IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
CHI VUOLE IL RITORNO DEL FASCISMO DEL TERZO MILLENNIO, ALLORA VOTI SI.
Questo articolo di Alessandro Gilioli, pubblicato sull’Espresso.it, dovrebbe essere postato più correttamente nel thread “IL LAVORO”.
Ma non è disgiunto dalla manovra complessiva, messa in atto con le “Schiforme”.
Da noi il “Job act” è stato digerito “piuttosto bene.”
Il mondo del lavoro italiano è stato piegato nel tempo a subire la sodomizzazione del potere senza reagire.
Al contrario della generazione che ha passato il fascismo e di quella successiva che hanno dovuto impiegare ore e ore di lotta, per ottenere una serie di diritti, pagati a duro prezzo.
Negli ultimi anni questi diritti sono stati cancellati in nome di “o così o pomì”.
Non è avvenuto così in Francia quando hanno tentato di estendere il “Job act”.
I francesi si sono ribellati all’imposizione dell’Ue che poi deriva dalla volontà dell’altra sponda dell’Atlantico.
Dai fautori del globalismo.
Non a caso loro hanno prodotto la Rivoluzione francese e noi La marcia su Roma.
Piovono Rane
di Alessandro Gilioli
13 lug
Dove porta la corsa verso il basso
Il taglio minimo dei buoni pasto cartacei è di 5,29 euro, mentre il voucher costa 10 euro l’ora, per un salario netto di 7,50 euro.
È anche per questo, probabilmente, che alcuni individui (mi rifiuto perfino di chiamarli imprenditori, per rispetto di quelli che lo sono veramente) hanno deciso di usarli come stipendio. No, non oltre allo stipendio: proprio come paga, senza nient'altro. Niente soldi. Ovviamente, niente contributi. Solo buoni per mangiare.
È l'ultimo, grottesco, effetto del dumping salariale e di diritti a cui assistiamo da alcuni decenni. Si è iniziato con i Co.co.co. e gli interinali (pacchetto Treu, 1997), si è passati ai somministrati, agli intermittenti, ai co.co.pro e ai primi voucher (legge Biagi, 2003), si sono quindi ampliati a dismisura i contratti a termine (decreto Poletti, 2014) e quindi estesi all'infinito i voucher stessi, rendendo nel contempo tutti gli altri licenziabili, demansionabili e telecontrollabili (Jobs Act, 2015).
A proposito di voucher, è interessante quello che sta succedendo: sintetizzato dall'head hunter Osvaldo Danzi quando dice: «Si licenzia con il Jobs Act per assumere con i voucher». In Emilia Al Carrefour di Massa i dipendenti a termine hanno appena ricevuto la lettera in cui si spiega loro che il contratto non verrà rinnovato, ma potranno continuare a lavorare all'ora: senza ferie, senza malattia, senza alcun congedo di gravidanza né altro. Quest'estate in Liguria uno stagionale su due sarà pagato a voucher. In Veneto l'edilizia ormaiassume quasi solo così.
I difensori del voucher sostengono che, d'accordo, nei voucher non ci sono ferie o malattia, ma almeno si pagano i contributi Inps: peccato che, in media, un lavoratore voucher per avere un assegno pensionistico da 673 euro mensili dovrebbe farsi 126 anni di prestazioni a chiamata, a circa 150 anni d'età.
Non è strano che con un percorso così si sia arrivati a pagare la gente in buoni pasto. Del resto, in Asia ho visto fabbriche tessili in cui lo stipendio consiste in un piatto di riso a pranzo e a cena più la branda accanto al telaio, per dormire: direi che siamo sulla buona strada.
Il meccanismo è, semplicemente, quello descritto da un vecchio proverbio popolare: l'erba cattiva scaccia quella buona.
Vale a dire che ogni cambiamento dei rapporti di forza a danno del più debole ne porta altri con sé, di conseguenza. Mentre è falso - storicamente falso - il principio che hanno cercato di farci bere in questi anni, cioè che togliere diritti ad alcuni serva per darne di più ad altri. È il contrario, esattamente il contrario: togliere diritti agli uni - chiunque siano - è funzionale per toglierli agli altri. Rendere licenziabili gli operai non avvantaggia i pony express, ma rende solo più forte chi stipendia gli uni e gli altri. Pagare a voucher i camerieri non avvantaggia i raccoglitori di pomodori. E così via all'infinito.
Un paio di settimane fa Matteo Renzi ha ribadito la sua contrarietà a qualsiasi forma di reddito minimo, in particolare riferendosi alle due proposte di legge fatte dalla sinistra e dai Cinque Stelle.
Immaginandolo in buona fede, suppongo che questo suo convincimento sia frutto di una cultura competitiva e lavorista - molto anni '80 del Novecento, per la verità: ma insomma non deliberatamente finalizzata a difendere gli interessi dei più forti a danno dei più deboli, a difendere il dumping, la corsa verso il basso di salari e diritti.
L'effetto concreto di questo rifiuto, tuttavia, è proprio quello: assecondare il dumping.
Perché in un contesto strutturale e tecnologico in cui il lavoro è rarefatto, esternalizzato e molecolarizzato, solo un reddito minimo metterebbe la società in grado di fermare questa corsa verso il basso di salari e diritti. Perché metterebbe le persone più deboli in condizione di rifiutare di essere sottostipendiate, salariate a voucher, pagate in buoni mensa, private di ogni diritto.
Insomma, costringerebbe a fermare una deriva anche per gli altri, anche per chi il reddito minimo non lo riceve.
Ah, probabilmente contribuirebbe anche a dare una svolta sociale in un momento in cui mezza Europa si sta rivoltando contro le élite e l'establishment. Ma forse chi ne fa parte è troppo stupido - o troppo avido - per capirlo.
http://gilioli.blogautore.espresso.repu ... -il-basso/
Questo articolo di Alessandro Gilioli, pubblicato sull’Espresso.it, dovrebbe essere postato più correttamente nel thread “IL LAVORO”.
Ma non è disgiunto dalla manovra complessiva, messa in atto con le “Schiforme”.
Da noi il “Job act” è stato digerito “piuttosto bene.”
Il mondo del lavoro italiano è stato piegato nel tempo a subire la sodomizzazione del potere senza reagire.
Al contrario della generazione che ha passato il fascismo e di quella successiva che hanno dovuto impiegare ore e ore di lotta, per ottenere una serie di diritti, pagati a duro prezzo.
Negli ultimi anni questi diritti sono stati cancellati in nome di “o così o pomì”.
Non è avvenuto così in Francia quando hanno tentato di estendere il “Job act”.
I francesi si sono ribellati all’imposizione dell’Ue che poi deriva dalla volontà dell’altra sponda dell’Atlantico.
Dai fautori del globalismo.
Non a caso loro hanno prodotto la Rivoluzione francese e noi La marcia su Roma.
Piovono Rane
di Alessandro Gilioli
13 lug
Dove porta la corsa verso il basso
Il taglio minimo dei buoni pasto cartacei è di 5,29 euro, mentre il voucher costa 10 euro l’ora, per un salario netto di 7,50 euro.
È anche per questo, probabilmente, che alcuni individui (mi rifiuto perfino di chiamarli imprenditori, per rispetto di quelli che lo sono veramente) hanno deciso di usarli come stipendio. No, non oltre allo stipendio: proprio come paga, senza nient'altro. Niente soldi. Ovviamente, niente contributi. Solo buoni per mangiare.
È l'ultimo, grottesco, effetto del dumping salariale e di diritti a cui assistiamo da alcuni decenni. Si è iniziato con i Co.co.co. e gli interinali (pacchetto Treu, 1997), si è passati ai somministrati, agli intermittenti, ai co.co.pro e ai primi voucher (legge Biagi, 2003), si sono quindi ampliati a dismisura i contratti a termine (decreto Poletti, 2014) e quindi estesi all'infinito i voucher stessi, rendendo nel contempo tutti gli altri licenziabili, demansionabili e telecontrollabili (Jobs Act, 2015).
A proposito di voucher, è interessante quello che sta succedendo: sintetizzato dall'head hunter Osvaldo Danzi quando dice: «Si licenzia con il Jobs Act per assumere con i voucher». In Emilia Al Carrefour di Massa i dipendenti a termine hanno appena ricevuto la lettera in cui si spiega loro che il contratto non verrà rinnovato, ma potranno continuare a lavorare all'ora: senza ferie, senza malattia, senza alcun congedo di gravidanza né altro. Quest'estate in Liguria uno stagionale su due sarà pagato a voucher. In Veneto l'edilizia ormaiassume quasi solo così.
I difensori del voucher sostengono che, d'accordo, nei voucher non ci sono ferie o malattia, ma almeno si pagano i contributi Inps: peccato che, in media, un lavoratore voucher per avere un assegno pensionistico da 673 euro mensili dovrebbe farsi 126 anni di prestazioni a chiamata, a circa 150 anni d'età.
Non è strano che con un percorso così si sia arrivati a pagare la gente in buoni pasto. Del resto, in Asia ho visto fabbriche tessili in cui lo stipendio consiste in un piatto di riso a pranzo e a cena più la branda accanto al telaio, per dormire: direi che siamo sulla buona strada.
Il meccanismo è, semplicemente, quello descritto da un vecchio proverbio popolare: l'erba cattiva scaccia quella buona.
Vale a dire che ogni cambiamento dei rapporti di forza a danno del più debole ne porta altri con sé, di conseguenza. Mentre è falso - storicamente falso - il principio che hanno cercato di farci bere in questi anni, cioè che togliere diritti ad alcuni serva per darne di più ad altri. È il contrario, esattamente il contrario: togliere diritti agli uni - chiunque siano - è funzionale per toglierli agli altri. Rendere licenziabili gli operai non avvantaggia i pony express, ma rende solo più forte chi stipendia gli uni e gli altri. Pagare a voucher i camerieri non avvantaggia i raccoglitori di pomodori. E così via all'infinito.
Un paio di settimane fa Matteo Renzi ha ribadito la sua contrarietà a qualsiasi forma di reddito minimo, in particolare riferendosi alle due proposte di legge fatte dalla sinistra e dai Cinque Stelle.
Immaginandolo in buona fede, suppongo che questo suo convincimento sia frutto di una cultura competitiva e lavorista - molto anni '80 del Novecento, per la verità: ma insomma non deliberatamente finalizzata a difendere gli interessi dei più forti a danno dei più deboli, a difendere il dumping, la corsa verso il basso di salari e diritti.
L'effetto concreto di questo rifiuto, tuttavia, è proprio quello: assecondare il dumping.
Perché in un contesto strutturale e tecnologico in cui il lavoro è rarefatto, esternalizzato e molecolarizzato, solo un reddito minimo metterebbe la società in grado di fermare questa corsa verso il basso di salari e diritti. Perché metterebbe le persone più deboli in condizione di rifiutare di essere sottostipendiate, salariate a voucher, pagate in buoni mensa, private di ogni diritto.
Insomma, costringerebbe a fermare una deriva anche per gli altri, anche per chi il reddito minimo non lo riceve.
Ah, probabilmente contribuirebbe anche a dare una svolta sociale in un momento in cui mezza Europa si sta rivoltando contro le élite e l'establishment. Ma forse chi ne fa parte è troppo stupido - o troppo avido - per capirlo.
http://gilioli.blogautore.espresso.repu ... -il-basso/
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
La ‘legge oscura’ che può diventare Costituzione
Testo alla prova: ‘Non lo capisco, non è più mio’
La Carta attuale ha periodi lunghi in media 20 parole. Quella della riforma ha articoli di oltre 400 parole
Il FattoTv li fa leggere ai cittadini, ma nessuno arriva in fondo: “Vorrei capirli anch’io che sono ignorante”
riforme pp
Politica
La Costituente, prima di approvare il testo, lo fece rileggere a scrittori e letterati per renderlo più semplice e chiaro a tutti. Anche per questo è “la più bella del mondo”. Il testo della riforma Renzi-Boschi ha articoli di oltre 300 e 400 parole. In un caso si è passati da 9 a 439 e il punto arriva dopo oltre 170 vocaboli (di D. Pretini). Per questo il FattoTv ha girato i mercati di Roma per far leggere la possibile nuova Carta ai cittadini: “Se non ci capisco niente la Costituzione non la sento più mia” (video di F. Baraggino e M. Lanaro)
Referendum costituzionale, la “legge oscura” che può diventare la nuova Carta: rigonfia di parole e di frasi infinite
Politica
La Costituente, prima di approvare il testo, lo fece rileggere a scrittori e letterati per renderlo più semplice e chiaro a tutti, con periodi lunghi in media 20 parole. Per De Mauro è l'unico testo comprensibile alla stragrande maggioranza degli italiani. Il testo della riforma Renzi-Boschi ha articoli di oltre 300 e 400 parole. In un caso si è passati da 9 a 439 e il punto arriva dopo oltre 170 vocaboli
di Diego Pretini | 26 luglio 2016
COMMENTI
Articolo 1: l’Italia è Repubblica democratica, fondata sul lavoro. I 556 della Costituente l’avevano scritto così, forse solenne ma bruttino. Una, mancava una, una Repubblica. A mettere un colpetto di matita dopo la quarta parola della bozza di Costituzione uscita nel 1947 non fu un giurista né un funzionario del ministero né un small_110220-232300_to141207sto_0065parlamentare. Fu uno scrittore, si chiamava Pietro Pancrazi, scriveva anche sul Corriere della Sera, era di Cortona, non lontano da Laterina. Fu il presidente dell’Assemblea, Umberto Terracini, a chiamarlo a rivedere la legge fondamentale dello Stato che stava nascendo. A qualcuno dei costituenti il testo non piaceva, in qualche parte era troppo rigido, troppo tecnico, aulico. Insieme a Pancrazi, prima dell’approvazione finale, la Costituzione fu rivista anche dal latinista Concetto Marchesi (amico di Togliatti) e dal saggista Antonio Baldini. E’ così che diventò la più bella del mondo. “Un monumento in termini di sobrietà, di essenzialità, di economia e anche di eleganza del linguaggio” ha definito la Costituzione Michele Ainis.
