Renzi

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camillobenso
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Re: Renzi

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Napolitano, partigiano di Renzi: "Basta guerra sul referendum"
L'ex capo dello Stato in campo per il "sì" al referendum: "È tempo di uscire da questo assurdo stato di belligeranza". Insorgono le opposizioni. Forza Italia: "Imbarazzante, è l'ennesimo spot pro Renzi"


Sergio Rame - Sab, 10/09/2016 - 12:14
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"Con quello che succede nel mondo e quello che ha sulle spalle l'Italia, è davvero surreale l'infuriare di una guerra sul referendum costituzionale".


Ancora una volta Giorgio Napolitano scende in campo per Matteo Renzi. Proprio quando i sondaggi segnano la volata del fronte del "no" al referendum sulle riforme costituzionali, l'ex presidente della Repubblica fornisce un assist senza precedenti al premier. Una invasione di campo che infastidisce le opposizioni e non fa altro che esasperare lo scontro politico.

"Credo si comprenda che mettere (alla cieca) a rischio la continuità e l'azione del governo oggi esponga il Paese a serie incognite in termini di convulsione politica e istituzionale. La riforma non è né di Renzi nP di Napolitano, ma è quella su cui la maggioranza del Parlamento ha trovato l'intesa". In una lunga intervista a Repubblica, Napolitano parla di una sua "inquietudine profonda nel vedere così distruttivamente divisa la politica italiana, così poco presente il senso di responsabilità di fronte a problemi che gravano di molte incognite il futuro del Paese e delle sue giovani generazioni. Non vedo abbastanza respiro, capacità di elevarsi al di là di tante dispute estremizzate e di ritrovarsi in alcune grandi esigenze di impegno comune, come quella a cui ci ha richiamato tragicamente il recente terremoto". Nella chiacchierata con il direttore Mario Calabresi, l'ex Capo dello Stato lamenta anche le "smemoratezze" di politici e studiosi che "sembrano aver dimenticato tutto il lungo iter di riflessioni e di vani tentativi di rivedere la seconda parte della Costituzione".

Nell'intervista a Repubblica, Napolitano forza la mano. Non è certo la prima volta che lo fa. Dopo aver imposto le dimissioni a Silvio Berlusconi, sfruttando il sostegno di Angela Merkel e dei poteri forti di Bruxelles, cerca di portare a termine l'assalto all'impianto democratico del nostro Paese. "Oggi non si tratta solo di recuperare un abnorme ritardo ma di vedere come è ridotto il nostro quadro istituzionale per non averlo riformato prima - dice - questa riforma ne può consentire il superamento, e rappresenta oggi, specie per questo, una priorità e un'urgenza". Sulla legge elettorale, invece, invita il governo a "promuovere una ricognizione tra le forze parlamentari per capire quale possa essere il terreno di incontro per apportare modifiche alla legge elettorale".

L'intervento di Napolitano non ha certo fatto piacere alle opposizioni. Per il senatore di Forza Italia Lucio Malan, "trasuda di partigianeria nei confronti della riforma costituzionale, del referendum e dello stesso Renzi". Renato Brunetta, poi, rifiuta categoricamente un nuovo dibattito sulla legge elettorale durante la campagna referendaria. "Mai seduti al tavolo con Renzi che dà le carte - ha tuonato il presidente dei senatori azzurri - mai con uno sfiduciato dalla Consulta, mai con un baro. Prima il referendum e poi saranno le Camere a decidere". Durissima anche Daniela Santanchè che definisce l'ex capo dello Stato "imbarazzante e inqualificabile".
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Re: Renzi

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L’INTERVISTA
Michele Tiraboschi Il giuslavorista: “Una manovra di propaganda che ha ingessato il mercato

“Il jobs act è già diventato un boomerang”

I dati usciti venerdì?
Normale che salgano
molto i licenziamenti
Spesi 20 miliardi
per promuovere finti
contratti stabili


