referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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13 ottobre 2016 | di Manolo Lanaro
Referendum, Rodotà: “Dibattito tv con Renzi? Io sono sempre disponibile a confronto”

“Il presidente del Consiglio è nella posizione di poter far entrar nella discussione sul referendum Costituzionale una serie di slogan”. Il professor Stefano Rodotà spiega che il suo No “non è contro il governo, ma sull’ipotesi di modifica del terreno comune: quello costituzionale”. Poi sui faccia a faccia televisivi, sul tema referendario, Rodotà afferma che: “Zagrebelsky non ha sbagliato a confrontarsi con Renzi, la democrazia è fatta di dialogo“. Disponibile ad un confronto con Renzi? “Io non ho mai rifiutato il confronto” risponde Rodotà ai giornalisti, a margine del convegno organizzato da Massimo D’Alema e Gaetano Qualiariello a Roma, contro la Riforma Boschi


VIDEO:

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/10/ ... to/566682/
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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REFERENDUM COSTITUZIONALE
Referendum costituzionale, se cambia l’Italicum la riforma è votabile?

Referendum Costituzionale
di Francescomaria Tedesco | 13 ottobre 2016
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Non riesco a non pensare a Massimo Recalcati che, sdraiato sul lettino dello psicanalista, dice “Stalinisti, dottore, stalinisti ovunque”. L’articolo che Recalcati ha scritto su Repubblica attribuisce la colpa delle critiche a Roberto Benigni, ‘reo’ di aver cambiato idea sulla Costituzione “più bella del mondo” (sic) e di voler votare Sì al referendum costituzionale di dicembre, allo ‘stalinismo’ insito nella cultura della sinistra, che guarderebbe al dissenso in termini di ‘tradimento’.

Ora, a parte che se qualche tempo fa davi dello stalinista usandolo come una critica a uno di Vergaio, rischiavi che quello ti mettesse le mani sul viso. Vergaio, frazione di Prato dove Benigni ha vissuto dall’età di 6 anni, roccaforte P.C.I., luogo di ambientazione di Berlinguer ti voglio bene. Un posto dove i bambini li chiamavano Yuri, Dimitri, Vladimiro (come il Vladimiro Tegoloni compagno locale del dibattito dal titolo “Pole la donna permettisi di pareggiare coll’omo?”, alla casa del popolo Majakovskij del film di Benigni-Giuseppe Bertolucci). Eppure, di recente la piccola frazione è stata espugnata dalla Lega alle elezioni regionali. Ma vabbè, sic transit.




‘Tradimento’ rimane una brutta parola, degna forse di una setta e non delle opinioni politiche, che possono mutare. Pare che nel frattempo siano mutate anche quelle di Pier Luigi Bersani, che ora dice di voler votare No al referendum, mentre Renzi giustamente gli ricorda di averla votata, la riforma – e per ben 3 volte – in Parlamento. Ha scritto Bersani che “con l’elezione diretta dei senatori e un radicale cambiamento dell’Italicum, con tutti i suoi limiti, la riforma costituzionale sarebbe potabile. Con la nomina dei senatori e dei deputati e con la democrazia del capo, la riforma è indigeribile“.

Francesca Barracciu, con eleganza, ha risposto su Twitter (salvo poi rimuovere il tweet) a Matteo Orfini (uno che di cambiamenti di opinione se ne intende), il quale chiedeva a che gioco si stesse giocando, che il gioco a cui gioca Bersani è quello di chi spara da dietro i muretti, il gioco degli “infami”.

In verità Bersani almeno sull’Italicum aveva votano no. In ogni caso, avevo scritto su questo giornale già a luglio che la minoranza Pd aspettava una modifica dell’Italicum per farsi andar bene (per bersi, stando alla metafora di Bersani) la riforma della Costituzione proposta dal suo stesso partito. Durante la direzione del Pd Matteo Renzi si è detto disponibile a modificare la legge elettorale, ma solo “dopo il referendum”. La minoranza del Pd naturalmente è messa all’angolo, meglio si è messa all’angolo e ora si dice costretta a fidarsi delle promesse del segretario. Ma è vero che una modifica (quale, poi?) dell’Italicum renderebbe potabile la riforma della Costituzione? La risposta è no. Renzi dice “niente alibi, modifichiamo [quando? ndr] l’Italicum”, ma l’alibi lo cercano coloro che non aspettavano che una promessa per votare Sì al referendum costituzionale.