Nel 2011 – molto prima che Matteo Renzi diventasse presidente del Consiglio e molto dopo la bocciatura delle riforme di Berlusconi – il presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, suggerì che i primi due articoli di ogni legge costituzionale dovrebbero essere sempre: “Articolo 1: ogni norma legislativa deve essere formulata in maniera completa, comprensibile e senza rimandi. Articolo 2: l’inosservanza dell’articolo precedente comporta la incostituzionalità della norma”. Ancora prima, nel 2008, il linguista Tullio De Mauro – invitato al Senato a parlare della Costituzione più bella – spiegò che “l’ideale sarebbe scrivere frasi con Senato - Comunicazioni del Presidente del Consiglio sul prossimo Consiglio europeomeno di 25 parole, se si vuole essere capiti”. Secondo De Mauro la Costituzione vigente ha “una media esemplare di un po’ meno di 20 parole per frase”. Per il 93 per cento è scritta con un vocabolario di base, “che già nelle scuole elementari, per chi le fa, può essere noto”. I costituenti “non solo scelgono le parole più trasparenti, per il possibile, ma scelgono di scrivere frasi esemplarmente brevi”. La Costituzione è uno dei pochissimi testi italiani, secondo De Mauro, comprensibile dalla stragrande maggioranza della popolazione. Come la Costituzione, forse, c’è solo Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani. Poi se “uno vuole abbandonarsi all’estro dell’arte fa quello che vuole come Joyce”.
Come fosse il Monologo di Molly Bloom, la parte della Costituzione che aspetta di essere confermata o bocciata nel referendum di autunno, ha articoli di 323, 438, 439 parole. Quasi l’equivalente dell’intero testo della Carta attuale, che contiene 1357 vocaboli. L’articolo 70 – che parla del funzionamento del Parlamento ed è l’applicazione dell’abolizione del bicameralismo perfetto – oggi è composto da 9 parole: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. La riforma istituzionale che porta il nome del ministro Maria Elena Boschi ne aggiunge 430. Quell’articolo riesce a citare, tutti in fila, 9 tra commi di altri articoli della Carta, senza dire di cosa parlano. In un caso non si trova un solo punto per la lunghezza di 173 parole. Per leggere la possibile nuova Costituzione, insomma, non basterebbe un professore di diritto: servirebbe anche uno pneumologo per leggerla fino in fondo. “Di solito chi ha idee chiare le esprime in maniera chiara” ha già spiegato nei mesi scorsi Ainis, consigliando ai riformatori di rileggere i classici. Dell’articolo 70, messa da parte la complessità formale, a un certo punto sfugge il senso per colpa dell’italiano.
Renzi dona Costituzione ad alunni, datemi una manoQuella sottoposta a referendum – a prescindere dal merito – è una Carta rimpinzata di roba. L’articolo 55 – che parla della composizione del Parlamento – attualmente si sviluppa in due frasi per un totale di 31 parole, soggetto-verbo-complemento, soggetto-verbo-complemento. Quello nuovo ha 5 commi per un totale di 8 frasi e 187 vocaboli. L’articolo 57 – che si occupa del Senato – dovrebbe essere uno dei passaggi-chiave, perché è alla base del superamento del bicameralismo perfetto. Ma al taglio di un ramo del Parlamento corrisponde una moltiplicazione di parole. Un’aggiunta all’articolo 85 – che regola elezioni, mandato e poteri del presidente della Repubblica – complica tutto: “Quando il presidente della Camera esercita le funzioni del presidente della Repubblica nel caso in cui questi non possa adempierle, il presidente del Senato convoca e presiede il Parlamento in seduta comune”.
L’espansione della Carta è dovuta anche al fatto che – forse per paura di poca chiarezza – ripete due volte le stesse cose. Il giudizio preventivo della Corte costituzionali sulle leggi elettorali compare sia all’articolo 73 sui poteri di promulgazione del presidente della Repubblica (per il momento spiegato con tre frasi) sia all’articolo 134 dedicato alla Consulta. L’articolo 70 – sulla formazione delle leggi – non solo si espande, ma si intreccia:
Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione
Lo Statuto Albertino, 1848, 168 anni fa, regolava la legislazione così: “Ogni proposta di legge debb’essere dapprima esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatorii. Discussa ed approvata da una Camera, la proposta sarà trasmessa all’altra per la discussione ed approvazione; e poi presentata alla sanzione del Re. Le discussioni si faranno articolo per articolo”.
Joyce non c’entra, dunque. I partiti che si propongono di riformare le istituzioni hanno scritto la nuova Costituzione come se fosse una legge come le altre. E le altre leggi, tendenzialmente, sono scritte male. Zagrebelsky non si stanca mai di ricordare l’articolo 111, riformato nel 1999, cosiddetto del “giusto processo”. Lì ci sono “retorica, linguaggi cifrati e il contemporaneo svuotamento dei contenuti normativi”. Ma anche un vero e proprio errore lessicale. Il 111 dice che “La giurisdizione si attua attraverso il giusto processo”. “Ma la giurisdizione si esercita, non si attua – dice l’ex presidente della Consulta – Perché altrimenti diventa un concetto metafisico. Di sicuro, però, gli artefici non pensavano ad Aristotele o a San Tommaso. Pensavano forse a qualche amico degli amici”.
La linguista Bice Mortara Garavelli, parlando di testi di giustizia, l’ha definita “complicazione indiscreta”: “Indebita complessità sintattica e profonda oscurità semantica”. Il referendum, per Zagrebelsky, è su “un testo scritto malissimo. In certe parti contraddittorio e incomprensibile. La chiarezza, per una Costituzione, è anche un fatto di democrazia”.
Costituzione: Landini, si dovrà rispondere a questa piazzaLa legge oscura è un libro dello stesso Ainis in cui si elencavano tutte le mostruosità dei testi di legge. Anzi il giurista ritiene incostituzionali le disposizioni “oscure” perché violano vari articoli tra cui il 54 che prevede il dovere dei cittadini di osservare le leggi, cosa impossibile quando le leggi sono incomprensibili. “Leggi oscuramente scritte – ha scritto Gianrico Carofiglio, magistrato ed ex senatore, in Con parole precise – non solo richiedono l’intermediazione sapienziale degli esperti, ma consentono anche a quegli esperti una più ampia – e soggettiva – interpretazione”. L’ex presidente del Consiglio e ora giudice costituzionale Giuliano Amato è solito fare l’esempio di Vincenzo Scotti, ministro del Lavoro di un governo Fanfani: “Il lodo Scotti non si riuscì mai a capire se aveva abolito o prorogato la “scala mobile”, ma il suo scopo era quello di ottenere su di esso il consenso sia degli uni che degli altri. Scotti era bravissimo nell’ottenere questo risultato”. “Se tu arrivi ad una efficace e concisa messa a fuoco di ciò che hai nella testa – spiegava l’ex capo del governo – trovi le parole che corrispondono a questa messa a fuoco”, mentre il legislatore non chiaro è il legislatore “che vuole nascondere un difficile compromesso che ha raggiunto tra le varie parti politiche e questo compromesso può esprimersi solo con nozioni che si prestano a più letture. È dunque un lessico che sta tra l’oscuro e l’ambivalente”.
Un linguaggio che ha bisogno dell’interprete, qualcuno che sciolga il dubbio. “La parola formulare e magica del giurista sacerdote e stregone dell’antico diritto romano sopravvive ancora oggi – scriveva sempre Carofiglio – E’ lo strumento attraverso il quale i giuristi poco consapevoli della responsabilità democratica del loro lavoro (o troppo consapevoli del loro potere e dell’aspirazione a conservarlo) s’identificano in casta“. E le leggi da interpretare sono sempre pericolose: “Le nostre leggi oscure – aveva anticipato tutti Cesare Beccaria oltre tre secoli fa – finiscono con l’essere benevolmente interpretate se alla porta bussa un amico e viceversa applicate in modo rigido ai nemici e ai forestieri”. Perché le leggi scritte “in una lingua straniera al popolo” lo pongono “nella dipendenza di alcuni pochi, non potendo giudicar da se stesso qual sarebbe l’esito della sua libertà”. La differenza tra cittadini e sudditi.
Anche per questo i costituenti – classe dirigente e non casta – non accettarono tutte le modifica del professor Pancrazi. All’articolo 3 (“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…”) sostituì “compito” con “ufficio”. I 556 ringraziarono e lasciarono che quell’articolo, quello sull’uguaglianza dei cittadini, fosse il più chiaro possibile a tutti.
di Diego Pretini | 26 luglio 2016
VIDEO, VEDI:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... e/2921236/
Testo alla prova: ‘Non lo capisco, non è più mio’
La Carta attuale ha periodi lunghi in media 20 parole. Quella della riforma ha articoli di oltre 400 parole
Il FattoTv li fa leggere ai cittadini, ma nessuno arriva in fondo: “Vorrei capirli anch’io che sono ignorante”
riforme pp
Politica
La Costituente, prima di approvare il testo, lo fece rileggere a scrittori e letterati per renderlo più semplice e chiaro a tutti. Anche per questo è “la più bella del mondo”. Il testo della riforma Renzi-Boschi ha articoli di oltre 300 e 400 parole. In un caso si è passati da 9 a 439 e il punto arriva dopo oltre 170 vocaboli (di D. Pretini). Per questo il FattoTv ha girato i mercati di Roma per far leggere la possibile nuova Carta ai cittadini: “Se non ci capisco niente la Costituzione non la sento più mia” (video di F. Baraggino e M. Lanaro)
Referendum costituzionale, la “legge oscura” che può diventare la nuova Carta: rigonfia di parole e di frasi infinite
Politica
La Costituente, prima di approvare il testo, lo fece rileggere a scrittori e letterati per renderlo più semplice e chiaro a tutti, con periodi lunghi in media 20 parole. Per De Mauro è l'unico testo comprensibile alla stragrande maggioranza degli italiani. Il testo della riforma Renzi-Boschi ha articoli di oltre 300 e 400 parole. In un caso si è passati da 9 a 439 e il punto arriva dopo oltre 170 vocaboli
di Diego Pretini | 26 luglio 2016
COMMENTI
Articolo 1: l’Italia è Repubblica democratica, fondata sul lavoro. I 556 della Costituente l’avevano scritto così, forse solenne ma bruttino. Una, mancava una, una Repubblica. A mettere un colpetto di matita dopo la quarta parola della bozza di Costituzione uscita nel 1947 non fu un giurista né un funzionario del ministero né un small_110220-232300_to141207sto_0065parlamentare. Fu uno scrittore, si chiamava Pietro Pancrazi, scriveva anche sul Corriere della Sera, era di Cortona, non lontano da Laterina. Fu il presidente dell’Assemblea, Umberto Terracini, a chiamarlo a rivedere la legge fondamentale dello Stato che stava nascendo. A qualcuno dei costituenti il testo non piaceva, in qualche parte era troppo rigido, troppo tecnico, aulico. Insieme a Pancrazi, prima dell’approvazione finale, la Costituzione fu rivista anche dal latinista Concetto Marchesi (amico di Togliatti) e dal saggista Antonio Baldini. E’ così che diventò la più bella del mondo. “Un monumento in termini di sobrietà, di essenzialità, di economia e anche di eleganza del linguaggio” ha definito la Costituzione Michele Ainis.
Nel 2011 – molto prima che Matteo Renzi diventasse presidente del Consiglio e molto dopo la bocciatura delle riforme di Berlusconi – il presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, suggerì che i primi due articoli di ogni legge costituzionale dovrebbero essere sempre: “Articolo 1: ogni norma legislativa deve essere formulata in maniera completa, comprensibile e senza rimandi. Articolo 2: l’inosservanza dell’articolo precedente comporta la incostituzionalità della norma”. Ancora prima, nel 2008, il linguista Tullio De Mauro – invitato al Senato a parlare della Costituzione più bella – spiegò che “l’ideale sarebbe scrivere frasi con Senato - Comunicazioni del Presidente del Consiglio sul prossimo Consiglio europeomeno di 25 parole, se si vuole essere capiti”. Secondo De Mauro la Costituzione vigente ha “una media esemplare di un po’ meno di 20 parole per frase”. Per il 93 per cento è scritta con un vocabolario di base, “che già nelle scuole elementari, per chi le fa, può essere noto”. I costituenti “non solo scelgono le parole più trasparenti, per il possibile, ma scelgono di scrivere frasi esemplarmente brevi”. La Costituzione è uno dei pochissimi testi italiani, secondo De Mauro, comprensibile dalla stragrande maggioranza della popolazione. Come la Costituzione, forse, c’è solo Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani. Poi se “uno vuole abbandonarsi all’estro dell’arte fa quello che vuole come Joyce”.
