Renzi
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Re: Renzi
TARDIVAMENTE, (DOPO DUE ANNI E MEZZO) SE NE SONO ACCORTI CHE I POTERI MARCI AVEVANO RITENTATO L'AVVENTURA DEGLI ANNI '20 DEL NOVECENTO.
Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano di oggi, 12 ottobre 2016
UNIVERSITÀ Con la scusa dei baroni, Renzi si sceglie 500 docenti senza concorso
Il governo vuole
nominarsi i prof
come Mussolini
La rete degli accademici denuncia: “Era accaduto
solo nel 1935 con il Regio decreto voluto dal Duce”
SAREBBE UN ERRORE MADORNALE SE GLI ITALIANI RIPETESSERO DOPO QUASI NOVANT'ANNI LO STESSO ERRORE DEL 1924, VOTANDO LA LEGGE ACERBO 2.0, CAMUFFATA PER I MERLI BOCCALONI IN REFERENDUM COSTITUZIONALE.
Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano di oggi, 12 ottobre 2016
UNIVERSITÀ Con la scusa dei baroni, Renzi si sceglie 500 docenti senza concorso
Il governo vuole
nominarsi i prof
come Mussolini
La rete degli accademici denuncia: “Era accaduto
solo nel 1935 con il Regio decreto voluto dal Duce”
SAREBBE UN ERRORE MADORNALE SE GLI ITALIANI RIPETESSERO DOPO QUASI NOVANT'ANNI LO STESSO ERRORE DEL 1924, VOTANDO LA LEGGE ACERBO 2.0, CAMUFFATA PER I MERLI BOCCALONI IN REFERENDUM COSTITUZIONALE.
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Re: Renzi
Uno bara, gli altri mentono
La spaccatura sulla leadership di Renzi non è solo tra i quadri del partito: è arrivata dentro il corpo elettorale della sinistra
Alessandro Sallusti - Mar, 11/10/2016 - 23:27
commenta
Ieri sera mi sono fatto del male, anche se per dovere professionale. Ho guardato la diretta della direzione Pd, annunciata come decisiva per le sorti del partito, del governo e del Paese.
Le uniche cose che ho capito sono che Renzi sta prendendo per i fondelli quel bel pezzo del suo partito che lo detesta e che quei signori lo ricambiano con la stessa moneta. Non c'entrano il referendum né la legge elettorale, cioè i temi ufficialmente in discussione. La questione è personale, direi psichiatrica. Renzi vuole governare con il suo personale comitato di affari e se ne frega del partito, che considera un inutile contenitore di incapaci e falliti. I falliti, veri o presunti, considerano Renzi un imbroglione seriale, non si fidano, pretendono garanzie blindate non tanto su fatti politici ma sui loro destini personali, visto che, prima o poi, probabilmente prima, si tornerà a votare.
Penso che abbiano ragione tutti e due i contendenti di questa sfida tragicomica. Renzi è inaffidabile e i suoi oppositori sono politici modesti che negli ultimi vent'anni non ne hanno azzeccata una, come dimostra la storia, da Occhetto a Bersani. Il che pone un problema non da poco. Dentro il Pd, ma anche fuori. Perché se scoppia il primo partito italiano una possibilità sempre più concreta il botto sarà tale che gli effetti collaterali dell'esplosione non risparmieranno nessuno, a sinistra, ovviamente, ma anche dalle parti del centrodestra e pure da quelle grilline. Uno scossone che potrebbe addirittura essere salutare e riportare alle urne, in base al piano di ricostruzione di partiti e alleanze, almeno una parte di quel 50% di italiani che oggi disertano in quanto stufi di tanta ambiguità e orfani di riferimenti chiari.
Non so se Renzi riuscirà a comprare la minoranza con uno dei suoi colpi da prestigiatore o se questa, per paura, alla fine cederà al ricatto del segretario premier allineandosi all'indicazione per votare «sì» al referendum. Penso però che ormai sia troppo tardi perché una delle due cose produca effetti pratici. La spaccatura sulla leadership di Renzi, e in parte sulla bontà della riforma, non è solo tra i quadri del partito, è arrivata dentro il corpo elettorale della sinistra, che mai aveva assistito a uno spettacolo del genere. In sole otto settimane una ferita così non la si guarisce con un comunicato stampa. Né se annunci vittorie, né se comunichi tregue. Questa volta Renzi è davvero nei guai.
La spaccatura sulla leadership di Renzi non è solo tra i quadri del partito: è arrivata dentro il corpo elettorale della sinistra
Alessandro Sallusti - Mar, 11/10/2016 - 23:27
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Ieri sera mi sono fatto del male, anche se per dovere professionale. Ho guardato la diretta della direzione Pd, annunciata come decisiva per le sorti del partito, del governo e del Paese.
Le uniche cose che ho capito sono che Renzi sta prendendo per i fondelli quel bel pezzo del suo partito che lo detesta e che quei signori lo ricambiano con la stessa moneta. Non c'entrano il referendum né la legge elettorale, cioè i temi ufficialmente in discussione. La questione è personale, direi psichiatrica. Renzi vuole governare con il suo personale comitato di affari e se ne frega del partito, che considera un inutile contenitore di incapaci e falliti. I falliti, veri o presunti, considerano Renzi un imbroglione seriale, non si fidano, pretendono garanzie blindate non tanto su fatti politici ma sui loro destini personali, visto che, prima o poi, probabilmente prima, si tornerà a votare.
Penso che abbiano ragione tutti e due i contendenti di questa sfida tragicomica. Renzi è inaffidabile e i suoi oppositori sono politici modesti che negli ultimi vent'anni non ne hanno azzeccata una, come dimostra la storia, da Occhetto a Bersani. Il che pone un problema non da poco. Dentro il Pd, ma anche fuori. Perché se scoppia il primo partito italiano una possibilità sempre più concreta il botto sarà tale che gli effetti collaterali dell'esplosione non risparmieranno nessuno, a sinistra, ovviamente, ma anche dalle parti del centrodestra e pure da quelle grilline. Uno scossone che potrebbe addirittura essere salutare e riportare alle urne, in base al piano di ricostruzione di partiti e alleanze, almeno una parte di quel 50% di italiani che oggi disertano in quanto stufi di tanta ambiguità e orfani di riferimenti chiari.
Non so se Renzi riuscirà a comprare la minoranza con uno dei suoi colpi da prestigiatore o se questa, per paura, alla fine cederà al ricatto del segretario premier allineandosi all'indicazione per votare «sì» al referendum. Penso però che ormai sia troppo tardi perché una delle due cose produca effetti pratici. La spaccatura sulla leadership di Renzi, e in parte sulla bontà della riforma, non è solo tra i quadri del partito, è arrivata dentro il corpo elettorale della sinistra, che mai aveva assistito a uno spettacolo del genere. In sole otto settimane una ferita così non la si guarisce con un comunicato stampa. Né se annunci vittorie, né se comunichi tregue. Questa volta Renzi è davvero nei guai.
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Re: Renzi
Deficit, Renzi sfora i paletti Ue. Ed è giallo sulla firma del Colle
Il governo pronto ad aumentare il deficit/Pil 2017 fino ad un massimo del 2,4%. Ma è contro al diktat dell'Ue. Voci di minacce dal Quirinale
Sergio Rame - Gio, 13/10/2016 - 13:54
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Ieri sera il Senato ha dato il via libera alla risoluzione di maggioranza che autorizza il governo a aumentare il rapporto deficit/Pil per il 2017 fino a un massimo del 2,4 per cento.
I voti favorevoli in Aula sono stati 182 contro i 73 voti contrari e un solo astenuto. Si è superata, in questo modo, la maggioranza assoluta di 161 voti necessaria a far passare la risoluzione. Tutto sistemato? Mica tanto. Secondo Dagospia, infatti, Sergio Mattarella avrebbe minacciato Matteo Renzi di non firmargli la manovra qualora dovessero essere confermate quelle cifre. Indiscrezione che è stata subito smentita dal Quirinale.
