Renzi
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Re: Renzi
Unione Europea: pronta lettera di richiamo all'Italia sul bilancio
Nei termini in cui è proposto, il testo rischia di non essere approvato a Bruxelles
Luca Romano - Mer, 19/10/2016 - 12:04
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Il tempo c'è, ma stringe. Ha solo una settimana l'Italia per sistemare una Legge di bilancio che dovrà essere approvata dall'Unione Europea (Ue) e che nella sua formulazione attuale porterà con tutta probabilità a una lettera da Bruxelles, preludio di una bocciatura formula.
L'Europa chiede già la manovra bis
Interessi legali: così lo Stato fa lo strozzino
Di problemi, nella formulazione, ce ne sono molti, ricorda un articolo pubblicato queta mattina da Repubblica. A partire dal fatto che l'Italia già ha ottenuto numerose deroghe al taglio del deficit richiesto dall'Unione. E ora non può pretendere un'approvazione con un target proposto del 2,3 per cento.
Al di là di questo passaggio, esiste una controversia anche sul tema immigrazione, con Roma pronta a stimare i costi che saranno sostenuti per far fronte all'emergenza - ormai costante - in una cifra di molto superiore a quella che si otterrebbe utilizzando i parametri proposti dall'Europa.
Il 2,3% non passerà mai a Bruxelles. E dunque, nonostante il ministro Padoan abbia assecondato il premier a lungo, ora serve una riscrittura del testo
Nei termini in cui è proposto, il testo rischia di non essere approvato a Bruxelles
Luca Romano - Mer, 19/10/2016 - 12:04
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Il tempo c'è, ma stringe. Ha solo una settimana l'Italia per sistemare una Legge di bilancio che dovrà essere approvata dall'Unione Europea (Ue) e che nella sua formulazione attuale porterà con tutta probabilità a una lettera da Bruxelles, preludio di una bocciatura formula.
L'Europa chiede già la manovra bis
Interessi legali: così lo Stato fa lo strozzino
Di problemi, nella formulazione, ce ne sono molti, ricorda un articolo pubblicato queta mattina da Repubblica. A partire dal fatto che l'Italia già ha ottenuto numerose deroghe al taglio del deficit richiesto dall'Unione. E ora non può pretendere un'approvazione con un target proposto del 2,3 per cento.
Al di là di questo passaggio, esiste una controversia anche sul tema immigrazione, con Roma pronta a stimare i costi che saranno sostenuti per far fronte all'emergenza - ormai costante - in una cifra di molto superiore a quella che si otterrebbe utilizzando i parametri proposti dall'Europa.
Il 2,3% non passerà mai a Bruxelles. E dunque, nonostante il ministro Padoan abbia assecondato il premier a lungo, ora serve una riscrittura del testo
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Re: Renzi
I SEGRETI DI RENZI
<<TUTTO QUELLO
CHE NON VOGLIONO
FARVI SAPERE>>
Contenuto del libro riassunto nelle copertine interne:
<<Sapete chi sono – chi sono veramente, inten-
do, gli uomini e le donne che Matteo Renzi ha
piazzato in tutte le posizioni strategiche del
Paese? E, soprattutto, avete idea di quali sono
gli interessi – i reali interessi – che il Giglio
magico sta portando avanti? No tutto questo
non potete saperlo. Perché oggi chi si mette di
traverso rispetto a questo sistema di potere
viene imbavagliato, o perde il posto.
Questo libro vi porta dietro le quinte della com-
media renziana e vi svela gli intrecci tra finanza
e politica, le relazioni internazionali nascoste
e gli affari condotti finora a vostra insaputa.
Perché Renzi sarà pure un “maleducato di ta-
Lento”, come lo ha definito qualcuno, ma quando
Si tratta di esercitare il potere si muove senza
indugi, e senza remore. Entrerete nella stanza
dei bottoni, leggerete sms e ascolterete telefo-
nate minacciose, vi affaccerete nelle enclavi in
cui si concludono le trattative che che riguardano
il destino dell’Italia, e in cui spesso si respira
uno “stantio odore di massoneria”, verrete a
conoscere tutti i segreti che cercano dispe-
ratamente di non farvi conoscere sul premier:
i clan, gli amici degli amici, le trame, i rapporti
con la finanza, le multinazionali, la sanità, le
banche.
Questo è il libro che Matteo Renzi non vi farebbe
mai leggere.
E dopo averlo letto non potrete fare a meno di
chiedervi: ma possiamo davvero far riscrivere
la Costituzione da quest’uomo?>>
<<TUTTO QUELLO
CHE NON VOGLIONO
FARVI SAPERE>>
Contenuto del libro riassunto nelle copertine interne:
<<Sapete chi sono – chi sono veramente, inten-
do, gli uomini e le donne che Matteo Renzi ha
piazzato in tutte le posizioni strategiche del
Paese? E, soprattutto, avete idea di quali sono
gli interessi – i reali interessi – che il Giglio
magico sta portando avanti? No tutto questo
non potete saperlo. Perché oggi chi si mette di
traverso rispetto a questo sistema di potere
viene imbavagliato, o perde il posto.
Questo libro vi porta dietro le quinte della com-
media renziana e vi svela gli intrecci tra finanza
e politica, le relazioni internazionali nascoste
e gli affari condotti finora a vostra insaputa.
Perché Renzi sarà pure un “maleducato di ta-
Lento”, come lo ha definito qualcuno, ma quando
Si tratta di esercitare il potere si muove senza
indugi, e senza remore. Entrerete nella stanza
dei bottoni, leggerete sms e ascolterete telefo-
nate minacciose, vi affaccerete nelle enclavi in
cui si concludono le trattative che che riguardano
il destino dell’Italia, e in cui spesso si respira
uno “stantio odore di massoneria”, verrete a
conoscere tutti i segreti che cercano dispe-
ratamente di non farvi conoscere sul premier:
i clan, gli amici degli amici, le trame, i rapporti
con la finanza, le multinazionali, la sanità, le
banche.
Questo è il libro che Matteo Renzi non vi farebbe
mai leggere.
E dopo averlo letto non potrete fare a meno di
chiedervi: ma possiamo davvero far riscrivere
la Costituzione da quest’uomo?>>
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Re: Renzi
Nella copertina posteriore:
<<Si possono elaborare favole me-
ravigliose da raccontare, e per un
po’ magari funziona. Ma alla fine
sono i fatti che contano. E i fatti,
come le notizie sgradite, prima o
poi riemergono.
In queste pagine ci sono solo fatti:
documenti, inchieste, carte,inter-
cettazioni, sms telefonate, nomi e
cognomi. E riguardano questioni
di enorme interesse pubblico.>>
<<Si possono elaborare favole me-
ravigliose da raccontare, e per un
po’ magari funziona. Ma alla fine
sono i fatti che contano. E i fatti,
come le notizie sgradite, prima o
poi riemergono.
In queste pagine ci sono solo fatti:
documenti, inchieste, carte,inter-
cettazioni, sms telefonate, nomi e
cognomi. E riguardano questioni
di enorme interesse pubblico.>>
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Re: Renzi
19 OTT 2016 16:44
UN PREMIER SOLO ALLO SBANDO
- SGARBI BASTONA MATTEUCCIO: "LA TRASFERTA CON BENIGNI IN USA? UN SEGNO DI DEBOLEZZA: DE GASPERI NON AVREBBE PORTATO TOTÒ DA TRUMAN. RENZI È IN DIFFICOLTÀ. PIAZZA GLI AMICI OVUNQUE E OCCUPA LA TV MA QUESTO NON GENERA CONSENSO. IL REFERENDUM? VINCERA’ IL NO"
Maurizio Caverzan per “La Verità- laverita.info”
Ha visto, Vittorio Sgarbi, anche Il Foglio licenzia.
«Francamente, non sapevo del licenziamento di Alessando Giuli, m’informerò » .
