LA SFIDA del REFERENDUM
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
PER QUESTI QUARANTENNI CONTA SOLO LA POLTRONA SOTTO IL LATO B. DOVEVANO RAPPRESENTARE IL RICAMBIO GENERAZIONALE MA SONO CENTO VOLTE PEGGIO DEI LORO PREDECESSORI. QUESTO PAESE E' FINITO E SENZA SPERANZA.
LA LETTERA Renzi scrive agli elettori oltre confine
Alfano non risponde
e dice balle: indirizzi
per gli spot solo al Sì
Il ministro: “Non propaganda, ma un invito a votare”. Nota del Viminale: “Il No ha avuto gli elenchi”. Il comitato: “Falso ”
»VIRGINIA DELLA SALA
La faccenda alla fine è tutta qui: “Il ministro degli Interni dovrà spiegare perché ha usato due pesi e due misure”. Alfiero Grandi, vicepresidente del Comitato per il No (quello dei “professori”), si riferisce al caso della lettera inviata da Matteo Renzi ai 4 milioni di elettori italiani residenti all’estero per invitarli a votare Sì (la vedete qui accanto). Se il Comitato creato dal Pd ha tutto il diritto di avere gli indirizzi –a stare a un bizzarro regolamento del Garante della Privacy (l’ex deputato Pd Antonello Soro) del 2014 –allora perché quegli indirizzi sono stati negati al Comitato popolare per il No un mese fa come ha raccontato sul Fatto di ieri il presidente Giuseppe Gargani?
IL 30 SETTEMBRE,spiega Gargani, “ho inviato al ministero degli Interni la richiesta dell’elenco provvisorio degli elettori residenti all’estero”. L’istanza è legittima. Il provvedimento del Garante della Privacy prevede che partiti, movimenti politici, comitati promotori e singoli candidati possano usare dati personali perlapropaganda elacomunicazione politica. Gargani riceve una prima risposta il 7 ottobre: per colpa di alcune procedure, consegneranno gli elenchi tra lunedì e martedì. Ottimista, il 12 ottobre manda un suo assistente a prelevare la lista al ministero: “Ma nel cd c’è solo un documento con 4milioni di nomi e cognomi. Nient’altro”. Dice di aver telefonato allora al responsabile della pratica per chiedere perché non ci fossero gli indirizzi. “Mi ha risposto che per problemi di privacy non potevano essere divulgati”. La notizia provoca una reazione a catena. Di fronte al diniego a Gargani, il Comitato del No dei “professori”non prova neanche a chiederli: “Dopo il rifiuto, il nostro Comitato aveva deciso di non fare la richiesta al Viminale. Ora scopriamo invece che il premier, attraverso il Comitato per il Sì, ha ottenuto quello che al fronte del No è stato negato”, insiste Grandi. Ieri sera, il ministero degli Interni ha diffuso un comunicato: “Sono stati regolarmente consegnati, su cd, a tutti i richiedenti, gli unici dati sugli italiani all’estero di cui è in possesso il ministero dell’Interno: nome e cognome, data e luogo di nascita, indirizzo estero di residenza dell’elettore e sede diplomatica di competenza”. Poi il Viminale spiega che le informazioni sono state date a quattro richiedenti: il comitato Bastaun sì,il comitato Popolare per il no,il Maie (Movimento associativo italiani all’estero) e all’onorevole Renata Bueno per Brasile ed Uruguay. E se la Bueno dice che, a quantole risulta, gliunici elenchi che ha sono quelli del 2013, “i tecnici che hanno visto il cd - risponde Gargani - confermano che non c’erano gli indirizzi. Solo nomi”.Il ministro Alfano,invece, nonsembra sapere proprio di cosa si parla: lalettera, dicedopo un comizio a Pescara, è un’inizia tiva “assolutamente normale” che ha tutta “l’is tit uzi on ali tà che giustifica l’intervento di un presidente del Consiglio che promuove il voto”. Eppure è firmata Matteo Renzi, senza alcuna indicazione della carica, e l’unico logo stampato è quello di “Basta un Sì”. L’operazione è ambigua quasi per ammissione dei promotori. Giovedì la ministra Maria Elena Boschi, incontrando i comitati esteri, aveva detto: “Non so se è già arrivata la lettera del presidente del
Consiglio”, specificando poi che “sarà consegnata contemporaneamente, ma non insieme”al plico con le schede elettorali. Il comitato aveva poi specificato che si trattava di una iniziativa del Pd.
E MENTRE si cerca di capire quale versione terrà insieme tutto, i comitati per il No hanno annunciato che lunedì presenteranno un esposto alla magistratura. Gli stessi Comitati, infine, non hanno ottenuto una data per incontrarsi come hanno chiesto - né dal Quirinale, né dal ministro degli Esteri Gentiloni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LA LETTERA Renzi scrive agli elettori oltre confine
Alfano non risponde
e dice balle: indirizzi
per gli spot solo al Sì
Il ministro: “Non propaganda, ma un invito a votare”. Nota del Viminale: “Il No ha avuto gli elenchi”. Il comitato: “Falso ”
»VIRGINIA DELLA SALA
La faccenda alla fine è tutta qui: “Il ministro degli Interni dovrà spiegare perché ha usato due pesi e due misure”. Alfiero Grandi, vicepresidente del Comitato per il No (quello dei “professori”), si riferisce al caso della lettera inviata da Matteo Renzi ai 4 milioni di elettori italiani residenti all’estero per invitarli a votare Sì (la vedete qui accanto). Se il Comitato creato dal Pd ha tutto il diritto di avere gli indirizzi –a stare a un bizzarro regolamento del Garante della Privacy (l’ex deputato Pd Antonello Soro) del 2014 –allora perché quegli indirizzi sono stati negati al Comitato popolare per il No un mese fa come ha raccontato sul Fatto di ieri il presidente Giuseppe Gargani?
