di diventare magicamente maggioranza. Insomma, anche contro la volontà di tutto un Paese, diventa possibile modificare anche i diritti fondamentali contenuti nella prima parte della Costituzione. I nostri politici non vogliono capire la realtà, si rendono strumento dello strapotere della finanza e delle multinazionali, che per le loro logiche di mercato e a sfavore dei cittadini, perseguono l’indebolimento delle costituzioni e degli Stati nazionali. A ottant’anni, in pensione da giudice della Corte Costituzionale, mi sento di dire: guardate che vi stanno raccontando delle menzogne. Il No è un dovere civico».
APPLICARLA, NON CAMBIARLA
Citto Maselli, regista. «Innanzitutto non può essere un Governo che cambia la Costituzione e per di più a colpi di maggioranza. Serve un Parlamento che rappresenti il Paese reale, come fu quello eletto con il proporzionale, che scrisse la nostra Costituzione. Che intanto andrebbe applicata, prima di pensare a cambiarla. Questo sarebbe un fatto quasi “rivoluzionario”».
BRUTTA RIFORMA
Giuliano Montaldo, regista. «Questa riforma non mi piace. Ritengo che l’attuale bicameralismo sia un po’ un ping pong, ma le novità che sono introdotte da questa riforma non convincono. Dopo tanti anni di lotte, di amore e di fede, sono deluso. Togliatti, Nenni, De Gasperi, non stavano sempre davanti ai microfoni come fanno attualmente i politici, amavano molto di più questo Paese».
QUESTIONE DI MODI
Piergiorgio Odifreddi matematico e saggista. «Voto No, perché non mi piacciono i modi del Presidente del Consiglio che controlla un Parlamento che è stato Eletto da una legge incostituzionale e che si prende la briga di fare riforme addirittura sulla Costituzione. E’ vero che formalmente la cosa è possibile, ma un governo così, per decenza dovrebbe limitarsi a occuparsi dell’ordinaria amministrazione».
DERIVA AUTORITARIA
Moni Ovadia, attore, drammaturgo. «Dire No al referendum significa arginare la deriva autoritaria. Questa classe politica proterva, vive sulla delegittimazione dell’avversario: gli altri sono tutti parrucconi, conservatori, rosiconi. Distingue fra partigiani veri e partigiani falsi, enfatizza il cambiamento e un giovanilismo frusto, con argomentazioni retoriche. Avevamo bisogno di reiterare l’articolo 3, quello sull’uguaglianza, altro che riformare il meccanismo della Costituzione».
IN NOME DEL PADRE
Alba Parietti conduttrice opinionista. «Mio padre per la Costituzione ha rischiato la vita. Aveva diciassette anni, quando col nome di partigiano Naviga, accanto al capitano Tino, fu l’unico sopravvissuto di una strage. Mi sembra un motivo sufficiente per dire, da figlia di un partigiano, che lui non sarebbe contento. La Costituzione va attualizzata, ma non nella sostanza. Parlo a nome di mio padre e a nome di un altro partigiano, il partigiano Nan: Don Gallo, che è stato il mio padre spirituale».
ALTRO DA CAMBIARE
Daniela Poggi, attrice. «Credo che i cittadini sentano il bisogno di cambiare altre cose che non vanno nel Paese reale, prima di modificare la Costituzione, scritta dai nostri Padri costituenti, che ha perfettamente garantito fino ad oggi, la vita democratica del nostro Paese».
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
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IL GLOSSARIO
Ma che colore ha il combinato disposto?
A tutt’oggi l’italiano della Costituzione è chiaro, preciso ed essenziale, a differenza di quello delle leggi ordinarie. I nuovi costituenti non stanno seguendo l’esempio
DI STEFANO BARTEZZAGHI
11 agosto 2016
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Ma che colore ha il combinato disposto?
Di un defunto è inelegante parlar male, specie se sconosciuto. Conviene dunque non dire nulla di colui che per primo ha esportato dal gergo forense l’espressione combinato disposto, visto che è sicuramente defunto, probabilmente a causa della colite perniciosa che quella stessa espressione non può mancare di procurare a chi vi si espone. Il combinato disposto aleggia da anni senza che nessuno abbia mai neppure tentato di descriverlo. Come è fatto? Come funziona? Ha un colore? È solo negli ultimi tempi, nell’ambito del dibattito sulle riforme, che si è conosciuta la madre di tutti i combinati disposti: essa è indubbiamente da identificarsi nel madornale abbinamento della riforma della Costituzione con la nuova legge elettorale. Un combinato disposto, questo, pressoché atomico: tale da resuscitare Hitler (erigendi comitati referendari per il No) ovvero da risolvere tutti i nostri problemi, a partire dalla sconfitta dell’Is (erigendi comitati referendari per il Sì).