Nei giorni scorsi il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, era stato sin troppo chiaro invitando il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan a non prenderci troppo la mano coi numeri. A Bruxelles non vedono di buon occhio sforare la soglia del 2%. "E comunque il 2,4% non è il numero che abbiamo in mente - conclude Moscovici - è una questione di sostanza, perchè dobbiamo aspettare che il governo italiano ci presenti la manovra di bilancio". Nonostante le raccomandazioni dell'Unione europea il testo approvato ieri sera ufficializza il deficit del 2017 al 2,2%, con la possibilità di portarlo al 2,4%. Una presa di posizione che ha fatto sasltare sulla sedia il capo dello Stato che ha minacciato di non voler firmare la manovra qualora dovesse confermare questi numeri. "Sarebbe incostituzionale", avrebbe confidato Matterella ai suoi.
A Mattarella, sempre secondo la ricostruzione di Dagospia, il governatore della Bce Mario Draghi avrebbe spiegare che "con un deficit su quei livelli, l’Italia non riesce a ridurre il deficit strutturale. Cioè, quel numeretto che indica che il Paese è sulla strada buona del risanamento della finanza pubblica". Renzi, però, avrebbe fatto spallucce facendo carta straccia dei consigli di SuperMario e decidendo così di sfidare l’Unione europea, la Banca centrale e lo stesso Quirinale. Mattarella può, però, appigliarsi al fatto che, sulla base della legge voluta da Mario Monti in Costitzione, senza un deficit strutturale in discesa la legge di Bilancio risulterebbe incostituzionale. Nello staff del Colle, però, si definisce "del tutto priva di fondamento" la ricostruzione di Dagospia. Restanom, tuttavia, nell'aria le tesioni (fortissime) con Bruxelles.
Il governo pronto ad aumentare il deficit/Pil 2017 fino ad un massimo del 2,4%. Ma è contro al diktat dell'Ue. Voci di minacce dal Quirinale
Sergio Rame - Gio, 13/10/2016 - 13:54
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Ieri sera il Senato ha dato il via libera alla risoluzione di maggioranza che autorizza il governo a aumentare il rapporto deficit/Pil per il 2017 fino a un massimo del 2,4 per cento.
I voti favorevoli in Aula sono stati 182 contro i 73 voti contrari e un solo astenuto. Si è superata, in questo modo, la maggioranza assoluta di 161 voti necessaria a far passare la risoluzione. Tutto sistemato? Mica tanto. Secondo Dagospia, infatti, Sergio Mattarella avrebbe minacciato Matteo Renzi di non firmargli la manovra qualora dovessero essere confermate quelle cifre. Indiscrezione che è stata subito smentita dal Quirinale.
Nei giorni scorsi il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, era stato sin troppo chiaro invitando il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan a non prenderci troppo la mano coi numeri. A Bruxelles non vedono di buon occhio sforare la soglia del 2%. "E comunque il 2,4% non è il numero che abbiamo in mente - conclude Moscovici - è una questione di sostanza, perchè dobbiamo aspettare che il governo italiano ci presenti la manovra di bilancio". Nonostante le raccomandazioni dell'Unione europea il testo approvato ieri sera ufficializza il deficit del 2017 al 2,2%, con la possibilità di portarlo al 2,4%. Una presa di posizione che ha fatto sasltare sulla sedia il capo dello Stato che ha minacciato di non voler firmare la manovra qualora dovesse confermare questi numeri. "Sarebbe incostituzionale", avrebbe confidato Matterella ai suoi.
A Mattarella, sempre secondo la ricostruzione di Dagospia, il governatore della Bce Mario Draghi avrebbe spiegare che "con un deficit su quei livelli, l’Italia non riesce a ridurre il deficit strutturale. Cioè, quel numeretto che indica che il Paese è sulla strada buona del risanamento della finanza pubblica". Renzi, però, avrebbe fatto spallucce facendo carta straccia dei consigli di SuperMario e decidendo così di sfidare l’Unione europea, la Banca centrale e lo stesso Quirinale. Mattarella può, però, appigliarsi al fatto che, sulla base della legge voluta da Mario Monti in Costitzione, senza un deficit strutturale in discesa la legge di Bilancio risulterebbe incostituzionale. Nello staff del Colle, però, si definisce "del tutto priva di fondamento" la ricostruzione di Dagospia. Restanom, tuttavia, nell'aria le tesioni (fortissime) con Bruxelles.
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Re: Renzi
La Stampa 13.10.16
Renzi attacca l’Europa sui migranti
“Reagisce con frenetico immobilismo”
Ma Bruxelles non ci sta e bacchetta l’Italia “Le risorse ci sono, Roma inefficace”
Il direttore di Frontex: procedure di rimpatrio troppo lente
di Marco Bresolin
Da Bruxelles, l’accusa di immobilismo che arriva dal governo italiano viene rispedita al mittente. Per alcuni aspetti proprio con le stesse argomentazioni. Prendiamo la questione immigrazione, che oggi vede l’Italia in prima linea. Si compone di diversi capitoli e uno dei più delicati riguarda i rimpatri dei migranti irregolari. Roma accusa Bruxelles di averla lasciata da sola e chiede più sostegno. Ma è Fabrice Leggeri, direttore della neonata Guardia Costiera e di Frontiera della Ue (vale a dire Frontex con più poteri), a ributtare la palla nel campo opposto. Proprio ieri Leggeri ha detto che in questo momento l’Italia è «la priorità assoluta» sul fronte immigrazione e ha assicurato che c’è il massimo supporto sui rimpatri. Perché «le risorse economiche per gestire i viaggi non mancano». E dunque dove sta il problema? «Il problema sono le decisioni nazionali», che non arrivano. Leggeri si riferisce alle procedure di espulsione e di rimpatrio, oltre che agli scarsi accordi di riammissione con i Paesi di origine. «Questa è la mia vera preoccupazione», ha ammesso. Sottolineando però che la lentezza e l’inefficacia dei provvedimenti non sono un problema solo italiano: «In Europa soltanto il 40% delle espulsioni viene eseguito». L’immobilismo – questo è il ragionamento – è di chi gestisce le procedure di espulsione, non di chi fornisce la propria assistenza per il rimpatrio dei cosiddetti «irregolari». Per avere un’idea dell’entità del fenomeno: nel 2015 sono arrivati in Italia 154 mila migranti e solo 30 mila hanno ottenuto la protezione internazionale. Ma i rimpatri si sono fermati a quota 3.688, circa il 2,4% degli arrivi. Durante l’estate l’Italia ha spinto molto per creare una cabina di regia europea a cui affidare la gestione dei rimpatri. Dopo Ventotene sembrava un obiettivo alla portata, visto l’apparente appoggio di Francia e Germania. Ma se Renzi spera di trovare il tema sul tavolo del prossimo Consiglio europeo (20-21 ottobre) rischia di avere una bella delusione. Nella bozza delle conclusioni preparata dalla Presidenza non c’è la minima traccia. Anzi, il Consiglio «invita i Paesi a rafforzare le procedure amministrative per portare effettivamente a termine i rimpatri». Ossia quello che dice Frontex: sono gli Stati, Italia in primis, a doversi dare una mossa. Oggi i ministri degli Interni si riuniranno a Lussemburgo e discuteranno anche della riforma del Trattato di Dublino che regola il diritto d’asilo, ma i tempi per un accordo si preannunciano biblici. A inizio estate, la Commissione ha proposto regole e procedure comuni per il riconoscimento del diritto, oltre che una lista unica dei Paesi sicuri. Siamo ancora lontani. La bozza con le conclusioni del Consiglio annuncia che la questione verrà rinviata a dicembre, quando ci sarà una valutazione per avviare un lavoro che permetterà di «stipulare accordi-quadro con i Paesi di transito e di origini per rendere più veloci e operativi i rimpatri». Con tutti questi verbi al futuro, parlare di velocità fa quasi sorridere. Gli accordi di riammissione con i Paesi d’origine sono indispensabili. L’idea di Bruxelles è di stipularne una serie a livello comunitario, per rendere poi il lavoro più facile agli Stati membri e avere una situazione omogenea. L’esempio che verrà indicato come virtuoso al prossimo Consiglio è quello dell’intesa con l’Afghanistan, anche se è il più contestato da associazioni umanitarie e Ong per l’instabilità del Paese.
