referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
Nel post iniziale di questo 3D, iospero si chiedeva:
referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
Un bel pasticcio.
Che farà Mattarella ? Renzi dovrebbe andarsene e poi ..
Nuove elezioni con una nuova legge elettorale maggioritaria solo per il parlamento e la LEGGE ELETTORALE ( la legge n. 270 del 2005) per il Senato.
Risultato : ci troveremo nuovamente in una situazione ingovernabile per cui si dovrebbe perpetuare l'emergenza dell'inciucio PD e centrodestra , visto che il M5S non fa coalizioni.
Secondo Voi ci sarebbero altre soluzioni ?
IL RACCONTO Manovre al Senato Colloqui riservati per un governo istituzionale con Monti ministro
Così Re Giorgio pensa
al dopo: “Mario, tu
andresti all’Economia? ”
di FABRIZIO ESPOSITO
Nella magmatica palude
del Senato, ossimoro
che somma trasformismo
e convenienze
personali, sempre in evoluzione,
al Senato, dicevamo,
il Grande Gioco del Dopo
è una mania ludica che vale
quella dei famigerati Pokemon.
E così la futurologia politica
è uno degli aspetti prevalenti
di questa campagna
referendaria. Sia che vinca il
Sì, sia soprattutto che vinca il
No, ormai la data del 4 dicembre
2016 è assimilabile al
21-12-2012. Ricordate? Era
quattro anni fa e ci fu una palpitante
attesa universale per
la fine del mondo pronosticata
dai Maya.
Nel piccolo cortile italiano,
gli aruspici del 4-12-2016 sono
parlamentari di lungo se
non infinito corso che si baloccano
con il fatidico dopo-
Renzi. Il più preoccupato
e angosciato, e non poteva essere
altrimenti, è il sempre attivo
Giorgio Napolitano. Il
presidente emerito, qualche
giorno fa, è stato sorpreso in
aula a Palazzo Madama con
un altro senatore a vita, Mario
Monti. Il siparietto tra i due ha
attirato l’attenzione di un noto
ex ministro, oggi antirenziano,
che ha un’abilità particolare:
riesce a leggere il labiale
dei suoi colleghi. Di qui
una clamorosa rivelazione attribuita
a Re Giorgio, durante
il serrato colloquio con l’ex
premier Monti: “Mario, ma tu
andresti a fare il ministro
de ll’Eco no mia ?”. Consegnando,
appunto, la sostanza
della frase alla scienza della
futurologia, le parole del presidente
emerito indicano uno
stato d’animo diffuso e trasversale.
Per la serie: cosa accadrà
dopo, soprattutto se dovesse
vincere il No?
A NAPOLITANO, raccontano,
da tempo non interessa più il
destino del premier. Anzi. Il
secondo ha rifiutato più di una
volta i consigli del primo e
qualche amico di Re Giorgio
ricorda sconsolato quando il
presidente ancora in carica si
riferì pubblicamente a Renzi
come a un uomo che deve salvarsi
da se stesso, innanzitutto.
Il resto lo ha fatto la campagna
referendaria, distorta e
forse compromessa dalla personalizzazione
renziana. Sostenuto
dalla sua visione realista
o togliattiana della Storia,
Napolitano si è messo allora a
elaborare ipotesi e scenari del
dopo, non solo ludicamente. E
il sondaggio fatto con Monti,
simbolo della sobrietà in loden
verde ma anche primo ministro
della monarchia di Re
Giorgio, conduce probabilmente
all’idea di un governo istituzionale
guidato da Pietro
Grasso, presidente del Senato.
Nei conversari di Palazzo Madama
si rievocano finanche i
due recenti precedenti storici
che vanno in questa direzione,
entrambi quando al Quirinale
c’era Francesco
Cossiga: il governo
Fanfani del
1987 e il tentativo
Spadolini di due
anni dopo. Ma l’ipotesi
istituzionale
è solo una
delle quattro che
circolano tra i futurologi
del 4 dicembre.
Le altre tre sono:
Renzi bis, governo
per la crisi
economica, esecutivo
politico con un esponente
del Pd. La prima è quella
che unisce i due epigoni della
Ditta democrat, Pier Luigi
Bersani e Massimo D’Alema,
divisi su tutto ma non su questo.
La loro visione comune è
di scuola comunista: con la vittoria
del No, sarebbe sufficiente
che Renzi mollasse il partito,
non Palazzo Chigi. Questione
di tattica. Un premier
dimezzato e sconfitto si logora
e si distrugge senza grandi difficoltà.
La paura dell’ecatom
be economica, poi, tra banche
e mancata ripresa. Come già
scritto mille volte, qui il prescelto
è Pier Carlo Padoan, oggi
titolare dell’Economia. La
quarta e ultima ipotesi riguarda
infine un altro
banalissimo governo
a guida democratica.
Il nome
più gettonato,
anche questo uscito
miliardi di
volte, è quello di
Dario Franceschini,
attuale
ministro della
Cultura. Sintomatica
la battuta
che gli ha fatto
Pier Ferdinando
Casini, incrociandolo:
“Dario ti stai preparando?”.
ECCO, lo stato delle cose in Parlamento
è questo. Tralasciando
tutte quelle manovre che
invece porterebbero a un rimpasto
qualora dovesse vincere
il Sì renziano. Su questo fronte
il più dinamico è Denis Verdini.
Questa è una fase in cui Verdini
e i verdiniani sembrano in
sonno, dimenticati dai giornali.
Ma ci sono e combattono
con il premier. E la vittoria del
Sì porterebbe al loro ingresso
ufficiale nel governo. La minilista
dei ministri da sostituire
già circola. È il Grande Gioco
del Dopo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
Un bel pasticcio.
Che farà Mattarella ? Renzi dovrebbe andarsene e poi ..
Nuove elezioni con una nuova legge elettorale maggioritaria solo per il parlamento e la LEGGE ELETTORALE ( la legge n. 270 del 2005) per il Senato.
Risultato : ci troveremo nuovamente in una situazione ingovernabile per cui si dovrebbe perpetuare l'emergenza dell'inciucio PD e centrodestra , visto che il M5S non fa coalizioni.
Secondo Voi ci sarebbero altre soluzioni ?
IL RACCONTO Manovre al Senato Colloqui riservati per un governo istituzionale con Monti ministro
Così Re Giorgio pensa
al dopo: “Mario, tu
andresti all’Economia? ”
di FABRIZIO ESPOSITO
Nella magmatica palude
del Senato, ossimoro
che somma trasformismo
e convenienze
personali, sempre in evoluzione,
al Senato, dicevamo,
il Grande Gioco del Dopo
è una mania ludica che vale
quella dei famigerati Pokemon.
E così la futurologia politica
è uno degli aspetti prevalenti
di questa campagna
referendaria. Sia che vinca il
Sì, sia soprattutto che vinca il
No, ormai la data del 4 dicembre
2016 è assimilabile al
21-12-2012. Ricordate? Era
quattro anni fa e ci fu una palpitante
attesa universale per
la fine del mondo pronosticata
dai Maya.