Come fosse il Monologo di Molly Bloom, la parte della Costituzione che aspetta di essere confermata o bocciata nel referendum di autunno, ha articoli di 323, 438, 439 parole. Quasi l’equivalente dell’intero testo della Carta attuale, che contiene 1357 vocaboli. L’articolo 70 – che parla del funzionamento del Parlamento ed è l’applicazione dell’abolizione del bicameralismo perfetto – oggi è composto da 9 parole: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. La riforma istituzionale che porta il nome del ministro Maria Elena Boschi ne aggiunge 430. Quell’articolo riesce a citare, tutti in fila, 9 tra commi di altri articoli della Carta, senza dire di cosa parlano. In un caso non si trova un solo punto per la lunghezza di 173 parole. Per leggere la possibile nuova Costituzione, insomma, non basterebbe un professore di diritto: servirebbe anche uno pneumologo per leggerla fino in fondo. “Di solito chi ha idee chiare le esprime in maniera chiara” ha già spiegato nei mesi scorsi Ainis, consigliando ai riformatori di rileggere i classici. Dell’articolo 70, messa da parte la complessità formale, a un certo punto sfugge il senso per colpa dell’italiano.
Renzi dona Costituzione ad alunni, datemi una manoQuella sottoposta a referendum – a prescindere dal merito – è una Carta rimpinzata di roba. L’articolo 55 – che parla della composizione del Parlamento – attualmente si sviluppa in due frasi per un totale di 31 parole, soggetto-verbo-complemento, soggetto-verbo-complemento. Quello nuovo ha 5 commi per un totale di 8 frasi e 187 vocaboli. L’articolo 57 – che si occupa del Senato – dovrebbe essere uno dei passaggi-chiave, perché è alla base del superamento del bicameralismo perfetto. Ma al taglio di un ramo del Parlamento corrisponde una moltiplicazione di parole. Un’aggiunta all’articolo 85 – che regola elezioni, mandato e poteri del presidente della Repubblica – complica tutto: “Quando il presidente della Camera esercita le funzioni del presidente della Repubblica nel caso in cui questi non possa adempierle, il presidente del Senato convoca e presiede il Parlamento in seduta comune”.
L’espansione della Carta è dovuta anche al fatto che – forse per paura di poca chiarezza – ripete due volte le stesse cose. Il giudizio preventivo della Corte costituzionali sulle leggi elettorali compare sia all’articolo 73 sui poteri di promulgazione del presidente della Repubblica (per il momento spiegato con tre frasi) sia all’articolo 134 dedicato alla Consulta. L’articolo 70 – sulla formazione delle leggi – non solo si espande, ma si intreccia:
Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione
Lo Statuto Albertino, 1848, 168 anni fa, regolava la legislazione così: “Ogni proposta di legge debb’essere dapprima esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatorii. Discussa ed approvata da una Camera, la proposta sarà trasmessa all’altra per la discussione ed approvazione; e poi presentata alla sanzione del Re. Le discussioni si faranno articolo per articolo”.
Joyce non c’entra, dunque. I partiti che si propongono di riformare le istituzioni hanno scritto la nuova Costituzione come se fosse una legge come le altre. E le altre leggi, tendenzialmente, sono scritte male. Zagrebelsky non si stanca mai di ricordare l’articolo 111, riformato nel 1999, cosiddetto del “giusto processo”. Lì ci sono “retorica, linguaggi cifrati e il contemporaneo svuotamento dei contenuti normativi”. Ma anche un vero e proprio errore lessicale. Il 111 dice che “La giurisdizione si attua attraverso il giusto processo”. “Ma la giurisdizione si esercita, non si attua – dice l’ex presidente della Consulta – Perché altrimenti diventa un concetto metafisico. Di sicuro, però, gli artefici non pensavano ad Aristotele o a San Tommaso. Pensavano forse a qualche amico degli amici”.
La linguista Bice Mortara Garavelli, parlando di testi di giustizia, l’ha definita “complicazione indiscreta”: “Indebita complessità sintattica e profonda oscurità semantica”. Il referendum, per Zagrebelsky, è su “un testo scritto malissimo. In certe parti contraddittorio e incomprensibile. La chiarezza, per una Costituzione, è anche un fatto di democrazia”.
Costituzione: Landini, si dovrà rispondere a questa piazzaLa legge oscura è un libro dello stesso Ainis in cui si elencavano tutte le mostruosità dei testi di legge. Anzi il giurista ritiene incostituzionali le disposizioni “oscure” perché violano vari articoli tra cui il 54 che prevede il dovere dei cittadini di osservare le leggi, cosa impossibile quando le leggi sono incomprensibili. “Leggi oscuramente scritte – ha scritto Gianrico Carofiglio, magistrato ed ex senatore, in Con parole precise – non solo richiedono l’intermediazione sapienziale degli esperti, ma consentono anche a quegli esperti una più ampia – e soggettiva – interpretazione”. L’ex presidente del Consiglio e ora giudice costituzionale Giuliano Amato è solito fare l’esempio di Vincenzo Scotti, ministro del Lavoro di un governo Fanfani: “Il lodo Scotti non si riuscì mai a capire se aveva abolito o prorogato la “scala mobile”, ma il suo scopo era quello di ottenere su di esso il consenso sia degli uni che degli altri. Scotti era bravissimo nell’ottenere questo risultato”. “Se tu arrivi ad una efficace e concisa messa a fuoco di ciò che hai nella testa – spiegava l’ex capo del governo – trovi le parole che corrispondono a questa messa a fuoco”, mentre il legislatore non chiaro è il legislatore “che vuole nascondere un difficile compromesso che ha raggiunto tra le varie parti politiche e questo compromesso può esprimersi solo con nozioni che si prestano a più letture. È dunque un lessico che sta tra l’oscuro e l’ambivalente”.
Un linguaggio che ha bisogno dell’interprete, qualcuno che sciolga il dubbio. “La parola formulare e magica del giurista sacerdote e stregone dell’antico diritto romano sopravvive ancora oggi – scriveva sempre Carofiglio – E’ lo strumento attraverso il quale i giuristi poco consapevoli della responsabilità democratica del loro lavoro (o troppo consapevoli del loro potere e dell’aspirazione a conservarlo) s’identificano in casta“. E le leggi da interpretare sono sempre pericolose: “Le nostre leggi oscure – aveva anticipato tutti Cesare Beccaria oltre tre secoli fa – finiscono con l’essere benevolmente interpretate se alla porta bussa un amico e viceversa applicate in modo rigido ai nemici e ai forestieri”. Perché le leggi scritte “in una lingua straniera al popolo” lo pongono “nella dipendenza di alcuni pochi, non potendo giudicar da se stesso qual sarebbe l’esito della sua libertà”. La differenza tra cittadini e sudditi.
Anche per questo i costituenti – classe dirigente e non casta – non accettarono tutte le modifica del professor Pancrazi. All’articolo 3 (“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…”) sostituì “compito” con “ufficio”. I 556 ringraziarono e lasciarono che quell’articolo, quello sull’uguaglianza dei cittadini, fosse il più chiaro possibile a tutti.
di Diego Pretini | 26 luglio 2016
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
La ‘legge oscura’ che può diventare Costituzione
Testo alla prova: ‘Non lo capisco, non è più mio’
La Carta attuale ha periodi lunghi in media 20 parole. Quella della riforma ha articoli di oltre 400 parole
Il FattoTv li fa leggere ai cittadini, ma nessuno arriva in fondo: “Vorrei capirli anch’io che sono ignorante”
riforme pp
Politica
La Costituente, prima di approvare il testo, lo fece rileggere a scrittori e letterati per renderlo più semplice e chiaro a tutti. Anche per questo è “la più bella del mondo”. Il testo della riforma Renzi-Boschi ha articoli di oltre 300 e 400 parole. In un caso si è passati da 9 a 439 e il punto arriva dopo oltre 170 vocaboli (di D. Pretini). Per questo il FattoTv ha girato i mercati di Roma per far leggere la possibile nuova Carta ai cittadini: “Se non ci capisco niente la Costituzione non la sento più mia” (video di F. Baraggino e M. Lanaro)
Referendum costituzionale, la “legge oscura” che può diventare la nuova Carta: rigonfia di parole e di frasi infinite
Politica
La Costituente, prima di approvare il testo, lo fece rileggere a scrittori e letterati per renderlo più semplice e chiaro a tutti, con periodi lunghi in media 20 parole. Per De Mauro è l'unico testo comprensibile alla stragrande maggioranza degli italiani. Il testo della riforma Renzi-Boschi ha articoli di oltre 300 e 400 parole. In un caso si è passati da 9 a 439 e il punto arriva dopo oltre 170 vocaboli
di Diego Pretini | 26 luglio 2016
COMMENTI
Articolo 1: l’Italia è Repubblica democratica, fondata sul lavoro. I 556 della Costituente l’avevano scritto così, forse solenne ma bruttino. Una, mancava una, una Repubblica. A mettere un colpetto di matita dopo la quarta parola della bozza di Costituzione uscita nel 1947 non fu un giurista né un funzionario del ministero né un small_110220-232300_to141207sto_0065parlamentare. Fu uno scrittore, si chiamava Pietro Pancrazi, scriveva anche sul Corriere della Sera, era di Cortona, non lontano da Laterina. Fu il presidente dell’Assemblea, Umberto Terracini, a chiamarlo a rivedere la legge fondamentale dello Stato che stava nascendo. A qualcuno dei costituenti il testo non piaceva, in qualche parte era troppo rigido, troppo tecnico, aulico. Insieme a Pancrazi, prima dell’approvazione finale, la Costituzione fu rivista anche dal latinista Concetto Marchesi (amico di Togliatti) e dal saggista Antonio Baldini. E’ così che diventò la più bella del mondo. “Un monumento in termini di sobrietà, di essenzialità, di economia e anche di eleganza del linguaggio” ha definito la Costituzione Michele Ainis.
Nel 2011 – molto prima che Matteo Renzi diventasse presidente del Consiglio e molto dopo la bocciatura delle riforme di Berlusconi – il presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, suggerì che i primi due articoli di ogni legge costituzionale dovrebbero essere sempre: “Articolo 1: ogni norma legislativa deve essere formulata in maniera completa, comprensibile e senza rimandi. Articolo 2: l’inosservanza dell’articolo precedente comporta la incostituzionalità della norma”. Ancora prima, nel 2008, il linguista Tullio De Mauro – invitato al Senato a parlare della Costituzione più bella – spiegò che “l’ideale sarebbe scrivere frasi con Senato - Comunicazioni del Presidente del Consiglio sul prossimo Consiglio europeomeno di 25 parole, se si vuole essere capiti”. Secondo De Mauro la Costituzione vigente ha “una media esemplare di un po’ meno di 20 parole per frase”. Per il 93 per cento è scritta con un vocabolario di base, “che già nelle scuole elementari, per chi le fa, può essere noto”. I costituenti “non solo scelgono le parole più trasparenti, per il possibile, ma scelgono di scrivere frasi esemplarmente brevi”. La Costituzione è uno dei pochissimi testi italiani, secondo De Mauro, comprensibile dalla stragrande maggioranza della popolazione. Come la Costituzione, forse, c’è solo Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani. Poi se “uno vuole abbandonarsi all’estro dell’arte fa quello che vuole come Joyce”.
Come fosse il Monologo di Molly Bloom, la parte della Costituzione che aspetta di essere confermata o bocciata nel referendum di autunno, ha articoli di 323, 438, 439 parole. Quasi l’equivalente dell’intero testo della Carta attuale, che contiene 1357 vocaboli. L’articolo 70 – che parla del funzionamento del Parlamento ed è l’applicazione dell’abolizione del bicameralismo perfetto – oggi è composto da 9 parole: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. La riforma istituzionale che porta il nome del ministro Maria Elena Boschi ne aggiunge 430. Quell’articolo riesce a citare, tutti in fila, 9 tra commi di altri articoli della Carta, senza dire di cosa parlano. In un caso non si trova un solo punto per la lunghezza di 173 parole. Per leggere la possibile nuova Costituzione, insomma, non basterebbe un professore di diritto: servirebbe anche uno pneumologo per leggerla fino in fondo. “Di solito chi ha idee chiare le esprime in maniera chiara” ha già spiegato nei mesi scorsi Ainis, consigliando ai riformatori di rileggere i classici. Dell’articolo 70, messa da parte la complessità formale, a un certo punto sfugge il senso per colpa dell’italiano.