Renzi attacca l’Europa sui migranti
“Reagisce con frenetico immobilismo”
Ma Bruxelles non ci sta e bacchetta l’Italia “Le risorse ci sono, Roma inefficace”
Il direttore di Frontex: procedure di rimpatrio troppo lente
di Marco Bresolin
Da Bruxelles, l’accusa di immobilismo che arriva dal governo italiano viene rispedita al mittente. Per alcuni aspetti proprio con le stesse argomentazioni. Prendiamo la questione immigrazione, che oggi vede l’Italia in prima linea. Si compone di diversi capitoli e uno dei più delicati riguarda i rimpatri dei migranti irregolari. Roma accusa Bruxelles di averla lasciata da sola e chiede più sostegno. Ma è Fabrice Leggeri, direttore della neonata Guardia Costiera e di Frontiera della Ue (vale a dire Frontex con più poteri), a ributtare la palla nel campo opposto. Proprio ieri Leggeri ha detto che in questo momento l’Italia è «la priorità assoluta» sul fronte immigrazione e ha assicurato che c’è il massimo supporto sui rimpatri. Perché «le risorse economiche per gestire i viaggi non mancano». E dunque dove sta il problema? «Il problema sono le decisioni nazionali», che non arrivano. Leggeri si riferisce alle procedure di espulsione e di rimpatrio, oltre che agli scarsi accordi di riammissione con i Paesi di origine. «Questa è la mia vera preoccupazione», ha ammesso. Sottolineando però che la lentezza e l’inefficacia dei provvedimenti non sono un problema solo italiano: «In Europa soltanto il 40% delle espulsioni viene eseguito». L’immobilismo – questo è il ragionamento – è di chi gestisce le procedure di espulsione, non di chi fornisce la propria assistenza per il rimpatrio dei cosiddetti «irregolari». Per avere un’idea dell’entità del fenomeno: nel 2015 sono arrivati in Italia 154 mila migranti e solo 30 mila hanno ottenuto la protezione internazionale. Ma i rimpatri si sono fermati a quota 3.688, circa il 2,4% degli arrivi. Durante l’estate l’Italia ha spinto molto per creare una cabina di regia europea a cui affidare la gestione dei rimpatri. Dopo Ventotene sembrava un obiettivo alla portata, visto l’apparente appoggio di Francia e Germania. Ma se Renzi spera di trovare il tema sul tavolo del prossimo Consiglio europeo (20-21 ottobre) rischia di avere una bella delusione. Nella bozza delle conclusioni preparata dalla Presidenza non c’è la minima traccia. Anzi, il Consiglio «invita i Paesi a rafforzare le procedure amministrative per portare effettivamente a termine i rimpatri». Ossia quello che dice Frontex: sono gli Stati, Italia in primis, a doversi dare una mossa. Oggi i ministri degli Interni si riuniranno a Lussemburgo e discuteranno anche della riforma del Trattato di Dublino che regola il diritto d’asilo, ma i tempi per un accordo si preannunciano biblici. A inizio estate, la Commissione ha proposto regole e procedure comuni per il riconoscimento del diritto, oltre che una lista unica dei Paesi sicuri. Siamo ancora lontani. La bozza con le conclusioni del Consiglio annuncia che la questione verrà rinviata a dicembre, quando ci sarà una valutazione per avviare un lavoro che permetterà di «stipulare accordi-quadro con i Paesi di transito e di origini per rendere più veloci e operativi i rimpatri». Con tutti questi verbi al futuro, parlare di velocità fa quasi sorridere. Gli accordi di riammissione con i Paesi d’origine sono indispensabili. L’idea di Bruxelles è di stipularne una serie a livello comunitario, per rendere poi il lavoro più facile agli Stati membri e avere una situazione omogenea. L’esempio che verrà indicato come virtuoso al prossimo Consiglio è quello dell’intesa con l’Afghanistan, anche se è il più contestato da associazioni umanitarie e Ong per l’instabilità del Paese.
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Re: Renzi
13 OTT 2016 15:59
JIM MESSINA, ARIDACCE I SOLDI! - NON BASTA IL GURU DI OBAMA, NÉ LO SCHIERAMENTO DIETRO LE QUINTE DI CAMPO DALL'ORTO, BIGNARDI, SENSI, COLDAGELLI: RENZI A ''POLITICS'' DÀ UNA SCOSSA AI MISERI ASCOLTI DI SEMPRINI MA VIENE COMUNQUE BATTUTO DA DI MAIO IN CONTEMPORANEA SU LA7 CON FLORIS. UN ANTICIPO DI BALLOTTAGGIO?
1.RENZI LASCIA 'POLITICS' CON CAMPO DALL'ORTO
renzi campo dall orto coldagelli sensi dietro le quinte di politics foto fq insider
Fq Insider http://insider.ilfattoquotidiano.it
Quanta attesa in Viale Mazzini per l’intervista di Matteo Renzi a Politics, ultima occasione per rianimare gli ascolti di Gianluca Semprini. Il tocco magico del fiorentino ha funzionato: 6,4 per cento di share medio, anche se – per 43 minuti su 45 – Luigi Di Maio su La7 ha battuto Rai3. La puntata è stata organizzata in prima persona dal direttore del canale, Daria Bignardi e seguita da vicino dall’amministratore delegato, Antonio Campo Dall’Orto. Alla fine del programma, Renzi è andato via con Campo Dall’Orto, il portavoce di Palazzo Chigi, Filippo Sensi e Luigi Coldagelli, capo ufficio stampa della Rai nonché amico di Sensi.
2.DALL'AUDITEL ARRIVA LA DURA CONFERMA AL BALLOTTAGGIO RENZI È PERDENTE
Maurizio Caverzan per la Verità
Se un confronto tv tra due politici può esser preso come test, per Matteo Renzi «la situazione non è buona» (Celentano). Se poi colui che lo batte negli ascolti è il probabile principale competitor alle prossime elezioni, quando saranno, allora son proprio dolori. È andata così, l' altra sera (perdonate qualche cifra). Il premier, ospite su Rai 3 di Politics - Tutto è politica, ha raccolto tra le 21.22 e le 21.41 il 5,78 per cento di share e tra le 21.52 e le 22.15 il 5,72.
Luigi Di Maio del Movimento 5 stelle, invitato da La7 a DiMartedì, ha ottenuto il 6,19 nel primo blocco e il 7,12 nel secondo. In sostanza, l' esponente grillino e La7 hanno prevalso durante tutta la sovrapposizione, al netto della copertina di Maurizio Crozza, inserita come intervallo tra il faccia a faccia Floris-Di Maio e la conversazione allargata a Massimo Giannini e Maria Latella. Se si considera anche l' innesto comico, invece, la forbice è superiore a un punto percentuale.
Per il presidente del Consiglio lo smacco è doppio. La settimana dopo la puntata di Di Martedì che non aveva generato «una corrispondenza d' amorosi sensi» (Mentana) col premier, la sua decisione di partecipare al talk concorrente poteva suonare come un dispetto collaterale, oltre che un favore alla coppia Bignardi-Semprini.
Invece, audience non mente e il piano si è rivelato un autogol. È vero che Politics è cresciuto dal 2,5 per cento di settimana scorsa al 6,4, risultando vincente su Di Martedì (6,1). Ma è ancor più vero che il sorpasso si registra soprattutto perché Floris s' indebolisce nella seconda parte, mentre nella prima, clamorosamente, Di Maio batte Renzi.
Smacco politico e smacco mediatico, dunque. Eppure, come avviene per ogni presenza tv dall' inizio della campagna referendaria, il disegno era stato studiato nei minimi particolari dallo staff del premier. Anche la Rai ci aveva investito parecchio, mandando Semprini ad annunciare la prestigiosa ospitata a Che fuori tempo che fa appena due ore dopo la lunga intervista concessa da Renzi all' Arena di Massimo Giletti.