» CARLO DI FOGGIA
Il jobs act è un’operazione di
propaganda che sta ingessando
il mercato e facendo aumentare
i licenziamenti”. Michele
Tiraboschi, giuslavorista
e direttore del centro studi
Adapt fondato da Marco Biagi,
descrive così i dati del ministero
del lavoro del secondo
trimestre 2016 (-79mila contratti
a tempo indeterminato,
+7,4% di licenziamenti e dimissioni
in calo).
Cosa dicono quei numeri?
Quel che era prevedibile: uno
degli obiettivi del jobs act era
rendere più facile licenziare,
come infatti sta avvenendo,
ma l’idea che questo avrebbe
fatto aumentare le assunzioni
stabili è fallimentare. Con una
grave complicazione: il governo
ha creato due regimi,
quello degli assunti prima di
marzo 2015, che mantengono
l’articolo 18, e quelli assunti
dopo, che non lo hanno. Le dimissioni
calano bruscamente
perché le persone hanno paura
di cambiare lavoro per fare
esperienza o migliorare la
carriera perché sanno di perdere
l’articolo 18. Non c’è
maggiore mobilità
e neanche più
assunzioni.
Per il ministero
è l’effetto della
legge che ostacola
le dimissioni
in bianco.
A ss ol ut am en te
falso: è una normativa
in vigore
da anni e poi modificata.
Pietro Ichino, uno dei padri
della riforma, disse che abolire
le tutele per tutti avrebbe
provocato un aumento
dei licenziamenti.
Sta già avvenendo, finita la
droga degli incentivi per chi
assumeva nel 2015 sono saliti
del 7,4%.
Quello a “tutele crescenti”è
un contratto stabile?
Un anno fa il governo enfatizzò
i dati sull’aumento degli
occupati stabili. Segnalai che
poteva essere un boomerang,
ma me l’aspettavo al termine
degli sgravi triennali. E invece
abbiamo
un quadro sinistro
dopo
un solo anno:
se oggi crescono
così tanto i licenziamenti,
immagino fra due anni
quando le imprese avranno
un incremento fortissimo del
costo del lavoro e non tutte sapranno
affrontarlo. Si vedrà
che non è un contratto a tutele
crescenti ma uno che garantisce
delle indennità economiche
di poco peso in caso di
licenziamento: dopo tre anni
pago solo 6 mensilità, molto
meno di quanto incasso con
gli incentivi. Il
problema è di
fondo.
In che senso?
Non si costruisce
un edificio
partendo dal
tetto: senza l’a rticolo
18 è più facile
licenziare,
quindi se lo togli
devi prima avere
un sistema efficiente
di ricollocazione,
riqual
ificazi one,
formazione professionale e
welfare adeguato. Nulla di
tutto questo è stato fatto.
Senza crescita è però difficile
creare lavoro.
Gli incentivi ci sono costati 20
miliardi dati alle imprese per
promuovere un finto contratto
stabile a fronte di soli 80 milioni
per il ricollocamento.
Nulla per le politiche attive e
20 miliardi per una controproducente
manovra di propaganda
elettorale che offende
la sensibilità delle persone.
Non si migliora il lavoro a colpi
di leggi ma di politiche, e
quelle le fa il Parlamento, non
il governo.
Perché aumenta quasi solo
la fascia di occupati over
50?
La riforma Fornero ha allungato
l’età pensionabile. Non
sono nuovi occupati reali.
Come si spiega l’e sp o ne nziale
boom dei voucher?
È grave che il ministero non
faccia un monitoraggio. Il
problema è l’abolizione dei
lavoratori a progetto: il governo
pensava che sarebbero stati
stabilizzati con gli sgravi,
invece sono stati convertiti in
voucheristi.
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Re: Renzi

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“Fucilare il traditore Renzi”, bufera sul direttore della Gazzetta di Lucca. Pd: “Frase delirante e fascista”

Politica
I dem toscani Parrini e Marcucci annunciano di vole denunciare Aldo Grandi, non nuovo a provocazioni del genere. Ma lui non ci sta e replica: "La frase era solo metaforica". E sfida Renzi a "duello". Interviene nella polemica anche Enrico Rossi: "È un giornalista fascistissimo, sogna rivincite su Piazzale Loreto"
di F. Q. | 11 settembre 2016
COMMENTI (281)