Qualcosa le posso dire anch’io: Giuli era condirettore, un giornalista di destra non allineato e in dissidio non solo politico con Claudio Cerasa. È stato progressivamente messo ai margini fino alla decisione di fare a meno di lui alla scadenza del contratto.
«Se è andata così, mi spiace molto. Finora non ho percepito nessuno dei licenziamenti di cui si è parlato come volontà diretta di Renzi. All’inizio, quello di Maurizio Belpietro mi era sembrato un fatto di arroganza della proprietà.
Essendoci una storica sintonia tra Belpietro e Vittorio Feltri, quell’avvicendamento avrebbe potuto avvenire in modo diverso. Subito non l’avevo attribuito al tentativo di pilotare l’informazione nella campagna referendaria. Poi ho parlato con Belpietro e ho capito che c’era dell’altro» .
Il licenziamento di Giuli, di cui ieri ha dato notizia La Verità , è solo l’ultimo di una serie che comprende quello di Maurizio Belpietro da Libero , il siluramento di Bianca Berlinguer dal Tg3 e la sostituzione di Massimo Giannini alla conduzione di Ballarò con un talk show che fa meno ascolti. (Sgarbi risponde al telefono in una pausa del festival letterario Babele a Nord Est di cui è direttore artistico, da ieri in corso a Padova).
«Non mi sono parsi l’esito di un atto di autorità del premier. Poi, certo, chi c’è dentro, ha altri argomenti. Mi auguro che non siano avvenuti solo per la campagna in favore del Sì al referendum. Cioè, voglio pensare che le motivazioni siano più complesse». Forse, in qualche caso non c’è un diktat diretto, ma la sudditanza o l’acquiescenza di chi gestisce giornali e telegiornali. «Certi casi mi sembrano più clamorosi, altri più subdoli ».
È una delusione dal Foglio che ha sempre vantato la propria indipendenza e ospita firme che vanno da Sel a Cl?
«Ho sempre trovato il Foglio di Giuliano Ferrara un giornale politico nonostante l’apparenza saggistica e la qualità delle firme. Il giornale più ricco. All’inizio berlusconiano, poi filoberlusconiano, poi un po’ bigotto durante la campagna contro l’aborto, ora renziano con Cerasa. A differenza di molti giornali che si fingono indipendenti mentre sono molto politici, il Foglio, da indipendente, ha sempre scelto una parte per avere una tutela di cui, invece, non ha bisogno. Come volesse essere adottato».
L’adozione è pienamente avvenuta.
«Dichiararsi non indipendente è un modo di rispondere alle critiche per un licenziamento »
Tornando al renzismo, secondo lei non pecca d’intolleranza? Guardi anche il boicottaggio ai talk show scomodi di La7.
«A un certo punto, a margine dello spostamento della Berlinguer, si è letto che tutta la stampa e la televisione erano allineate alle posizioni del Sì. Invece non siamo arrivati a questo. Il No prospera. E poi c’è un altro fatto sottovalutato… ».
Dica.
«Chi punta a occupare le tv non sempre ottiene il risultato sperato. La dittatura della comunicazione non porta consenso. Il monopolio non è garanzia di vittoria. L’efficacia della comunicazione non è un fatto di quantità. La Lega vinse senza televisione. Le porto un esempio famoso.
Quando, all’inizio degli anni ‘90, ad un confronto tv, Ciriaco De Mita parlò un quarto d’ora nel suo politichese, e Umberto Bossi dopo aver a lungo ascoltato gli rispose “ma tachete al tram”, stravinse Bossi. Puoi comprarti il Sì di Libero , del Foglio e dell’Unità , ma poi magari vince il No anche se privo di un organo ufficiale. Questo lo dico senza voler giustificare nulla ».
Il boicottaggio riguardava i programmi di La7, dove il premier non può influenzare nomine di conduttori e direttori.
«Certo, certo».
Perché il renzismo è così intollerante con giornalisti e commentatori?
«Non ho questa sensazione. Non ce l’avevo nemmeno con Silvio Berlusconi. È una filosofia che funziona sul Fatto demonizzare l’avversario, creando mostri del male assoluto. Io ho quasi tenerezza per Renzi perché lo vedo debole sul piano dei contenuti e della politica.
Lo vedo sopraffatto dai No. Essendo uno che, come e più di Berlusconi è uomo del fare, in un Paese immobile come il nostro lo vedo sconfitto dagli ostacoli, dalle scelte conservatrici. Renzi mi appare come un San Sebastiano che prende frecce da tutte le parti. Questo non significa che condivida la sua riforma della Costituzione. Tutt’altro » .
Nel mondo renziano c’è una sopravvalutazione dell’immagine? Che cosa pensa della cena alla Casa Bianca e del parterre di ospiti che il premier si è portato?
«Una sceneggiata segno di debolezza. Alcide De Gasperi non avrebbe avuto bisogno di andare con Totò da Larry Truman. Questo parterre di ospiti è anche un errore di comunicazione » .
Si spieghi.
«I cittadini italiani che li vedono salire sull’aereo di Stato per andare a cena con il presidente americano s’incazzano. Se Benigni fosse andato col suo aereo privato, forse avrebbe avrebbe bonificato l’abuso. Questa trasferta così annunciata non porta nessun consenso. Forse ne fa perdere. Magari, se avessero usato un aereo di linea in seconda classe… Se uno fa un errore di comunicazione come questo c’è qualcosa che non mi torna. Vuol dire che è in un momento di difficoltà» .
Addirittura.
«Sono convinto che vincerà il No. Rastrellare consensi illustri come quelli di Benigni, di Giorgio Armani degli industriali, rientra nella logica dei poteri forti che, quando c’è un governo, per loro convenienza sperano che duri. Credo che Renzi sia entrato in un vortice di antipatia difficile da ribaltare, perché ormai prevale l’onda di malumore diffuso che somiglia a quella vista quest’estate in occasione delle vacanze con aereo privato di Paolo Bonolis ».
Che cosa pensa della tendenza a voler impedire il dissenso e a sistemare amici ovunque?
«È la filosofia di Amici miei, altro sintomo di debolezza. Stare con quelli di cui posso fidarmi anziché con quelli che hanno merito non è una psicologia da leader, ma da persona sulla difensiva. Se credo che la Berlinguer non sia dalla mia parte, non la sostituisco con un altro, ma tento di ottenerne la neutralità.
A Michele Santoro Berlusconi ripeteva: “Si ricordi che lei è servizio pubblico”. Invece, lui sceglie gli amici, che non sono amici perché sono d’accordo con lui, ma sono d’accordo con lui perché sono amici. È il rovesciamento della celebre formula amicus Plato sed magis amica veritas (“Platone mi è amico ma mi è più amica la verità”, ndr) » .
Una degenerazione già vista e che lei conosce.
«Quando Berlusconi piazzava Cesare Previti, Giuliano Urbani o Gianni Letta aveva comunque una considerazione del valore professionale delle persone scelte. Nel caso di Renzi l’unica discriminante è il fatto amicale. Questa operazione non è mai vittoriosa. Il consenso deriva dalla capacità di persuasione.
Berlusconi diceva sempre che il presidente del Consiglio non ha potere. Poi ci siamo accorti che quando è arrivato Renzi ha fatto più cose. Come dimostrano i casi di Francesco Cossiga, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, penso che il potere non sia quello che hai per contratto, ma quello che riesci a ottenere con la persuasione».
Carlo Freccero dice che siamo entrati nell’era della post democrazia, nella quale è decisiva la propaganda.
«La propaganda si esplica attraverso la retorica che è il sintomo della mancanza di capacità di persuasione, quella che, per esempio, Renzi aveva dimostrato in occasione della riforma del Jobs act. La persuasione è il contrario della propaganda perché ha come obiettivo convincere nel merito chi è contrario.