IL 30 SETTEMBRE,spiega Gargani, “ho inviato al ministero degli Interni la richiesta dell’elenco provvisorio degli elettori residenti all’estero”. L’istanza è legittima. Il provvedimento del Garante della Privacy prevede che partiti, movimenti politici, comitati promotori e singoli candidati possano usare dati personali perlapropaganda elacomunicazione politica. Gargani riceve una prima risposta il 7 ottobre: per colpa di alcune procedure, consegneranno gli elenchi tra lunedì e martedì. Ottimista, il 12 ottobre manda un suo assistente a prelevare la lista al ministero: “Ma nel cd c’è solo un documento con 4milioni di nomi e cognomi. Nient’altro”. Dice di aver telefonato allora al responsabile della pratica per chiedere perché non ci fossero gli indirizzi. “Mi ha risposto che per problemi di privacy non potevano essere divulgati”. La notizia provoca una reazione a catena. Di fronte al diniego a Gargani, il Comitato del No dei “professori”non prova neanche a chiederli: “Dopo il rifiuto, il nostro Comitato aveva deciso di non fare la richiesta al Viminale. Ora scopriamo invece che il premier, attraverso il Comitato per il Sì, ha ottenuto quello che al fronte del No è stato negato”, insiste Grandi. Ieri sera, il ministero degli Interni ha diffuso un comunicato: “Sono stati regolarmente consegnati, su cd, a tutti i richiedenti, gli unici dati sugli italiani all’estero di cui è in possesso il ministero dell’Interno: nome e cognome, data e luogo di nascita, indirizzo estero di residenza dell’elettore e sede diplomatica di competenza”. Poi il Viminale spiega che le informazioni sono state date a quattro richiedenti: il comitato Bastaun sì,il comitato Popolare per il no,il Maie (Movimento associativo italiani all’estero) e all’onorevole Renata Bueno per Brasile ed Uruguay. E se la Bueno dice che, a quantole risulta, gliunici elenchi che ha sono quelli del 2013, “i tecnici che hanno visto il cd - risponde Gargani - confermano che non c’erano gli indirizzi. Solo nomi”.Il ministro Alfano,invece, nonsembra sapere proprio di cosa si parla: lalettera, dicedopo un comizio a Pescara, è un’inizia tiva “assolutamente normale” che ha tutta “l’is tit uzi on ali tà che giustifica l’intervento di un presidente del Consiglio che promuove il voto”. Eppure è firmata Matteo Renzi, senza alcuna indicazione della carica, e l’unico logo stampato è quello di “Basta un Sì”. L’operazione è ambigua quasi per ammissione dei promotori. Giovedì la ministra Maria Elena Boschi, incontrando i comitati esteri, aveva detto: “Non so se è già arrivata la lettera del presidente del
Consiglio”, specificando poi che “sarà consegnata contemporaneamente, ma non insieme”al plico con le schede elettorali. Il comitato aveva poi specificato che si trattava di una iniziativa del Pd.
E MENTRE si cerca di capire quale versione terrà insieme tutto, i comitati per il No hanno annunciato che lunedì presenteranno un esposto alla magistratura. Gli stessi Comitati, infine, non hanno ottenuto una data per incontrarsi come hanno chiesto - né dal Quirinale, né dal ministro degli Esteri Gentiloni.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
4 DICEMBRE
Referendum, ultimi sondaggi
No avanti. Ma tanti indecisi
L'ultimo studio Demopolis prima del black out elettorale conferma un leggero vantaggio di chi vuole bocciare la riforma. Ma a due settimane dal voto il numero di chi non ha ancora scelto è da record, 12 milioni, e può ribaltare il risultato finale
VEDI:
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
Referendum, ultimi sondaggi
No avanti. Ma tanti indecisi
L'ultimo studio Demopolis prima del black out elettorale conferma un leggero vantaggio di chi vuole bocciare la riforma. Ma a due settimane dal voto il numero di chi non ha ancora scelto è da record, 12 milioni, e può ribaltare il risultato finale
VEDI:
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
ALLA VISTA DELLA LINEA DI ARRIVO DEL NO.
Referendum, Bankitalia agita
lo spauracchio dei mercati
Palazzo Koch: "Attese forti turbolenze sui mercati". Ma gli italiani non sono più disposti a farsi ricattare dalla Finanza
di Sergio Rame
51 minuti fa
Referendum, Bankitalia agita
lo spauracchio dei mercati
Palazzo Koch: "Attese forti turbolenze sui mercati". Ma gli italiani non sono più disposti a farsi ricattare dalla Finanza
di Sergio Rame
51 minuti fa
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
UncleTom ha scritto:ALLA VISTA DELLA LINEA DI ARRIVO DEL NO.