Renzi? Un “ex boy-scout traditore da mettere al muro e fucilare nella schiena”. Così ha scritto Aldo Grandi, direttore della testata online La Gazzetta di Lucca, in un articolo in cui criticava con durezza il sindaco Pd di Capannori, in provincia di Lucca. Una frase “ovviamente metaforica”, ha detto lui dopo che la bufera era scoppiata. Ma Dario Parrini, deputato e segretario dem della Toscana, in un comunicato stampa esprime tutto il suo sdegno per quelle parole. Una “delirante affermazione, una minaccia di evidente stampo fascista“, l’ha bollata Parrini, precisando che “il Pd si riserva nei prossimi giorni di denunciare civilmente e penalmente il giornalista, non nuovo a tali espressioni violente, e nel frattempo sottopone la questione anche all’Ordine dei giornalisti“. A sostegno del segretario toscano, è arrivata subito dopo la dichiarazione di Andrea Marcucci. Il senatore del Pd si unisce “all’indignazione espressa” dal collega di partito, affermando che la frase di Grandi “non è una critica politica, ma odio allo stato puro ed anche un reato”.


Ancora più dura la reazione del governatore toscano, Enrico Rossi. “Il giornalista fascistissimo Aldo Grandi, evidentemente influenzato dalla recente adunata neofascista di Chianciano Terme (il riferimento è alla festa nazionale di CasaPound, ndr), incita all’odio verso Matteo Renzi e sogna rivincite su Piazzale Loreto. Noi democratici – prosegue Rossi sulla sua bacheca di Facebook – chiediamo semplicemente che siano fatte valere nei suoi confronti le leggi dello Stato democratico”.

La prevedibile reazione di Grandi, carattere sempre incline alle provocazioni, era arrivata in mattinata, prima ancora del commento di Rossi. “Ogni volta che qualcuno afferma qualcosa che non è di gradimento al Pd e alla sua pretesa volontà di egemonizzare cultura e politica di questo Paese, si ricorre all’appellativo di fascista”. Grandi ha spiegato come la sua frase, “ovviamente metaforica, vada riservata a coloro che, nei confronti del proprio Paese, si comportano da ‘traditori'”.

Il direttore della Gazzetta di Lucca entra poi nel merito della polemica, precisando i motivi che lo hanno spinto a criticare in modo così aspro il presidente del Consiglio. “Ritengo – ha detto – che far entrare impunemente centinaia di migliaia di immigrati provenienti da culture, religioni, usi, costumi lontani anni luce dai nostri è, come direbbe Ida Magli, un tradimento di quelle che sono le nostre origini e soprattutto una violazione di quella che è la nostra identità collettiva e nazionale”. Questioni, quelle relative all’integrazione e all’accoglienza dei migranti, in cui già nel 2013 Grandi aveva preso posizione in maniera assai polemica, ricevendo dapprima un esposto dall’Ordine dei giornalisti del Lazio e, immediatamente dopo, un attestato di solidarietà da Forza Nuova.

Dopo la difesa, in ogni caso, Aldo Grandi non ha rinunciato ad andare all’attacco. “Se Matteo Renzi e il Pd ritengono di sentirsi offesi per questa chiamata in causa sono pronto ad affrontarli, metaforicamente, in dibattito, se preferiscono in ‘duelli’, in qualunque momento vorranno”.
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Re: Renzi

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MEDIA & REGIME

‘Fucilare Renzi’? Caro direttore, si può manifestare il dissenso anche senza violenza

Media & Regime
di Luca Faccio | 12 settembre 2016
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Luca Faccio
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Mi ha lasciato senza parole la frase scritta in un articolo dal direttore della testata on –line La Gazzetta di Lucca Aldo Grandi, dove definisce il presidente del Consiglio Matteo Renzi “ex boy-scout traditore da mettere al muro e fucilare nella schiena”. Credo che manifestare il proprio dissenso sia un diritto sacrosanto, ma che lanciare certi messaggi sia sbagliato per di più se tale frase è pronunciata dal direttore di una testata giornalistica che in breve tempo può raggiungere molte persone rischiando di “stimolare” atteggiamenti volenti che peraltro sono già ben presenti purtroppo nella quotidianità del nostro Paese.