Carl Gustav Jung ha scritto che il limite della Trinità cristiana è non aver inglobato il diavolo facendo la quaternità. Renzi divide il mondo in amici e nemici e si trincera dietro ai suoi. Invece, avrebbe dovuto lasciare al suo posto la Berlinguer e chiederle di essere equa
UN PREMIER SOLO ALLO SBANDO
- SGARBI BASTONA MATTEUCCIO: "LA TRASFERTA CON BENIGNI IN USA? UN SEGNO DI DEBOLEZZA: DE GASPERI NON AVREBBE PORTATO TOTÒ DA TRUMAN. RENZI È IN DIFFICOLTÀ. PIAZZA GLI AMICI OVUNQUE E OCCUPA LA TV MA QUESTO NON GENERA CONSENSO. IL REFERENDUM? VINCERA’ IL NO"
Maurizio Caverzan per “La Verità- laverita.info”
Ha visto, Vittorio Sgarbi, anche Il Foglio licenzia.
«Francamente, non sapevo del licenziamento di Alessando Giuli, m’informerò » .
Qualcosa le posso dire anch’io: Giuli era condirettore, un giornalista di destra non allineato e in dissidio non solo politico con Claudio Cerasa. È stato progressivamente messo ai margini fino alla decisione di fare a meno di lui alla scadenza del contratto.
«Se è andata così, mi spiace molto. Finora non ho percepito nessuno dei licenziamenti di cui si è parlato come volontà diretta di Renzi. All’inizio, quello di Maurizio Belpietro mi era sembrato un fatto di arroganza della proprietà.
Essendoci una storica sintonia tra Belpietro e Vittorio Feltri, quell’avvicendamento avrebbe potuto avvenire in modo diverso. Subito non l’avevo attribuito al tentativo di pilotare l’informazione nella campagna referendaria. Poi ho parlato con Belpietro e ho capito che c’era dell’altro» .
Il licenziamento di Giuli, di cui ieri ha dato notizia La Verità , è solo l’ultimo di una serie che comprende quello di Maurizio Belpietro da Libero , il siluramento di Bianca Berlinguer dal Tg3 e la sostituzione di Massimo Giannini alla conduzione di Ballarò con un talk show che fa meno ascolti. (Sgarbi risponde al telefono in una pausa del festival letterario Babele a Nord Est di cui è direttore artistico, da ieri in corso a Padova).
«Non mi sono parsi l’esito di un atto di autorità del premier. Poi, certo, chi c’è dentro, ha altri argomenti. Mi auguro che non siano avvenuti solo per la campagna in favore del Sì al referendum. Cioè, voglio pensare che le motivazioni siano più complesse». Forse, in qualche caso non c’è un diktat diretto, ma la sudditanza o l’acquiescenza di chi gestisce giornali e telegiornali. «Certi casi mi sembrano più clamorosi, altri più subdoli ».
È una delusione dal Foglio che ha sempre vantato la propria indipendenza e ospita firme che vanno da Sel a Cl?
«Ho sempre trovato il Foglio di Giuliano Ferrara un giornale politico nonostante l’apparenza saggistica e la qualità delle firme. Il giornale più ricco. All’inizio berlusconiano, poi filoberlusconiano, poi un po’ bigotto durante la campagna contro l’aborto, ora renziano con Cerasa. A differenza di molti giornali che si fingono indipendenti mentre sono molto politici, il Foglio, da indipendente, ha sempre scelto una parte per avere una tutela di cui, invece, non ha bisogno. Come volesse essere adottato».
L’adozione è pienamente avvenuta.
«Dichiararsi non indipendente è un modo di rispondere alle critiche per un licenziamento »
Tornando al renzismo, secondo lei non pecca d’intolleranza? Guardi anche il boicottaggio ai talk show scomodi di La7.
«A un certo punto, a margine dello spostamento della Berlinguer, si è letto che tutta la stampa e la televisione erano allineate alle posizioni del Sì. Invece non siamo arrivati a questo. Il No prospera. E poi c’è un altro fatto sottovalutato… ».
Dica.
«Chi punta a occupare le tv non sempre ottiene il risultato sperato. La dittatura della comunicazione non porta consenso. Il monopolio non è garanzia di vittoria. L’efficacia della comunicazione non è un fatto di quantità. La Lega vinse senza televisione. Le porto un esempio famoso.
Quando, all’inizio degli anni ‘90, ad un confronto tv, Ciriaco De Mita parlò un quarto d’ora nel suo politichese, e Umberto Bossi dopo aver a lungo ascoltato gli rispose “ma tachete al tram”, stravinse Bossi. Puoi comprarti il Sì di Libero , del Foglio e dell’Unità , ma poi magari vince il No anche se privo di un organo ufficiale. Questo lo dico senza voler giustificare nulla ».
Il boicottaggio riguardava i programmi di La7, dove il premier non può influenzare nomine di conduttori e direttori.
«Certo, certo».
Perché il renzismo è così intollerante con giornalisti e commentatori?
«Non ho questa sensazione. Non ce l’avevo nemmeno con Silvio Berlusconi. È una filosofia che funziona sul Fatto demonizzare l’avversario, creando mostri del male assoluto. Io ho quasi tenerezza per Renzi perché lo vedo debole sul piano dei contenuti e della politica.
Lo vedo sopraffatto dai No. Essendo uno che, come e più di Berlusconi è uomo del fare, in un Paese immobile come il nostro lo vedo sconfitto dagli ostacoli, dalle scelte conservatrici. Renzi mi appare come un San Sebastiano che prende frecce da tutte le parti. Questo non significa che condivida la sua riforma della Costituzione. Tutt’altro » .
Nel mondo renziano c’è una sopravvalutazione dell’immagine? Che cosa pensa della cena alla Casa Bianca e del parterre di ospiti che il premier si è portato?
«Una sceneggiata segno di debolezza. Alcide De Gasperi non avrebbe avuto bisogno di andare con Totò da Larry Truman. Questo parterre di ospiti è anche un errore di comunicazione » .
Si spieghi.
«I cittadini italiani che li vedono salire sull’aereo di Stato per andare a cena con il presidente americano s’incazzano. Se Benigni fosse andato col suo aereo privato, forse avrebbe avrebbe bonificato l’abuso. Questa trasferta così annunciata non porta nessun consenso. Forse ne fa perdere. Magari, se avessero usato un aereo di linea in seconda classe… Se uno fa un errore di comunicazione come questo c’è qualcosa che non mi torna. Vuol dire che è in un momento di difficoltà» .
Addirittura.
«Sono convinto che vincerà il No. Rastrellare consensi illustri come quelli di Benigni, di Giorgio Armani degli industriali, rientra nella logica dei poteri forti che, quando c’è un governo, per loro convenienza sperano che duri. Credo che Renzi sia entrato in un vortice di antipatia difficile da ribaltare, perché ormai prevale l’onda di malumore diffuso che somiglia a quella vista quest’estate in occasione delle vacanze con aereo privato di Paolo Bonolis ».
Che cosa pensa della tendenza a voler impedire il dissenso e a sistemare amici ovunque?
«È la filosofia di Amici miei, altro sintomo di debolezza. Stare con quelli di cui posso fidarmi anziché con quelli che hanno merito non è una psicologia da leader, ma da persona sulla difensiva. Se credo che la Berlinguer non sia dalla mia parte, non la sostituisco con un altro, ma tento di ottenerne la neutralità.
A Michele Santoro Berlusconi ripeteva: “Si ricordi che lei è servizio pubblico”. Invece, lui sceglie gli amici, che non sono amici perché sono d’accordo con lui, ma sono d’accordo con lui perché sono amici. È il rovesciamento della celebre formula amicus Plato sed magis amica veritas (“Platone mi è amico ma mi è più amica la verità”, ndr) » .
Una degenerazione già vista e che lei conosce.