Nel piccolo cortile italiano,
gli aruspici del 4-12-2016 sono
parlamentari di lungo se
non infinito corso che si baloccano
con il fatidico dopo-
Renzi. Il più preoccupato
e angosciato, e non poteva essere
altrimenti, è il sempre attivo
Giorgio Napolitano. Il
presidente emerito, qualche
giorno fa, è stato sorpreso in
aula a Palazzo Madama con
un altro senatore a vita, Mario
Monti. Il siparietto tra i due ha
attirato l’attenzione di un noto
ex ministro, oggi antirenziano,
che ha un’abilità particolare:
riesce a leggere il labiale
dei suoi colleghi. Di qui
una clamorosa rivelazione attribuita
a Re Giorgio, durante
il serrato colloquio con l’ex
premier Monti: “Mario, ma tu
andresti a fare il ministro
de ll’Eco no mia ?”. Consegnando,
appunto, la sostanza
della frase alla scienza della
futurologia, le parole del presidente
emerito indicano uno
stato d’animo diffuso e trasversale.
Per la serie: cosa accadrà
dopo, soprattutto se dovesse
vincere il No?
A NAPOLITANO, raccontano,
da tempo non interessa più il
destino del premier. Anzi. Il
secondo ha rifiutato più di una
volta i consigli del primo e
qualche amico di Re Giorgio
ricorda sconsolato quando il
presidente ancora in carica si
riferì pubblicamente a Renzi
come a un uomo che deve salvarsi
da se stesso, innanzitutto.
Il resto lo ha fatto la campagna
referendaria, distorta e
forse compromessa dalla personalizzazione
renziana. Sostenuto
dalla sua visione realista
o togliattiana della Storia,
Napolitano si è messo allora a
elaborare ipotesi e scenari del
dopo, non solo ludicamente. E
il sondaggio fatto con Monti,
simbolo della sobrietà in loden
verde ma anche primo ministro
della monarchia di Re
Giorgio, conduce probabilmente
all’idea di un governo istituzionale
guidato da Pietro
Grasso, presidente del Senato.
Nei conversari di Palazzo Madama
si rievocano finanche i
due recenti precedenti storici
che vanno in questa direzione,
entrambi quando al Quirinale
c’era Francesco
Cossiga: il governo
Fanfani del
1987 e il tentativo
Spadolini di due
anni dopo. Ma l’ipotesi
istituzionale
è solo una
delle quattro che
circolano tra i futurologi
del 4 dicembre.
Le altre tre sono:
Renzi bis, governo
per la crisi
economica, esecutivo
politico con un esponente
del Pd. La prima è quella
che unisce i due epigoni della
Ditta democrat, Pier Luigi
Bersani e Massimo D’Alema,
divisi su tutto ma non su questo.
La loro visione comune è
di scuola comunista: con la vittoria
del No, sarebbe sufficiente
che Renzi mollasse il partito,
non Palazzo Chigi. Questione
di tattica. Un premier
dimezzato e sconfitto si logora
e si distrugge senza grandi difficoltà.
La paura dell’ecatom
be economica, poi, tra banche
e mancata ripresa. Come già
scritto mille volte, qui il prescelto
è Pier Carlo Padoan, oggi
titolare dell’Economia. La
quarta e ultima ipotesi riguarda
infine un altro
banalissimo governo
a guida democratica.
Il nome
più gettonato,
anche questo uscito
miliardi di
volte, è quello di
Dario Franceschini,
attuale
ministro della
Cultura. Sintomatica
la battuta
che gli ha fatto
Pier Ferdinando
Casini, incrociandolo:
“Dario ti stai preparando?”.
ECCO, lo stato delle cose in Parlamento
è questo. Tralasciando
tutte quelle manovre che
invece porterebbero a un rimpasto
qualora dovesse vincere
il Sì renziano. Su questo fronte
il più dinamico è Denis Verdini.
Questa è una fase in cui Verdini
e i verdiniani sembrano in
sonno, dimenticati dai giornali.
Ma ci sono e combattono
con il premier. E la vittoria del
Sì porterebbe al loro ingresso
ufficiale nel governo. La minilista
dei ministri da sostituire
già circola. È il Grande Gioco
del Dopo.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
il manifesto 7.10.16
Studenti medi in 70 città per un «No» costituente
Contro la "Buona Scuola". In piazza contro i presidi manager e l'alternanza scuola-lavoro: "é basata sul lavoro gratuito e lo sfruttamento". Primo appuntamento nell'agenda delle mobilitazioni per il "No" al referendum costituzionale del 4 dicembre. Nuovo appuntamento il 29 ottobre, giorno di inizio della campagna referendaria e di una "mobilitazione popolare"
di Roberto Ciccarelli
Studenti medi oggi in piazza in settanta città contro la «Buona Scuola». Sarà anche la prima manifestazione di un’agenda che si intreccia con l’evento clou dell’anno: il referendum del 4 dicembre. La Rete della Conoscenza, ad esempio, ha aderito alla «mobilitazione popolare» del 29 ottobre, giorno di apertura ufficiale della campagna elettorale per il «No». «Il governo ci accusa di essere conservatori – sostiene Francesca Picci, coordinatrice nazionale dell’Unione degli Studenti – Noi pensiamo che la Costituzione vada cambiata, ad esempio i Patti Lateranensi che prevedono l’esclusivo insegnamento nelle scuole della religione cattolica».
La decisione di manifestare per il «No» alla riforma costituzionale si lega all’analisi della «Buona Scuola», l’altro pilastro della politica renziana. All’istituzione del «preside-manager» e il rafforzamento dell’alternanza scuola-lavoro – «Un’occasione per avviare al lavoro gratuito e allo sfruttamento, non di vera formazione» – gli studenti oppongono un’idea collegiale e cooperativa di istruzione «in linea di continuità tra democrazia, istruzione e Costituzione». Altro capitolo della mobilitazione è quello delle politiche del governo per gli studenti.
Nella prossima legge di bilancio spunterà un nuovo anglismo: lo «Student Act». Dopo una stagione di bonus a pioggia ispirata alla cabala del numero 500, Palazzo Chigi proseguirà la politica delle mance e delle discriminazioni. Nel provvedimento spunteranno 500 «talenti» «superbravi» (non «plusdotati», espressione usata ma poi ritirata in quanto forse troppo eugenetica). Non si conoscono ancora i criteri che saranno usati per questa caccia al tesoro da condurre nelle scuole italiane. I pochi fortunati «supergeni» saranno dallo Stato con corsi di formazione e master, anche all’estero. Previsti fondi da 270 milioni di euro contro i 290 già stanziati per un’altra iniziativa populistica: il bonus dei 500 euro ai neo-diciottenni. Misura – già rimandata più volte e ancora oggi ai preliminari – che dovrebbe essere rinnovata anche per il prossimo anno. In un anno il governo ha dunque erogato misure tanto dispendiose quanto incerte – nei presupposti quanto nella legittimità costituzionale – pari a 560 milioni di euro senza cambiare di una virgola il claudicante sistema del diritto allo studio a cui saranno destinati solo 50 milioni di euro. Invece di creare un reddito, mance per qualcuno (i 18enni e basta) e una tutela per pochissimi.
A questi spiccioli si aggiungono misure parziali come i 96 milioni per una «no-tax area» per gli studenti meno abbienti (la soglia di reddito dovrebbe aggirarsi attorno ai 13 mila euro), soglie che non rispondono alle richieste di studenti e sindacati. «È una “caccia al voto” in vista del referendum, vogliono comprare i diritti degli studenti in cambio briciole – sostiene Picci – Il programma annuale per la valorizzazione delle eccellenze prevede un investimento pari a 2,3 milioni di euro da destinare, in scuole sia pubbliche che paritarie, agli studenti che nell’anno 2016 hanno conseguito la maturità con 100 e lode. È inaccettabile che si faccia concepire il percorso di studi come una sfida a chi corre e chi guadagna di più. Il governo promuove la stratificazione delle categorie sociali in base a logiche meritocratiche e competitive che accentuano disuguaglianze e guerra tra poveri».