Non ho mai negato il mio dissenso pubblico verso la politica del premier Matteo Renzi e tutti coloro che non ascoltano i bisogni reali dei cittadini visto che mi occupo ti tematiche socio politiche e particolare di disabilità, ma non ho mai suggerito atteggiamenti violenti continuando comunque a lottare. Suggerisco al Direttore Aldo Grandi di lanciare attraverso La Gazzetta di Lucca online vari momenti di aggregazione per dire “no” alla politica di Renzi e non solo.

Invito tutti a non smettere mai di lottare per i vostri ideali nel rispetto della libertà altrui e senza usare la violenza.
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Re: Renzi

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Pubblicata nei commenti relativi all'articolo precedente.


camillobenso • 4 minuti fa
Tieni duro, questo commento deve ancora essere approvato da Il Fatto Quotidiano.
Egregio Luca Faccio.
punto i riflettori sulla Sua frase di chiusura:
Invito tutti a non smettere mai di lottare per i vostri ideali nel rispetto della libertà altrui e senza usare la violenza.

Vorrei una risposta precisa, non di quelle alla Littorio Feltri, (vedi disputa con Brunetta), non le solite parole al vento che lasciano il tempo che trovano, praticate dalla miriade di giornalisti del “tengo famiglia”, circa la soluzione istituzionale dell’indagine svolta dal giornalista investigativo dell’Espresso, Fabrizio Gatti sul Cara di Foggia, presente nel numero in edicola del magazine N°37.

Nel Ghetto di Stato di Mezzanone vicino a Foggia, in nome del Popolo Italiano si sfruttano 1.000 esseri umani con la pelle nera.

Questo traffico di carne umana frutta alle coop rosse e alle consociate bianche dirette da manager sotto l’ombrello di Comunione e liberazione, una fortuna pari a quattordicimila euro ogni 24 ore, che il governo regolarmente eroga senza fiatare.

Tutti coloro che ho interpellato si dicono sicuri che le istituzioni sono al corrente.

Provi quindi Lei ad indicare una soluzione fattibile nel rispetto della libertà altrui e senza usare la violenza.
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camillobenso
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Re: Renzi

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Il Fatto ha cancellato la mia richiesta.

Spero che chiariscano.

camillobenso • alcuni secondi fa
Tieni duro, questo commento deve ancora essere approvato da Il Fatto Quotidiano.
Caro Peter Gomez,
perchè è stato cancellato il mio intervento?
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camillobenso
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Re: Renzi

Messaggio da camillobenso »

camillobenso ha scritto:Il Fatto ha cancellato la mia richiesta.

Spero che chiariscano.

camillobenso • alcuni secondi fa
Tieni duro, questo commento deve ancora essere approvato da Il Fatto Quotidiano.
Caro Peter Gomez,
perchè è stato cancellato il mio intervento?
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Dopo questo post lo hanno ripristinato.

Chissà perché bisogna sempre insistere per ottenere la normalità.

Anche tra i moderatori del Fatto Quotidiano.

Il commento successivo è:

Gigia • 32 minuti fa
Si sì hai ragione ma quando ti ritrovi a capo di un governo teoricamente democratico un bulletto brutto , stupido, arrogante, schiavo dei poteri forti, avido di potere ma incapace di formulare idee e concetti, egoista egocentrico, bugiardo, succhiasoldi per cose tipo l'aereo presidenziale ...e tutto ciò senza che nessuno lo abbia mai votato, ma solo perché un decrepito ex presidente della repubblica amico dei servizi segreti americani ha pensato di metterlo li come finto giovane per allontanare una rivoluzione incipiente, io mi chiedo: fucilarlo non sarebbe come un atto di resistenza partigiana???
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camillobenso
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Re: Renzi