«Quando Berlusconi piazzava Cesare Previti, Giuliano Urbani o Gianni Letta aveva comunque una considerazione del valore professionale delle persone scelte. Nel caso di Renzi l’unica discriminante è il fatto amicale. Questa operazione non è mai vittoriosa. Il consenso deriva dalla capacità di persuasione.
Berlusconi diceva sempre che il presidente del Consiglio non ha potere. Poi ci siamo accorti che quando è arrivato Renzi ha fatto più cose. Come dimostrano i casi di Francesco Cossiga, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, penso che il potere non sia quello che hai per contratto, ma quello che riesci a ottenere con la persuasione».
Carlo Freccero dice che siamo entrati nell’era della post democrazia, nella quale è decisiva la propaganda.
«La propaganda si esplica attraverso la retorica che è il sintomo della mancanza di capacità di persuasione, quella che, per esempio, Renzi aveva dimostrato in occasione della riforma del Jobs act. La persuasione è il contrario della propaganda perché ha come obiettivo convincere nel merito chi è contrario.
Carl Gustav Jung ha scritto che il limite della Trinità cristiana è non aver inglobato il diavolo facendo la quaternità. Renzi divide il mondo in amici e nemici e si trincera dietro ai suoi. Invece, avrebbe dovuto lasciare al suo posto la Berlinguer e chiederle di essere equa
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Re: Renzi
Repubblica 19.10.16
Baci e abbracci per tutti ma il dinner non sposta voti
Gli ospiti d’onore le first lady e l’orto
di Vittorio Zucconi
Entusiastico baciatore all’ italiana, che ha costretto anche la First Lady Michelle e l’allampanato John Kerry a piegarsi per ricevere da lui il bacetto sulle guance, Matteo Renzi si è gustato lo show alla Casa Bianca con l’evidente felicità di un fanciullo accolto nel massimo Paese dei Balocchi politici.
Può darsi che questo sia il suo ultimo viaggio ufficiale a Washington, se gli andasse male il referendum, ma il giovanotto di Rignano sull’Arno che dallo scoutismo e dalla Ruota della Fortuna è arrivato fino al portico della Casa Bianca, nel luogo della Storia dove tutti i grandi della Terra sono apparsi e si strinsero la mano anche nemici mortali come Rabin e Arafat, era visibilmente deciso ad assaporare il momento. A gustarselo anche più degli agnolotti di Mario Batali.
La Washington d’ottobre, sempre il mese più luminoso e piacevole in questa città sospesa tra Sud e Nord, si era vestita da festa per l’ospite italiano, gentile, ma sempre un po’ cinica, avendo visto troppi sorrisi e ascoltato più promesse di amore eterno di una spiaggia estiva per farsi impressionare. Ma se le parole sono state quelle che i muri bianchi hanno ascoltato da quando Alcide De-Gasperi dovette promettere a Harry Truman la fedeltà atlantica per rompere il clima gelido che lo aveva accolto, l’entusiasmo festoso e poi il coraggioso inglese di Matteo Renzi sono stati una novità allegra.
C’era, sia da parte di Obama che sta vivendo il crepuscolo della propria avventura politica al massimo della popolarità, sia da parte di Renzi, che si divincola al minimo del favore popolare, una curiosa atmosfera di spensieratezza informale. Un tono da rimpatriata che neppure i completi d’ordinanza dei due uomini, Matteo in completo blu notte da esame di Maturità Classica circa 1960 e Barack, con cravatta girgioperla un po’ da concertista jazz alla Carnegie Hall, riuscivano a ingessare. Anche il momento di ansia che circondava lo speech e che la signora Agnese nascondeva con eleganza nel suo abito di pizzo verde, si è dissolto, di fronte alla dignitosa fluidità dell’inglese che il nostro presidente del Consiglio aveva preparato con cura maniacale.
Una cura pari alla pronuncia di quel “Patti Chiari, Amicizia Lunga” detto da Obama nell’italiano fonetico scritto nel suo foglietto in “Pahttee Keeahreee, Ameeceetzeeah Loongah”, per sottolineare l’immancabile riferimento alla granitica solidità dell’alleanza settantennale fra le due nazioni. Nel sollievo di chi ricordava momenti tragici del passato, il Mister President si è potuto risparmiare quel “Lei parla un ottimo inglese” concesso da George Bush a Silvio Berlusconi che aveva crudelmente trucidato la frasetta in inglese preparata a Camp David.
Sembrava, fuori dall’ ingombrante interesse degli Stati Uniti alla vittoria del Sì al referendum, che i due uomini si trovassero reciprocamente simpatici. Che la sfrontatezza di Renzi, tanto diverso dalla processione di intraducibili mandarini che arrivavano, parlavano e poi scomparivano inghiottiti nel gorgo della politica romana, che la sua giovane età, vicina alla giovinezza di Barack e Michelle quando in quella Casa entrarono, li avvicinasse e li mettesse di buonumore.
Non un solo voto sarà spostato da questo incontro, che i media americani hanno trattato come un evento di mondanità glamour. La politica estera, i summit, le cene di Stato, non fanno vincere elezioni, non negli Usa, non in Italia. Ma possono produrre figure barbine. Almeno questa volta, non ne abbiamo fatte. Può bastare.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Lo sbarco dall’aereo di Stato di alcuni tra gli invitati d’onore italiani alla cena della Casa Bianca: Roberto Benigni con la moglie Nicoletta Braschi, Bebe Vio e Raffaele Cantone
Passeggiata nell’orto della Casa bianca per Michelle Obama e Agnese Renzi, che assistono alla performance di ballo di un gruppo di bambini della scuola elementare Savoy di Washington.
Baci e abbracci per tutti ma il dinner non sposta voti
Gli ospiti d’onore le first lady e l’orto
di Vittorio Zucconi
Entusiastico baciatore all’ italiana, che ha costretto anche la First Lady Michelle e l’allampanato John Kerry a piegarsi per ricevere da lui il bacetto sulle guance, Matteo Renzi si è gustato lo show alla Casa Bianca con l’evidente felicità di un fanciullo accolto nel massimo Paese dei Balocchi politici.
Può darsi che questo sia il suo ultimo viaggio ufficiale a Washington, se gli andasse male il referendum, ma il giovanotto di Rignano sull’Arno che dallo scoutismo e dalla Ruota della Fortuna è arrivato fino al portico della Casa Bianca, nel luogo della Storia dove tutti i grandi della Terra sono apparsi e si strinsero la mano anche nemici mortali come Rabin e Arafat, era visibilmente deciso ad assaporare il momento. A gustarselo anche più degli agnolotti di Mario Batali.
La Washington d’ottobre, sempre il mese più luminoso e piacevole in questa città sospesa tra Sud e Nord, si era vestita da festa per l’ospite italiano, gentile, ma sempre un po’ cinica, avendo visto troppi sorrisi e ascoltato più promesse di amore eterno di una spiaggia estiva per farsi impressionare. Ma se le parole sono state quelle che i muri bianchi hanno ascoltato da quando Alcide De-Gasperi dovette promettere a Harry Truman la fedeltà atlantica per rompere il clima gelido che lo aveva accolto, l’entusiasmo festoso e poi il coraggioso inglese di Matteo Renzi sono stati una novità allegra.
C’era, sia da parte di Obama che sta vivendo il crepuscolo della propria avventura politica al massimo della popolarità, sia da parte di Renzi, che si divincola al minimo del favore popolare, una curiosa atmosfera di spensieratezza informale. Un tono da rimpatriata che neppure i completi d’ordinanza dei due uomini, Matteo in completo blu notte da esame di Maturità Classica circa 1960 e Barack, con cravatta girgioperla un po’ da concertista jazz alla Carnegie Hall, riuscivano a ingessare. Anche il momento di ansia che circondava lo speech e che la signora Agnese nascondeva con eleganza nel suo abito di pizzo verde, si è dissolto, di fronte alla dignitosa fluidità dell’inglese che il nostro presidente del Consiglio aveva preparato con cura maniacale.