Referendum, Bankitalia agita
lo spauracchio dei mercati
Palazzo Koch: "Attese forti turbolenze sui mercati". Ma gli italiani non sono più disposti a farsi ricattare dalla Finanza
di Sergio Rame
51 minuti fa
Referendum, Bankitalia: "Attesa volatilità sui mercati"
Palazzo Koch lancia l'allarme: "Attese forti turbolenze sui mercati". Ma gli italiani non sono più disposti a farsi ricattare dalla Finanza
Sergio Rame - Ven, 18/11/2016 - 15:58
commenta
Gli analisti della Banca d'Italia entrano a gamba tesa sul voto del 4 dicembre.
È l'ennesima ingerenza di campo per spingere gli italiani a votare Sì al referendum sulle riforme costituzionali. Nel Rapporto sulla Stabilità finanziaria, l'Istituto di via Nazionale ha infatti agitato lo spettro degli indicatori di mercato che avrebbero registrato "un aumento della volatilità attesa sulle azioni italiane nella prima settimana di dicembre, in corrispondenza con il referendum". Non solo. Palazzo Koch ha sottolineato anche l'incremento dell'attività sui derivati sul debito sovrano italiano.
È il solito ricatto della finanza. Imporre la propria volontà minacciando turbolenze sui mercati e impennate sullo spread. E così anche la Banca d'Italia, nell'ultima edizione del Rapporto sulla Stabilità, va a dipingere scenari a tinte fosche per caricare il voto del 4 dicembre di conseguenze improbabili. Secondo gli analisti di Palazzo Koch, infatti, i rischi per la stabilità finanziaria derivanti dal quadro macroeconomico globale "restano elevati" in un contesto che, anche alla luce delle importanti scadenze elettorali attese in Europa nei prossimi mesi, vede salire le tensioni sui mercati, con particolare riferimento all'aumento dei rendimenti del bond sovrano.
"Nell'area dell'euro e in Italia le condizioni monetarie espansive contribuiscono a sostenere la liquidità dei mercati finanziari, a ridurre i premi per il rischio sulle obbligazioni private, a contenere le tensioni sui titoli di Stato - si legge nel rapporto - dopo le elezioni negli Stati Uniti i rendimenti obbligazionari sono aumentati in tutte le economie avanzate; lo spread sui titoli pubblici italiani è salito". L'allarme della Banca d'Italia è una sorta di déjà-vu. Il differenziale tra i Btp decennali e i Bund tedeschi che aumenta e i titoli che, attaccati dalla speculazione, perdono terreno. Lo stesso scenario del 2011. "Le prospettive di una crescita ancora modesta in Europa e l'incertezza legata agli sviluppi politici nei principali Paesi avanzati potrebbero alimentare forti variazioni dei corsi delle attività finanziarie nei prossimi mesi - prosegue il rapporto - gli indicatori di mercato registrano un aumento della volatilità attesa sulle azioni italiane nella prima settimana di dicembre, in corrispondenza con il referendum sulla riforma costituzionale".
L'analisi della Banca d'Italia ricalca la lettura di il Wall Street Journal che ha messo sotto la lente d'ingrandimento l'appuntamento del 4 dicembre. "È la prossima opportunità per gli elettori di una grande economia di dare uno scossone all'establishment". Secondo i più, lo scossone potrebbe travolgere Matteo Renzi e mandare in tilt il sistema Italia. Eppure, nonostante i poteri forti e i "giornaloni" continuino a sbandierare lo spauracchio dei mercati, i sondaggi confermano che il No resta nettamente in vantaggio. Gli italiani, insomma, non sono più disposti a farsi condizionare. D'altra parte anche la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali avrebbe dovuto essere accompagnata dal crollo dei mercati globali. Così non è stato. La tenuta delle Borse all'indomani del trionfo del tycoon è stata interpretata dagli analisti come uno step di esperienza accumulato dopo la vittoria del "Leave" al referendum inglese. La Brexit, insomma, ha fatto scuola.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Referendum costituzionale, vincere perdendo: le piroette di Renzi
di Antonio Padellaro | 18 novembre 2016
| Commenti (91)
Nel suo personale gioco dell’oca oggi Matteo Renzi si è fermato sulla casella: “Se vince il No non è la fine del mondo non succede nulla”.
Non fateci caso se qualche mese fa zompettava tra il disperato: “Se vince il No mi ritiro dalla politica” e l’immagine truculenta del lanciafiamme da usare contro i nemici interni se dovesse prevalere il Sì.
Il personaggio gioca d’azzardo, tutto dipende dai dadi, ovvero dai sondaggi che s’intestardiscono a dare la bocciatura del referendum in vantaggio.
Anche se lui si aggrappa al cospicuo numero di incerti sperando che all’ultimo la “maggioranza silenziosa” dei Sì ribalti i pronostici.
Se inseguire il premier nelle sue giravolte è passatempo ormai stucchevole incuriosisce di più la tecnica che lo statista di Rignano adotterà in caso di sconfitta per restare comunque a galla: il suo unico, vero obiettivo.