Mettiamo il caso che l’Italicum cambi davvero superando i limiti che gli sono connaturati e che riguardano la nomina dei parlamentari (tralasciando, come fa Bersani, la questione – invero gigantesca – del premio di maggioranza): quale sarebbe l’effetto di tracimazione sulla riforma della Costituzione che la renderebbe ‘votabile‘? Non è forse vero che l’articolo 70 della nuova Carta rimarrebbe lo stesso, pasticciato come è ora, prevedendo le stesse farraginose procedure che prevede così come è nella sua versione novellata? E che la Carta modificata continuerebbe ad avere quella spinta verso uno strapotere dell’esecutivo a discapito del Parlamento?

Il nuovo articolo 70, 7° comma, prevede per esempio il cosiddetto voto ‘a data certa’, simile al vote bloqué della V Repubblica francese: il governo ha il potere di chiedere alla Camera dei deputati di riconoscere, entro 5 giorni, che un disegno di legge è “essenziale per l’attuazione del programma di governo”, dopodiché la Camera dovrà deliberare entro 70 giorni (prorogabili di 15). Il testo precedente prevedeva addirittura che il testo da sottoporre alla Camera fosse immodificabile! Il voto ‘a data certa’, assieme ai decreti-legge (e ai disegni di legge), costituisce uno spostamento del sistema costituzionale verso l’esecutivo. Spostamento a cui si devono aggiungere le pratiche correnti dell’esecutivo e del Parlamento: ‘canguri’, maxiemendamenti, mille-proroghe, fiducie, tagliole e ghigliottine. Tutto questo con l’Italicum devasterebbe il sistema parlamentare. Effetto che un Italicum modificato, non si sa come (né quando e se), non cancellerebbe affatto.
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REFERENDUM COSTITUZIONALE

Referendum costituzionale, benvenuti nella post-democrazia del Sì
Referendum Costituzionale
di Pierfranco Pellizzetti | 13 ottobre 2016
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Pierfranco Pellizzetti
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Gustavo Zagrebelsky continua a manifestare un’inaspettata timidezza che produce frutti acerbi. Un troppo tremulo e ben poco determinato avvocato delle tesi di cui si era assunto l’onere della difesa. Dopo la mediocre figura argomentativa con il bullesco Renzi, ora insiste con la flebile argomentazione contro la sciocchezza, propugnata protervamente da Eugenio Scalfari nella sua domenicale lenzuolata, secondo cui l’oligarchia sarebbe la sola forma di democrazia.

Tesi senile, in cui ritornano giovanilistiche fascinazioni con il braccio teso nel saluto romano, del decano dell’italico giornalismo, a lungo impancato come vestale del pensiero liberal-democratico da Amici del Mondo (Scalfari)? Subalternità dell’ultimo esponente dell’azionismo torinese alle gerarchie del quotidiano che lo ospita (Zagrebelsky)?





Il fatto è che questo dibattito, maturato all’ombra della scadenza referendaria, mostra una preoccupante sottovalutazione della posta in gioco: la democrazia, che solo un pensiero rozzo può ridurre a mero criterio di calcolo (una testa un voto), quando il venerando termine ci parla niente meno che del governo realizzato attraverso pubblico dibattito. Di cui l’oligarchia – nel migliore dei casi tecnocrazia – si presenta esattamente come il suo opposto: un sistema chiuso, quando la democrazia tende alla società aperta. Come ho scritto da qualche parte, l’idea inclusiva di politica pubblica coinvolgente cara a Erasmo da Rotterdam, contrapposta a quella di Niccolò Machiavelli che la riduce a tecnologia del potere.