Si era messa al lavoro pure la direttrice di Raitre per studiare la scaletta e chiamare i giornalisti giusti: l' agguerrita Bianca Berlinguer, Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto quotidiano, e l' habitué della casa Claudio Cerasa, numero uno del Foglio. Infine, c' era l' asso nella manica: le leggendarie domande di Facebook, alle quali il presidente del Consiglio avrebbe risposto in tempo reale. Tanta carne al fuoco, dunque, forse troppa. Che lo chef Semprini non è stato in grado di cuocere adeguatamente.
Tanto per cominciare, Renzi troneggiava su uno sgabello davanti al pc, rubando al conduttore il controllo del verbo dei social. Poi, sopraffatto dalla reciproca ostilità tra la Berlinguer e il premier, il giornalista non è mai riuscito a dare un filo logico alla serata.
Quanto all' ospite, ci ha messo del suo per complicarsi la vita. Prima rivolgendosi alla giornalista con un «direttore Berlinguer» che, considerate le motivazioni del recente siluramento, è suonato strano.
Poi replicandole sul caso Marino che l' ex sindaco di Roma «si è dimesso lui, poi ha ritirato le dimissioni... Il suo tg ne ha dato ampia informazione con due o tre servizi in apertura...». «Dovevamo ignorare la notizia?», ha provocato l' ex direttrice del Tg3. «Ha mai ricevuto una telefonata da me su come fare il tg?», è stata la replica del premier.
«No. Da lei personalmente no», ha chiuso la Berlinguer lasciando chiaramente intendere di averne ricevute da qualcuno a lui vicino. Un' allusione chiara, pur nel bailamme di voci che si sovrapponevano. Ma un' allusione complicata da gestire e subito sopita da Semprini che ha dirottato la discussione su temi economici. Nel frattempo, delle imprescindibili domande di Facebook si erano completamente perse le tracce.
Insomma, complessivamente una serata storta. Ancora più storta dev' essere stata la mattinata di ieri, per il premier, una volta appreso il responso dell' Auditel: battuto da Di Maio, probabile candidato dei pentastellati. Già finora tutti i sondaggi dicevano che a un eventuale ballottaggio i grilli ni potrebbero prevalere. Ora, questo risultato è un' altra, piccolissima, ma fastidiosissima conferma.
Avrà di che riflettere la task force della comunicazione composta da Jim Messina, Filippo Sensi e Simona Ercolani che analizza tutto, comportamento dei giornalisti, linguaggio, situazioni, programmi e curve di ascolto per definire ogni presenza televisiva. Chissà, forse tra le variabili da inserire nell' algoritmo c' è anche quello riguardante la sovraesposizione mediatica e il suo, indesiderato, effetto collaterale.
Chiamasi saturazione.
JIM MESSINA, ARIDACCE I SOLDI! - NON BASTA IL GURU DI OBAMA, NÉ LO SCHIERAMENTO DIETRO LE QUINTE DI CAMPO DALL'ORTO, BIGNARDI, SENSI, COLDAGELLI: RENZI A ''POLITICS'' DÀ UNA SCOSSA AI MISERI ASCOLTI DI SEMPRINI MA VIENE COMUNQUE BATTUTO DA DI MAIO IN CONTEMPORANEA SU LA7 CON FLORIS. UN ANTICIPO DI BALLOTTAGGIO?
1.RENZI LASCIA 'POLITICS' CON CAMPO DALL'ORTO
renzi campo dall orto coldagelli sensi dietro le quinte di politics foto fq insider
Fq Insider http://insider.ilfattoquotidiano.it
Quanta attesa in Viale Mazzini per l’intervista di Matteo Renzi a Politics, ultima occasione per rianimare gli ascolti di Gianluca Semprini. Il tocco magico del fiorentino ha funzionato: 6,4 per cento di share medio, anche se – per 43 minuti su 45 – Luigi Di Maio su La7 ha battuto Rai3. La puntata è stata organizzata in prima persona dal direttore del canale, Daria Bignardi e seguita da vicino dall’amministratore delegato, Antonio Campo Dall’Orto. Alla fine del programma, Renzi è andato via con Campo Dall’Orto, il portavoce di Palazzo Chigi, Filippo Sensi e Luigi Coldagelli, capo ufficio stampa della Rai nonché amico di Sensi.
2.DALL'AUDITEL ARRIVA LA DURA CONFERMA AL BALLOTTAGGIO RENZI È PERDENTE
Maurizio Caverzan per la Verità
Se un confronto tv tra due politici può esser preso come test, per Matteo Renzi «la situazione non è buona» (Celentano). Se poi colui che lo batte negli ascolti è il probabile principale competitor alle prossime elezioni, quando saranno, allora son proprio dolori. È andata così, l' altra sera (perdonate qualche cifra). Il premier, ospite su Rai 3 di Politics - Tutto è politica, ha raccolto tra le 21.22 e le 21.41 il 5,78 per cento di share e tra le 21.52 e le 22.15 il 5,72.
Luigi Di Maio del Movimento 5 stelle, invitato da La7 a DiMartedì, ha ottenuto il 6,19 nel primo blocco e il 7,12 nel secondo. In sostanza, l' esponente grillino e La7 hanno prevalso durante tutta la sovrapposizione, al netto della copertina di Maurizio Crozza, inserita come intervallo tra il faccia a faccia Floris-Di Maio e la conversazione allargata a Massimo Giannini e Maria Latella. Se si considera anche l' innesto comico, invece, la forbice è superiore a un punto percentuale.
Per il presidente del Consiglio lo smacco è doppio. La settimana dopo la puntata di Di Martedì che non aveva generato «una corrispondenza d' amorosi sensi» (Mentana) col premier, la sua decisione di partecipare al talk concorrente poteva suonare come un dispetto collaterale, oltre che un favore alla coppia Bignardi-Semprini.
Invece, audience non mente e il piano si è rivelato un autogol. È vero che Politics è cresciuto dal 2,5 per cento di settimana scorsa al 6,4, risultando vincente su Di Martedì (6,1). Ma è ancor più vero che il sorpasso si registra soprattutto perché Floris s' indebolisce nella seconda parte, mentre nella prima, clamorosamente, Di Maio batte Renzi.
Smacco politico e smacco mediatico, dunque. Eppure, come avviene per ogni presenza tv dall' inizio della campagna referendaria, il disegno era stato studiato nei minimi particolari dallo staff del premier. Anche la Rai ci aveva investito parecchio, mandando Semprini ad annunciare la prestigiosa ospitata a Che fuori tempo che fa appena due ore dopo la lunga intervista concessa da Renzi all' Arena di Massimo Giletti.
Si era messa al lavoro pure la direttrice di Raitre per studiare la scaletta e chiamare i giornalisti giusti: l' agguerrita Bianca Berlinguer, Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto quotidiano, e l' habitué della casa Claudio Cerasa, numero uno del Foglio. Infine, c' era l' asso nella manica: le leggendarie domande di Facebook, alle quali il presidente del Consiglio avrebbe risposto in tempo reale. Tanta carne al fuoco, dunque, forse troppa. Che lo chef Semprini non è stato in grado di cuocere adeguatamente.
Tanto per cominciare, Renzi troneggiava su uno sgabello davanti al pc, rubando al conduttore il controllo del verbo dei social. Poi, sopraffatto dalla reciproca ostilità tra la Berlinguer e il premier, il giornalista non è mai riuscito a dare un filo logico alla serata.
Quanto all' ospite, ci ha messo del suo per complicarsi la vita. Prima rivolgendosi alla giornalista con un «direttore Berlinguer» che, considerate le motivazioni del recente siluramento, è suonato strano.
Poi replicandole sul caso Marino che l' ex sindaco di Roma «si è dimesso lui, poi ha ritirato le dimissioni... Il suo tg ne ha dato ampia informazione con due o tre servizi in apertura...». «Dovevamo ignorare la notizia?», ha provocato l' ex direttrice del Tg3. «Ha mai ricevuto una telefonata da me su come fare il tg?», è stata la replica del premier.
«No. Da lei personalmente no», ha chiuso la Berlinguer lasciando chiaramente intendere di averne ricevute da qualcuno a lui vicino. Un' allusione chiara, pur nel bailamme di voci che si sovrapponevano. Ma un' allusione complicata da gestire e subito sopita da Semprini che ha dirottato la discussione su temi economici. Nel frattempo, delle imprescindibili domande di Facebook si erano completamente perse le tracce.