Lo ha detto sere fa Vittorio Sgarbi a Otto e mezzo: “Renzi vince anche se perde”.
L’ipotesi di partenza è che al momento della conta il Sì giunga a un’incollatura dal No.
“Anche solo con il 47 o 48% dei Sì, Matteo potrà sempre dire sono tutti voti miei mentre il No, sia pure vincendo, presto si frantumerebbe tra D’Alema, Brunetta e Grillo”, ha spiegato con utile cinismo il critico d’arte.
Gli è stato replicato che la sconfitta è comunque una brutta bestia da digerire anche se la politica insegna che una volta calmate le acque bisogna poi sempre fare i conti con la realtà.
E la realtà dei fatti ci dice che dopo tre anni a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio ha piantato robuste radici nel sistema di potere (sua prevalente occupazione) e che perfino un No potrebbe sì scuoterlo ma non abbatterlo del tutto. Per almeno cinque ragioni.
Primo. Nelle sue numerose piroette, Renzi non ha mai detto: se perdo lascio la leadership del Pd.
È comprensibile. Chi guida il partito di maggioranza controlla tutto il cocuzzaro.
Del resto chi potrebbe disarcionarlo? La minoranza non ha i voti e il congresso, che qualcuno già ipotizza, nel momento del pericolo comune compatterebbe il blocco renziano intorno al capo.
Nuove primarie? E chi potrebbe sfidarlo con qualche possibilità di spuntarla? Franceschini? Cuperlo? Orfini? Via, non scherziamo.
Secondo. Quando Renzi sostiene che vincendo il No non presiederà mai un governicchio di scopo da trascinare fino alle elezioni del 2018 (o a quelle anticipate alla primavera del 2017), va creduto.
Che interesse avrebbe a farsi logorare da quei senatori che intendeva decimare e che non perderebbero occasione per piccole e grandi vendette ai suoi danni?
Quella semmai è una poltrona adatta a personaggi che lui, come kingmaker sia pure azzoppato, potrà indicare.
Pier Carlo Padoan appare il più adatto a ricoprire la carica di premier di garanzia per l’Europa e i mercati e con una tosta legge finanziaria da approvare.
Qualcuno fa il nome del prezzemolo Franceschini. O di Grasso.
Una cosa sembra sicura: chiunque fosse il prescelto è a Renzi che dovrebbe rendere conto, perché sarà comunque il leader del Pd a decidere chi mettere in lista e chi escludere in vista delle elezioni anticipate o meno.
Terzo. Berlusconi ha già fatto sapere che un’eventuale affermazione del No riaprirebbe il capitolo larghe intese.
Dopo il brusco voltafaccia dell’ex cavaliere a seguito dell’elezione al Quirinale (non concordata) di Sergio Mattarella è difficile che Renzi abbia voglia di imbarcarsi in un Nazareno bis. Tutt’al più si terrà tutte le strade aperte se e quando dovesse ritornare a Palazzo Chigi da vincitore.
Quarto. La vittoria del No renderebbe inevitabile la riscrittura della legge elettorale (che sarà in ogni caso sottoposta al giudizio della Corte costituzionale). Occasione propizia che gli consentirà di togliersi dai piedi il ballottaggio. Benedetto quando Renzi trionfava con il 40% dei voti. Maledetto da quando, secondo tutti i sondaggi, a beneficiare dell’Italicum sarebbero soprattutto i Cinque Stelle. Si chiama eterogenesi dei fini.
Quinto. Dalla Fiat di Marchionne alla grande finanza internazionale, i cosiddetti poteri forti sono tutti con Renzi anche perché non vedono alternative alla sua persona. Di lui si fidano. Perfino Bruxelles, con cui il premier fa finta di fare la voce grossa, ha deciso di stare al gioco per non intralciare il Sì.
Il commissario agli Affari europei, il francese Pierre Moscovici è un suo stretto alleato nel Pse.
Così come il presidente del Parlamento europeo, il socialista Martin Schulz che non lo biasima affatto quando dice che “l’Ue ha bisogno di essere un po’ svegliata e che i messaggi di Renzi arrivano chiari”. Il gatto e la volpe.
Insomma, per dirla con Sgarbi, si può vincere anche quando si perde.
E tutta quella manfrina sul salto nel vuoto e sul dove andremo a finire se il Sì perde era appunto una manfrina.
È il gioco della politica (o delle tre carte). Avete presente quando si estrae il cartoncino con su scritto: ”Fate tre passi indietro con tanti auguri”? Ecco.
di Antonio Padellaro | 18 novembre 2016
di Antonio Padellaro | 18 novembre 2016
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Nel suo personale gioco dell’oca oggi Matteo Renzi si è fermato sulla casella: “Se vince il No non è la fine del mondo non succede nulla”.
Non fateci caso se qualche mese fa zompettava tra il disperato: “Se vince il No mi ritiro dalla politica” e l’immagine truculenta del lanciafiamme da usare contro i nemici interni se dovesse prevalere il Sì.
Il personaggio gioca d’azzardo, tutto dipende dai dadi, ovvero dai sondaggi che s’intestardiscono a dare la bocciatura del referendum in vantaggio.
Anche se lui si aggrappa al cospicuo numero di incerti sperando che all’ultimo la “maggioranza silenziosa” dei Sì ribalti i pronostici.