Una cura pari alla pronuncia di quel “Patti Chiari, Amicizia Lunga” detto da Obama nell’italiano fonetico scritto nel suo foglietto in “Pahttee Keeahreee, Ameeceetzeeah Loongah”, per sottolineare l’immancabile riferimento alla granitica solidità dell’alleanza settantennale fra le due nazioni. Nel sollievo di chi ricordava momenti tragici del passato, il Mister President si è potuto risparmiare quel “Lei parla un ottimo inglese” concesso da George Bush a Silvio Berlusconi che aveva crudelmente trucidato la frasetta in inglese preparata a Camp David.
Sembrava, fuori dall’ ingombrante interesse degli Stati Uniti alla vittoria del Sì al referendum, che i due uomini si trovassero reciprocamente simpatici. Che la sfrontatezza di Renzi, tanto diverso dalla processione di intraducibili mandarini che arrivavano, parlavano e poi scomparivano inghiottiti nel gorgo della politica romana, che la sua giovane età, vicina alla giovinezza di Barack e Michelle quando in quella Casa entrarono, li avvicinasse e li mettesse di buonumore.
Non un solo voto sarà spostato da questo incontro, che i media americani hanno trattato come un evento di mondanità glamour. La politica estera, i summit, le cene di Stato, non fanno vincere elezioni, non negli Usa, non in Italia. Ma possono produrre figure barbine. Almeno questa volta, non ne abbiamo fatte. Può bastare.
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Lo sbarco dall’aereo di Stato di alcuni tra gli invitati d’onore italiani alla cena della Casa Bianca: Roberto Benigni con la moglie Nicoletta Braschi, Bebe Vio e Raffaele Cantone
Passeggiata nell’orto della Casa bianca per Michelle Obama e Agnese Renzi, che assistono alla performance di ballo di un gruppo di bambini della scuola elementare Savoy di Washington.
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Re: Renzi
Corriere 19.10.16
L’appoggio degli americani e la prudenza del Pd: può diventare un boomerang
di Francesco Verderami
Nel momento più basso dei suoi rapporti con Bruxelles, Renzi vive il momento più alto dei suoi rapporti con Washington, e per auto-difesa l’Europeismo fa spazio all’Atlantismo. D’altronde, quanto accaduto ieri alla Casa Bianca non ha precedenti. Nemmeno George W. Bush — che pure alla vigilia delle elezioni in Italia del 2006 aveva offerto a Berlusconi il palco del Congresso americano — si era spinto in un endorsement per l’«amico Silvio» simile a quello fatto da Barack Obama per l’«amico Matteo».
Certo, nei palazzi della politica romana tutti sapevano che il presidente statunitense avrebbe dato il suo appoggio a Renzi, alla vigilia della sfida referendaria di dicembre. Ma nessuno — nell’opposizione come nella maggioranza — immaginava che Obama non solo si sarebbe speso in un sostegno così netto e circostanziato a favore della riforma costituzionale, ma sarebbe addirittura arrivato a lambire le colonne d’Ercole della diplomazia, soffermandosi sulle dinamiche interne italiane, «consigliando» a Renzi di restare comunque al suo posto, anche se la riforma venisse bocciata.
Ecco la novità, il confine che i più importanti partner europei — per quanto schierati con il capo del Pd — avevano mai varcato. Può darsi che Obama, da leader dell’Occidente, abbia voluto sostenere Renzi nel complicato gioco dei rapporti di forza con le cancellerie del Vecchio Continente, con le istituzioni comunitarie, magari con i mercati finanziari. E per quanto prossimo a lasciare la Casa Bianca, abbia anticipato anche la linea della prossima Amministrazione, se dovesse vincere Hillary Clinton.
Ma inevitabilmente l’iniziativa ha provocato la reazione delle forze di opposizione in Italia, che in forme diverse hanno criticato Obama fino a denunciare una sua «ingerenza nella politica interna». E c’è un motivo se persino il Pd ha voluto subito attenuare gli effetti nazionali dell’endorsement americano, se il ministro Graziano Delrio ha sottolineato che «i cittadini italiani voteranno con la loro testa e il loro cuore», e «quindi» le parole di Obama «non cambieranno le sorti del referendum». È come se si avvertisse il timore di un effetto boomerang sull’opinione pubblica, a cui si è rivolta la Lega denunciando di fatto una «violazione di sovranità».
Si vedrà se le opposizioni cavalcheranno questa linea, già adottata dal «fronte del No» dopo la sortita a favore delle riforme dell’ambasciatore americano a Roma. Nel caleidoscopio di posizionamenti, si va dallo «scandalo» per «scambio di favori militari» sollevato dai Cinque Stelle, fino all’approccio — solo all’apparenza più morbido — di Berlusconi, che vede un «premier non eletto» cercare una «legittimazione» anche internazionale con il voto sulla riforma costituzionale.
Il rischio del cortocircuito interno è evidente. Perché un conto è l’incidenza di certe mosse sull’ establishment , altra cosa è l’impatto sui cittadini. I sondaggi spiegano come l’atteggiamento degli elettori sia decisamente cambiato rispetto al passato, tanto che nemmeno i leader dei partiti sembrano riuscire a orientare il voto sul referendum. E c’è poi il precedente nel Regno Unito. Allora Obama si era esposto a favore di David Cameron e contro la Brexit. Ora, insieme a tutta la sua amministrazione, muove a protezione di Renzi, considerato dal segretario di Stato John Kerry «figura centrale in Europa».
Di più. Il presidente americano mette in relazione la riforma della Costituzione con la ripresa dell’economia, in netta controtendenza rispetto — per esempio — a Mario Monti, uomo di forti relazioni internazionali. È uno spaccato di un mondo sempre più interdipendente, dà l’idea che sul referendum si confrontino interessi contrapposti. Anche se il 4 dicembre voteranno solo gli italiani.
L’appoggio degli americani e la prudenza del Pd: può diventare un boomerang
di Francesco Verderami
Nel momento più basso dei suoi rapporti con Bruxelles, Renzi vive il momento più alto dei suoi rapporti con Washington, e per auto-difesa l’Europeismo fa spazio all’Atlantismo. D’altronde, quanto accaduto ieri alla Casa Bianca non ha precedenti. Nemmeno George W. Bush — che pure alla vigilia delle elezioni in Italia del 2006 aveva offerto a Berlusconi il palco del Congresso americano — si era spinto in un endorsement per l’«amico Silvio» simile a quello fatto da Barack Obama per l’«amico Matteo».
Certo, nei palazzi della politica romana tutti sapevano che il presidente statunitense avrebbe dato il suo appoggio a Renzi, alla vigilia della sfida referendaria di dicembre. Ma nessuno — nell’opposizione come nella maggioranza — immaginava che Obama non solo si sarebbe speso in un sostegno così netto e circostanziato a favore della riforma costituzionale, ma sarebbe addirittura arrivato a lambire le colonne d’Ercole della diplomazia, soffermandosi sulle dinamiche interne italiane, «consigliando» a Renzi di restare comunque al suo posto, anche se la riforma venisse bocciata.
Ecco la novità, il confine che i più importanti partner europei — per quanto schierati con il capo del Pd — avevano mai varcato. Può darsi che Obama, da leader dell’Occidente, abbia voluto sostenere Renzi nel complicato gioco dei rapporti di forza con le cancellerie del Vecchio Continente, con le istituzioni comunitarie, magari con i mercati finanziari. E per quanto prossimo a lasciare la Casa Bianca, abbia anticipato anche la linea della prossima Amministrazione, se dovesse vincere Hillary Clinton.
Ma inevitabilmente l’iniziativa ha provocato la reazione delle forze di opposizione in Italia, che in forme diverse hanno criticato Obama fino a denunciare una sua «ingerenza nella politica interna». E c’è un motivo se persino il Pd ha voluto subito attenuare gli effetti nazionali dell’endorsement americano, se il ministro Graziano Delrio ha sottolineato che «i cittadini italiani voteranno con la loro testa e il loro cuore», e «quindi» le parole di Obama «non cambieranno le sorti del referendum». È come se si avvertisse il timore di un effetto boomerang sull’opinione pubblica, a cui si è rivolta la Lega denunciando di fatto una «violazione di sovranità».