Con un di più, che il duo Zac-Scal dimostra di ignorare: la democrazia promossa dalle rivoluzioni settecentesche (dei grandi numeri e dei grandi spazi) non subisce necessariamente derive verticistiche che la trasformano nel suo contrario. A meno di non confondere il principio rappresentativo, la grande invenzione del pensiero politico moderno, con la chiusura oligarchica. Al massimo si può dire che la rappresentanza tende a riprodurre élite.

Lo sostenevano Mosca e Pareto ma anche Gobetti e – perfino – Lenin. Il ché non impedisce che tali classi dirigenti siano democratiche, se sottoposte a controllo democratico. Sempre se sussiste la condizione che l’attuale referendum, ossessionato dalla logica oligarchico-tecnocratica del decisionismo, vorrebbe abrogare: il mantenimento in essere di condizioni competitive. Ergo, il conflitto. Primo fra tutti quello tra i tanti senza potere che riequilibrano il potere dei pochi con la forza del numero.

Come avveniva nelle relazioni industriali prima che il lavoro venisse depotenziato abrogandone i diritti; come avveniva nella politica prima che le tendenze corporative riducessero le distinzioni tra destra e sinistra a pura teatralità, prima che la rappresentanza fosse svilita a finzione, azzerando qualsivoglia strumento di partecipazione.

Insomma prima che la democrazia scivolasse nella post-democrazia (in cui il confronto politico si trasforma in competizione tra marchi, privi di effettive valenze contenutistiche e sociali) e – a sua volta – la post-democrazia iniziasse la sua corsa suicida verso la “democratura”: una forma dittatoriale esercitata da ristrette collusioni tra potenti incontrollati/incontrollabili (la plutocrazia alleata con leader bonapartisti) all’interno di un guscio fatto di riti democratici puramente formali.

È chiaro che questi fenomeni vanno ben oltre i maneggi di un ragazzotto di Rignano: sono i segni inquietanti di un’epoca di grande smarrimento, in cui la violenza del privilegio tende a farla da padrone. Magari suscitando consenso in algidi novantenni che ormai stentano a contenere i tratti autoritari del proprio pensiero.

Preoccupa che troppo spesso l’opposizione a questo precipitare nel gorgo di antichi gironi infernali trovi opposizioni tanto tiepide. Specie considerando che il contrasto della restaurazione controriformista renziana costituirebbe un valido dente d’arresto per il passetto che vorrebbero farci compiere verso quei malfamati gironi.
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La firma di Mattarella: "La Costituzione non si deve toccare"
Il capo dello Stato nel 2008 scrisse lo statuto dei valori Pd: "Non è alla mercé del governo"


Roberto Scafuri - Lun, 17/10/2016 - 08:27
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«Non si può cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza». Firmato Sergio Mattarella.


Il Pd vuole riscrivere la Costituzione ma farebbe meglio a riscrivere il proprio Manifesto fondativo, approvato dall'assemblea costituente il 16 febbraio 2008. Dove c'è scritto, nero su bianco, che il nascente Pd si impegna a non cambiare mai la Costituzione a colpi di maggioranza. In calce c'è anche la firma dell'attuale capo dello Stato, chiamato da Romano Prodi a redigere la carta dei valori del Partito democratico.

Di tutte le bugie sulle riforme, questa è la più grande. La riforma Boschi tradisce i valori del Pd. E questo spiega lo smarrimento di una parte dell'elettorato dem. «La Costituzione non è alla mercé della maggioranza del momento», si legge a pagina 4 del Manifesto, ben visibile sul sito del Pd, e la Carta scritta nel 1948 resta «la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Pd si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità» e «a mettere fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza», stagione peraltro inaugurata dal centrosinistra nel 2001 dal duo Massimo D'Alema-Giuliano Amato per strizzare l'occhio all'elettorato leghista, ma questa è un'altra storia...