Se inseguire il premier nelle sue giravolte è passatempo ormai stucchevole incuriosisce di più la tecnica che lo statista di Rignano adotterà in caso di sconfitta per restare comunque a galla: il suo unico, vero obiettivo.
Lo ha detto sere fa Vittorio Sgarbi a Otto e mezzo: “Renzi vince anche se perde”.
L’ipotesi di partenza è che al momento della conta il Sì giunga a un’incollatura dal No.
“Anche solo con il 47 o 48% dei Sì, Matteo potrà sempre dire sono tutti voti miei mentre il No, sia pure vincendo, presto si frantumerebbe tra D’Alema, Brunetta e Grillo”, ha spiegato con utile cinismo il critico d’arte.
Gli è stato replicato che la sconfitta è comunque una brutta bestia da digerire anche se la politica insegna che una volta calmate le acque bisogna poi sempre fare i conti con la realtà.
E la realtà dei fatti ci dice che dopo tre anni a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio ha piantato robuste radici nel sistema di potere (sua prevalente occupazione) e che perfino un No potrebbe sì scuoterlo ma non abbatterlo del tutto. Per almeno cinque ragioni.
Primo. Nelle sue numerose piroette, Renzi non ha mai detto: se perdo lascio la leadership del Pd.
È comprensibile. Chi guida il partito di maggioranza controlla tutto il cocuzzaro.
Del resto chi potrebbe disarcionarlo? La minoranza non ha i voti e il congresso, che qualcuno già ipotizza, nel momento del pericolo comune compatterebbe il blocco renziano intorno al capo.
Nuove primarie? E chi potrebbe sfidarlo con qualche possibilità di spuntarla? Franceschini? Cuperlo? Orfini? Via, non scherziamo.
Secondo. Quando Renzi sostiene che vincendo il No non presiederà mai un governicchio di scopo da trascinare fino alle elezioni del 2018 (o a quelle anticipate alla primavera del 2017), va creduto.
Che interesse avrebbe a farsi logorare da quei senatori che intendeva decimare e che non perderebbero occasione per piccole e grandi vendette ai suoi danni?
Quella semmai è una poltrona adatta a personaggi che lui, come kingmaker sia pure azzoppato, potrà indicare.
Pier Carlo Padoan appare il più adatto a ricoprire la carica di premier di garanzia per l’Europa e i mercati e con una tosta legge finanziaria da approvare.
Qualcuno fa il nome del prezzemolo Franceschini. O di Grasso.
Una cosa sembra sicura: chiunque fosse il prescelto è a Renzi che dovrebbe rendere conto, perché sarà comunque il leader del Pd a decidere chi mettere in lista e chi escludere in vista delle elezioni anticipate o meno.
Terzo. Berlusconi ha già fatto sapere che un’eventuale affermazione del No riaprirebbe il capitolo larghe intese.
Dopo il brusco voltafaccia dell’ex cavaliere a seguito dell’elezione al Quirinale (non concordata) di Sergio Mattarella è difficile che Renzi abbia voglia di imbarcarsi in un Nazareno bis. Tutt’al più si terrà tutte le strade aperte se e quando dovesse ritornare a Palazzo Chigi da vincitore.
Quarto. La vittoria del No renderebbe inevitabile la riscrittura della legge elettorale (che sarà in ogni caso sottoposta al giudizio della Corte costituzionale). Occasione propizia che gli consentirà di togliersi dai piedi il ballottaggio. Benedetto quando Renzi trionfava con il 40% dei voti. Maledetto da quando, secondo tutti i sondaggi, a beneficiare dell’Italicum sarebbero soprattutto i Cinque Stelle. Si chiama eterogenesi dei fini.
Quinto. Dalla Fiat di Marchionne alla grande finanza internazionale, i cosiddetti poteri forti sono tutti con Renzi anche perché non vedono alternative alla sua persona. Di lui si fidano. Perfino Bruxelles, con cui il premier fa finta di fare la voce grossa, ha deciso di stare al gioco per non intralciare il Sì.
Il commissario agli Affari europei, il francese Pierre Moscovici è un suo stretto alleato nel Pse.
Così come il presidente del Parlamento europeo, il socialista Martin Schulz che non lo biasima affatto quando dice che “l’Ue ha bisogno di essere un po’ svegliata e che i messaggi di Renzi arrivano chiari”. Il gatto e la volpe.
Insomma, per dirla con Sgarbi, si può vincere anche quando si perde.
E tutta quella manfrina sul salto nel vuoto e sul dove andremo a finire se il Sì perde era appunto una manfrina.