Si vedrà se le opposizioni cavalcheranno questa linea, già adottata dal «fronte del No» dopo la sortita a favore delle riforme dell’ambasciatore americano a Roma. Nel caleidoscopio di posizionamenti, si va dallo «scandalo» per «scambio di favori militari» sollevato dai Cinque Stelle, fino all’approccio — solo all’apparenza più morbido — di Berlusconi, che vede un «premier non eletto» cercare una «legittimazione» anche internazionale con il voto sulla riforma costituzionale.
Il rischio del cortocircuito interno è evidente. Perché un conto è l’incidenza di certe mosse sull’ establishment , altra cosa è l’impatto sui cittadini. I sondaggi spiegano come l’atteggiamento degli elettori sia decisamente cambiato rispetto al passato, tanto che nemmeno i leader dei partiti sembrano riuscire a orientare il voto sul referendum. E c’è poi il precedente nel Regno Unito. Allora Obama si era esposto a favore di David Cameron e contro la Brexit. Ora, insieme a tutta la sua amministrazione, muove a protezione di Renzi, considerato dal segretario di Stato John Kerry «figura centrale in Europa».
Di più. Il presidente americano mette in relazione la riforma della Costituzione con la ripresa dell’economia, in netta controtendenza rispetto — per esempio — a Mario Monti, uomo di forti relazioni internazionali. È uno spaccato di un mondo sempre più interdipendente, dà l’idea che sul referendum si confrontino interessi contrapposti. Anche se il 4 dicembre voteranno solo gli italiani.
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Re: Renzi
Il Sole 19.10.16
Roma «forza» sui conti, al via una trattativa tutta politica
di Dino Pesole
Ora che il Documento programmatico di Bilancio, in sostanza il testo di sintesi in cui sono riassunte cifre e linee di azione della manovra 2017, è formalmente sulle scrivanie dei tecnici di Bruxelles, si precisa meglio l’oggetto del contendere e l’entità dello scostamento che va profilandosi. Il problema non è tanto l’aver collocato l’asticella del deficit nominale al 2,3%, contro l’1,8% previsto a maggio e il 2% indicato dalla Nota di aggiornamento del Def (la Commissione Ue aveva sostanzialmente concordato il 2,2%), quanto la violazione dell’altro, fondamentale parametro cui guardano le regole europee: il deficit strutturale, in poche parole il saldo di bilancio annuale depurato dagli effetti del ciclo economico e delle una tantum. Su questo indicatore, per la verità ora in via di revisione, si misura il giudizio della Commissione, e le conseguenti richieste/raccomandazioni rivolte ai singoli paesi. Tanto che la palese violazione del timing di riduzione del saldo in direzione dell’«obiettivo di medio termine» (il pareggio di bilancio) potrebbe indurre Bruxelles a rispedire al mittente la legge di Bilancio, con annesse richieste di modifica. Il passo successivo, in caso di mancata correzione, potrebbe sulla carta aprire la strada a una procedura d’infrazione.
Ebbene, con il Dpb il Governo certifica la decisione di non coprire con tagli o maggiori entrate circa 6,5 miliardi (pari allo 0,4% del Pil) di spesa aggiuntiva che nel 2017 viene ascritta a due circostanze eccezionali: i costi dell’accoglienza dei rifugiati e quelli per gli interventi di emergenza diretti alle zone terremotate, cui si aggiungono i costi della ricostruzione e della messa in sicurezza degli edifici. Non coprire queste nuove spese equivale a finanziarle di fatto in deficit. La linea seguita dal Governo, su input esplicito di Palazzo Chigi, è che trattandosi di eventi eccezionali, le relative spese non rientrano nel calcolo del deficit. Nel consegue – e qui siamo al punto di frizione con Bruxelles – che stando alle tabelle allegate al Dpb - il deficit strutturale del 2017 passa da -1,2% a -1,6 per cento, mentre per il 2016 viene confermata quota -1,2 per cento. Detto in altri termini, la mancata copertura di questo 0,4% aggiuntivo di maggiori spese va ad impattare direttamente sul saldo strutturale di bilancio. Con quali conseguenze nel confronto in atto con la Commissione Ue? Occorre esaminare la questione dal doppio versante tecnico e politico. Dal punto di vista strettamente tecnico/contabile, l’Italia risulta inadempiente, poiché l’impegno era di ridurre il deficit strutturale del 2017 di almeno lo 0,1% del Pil, a fronte di un peggioramento dello 0,7% del saldo nell’anno in corso. Il rigido rispetto dell’attuale disciplina di bilancio imporrebbe ai paesi ad alto debito di ridurre peraltro il deficit strutturale dello 0,5% del Pil ogni anno, fino al conseguimento del pareggio (Bruxelles la scorsa primavera ha chiesto un taglio dello 0,6 per cento). Ora il Governo non solo non riduce il deficit strutturale se pur dello 0,1%, ma lo aumenta dello 0,4 per cento.
Dal punto di vista politico, la questione assume contorni diversi. È la linea di Matteo Renzi: poiché l’Italia di fatto non ha avuto alcun sostegno dall’Europa nella gestione dell’emergenza migranti, allora il Governo si autoattribuisce una sorta di implicito diritto/dovere a forzare sulle regole europee. Il dettaglio è nella parte del Dpb dedicata proprio agli «eventi eccezionali»: 0,16% del Pil in più nel 2017 per l’emergenza rifugiati (in sostanza la prima accoglienza), cui si aggiunge lo 0,02% per la gestione dei flussi. Quanto al terremoto del 24 agosto scorso, in aggiunta agli interventi di prima emergenza «già considerati una tantum», vanno calcolati appunto i costi della «protezione del territorio nazionale». Il tutto vale circa lo 0,3% del Pil, e spinge il totale delle spese per eventi eccezionali allo 0,5 per cento, con un impatto dello 0,4% sul deficit strutturale, con il deficit nominale che sale al 2,3 per cento. È lecito attendersi un confronto serrato con Bruxelles sul versante delle “one off”, poiché finora la linea della Commissione si è basata sul riconoscimento solo dei costi relativi agli interventi di prima emergenza, e non delle spese strutturali, pluriennali per la messa in sicurezza degli edifici. Alla fine, si individuerà una soluzione di compromesso, tutta politica, ma la strada al momento appare per buona parte in salita.
Roma «forza» sui conti, al via una trattativa tutta politica
di Dino Pesole
Ora che il Documento programmatico di Bilancio, in sostanza il testo di sintesi in cui sono riassunte cifre e linee di azione della manovra 2017, è formalmente sulle scrivanie dei tecnici di Bruxelles, si precisa meglio l’oggetto del contendere e l’entità dello scostamento che va profilandosi. Il problema non è tanto l’aver collocato l’asticella del deficit nominale al 2,3%, contro l’1,8% previsto a maggio e il 2% indicato dalla Nota di aggiornamento del Def (la Commissione Ue aveva sostanzialmente concordato il 2,2%), quanto la violazione dell’altro, fondamentale parametro cui guardano le regole europee: il deficit strutturale, in poche parole il saldo di bilancio annuale depurato dagli effetti del ciclo economico e delle una tantum. Su questo indicatore, per la verità ora in via di revisione, si misura il giudizio della Commissione, e le conseguenti richieste/raccomandazioni rivolte ai singoli paesi. Tanto che la palese violazione del timing di riduzione del saldo in direzione dell’«obiettivo di medio termine» (il pareggio di bilancio) potrebbe indurre Bruxelles a rispedire al mittente la legge di Bilancio, con annesse richieste di modifica. Il passo successivo, in caso di mancata correzione, potrebbe sulla carta aprire la strada a una procedura d’infrazione.