Renzi dona Costituzione ad alunni, datemi una manoQuella sottoposta a referendum – a prescindere dal merito – è una Carta rimpinzata di roba. L’articolo 55 – che parla della composizione del Parlamento – attualmente si sviluppa in due frasi per un totale di 31 parole, soggetto-verbo-complemento, soggetto-verbo-complemento. Quello nuovo ha 5 commi per un totale di 8 frasi e 187 vocaboli. L’articolo 57 – che si occupa del Senato – dovrebbe essere uno dei passaggi-chiave, perché è alla base del superamento del bicameralismo perfetto. Ma al taglio di un ramo del Parlamento corrisponde una moltiplicazione di parole. Un’aggiunta all’articolo 85 – che regola elezioni, mandato e poteri del presidente della Repubblica – complica tutto: “Quando il presidente della Camera esercita le funzioni del presidente della Repubblica nel caso in cui questi non possa adempierle, il presidente del Senato convoca e presiede il Parlamento in seduta comune”.
L’espansione della Carta è dovuta anche al fatto che – forse per paura di poca chiarezza – ripete due volte le stesse cose. Il giudizio preventivo della Corte costituzionali sulle leggi elettorali compare sia all’articolo 73 sui poteri di promulgazione del presidente della Repubblica (per il momento spiegato con tre frasi) sia all’articolo 134 dedicato alla Consulta. L’articolo 70 – sulla formazione delle leggi – non solo si espande, ma si intreccia:
Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione
Lo Statuto Albertino, 1848, 168 anni fa, regolava la legislazione così: “Ogni proposta di legge debb’essere dapprima esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatorii. Discussa ed approvata da una Camera, la proposta sarà trasmessa all’altra per la discussione ed approvazione; e poi presentata alla sanzione del Re. Le discussioni si faranno articolo per articolo”.
Joyce non c’entra, dunque. I partiti che si propongono di riformare le istituzioni hanno scritto la nuova Costituzione come se fosse una legge come le altre. E le altre leggi, tendenzialmente, sono scritte male. Zagrebelsky non si stanca mai di ricordare l’articolo 111, riformato nel 1999, cosiddetto del “giusto processo”. Lì ci sono “retorica, linguaggi cifrati e il contemporaneo svuotamento dei contenuti normativi”. Ma anche un vero e proprio errore lessicale. Il 111 dice che “La giurisdizione si attua attraverso il giusto processo”. “Ma la giurisdizione si esercita, non si attua – dice l’ex presidente della Consulta – Perché altrimenti diventa un concetto metafisico. Di sicuro, però, gli artefici non pensavano ad Aristotele o a San Tommaso. Pensavano forse a qualche amico degli amici”.
La linguista Bice Mortara Garavelli, parlando di testi di giustizia, l’ha definita “complicazione indiscreta”: “Indebita complessità sintattica e profonda oscurità semantica”. Il referendum, per Zagrebelsky, è su “un testo scritto malissimo. In certe parti contraddittorio e incomprensibile. La chiarezza, per una Costituzione, è anche un fatto di democrazia”.
Costituzione: Landini, si dovrà rispondere a questa piazzaLa legge oscura è un libro dello stesso Ainis in cui si elencavano tutte le mostruosità dei testi di legge. Anzi il giurista ritiene incostituzionali le disposizioni “oscure” perché violano vari articoli tra cui il 54 che prevede il dovere dei cittadini di osservare le leggi, cosa impossibile quando le leggi sono incomprensibili. “Leggi oscuramente scritte – ha scritto Gianrico Carofiglio, magistrato ed ex senatore, in Con parole precise – non solo richiedono l’intermediazione sapienziale degli esperti, ma consentono anche a quegli esperti una più ampia – e soggettiva – interpretazione”. L’ex presidente del Consiglio e ora giudice costituzionale Giuliano Amato è solito fare l’esempio di Vincenzo Scotti, ministro del Lavoro di un governo Fanfani: “Il lodo Scotti non si riuscì mai a capire se aveva abolito o prorogato la “scala mobile”, ma il suo scopo era quello di ottenere su di esso il consenso sia degli uni che degli altri. Scotti era bravissimo nell’ottenere questo risultato”. “Se tu arrivi ad una efficace e concisa messa a fuoco di ciò che hai nella testa – spiegava l’ex capo del governo – trovi le parole che corrispondono a questa messa a fuoco”, mentre il legislatore non chiaro è il legislatore “che vuole nascondere un difficile compromesso che ha raggiunto tra le varie parti politiche e questo compromesso può esprimersi solo con nozioni che si prestano a più letture. È dunque un lessico che sta tra l’oscuro e l’ambivalente”.
Un linguaggio che ha bisogno dell’interprete, qualcuno che sciolga il dubbio. “La parola formulare e magica del giurista sacerdote e stregone dell’antico diritto romano sopravvive ancora oggi – scriveva sempre Carofiglio – E’ lo strumento attraverso il quale i giuristi poco consapevoli della responsabilità democratica del loro lavoro (o troppo consapevoli del loro potere e dell’aspirazione a conservarlo) s’identificano in casta“. E le leggi da interpretare sono sempre pericolose: “Le nostre leggi oscure – aveva anticipato tutti Cesare Beccaria oltre tre secoli fa – finiscono con l’essere benevolmente interpretate se alla porta bussa un amico e viceversa applicate in modo rigido ai nemici e ai forestieri”. Perché le leggi scritte “in una lingua straniera al popolo” lo pongono “nella dipendenza di alcuni pochi, non potendo giudicar da se stesso qual sarebbe l’esito della sua libertà”. La differenza tra cittadini e sudditi.
Anche per questo i costituenti – classe dirigente e non casta – non accettarono tutte le modifica del professor Pancrazi. All’articolo 3 (“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…”) sostituì “compito” con “ufficio”. I 556 ringraziarono e lasciarono che quell’articolo, quello sull’uguaglianza dei cittadini, fosse il più chiaro possibile a tutti.
di Diego Pretini | 26 luglio 2016
VIDEO, VEDI:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... e/2921236/
Testo alla prova: ‘Non lo capisco, non è più mio’
La Carta attuale ha periodi lunghi in media 20 parole. Quella della riforma ha articoli di oltre 400 parole
Il FattoTv li fa leggere ai cittadini, ma nessuno arriva in fondo: “Vorrei capirli anch’io che sono ignorante”
riforme pp
Politica
La Costituente, prima di approvare il testo, lo fece rileggere a scrittori e letterati per renderlo più semplice e chiaro a tutti. Anche per questo è “la più bella del mondo”. Il testo della riforma Renzi-Boschi ha articoli di oltre 300 e 400 parole. In un caso si è passati da 9 a 439 e il punto arriva dopo oltre 170 vocaboli (di D. Pretini). Per questo il FattoTv ha girato i mercati di Roma per far leggere la possibile nuova Carta ai cittadini: “Se non ci capisco niente la Costituzione non la sento più mia” (video di F. Baraggino e M. Lanaro)
Referendum costituzionale, la “legge oscura” che può diventare la nuova Carta: rigonfia di parole e di frasi infinite
Politica
La Costituente, prima di approvare il testo, lo fece rileggere a scrittori e letterati per renderlo più semplice e chiaro a tutti, con periodi lunghi in media 20 parole. Per De Mauro è l'unico testo comprensibile alla stragrande maggioranza degli italiani. Il testo della riforma Renzi-Boschi ha articoli di oltre 300 e 400 parole. In un caso si è passati da 9 a 439 e il punto arriva dopo oltre 170 vocaboli
di Diego Pretini | 26 luglio 2016
COMMENTI
Articolo 1: l’Italia è Repubblica democratica, fondata sul lavoro. I 556 della Costituente l’avevano scritto così, forse solenne ma bruttino. Una, mancava una, una Repubblica. A mettere un colpetto di matita dopo la quarta parola della bozza di Costituzione uscita nel 1947 non fu un giurista né un funzionario del ministero né un small_110220-232300_to141207sto_0065parlamentare. Fu uno scrittore, si chiamava Pietro Pancrazi, scriveva anche sul Corriere della Sera, era di Cortona, non lontano da Laterina. Fu il presidente dell’Assemblea, Umberto Terracini, a chiamarlo a rivedere la legge fondamentale dello Stato che stava nascendo. A qualcuno dei costituenti il testo non piaceva, in qualche parte era troppo rigido, troppo tecnico, aulico. Insieme a Pancrazi, prima dell’approvazione finale, la Costituzione fu rivista anche dal latinista Concetto Marchesi (amico di Togliatti) e dal saggista Antonio Baldini. E’ così che diventò la più bella del mondo. “Un monumento in termini di sobrietà, di essenzialità, di economia e anche di eleganza del linguaggio” ha definito la Costituzione Michele Ainis.
Nel 2011 – molto prima che Matteo Renzi diventasse presidente del Consiglio e molto dopo la bocciatura delle riforme di Berlusconi – il presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, suggerì che i primi due articoli di ogni legge costituzionale dovrebbero essere sempre: “Articolo 1: ogni norma legislativa deve essere formulata in maniera completa, comprensibile e senza rimandi. Articolo 2: l’inosservanza dell’articolo precedente comporta la incostituzionalità della norma”. Ancora prima, nel 2008, il linguista Tullio De Mauro – invitato al Senato a parlare della Costituzione più bella – spiegò che “l’ideale sarebbe scrivere frasi con Senato - Comunicazioni del Presidente del Consiglio sul prossimo Consiglio europeomeno di 25 parole, se si vuole essere capiti”. Secondo De Mauro la Costituzione vigente ha “una media esemplare di un po’ meno di 20 parole per frase”. Per il 93 per cento è scritta con un vocabolario di base, “che già nelle scuole elementari, per chi le fa, può essere noto”. I costituenti “non solo scelgono le parole più trasparenti, per il possibile, ma scelgono di scrivere frasi esemplarmente brevi”. La Costituzione è uno dei pochissimi testi italiani, secondo De Mauro, comprensibile dalla stragrande maggioranza della popolazione. Come la Costituzione, forse, c’è solo Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani. Poi se “uno vuole abbandonarsi all’estro dell’arte fa quello che vuole come Joyce”.
Come fosse il Monologo di Molly Bloom, la parte della Costituzione che aspetta di essere confermata o bocciata nel referendum di autunno, ha articoli di 323, 438, 439 parole. Quasi l’equivalente dell’intero testo della Carta attuale, che contiene 1357 vocaboli. L’articolo 70 – che parla del funzionamento del Parlamento ed è l’applicazione dell’abolizione del bicameralismo perfetto – oggi è composto da 9 parole: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. La riforma istituzionale che porta il nome del ministro Maria Elena Boschi ne aggiunge 430. Quell’articolo riesce a citare, tutti in fila, 9 tra commi di altri articoli della Carta, senza dire di cosa parlano. In un caso non si trova un solo punto per la lunghezza di 173 parole. Per leggere la possibile nuova Costituzione, insomma, non basterebbe un professore di diritto: servirebbe anche uno pneumologo per leggerla fino in fondo. “Di solito chi ha idee chiare le esprime in maniera chiara” ha già spiegato nei mesi scorsi Ainis, consigliando ai riformatori di rileggere i classici. Dell’articolo 70, messa da parte la complessità formale, a un certo punto sfugge il senso per colpa dell’italiano.
Renzi dona Costituzione ad alunni, datemi una manoQuella sottoposta a referendum – a prescindere dal merito – è una Carta rimpinzata di roba. L’articolo 55 – che parla della composizione del Parlamento – attualmente si sviluppa in due frasi per un totale di 31 parole, soggetto-verbo-complemento, soggetto-verbo-complemento. Quello nuovo ha 5 commi per un totale di 8 frasi e 187 vocaboli. L’articolo 57 – che si occupa del Senato – dovrebbe essere uno dei passaggi-chiave, perché è alla base del superamento del bicameralismo perfetto. Ma al taglio di un ramo del Parlamento corrisponde una moltiplicazione di parole. Un’aggiunta all’articolo 85 – che regola elezioni, mandato e poteri del presidente della Repubblica – complica tutto: “Quando il presidente della Camera esercita le funzioni del presidente della Repubblica nel caso in cui questi non possa adempierle, il presidente del Senato convoca e presiede il Parlamento in seduta comune”.
L’espansione della Carta è dovuta anche al fatto che – forse per paura di poca chiarezza – ripete due volte le stesse cose. Il giudizio preventivo della Corte costituzionali sulle leggi elettorali compare sia all’articolo 73 sui poteri di promulgazione del presidente della Repubblica (per il momento spiegato con tre frasi) sia all’articolo 134 dedicato alla Consulta. L’articolo 70 – sulla formazione delle leggi – non solo si espande, ma si intreccia:
Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione
Lo Statuto Albertino, 1848, 168 anni fa, regolava la legislazione così: “Ogni proposta di legge debb’essere dapprima esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatorii. Discussa ed approvata da una Camera, la proposta sarà trasmessa all’altra per la discussione ed approvazione; e poi presentata alla sanzione del Re. Le discussioni si faranno articolo per articolo”.