È il gioco della politica (o delle tre carte). Avete presente quando si estrae il cartoncino con su scritto: ”Fate tre passi indietro con tanti auguri”? Ecco.
di Antonio Padellaro | 18 novembre 2016
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
IN NOME DELLA SANTISSIMA POLTRONA
L’ANM: IMPEGNO SCRITTO
Orlando promette:
il 7 dicembre, riforma
della Giustizia
NULLA DEVE TURBARE il governo prima del 4 dicembre, giorno fatidico del referendum.Ecosì, ancheconlabenedizione diMatteo Renzi,che nonvuole unosciopero dei magistrati proprio ora, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha promesso, per iscritto, l’approvazione della riforma penale con alcunemodifichechieste dall’Anm. La missiva è stata letta ieri, durante la riunione del sinda
cato delle toghe. Giovedì, Orlando aveva incontrato ivertici dell’Anm. “È emersauna data”, ha detto il segretario Francesco Minisci, il 7 dicembre saràposta lafiducia (sempreche il governo reggaal referendum).Dentro lariforma verrebbe inserita anche la modifica della norma “ad Canzio”che ha prorogato la pensione solo ai vertici della Suprema Corte, Consiglio di Stato e Corte dei conti. L’Anm vorrebbe
uno spacchettamento di questa legge e di quella cheregola la richiestadi trasferimento deimagistrati,madi fronteall’impegno ha dato tempo al governo: fino al 31 dicembre. “Se le promesse scritte per la prima volta dopo 20 anni”non saranno mantenute, ha ammonito Davigo, l’Anmavrà “più forza peruna protesta di energia estrema”. ANTONELLA MASCALI
RICORDA QUALCOSA?????
A CHI LA POLTRONA?.......A NOI
Sbattendo i tacchi e tendendo il braccio nel saluto romano
L’ANM: IMPEGNO SCRITTO
Orlando promette:
il 7 dicembre, riforma
della Giustizia
NULLA DEVE TURBARE il governo prima del 4 dicembre, giorno fatidico del referendum.Ecosì, ancheconlabenedizione diMatteo Renzi,che nonvuole unosciopero dei magistrati proprio ora, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha promesso, per iscritto, l’approvazione della riforma penale con alcunemodifichechieste dall’Anm. La missiva è stata letta ieri, durante la riunione del sinda
cato delle toghe. Giovedì, Orlando aveva incontrato ivertici dell’Anm. “È emersauna data”, ha detto il segretario Francesco Minisci, il 7 dicembre saràposta lafiducia (sempreche il governo reggaal referendum).Dentro lariforma verrebbe inserita anche la modifica della norma “ad Canzio”che ha prorogato la pensione solo ai vertici della Suprema Corte, Consiglio di Stato e Corte dei conti. L’Anm vorrebbe
uno spacchettamento di questa legge e di quella cheregola la richiestadi trasferimento deimagistrati,madi fronteall’impegno ha dato tempo al governo: fino al 31 dicembre. “Se le promesse scritte per la prima volta dopo 20 anni”non saranno mantenute, ha ammonito Davigo, l’Anmavrà “più forza peruna protesta di energia estrema”. ANTONELLA MASCALI
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Sondaggi referendum, le incognite che minacciano la vittoria del No: affluenza, indecisi e voto estero
Referendum Costituzionale
Nell'ultimo giorno in cui è possibile pubblicare le rilevazioni, i principali quotidiani italiani si concentrano sull'analisi dei dati raccolti in questi mesi. Il fronte dei contrari è dato in vantaggio, ma non irraggiungibile. Tante la variabili da considerare: da chi potrebbe cambiare idea a chi invece non si presenterà alle urne
di F. Q. | 18 novembre 2016
Il No in vantaggio dai 6 agli 8 punti, ma niente è deciso. Nell’ultimo giorno in cui è possibile pubblicare i sondaggi sul referendum del 4 dicembre prossimo, i principali quotidiani italiani pubblicano le analisi sulle tendenze di voto. E se tutti sono concordi nel dare stabile la vittoria del fronte dei contrari alla riforma, però non mancano le precauzioni. Tra le incognite da tener presente e che potrebbero influenzare l’esito finale ci sono: affluenza, indecisi, residenti all’estero e comizi finali. Gpf per il Fatto Quotidiano evidenzia che c’è un pareggio tra le motivazioni possibili di voto e quindi nonostante chi non ha ancora scelto sia più indirizzato verso il No potrebbe non bastare. Lorien consulting sottolinea che gli ultimi giorni di campagna elettorale avranno un effetto su chi sceglierà pochi giorni prima ed è necessario tener presente anche la variabile residenti all’estero: sono 3,5 milioni e non vengono tenuti in considerazione nei sondaggi. Inoltre Nando Pagnoncelli mette in guardia anche sull’affluenza, il numero di quelli che si recheranno alle urne è diminuito (1 su 2 non ci andrà) rispetto a ottobre, e sulla percentuale di coloro che potrebbero ancora cambiare idea.
E’ Ilvo Diamanti su Repubblica analizzare la geografia del voto: il No è forte al sud e al centro, mentre fatica di più al nord. Sono gli under 50 gli elettori più schierati contro la riforma Renzi, una fascia della popolazione storicamente più propensa all’astensione. Proprio questo elemento potrebbe favorire il Sì. Secondo La Stampa, come detto anche dal Fatto, gli indecisi sono più vicini al No. Inoltre l’endorsement al provvedimento di Gianni Cuperlo è visto come ininfluente dalla maggioranza degli intervistati, mentre quello di Denis Verdini potrebbe, dicono, portare a una scissione dentro il partito.
Infine i sondaggisti sono concordi nel dire che le sorti del governo sono percepite come vincolate all’esito del referendum. Secondo Pagnoncelli la personalizzazione è stata condizionata da Renzi, ma anche dalle opposizioni che hanno tutto l’interesse nel tenere il focus sull’esecutivo e sul suo successo o insuccesso.