Ebbene, con il Dpb il Governo certifica la decisione di non coprire con tagli o maggiori entrate circa 6,5 miliardi (pari allo 0,4% del Pil) di spesa aggiuntiva che nel 2017 viene ascritta a due circostanze eccezionali: i costi dell’accoglienza dei rifugiati e quelli per gli interventi di emergenza diretti alle zone terremotate, cui si aggiungono i costi della ricostruzione e della messa in sicurezza degli edifici. Non coprire queste nuove spese equivale a finanziarle di fatto in deficit. La linea seguita dal Governo, su input esplicito di Palazzo Chigi, è che trattandosi di eventi eccezionali, le relative spese non rientrano nel calcolo del deficit. Nel consegue – e qui siamo al punto di frizione con Bruxelles – che stando alle tabelle allegate al Dpb - il deficit strutturale del 2017 passa da -1,2% a -1,6 per cento, mentre per il 2016 viene confermata quota -1,2 per cento. Detto in altri termini, la mancata copertura di questo 0,4% aggiuntivo di maggiori spese va ad impattare direttamente sul saldo strutturale di bilancio. Con quali conseguenze nel confronto in atto con la Commissione Ue? Occorre esaminare la questione dal doppio versante tecnico e politico. Dal punto di vista strettamente tecnico/contabile, l’Italia risulta inadempiente, poiché l’impegno era di ridurre il deficit strutturale del 2017 di almeno lo 0,1% del Pil, a fronte di un peggioramento dello 0,7% del saldo nell’anno in corso. Il rigido rispetto dell’attuale disciplina di bilancio imporrebbe ai paesi ad alto debito di ridurre peraltro il deficit strutturale dello 0,5% del Pil ogni anno, fino al conseguimento del pareggio (Bruxelles la scorsa primavera ha chiesto un taglio dello 0,6 per cento). Ora il Governo non solo non riduce il deficit strutturale se pur dello 0,1%, ma lo aumenta dello 0,4 per cento.
Dal punto di vista politico, la questione assume contorni diversi. È la linea di Matteo Renzi: poiché l’Italia di fatto non ha avuto alcun sostegno dall’Europa nella gestione dell’emergenza migranti, allora il Governo si autoattribuisce una sorta di implicito diritto/dovere a forzare sulle regole europee. Il dettaglio è nella parte del Dpb dedicata proprio agli «eventi eccezionali»: 0,16% del Pil in più nel 2017 per l’emergenza rifugiati (in sostanza la prima accoglienza), cui si aggiunge lo 0,02% per la gestione dei flussi. Quanto al terremoto del 24 agosto scorso, in aggiunta agli interventi di prima emergenza «già considerati una tantum», vanno calcolati appunto i costi della «protezione del territorio nazionale». Il tutto vale circa lo 0,3% del Pil, e spinge il totale delle spese per eventi eccezionali allo 0,5 per cento, con un impatto dello 0,4% sul deficit strutturale, con il deficit nominale che sale al 2,3 per cento. È lecito attendersi un confronto serrato con Bruxelles sul versante delle “one off”, poiché finora la linea della Commissione si è basata sul riconoscimento solo dei costi relativi agli interventi di prima emergenza, e non delle spese strutturali, pluriennali per la messa in sicurezza degli edifici. Alla fine, si individuerà una soluzione di compromesso, tutta politica, ma la strada al momento appare per buona parte in salita.
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Re: Renzi
LIBRE news
i
Se Renzi perde si tiene il Pd, a Palazzo Chigi un altro Monti
Scritto il 20/10/16 • nella Categoria: Recensioni Condividi
Se dovesse perdere il referendum, «Renzi sarebbe ridotto a mal partito, ma non spacciato: per liberarcene occorrerà ancora altro», sostiene Aldo Giannuli, che prova a valutare le mosse del premier in caso di bocciatura, visti i sondaggi che ormai danno vincente il No, nonostante i tanti indecisi. In caso di sconfitta, «è prevedibile che Renzi rassegni le dimissioni del governo già il giorno 5 dicembre e prima che glielo chieda chiunque», perché «in un paese in cui non si dimettono nemmeno i morti e dove nessuno tiene fede alla parola data, un politico che si dimette come aveva promesso ci fa un figurone». Ma attenzione, sarebbe una scelta dovuta a un calcolo molto preciso: «Mantenere la poltrona di segretario del partito e guadagnare tempo». Infatti, «difficilmente gli converrebbe andare alle elezioni subito: dopo la botta del referendum, il Pd probabilmente perderebbe». Anche se la Corte Costituzionale dovesse lasciare immutato l’Italicum, infatti, «la bocciatura del referendum imporrebbe di ripensare la legge elettorale», magari per differenziarla: turno unico al Senato e doppio turno alla Camera. Ci vorrà tempo: e Renzi preferirà cedere temporaneamente Palazzo Chigi a «un altro Monti», dedicandosi nel frattempo alla definitiva “pulizia etnica” nel Pd, divenendone il padrone assoluto.Sempre che, naturalmente, i poteri forti glielo consentano. A decidere, in realtà, sarebbe il Vaticano, scommette l’ex ministro socialista Rino Formica. Il “Financial Times” lascia capire che la finanza anglosassone sta già mollando il Rottamatore: le sue riforme sarebbero «un ponte verso il nulla», scrive il giornale della City. Fin dall’inizio, Renzi è stato sostenuto dall’élite di potere che guida la globalizzazione in senso neo-feudale, predicando il taglio dello Stato a favore delle multinazionali privatizzatrici. La riforma costituzionale sottoposta a referendum sembra recepire alla lettera il “monito” di Jamie Dimon, che dal vertice della Jp Morgan avvertì che la nostra Costituzione è “troppo sensibile” alla tutela dei diritti sociali. Da sempre, Renzi si è affidato a consiglieri strategici non esattamente di sinistra: da Marco Carrai, un uomo con saldi interessi nella finanza di Tel Aviv, a Yoram Gutgeld, economista italo-israeliano e vera “mente” del governo. Per non parlare del consigliere-ombra per la politica estera, il politologo americano Michael Ledeen, esponente dell’ultra-destra atlantista. «Ledeen appartiene alla massoneria internazionale di potere che ha condizionato lungamente la politica italiana», racconta Gianfranco Carpeoro nel libro “Dalla massoneria al terrorismo”: «Ha sponsorizzato prima Craxi, poi Di Pietro, poi Grillo».Stesso schema: sostenere un leader e, al tempo stesso, il suo “demolitore” – ieri Craxi e Di Pietro, oggi Renzi e Grillo. Sempre secondo Carpeoro, il grillino “gestito” da Ledeen sarebbe Luigi Di Maio, ipotetico premier del dopo-Renzi in caso di elezioni. L’evoluzione della crisi italiana preoccupa moltissimo i super-poteri finanziari che governano l’Europa attraverso l’Ue, la Bce e la Germania: il referendum italico segue di poco il terremoto-Brexit e sarà celebrato all’indomani del voto americano, dove il vertice dell’oligarchia teme la vittoria di Trump. Poi, in Europa, seguiranno elezioni delicatissime, a partire da quella di un paese-cardine come la Francia, sempre più ostile all’egemonia di Bruxelles. Se questa è la cornice internazionale nella quale maturano anche gli eventi italiani, per ora Giannuli preferisce concentrarsi sulle mosse del piccolo Renzi: se perdesse il referendum, dice l’analista dell’ateneo milanese, il premier cercherà di evitare lo scioglimento immediato delle Camere (e qui il caos sulla legge elettorale lo soccorrerebbe) e proverà a domare la rivolta nel partito. «Infatti, è più che plausibile che Franceschini, De Luca, Emiliano, e forse i piemontesi (Fassino e Chiamparino) gli si getteranno addosso reclamandone la testa». E, insieme a «quei morti di sonno della minoranza di sinistra», potrebbero «rovesciare il segretario», anche se lo statuto del Pd imporebbe un “regolare processo”, cioè un congresso del partito.«Il disegno di Renzi è facilmente indovinabile: fare un governo di scopo, di larghe intese, proprio perché bisogna rifare la legge elettorale e, di conseguenza, un governo presieduto da un tecnico non iscritto a nessun partito (insomma, un altro Monti)». Questo sia per guadagnare tempo, sia per evitare che su quella poltrona possa andarci Franceschini o un altro esponente Pd che poi, magari, diventerebbe il candidato alla presidenza del Consiglio. «In questo modo, invece – continua Giannuli – la poltrona di Palazzo Chigi sarebbe “sterilizzata” ai fini delle prossime elezioni». Una volta “sistemato” il governo in questo modo, Renzi potrebbe dedicarsi al congresso del partito. Obiettivo: estinguere la minoranza bersaniana, che il segretario non ricandiderebbe più alle elezioni. «Qui l’azione di D’Alema sarebbe perfettamente convergente, perché il Conte Max ragionevolmente userebbe la rete dei comitati per il No come base di un nuovo partito». Ma attenzione, anche qui, ai retroscena: D’Alema, scrive Gioele Magaldi nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, milita nella galassia delle logge sovra-massoniche internazionali di destra, come la storica “Three Eyes”, che annoverebbe tra i suoi autorevoli esponenti personalità come Henry Kissinger e Giorgio Napolitano. Un giurista vicinissimo all’ex capo dello Stato, Valerio Onida, ex presidente della Consulta, sta tentando di far bloccare (per eccesso di quesiti) un referendum che Renzi rischia di perdere. Come dire: il gioco è grande, molto più di Renzi.