Studenti medi in 70 città per un «No» costituente
Contro la "Buona Scuola". In piazza contro i presidi manager e l'alternanza scuola-lavoro: "é basata sul lavoro gratuito e lo sfruttamento". Primo appuntamento nell'agenda delle mobilitazioni per il "No" al referendum costituzionale del 4 dicembre. Nuovo appuntamento il 29 ottobre, giorno di inizio della campagna referendaria e di una "mobilitazione popolare"
di Roberto Ciccarelli
Studenti medi oggi in piazza in settanta città contro la «Buona Scuola». Sarà anche la prima manifestazione di un’agenda che si intreccia con l’evento clou dell’anno: il referendum del 4 dicembre. La Rete della Conoscenza, ad esempio, ha aderito alla «mobilitazione popolare» del 29 ottobre, giorno di apertura ufficiale della campagna elettorale per il «No». «Il governo ci accusa di essere conservatori – sostiene Francesca Picci, coordinatrice nazionale dell’Unione degli Studenti – Noi pensiamo che la Costituzione vada cambiata, ad esempio i Patti Lateranensi che prevedono l’esclusivo insegnamento nelle scuole della religione cattolica».
La decisione di manifestare per il «No» alla riforma costituzionale si lega all’analisi della «Buona Scuola», l’altro pilastro della politica renziana. All’istituzione del «preside-manager» e il rafforzamento dell’alternanza scuola-lavoro – «Un’occasione per avviare al lavoro gratuito e allo sfruttamento, non di vera formazione» – gli studenti oppongono un’idea collegiale e cooperativa di istruzione «in linea di continuità tra democrazia, istruzione e Costituzione». Altro capitolo della mobilitazione è quello delle politiche del governo per gli studenti.
Nella prossima legge di bilancio spunterà un nuovo anglismo: lo «Student Act». Dopo una stagione di bonus a pioggia ispirata alla cabala del numero 500, Palazzo Chigi proseguirà la politica delle mance e delle discriminazioni. Nel provvedimento spunteranno 500 «talenti» «superbravi» (non «plusdotati», espressione usata ma poi ritirata in quanto forse troppo eugenetica). Non si conoscono ancora i criteri che saranno usati per questa caccia al tesoro da condurre nelle scuole italiane. I pochi fortunati «supergeni» saranno dallo Stato con corsi di formazione e master, anche all’estero. Previsti fondi da 270 milioni di euro contro i 290 già stanziati per un’altra iniziativa populistica: il bonus dei 500 euro ai neo-diciottenni. Misura – già rimandata più volte e ancora oggi ai preliminari – che dovrebbe essere rinnovata anche per il prossimo anno. In un anno il governo ha dunque erogato misure tanto dispendiose quanto incerte – nei presupposti quanto nella legittimità costituzionale – pari a 560 milioni di euro senza cambiare di una virgola il claudicante sistema del diritto allo studio a cui saranno destinati solo 50 milioni di euro. Invece di creare un reddito, mance per qualcuno (i 18enni e basta) e una tutela per pochissimi.
A questi spiccioli si aggiungono misure parziali come i 96 milioni per una «no-tax area» per gli studenti meno abbienti (la soglia di reddito dovrebbe aggirarsi attorno ai 13 mila euro), soglie che non rispondono alle richieste di studenti e sindacati. «È una “caccia al voto” in vista del referendum, vogliono comprare i diritti degli studenti in cambio briciole – sostiene Picci – Il programma annuale per la valorizzazione delle eccellenze prevede un investimento pari a 2,3 milioni di euro da destinare, in scuole sia pubbliche che paritarie, agli studenti che nell’anno 2016 hanno conseguito la maturità con 100 e lode. È inaccettabile che si faccia concepire il percorso di studi come una sfida a chi corre e chi guadagna di più. Il governo promuove la stratificazione delle categorie sociali in base a logiche meritocratiche e competitive che accentuano disuguaglianze e guerra tra poveri».
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
MANOVRE Alle famiglie numerose
L’ultima furbata:
un bonus-mancia
per pompare il Sì Movimenti Luigi Di Maio LaPresse
di DI FOGGIA A PAG. 13
L’ultima furbata:
un bonus-mancia
per pompare il Sì Movimenti Luigi Di Maio LaPresse
di DI FOGGIA A PAG. 13
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
E' SEMPLICEMENTE VERGOGNOSO CHE SIA SOLO IL CENTRODESTRA A DIFENDERE, NEL BENE O NEL MALE, LA COSTITUZIONE USCITA DALLA RESISTENZA.
Centrodestra unito per il No: "Renzi scardina la democrazia"
Gelmini e Maroni a Controcorrente lanciano la battaglia per il No: "Fermare la riforma: porta alla dittatura della minoranza"
Fabrizio Boschi - Mar, 11/10/2016 - 20:07
commenta
È iniziata al Four Seasons di Milano la tre giorni di dibattiti "Controcorrente", l'appuntamento tradizionale del Giornale con i suoi lettori. Un momento, questo, che cade a fagiolo, come si suol dire, un periodo decisivo per il riequilibrio della politica italiana, per il Paese e per il futuro di questo governo.
L'agenda è particolarmente intensa e ad iniziare la tre giorni del Giornale è la mamma di tutti i problemi dei prossimi mesi: il referendum costituzionale. Mancano 80 giorni al voto. E il No al quesito strampalato formulato da Renzi per riformare il Titolo V della Carta rappresenta un po' l'ultimo treno che passa sul quale il centrodestra può ancora salire per riprendere le redini di questo Paese. Ma cosa esattamente il centrodestra vorrebbe mettere in campo per raggiungere l'obiettivo?
Da dopo le elezioni amministrative, veniamo da una stagione un po' confusa e convulsa e nei prossimi mesi sono in gioco novità ben superiori da quelle proposte dalla riforma costituzionale voluta da Renzi.
A dare il via ai lavori il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, che ha intervistato Mariastella Gelmini, coordinatore Forza Italia Lombardia e vice presidente dei deputati, e il governatore della Regione Lombardia Roberto Maroni.
Per la Gelmini "il governo nazionale è paralizzato con un premier che sta perennemente in tv. A parte il def che non fa altro che distribuire mance, il premier vorrebbe convincere gli italiani che il loro destino è appeso al referendum mentre la verità è che ad essere in gioco è lui". L'ex ministro dell'Istruzione attacca il premier frontalmente e rivendica a gran forza il No a questo referendum e il No a questo governo.
"Cambiare in peggio è meglio che lasciare le cose come stanno? La carta costituzionale non va cambiata per forza nello stesso modo che si cambia una lavatrice. Quello che osservo è una propaganda molto spregiudicata che parte proprio dal quesito. Non si è mai visto un quesito piegato alle ragioni del Si che contiene già nella domanda tante bugie".
Per Maroni, invece, siamo di fronte a una "lesione vera della democrazia e ad un annientamento del sistema delle autonomie". Il governatore ha una convinzione: "Se vince il No il presidente del consiglio va a casa. Dobbiamo tornare alla democrazia e avere finalmente un presidente del consiglio eletto dai cittadini". Perché come diceva Churchill, "la democrazia sarà anche il sistema più imperfetto, eslcusi tutti gli altri però".