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13 SET 2016 11:39
MATTEO APRE SULL'ITALICUM, MA TUTTI GLI CHIUDONO LE PORTE IN FACCIA

- DA BERSANI A BRUNETTA: NESSUNO SI FIDA - E PER I GRILLINI LA MAGGIORANZA CAMBIA LE LEGGI SOLO PER I COMODI LORO


- PER CONSOLARSI IL PREMIER SCROCCA UNA CENA ALLA CASA BIANCA




1. Bersani: “la proposta tocca al governo al momento voto no”

Andrea Carugati e Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”


«Se al referendum si votasse domani, voterei no». Ormai Pierluigi Bersani lo dice apertamente. Deluso da Matteo Renzi, l’ex segretario del Pd boccia l’intervento del premier alla festa dell’Unità di Catania.


E trae le conseguenze: «Non ho visto nessuna apertura. Devono dire di aver sbagliato a porre la fiducia sull’Italicum e spiegarmi perché hanno cambiato idea. E deve essere il governo a proporre i cambiamenti. Se vuole, i numeri in Parlamento si trovano».

Un ceffone contro il capo del governo, dunque, ma non ancora lo strappo definitivo: «C’è tempo per fare una nuova legge prima del passaggio referendario - assicura - E io comunque non aderirò a comitati, né darò indicazioni». Difficile però che Renzi muova passi significativi prima della sentenza della Consulta sull’Italicum, prevista per il 4 ottobre.


E ancor più complicato che un tavolo sulla legge elettorale possa ottenere luce verde prima del referendum costituzionale. Per adesso, allora, si limita ad assicurare: «Abbiamo dato la disponibilità a cambiare la legge e siamo pronti a confrontarci in modo libero con tutti».

Il clima è quello che è, nel Partito democratico. Se Renzi attacca Massimo D’Alema, Bersani difende l’ex premier: «Ci può essere disaccordo, ma il dileggio da parte di un segretario di partito non è accettabile. Sono stati usati toni aggressivi contro una parte della nostra gente».

Il leader della minoranza gioca all’attacco, parlando alla festa dell’Unità di Roma: «Matteo, sono due anni che sei lì, anche tu non sei nuovissimo. Siamo tutti un po’ usati, il problema è essere usati sicuri...». Per Bersani è apprezzabile la posizione espressa da Giorgio Napolitano nell’intervista a Repubblica.


E in ogni caso Renzi deve restare al suo posto, in caso di sconfitta al referendum: «Non deve dimettersi. Sembra inevitabile? Se la sono cercata. Non facciamo di quel passaggio un appuntamento cosmico come la Brexit, altrimenti può diventare un’occasione per la speculazione finanziaria».

Il capo della sinistra del Pd non è l’unico a contestare l’atteggiamento del segretario dem. «Prima ci aveva detto che l’Italicum era un modello e ora vuole cambiarlo – lo incalza Luigi Di Maio - Oggi mi sarei aspettato altri titoli da giornali, come “Renzi schizofrenico”. Cambiano le leggi per i comodi loro». E Renato Brunetta gli fa eco: «Il premier – dice il capogruppo berlusconiano alla Camera - è alla canna del gas».

A dire il vero sul dossier elettorale proprio Renzi, che ieri ha subito una contestazione da parte di insegnanti precari in provincia di Caserta, predica estrema prudenza. Con il “patto di Sciacca” ha promesso ad Angelino Alfano che farà di tutto per tornare al premio di coalizione.

Una novità a cui potrebbe essere costretto già dalla Corte costituzionale, se la sentenza del 4 ottobre cancellerà il divieto di apparentamento tra i due turni. Si tratterebbe di un ritocco mirato, e obbligato, in linea con la proposta di Dario Franceschini. Tra gli uomini del premier, intanto, si ragiona anche di un altro intervento, che mira a sostituire il meccanismo delle preferenze con un listino cortissimo per ciascun collegio.