Insomma, complessivamente una serata storta. Ancora più storta dev' essere stata la mattinata di ieri, per il premier, una volta appreso il responso dell' Auditel: battuto da Di Maio, probabile candidato dei pentastellati. Già finora tutti i sondaggi dicevano che a un eventuale ballottaggio i grilli ni potrebbero prevalere. Ora, questo risultato è un' altra, piccolissima, ma fastidiosissima conferma.
Avrà di che riflettere la task force della comunicazione composta da Jim Messina, Filippo Sensi e Simona Ercolani che analizza tutto, comportamento dei giornalisti, linguaggio, situazioni, programmi e curve di ascolto per definire ogni presenza televisiva. Chissà, forse tra le variabili da inserire nell' algoritmo c' è anche quello riguardante la sovraesposizione mediatica e il suo, indesiderato, effetto collaterale.
Chiamasi saturazione.
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Re: Renzi
........AGLI ITALIANI PIACE IL BUNGA BUNGA.......
La manovra spot di Renzi: "Via Equitalia e fondi a Sanità"
Licenziata la Finanziaria per il 2017, che vale 26,5 miliardi. Pensioni, assunzioni e Fisco amico: una manovra elettorale
Claudio Torre - Sab, 15/10/2016 - 20:06
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La manovra arriva in ritardo. Matteo Renzi si presenta in conferenza stampa per spiegare la nuova legge di stabilità varata da Consiglio dei Ministri un'ora e mezza dopo rispetto a quanto annunciato.
Ape al via da maggio: i requisiti
Il ricatto ai Comuni sui migranti
video
"Ai sindaci 500 euro a immigrato"
video
"Così cancelliamo Equitalia"
Due i punti chiave annunciati dal premier, la chiusura di Equitalia e un aumento dei fondi alla Sanità. "Abbiamo approvato due testi. Quello della legge di Bilancio è piena di buone notizie. E il testo di un decreto legge che interviene su alcuni fondi del 2016 che abbiamo messo a disposizione per alcune voci urgenti e interviene nell’obiettivo di chiudere la parentesi Equitalia", ha affermato il premier. La manovra presentata dal Consiglio dei Ministri adesso dovrà passare sotto l'esame della Commissione europea per definire gli spazi di manovra sul rapporto deficit/Pil. Di fatto nel Def il governo ha fissato l'obiettivo al 2 per cento, ma ha chiesto al Parlamento la possibilità di spingersi fino al 2,4 per cento nel 2017. Un altro punto promesso dal premier riguarda le assunzioni. Renzo ha parlato di 10mila posti di lavoro soprattutto nella Sanità. Ma di fatto va detto che non si tratta di vere e proprie assunzioni ma buona parte di queste saranno solo delle stabilizzazioni.
Poi il premier si è rivolto agli industriali e ha parlato delle misure sulla competitività: "Il lavoro sulla competitività vale qualcosa come 20 miliardi e comprende industria 4.0 e soldi a chi investe", ha affermato Renzi. Poi il premier ha parlato della rioforma sulle pensioni e dell'uscita anticipata: "Noi manteniamo l’impainto ma diamo un’occasione a chi vuole andare in pensione. Ora può farlo. Abbiamo chiuso un accordo con il mondo dei pensionati, avevamo chiuso a 6 mld ed invece sono 7 nel triennio", ha aggiunto. "Sono sette miliardi di euro sul triennio e portano alla quattordicesima per le pensioni basse e per l’Ape in pensione prima. Se non hai titolo per accedere all’Ape social vai in pensione un anno prima con poco meno del 5% dello stipendio", ha spiegato il premier. Renzi parla anche di immigrazione e promette incentivi ai Comuni che ospitano i migranti: "Prevediamo incentivi ai Comuni che ricevono più migranti: 500 euro annui a migrante verranno assegnati ex post al Comune per le spese sostenute. E' una misura una tantum". Sul fronte della crescita nonostante le bocciature dell'Ufficio per il Bilancio, di Bankitalia e dell'Istat, il premier non arretra e lascia le stime all'1% per il 2017: "Lasciamo l’1% come crescita, anche se lenostre stime sono al 1,1 o 1,2%". Ma la lista delle mance elttorali di Renzi non finsice qui. Il premier annuncia anche una varizione sul costo del canone Rai: "Il canone Rai era a 113, è passato a 100 e passa a 90 il prossimo anno. E' un ulteriore cammino di discesa di tutto ciò che lo Stato chiede a cittadini".
La manovra spot di Renzi: "Via Equitalia e fondi a Sanità"
Licenziata la Finanziaria per il 2017, che vale 26,5 miliardi. Pensioni, assunzioni e Fisco amico: una manovra elettorale
Claudio Torre - Sab, 15/10/2016 - 20:06
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La manovra arriva in ritardo. Matteo Renzi si presenta in conferenza stampa per spiegare la nuova legge di stabilità varata da Consiglio dei Ministri un'ora e mezza dopo rispetto a quanto annunciato.
Ape al via da maggio: i requisiti
Il ricatto ai Comuni sui migranti
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"Ai sindaci 500 euro a immigrato"
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"Così cancelliamo Equitalia"
Due i punti chiave annunciati dal premier, la chiusura di Equitalia e un aumento dei fondi alla Sanità. "Abbiamo approvato due testi. Quello della legge di Bilancio è piena di buone notizie. E il testo di un decreto legge che interviene su alcuni fondi del 2016 che abbiamo messo a disposizione per alcune voci urgenti e interviene nell’obiettivo di chiudere la parentesi Equitalia", ha affermato il premier. La manovra presentata dal Consiglio dei Ministri adesso dovrà passare sotto l'esame della Commissione europea per definire gli spazi di manovra sul rapporto deficit/Pil. Di fatto nel Def il governo ha fissato l'obiettivo al 2 per cento, ma ha chiesto al Parlamento la possibilità di spingersi fino al 2,4 per cento nel 2017. Un altro punto promesso dal premier riguarda le assunzioni. Renzo ha parlato di 10mila posti di lavoro soprattutto nella Sanità. Ma di fatto va detto che non si tratta di vere e proprie assunzioni ma buona parte di queste saranno solo delle stabilizzazioni.
Poi il premier si è rivolto agli industriali e ha parlato delle misure sulla competitività: "Il lavoro sulla competitività vale qualcosa come 20 miliardi e comprende industria 4.0 e soldi a chi investe", ha affermato Renzi. Poi il premier ha parlato della rioforma sulle pensioni e dell'uscita anticipata: "Noi manteniamo l’impainto ma diamo un’occasione a chi vuole andare in pensione. Ora può farlo. Abbiamo chiuso un accordo con il mondo dei pensionati, avevamo chiuso a 6 mld ed invece sono 7 nel triennio", ha aggiunto. "Sono sette miliardi di euro sul triennio e portano alla quattordicesima per le pensioni basse e per l’Ape in pensione prima. Se non hai titolo per accedere all’Ape social vai in pensione un anno prima con poco meno del 5% dello stipendio", ha spiegato il premier. Renzi parla anche di immigrazione e promette incentivi ai Comuni che ospitano i migranti: "Prevediamo incentivi ai Comuni che ricevono più migranti: 500 euro annui a migrante verranno assegnati ex post al Comune per le spese sostenute. E' una misura una tantum". Sul fronte della crescita nonostante le bocciature dell'Ufficio per il Bilancio, di Bankitalia e dell'Istat, il premier non arretra e lascia le stime all'1% per il 2017: "Lasciamo l’1% come crescita, anche se lenostre stime sono al 1,1 o 1,2%". Ma la lista delle mance elttorali di Renzi non finsice qui. Il premier annuncia anche una varizione sul costo del canone Rai: "Il canone Rai era a 113, è passato a 100 e passa a 90 il prossimo anno. E' un ulteriore cammino di discesa di tutto ciò che lo Stato chiede a cittadini".