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Se Renzi perde si tiene il Pd, a Palazzo Chigi un altro Monti
Scritto il 20/10/16 • nella Categoria: Recensioni Condividi
Se dovesse perdere il referendum, «Renzi sarebbe ridotto a mal partito, ma non spacciato: per liberarcene occorrerà ancora altro», sostiene Aldo Giannuli, che prova a valutare le mosse del premier in caso di bocciatura, visti i sondaggi che ormai danno vincente il No, nonostante i tanti indecisi. In caso di sconfitta, «è prevedibile che Renzi rassegni le dimissioni del governo già il giorno 5 dicembre e prima che glielo chieda chiunque», perché «in un paese in cui non si dimettono nemmeno i morti e dove nessuno tiene fede alla parola data, un politico che si dimette come aveva promesso ci fa un figurone». Ma attenzione, sarebbe una scelta dovuta a un calcolo molto preciso: «Mantenere la poltrona di segretario del partito e guadagnare tempo». Infatti, «difficilmente gli converrebbe andare alle elezioni subito: dopo la botta del referendum, il Pd probabilmente perderebbe». Anche se la Corte Costituzionale dovesse lasciare immutato l’Italicum, infatti, «la bocciatura del referendum imporrebbe di ripensare la legge elettorale», magari per differenziarla: turno unico al Senato e doppio turno alla Camera. Ci vorrà tempo: e Renzi preferirà cedere temporaneamente Palazzo Chigi a «un altro Monti», dedicandosi nel frattempo alla definitiva “pulizia etnica” nel Pd, divenendone il padrone assoluto.Sempre che, naturalmente, i poteri forti glielo consentano. A decidere, in realtà, sarebbe il Vaticano, scommette l’ex ministro socialista Rino Formica. Il “Financial Times” lascia capire che la finanza anglosassone sta già mollando il Rottamatore: le sue riforme sarebbero «un ponte verso il nulla», scrive il giornale della City. Fin dall’inizio, Renzi è stato sostenuto dall’élite di potere che guida la globalizzazione in senso neo-feudale, predicando il taglio dello Stato a favore delle multinazionali privatizzatrici. La riforma costituzionale sottoposta a referendum sembra recepire alla lettera il “monito” di Jamie Dimon, che dal vertice della Jp Morgan avvertì che la nostra Costituzione è “troppo sensibile” alla tutela dei diritti sociali. Da sempre, Renzi si è affidato a consiglieri strategici non esattamente di sinistra: da Marco Carrai, un uomo con saldi interessi nella finanza di Tel Aviv, a Yoram Gutgeld, economista italo-israeliano e vera “mente” del governo. Per non parlare del consigliere-ombra per la politica estera, il politologo americano Michael Ledeen, esponente dell’ultra-destra atlantista. «Ledeen appartiene alla massoneria internazionale di potere che ha condizionato lungamente la politica italiana», racconta Gianfranco Carpeoro nel libro “Dalla massoneria al terrorismo”: «Ha sponsorizzato prima Craxi, poi Di Pietro, poi Grillo».Stesso schema: sostenere un leader e, al tempo stesso, il suo “demolitore” – ieri Craxi e Di Pietro, oggi Renzi e Grillo. Sempre secondo Carpeoro, il grillino “gestito” da Ledeen sarebbe Luigi Di Maio, ipotetico premier del dopo-Renzi in caso di elezioni. L’evoluzione della crisi italiana preoccupa moltissimo i super-poteri finanziari che governano l’Europa attraverso l’Ue, la Bce e la Germania: il referendum italico segue di poco il terremoto-Brexit e sarà celebrato all’indomani del voto americano, dove il vertice dell’oligarchia teme la vittoria di Trump. Poi, in Europa, seguiranno elezioni delicatissime, a partire da quella di un paese-cardine come la Francia, sempre più ostile all’egemonia di Bruxelles. Se questa è la cornice internazionale nella quale maturano anche gli eventi italiani, per ora Giannuli preferisce concentrarsi sulle mosse del piccolo Renzi: se perdesse il referendum, dice l’analista dell’ateneo milanese, il premier cercherà di evitare lo scioglimento immediato delle Camere (e qui il caos sulla legge elettorale lo soccorrerebbe) e proverà a domare la rivolta nel partito. «Infatti, è più che plausibile che Franceschini, De Luca, Emiliano, e forse i piemontesi (Fassino e Chiamparino) gli si getteranno addosso reclamandone la testa». E, insieme a «quei morti di sonno della minoranza di sinistra», potrebbero «rovesciare il segretario», anche se lo statuto del Pd imporebbe un “regolare processo”, cioè un congresso del partito.«Il disegno di Renzi è facilmente indovinabile: fare un governo di scopo, di larghe intese, proprio perché bisogna rifare la legge elettorale e, di conseguenza, un governo presieduto da un tecnico non iscritto a nessun partito (insomma, un altro Monti)». Questo sia per guadagnare tempo, sia per evitare che su quella poltrona possa andarci Franceschini o un altro esponente Pd che poi, magari, diventerebbe il candidato alla presidenza del Consiglio. «In questo modo, invece – continua Giannuli – la poltrona di Palazzo Chigi sarebbe “sterilizzata” ai fini delle prossime elezioni». Una volta “sistemato” il governo in questo modo, Renzi potrebbe dedicarsi al congresso del partito. Obiettivo: estinguere la minoranza bersaniana, che il segretario non ricandiderebbe più alle elezioni. «Qui l’azione di D’Alema sarebbe perfettamente convergente, perché il Conte Max ragionevolmente userebbe la rete dei comitati per il No come base di un nuovo partito». Ma attenzione, anche qui, ai retroscena: D’Alema, scrive Gioele Magaldi nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, milita nella galassia delle logge sovra-massoniche internazionali di destra, come la storica “Three Eyes”, che annoverebbe tra i suoi autorevoli esponenti personalità come Henry Kissinger e Giorgio Napolitano. Un giurista vicinissimo all’ex capo dello Stato, Valerio Onida, ex presidente della Consulta, sta tentando di far bloccare (per eccesso di quesiti) un referendum che Renzi rischia di perdere. Come dire: il gioco è grande, molto più di Renzi.
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