Entrando nel merito della riforma secondo la Gelmini "il Senato rimane composto da sindaci che nei ritagli di tempo andranno a Roma". Un disastro, insomma. In effetti, la semplificazione del processo legislativo è solo nei sogni di Renzi, perché aumenterebbero i contenziosi e Renzi è stato sbugiardato dall'ufficio parlamentare. Ha raccontato che si risparmieranno 400 milioni di euro ma in verità saranno meno di 50 di fronte a un costo del referendum di 300 milioni.
"Renzi aveva a disposizione 40 miliardi che invece ha speso in mancette – continua Gelmini - I numeri inchiodano Renzi alle sue responsabilità".
Insomma, se vince il No non viene giù tutto come vuol far credere il premier. "Mai visto un premier così presente a Milano dove riscontra anche una certa solidarietà da parte di pezzi importanti della città. Ha molta attenzione a scardinare il sistema partendo da Milano", dice Sallusti. "Quello che vuole scardinare Renzi è innanzitutto la democrazia – continua Gelmini -. Non possiamo consentire a Renzi di giocare con la pelle della gente. Se passasse questa riforma si elegge un capo che elegge un Parlamento al quale dice cosa fare e il Parlamento decide tutto. È la dittatura di una minoranza ed è quello che serve a Renzi. E tanti mezzi di comunicazione, in primis la Rai, gli stanno dando spazio come vuole lui. Come da Giletti domenica scorsa, mezz'ora di pippa con uno sproloquio di falsità imbarazzanti. Si cerca di condizionare il voto creando un quesito finto, in quanto non è vero che si riducono i costi politica e si abolisce il Senato. Il fatto è che Renzi è pronto a qualsiasi cosa, compreso scassare i conti e il bilancio dello Stato, pur di vincere, perché sa che se vince il No è in bilico il suo futuro. Se Renzi non riesce a convincere il suo partito come può pensare di convincere gli italiani?".
Ma per Maroni il centrodestra non è ancora pronto ad andare a elezioni. "E' possibile che se vince il No con grande margine Renzi si dimetta e andiamo a votare nella prossima primavera. Ma quanto tempo abbiamo per trovare una unità e un candidato premier? Poco. Secondo me non siamo ancora pronti e dobbiamo darsi una mossa e prepararsi a trovare un programma comune come abbiamo sempre fatto dal 1994 al 2008. C'è bisogno di tutti: le persone da noi non si rottamano, si rottamano le macchine, perché anche i più saggi possono avere idee per il futuro. Non solo i giovani. Io l'ho sempre detto a Berlusconi, quando si era avvicinato a Renzi con il patto del Nazareno: non ti fidare. E' che lui si fida troppo degli altri e poi lo fregano. Spero che non ci sarà mai un Nazareno bis".
Esclude questa ipotesi Mariastella Gelmini per la quale "da parte di Berlusconi c'è stata un'apertura di credito nei confronti di Renzi ma non è colpa nostra se lui si è rivelato inaffidabile e una fregatura per tutti, in tutti i contratti c'è un diritto di recesso. E noi lo abbiamo messo in pratica.
Berlusconi è un uomo buono che non ha pregiudizi. Ha guardato a Renzi senza pregiudizi e con una buona dose di simpatia. Ma Renzi questa apertura se l'è giocata male e si è giocato la nostra fiducia nei suoi confronti, un patto tra galantuomini. Per questo la posizione di Berlusconi oggi è per il No ed è un No motivato dai fatti. Era difficile scrivere così male un testo di legge, pieno di strafalcioni. Renzi può andare in tv anche dalla mattina alla sera ma gli italiani non sono fessi".
Sul fatto se il centrodestra sia o no pronto per il voto la Gelmini ha un'idea chiara: "Non si deve aver paura della democrazia, ci siamo abituati a governi che arrivano a Palazzo Chigi dalla porta di servizio. Secondo me dobbiamo tornare al governo dalla porta principale ma divisi non si va da nessuna parte basta vedere cosa ci è capitato a Roma ora in mano a degli incapaci. Credo a un centrodestra coeso e largo, dobbiamo mettere tutti alla prova e vedere cosa sanno fare, stando sempre vicino alla gente. Il centrodestra oggi ha un'autostrada davanti e c'è il bisogno del contributo di tutti e di recuperare coloro che non vanno più a votare".
Forza Italia riparte da un No dunque, con una grande manifestazione il 22 in piazza San Babila a Milano.
Domani 12 ottobre alle 18 va in scena un altro appuntamento di "Controcorrente" per i lettori del Giornale sempre al Four Seasons di Milano con altri due protagonisti della politica italiana: Stefano Parisi e Giovanni Toti che parleranno proprio del futuro del centrodestra.
Centrodestra unito per il No: "Renzi scardina la democrazia"
Gelmini e Maroni a Controcorrente lanciano la battaglia per il No: "Fermare la riforma: porta alla dittatura della minoranza"
Fabrizio Boschi - Mar, 11/10/2016 - 20:07
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È iniziata al Four Seasons di Milano la tre giorni di dibattiti "Controcorrente", l'appuntamento tradizionale del Giornale con i suoi lettori. Un momento, questo, che cade a fagiolo, come si suol dire, un periodo decisivo per il riequilibrio della politica italiana, per il Paese e per il futuro di questo governo.
L'agenda è particolarmente intensa e ad iniziare la tre giorni del Giornale è la mamma di tutti i problemi dei prossimi mesi: il referendum costituzionale. Mancano 80 giorni al voto. E il No al quesito strampalato formulato da Renzi per riformare il Titolo V della Carta rappresenta un po' l'ultimo treno che passa sul quale il centrodestra può ancora salire per riprendere le redini di questo Paese. Ma cosa esattamente il centrodestra vorrebbe mettere in campo per raggiungere l'obiettivo?
Da dopo le elezioni amministrative, veniamo da una stagione un po' confusa e convulsa e nei prossimi mesi sono in gioco novità ben superiori da quelle proposte dalla riforma costituzionale voluta da Renzi.
A dare il via ai lavori il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, che ha intervistato Mariastella Gelmini, coordinatore Forza Italia Lombardia e vice presidente dei deputati, e il governatore della Regione Lombardia Roberto Maroni.
Per la Gelmini "il governo nazionale è paralizzato con un premier che sta perennemente in tv. A parte il def che non fa altro che distribuire mance, il premier vorrebbe convincere gli italiani che il loro destino è appeso al referendum mentre la verità è che ad essere in gioco è lui". L'ex ministro dell'Istruzione attacca il premier frontalmente e rivendica a gran forza il No a questo referendum e il No a questo governo.
"Cambiare in peggio è meglio che lasciare le cose come stanno? La carta costituzionale non va cambiata per forza nello stesso modo che si cambia una lavatrice. Quello che osservo è una propaganda molto spregiudicata che parte proprio dal quesito. Non si è mai visto un quesito piegato alle ragioni del Si che contiene già nella domanda tante bugie".
Per Maroni, invece, siamo di fronte a una "lesione vera della democrazia e ad un annientamento del sistema delle autonomie". Il governatore ha una convinzione: "Se vince il No il presidente del consiglio va a casa. Dobbiamo tornare alla democrazia e avere finalmente un presidente del consiglio eletto dai cittadini". Perché come diceva Churchill, "la democrazia sarà anche il sistema più imperfetto, eslcusi tutti gli altri però".