GPF per il Fatto Quotidiano: “Sì dietro di 6 punti. Ma pareggio tra le motivazioni delle due parti. Indecisi propendono per il No”
L’analisi di GPF per il Fatto indica il vantaggio del No di 6 punti (32 per cento a 26%). Il fronte del Sì potrebbe però ancora farcela: gli indecisi sono il 14,2 per cento e, scrive Marco Cacciotto, “c’è un pareggio tra le motivazioni possibili di voto tra il Sì e il No”. Le motivazioni “forti” dei primi sono il “sostegno al governo in carica” e “il fatto che questa sia vista come l’ultima occasione per cambiare”, mentre dei secondi sono “la difesa della Costituzione” e “far cadere Renzi”. Chi non ha ancora scelto e propende per bocciare la riforma è il 5,3 per cento contro il 4,3. A influire anche la percezione complessiva sfavorevole nei confronti del governo e la convinzione diffusa che in caso di sconfitta il presidente del Consiglio debba dimettersi.
Lorien: “Il Sì può recuperare. Da considerare affluenza, residenti all’estero e fine campagna. Indecisi tendono a votare a favore della riforma”
Secondo l’analisi di Lorien lo scarto è sempre più ampio in favore del No (54,2%), ma il Sì (45,8%)può recuperare. Sono tre i fronti da considerare nel sondare gli umori: l’affluenza finale, considerando che gli indecisi sarebbero più propensi al Sì; i residenti all’estero, che sono 3,5 milioni, e non vengono calcolati nelle rilevazioni e potrebbero influenzare il risultato; la fine della campagna elettorale e i comizi che potrebbero spingere una parte dei cittadini a “votare sull’onda dell’impulso”. Secondo Lorien gli indecisi sono al 17 per cento e risultano in maggioranza vicini al Sì (6,5%) che al No (2,5%) a cui aggiungere un 8 per cento che non si esprime e potrebbe ancora scegliere l’astensione.
Piepoli per la Stampa: “No vince di 8 punti. Indecisi contro la riforma. Verdini spacca il Pd e Cuperlo ininfluente”
Avanti il No anche per Piepoli nell’analisi pubblicata su La Stampa: 54 per cento contro il 46 per cento. Per il 72 per cento degli intervistati la decisione è definitiva e non cambierà prima del voto. Tra chi è indeciso (24 per cento), il 24 per cento è più vicino al Sì e il 28 per cento più al No, mentre il 48 per cento non sa. Per quanto riguarda l’affluenza, si prevede che si supererà il 50 per cento e si arriverà alla soglia di 30 milioni validi. Secondo Piepoli, da luglio in poi per il fronte del Sì “non c’è più stata storia”. Gli indecisi sono attori centrali nel senso che intendono schierarsi, se sceglieranno alla fine di andare a votare, di andare a sostenere il No. Interessante anche la percezione rilevata in conseguenza dell’endorsement per il Sì di Gianni Cuperlo (visto come in generale ininfluente) e del plurimputato Denis Verdini, che se per il 47 per cento non influisce sul risultato invece per la maggioranza potrebbe portare a una scissione nel Pd.
Demos per Repubblica: “No in vantaggio di 7 punti. Sì più forte al Nord e tra gli over 65”
Secondo il sondaggio Demos per Repubblica il No è al 41 per cento, mentre il Sì al 34 con un distacco di 7 punti. Come segnalato da Ilvo Diamanti, si tratta di un’evoluzione significativa: il mese scorso la distanza era di 4 punti, mentre a settembre di 8 ma a vantaggio della riforma. Ancora presto però per dare per chiusa la competizione: il 25 per cento degli italiani intervistati è ancora indeciso, ovvero uno su quattro. La consultazione resta essenzialmente percepita come uno schierarsi pro o contro il governo (per il 62 per cento degli intervistati), piuttosto che per riformare la Costituzione (25%). Tanto che gli elettori seguono la linea data dai partiti: quelli per il Pd ad esempio sono tutti schierati a favore del provvedimento (75%), mentre solo i sostenitori di Ncd sono spaccati tra il Sì (30%) e il No (24%). Per quanto riguarda la distribuzione geografica, il Sì raccoglie più consensi al Nord e cala al centro e al sud. Il No è forte nella fascia 18-29 anni e in quella 30-44, mentre è debole tra gli over 65. Per quanto riguarda il consenso al governo: il 40 per cento dà un parere positivo all’operato dell’esecutivo. Una cifra in calo rispetto ai mesi scorsi: di 4 punti in confronto a ottobre e di 6 rispetto a settembre. Viene inoltre percepito, conclude Diamanti, uno stretto legame tra il presidente del Consiglio e il governo: da questa percezione deriva anche la necessità che sente Renzi di doversi dimettere in caso di fallimento del referendum.