Nella commissione fortemente voluta dal due volte ex premier c'erano una dozzina di intellettuali, politici e artisti, da Rita Borsellino a Liliana Cavani, da Michele Salvati a Pietro Scoppola. Tra gli estensori c'erano anche Luciano Violante - che evidentemente oggi ha cambiato idea, visto che è uno strenuo promotore del Sì - e l'attuale capo dello Stato Sergio Mattarella, che dal Quirinale certamente non può esprimersi a favore del «Sì» o del «No», ma che certo si troverebbe fortemente ridimensionato da una riforma che lui stesso, pochi anni fa, non vedeva di buon occhio. E che calpesta, come lui stesso da studioso sostenne con forza otto anni fa, i principi e i valori che i padri costituenti vollero fissare.

Anche la genesi del Manifesto è importante. Venne scritto a caldo dopo che la riforma del centrodestra, la cosiddetta devolution che dimezzava i parlamentari e aboliva realmente i poteri del Senato, fu bocciata alle urne nel referendum del 2006. Quella stessa riforma che oggi Renzi dice, soprattutto a destra, di aver in qualche modo «copiato». Ma dalla quale il Pd nel suo Manifesto fondativo prende espressamente le distanze. A pagina 5 si legge infatti: «La Costituzione può e deve essere aggiornata, nel solco delle grandi democrazie europee, con riforme condivise». E condivise non vuol certo dire approvate con un voto di fiducia e con maggioranze variabili fatte da transfughi del centrodestra (che peraltro si sono pure pentiti di aver avallato il ddl Boschi). No, le riforme, stando al Manifesto Pd, devono essere «coerenti con i principi e i valori della Carta del 1948, confermati a larga maggioranza dal referendum 2006».

Quindi il Pd guidato da Matteo Renzi ha un Manifesto fondativo dove si scrive che tutte le riforme previste dalla cosiddetta devolution approvata dal centrodestra nel 2006, su tutte il superamento del bicameralismo perfetto, sono da considerarsi carta straccia. Come il loro Manifesto fondativo, in pratica. E come il centrosinistra in caso di vittoria del No, come si profila dai sondaggi.
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REFERENDUM: MISTERO DEL MULTIVOTO
di Furio Colombo