Entrando nel merito della riforma secondo la Gelmini "il Senato rimane composto da sindaci che nei ritagli di tempo andranno a Roma". Un disastro, insomma. In effetti, la semplificazione del processo legislativo è solo nei sogni di Renzi, perché aumenterebbero i contenziosi e Renzi è stato sbugiardato dall'ufficio parlamentare. Ha raccontato che si risparmieranno 400 milioni di euro ma in verità saranno meno di 50 di fronte a un costo del referendum di 300 milioni.
"Renzi aveva a disposizione 40 miliardi che invece ha speso in mancette – continua Gelmini - I numeri inchiodano Renzi alle sue responsabilità".
Insomma, se vince il No non viene giù tutto come vuol far credere il premier. "Mai visto un premier così presente a Milano dove riscontra anche una certa solidarietà da parte di pezzi importanti della città. Ha molta attenzione a scardinare il sistema partendo da Milano", dice Sallusti. "Quello che vuole scardinare Renzi è innanzitutto la democrazia – continua Gelmini -. Non possiamo consentire a Renzi di giocare con la pelle della gente. Se passasse questa riforma si elegge un capo che elegge un Parlamento al quale dice cosa fare e il Parlamento decide tutto. È la dittatura di una minoranza ed è quello che serve a Renzi. E tanti mezzi di comunicazione, in primis la Rai, gli stanno dando spazio come vuole lui. Come da Giletti domenica scorsa, mezz'ora di pippa con uno sproloquio di falsità imbarazzanti. Si cerca di condizionare il voto creando un quesito finto, in quanto non è vero che si riducono i costi politica e si abolisce il Senato. Il fatto è che Renzi è pronto a qualsiasi cosa, compreso scassare i conti e il bilancio dello Stato, pur di vincere, perché sa che se vince il No è in bilico il suo futuro. Se Renzi non riesce a convincere il suo partito come può pensare di convincere gli italiani?".
Ma per Maroni il centrodestra non è ancora pronto ad andare a elezioni. "E' possibile che se vince il No con grande margine Renzi si dimetta e andiamo a votare nella prossima primavera. Ma quanto tempo abbiamo per trovare una unità e un candidato premier? Poco. Secondo me non siamo ancora pronti e dobbiamo darsi una mossa e prepararsi a trovare un programma comune come abbiamo sempre fatto dal 1994 al 2008. C'è bisogno di tutti: le persone da noi non si rottamano, si rottamano le macchine, perché anche i più saggi possono avere idee per il futuro. Non solo i giovani. Io l'ho sempre detto a Berlusconi, quando si era avvicinato a Renzi con il patto del Nazareno: non ti fidare. E' che lui si fida troppo degli altri e poi lo fregano. Spero che non ci sarà mai un Nazareno bis".
Esclude questa ipotesi Mariastella Gelmini per la quale "da parte di Berlusconi c'è stata un'apertura di credito nei confronti di Renzi ma non è colpa nostra se lui si è rivelato inaffidabile e una fregatura per tutti, in tutti i contratti c'è un diritto di recesso. E noi lo abbiamo messo in pratica.
Berlusconi è un uomo buono che non ha pregiudizi. Ha guardato a Renzi senza pregiudizi e con una buona dose di simpatia. Ma Renzi questa apertura se l'è giocata male e si è giocato la nostra fiducia nei suoi confronti, un patto tra galantuomini. Per questo la posizione di Berlusconi oggi è per il No ed è un No motivato dai fatti. Era difficile scrivere così male un testo di legge, pieno di strafalcioni. Renzi può andare in tv anche dalla mattina alla sera ma gli italiani non sono fessi".
Sul fatto se il centrodestra sia o no pronto per il voto la Gelmini ha un'idea chiara: "Non si deve aver paura della democrazia, ci siamo abituati a governi che arrivano a Palazzo Chigi dalla porta di servizio. Secondo me dobbiamo tornare al governo dalla porta principale ma divisi non si va da nessuna parte basta vedere cosa ci è capitato a Roma ora in mano a degli incapaci. Credo a un centrodestra coeso e largo, dobbiamo mettere tutti alla prova e vedere cosa sanno fare, stando sempre vicino alla gente. Il centrodestra oggi ha un'autostrada davanti e c'è il bisogno del contributo di tutti e di recuperare coloro che non vanno più a votare".
Forza Italia riparte da un No dunque, con una grande manifestazione il 22 in piazza San Babila a Milano.
Domani 12 ottobre alle 18 va in scena un altro appuntamento di "Controcorrente" per i lettori del Giornale sempre al Four Seasons di Milano con altri due protagonisti della politica italiana: Stefano Parisi e Giovanni Toti che parleranno proprio del futuro del centrodestra.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
L’I N T E RV I STA Valerio Onida Il presidente emerito della Consulta: “Il quesito è sbagliato e la legge è troppo ampia, calpesta la libertà di voto degli elettori”
“Il referendum va sospeso
Così si viola la Costituzione”
» LUCA DE CAROLIS
Il problema principale è
questa idea della grande
riforma, della Costituzione
che va rinnovata. È
un’idea pericolosa, perché fa
credere che la Carta non sia un
solido e permanente fondamento
della nostra società: un
presupposto erroneo”. Valerio
Onida, costituzionalista e
presidente emerito della Consulta,
parla al F a tt o dal suo
studio di Milano. Ieri, assieme
a Barbara Randazzo, docente
di Diritto costituzionale
nell’Università di Milano, ha
presentato due ricorsi contro
il decreto d’indizione del referendum
costituzionale, uno
al Tar del Lazio e un altro d’ur -
genza al tribunale civile di Milano.
Perché questi ricorsi?
Il principale nodo è quello già
evidenziato da me e da altri 55
costituzionalisti in un documento
critico della riforma, lo
scorso aprile: ovvero, la legge
di revisione costituzionale ha
oggetto e contenuti assai eterogenei,
tra di loro autonomi.
E da ciò deriva l’eterogeneità
del quesito sottoposto agli elettori.
Di fatto nella riforma
ci sono almeno dieci diversi aspetti,
a partire dai principali:
la modifica del Senato e i rapporti
tra Stato e Regioni.
Quindi viene chiesto di votare
su dieci quesiti diversi invece
che su uno, ma nell’a mbito
di un solo referendum.
Esattamente. Si dovevano fare
leggi distinte, e poiché invece
se ne è fatta una sola, dovrebbero
essere separati i
quesiti referendari. Con un
quesito unico si viola la libertà
di voto degli elettori, garantita
dagli articoli 1 e 48 della Costituzione.
E si snatura il procedimento
come disciplinato
dall’articolo 138.
Nelle istanze obiettate anche
altro.
Nel quesito il referendum viene
definito confermativo, ma
tale definizione non esiste
nella legge che regola questa
consultazione, e comunque il
referendum non può essere
concepito come se fosse una
sorta di ratifica popolare. Poi
c’è un’ulteriore questione: il
decreto fa riferimento al titolo
della legge. Ma la 352 del
1970 è chiara: nel caso di referendum
su leggi di revisione
costituzionale, nel quesito
vanno indicati gli articoli della
Costituzione sottoposti a
modifica. Estremi e titolo della
legge invece vanno indicati
nel caso di leggi costituzionali
(che non modificano la Carta,
ndr).
Perché avete presentato
due ricorsi?
Ci siamo rivolti al Tar per impugnare
l’atto di indizione del
referendum e di formulazione
del quesito. Ma essendo in
questione diritti fondamentali
abbiamo
presentato ricorso
anche
presso il tribunale
civile per
chiederne l’a ccertamento.