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Re: Renzi
UNA STORIA DI TUTTI I GIORNI, NEL PAESE SGOVERNATO DA PINOCCHIO MUSSOLONI
16 OTT 2016 12:01
LA ROMA DEI GIUSTI
- UN FILM ANTIRENZIANO E PER NULLA OTTIMISTA SUL PAESE “SOLE CUORE E AMORE DI DANIELE VICARI
- SEXY E DRAMMATICA ISABELLA RAGONESE SI MUOVE COL SUO CAPPETTINO ROSSO CON UN’ELEGANZA DA EROINA PASOLINIANA
- SALE PIENE, PIU’ 15 PER CENTO DI BIGLIETTI VENDUTI - - -
Marco Giusti per Dagospia
Festival di Roma. Terzo giorno. Sale piene. Più 15% di biglietti venduti. Film piuttosto buoni, anche se già visti in altri festival, Telluride, Sundance, Toronto. Molte star e molti incontri. Se la missione era riempire le sale e fare un po’ di salotto il Monda 2 sta funzionando. Anche se non c’è una vera identità di festival o una vera linea editoriale.
Ma sui film, almeno per ora, nulla da dire. Il primo film italiano della selezione ufficiale è Sole cuore amore, scritto e diretto da Daniele Vicari e prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci. E’ un film duro e sentito, ben girato e interpretato, anche se con qualche imperfezione di costruzione e qualche lunghezza, sulla crisi che ha travolto la classe più bassa del paese. Già un film antirenziano e per nulla ottimista sul paese in pieno referendum ci va bene.
Come ci va bene questo ritratto di una nuova eroina che sacrifica tutto il suo tempo e la sua salute per la costruzione della sua famiglia. Eli, Isabella Ragonese, è madre di quattro figli e ha un marito affettuoso e innamorato, Mario, Francesco Montanari, che non riesce a trovare un lavoro. Così lavora lei, in un bar. Solo che abita a Ostia e il bar sta a Roma, sulla Tuscolana, e ci mette due ore per arrivare e due per tornare. Prende un autobus, e una metro ogni mattina.
Con la sveglia alle 4,30 e un caffè veloce. Ma spesso arriva in ritardo, si scontra col padrone, Francesco Acquaroli, il suo cuore perde colpi, avrebbe bisogno di riposo. Nel suo stesso stabile a Ostia vive un’amica, Vale, Eva Grieco, che vive di notte facendo la ballerina, la performer, insieme a un’altra ragazza, Bianca, Giulia Anchisi. Vale spesso fa da babysitter ai bambini di Eli. E quando Bianca litiga col fidanzato manesco, la porta a casa sua, e forse si innamora di lei.
Quello che interessa allo spettatore e al regista, è il personaggio di Eli, resa magnificamente da Isabella Ragonese, la sua lotta giornaliera col tempo per arrivare al bar, per tornare a casa dai figli, il suo desiderio di sorridere sempre, anche quando sta male. Non succede molto nel film, e magari la storia di Vale ci porta in un’altra direzione, come se fosse un altro film, e non capiamo molto del personaggio di Mario, troppo poco definito in sceneggiatura, anche se Montanari è perfetto.
Ma la forza del film è in questa costruzione di melodramma realistico dove Ostia non è il regno del male alla Suburra o il quartiere ghetto dei film di Caligari, ma una periferia anche vivibile dove la vita è accettata per quello che è.
Non c’è desiderio di rivolta o di fuga in questi personaggi, c’è l’orgoglio di essere quello che si è o si vuole essere con le proprie forze, nel rispetto soprattutto di se stessi. Andando fino in fondo. Il sogno è quello del titolo, che rimanda a una canzoncina del tempo di Genova e del G8, “dammi tre parole… sole cuore amore”. Vicari e il suo direttore della fotografia, Gherardo Gossi, fanno un gran lavoro sull’immagine delle ragazze, inquadrate benissimo, Isabella Ragonese riesce a essere sia sexy che drammatica, ironica e tragica, si muove col suo cappettino rosso sui mezzi di Ostia con un’eleganza da eroina pasoliniana. Non ci sono premi in questa festival, ma io uno glielo inventerei. Il film uscirà a febbraio 2017.
16 OTT 2016 12:01
LA ROMA DEI GIUSTI
- UN FILM ANTIRENZIANO E PER NULLA OTTIMISTA SUL PAESE “SOLE CUORE E AMORE DI DANIELE VICARI
- SEXY E DRAMMATICA ISABELLA RAGONESE SI MUOVE COL SUO CAPPETTINO ROSSO CON UN’ELEGANZA DA EROINA PASOLINIANA
- SALE PIENE, PIU’ 15 PER CENTO DI BIGLIETTI VENDUTI - - -
Marco Giusti per Dagospia
Festival di Roma. Terzo giorno. Sale piene. Più 15% di biglietti venduti. Film piuttosto buoni, anche se già visti in altri festival, Telluride, Sundance, Toronto. Molte star e molti incontri. Se la missione era riempire le sale e fare un po’ di salotto il Monda 2 sta funzionando. Anche se non c’è una vera identità di festival o una vera linea editoriale.
Ma sui film, almeno per ora, nulla da dire. Il primo film italiano della selezione ufficiale è Sole cuore amore, scritto e diretto da Daniele Vicari e prodotto dalla Fandango di Domenico Procacci. E’ un film duro e sentito, ben girato e interpretato, anche se con qualche imperfezione di costruzione e qualche lunghezza, sulla crisi che ha travolto la classe più bassa del paese. Già un film antirenziano e per nulla ottimista sul paese in pieno referendum ci va bene.
Come ci va bene questo ritratto di una nuova eroina che sacrifica tutto il suo tempo e la sua salute per la costruzione della sua famiglia. Eli, Isabella Ragonese, è madre di quattro figli e ha un marito affettuoso e innamorato, Mario, Francesco Montanari, che non riesce a trovare un lavoro. Così lavora lei, in un bar. Solo che abita a Ostia e il bar sta a Roma, sulla Tuscolana, e ci mette due ore per arrivare e due per tornare. Prende un autobus, e una metro ogni mattina.
Con la sveglia alle 4,30 e un caffè veloce. Ma spesso arriva in ritardo, si scontra col padrone, Francesco Acquaroli, il suo cuore perde colpi, avrebbe bisogno di riposo. Nel suo stesso stabile a Ostia vive un’amica, Vale, Eva Grieco, che vive di notte facendo la ballerina, la performer, insieme a un’altra ragazza, Bianca, Giulia Anchisi. Vale spesso fa da babysitter ai bambini di Eli. E quando Bianca litiga col fidanzato manesco, la porta a casa sua, e forse si innamora di lei.
Quello che interessa allo spettatore e al regista, è il personaggio di Eli, resa magnificamente da Isabella Ragonese, la sua lotta giornaliera col tempo per arrivare al bar, per tornare a casa dai figli, il suo desiderio di sorridere sempre, anche quando sta male. Non succede molto nel film, e magari la storia di Vale ci porta in un’altra direzione, come se fosse un altro film, e non capiamo molto del personaggio di Mario, troppo poco definito in sceneggiatura, anche se Montanari è perfetto.
Ma la forza del film è in questa costruzione di melodramma realistico dove Ostia non è il regno del male alla Suburra o il quartiere ghetto dei film di Caligari, ma una periferia anche vivibile dove la vita è accettata per quello che è.
Non c’è desiderio di rivolta o di fuga in questi personaggi, c’è l’orgoglio di essere quello che si è o si vuole essere con le proprie forze, nel rispetto soprattutto di se stessi. Andando fino in fondo. Il sogno è quello del titolo, che rimanda a una canzoncina del tempo di Genova e del G8, “dammi tre parole… sole cuore amore”. Vicari e il suo direttore della fotografia, Gherardo Gossi, fanno un gran lavoro sull’immagine delle ragazze, inquadrate benissimo, Isabella Ragonese riesce a essere sia sexy che drammatica, ironica e tragica, si muove col suo cappettino rosso sui mezzi di Ostia con un’eleganza da eroina pasoliniana. Non ci sono premi in questa festival, ma io uno glielo inventerei. Il film uscirà a febbraio 2017.