Schermaglie, per adesso. Il primo passaggio concreto si vivrà a fine mese. Mercoledì infatti la riunione dei capigruppo di Montecitorio fisserà la data per discutere la mozione di Sel (che reclama modifiche all’Italicum) già calendarizzata per settembre. E la data più probabile per il voto è il 28 di settembre. «Non vedo l’ora che inizi il dibattito - sostiene il capogruppo di Sinistra italiana Artuto Scotto - Vedo che Renzi, Napolitano e Alfano non vogliono più l’Italicum e comincio a pensare che questa è una legge a loro insaputa...».



2. Muro dagli altri partiti e vola a Washington

Marco Galluzzo per il “Corriere della Sera”


Voleva essere un' apertura sulla legge elettorale e invece, almeno per ora, si è dimostrata una sorta di boomerang. La sinistra interna al Pd sembra avviata verso la presentazione di una propria proposta di modifica dell' Italicum, il partito di maggioranza appare più spaccato di prima. Complici anche le parole di Renzi su D' Alema, che ieri è stato difeso da Pier Luigi Bersani: «Ci può essere certamente un disaccordo, ma il dileggio da parte di un segretario di partito non è accettabile: sono stati usati toni aggressivi contro una parte della nostra gente.

Poi l' ex segretario lancia l' allarme sul rischio attacchi della speculazione a causa delle fibrillazioni sul referendum.


Eppure, al termine di una giornata che ha visto il capo del governo quasi interamente a Napoli, che dopo Catania ha registrato nuovi scontri fra polizia e centri sociali, nello staff di Renzi ribadiscono che la volontà di verificare modifiche all' Italicum è fondata.

Il ministro Graziano Delrio la mette così: «È un' apertura vera e sincera, Renzi punta alla migliore mediazione possibile per il bene del Paese». Il vicesegretario del partito, Lorenzo Guerini, aggiunge che per un confronto «deve esserci la volontà di tutti e la consapevolezza che ci vogliono dei numeri al Senato, noi faremo sul serio ma non saremo disponibili a una legge elettorale non chiara e che ci riporti alle larghe intese».

Il nodo vero resta il legame fra referendum e Italicum. La minoranza interna sembra sempre più vicina ad ufficializzare il proprio No («Se votassi domani voterei no» ha detto ieri Bersani, che ha messo in guardia contro le «speculazioni» in Borsa sulla consultazione, come nella Brexit), giudicando le aperture di Renzi strumentali e di carattere tattico. Da parte sua, il capo del governo avrebbe già dato mandato ai capigruppo di Camera e Senato del Pd di aprire un confronto con gli altri partiti (ma sia Forza Italia che grillini si dichiarano indisponibili) per verificare gli spazi di eventuali cambiamenti delle norme elettorali.

Mentre sul referendum, ripete Renzi (che il 18 ottobre sarà ricevuto, assieme alla moglie Agnese, da Barack Obama alla Casa Bianca per una cena di Stato) occorre ricordare che «non riguarda legge elettorale, poteri del premier o durata della legislatura ma la riduzione del numero dei parlamentari, i costi della politica, l' abolizione del Cnel. Se non ci credete, leggete il quesito che troverete sulla scheda».
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Re: Renzi

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DOBBIAMO CAMBIARE LA CARTA D'IDENTITA'.


QUESTA NON E' PIU' LA REPUBBLICA ITALIANA , MA LA REPUBBLICA DEI PINOCCHIONI




Il ministro Graziano Delrio la mette così: «È un' apertura vera e sincera, Renzi punta alla migliore mediazione possibile per il bene del Paese.
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Re: Renzi

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NON CREDA DONALD DI ESSERE ER PIU' DEL PIANETA.

L'ITALIANO BENITO-PINOCCHIO MUSSOLONI, LO BATTE.