A proposito della legge elettorale, sappiamo tutti che si chiama simpaticamente Italicum, in omaggio a una linea di stilistica onomastica inaugurata da Giovanni Sartori con il Mattarellum, da cui discesero tra gli altri un solido Tatarellum, un effimero Veltronellum, un autoconsapevole Porcellum, un paventato Consultellum. Se immaginate che un certo tono di solennità si addirebbe meglio alla materia, siete vecchi, e nel senso bruttissimo della parola. Sì, perché queste amenità da cappuccino e cornetto alla buvette sarebbero intese, invece, a fare della politica uno spettacolo anche divertente e variegato.
O tecnicismi legulei, o gergo da bar sport. Abbiamo lo spacchettamento, come se il «quesito referendario» fosse un regalo di Natale, per cui si sia anche tenuti a ringraziare. E quindi il bicameralismo perfetto, l’eleggibilità diretta, la legislazione concorrente, le pluricandidature... Sono i nomi che stanno per altrettanti temi controversi, o più frequentemente criticità.
Torna allora in mente il 1947: dopo la prima stesura della Costituzione, fu incaricato di una revisione linguistica il letterato Pietro Pancrazi. Fra le sue proposte l’Assemblea non accolse quelle volte a elevare il tono del testo di legge (per esempio non fu accettato il suo consiglio di passare da «sulla base d’intese» a «previa intesa»).
A tutt’oggi l’italiano della Costituzione è chiaro, preciso ed essenziale, a differenza di quello delle leggi ordinarie. I nuovi costituenti non stanno seguendo l’esempio.
IL GLOSSARIO
Ma che colore ha il combinato disposto?
A tutt’oggi l’italiano della Costituzione è chiaro, preciso ed essenziale, a differenza di quello delle leggi ordinarie. I nuovi costituenti non stanno seguendo l’esempio
DI STEFANO BARTEZZAGHI
11 agosto 2016
Ma che colore ha il combinato disposto?
Di un defunto è inelegante parlar male, specie se sconosciuto. Conviene dunque non dire nulla di colui che per primo ha esportato dal gergo forense l’espressione combinato disposto, visto che è sicuramente defunto, probabilmente a causa della colite perniciosa che quella stessa espressione non può mancare di procurare a chi vi si espone. Il combinato disposto aleggia da anni senza che nessuno abbia mai neppure tentato di descriverlo. Come è fatto? Come funziona? Ha un colore? È solo negli ultimi tempi, nell’ambito del dibattito sulle riforme, che si è conosciuta la madre di tutti i combinati disposti: essa è indubbiamente da identificarsi nel madornale abbinamento della riforma della Costituzione con la nuova legge elettorale. Un combinato disposto, questo, pressoché atomico: tale da resuscitare Hitler (erigendi comitati referendari per il No) ovvero da risolvere tutti i nostri problemi, a partire dalla sconfitta dell’Is (erigendi comitati referendari per il Sì).
A proposito della legge elettorale, sappiamo tutti che si chiama simpaticamente Italicum, in omaggio a una linea di stilistica onomastica inaugurata da Giovanni Sartori con il Mattarellum, da cui discesero tra gli altri un solido Tatarellum, un effimero Veltronellum, un autoconsapevole Porcellum, un paventato Consultellum. Se immaginate che un certo tono di solennità si addirebbe meglio alla materia, siete vecchi, e nel senso bruttissimo della parola. Sì, perché queste amenità da cappuccino e cornetto alla buvette sarebbero intese, invece, a fare della politica uno spettacolo anche divertente e variegato.
O tecnicismi legulei, o gergo da bar sport. Abbiamo lo spacchettamento, come se il «quesito referendario» fosse un regalo di Natale, per cui si sia anche tenuti a ringraziare. E quindi il bicameralismo perfetto, l’eleggibilità diretta, la legislazione concorrente, le pluricandidature... Sono i nomi che stanno per altrettanti temi controversi, o più frequentemente criticità.
Torna allora in mente il 1947: dopo la prima stesura della Costituzione, fu incaricato di una revisione linguistica il letterato Pietro Pancrazi. Fra le sue proposte l’Assemblea non accolse quelle volte a elevare il tono del testo di legge (per esempio non fu accettato il suo consiglio di passare da «sulla base d’intese» a «previa intesa»).
A tutt’oggi l’italiano della Costituzione è chiaro, preciso ed essenziale, a differenza di quello delle leggi ordinarie. I nuovi costituenti non stanno seguendo l’esempio.
Chi c’è in linea
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