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Re: Renzi
A TUTTO PINOCCHIO
Legge di Stabilità, compromesso sulla sanità: trovati i 2 miliardi in più per il Fondo. Ma uno è vincolato
Economia
Al via il decreto legge per "l'eliminazione di Equitalia" con "la cancellazione degli esosi interessi di mora". Attesi 4 miliardi di euro, mentre altri 2 dovrebbero arrivare dalla nuova edizione della voluntary disclosure, ma per il premier "non è un condono"
di F. Q. | 15 ottobre 2016
COMMENTI (1101)
“L’Italia non va ancora bene, ma va meglio di come andava prima”. Matteo Renzi ha così salutato il varo della Legge di Bilancio per il 2017 da parte del Consiglio dei ministri con una filosofia che secondo il premier coniuga “competitività ed equità”. E che sarà “piena di difficoltà ma anche di buone notizie per gli italiani”, anche perché “rivendichiamo i bonus dopo trent’anni di malus”. Sei i capitoli di intervento della manovra da 26,5 miliardi di euro, ben 2 in più del previsto. Il tutto a fronte di una scommessa confermata su una crescita dell’1% nel 2017 (“ma è scontato che sarà più corposa, lasciamo l’1% in modo signorile onde evitare polemiche e tensioni”, dice il premier con un chiaro riferimento al braccio di ferro con l’Ufficio parlamentare di bilancio decisamente meno ottimista), mentre l’asticella del rapporto deficit/Pil è stata fissata al 2,3 per cento, con uno 0,2% da destinare all’immigrazione. Dieci punti base in meno, insomma, rispetto ai desiderata dell’esecutivo (2,4%) ma ben di più rispetto a quelli di Bruxelles (2,0%, mentre sulle spese fuori patto sono già arrivate delle aperture non ancora quantificate dalla colomba Moscovici). Che in termini di coperture da trovare significa una somma compresa tra 1,7 e 2 miliardi di euro. Sempre che il 14 novembre arrivi il via libera della Commissione.
Tra le conferme rispetto alle attese, negli annunci c’è il decreto per la rottamazione di Equitalia collegato alla manovra: “Non c’è un condono, ma la cancellazione non delle multe bensì degli esosi interessi di mora“, ha sottolineato Renzi a proposito degli effetti attesi dalla sanatoria delle cartelle esattoriali da cui il governo si aspetta di incassare 4 miliardi di euro. “Equitalia ha due papà, è stata pensata e voluta da Visco e Tremonti da una idea giusta, ma il modello su cui si è sviluppata è stato inutilmente polemico nei confronti dei cittadini, vessatorio – ha detto il capo del governo – Chiudere Equitalia significa chiudere con quel modello e aprire un meccanismo per cui quando non paghi una tassa ti arriva un sms: se mi scordo”. Ci sarà un periodo di “almeno 6 mesi” per definire la chiusura della società di riscossione con “l’ingresso nella Agenzia delle entrate“.
Sempre in ambito fiscale, è confermata anche la nuova voluntary disclosure, lo scudo fiscale in chiave renziana da cui sono attesi 2 miliardi di euro, un’operazione che secondo il premier “non ha alcun elemento di condono“. E questo nonostante l’operazione non solo miri a sanare la posizione di chi ha nascosto il denaro oltreconfine, ma anche, secondo quanto emerso nei giorni scorsi, di chi ha occultato i contanti nelle cassette di sicurezza e nelle casseforti. Anche se è noto che buona parte di queste somme è il frutto di reati. Tra le sorprese, poi, rispuntano tutti e i due miliardi necessari per far crescere a 113 miliardi il Fondo del Servizio Sanitario Nazionale. Il secondo miliardo, che fino a venerdì notte sembrava cancellato, sarà però vincolato al piano nazionale per i vaccini, l’assunzione del personale precario e la disponibilità di nuovi farmaci oncologici e immunologici. Da segnalare anche il taglio del canone Rai che secondo quanto annunciato da Renzi nel 2017 passerà da 100 a 90 euro”.
Quanto alle altre uscite della manovra, i cui dettagli come per tutto il resto non sono ancora documentati neppure da una tabella, il presidente del Consiglio ha citato il pubblico impiego (1,9 miliardi di euro) per il rinnovo dei contratti, per il comparto delle Forze armate e dei corpi di polizia e per le nuove assunzioni. Sono poi di 4,5 miliardi gli stanziamenti confermati per il piano Casa Italia per la ricostruzione post sisma in Italia Centrale. Mentre per il bonus ristrutturazione e che sarà esteso anche agli alberghi l’esecutivo ha messo sul piatto 3 miliardi di euro. Nella manovra ci sono poi “600 milioni per la famiglia, un piccolo segnale di attenzione verso un grande investimento sulla famiglia che dovremmo fare nel 2018 con la modifica dell’Irpef”. Ai migranti invece saranno destinati 100 milioni di euro sotto forma di un “bonus gratitudine“, come l’ha definito il ministro degli Interni Angelino Alfano, “di 500 euro a migrante per i Comuni che ci hanno aiutato in questa sfida”. Il premier ha precisato che l’erogazione sarà conteggiata dal 15 ottobre. Renzi ha inoltre confermato 12 miliardi in tre anni per gli investimenti pubblici e 7 miliardi nel triennio (1,9, 2,5 e 2,6 miliardi l’anno nell’ordine) per Ape e pensioni minime.
Il pacchetto per le imprese, poi, ruota attorno al Piano industria 4.0 del ministro dello Sviluppo Carlo Calenda per rilanciare gli investimenti in ricerca e innovazione. Sul fronte fiscale l’Ires scende al 24% e, con la semplificazione dei balzelli, arriva la nuova imposta Iri (imposta sul reddito imprenditoriale) sempre al 24%. “L’Iri è un’opportunità per i piccoli imprenditori, che oggi sono soggetti a tassazione Irpef”, ha commentato Renzi. ”Significa che se oggi sei al massimo, paghi il 43%” dell’imposta sulle persone fisiche. “Con l’Iri puoi pagare il 24%”, cioè l’aliquota Ires. Cancellata inoltre l’Irpef agricola che, stima la Coldiretti, interessa 400mila contribuenti. Secondo quanto riferisce l’Ansa, poi, per gli under 40 che aprono un’impresa agricola sarà previsto l’esonero dei contributi previdenziali al 100% per i primi tre anni e poi del 66% e 50% per il quarto e quinto anno. Inoltre per favorire il credito e l’innovazione verranno azzerati i costi della garanzia bancaria, concessa da Ismea, a favore delle imprese agricole grazie all’estensione dei fondi dello sviluppo economico.
Oltre a condoni e sanatorie, tra le coperture necessarie per scongiurare le clausole di salvaguardia da 15 miliardi che prevederebbero un’impennata dell’Iva al 24% dal 2017, il governo ha citato un risparmio in beni e servizi per 3,3 miliardi attraverso la Consip, la centrale di acquisto della pubblica amministrazione. Mentre le risorse avanzate dalla ripartizione dei Fondi a disposizione della Presidenza del consiglio saranno girate al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.
Legge di Stabilità, compromesso sulla sanità: trovati i 2 miliardi in più per il Fondo. Ma uno è vincolato
Economia
Al via il decreto legge per "l'eliminazione di Equitalia" con "la cancellazione degli esosi interessi di mora". Attesi 4 miliardi di euro, mentre altri 2 dovrebbero arrivare dalla nuova edizione della voluntary disclosure, ma per il premier "non è un condono"
di F. Q. | 15 ottobre 2016
COMMENTI (1101)
“L’Italia non va ancora bene, ma va meglio di come andava prima”. Matteo Renzi ha così salutato il varo della Legge di Bilancio per il 2017 da parte del Consiglio dei ministri con una filosofia che secondo il premier coniuga “competitività ed equità”. E che sarà “piena di difficoltà ma anche di buone notizie per gli italiani”, anche perché “rivendichiamo i bonus dopo trent’anni di malus”. Sei i capitoli di intervento della manovra da 26,5 miliardi di euro, ben 2 in più del previsto. Il tutto a fronte di una scommessa confermata su una crescita dell’1% nel 2017 (“ma è scontato che sarà più corposa, lasciamo l’1% in modo signorile onde evitare polemiche e tensioni”, dice il premier con un chiaro riferimento al braccio di ferro con l’Ufficio parlamentare di bilancio decisamente meno ottimista), mentre l’asticella del rapporto deficit/Pil è stata fissata al 2,3 per cento, con uno 0,2% da destinare all’immigrazione. Dieci punti base in meno, insomma, rispetto ai desiderata dell’esecutivo (2,4%) ma ben di più rispetto a quelli di Bruxelles (2,0%, mentre sulle spese fuori patto sono già arrivate delle aperture non ancora quantificate dalla colomba Moscovici). Che in termini di coperture da trovare significa una somma compresa tra 1,7 e 2 miliardi di euro. Sempre che il 14 novembre arrivi il via libera della Commissione.