Joyce non c’entra, dunque. I partiti che si propongono di riformare le istituzioni hanno scritto la nuova Costituzione come se fosse una legge come le altre. E le altre leggi, tendenzialmente, sono scritte male. Zagrebelsky non si stanca mai di ricordare l’articolo 111, riformato nel 1999, cosiddetto del “giusto processo”. Lì ci sono “retorica, linguaggi cifrati e il contemporaneo svuotamento dei contenuti normativi”. Ma anche un vero e proprio errore lessicale. Il 111 dice che “La giurisdizione si attua attraverso il giusto processo”. “Ma la giurisdizione si esercita, non si attua – dice l’ex presidente della Consulta – Perché altrimenti diventa un concetto metafisico. Di sicuro, però, gli artefici non pensavano ad Aristotele o a San Tommaso. Pensavano forse a qualche amico degli amici”.
La linguista Bice Mortara Garavelli, parlando di testi di giustizia, l’ha definita “complicazione indiscreta”: “Indebita complessità sintattica e profonda oscurità semantica”. Il referendum, per Zagrebelsky, è su “un testo scritto malissimo. In certe parti contraddittorio e incomprensibile. La chiarezza, per una Costituzione, è anche un fatto di democrazia”.
Costituzione: Landini, si dovrà rispondere a questa piazzaLa legge oscura è un libro dello stesso Ainis in cui si elencavano tutte le mostruosità dei testi di legge. Anzi il giurista ritiene incostituzionali le disposizioni “oscure” perché violano vari articoli tra cui il 54 che prevede il dovere dei cittadini di osservare le leggi, cosa impossibile quando le leggi sono incomprensibili. “Leggi oscuramente scritte – ha scritto Gianrico Carofiglio, magistrato ed ex senatore, in Con parole precise – non solo richiedono l’intermediazione sapienziale degli esperti, ma consentono anche a quegli esperti una più ampia – e soggettiva – interpretazione”. L’ex presidente del Consiglio e ora giudice costituzionale Giuliano Amato è solito fare l’esempio di Vincenzo Scotti, ministro del Lavoro di un governo Fanfani: “Il lodo Scotti non si riuscì mai a capire se aveva abolito o prorogato la “scala mobile”, ma il suo scopo era quello di ottenere su di esso il consenso sia degli uni che degli altri. Scotti era bravissimo nell’ottenere questo risultato”. “Se tu arrivi ad una efficace e concisa messa a fuoco di ciò che hai nella testa – spiegava l’ex capo del governo – trovi le parole che corrispondono a questa messa a fuoco”, mentre il legislatore non chiaro è il legislatore “che vuole nascondere un difficile compromesso che ha raggiunto tra le varie parti politiche e questo compromesso può esprimersi solo con nozioni che si prestano a più letture. È dunque un lessico che sta tra l’oscuro e l’ambivalente”.
Un linguaggio che ha bisogno dell’interprete, qualcuno che sciolga il dubbio. “La parola formulare e magica del giurista sacerdote e stregone dell’antico diritto romano sopravvive ancora oggi – scriveva sempre Carofiglio – E’ lo strumento attraverso il quale i giuristi poco consapevoli della responsabilità democratica del loro lavoro (o troppo consapevoli del loro potere e dell’aspirazione a conservarlo) s’identificano in casta“. E le leggi da interpretare sono sempre pericolose: “Le nostre leggi oscure – aveva anticipato tutti Cesare Beccaria oltre tre secoli fa – finiscono con l’essere benevolmente interpretate se alla porta bussa un amico e viceversa applicate in modo rigido ai nemici e ai forestieri”. Perché le leggi scritte “in una lingua straniera al popolo” lo pongono “nella dipendenza di alcuni pochi, non potendo giudicar da se stesso qual sarebbe l’esito della sua libertà”. La differenza tra cittadini e sudditi.
Anche per questo i costituenti – classe dirigente e non casta – non accettarono tutte le modifica del professor Pancrazi. All’articolo 3 (“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…”) sostituì “compito” con “ufficio”. I 556 ringraziarono e lasciarono che quell’articolo, quello sull’uguaglianza dei cittadini, fosse il più chiaro possibile a tutti.
di Diego Pretini | 26 luglio 2016
VIDEO, VEDI:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... e/2921236/
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Gli americani che hanno raggiunto, vergognosamente, il punto più basso della loro storia Repubblicana, presentando agli elettori per le prossime elezioni presidenziali, un aspirante Hitler con risvolti marcati da clown, un altro imperadores dei cacciaballeros, e una donna in cui basterebbero metà delle caratteristiche descritte nel suo blog, da Maurizio Blondet: http://www.libreidee.org/2016/08/quelle ... a-clinton/. Vengono da noi ad imporci di cambiare la Costituzione perché :TROPPO SINISTROIDE E ANTIFASCISTA.
Ma ndò stà il TROPPO SINISTROIDE E ANTIFASCISTA?????????????????????????????????
COSTITUZIONE ITALIANA
PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1 L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
CONTINUA
Ma ndò stà il TROPPO SINISTROIDE E ANTIFASCISTA?????????????????????????????????
COSTITUZIONE ITALIANA
PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1 L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
CONTINUA
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
IL "NO" A TEATRO.
“Aiuto, la ministra Boschi
si è impossessata di me”
Giorgia Salari Protagonista con Travaglio dello spettacolo “Perché No”:
“È incredibile come nonostante il successo, nessun giornale ne parli”
» ALESSANDRO FERRUCCI
Così, all’im p r o v v i s o ,
senza volerlo, durante
l’incontro arriva
un semplicemente
accompagnato dalla testa un
po’ inclinata, lato sinistro
delle labbra arricciato e lieve
ma percettibile inflessione
toscana.
Mi scusi Giorgia Salari, ma
dopo due mesi di tournée è
posseduta da Maria Elena
Boschi?
È successo di nuovo?
Perché, le capita spesso?
In particolare quando tengo
molto al personaggio che interpreto,
ho una sorta di ‘orecchio
contaminato’ c he
entra in gioco.
(Giorgia Salari è da due
mesi sul palco con Marco Travaglio
per lo spettacolo “Perché
No: tutte le bugie del Ref
er e nz um ”. Lei interpreta il
ministro delle Riforme)
Come ha costruito il personaggio
della Boschi?
Ho lavorato molto sui suoi
discorsi pubblici, ho studiato
le interviste, visto un’infinità
di filmati.
Cosa ha scoperto del ministro?
La ripetitività dei concetti espressi,
quasi sempre accompagnati
da un sorrisetto
formale, in lei c’è qualcosa di
affettato. Quando parla, ogni
tot, pronuncia una delle sue
parole chiave, una sorta di
mantra per mantenere il filo
logico del discorso. Una di
queste è semplicemente.
Che lei sottolinea più e più
volte.
Guardi che la mia parte è costruita
tutta sui discorsi pronunciati
realmente dalla Boschi.
Non ha alterato proprio nulla?
Nulla in quanto alle sue ritrare
sposte, ed è uno dei punti di
forza dello spettacolo. Poi rispetto
all’imitazione entrano
in gioco altre dinamiche
più ironiche.
Cosa ha evitato di inserire
nel personaggio-Boschi?
Il classico clichè del binomio
bella-stupida. Lei stupida
non è.
Quindi?
Abbiamo immaginato qualcosa
di altro, bene rovesciare,
abbiamo lavorato sulla
necessità evidente di apparire
coma la prima della classe,
infatti rimarca in continuazione:
‘Ho una laurea in Giurisprudenza’.
Le è uscito di nuovo l’accen -
to toscano.
Almeno questa volta me ne
sono resa conto!
Quando ha capito di aver reso
suo il personaggio.
Ogni interpretazione cresce
con il passare del tempo, si
perfeziona. Però i primi di agosto,
a Bolgheri, alla fine si
avvicina un signore e mi dice:
‘È la prima volta nella mia vita
che detesto un’attric e’.
Prego? ‘Sì, non la sopporto, è
identica alla Boschi’.
Lei nasce come attrice di
prosa...
È vero, infatti la satira politica
ha una sua storia molto
forte e rispetto alla quale non
mi ero mai cimentata. Ci sono
entrata in punta di piedi,
ho dovuto lavorare andando
oltre l’imitazione della forma,
la ripetizione dei tic, la
gestualità; cercando di en-
ritrare
nel percorso, nel pensiero
della persona prendendo
spunto da quella che
Fo definisce la ‘dimensione
morale’.
Di questo Referenzum,
qual è l’aspetto che più l’ha
colpita?
La discrepanza tra come è
stata scritta la riforma Boschi
e come viene proposta;
tra la non chiarezza degli articoli
e la perenne semplicità
da slogan pubblicitario. C’è
una nevrosi del cambiamento
per il cambiamento.
Nella sua carriera ha lavorato
a teatro con big come
Ronconi e Lavia, al cinema
con un regista pluripremiato
come Martone. Le è mai
accaduto di affrontare un
silenzio mediatico come
quello che sta accompagnando
la tournée sua e di
Travaglio?
Mai. Mai. E ancora mai. Ho
recitato in teatri di prosa da
600 e passa posti come il Piccolo
di Milano o l’Argentina
di Roma, dove riempirli è già
un successo, dove il sold out è
giustamente raccontato e
celebrato. Ebbene, da due
mesi registriamo serate con
mille, o duemila persone come
a Savona, ma nessuno
racconta nulla. Silenzio. A
parte qualche giornale locale,
e ogni volta mi chiedo il
perché.
Qualche suo collega critica
la scelta di girare l’Italia con
uno spettacolo così impegnato?
Le critiche le ho conosciute
anche al tempo dell’occupazione
del teatro Valle a Roma,
e mi interessano poco.
Non credo negli attori avulsi
dalla vita, decontestualizzati
dalla società, schermati dalle
emozioni. La ricchezza del
mio lavoro è proprio quella
di poter entrare dentro le
maglie della società, farle
proprie, dare un contributo.
Anche se tutto ciò accade
semplicemente...
© RIPRODUZIONE RISERVATA
“Aiuto, la ministra Boschi
si è impossessata di me”
Giorgia Salari Protagonista con Travaglio dello spettacolo “Perché No”:
“È incredibile come nonostante il successo, nessun giornale ne parli”
» ALESSANDRO FERRUCCI
Così, all’im p r o v v i s o ,
senza volerlo, durante
l’incontro arriva
un semplicemente
accompagnato dalla testa un
po’ inclinata, lato sinistro
delle labbra arricciato e lieve
ma percettibile inflessione
toscana.
Mi scusi Giorgia Salari, ma
dopo due mesi di tournée è
posseduta da Maria Elena
Boschi?
È successo di nuovo?
Perché, le capita spesso?
In particolare quando tengo
molto al personaggio che interpreto,
ho una sorta di ‘orecchio
contaminato’ c he
entra in gioco.
(Giorgia Salari è da due
mesi sul palco con Marco Travaglio
per lo spettacolo “Perché
No: tutte le bugie del Ref
er e nz um ”. Lei interpreta il
ministro delle Riforme)
Come ha costruito il personaggio
della Boschi?
Ho lavorato molto sui suoi
discorsi pubblici, ho studiato
le interviste, visto un’infinità
di filmati.
Cosa ha scoperto del ministro?
La ripetitività dei concetti espressi,
quasi sempre accompagnati
da un sorrisetto
formale, in lei c’è qualcosa di
affettato. Quando parla, ogni
tot, pronuncia una delle sue
parole chiave, una sorta di
mantra per mantenere il filo
logico del discorso. Una di
queste è semplicemente.
Che lei sottolinea più e più
volte.
Guardi che la mia parte è costruita
tutta sui discorsi pronunciati
realmente dalla Boschi.
Non ha alterato proprio nulla?
Nulla in quanto alle sue ritrare
sposte, ed è uno dei punti di
forza dello spettacolo. Poi rispetto
all’imitazione entrano
in gioco altre dinamiche
più ironiche.
Cosa ha evitato di inserire
nel personaggio-Boschi?
Il classico clichè del binomio
bella-stupida. Lei stupida
non è.
Quindi?
Abbiamo immaginato qualcosa
di altro, bene rovesciare,
abbiamo lavorato sulla
necessità evidente di apparire
coma la prima della classe,
infatti rimarca in continuazione:
‘Ho una laurea in Giurisprudenza’.
Le è uscito di nuovo l’accen -
to toscano.
Almeno questa volta me ne
sono resa conto!
Quando ha capito di aver reso
suo il personaggio.
Ogni interpretazione cresce
con il passare del tempo, si
perfeziona. Però i primi di agosto,
a Bolgheri, alla fine si
avvicina un signore e mi dice:
‘È la prima volta nella mia vita
che detesto un’attric e’.
Prego? ‘Sì, non la sopporto, è
identica alla Boschi’.
Lei nasce come attrice di
prosa...
È vero, infatti la satira politica
ha una sua storia molto
forte e rispetto alla quale non
mi ero mai cimentata. Ci sono
entrata in punta di piedi,
ho dovuto lavorare andando
oltre l’imitazione della forma,
la ripetizione dei tic, la
gestualità; cercando di en-
ritrare
nel percorso, nel pensiero
della persona prendendo
spunto da quella che
Fo definisce la ‘dimensione
morale’.
Di questo Referenzum,
qual è l’aspetto che più l’ha
colpita?