È difficile spiegare a chi arriva adesso o non ha pratica dellequestioni italiane che cosa sia il referendum che sta paralizzando l’Italia e la rende preda di un incantesimo che non è detto finisca il 4 dicembre (se si voterà il 4 dicembre). Mi chiedono di farlo in una università americana, e cerco di essere chiaro e completo. Infatti “referendum”è una parola-codice per dire (e per indurre a fare)molte cose diverse. Non è simbolo o metafora. Indica una serie di fatti profondamente diversi eportatori di conseguenze non connesse con i fatti, e in parte, forse non previsti. Tento dunque un inventario. 1) Si tratta di un referendum, a cui impropriamente sono chiamati tutti gli italiani, per decidere se MatteoRenzi debba,o no,restare segretario del Partito democratico. 2) Il referendum dovrà decidere se Matteo Renzi resterà, o no, presidente del Consiglio della Repubblica italiana. 3) I cittadini votano per evitare od ottenere elezioni anticipate. 4)L’esito delvoto deciderà quale partito vincerà le elezioni politiche successive, siano esse anticipate o alla scadenza prevista del 2018. Ovvero si vota per decidere chi prevarrà nel testa a testa in corso fra il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle. 5) Il voto, in apparenza un referendum costituzionale, restituirà a
partiti divenuti marginali, come la Lega, Fratelli d’Italia e i residui della destra,un ruolomisurabile e visibilee potràcreare lecondizioni di ricompattamento di tutta la destra. 6) I cittadini che sceglieranno “s ì”voteranno per se stessi (semplificarele istituzioni e il rapporto cittadini-istituzioni) e contro se stessi (ottenendo un Senato inagibile e ineleggibile). 7)I cittadiniche voteranno“no” nell’intento di evitare lo stato di inguaribile disordine creato dalla nuova legge costituzionale, cadranno nelle turbolenze di una legislatura che non può durare (mancanointenti comuni)enon può finire (manca una legge elettorale). Tutto rimane nelle mani di una maggioranza che è in grado di bloccare le vie di fuga dal disastro creato, ma non può o non vuole of
frire una sua soluzione dell'ingorgo. 8)Sia la lunga attesa del voto sia l’esito del voto, e le relative conseguenze, saranno un colpo mortale all'economia italiana. Prima del voto tutto è sospeso. Dopo il voto, la vittoria del “sì” porterà un groviglio di confusioni istituzionali (chi fa che cosa e con quali poteri) di lunga durata, che si aggraveranno con la progressiva conoscenza ed esperienza delle nuove norme inagibili. E la vittoria del “no ”porterà vendetta (perché bisognerà dimostrare i dannidell'avere negatolanuova Costituzione). 9)L’Italiaresterà una immagine sfuocata quanto a regole, potere e tipo di Repubblica e ciò renderà impossibile sia una sua utile e autorevole partecipazione comunitaria in Europa sia una credibile politica estera nel mondo. 10)A causa di tutti i punti precedenti, il furore dell'antipolitica e la rivolta del populismo diventeranno violenti e pericolosi perché il “sì”vincente dovrà scoprire le carte della sua impossibilità di funzionare, e il “sì”perdente avrà tuttol'interesse afavorire la corsa antipolitica e del populismo contro il “no”(composto, si dirà, di privilegiati e di vecchi che hanno negato il nuovo). Si profila, dunque, un tempo di prolungata contrapposizione
politica tra protagonisti con immagini e proposte nebbiose e mutevoli, una frequente caduta di frammenti(evasione oabbandono) da ciascun schieramento, assenza quasi completa di attività di governo (in condizioni del genere qualcuno comanda ma nessuno può governare) anche a causa di schieramenti parlamentari solidi quanto a legame con la funzione elettiva,ma succubidi leader nervosi che calcolano continuamente ed esclusivamente la propria tenuta personale. Intanto la distanza fra vita politica (Parlamento, istituzioni, governo) e cittadini si è andata divaricando, fino al punto di creare un senso di abbandono e di rancore crescente. Lasituazione, benchécoperta da continue invenzioni di pubbliche relazioni (probabilmente anche la “riforma costituzionale” per cui si vota è –come suggerisce il vuoto che porta –la più complicatadiqueste invenzioni,dicuii costituzionalisti sono costernati, ma non i pubblicitari, che vedono la trovata) già adesso non è di governo. L’Italia manda soldati, riceve profughi, aumenta i debiti e accetta trattati, compra e vende armi, senza avere discusso, deciso o calcolato le conseguenze. Ogni decisione sfiora il Parlamento con brevi votazioni di commissione, olo ignora.E lasciai cittadini fuori da ogni comprensione o partecipazione. Restano ignoti il punto e la ragione in cui tutta questa arrischiata e pericolosa avventura della vita italiana è cominciata e in base a quali circostanze continua. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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MAI AVREI CREDUTO CHE OBAMA SI SQUALIFICASSE COSI' DAVANTI ALLA STORIA. PROPRIO SUL FILO DI LANA A POCHI GIORNI DALL'ADDIO ALLA PRESIDENZA.




Referendum, ora l’endorsement Usa è ufficiale
Obama incontra Renzi: “Il Sì può aiutare l’Italia”

Dopo le banche d’affari e l’ambasciatore statunitense in Italia, il presidente dà man forte al premier
#PerchéNo, l’iniziativa social del Fatto Quotidiano per condividere la scelta del prossimo 4 dicembre
renzi-obama-ppp
Referendum Costituzionale
“Siamo d’accordo sul fatto che bisogna concentrarsi sulla crescita per la prosperità delle persone: Matteo sta facendo le riforme in Italia, a volte incontra resistenze e inerzie ma l’economia ha mostrato segni di crescita, anche se ha ancora tanta strada da fare”. Così il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, in conferenza stampa alla Casa Bianca con il premier Renzi: “Ci sarà un referendum per ammodernare le istituzioni italiane” che può “aiutare l’Italia verso un’economia più vibrante
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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Corriere 18.10.16
Perché No
Anna Falcone: “È solo propaganda”
“Niente garanzie agire dal basso sarà più difficile”
Queste norme sono un esempio di propaganda, irrispettoso del diritto dei cittadini ad essere informati
Anna Falcone, avvocatessa cassazionista, fa parte dei comitati del No