E in termini
pratici cosa
cambia tra le due opzioni?
Il Tar ha il potere di sospendere
l’efficacia del decreto, fino
alla decisione della Consulta
sulla questione di costituzionalità
della legge sul referendum.
Il tribunale civile
invece può solo rimettere la
questione alla Corte, ma non
sospendere l’atto. Però potrebbe
farlo la stessa Consulta
utilizzando, anche per analogia,
i poteri di urgenza che già
le si riconoscono, potendo sospendere
l’efficacia delle leggi
in caso di conflitto tra Stato
e Regioni e gli atti impugnati
con un conflitto di attribuzioni.
Quando si esprimeranno sui
ricorsi?
Spero al più presto. Il 20 a Milano
si discuterà di un ricorso
analogo al nostro.
Per lei la riforma va fermata.
(Sorride, ndr) Mi auguro che
se ne possa fare a meno.
Per tanti fautori del Sì invece
se la riforma non passa il
Paese si bloccherà.
È una posizione totalmente
sbagliata, perché presuppone
che la Costituzione già oggi
blocchi l’Italia. Ed è falso.
Parliamo del procedimento
legislativo, su cui tanto si discute;
non è vero che in Italia
è difficile fare leggi, perché
accade l’esatto contrario, ovvero
se ne fanno troppe e sbagliate,
con modifiche continue.
Ad esempio, le norme
sulle imposte locali sono cambiate
20 volte in cinque anni.
Troppo?
Assolutamente sì, e penso agli
investitori stranieri. Immagino
che vogliano lavorare in un
Paese con norme certe e affidabili,
che non mutano di continuo.
Ma il tema di fondo è
che non abbiamo bisogno di
una “grande riforma”c o s t i t uzionale.
Un conto è discutere
di singole modifiche, un altro
è impostare una riforma che
interviene su molti ambiti.
D’altronde sono 30 anni che si
parla di grande riforma. Ne
parlava già Craxi, poi ci provò
Berlusconi.
E ora Renzi.
La Carta è un edificio solido,
glielo ripeto.
Lei non cambierebbe nulla?
L’idea di un Senato delle Regioni
poteva essere giusta. Ma
il modo in cui la vogliono attuare
è totalmente sbagliata.
C’è chi potrebbe accusarla di
essere il milionesimo gufo.
In fondo questa riforma potrebbe
essere meglio di
niente, un inizio...
Mi sembra un argomento
molto debole. Dire che è meglio
di niente vuole dire che
non ci crede troppo neanche
chi la sostiene.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Da IL FATTO QUOTIDIANO del 12 ottobre 2016
“Il referendum va sospeso
Così si viola la Costituzione”
» LUCA DE CAROLIS
Il problema principale è
questa idea della grande
riforma, della Costituzione
che va rinnovata. È
un’idea pericolosa, perché fa
credere che la Carta non sia un
solido e permanente fondamento
della nostra società: un
presupposto erroneo”. Valerio
Onida, costituzionalista e
presidente emerito della Consulta,
parla al F a tt o dal suo
studio di Milano. Ieri, assieme
a Barbara Randazzo, docente
di Diritto costituzionale
nell’Università di Milano, ha
presentato due ricorsi contro
il decreto d’indizione del referendum
costituzionale, uno
al Tar del Lazio e un altro d’ur -
genza al tribunale civile di Milano.
Perché questi ricorsi?
Il principale nodo è quello già
evidenziato da me e da altri 55
costituzionalisti in un documento
critico della riforma, lo
scorso aprile: ovvero, la legge
di revisione costituzionale ha
oggetto e contenuti assai eterogenei,
tra di loro autonomi.
E da ciò deriva l’eterogeneità
del quesito sottoposto agli elettori.
Di fatto nella riforma
ci sono almeno dieci diversi aspetti,
a partire dai principali:
la modifica del Senato e i rapporti
tra Stato e Regioni.
Quindi viene chiesto di votare
su dieci quesiti diversi invece
che su uno, ma nell’a mbito
di un solo referendum.
Esattamente. Si dovevano fare
leggi distinte, e poiché invece
se ne è fatta una sola, dovrebbero
essere separati i
quesiti referendari. Con un
quesito unico si viola la libertà
di voto degli elettori, garantita
dagli articoli 1 e 48 della Costituzione.
E si snatura il procedimento
come disciplinato
dall’articolo 138.
Nelle istanze obiettate anche
altro.
Nel quesito il referendum viene
definito confermativo, ma
tale definizione non esiste
nella legge che regola questa
consultazione, e comunque il
referendum non può essere
concepito come se fosse una
sorta di ratifica popolare. Poi
c’è un’ulteriore questione: il
decreto fa riferimento al titolo
della legge. Ma la 352 del
1970 è chiara: nel caso di referendum
su leggi di revisione
costituzionale, nel quesito
vanno indicati gli articoli della
Costituzione sottoposti a
modifica. Estremi e titolo della
legge invece vanno indicati
nel caso di leggi costituzionali
(che non modificano la Carta,
ndr).
Perché avete presentato
due ricorsi?
Ci siamo rivolti al Tar per impugnare
l’atto di indizione del
referendum e di formulazione
del quesito. Ma essendo in
questione diritti fondamentali
abbiamo
presentato ricorso
anche
presso il tribunale
civile per
chiederne l’a ccertamento.
E in termini
pratici cosa
cambia tra le due opzioni?
Il Tar ha il potere di sospendere
l’efficacia del decreto, fino
alla decisione della Consulta
sulla questione di costituzionalità
della legge sul referendum.
Il tribunale civile
invece può solo rimettere la
questione alla Corte, ma non
sospendere l’atto. Però potrebbe
farlo la stessa Consulta
utilizzando, anche per analogia,
i poteri di urgenza che già
le si riconoscono, potendo sospendere
l’efficacia delle leggi
in caso di conflitto tra Stato
e Regioni e gli atti impugnati
con un conflitto di attribuzioni.
Quando si esprimeranno sui
ricorsi?
Spero al più presto. Il 20 a Milano
si discuterà di un ricorso
analogo al nostro.
Per lei la riforma va fermata.
(Sorride, ndr) Mi auguro che
se ne possa fare a meno.
Per tanti fautori del Sì invece
se la riforma non passa il
Paese si bloccherà.
È una posizione totalmente
sbagliata, perché presuppone
che la Costituzione già oggi
blocchi l’Italia. Ed è falso.
Parliamo del procedimento
legislativo, su cui tanto si discute;
non è vero che in Italia
è difficile fare leggi, perché
accade l’esatto contrario, ovvero
se ne fanno troppe e sbagliate,
con modifiche continue.
Ad esempio, le norme
sulle imposte locali sono cambiate
20 volte in cinque anni.
Troppo?
Assolutamente sì, e penso agli
investitori stranieri. Immagino
che vogliano lavorare in un
Paese con norme certe e affidabili,
che non mutano di continuo.
Ma il tema di fondo è
che non abbiamo bisogno di
una “grande riforma”c o s t i t uzionale.
Un conto è discutere
di singole modifiche, un altro
è impostare una riforma che
interviene su molti ambiti.
D’altronde sono 30 anni che si
parla di grande riforma. Ne
parlava già Craxi, poi ci provò
Berlusconi.
E ora Renzi.
La Carta è un edificio solido,
glielo ripeto.
Lei non cambierebbe nulla?
L’idea di un Senato delle Regioni
poteva essere giusta. Ma
il modo in cui la vogliono attuare
è totalmente sbagliata.