La discrepanza tra come è
stata scritta la riforma Boschi
e come viene proposta;
tra la non chiarezza degli articoli
e la perenne semplicità
da slogan pubblicitario. C’è
una nevrosi del cambiamento
per il cambiamento.
Nella sua carriera ha lavorato
a teatro con big come
Ronconi e Lavia, al cinema
con un regista pluripremiato
come Martone. Le è mai
accaduto di affrontare un
silenzio mediatico come
quello che sta accompagnando
la tournée sua e di
Travaglio?
Mai. Mai. E ancora mai. Ho
recitato in teatri di prosa da
600 e passa posti come il Piccolo
di Milano o l’Argentina
di Roma, dove riempirli è già
un successo, dove il sold out è
giustamente raccontato e
celebrato. Ebbene, da due
mesi registriamo serate con
mille, o duemila persone come
a Savona, ma nessuno
racconta nulla. Silenzio. A
parte qualche giornale locale,
e ogni volta mi chiedo il
perché.
Qualche suo collega critica
la scelta di girare l’Italia con
uno spettacolo così impegnato?
Le critiche le ho conosciute
anche al tempo dell’occupazione
del teatro Valle a Roma,
e mi interessano poco.
Non credo negli attori avulsi
dalla vita, decontestualizzati
dalla società, schermati dalle
emozioni. La ricchezza del
mio lavoro è proprio quella
di poter entrare dentro le
maglie della società, farle
proprie, dare un contributo.
Anche se tutto ciò accade
semplicemente...
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
LIBRE news
Panico referendum, Stiglitz: italiani, se votate crolla l’euro
Scritto il 29/8/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Joseph Stiglitz, già Premio Nobel per l’economia, dichiara che teme una catastrofe per l’Europa, in particolare per quanto riguarda l’Italia: se vincesse il No nel referendum, potrebbe seguirne il crollo dell’euro.
Di conseguenza, invita Renzi a “rinunciare al referendum” disdicendo la consultazione popolare.
Stiglitz non è un giurista, dice Aldo Giannuli, ma almeno potrebbe informarsi prima di aprir bocca.
Il referendum? Non dipende dalla volontà di Renzi, ma dalla Costituzione: che prevede norme precise in caso di revisioni costituzionali.
Referendum confermativo obbligatorio, se la riforma della Carta non è approvata dai 2/3 di ciascuna camera, oppure se ne facciano richiesta 500.000 elettori o il 20% dei parlamentari.
«E non è scritto da nessuna parte che possa essere revocato, rinviato o anche solo sospeso», tantomeno dal presidente del Consiglio: «Si chiamerebbe colpo di Stato».
Se desse retta a Stiglitz, Renzi «potrebbe essere arrestato per attentato alla Costituzione».
Ad allarmare però non è l’ignoranza del Nobel americano, ma il pensiero retrostante: «Se c’è pericolo per gli assetti di potere esistenti, e in particolare quelli monetari, si sospendono le garanzie costituzionali e si toglie la parola all’elettorato».
Così, infatti, avevano già detto «quei due gioielli del pensiero democratico che rispondono ai nomi di Giorgio Napolitano e Mario Monti».
Il popolo «non può esprimersi su cose così complesse per le quali non ha le conoscenze necessarie», perché queste cose «le devono decidere le élite, quelli che sanno».
E la sovranità popolare sancita dalla Costituzione?
«Be’, è un bell’ornamento che fa la sua figura, ma non è che ci dobbiamo proprio credere!».
Per Giannuli, «qui sta venendo a galla il carattere elitario, oligarchico e antidemocratico dell’ideologia liberista, e non c’è più neppure il pudore di far finta di dirsi democratici».
Certo, l’uscita di Stiglitz rivela il timore della vittoria del No, che ormai «inizia a diventare panico nei salotti buoni di politica e finanza».
Renzi sa di rischiare grosso: in caso di vittoria del No, «a “dimetterlo” ci penserebbe il suo partito (e non penso all’inutile Bersani e al decorativo Cuperlo, ma ai ben più fattivi Franceschini, De Luca, Fassino, Rossi) che cercherebbe di mettere insieme i cocci e non trasformare la sconfitta referendaria in una irrimediabile débacle elettorale», scrive Giannuli.
La legislatura potrebbe anche continuare grazie a Mattarella, Franceschini e Berlusconi, che potrebbero dar vita ad un “governo di scopo”.
E il peggioramento della situazione economica, insieme a una «opportunissima bocciatura dell’Italicum da parte della Consulta» darebbero uno strepitoso alibi per farlo.
Il “verdetto” della Corte Costituzionale è atteso per il 4 ottobre, ma i giudici potrebbero anche prendere tempo sospendere la decisione: «Se conferma l’Italicum, lo scontro sul referendum si radicalizzerebbe diventando l’ultima spiaggia contro il progetto di regime in atto.
Se lo bocciasse, anche solo parzialmente, ci sarebbe un effetto di riflesso sul referendum, delegittimando il progetto renziano».
Secondo Giannuli, Renzi «tradisce quella stessa paura che leggiamo nelle parole di Stigliz: non sappiamo se per un qualche sondaggio riservato, se per la previsione di una pronuncia sfavorevole della Corte o se per notizie che fanno temere un disastro bancario in ottobre, ma quello che si capisce è che Renzi cerca (invano, direi) di disinnescare la bomba, ritenendo più probabile la vittoria del No».
Intanto, «ringraziamo Stiglitz per averci fornito questa ulteriore riprova sulla natura di questo referendum: uno scontro fra democrazia e oligarchia, senza mediazioni possibili: chi vincerà, chiunque esso sia, non farà prigionieri».
Panico referendum, Stiglitz: italiani, se votate crolla l’euro
Scritto il 29/8/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Joseph Stiglitz, già Premio Nobel per l’economia, dichiara che teme una catastrofe per l’Europa, in particolare per quanto riguarda l’Italia: se vincesse il No nel referendum, potrebbe seguirne il crollo dell’euro.
Di conseguenza, invita Renzi a “rinunciare al referendum” disdicendo la consultazione popolare.
Stiglitz non è un giurista, dice Aldo Giannuli, ma almeno potrebbe informarsi prima di aprir bocca.
Il referendum? Non dipende dalla volontà di Renzi, ma dalla Costituzione: che prevede norme precise in caso di revisioni costituzionali.
Referendum confermativo obbligatorio, se la riforma della Carta non è approvata dai 2/3 di ciascuna camera, oppure se ne facciano richiesta 500.000 elettori o il 20% dei parlamentari.
«E non è scritto da nessuna parte che possa essere revocato, rinviato o anche solo sospeso», tantomeno dal presidente del Consiglio: «Si chiamerebbe colpo di Stato».
Se desse retta a Stiglitz, Renzi «potrebbe essere arrestato per attentato alla Costituzione».
Ad allarmare però non è l’ignoranza del Nobel americano, ma il pensiero retrostante: «Se c’è pericolo per gli assetti di potere esistenti, e in particolare quelli monetari, si sospendono le garanzie costituzionali e si toglie la parola all’elettorato».
Così, infatti, avevano già detto «quei due gioielli del pensiero democratico che rispondono ai nomi di Giorgio Napolitano e Mario Monti».
Il popolo «non può esprimersi su cose così complesse per le quali non ha le conoscenze necessarie», perché queste cose «le devono decidere le élite, quelli che sanno».
E la sovranità popolare sancita dalla Costituzione?
«Be’, è un bell’ornamento che fa la sua figura, ma non è che ci dobbiamo proprio credere!».
Per Giannuli, «qui sta venendo a galla il carattere elitario, oligarchico e antidemocratico dell’ideologia liberista, e non c’è più neppure il pudore di far finta di dirsi democratici».
Certo, l’uscita di Stiglitz rivela il timore della vittoria del No, che ormai «inizia a diventare panico nei salotti buoni di politica e finanza».
Renzi sa di rischiare grosso: in caso di vittoria del No, «a “dimetterlo” ci penserebbe il suo partito (e non penso all’inutile Bersani e al decorativo Cuperlo, ma ai ben più fattivi Franceschini, De Luca, Fassino, Rossi) che cercherebbe di mettere insieme i cocci e non trasformare la sconfitta referendaria in una irrimediabile débacle elettorale», scrive Giannuli.
La legislatura potrebbe anche continuare grazie a Mattarella, Franceschini e Berlusconi, che potrebbero dar vita ad un “governo di scopo”.
E il peggioramento della situazione economica, insieme a una «opportunissima bocciatura dell’Italicum da parte della Consulta» darebbero uno strepitoso alibi per farlo.
Il “verdetto” della Corte Costituzionale è atteso per il 4 ottobre, ma i giudici potrebbero anche prendere tempo sospendere la decisione: «Se conferma l’Italicum, lo scontro sul referendum si radicalizzerebbe diventando l’ultima spiaggia contro il progetto di regime in atto.
Se lo bocciasse, anche solo parzialmente, ci sarebbe un effetto di riflesso sul referendum, delegittimando il progetto renziano».
Secondo Giannuli, Renzi «tradisce quella stessa paura che leggiamo nelle parole di Stigliz: non sappiamo se per un qualche sondaggio riservato, se per la previsione di una pronuncia sfavorevole della Corte o se per notizie che fanno temere un disastro bancario in ottobre, ma quello che si capisce è che Renzi cerca (invano, direi) di disinnescare la bomba, ritenendo più probabile la vittoria del No».
Intanto, «ringraziamo Stiglitz per averci fornito questa ulteriore riprova sulla natura di questo referendum: uno scontro fra democrazia e oligarchia, senza mediazioni possibili: chi vincerà, chiunque esso sia, non farà prigionieri».
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
IL VIZIETTO
Non è solo Stiglitz, ma in passato lo hanno fatto Salvini e Grillo, e in genere tanti altri.
Quando si fanno certe affermazioni devono essere accompagnate da spiegazioni tecniche tali da far comprendere anche chi non possiede la materia, di capire perché sono fatte.
Ai tempi Salvini e Grillo sostenevano che bisognava uscire dall’Euro, ma non spiegavano perché. Né tantomeno cosa potesse succedere uscendo o restando.
Lo stesso fa Stiglitz.
“se vincesse il No nel referendum, potrebbe seguirne il crollo dell’euro. “
Stiglitz, Premio Nobel per l’economia, ha tutti gli elementi per giustificare il suo pensiero.
Non facendolo, avalla l’ipotesi del terrore che percorre certi salotti al di là e al di qua dell’Atlantico.
Espresso chiaramente nel WSI del 18 giugno 2013, quando chiedeva:
JP Morgan all’Eurozona: “Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste”
Si sono inventati Mussoloni-Renzi, in quanto segnalato opportunamente dagli ambienti piduisti italiani, perché Enrico Letta era restio a questo Colpo di Mano o di Stato.
Con la complicità dell’agente della CIA e massone della Three Eyes, Napolitano, hanno pensato di fare un Colpo di Stato indolore.
Pensavano che il signor Quindicipalle potesse incantare i merli tricolori con le sue sparate fatte in territorio toscano.
E’ stato così all’inizio, ma adesso i merli se ne sono accorti e gli gridano “PINOCCHIO” come alla Versiliana.
E ADESSO QUEGLI AMBIENTI SONO PREOCCUPATI PERCHE' IL COLPO DI STATO, TRUCCATO, STA FALLENDO.
Ci avevano già tentato nel Novecento con tre tentativi di Colpo di Stato non riusciti.
Dopo aver smantellato e raso al suolo il Bel Paese, con Berlusconi che aveva portato a termine il disegno di Gelli di RINASCITA DEMOCRATICA, adesso ci hanno provato con Mussoloni e il cambiamento della COSTITUZIONE, introducendo IL FASCISMO DEL TERZO MILLENNIO.
NON C'E' PIU' BISOGNO DELL'OLIO DI RICINO E DEL SANTO MANGANELLO PER CONVINCERE I PIU' RIOTTOSI.
OGGI BASTA LA TELEVISIONE A SCIACQUARE I CERVELLI.
Non è solo Stiglitz, ma in passato lo hanno fatto Salvini e Grillo, e in genere tanti altri.
Quando si fanno certe affermazioni devono essere accompagnate da spiegazioni tecniche tali da far comprendere anche chi non possiede la materia, di capire perché sono fatte.
Ai tempi Salvini e Grillo sostenevano che bisognava uscire dall’Euro, ma non spiegavano perché. Né tantomeno cosa potesse succedere uscendo o restando.
Lo stesso fa Stiglitz.
“se vincesse il No nel referendum, potrebbe seguirne il crollo dell’euro. “
Stiglitz, Premio Nobel per l’economia, ha tutti gli elementi per giustificare il suo pensiero.
Non facendolo, avalla l’ipotesi del terrore che percorre certi salotti al di là e al di qua dell’Atlantico.
Espresso chiaramente nel WSI del 18 giugno 2013, quando chiedeva:
JP Morgan all’Eurozona: “Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste”
Si sono inventati Mussoloni-Renzi, in quanto segnalato opportunamente dagli ambienti piduisti italiani, perché Enrico Letta era restio a questo Colpo di Mano o di Stato.