ROMA. Sale il numero delle firme per le proposte di iniziativa popolare, ma con la riforma c’è la garanzia che le Camere le discuteranno in tempi certi. Non è un passo avanti avvocatessa Anna Falcone?
«La realtà è ben diversa dalla propaganda di governo: il nuovo art. 71 aumenta il numero delle firme – il triplo di quanto è richiesto dalla Costituzione vigente – ma si guarda bene dal garantirne l’obbligo di calendarizzazione e deliberazione. Al contrario, la riforma prevede una mera norma di rinvio ai regolamenti parlamentari che dovranno stabilire tempi, forme e limiti – sottolineo “limiti” – della discussione.
Una tale norma di rinvio non da garanzia di nulla. Anche perché i regolamenti possono essere modificati dalla stessa maggioranza di governo».
La novità dei referendum propositivi e di indirizzo non dimostra la volontà di favorire la partecipazione dei cittadini alla vita politica?
«È un altro “specchietto per le allodole”: la riforma non stabilisce alcuna garanzia certa, ma si limita a rinviare la disciplina concreta dei referendum propositivi e di indirizzo a una futura legge costituzionale, che dovrà prevedere le “condizioni” e gli “effetti” di tali consultazioni. Anche qui una promessa futura a contenuto libero e “a data incerta”. Un fulgido esempio di propaganda, irrispettosa del diritto dei cittadini a conoscere i reali contenuti della riforma e votare consapevolmente».
Per i referendum abrogativi si introduce la possibilità di un quorum di validità più basso se la proposta viene da almeno 800 mila cittadini. Non è una possibilità in più per la democrazia diretta?
«No, perché rimane l’evidente sperequazione di mezzi e risorse per raccogliere le firme necessarie, a seconda che l’iniziativa sia intrapresa da semplici cittadini o da soggetti organizzati e che dispongono di mezzi e risorse proprie, o altrimenti foraggiate. La riforma non prevede nulla in tal senso, ovvero per consentire a tutti i cittadini un uguale ed effettivo accesso all’istituto referendario».
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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Referendum, l’appello per il no di Libertà e Giustizia e MicroMega: “Questa riforma attua le indicazioni di Jp Morgan


di Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Tomaso Montanari, Nadia Urbinati e Gustavo Zagrebelsky*

Tra cinquanta giorni, il prossimo 4 dicembre, il governo Renzi chiederà agli italiani: “Volete contare di meno, volete meno democrazia, volete darci mano libera?”.

Noi risponderemo di No. Perché non vogliamo contare di meno, non vogliamo meno democrazia, non vogliamo dare mano libera a questo, come a qualunque altro governo.

Una classe politica incapace e spesso corrotta prova a convincerci che la colpa è della Costituzione: ma non è così. A chi ci dice che per far funzionare l’Italia bisogna cambiare le regole, rispondiamo: noi, invece, vogliamo cambiare i giocatori.

Questa riforma non abbatte i costi della politica: fa risparmiare 50 milioni l’anno (non 500 come dice il presidente del Consiglio, mentendo), che è quanto gettiamo ogni giorno in spesa militare. Come possiamo credere alla buona fede di un governo che sottrae somme enormi al bilancio pubblico permettendo alla Fiat (ma anche all’Eni, controllata dallo Stato) di pagare le tasse in altri paesi, e poi viene a chiederci di fare a brandelli le garanzie costituzionali per risparmiare un pugno di soldi?

Questa riforma non abolisce il Senato: che continuerà a fare le leggi seguendo numerosi e tortuosi percorsi. Quella che viene abolita è la sua elezione democratica diretta: il Senato farà la fine delle attuali provincie, che esistono ancora, spendono denaro pubblico, ma sono in mano ad un personale nominato dalla politica, e non eletto dal popolo.