C’è chi potrebbe accusarla di
essere il milionesimo gufo.
In fondo questa riforma potrebbe
essere meglio di
niente, un inizio...
Mi sembra un argomento
molto debole. Dire che è meglio
di niente vuole dire che
non ci crede troppo neanche
chi la sostiene.
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Da IL FATTO QUOTIDIANO del 12 ottobre 2016
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
Esiste invece un blocco governativo del Sì, il cosiddetto partito della Nazione, che coincide con la maggioranza di governo ed è sostenuto dai poteri forti di questo Paese”.
Messa così, è la ripetizione storica che ha portato Mussolini al potere. Ma troppi se ne sono dimenticati.
In più, quello che D'Alema non dice, è che anche i poteri forti che dominano la scena mondiale, sono predominanti. La massoneria e la finanza liberista e mondialista.
Messa così, è la ripetizione storica che ha portato Mussolini al potere. Ma troppi se ne sono dimenticati.
In più, quello che D'Alema non dice, è che anche i poteri forti che dominano la scena mondiale, sono predominanti. La massoneria e la finanza liberista e mondialista.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
Referendum Costituzionale
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12 ottobre 2016 | di Manolo Lanaro
Riforme, D’Alema: “Con il mio No al referendum difendo i valori fondamentali del Pd”
“Nell’atto fondativo del Pd ce l’impegno contro riforme costituzionali fatte a maggioranza. Sono principi del partito a cui io sono iscritto e a cui mi attengo a differenza di chi dirige il Pd”. Lo ha detto Massimo D’Alema ad un’iniziativa per il No referendum a Roma. Non esiste uno schieramento politico del No, questa è la differenza fondamentale in questa campagna. Esiste invece un blocco governativo del Sì, il cosiddetto partito della Nazione, che coincide con la maggioranza di governo ed è sostenuto dai poteri forti di questo Paese”, ha aggiunto l’ex primo ministro
VIDEO
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/10/ ... pd/566664/
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12 ottobre 2016 | di Manolo Lanaro
Riforme, D’Alema: “Con il mio No al referendum difendo i valori fondamentali del Pd”
“Nell’atto fondativo del Pd ce l’impegno contro riforme costituzionali fatte a maggioranza. Sono principi del partito a cui io sono iscritto e a cui mi attengo a differenza di chi dirige il Pd”. Lo ha detto Massimo D’Alema ad un’iniziativa per il No referendum a Roma. Non esiste uno schieramento politico del No, questa è la differenza fondamentale in questa campagna. Esiste invece un blocco governativo del Sì, il cosiddetto partito della Nazione, che coincide con la maggioranza di governo ed è sostenuto dai poteri forti di questo Paese”, ha aggiunto l’ex primo ministro
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
POLITICA
L’eccesso di decisionismo
di Renzi sul referendum
Il presidente del Consiglio ha personalizzato la consultazione per avere una consacrazione popolare Ma così ha fornito all’opposizione armi propagandistiche efficaci che ora, in corso d’opera, non può disinnescare
di Paolo Franchi
(Ansa) shadow
Dice bene Aldo Cazzullo (Corriere, 5 ottobre): in questi tempi calamitosi è molto imprudente sotto ogni cielo, per governi e capi di governo, sottoporsi al giudizio popolare mediante referendum. Tra tutti gli esempi che Cazzullo fa, per compararli al caso italiano, il più calzante è ovviamente quello di Cameron, che, sul no alla Brexit, ha puntato tutto in una volta sola e in una volta sola ha perso tutto. Matteo Renzi, come è noto, aveva fatto la medesima scelta sul referendum costituzionale o, per essere più precisi, sul combinato disposto tra il referendum e l’Italicum: in caso di sconfitta, non solo lascio la guida del governo, ma abbandono la politica. Da qualche tempo, si sa, ha corretto (anche se a giorni alterni) il tiro, un po’ per le autorevoli sollecitazioni del presidente della Repubblica in carica e del presidente emerito, un po’ perché deve essersi reso conto di aver imboccato una strada assai perigliosa. Nessun combinato disposto, per cominciare: alla legge elettorale si può rimettere mano, e fa nulla se il governo, caso più unico che raro, per approvarla ha posto in più circostanze la fiducia.
Quanto alla riforma costituzionale, niente di personale, ci mancherebbe. Di più: aver messo sul piatto con tanta forza le proprie sorti di premier e di leader di partito è stato un errore che ha fornito armi propagandistiche ai sostenitori del No. I quali però, lungi dal prendere cavallerescamente atto della sua pubblica (semi) ammenda, continuano imperterriti a rinfacciarglielo e a personalizzare una contesa che invece, come insegna il galateo politico e istituzionale, dovrebbe avere per oggetto il merito dei cambiamenti introdotti. Lasciamo pure da parte il fatto che in politica la cavalleria non è di casa, e, se sbagli, anche se è vero che errare è umano, nessuno, neanche chi, come la minoranza del Pd, ha sbagliato più di te, ti perdonerà l’errore. Ed evitiamo anche di soffermarci, visto che la percentuale degli indecisi è ancora altissima, su quanto rendono noto i sondaggi di Nando Pagnoncelli, ripresi da Cazzullo, secondo i quali gli elettori in maggioranza approvano i singoli capitoli della riforma, ma chiamati a pronunciarsi sul suo insieme propendono per il No. Forse è proprio la categoria dell’«errore», salita all’onore delle cronache e delle analisi politiche dopo l’intervento di Giorgio Napolitano alla scuola di politica del Pd, a funzionare poco.
Nei congressi democristiani, quando eravamo più giovani, si diceva, anche se la realtà sembrava quanto meno più complessa, che la Dc era «sempre tesa» verso qualche nobile obiettivo; in quelli comunisti che, «nonostante errori, limiti, ritardi e contraddizioni», la linea del partito si era rivelata saggia e giusta. Ma erano, appunto, altri tempi, tempi in cui formule come quella democristiana del «progresso senza avventure» o quella togliattiana del «rinnovamento nella continuità» avevano un senso, eccome, agli occhi non solo dei militanti, ma di milioni di elettori. Da allora tutto è cambiato, anche se non necessariamente in meglio. A nessuno passerebbe per la testa di sostenere che il futuro ha un cuore antico, anche le decisioni più importanti — comprese quelle che riguardano non solo i viventi, ma pure le generazioni a venire, come è, o dovrebbe essere, per le Costituzioni — hanno un orizzonte temporale molto limitato, che grosso modo coincide con quello politico di chi le prende, e spesso confonde il presente con l’eternità. E la tentazione di mettere politicamente in gioco la testa per vedere consacrata la propria leadership in rapporto diretto, anzi, in comunione con il popolo sovrano rischia di farsi irresistibile, almeno per chi si considera, e vuole essere considerato, un uomo politico di tipo nuovo, del tutto diverso dai suoi predecessori e dalla gran parte dei suoi colleghi.