Con la complicità dell’agente della CIA e massone della Three Eyes, Napolitano, hanno pensato di fare un Colpo di Stato indolore.
Pensavano che il signor Quindicipalle potesse incantare i merli tricolori con le sue sparate fatte in territorio toscano.
E’ stato così all’inizio, ma adesso i merli se ne sono accorti e gli gridano “PINOCCHIO” come alla Versiliana.
E ADESSO QUEGLI AMBIENTI SONO PREOCCUPATI PERCHE' IL COLPO DI STATO, TRUCCATO, STA FALLENDO.
Ci avevano già tentato nel Novecento con tre tentativi di Colpo di Stato non riusciti.
Dopo aver smantellato e raso al suolo il Bel Paese, con Berlusconi che aveva portato a termine il disegno di Gelli di RINASCITA DEMOCRATICA, adesso ci hanno provato con Mussoloni e il cambiamento della COSTITUZIONE, introducendo IL FASCISMO DEL TERZO MILLENNIO.
NON C'E' PIU' BISOGNO DELL'OLIO DI RICINO E DEL SANTO MANGANELLO PER CONVINCERE I PIU' RIOTTOSI.
OGGI BASTA LA TELEVISIONE A SCIACQUARE I CERVELLI.
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Il referendum slitta: ‘Fine novembre o dicembre’
Nel Pd D’Alema lancia il suo comitato per il No
Boschi ipotizza la data del voto. E dice: “Siate consapevoli dell’opportunità che si perderebbe votando no”
Al Cinema Farnese di Roma l’ex premier esce ufficialmente allo scoperto contro la linea del partito
Referendum Costituzionale
Si accende anche all’interno del Pd la campagna elettorale in vista del referendum sulle riforme costituzionali. Domenica, dal palco della Festa dell’Unità di Torino, Maria Elena Boschi ha spiegato che per il referendum si voterà una domenica tra fine novembre e inizio dicembre, mentre oggi al Cinema Farnese di Roma Massimo D’Alema lancia ufficialmente il suo comitato “I dem per il No”. Sull’altro fronte, si organizzano in favore del Sì il ministro della Giustizia Andrea Orlando, i Giovani Turchi e Maurizio Martina
Nel Pd D’Alema lancia il suo comitato per il No
Boschi ipotizza la data del voto. E dice: “Siate consapevoli dell’opportunità che si perderebbe votando no”
Al Cinema Farnese di Roma l’ex premier esce ufficialmente allo scoperto contro la linea del partito
Referendum Costituzionale
Si accende anche all’interno del Pd la campagna elettorale in vista del referendum sulle riforme costituzionali. Domenica, dal palco della Festa dell’Unità di Torino, Maria Elena Boschi ha spiegato che per il referendum si voterà una domenica tra fine novembre e inizio dicembre, mentre oggi al Cinema Farnese di Roma Massimo D’Alema lancia ufficialmente il suo comitato “I dem per il No”. Sull’altro fronte, si organizzano in favore del Sì il ministro della Giustizia Andrea Orlando, i Giovani Turchi e Maurizio Martina
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Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Referendum, D’Alema: “Fonderemo un comitato nazionale per il No”
Referendum Costituzionale
di F. Q. | 5 settembre 2016
COMMENTI (60)
“Fonderemo un comitato nazionale per il No. Il presidente sarà Guido Calvi“. Massimo D’Alema ha aperto con un annuncio il suo intervento all’appuntamento al cinema Farnese di Roma, dove ha invitato quella parte del centrosinistra schierata per il voto contrario al referendum costituzionale voluto dal governo Renzi. “Calvi non ha la tessera del Pd” ha detto l’ex premier, che poco prima aveva sottolineato come l’obiettivo della sua azione non è quello di dividere il partito di cui fa parte. Anzi: il Pd, a sentire D’Alema, poco o nulla ha a che fare con l’iniziativa. “Non abbiamo nuovi capicorrente. Non ci interessa il Pd come oggetto del nostro impegno, ma ci interessa il Paese. C’è un sistema democratico fortemente indebolito” ha detto, puntualizzando che la nascita del comitato non coincide con l’appuntamento odierno “perché aspettiamo altre adesioni“. Non poteva mancare il riferimento agli attacchi subìti per la posizione contraria a quel Sì tanto auspicato dai vertici del partito: “Siamo stati sottoposti ad accuse di ogni genere: noi non siamo qui per un’iniziativa che vuole dividere il Pd” ha aggiunto, prendendo le distanze e rispondendo indirettamente alle critiche di molti fondatori del partito.
I continui distinguo rispetto alla linea democratica, tuttavia, tradiscono quel “non ci interessa il Pd” più volte sottolineato nel corso dell’intervento. Anche perché il nome del Pd e il riferimento al Pd ricorre sempre nelle parole di D’Alema. A partire dalla spiegazione di come è nata l’idea del fronte per il No al referendum: “Abbiamo promosso questa iniziativa su base della richiesta proveniente da tante parti del Paese. Si tratta di una richiesta che secondo me allude anche ad altro” ha detto D’Alema, che – neanche a dirlo – ritornando al Partito democratico ha sottolineato come esista “un fenomeno immenso che riguarda milioni di persone che hanno smesso di votare Pd, spesso scegliendo di non votare, e di migliaia che non hanno rinnovato la tessera del Pd. Alle ultime amministrative, il Pd ha perso più di un milione di voti. C’è un partito senza popolo e un popolo senza partito, al quale non vogliamo dare un partito ma un’occasione d’impegno civile”. “Ci sono quelli che sono e restano nel Pd, come il sottoscritto” ha poi aggiunto, anche perché “come ha affermato il presidente del Pd, vige la legittimità dell’opinione in dissenso”.
Alla base del fermo No di D’Alema alla riforma costituzionale, poi, c’è un’altra constatazione: “La maggioranza che ha cambiato la Costituzione non aveva il mandato per farlo. E’ una maggioranza trasformista, formata grazie alla trasmigrazione di parlamentari eletti sulla base di una legge incostituzionale” ha detto Massimo D’Alema, secondo cui “sarebbe un vizio di origine grave che costituisce un precedente preoccupante”. La riforma costituzionale fatta da Silvio Berlusconi, poi, per D’Alema “non è molto diversa da questa per cui è difficile che chi si oppose allora voti ora a favore di una riforma che riprende dei temi in qualche caso peggiorandoli”. L’ex ministro sostiene ragioni di metodo e di merito. “Se la Costituzione viene derubricata a legge ordinaria viene meno la stabilità delle Istituzioni che è molto più importante della stabilità di governo“. Secondo l’ex premier il mix tra riforma costituzionale e Italicum riduce “la questione democratica al tema della governabilità, ma la democrazia non può essere ridotta a governabilità e non sono le leggi elettorali a garantire la stabilità dei governi”. A sentire D’Alema, poi, “la teoria la sera stessa si saprà chi ha vinto è priva di fondamento: se l’Italicum sarà riconosciuto costituzionale basta che 35 deputati cambino opinione e la governabilità è finita”.
Da qui l’attacco diretto al presidente del Consiglio. “Io sono un grande ammiratore del premier perché è capace di dire qualsiasi cosa. Ora dice che non può mettere mano alla legge elettorale perché è affare del Parlamento, ma è lui che ha messo la fiducia entrandoci a gamba tesa” ha ironizzato il politico pugliese. Che non ha risparmiato critiche anche e soprattutto sulla questione della data del voto, ancora non comunicata: “Trovo decisamente sgradevole che il governo non abbia ancora fissato una data per il referendum. Sa di una furbizia“. La realtà, ha detto ancora D’Alema, “è che era tutto pensato per un plebiscito personale in un’escalation referendum ed elezioni, ma la situazione è cambiata e non si ha più chiaro in mente che cosa si vuol fare”. In tal senso, “la vittoria del No segnerebbe la fine del partito della Nazione renziano. Il che sarebbe un bene per il Pd e per il Paese”.
In tal senso, il comitato nazionale per il No serve a “demistificare la paccottiglia ideologica” della riforma costituzionale ed elettorale del governo, definita “un pastrocchio che spacca in due il Paese, che è vittima di un dibattito fasullo, non fondato su dati di fatto. Questi geni e strateghi del Nazareno – ha attaccato D’Alema – hanno fatto una legge bipolare, senza accorgersi, se si fossero affacciati alla finestra, che non c’è più il bipolarismo”.
All’assemblea organizzata da Massimo D’Alema al cinema Farnese ci sono anche Carlo Freccero, i senatori della minoranza Pd Paolo Corsini, Lucrezia Ricchiuti e Massimo Mucchetti. In platea anche il capogruppo dei deputati di Sinistra Italiana Arturo Scotto e Alfredo D’Attorre, deputato ex Pd e ora Sinistra italiana (SI). Sono dieci, del resto, i parlamentari Pd che hanno firmato un documento in cui spiegano il loro voto contrario alla riforma. Oltre a Corsini, Ricchiuti e Mucchetti, ci sono anche Nerina Dirindin, Luigi Manconi, Claudio Micheloni, Walter Tocci, Luisa Bossa, Angelo Capodicasa e Franco Monaco. Nessun big della minoranza dem, come era annunciato. Ma in platea ci sono diversi portavoce: da quello di Pier Luigi Bersani, Stefano Di Traglia, a Chiara Rinaldini che da anni lavora con Rosy Bindi. E c’è pure qualcuno del fronte del Si. A dare un’occhiata è passato pure Rudy Francesco Calvo, responsabile della comunicazione della campagna del Si al referendum.
Referendum Costituzionale
di F. Q. | 5 settembre 2016
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“Fonderemo un comitato nazionale per il No. Il presidente sarà Guido Calvi“. Massimo D’Alema ha aperto con un annuncio il suo intervento all’appuntamento al cinema Farnese di Roma, dove ha invitato quella parte del centrosinistra schierata per il voto contrario al referendum costituzionale voluto dal governo Renzi. “Calvi non ha la tessera del Pd” ha detto l’ex premier, che poco prima aveva sottolineato come l’obiettivo della sua azione non è quello di dividere il partito di cui fa parte. Anzi: il Pd, a sentire D’Alema, poco o nulla ha a che fare con l’iniziativa. “Non abbiamo nuovi capicorrente. Non ci interessa il Pd come oggetto del nostro impegno, ma ci interessa il Paese. C’è un sistema democratico fortemente indebolito” ha detto, puntualizzando che la nascita del comitato non coincide con l’appuntamento odierno “perché aspettiamo altre adesioni“. Non poteva mancare il riferimento agli attacchi subìti per la posizione contraria a quel Sì tanto auspicato dai vertici del partito: “Siamo stati sottoposti ad accuse di ogni genere: noi non siamo qui per un’iniziativa che vuole dividere il Pd” ha aggiunto, prendendo le distanze e rispondendo indirettamente alle critiche di molti fondatori del partito.
I continui distinguo rispetto alla linea democratica, tuttavia, tradiscono quel “non ci interessa il Pd” più volte sottolineato nel corso dell’intervento. Anche perché il nome del Pd e il riferimento al Pd ricorre sempre nelle parole di D’Alema. A partire dalla spiegazione di come è nata l’idea del fronte per il No al referendum: “Abbiamo promosso questa iniziativa su base della richiesta proveniente da tante parti del Paese. Si tratta di una richiesta che secondo me allude anche ad altro” ha detto D’Alema, che – neanche a dirlo – ritornando al Partito democratico ha sottolineato come esista “un fenomeno immenso che riguarda milioni di persone che hanno smesso di votare Pd, spesso scegliendo di non votare, e di migliaia che non hanno rinnovato la tessera del Pd. Alle ultime amministrative, il Pd ha perso più di un milione di voti. C’è un partito senza popolo e un popolo senza partito, al quale non vogliamo dare un partito ma un’occasione d’impegno civile”. “Ci sono quelli che sono e restano nel Pd, come il sottoscritto” ha poi aggiunto, anche perché “come ha affermato il presidente del Pd, vige la legittimità dell’opinione in dissenso”.
Alla base del fermo No di D’Alema alla riforma costituzionale, poi, c’è un’altra constatazione: “La maggioranza che ha cambiato la Costituzione non aveva il mandato per farlo. E’ una maggioranza trasformista, formata grazie alla trasmigrazione di parlamentari eletti sulla base di una legge incostituzionale” ha detto Massimo D’Alema, secondo cui “sarebbe un vizio di origine grave che costituisce un precedente preoccupante”. La riforma costituzionale fatta da Silvio Berlusconi, poi, per D’Alema “non è molto diversa da questa per cui è difficile che chi si oppose allora voti ora a favore di una riforma che riprende dei temi in qualche caso peggiorandoli”. L’ex ministro sostiene ragioni di metodo e di merito. “Se la Costituzione viene derubricata a legge ordinaria viene meno la stabilità delle Istituzioni che è molto più importante della stabilità di governo“. Secondo l’ex premier il mix tra riforma costituzionale e Italicum riduce “la questione democratica al tema della governabilità, ma la democrazia non può essere ridotta a governabilità e non sono le leggi elettorali a garantire la stabilità dei governi”. A sentire D’Alema, poi, “la teoria la sera stessa si saprà chi ha vinto è priva di fondamento: se l’Italicum sarà riconosciuto costituzionale basta che 35 deputati cambino opinione e la governabilità è finita”.