Tra le conferme rispetto alle attese, negli annunci c’è il decreto per la rottamazione di Equitalia collegato alla manovra: “Non c’è un condono, ma la cancellazione non delle multe bensì degli esosi interessi di mora“, ha sottolineato Renzi a proposito degli effetti attesi dalla sanatoria delle cartelle esattoriali da cui il governo si aspetta di incassare 4 miliardi di euro. “Equitalia ha due papà, è stata pensata e voluta da Visco e Tremonti da una idea giusta, ma il modello su cui si è sviluppata è stato inutilmente polemico nei confronti dei cittadini, vessatorio – ha detto il capo del governo – Chiudere Equitalia significa chiudere con quel modello e aprire un meccanismo per cui quando non paghi una tassa ti arriva un sms: se mi scordo”. Ci sarà un periodo di “almeno 6 mesi” per definire la chiusura della società di riscossione con “l’ingresso nella Agenzia delle entrate“.
Sempre in ambito fiscale, è confermata anche la nuova voluntary disclosure, lo scudo fiscale in chiave renziana da cui sono attesi 2 miliardi di euro, un’operazione che secondo il premier “non ha alcun elemento di condono“. E questo nonostante l’operazione non solo miri a sanare la posizione di chi ha nascosto il denaro oltreconfine, ma anche, secondo quanto emerso nei giorni scorsi, di chi ha occultato i contanti nelle cassette di sicurezza e nelle casseforti. Anche se è noto che buona parte di queste somme è il frutto di reati. Tra le sorprese, poi, rispuntano tutti e i due miliardi necessari per far crescere a 113 miliardi il Fondo del Servizio Sanitario Nazionale. Il secondo miliardo, che fino a venerdì notte sembrava cancellato, sarà però vincolato al piano nazionale per i vaccini, l’assunzione del personale precario e la disponibilità di nuovi farmaci oncologici e immunologici. Da segnalare anche il taglio del canone Rai che secondo quanto annunciato da Renzi nel 2017 passerà da 100 a 90 euro”.
Quanto alle altre uscite della manovra, i cui dettagli come per tutto il resto non sono ancora documentati neppure da una tabella, il presidente del Consiglio ha citato il pubblico impiego (1,9 miliardi di euro) per il rinnovo dei contratti, per il comparto delle Forze armate e dei corpi di polizia e per le nuove assunzioni. Sono poi di 4,5 miliardi gli stanziamenti confermati per il piano Casa Italia per la ricostruzione post sisma in Italia Centrale. Mentre per il bonus ristrutturazione e che sarà esteso anche agli alberghi l’esecutivo ha messo sul piatto 3 miliardi di euro. Nella manovra ci sono poi “600 milioni per la famiglia, un piccolo segnale di attenzione verso un grande investimento sulla famiglia che dovremmo fare nel 2018 con la modifica dell’Irpef”. Ai migranti invece saranno destinati 100 milioni di euro sotto forma di un “bonus gratitudine“, come l’ha definito il ministro degli Interni Angelino Alfano, “di 500 euro a migrante per i Comuni che ci hanno aiutato in questa sfida”. Il premier ha precisato che l’erogazione sarà conteggiata dal 15 ottobre. Renzi ha inoltre confermato 12 miliardi in tre anni per gli investimenti pubblici e 7 miliardi nel triennio (1,9, 2,5 e 2,6 miliardi l’anno nell’ordine) per Ape e pensioni minime.
Il pacchetto per le imprese, poi, ruota attorno al Piano industria 4.0 del ministro dello Sviluppo Carlo Calenda per rilanciare gli investimenti in ricerca e innovazione. Sul fronte fiscale l’Ires scende al 24% e, con la semplificazione dei balzelli, arriva la nuova imposta Iri (imposta sul reddito imprenditoriale) sempre al 24%. “L’Iri è un’opportunità per i piccoli imprenditori, che oggi sono soggetti a tassazione Irpef”, ha commentato Renzi. ”Significa che se oggi sei al massimo, paghi il 43%” dell’imposta sulle persone fisiche. “Con l’Iri puoi pagare il 24%”, cioè l’aliquota Ires. Cancellata inoltre l’Irpef agricola che, stima la Coldiretti, interessa 400mila contribuenti. Secondo quanto riferisce l’Ansa, poi, per gli under 40 che aprono un’impresa agricola sarà previsto l’esonero dei contributi previdenziali al 100% per i primi tre anni e poi del 66% e 50% per il quarto e quinto anno. Inoltre per favorire il credito e l’innovazione verranno azzerati i costi della garanzia bancaria, concessa da Ismea, a favore delle imprese agricole grazie all’estensione dei fondi dello sviluppo economico.
Oltre a condoni e sanatorie, tra le coperture necessarie per scongiurare le clausole di salvaguardia da 15 miliardi che prevederebbero un’impennata dell’Iva al 24% dal 2017, il governo ha citato un risparmio in beni e servizi per 3,3 miliardi attraverso la Consip, la centrale di acquisto della pubblica amministrazione. Mentre le risorse avanzate dalla ripartizione dei Fondi a disposizione della Presidenza del consiglio saranno girate al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.
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Re: Renzi
"I patti con Renzi erano diversi" L'Ue vuole bocciare la manovra
Dopo il varo della Finanziaria in Cdm, Bruxelles punta il dito contro l'Italia ed è pronta a frenare gli spot renziani
Franco Grilli - Dom, 16/10/2016 - 10:22
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La manovra appena varata dal governo a quanto pare non convice Bruxelles.
Il banco di prova per Renzi e Padoan sarà di fatto il parere della Commissione europea. Parere che potrebbe essere negativo e potrebbe costringere il governo a rischivere da capo la legge di Stabilità. "Se Renzi non abbassa il deficit entro 15 giorni la manovra verrà respinta e l’Italia finirà subito in procedura per debito e deficit". Sarebbe questo il pensiero di Bruxelles, secondo quanto riporta Repubblica riguardo alla manovra di Renzi. Il parere di Juncker e della Commissione potrebbe pesare come un macigno sulla manovra spot del premier.
A quanto pare gli accordi tra Roma e Bruxelles erano diversi. "L’accordo raggiunto tra Juncker, Schulz, Moscovici e Renzi era al 2,2%. Una concessione già generosamente oltre le regole nonostante l’impegno preso per iscritto da Padoan a maggio e possibile solo grazie all’impegno di Juncker e Schulz, visto che Moscovici non sarebbe andato oltre il 2,1%. Ma ora è troppo, non ci sono margini", avrebbe detto qualcuno della Commissione. Insomma la legge di Stabilità annunciata come una televendita con tanto di diretta Facebook potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang per il premier. Lo scostamento di 1,6 miliardi potrebbe far saltare i piani dell'esecutivo con Bruxelles pronta a bloccare la manovra. Ed è lo stesso Juncker a mettere nel mirino le scelte di Renzi e Padoan: "O riportate il deficit al 2,2% entro il 30 ottobre, oppure la manovra non passerà". La Commissione, qualora Renzi non si adeguasse ai parametri europei, potrebbe anche revocare la flessibilità concessa per per il 2015-2016. Via in un solo colpo 19 miliardi di bonus e Bruxelles potrebbe avviare una procedura d'infrazione per l'Italia già da novembre. Una mossa che esporrebbe l'Italia sui mercati, ma che darebbe mano libera all'Ue sulle scelte di politica economica nel nostro Paese.
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