14 SET 2016 18:18
I FATTI? NON CONTANO PIU’: BENVENUTI NELL’ERA DELLA POST-VERITA’


- PIÙ DI DUE TERZI DELLE AFFERMAZIONI DI TRUMP NELL’ULTIMO ANNO SONO FALSE, MA LA SUA CREDIBILITÀ NON NE RISENTE


- CHI VOTA PER LUI LO FA PERCHE’ “THE DONALD” INCARNA, A TORTO O A RAGIONE, UN RIFIUTO DEL ‘SISTEMA’

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 132054.htm



Pierre Haski per l’Obs pubblicato da “Internazionale”

L’espressione è apparsa nel 2004 in un libro pubblicato negli Stati Uniti, ma è nel 2016 che ha acquisito un senso più compiuto: post-truth, postverità. La formula descrive la pericolosa tendenza delle democrazie occidentali a non credere più ai fatti nel dibattito politico, bensì alle menzogne pronunciate in tono sicuro.


Nel suo libro The post-truth era (L’era della postverità), Ralph Keyes definisce la menzogna “un’affermazione falsa, fatta in piena cognizione di causa con l’obiettivo d’ingannare”. Un esempio? La campagna referendaria per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea sosteneva che Londra versava all’Ue 350 milioni di sterline alla settimana e che tale denaro sarebbe potuto essere investito nel servizio sanitario nazionale in caso d’uscita dall’Unione europea. L’affermazione era chiaramente falsa: non erano vere né la cifra né la promessa. Ma una volta scritta sugli autobus britannici a due piani è diventata credibile.

Ora il testimone della post-truth è passato a Donald Trump, e questa tendenza si intravede già nei primi dibattiti per le elezioni presidenziali francesi.

Dire quel che fa comodo

Nel caso di Trump la cosa più stupefacente è che un paese moralista come gli Stati Uniti ha spesso considerato la menzogna una cosa più grave dei fatti che si volevano nascondere. Sono stati la bugia e lo spergiuro, più che il furto con scasso, a portare all’impeachment di Richard Nixon dopo lo scandalo Watergate.
Gli esperti di fact-checking (verifica dei fatti) hanno dimostrato che più di due terzi delle affermazioni di Trump nell’ultimo anno sono false, ma la sua credibilità non ne risente. Al contrario, all’indomani del suo viaggio in Messico in cui non ha osato dire al presidente messicano che gli avrebbe inviato la fattura del famoso muro che intende costruire lungo la frontiera – per poi ripetere ai suoi elettori che “saranno i messicani a pagare” – ha superato Hillary Clinton in alcuni sondaggi (anche se la sua vittoria appare ancora improbabile).

Non si vota per la Brexit o per Trump perché dicono la verità, ma perché incarnano, a torto o a ragione, un rifiuto del ‘sistema’


L’ultima menzogna di Trump è stata smascherata da Politifact, la rubrica di fact-checking del Washington Post, che ha dimostrato che il candidato repubblicano non si è affatto opposto all’invasione dell’Iraq come ha sostenuto più volte. Tre mesi prima della guerra si era detto favorevole all’idea, per poi prenderne le distanze nel 2004 quando sono cominciati i problemi. Ma poco importa. Trump continua a dire quel che gli fa comodo, o che piace al suo elettorato, senza preoccuparsi della verità e neppure dei fatti.

“La verità ha ancora qualche importanza?”, si chiedeva la direttrice del Guardian Katharine Viner a luglio commentando il risultato del referendum nel Regno Unito. In paesi dove i mezzi d’informazione sono molto sviluppati, come gli Stati Uniti e il Regno Unito, il diffondersi delle postverità dimostra soprattutto l’insofferenza dell’elettorato nei confronti delle élite.

Non si vota per la Brexit o per Trump perché dicono la verità, ma perché incarnano, a torto o a ragione, un rifiuto del “sistema”. E i social network, grazie all’ambivalenza della tecnologia che fa gli interessi di chi la sa usare meglio, sono il campo di battaglia preferito di chi si crede poco rappresentato dai mezzi d’informazione tradizionali.


La postverità è incompatibile con la democrazia. Se lasceremo che si radichi e si diffonda in maniera duratura, ne pagheremo tutti il prezzo.


(Traduzione di Federico Ferrone)
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