Questa riforma consentirà a una maggioranza gonfiata in modo truffaldino dalla legge elettorale su cui il governo Renzi ha chiesto per ben tre volte la fiducia di scegliersi il presidente della Repubblica e di condizionare la composizione della Corte costituzionale e del Csm.

Questa riforma attua in modo servile le indicazioni esplicite della più importante banca d’affari americana, la JP Morgan, che in un documento del 2013 ha scritto che l’Italia avrebbe dovuto liberarsi di alcuni “problemi” dovuti al fatto che la sua Costituzione è troppo “socialista”. Quei “problemi” sono – nelle parole di JP Morgan –: “governi deboli; stati centrali deboli rispetto alle regioni; tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori; il diritto di protestare se cambiamenti sgraditi arrivano a turbare lo status quo”. Matteo Renzi dice che il suo modello politico è Tony Blair, il quale oggi percepisce due milioni e mezzo di sterline all’anno come consulente di JP Morgan. E la domanda è: a chi giova questa riforma costituzionale, ai cittadini italiani o agli speculatori internazionali?

Ma negli ultimi giorni anche osservatori legati alla finanza internazionale stanno iniziando a farsi qualche domanda. Il Financial Times ha definito la riforma Napolitano-Renzi-Boschi “un ponte che non porta da nessuna parte”. La metafora è particolarmente felice, visto che la campagna referendaria di Renzi è partita con la resurrezione del Ponte sullo Stretto, di berlusconiana memoria.

E in effetti c’è un forte nesso tra la riforma e le Grandi Opere inutili e devastanti: il nuovo Titolo V della Carta è scritto per eliminare ogni competenza delle Regioni in fatto di porti, aeroporti, autostrade e infrastrutture per l’energia di interesse nazionale: e spetta ai governi stabilire quali lo siano.

Così il disegno si chiarisce perfettamente: lo scopo ultimo della riforma è umiliare e depotenziare la partecipazione democratica. Sarà il presidente del Consiglio e il suo governo, quali che essi siano oggi e domani, a decidere dove fare un inceneritore o un aeroporto: senza possibilità di appello. È la filosofia brutale dello Sblocca Italia: mani libere per il cemento e bavaglio alle comunità locali. Il motto dello Sblocca Italia è lo stesso della Legge Obiettivo di Berlusconi: “Padroni in casa propria”. Un motto dalla genealogia dirigistica che ben riassumeva l’idea di poter disporre del territorio come padroni.

Ebbene, ne Il Mulino del Po di Riccardo Bacchelli un personaggio dice che la sua idea di buongoverno è che “tutti siano padroni in casa propria e uno solo comandi in piazza”. Non è questa la nostra idea di democrazia: è a tutto questo che, il 4 dicembre, diremo NO.

*Iniziativa comune tra Libertà e Giustizia e MicroMega

di Camilleri, Flores d’Arcais, Montanari, Urbinati e Zagrebelsky | 18 ottobre 2016
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

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Referendum, l’appello per il no di Libertà e Giustizia e MicroMega: “Questa riforma attua le indicazioni di Jp Morgan


di Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Tomaso Montanari, Nadia Urbinati e Gustavo Zagrebelsky*

Tra cinquanta giorni, il prossimo 4 dicembre, il governo Renzi chiederà agli italiani: “Volete contare di meno, volete meno democrazia, volete darci mano libera?”.

Noi risponderemo di No. Perché non vogliamo contare di meno, non vogliamo meno democrazia, non vogliamo dare mano libera a questo, come a qualunque altro governo.

Una classe politica incapace e spesso corrotta prova a convincerci che la colpa è della Costituzione: ma non è così. A chi ci dice che per far funzionare l’Italia bisogna cambiare le regole, rispondiamo: noi, invece, vogliamo cambiare i giocatori.

Questa riforma non abbatte i costi della politica: fa risparmiare 50 milioni l’anno (non 500 come dice il presidente del Consiglio, mentendo), che è quanto gettiamo ogni giorno in spesa militare. Come possiamo credere alla buona fede di un governo che sottrae somme enormi al bilancio pubblico permettendo alla Fiat (ma anche all’Eni, controllata dallo Stato) di pagare le tasse in altri paesi, e poi viene a chiederci di fare a brandelli le garanzie costituzionali per risparmiare un pugno di soldi?