Bettino Craxi, alla vigilia del referendum sul decreto di San Valentino sulla scala mobile, promosso dai comunisti contro di lui, disse che, in caso di vittoria dei No, si sarebbe dimesso da presidente del Consiglio un minuto dopo aver appreso il risultato: e questa affermazione, all’epoca, parve a molti troppo forte. Il Renzi di qualche mese fa ha detto la stessa cosa, ma con una differenza sostanziale: il referendum il presidente del Consiglio lo ha fortissimamente voluto e, per così dire, improntato di sé, non certo subito, come fu per il pur «decisionista» Bettino. Nel senso che lo ha caricato della sua concezione della politica, del potere, dello stile di comando, del rapporto tra governanti e governati. In una parola, di se stesso. Prendere o lasciare. Se vinco, vinco tutto. Se perdo, perdo tutto. Un errore? Può darsi. Ma, nel caso, un errore di sostanza, una volta si sarebbe detto di visione del mondo e di strategia, non certo di tattica elettorale, e dunque assai difficile da correggere in corso d’opera. Forse è per questo, nonostante la memoria si sia fatta molto corta, che la grande maggioranza degli italiani che sostengono Renzi, esattamente come la grande maggioranza di quelli che lo avversano, faticano tanto ad archiviarlo, e continuano a pensare al referendum come a un giudizio di Dio. Anche se vengono esortati quotidianamente, e giustamente, a votare da cittadini responsabili, e non da tifosi.
11 ottobre 2016 (modifica il 11 ottobre 2016 | 22:02)
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L’eccesso di decisionismo
di Renzi sul referendum
Il presidente del Consiglio ha personalizzato la consultazione per avere una consacrazione popolare Ma così ha fornito all’opposizione armi propagandistiche efficaci che ora, in corso d’opera, non può disinnescare
di Paolo Franchi
(Ansa) shadow
Dice bene Aldo Cazzullo (Corriere, 5 ottobre): in questi tempi calamitosi è molto imprudente sotto ogni cielo, per governi e capi di governo, sottoporsi al giudizio popolare mediante referendum. Tra tutti gli esempi che Cazzullo fa, per compararli al caso italiano, il più calzante è ovviamente quello di Cameron, che, sul no alla Brexit, ha puntato tutto in una volta sola e in una volta sola ha perso tutto. Matteo Renzi, come è noto, aveva fatto la medesima scelta sul referendum costituzionale o, per essere più precisi, sul combinato disposto tra il referendum e l’Italicum: in caso di sconfitta, non solo lascio la guida del governo, ma abbandono la politica. Da qualche tempo, si sa, ha corretto (anche se a giorni alterni) il tiro, un po’ per le autorevoli sollecitazioni del presidente della Repubblica in carica e del presidente emerito, un po’ perché deve essersi reso conto di aver imboccato una strada assai perigliosa. Nessun combinato disposto, per cominciare: alla legge elettorale si può rimettere mano, e fa nulla se il governo, caso più unico che raro, per approvarla ha posto in più circostanze la fiducia.
Quanto alla riforma costituzionale, niente di personale, ci mancherebbe. Di più: aver messo sul piatto con tanta forza le proprie sorti di premier e di leader di partito è stato un errore che ha fornito armi propagandistiche ai sostenitori del No. I quali però, lungi dal prendere cavallerescamente atto della sua pubblica (semi) ammenda, continuano imperterriti a rinfacciarglielo e a personalizzare una contesa che invece, come insegna il galateo politico e istituzionale, dovrebbe avere per oggetto il merito dei cambiamenti introdotti. Lasciamo pure da parte il fatto che in politica la cavalleria non è di casa, e, se sbagli, anche se è vero che errare è umano, nessuno, neanche chi, come la minoranza del Pd, ha sbagliato più di te, ti perdonerà l’errore. Ed evitiamo anche di soffermarci, visto che la percentuale degli indecisi è ancora altissima, su quanto rendono noto i sondaggi di Nando Pagnoncelli, ripresi da Cazzullo, secondo i quali gli elettori in maggioranza approvano i singoli capitoli della riforma, ma chiamati a pronunciarsi sul suo insieme propendono per il No. Forse è proprio la categoria dell’«errore», salita all’onore delle cronache e delle analisi politiche dopo l’intervento di Giorgio Napolitano alla scuola di politica del Pd, a funzionare poco.
Nei congressi democristiani, quando eravamo più giovani, si diceva, anche se la realtà sembrava quanto meno più complessa, che la Dc era «sempre tesa» verso qualche nobile obiettivo; in quelli comunisti che, «nonostante errori, limiti, ritardi e contraddizioni», la linea del partito si era rivelata saggia e giusta. Ma erano, appunto, altri tempi, tempi in cui formule come quella democristiana del «progresso senza avventure» o quella togliattiana del «rinnovamento nella continuità» avevano un senso, eccome, agli occhi non solo dei militanti, ma di milioni di elettori. Da allora tutto è cambiato, anche se non necessariamente in meglio. A nessuno passerebbe per la testa di sostenere che il futuro ha un cuore antico, anche le decisioni più importanti — comprese quelle che riguardano non solo i viventi, ma pure le generazioni a venire, come è, o dovrebbe essere, per le Costituzioni — hanno un orizzonte temporale molto limitato, che grosso modo coincide con quello politico di chi le prende, e spesso confonde il presente con l’eternità. E la tentazione di mettere politicamente in gioco la testa per vedere consacrata la propria leadership in rapporto diretto, anzi, in comunione con il popolo sovrano rischia di farsi irresistibile, almeno per chi si considera, e vuole essere considerato, un uomo politico di tipo nuovo, del tutto diverso dai suoi predecessori e dalla gran parte dei suoi colleghi.
Bettino Craxi, alla vigilia del referendum sul decreto di San Valentino sulla scala mobile, promosso dai comunisti contro di lui, disse che, in caso di vittoria dei No, si sarebbe dimesso da presidente del Consiglio un minuto dopo aver appreso il risultato: e questa affermazione, all’epoca, parve a molti troppo forte. Il Renzi di qualche mese fa ha detto la stessa cosa, ma con una differenza sostanziale: il referendum il presidente del Consiglio lo ha fortissimamente voluto e, per così dire, improntato di sé, non certo subito, come fu per il pur «decisionista» Bettino. Nel senso che lo ha caricato della sua concezione della politica, del potere, dello stile di comando, del rapporto tra governanti e governati. In una parola, di se stesso. Prendere o lasciare. Se vinco, vinco tutto. Se perdo, perdo tutto. Un errore? Può darsi. Ma, nel caso, un errore di sostanza, una volta si sarebbe detto di visione del mondo e di strategia, non certo di tattica elettorale, e dunque assai difficile da correggere in corso d’opera. Forse è per questo, nonostante la memoria si sia fatta molto corta, che la grande maggioranza degli italiani che sostengono Renzi, esattamente come la grande maggioranza di quelli che lo avversano, faticano tanto ad archiviarlo, e continuano a pensare al referendum come a un giudizio di Dio. Anche se vengono esortati quotidianamente, e giustamente, a votare da cittadini responsabili, e non da tifosi.
11 ottobre 2016 (modifica il 11 ottobre 2016 | 22:02)
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
AMOROSI SENSI Sul sito del Sì i punti comuni tra ddl Boschi e programma forzista
Il Pd confessa:
“Realizziamo
la riforma di B.”
2013: il Pdl prometteva ciò che fa Renzi, i Dem
invece “l’adesione integrale alla Costituzione”
MARRA A PAG. 2
Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano
Il Pd confessa:
“Realizziamo
la riforma di B.”
2013: il Pdl prometteva ciò che fa Renzi, i Dem
invece “l’adesione integrale alla Costituzione”
MARRA A PAG. 2
Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
IL NO PERDE UN VOTO
Addio a Dario Fo. Il premio Nobel aveva 90 anni
Artista e uomo libero, reinventò il teatro civile
Addio a Dario Fo. Il premio Nobel aveva 90 anni
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