Da qui l’attacco diretto al presidente del Consiglio. “Io sono un grande ammiratore del premier perché è capace di dire qualsiasi cosa. Ora dice che non può mettere mano alla legge elettorale perché è affare del Parlamento, ma è lui che ha messo la fiducia entrandoci a gamba tesa” ha ironizzato il politico pugliese. Che non ha risparmiato critiche anche e soprattutto sulla questione della data del voto, ancora non comunicata: “Trovo decisamente sgradevole che il governo non abbia ancora fissato una data per il referendum. Sa di una furbizia“. La realtà, ha detto ancora D’Alema, “è che era tutto pensato per un plebiscito personale in un’escalation referendum ed elezioni, ma la situazione è cambiata e non si ha più chiaro in mente che cosa si vuol fare”. In tal senso, “la vittoria del No segnerebbe la fine del partito della Nazione renziano. Il che sarebbe un bene per il Pd e per il Paese”.
In tal senso, il comitato nazionale per il No serve a “demistificare la paccottiglia ideologica” della riforma costituzionale ed elettorale del governo, definita “un pastrocchio che spacca in due il Paese, che è vittima di un dibattito fasullo, non fondato su dati di fatto. Questi geni e strateghi del Nazareno – ha attaccato D’Alema – hanno fatto una legge bipolare, senza accorgersi, se si fossero affacciati alla finestra, che non c’è più il bipolarismo”.
All’assemblea organizzata da Massimo D’Alema al cinema Farnese ci sono anche Carlo Freccero, i senatori della minoranza Pd Paolo Corsini, Lucrezia Ricchiuti e Massimo Mucchetti. In platea anche il capogruppo dei deputati di Sinistra Italiana Arturo Scotto e Alfredo D’Attorre, deputato ex Pd e ora Sinistra italiana (SI). Sono dieci, del resto, i parlamentari Pd che hanno firmato un documento in cui spiegano il loro voto contrario alla riforma. Oltre a Corsini, Ricchiuti e Mucchetti, ci sono anche Nerina Dirindin, Luigi Manconi, Claudio Micheloni, Walter Tocci, Luisa Bossa, Angelo Capodicasa e Franco Monaco. Nessun big della minoranza dem, come era annunciato. Ma in platea ci sono diversi portavoce: da quello di Pier Luigi Bersani, Stefano Di Traglia, a Chiara Rinaldini che da anni lavora con Rosy Bindi. E c’è pure qualcuno del fronte del Si. A dare un’occhiata è passato pure Rudy Francesco Calvo, responsabile della comunicazione della campagna del Si al referendum.
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- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Pensieri e parole di Re Giorgio
tradotti a uso del popolo bue
» MARCO PALOMBI
Fortunatamente il presidente
emerito della
Repubblica, Giorgio
Napolitano, non ci fa
mai mancare la sua voce. Ieri,
per dire, ha rilasciato una lunga
intervista a la Repubblicain
cui spiega un po’ tutto quel
che c’è da sapere sul mondo.
L’eloquio dell’ex presidente
è, però, complesso, stratificato
in decenni di vita politica.
Per questo - grazie all’ausilio
di linguisti, psicologi, storici e
politologi - abbiamo deciso di
fornire ai lettori una traduzione
in italiano standard del
pensiero del nostro.
“Con quello che succede nel
mondo e quello che ha sulle
spalle l’Italia, è davvero surreale
l’infuriare di una guerra
sul referendum costituzionale.
Non c’è respiro, non c’è visione
ampia, manca lo sguardo
lungo e soprattutto scarseggia
il senso di responsabilità”.
Ma stiamo scherzando?
Qua rischia di vincere il No,
ma vi rendete conto? Io non
dico quegli scappati di casa
dei Cinque Stelle, ma Berlusconi
deve essere uscito pazzo:
ma non ha capito che gli
stiamo apparecchiando un
governo di unità nazionale?
“Credo si comprenda che
mettere (alla cieca) a rischio la
continuità e l’azione del governo
oggi esponga il Paese a serie
incognite in termini di convulsione
politica e istituzionale. E
la cosa s’è fatta più grave dopo
il referendum britannico”.
No, va bene, continuate così,
fateli votare e quelli ogni
volta vi fanno cadere un governo.
Come si fa a fare come
se niente fosse se convocate
referendum ogni settimana?
“Provo un’i nq u i e t ud i n e
profonda nel vedere così distruttivamente
divisa la politica
italiana, così poco presente
il senso di responsabilità”.
Silvio, ma è possibile che
non hai ancora capito?
“Mi spinge a far sentire la
mia voce anche il tentativo di
molti di cancellare il ricordo di
quella pressante richiesta rivoltami
dopo le ultime elezioni
ad accettare il secondo mandato
di presidente”.
Avete voluto la bicicletta?
“Si è parlato poco del fatto
che le firme per chiedere il referendum
le hanno raccolte i
fautori del Sì mentre quelli del
No non hanno avuto raggiunto
il numero minimo. Forse c’è
anche da riflettere se fu giusto
prevedere nell’apposita mozione
parlamentare la facoltà
di sottoporre comunque a referendum
il testo di riforma
che fosse stato approvato”.
Sì, è vero, è una bugia: il referendum
l’hanno chiesto anche
i parlamentari d’o p p o s izione,
quindi si sarebbe tenuto
comunque, però a me questo
fatto di far votare questi
peones - come li chiamate? elettori?
- non mi va giù.
“È noto che io non ho condiviso
la iniziale politicizzazione
e personalizzazione del
referendum da parte del presidente
del Consiglio”.
Gliel’ho detto cento volte,
ma quello è capa tosta.
“Vedo molte smemoratezze
tra politici e studiosi che sembrano
aver dimenticato tutto
il lungo iter di riflessioni e di
vani tentativi di rivedere la seconda
parte della Costituzione”.
Io a D’Alema lo manderei
in Siberia. Quei tizi tipo Zagrebelsky,
poi, non li ho mai
potuti sopportare.
“Sono state le Camere che a
schiacciante maggioranza, il
29 maggio 2013 hanno ‘i m p egnato
il governo a presentare
alle Camere un disegno di legge
costituzionale’. Renzi ha ricevuto
il testimone e non ha
dunque con una scelta arbitraria
calpestato il Parlamento”.
E secondo voi io iniziavo
tutto questo ambaradan senza
coprirmi le spalle? Per chi
mi avete preso? Per Prodi?
“La riforma non è né di Renzi
né di Napolitano, ma è quella
su cui la maggioranza del Parlamento
ha trovato l’intesa”.
Non cominciamo, eh: stai a
vedere che ’sto casino l’ho fatto
tutto io da solo..
“Non ho mai creduto al
‘combinato disposto’, all’e f f e tto
perverso congiunto che
scatterebbe tra riforma costituzionale
e Italicum”.
Bersaniii... Sì, proprio tu: la
devi piantare e dire chiaramente
che voterai Sì.
“C’è da riflettere sull’I t a l icum.
Rispetto a due anni fa lo
scenario politico risulta mutato.
Ci sono nuovi partiti, alcuni
dei quali in forte ascesa che
hanno rotto il gioco di governo
tra due schieramenti”.
Prima c’erano due partiti e
un programma solo, quello
della Bce, adesso non si capisce
più niente: questo popolo
italiano è populista. La legge
elettorale deve garantire
l’ammucchiata responsabile.
“Il governo deve definire il
suo atteggiamento indipendentemente
dal pronunciamento
della Consulta”.
Matteo, te l’ho detto mille
volte: cambia questa legge elettorale
che io Grillo a Palazzo
Chigi non ce lo voglio vedere
neanche dipinto. Così la
pianta pure Bersani.
“Non mi sono mai posto il
problema di trovare un marchingegno
per impedire una
possibile vittoria dei 5 Stelle”.
E certo che me lo sono posto
il problema: che devo mettere
i manifesti?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
tradotti a uso del popolo bue
» MARCO PALOMBI
Fortunatamente il presidente
emerito della
Repubblica, Giorgio
Napolitano, non ci fa
mai mancare la sua voce. Ieri,
per dire, ha rilasciato una lunga
intervista a la Repubblicain
cui spiega un po’ tutto quel
che c’è da sapere sul mondo.
L’eloquio dell’ex presidente
è, però, complesso, stratificato
in decenni di vita politica.
Per questo - grazie all’ausilio
di linguisti, psicologi, storici e
politologi - abbiamo deciso di
fornire ai lettori una traduzione
in italiano standard del
pensiero del nostro.
“Con quello che succede nel
mondo e quello che ha sulle
spalle l’Italia, è davvero surreale
l’infuriare di una guerra
sul referendum costituzionale.
Non c’è respiro, non c’è visione
ampia, manca lo sguardo
lungo e soprattutto scarseggia
il senso di responsabilità”.
Ma stiamo scherzando?
Qua rischia di vincere il No,
ma vi rendete conto? Io non
dico quegli scappati di casa
dei Cinque Stelle, ma Berlusconi
deve essere uscito pazzo:
ma non ha capito che gli
stiamo apparecchiando un
governo di unità nazionale?
“Credo si comprenda che
mettere (alla cieca) a rischio la
continuità e l’azione del governo
oggi esponga il Paese a serie
incognite in termini di convulsione
politica e istituzionale. E
la cosa s’è fatta più grave dopo
il referendum britannico”.
No, va bene, continuate così,
fateli votare e quelli ogni
volta vi fanno cadere un governo.
Come si fa a fare come
se niente fosse se convocate
referendum ogni settimana?
“Provo un’i nq u i e t ud i n e
profonda nel vedere così distruttivamente
divisa la politica
italiana, così poco presente
il senso di responsabilità”.
Silvio, ma è possibile che
non hai ancora capito?
“Mi spinge a far sentire la
mia voce anche il tentativo di
molti di cancellare il ricordo di
quella pressante richiesta rivoltami
dopo le ultime elezioni
ad accettare il secondo mandato
di presidente”.
Avete voluto la bicicletta?
“Si è parlato poco del fatto
che le firme per chiedere il referendum
le hanno raccolte i
fautori del Sì mentre quelli del
No non hanno avuto raggiunto
il numero minimo. Forse c’è
anche da riflettere se fu giusto
prevedere nell’apposita mozione
parlamentare la facoltà
di sottoporre comunque a referendum
il testo di riforma
che fosse stato approvato”.
Sì, è vero, è una bugia: il referendum
l’hanno chiesto anche
i parlamentari d’o p p o s izione,
quindi si sarebbe tenuto
comunque, però a me questo
fatto di far votare questi
peones - come li chiamate? elettori?
- non mi va giù.
“È noto che io non ho condiviso
la iniziale politicizzazione
e personalizzazione del
referendum da parte del presidente
del Consiglio”.
Gliel’ho detto cento volte,
ma quello è capa tosta.
“Vedo molte smemoratezze
tra politici e studiosi che sembrano
aver dimenticato tutto
il lungo iter di riflessioni e di
vani tentativi di rivedere la seconda
parte della Costituzione”.
Io a D’Alema lo manderei
in Siberia. Quei tizi tipo Zagrebelsky,
poi, non li ho mai
potuti sopportare.
“Sono state le Camere che a
schiacciante maggioranza, il
29 maggio 2013 hanno ‘i m p egnato
il governo a presentare
alle Camere un disegno di legge
costituzionale’. Renzi ha ricevuto
il testimone e non ha
dunque con una scelta arbitraria
calpestato il Parlamento”.
E secondo voi io iniziavo
tutto questo ambaradan senza
coprirmi le spalle? Per chi
mi avete preso? Per Prodi?
“La riforma non è né di Renzi
né di Napolitano, ma è quella
su cui la maggioranza del Parlamento
ha trovato l’intesa”.
Non cominciamo, eh: stai a
vedere che ’sto casino l’ho fatto
tutto io da solo..
“Non ho mai creduto al
‘combinato disposto’, all’e f f e tto
perverso congiunto che
scatterebbe tra riforma costituzionale
e Italicum”.
Bersaniii... Sì, proprio tu: la
devi piantare e dire chiaramente
che voterai Sì.
“C’è da riflettere sull’I t a l icum.
Rispetto a due anni fa lo
scenario politico risulta mutato.
Ci sono nuovi partiti, alcuni
dei quali in forte ascesa che
hanno rotto il gioco di governo
tra due schieramenti”.
Prima c’erano due partiti e
un programma solo, quello
della Bce, adesso non si capisce
più niente: questo popolo
italiano è populista. La legge
elettorale deve garantire
l’ammucchiata responsabile.
“Il governo deve definire il
suo atteggiamento indipendentemente
dal pronunciamento
della Consulta”.
Matteo, te l’ho detto mille
volte: cambia questa legge elettorale
che io Grillo a Palazzo
Chigi non ce lo voglio vedere
neanche dipinto. Così la
pianta pure Bersani.
“Non mi sono mai posto il
problema di trovare un marchingegno
per impedire una
possibile vittoria dei 5 Stelle”.
E certo che me lo sono posto
il problema: che devo mettere
i manifesti?
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