Questa riforma non abolisce il Senato: che continuerà a fare le leggi seguendo numerosi e tortuosi percorsi. Quella che viene abolita è la sua elezione democratica diretta: il Senato farà la fine delle attuali provincie, che esistono ancora, spendono denaro pubblico, ma sono in mano ad un personale nominato dalla politica, e non eletto dal popolo.

Questa riforma consentirà a una maggioranza gonfiata in modo truffaldino dalla legge elettorale su cui il governo Renzi ha chiesto per ben tre volte la fiducia di scegliersi il presidente della Repubblica e di condizionare la composizione della Corte costituzionale e del Csm.

Questa riforma attua in modo servile le indicazioni esplicite della più importante banca d’affari americana, la JP Morgan, che in un documento del 2013 ha scritto che l’Italia avrebbe dovuto liberarsi di alcuni “problemi” dovuti al fatto che la sua Costituzione è troppo “socialista”. Quei “problemi” sono – nelle parole di JP Morgan –: “governi deboli; stati centrali deboli rispetto alle regioni; tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori; il diritto di protestare se cambiamenti sgraditi arrivano a turbare lo status quo”. Matteo Renzi dice che il suo modello politico è Tony Blair, il quale oggi percepisce due milioni e mezzo di sterline all’anno come consulente di JP Morgan. E la domanda è: a chi giova questa riforma costituzionale, ai cittadini italiani o agli speculatori internazionali?

Ma negli ultimi giorni anche osservatori legati alla finanza internazionale stanno iniziando a farsi qualche domanda. Il Financial Times ha definito la riforma Napolitano-Renzi-Boschi “un ponte che non porta da nessuna parte”. La metafora è particolarmente felice, visto che la campagna referendaria di Renzi è partita con la resurrezione del Ponte sullo Stretto, di berlusconiana memoria.

E in effetti c’è un forte nesso tra la riforma e le Grandi Opere inutili e devastanti: il nuovo Titolo V della Carta è scritto per eliminare ogni competenza delle Regioni in fatto di porti, aeroporti, autostrade e infrastrutture per l’energia di interesse nazionale: e spetta ai governi stabilire quali lo siano.

Così il disegno si chiarisce perfettamente: lo scopo ultimo della riforma è umiliare e depotenziare la partecipazione democratica. Sarà il presidente del Consiglio e il suo governo, quali che essi siano oggi e domani, a decidere dove fare un inceneritore o un aeroporto: senza possibilità di appello. È la filosofia brutale dello Sblocca Italia: mani libere per il cemento e bavaglio alle comunità locali. Il motto dello Sblocca Italia è lo stesso della Legge Obiettivo di Berlusconi: “Padroni in casa propria”. Un motto dalla genealogia dirigistica che ben riassumeva l’idea di poter disporre del territorio come padroni.

Ebbene, ne Il Mulino del Po di Riccardo Bacchelli un personaggio dice che la sua idea di buongoverno è che “tutti siano padroni in casa propria e uno solo comandi in piazza”. Non è questa la nostra idea di democrazia: è a tutto questo che, il 4 dicembre, diremo NO.

*Iniziativa comune tra Libertà e Giustizia e MicroMega

di Camilleri, Flores d’Arcais, Montanari, Urbinati e Zagrebelsky | 18 ottobre 2016
UncleTom
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO

Messaggio da UncleTom »

Conoscere per deliberare
Prediche inutili, Einaudi, Torino, 1964, pp. 3-14

Ma quanti sono gli italiani che conoscono quello che andranno a votare il 4 dicembre?????


Solo oggi 19 0ttobre 2016, leggiamo la citazione della J.P.Morgan.

Quando già il 18 giugno del 2013, la redazione del Wall Street Italia pubblicava:

JP Morgan all’Eurozona: “Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste”

LEGGI :

http://www.wallstreetitalia.com/jp-morg ... ifasciste/
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