Corriere della Sera: “No avanti quattro punti. Considerare indecisi, astensione e chi cambierà idea”
26,1% vs 21 per cento: il vantaggio del No sul Sì secondo il sondaggio del Corriere della Sera è di circa 5 punti, gli indecisi sono il 6.4 per cento e gli astensionisti al 46,5%. In questo scenario ci sono tre elementi da tener presenti: chi prevede di cambiare idea, gli indecisi e l’affluenza. L’analisi di Nando Pagnoncelli per il Corriere della Sera parte dal fatto che c’è stata nell’ultimo mese una crescita di coloro che dicono di conoscere “a grandi linee” la riforma ( 51 per cento rispetto al 44 di ottobre). Solo il 12% dichiara di sapere nel dettaglio cosa prevede il provvedimento. Da notare il calo dell’affluenza che passa dal 57,7 per cento al 53,5 con una perdita di più di 4 punti. Per quanto riguarda l’area dell’incertezza viene quantificata nel 13 per cento del totale: il 6,4% si dice indeciso, il 6,6 per cento potrebbe cambiare idea. Viene inoltre considerato che una parte degli elettori già schierati si dicono disposti a cambiare idea: proprio come evidenziato da Demos, sono i centristi quelli più spaccati perché uno su tre ha dichiarato di poter rivedere la sua posizione. Pagnoncelli inoltre ha analizzato la campagna referendaria: l’attitudine è stata quella di personalizzare i contenuti anche per una notevole distanza del referendum dalle “priorità” degli elettori. Per questo slogan, comizi e dibattiti sono stati molto simili a quelli di una campagna per le elezioni politiche. Non solo Renzi ha quindi responsabilità nell’aver legato l’esito del voto al governo, ma anche le opposizioni che “hanno interesse a mantenere focalizzati gli elettori sullo scontro politico”.
Referendum Costituzionale
Nell'ultimo giorno in cui è possibile pubblicare le rilevazioni, i principali quotidiani italiani si concentrano sull'analisi dei dati raccolti in questi mesi. Il fronte dei contrari è dato in vantaggio, ma non irraggiungibile. Tante la variabili da considerare: da chi potrebbe cambiare idea a chi invece non si presenterà alle urne
di F. Q. | 18 novembre 2016
Il No in vantaggio dai 6 agli 8 punti, ma niente è deciso. Nell’ultimo giorno in cui è possibile pubblicare i sondaggi sul referendum del 4 dicembre prossimo, i principali quotidiani italiani pubblicano le analisi sulle tendenze di voto. E se tutti sono concordi nel dare stabile la vittoria del fronte dei contrari alla riforma, però non mancano le precauzioni. Tra le incognite da tener presente e che potrebbero influenzare l’esito finale ci sono: affluenza, indecisi, residenti all’estero e comizi finali. Gpf per il Fatto Quotidiano evidenzia che c’è un pareggio tra le motivazioni possibili di voto e quindi nonostante chi non ha ancora scelto sia più indirizzato verso il No potrebbe non bastare. Lorien consulting sottolinea che gli ultimi giorni di campagna elettorale avranno un effetto su chi sceglierà pochi giorni prima ed è necessario tener presente anche la variabile residenti all’estero: sono 3,5 milioni e non vengono tenuti in considerazione nei sondaggi. Inoltre Nando Pagnoncelli mette in guardia anche sull’affluenza, il numero di quelli che si recheranno alle urne è diminuito (1 su 2 non ci andrà) rispetto a ottobre, e sulla percentuale di coloro che potrebbero ancora cambiare idea.
E’ Ilvo Diamanti su Repubblica analizzare la geografia del voto: il No è forte al sud e al centro, mentre fatica di più al nord. Sono gli under 50 gli elettori più schierati contro la riforma Renzi, una fascia della popolazione storicamente più propensa all’astensione. Proprio questo elemento potrebbe favorire il Sì. Secondo La Stampa, come detto anche dal Fatto, gli indecisi sono più vicini al No. Inoltre l’endorsement al provvedimento di Gianni Cuperlo è visto come ininfluente dalla maggioranza degli intervistati, mentre quello di Denis Verdini potrebbe, dicono, portare a una scissione dentro il partito.
Infine i sondaggisti sono concordi nel dire che le sorti del governo sono percepite come vincolate all’esito del referendum. Secondo Pagnoncelli la personalizzazione è stata condizionata da Renzi, ma anche dalle opposizioni che hanno tutto l’interesse nel tenere il focus sull’esecutivo e sul suo successo o insuccesso.
GPF per il Fatto Quotidiano: “Sì dietro di 6 punti. Ma pareggio tra le motivazioni delle due parti. Indecisi propendono per il No”
L’analisi di GPF per il Fatto indica il vantaggio del No di 6 punti (32 per cento a 26%). Il fronte del Sì potrebbe però ancora farcela: gli indecisi sono il 14,2 per cento e, scrive Marco Cacciotto, “c’è un pareggio tra le motivazioni possibili di voto tra il Sì e il No”. Le motivazioni “forti” dei primi sono il “sostegno al governo in carica” e “il fatto che questa sia vista come l’ultima occasione per cambiare”, mentre dei secondi sono “la difesa della Costituzione” e “far cadere Renzi”. Chi non ha ancora scelto e propende per bocciare la riforma è il 5,3 per cento contro il 4,3. A influire anche la percezione complessiva sfavorevole nei confronti del governo e la convinzione diffusa che in caso di sconfitta il presidente del Consiglio debba dimettersi.
Lorien: “Il Sì può recuperare. Da considerare affluenza, residenti all’estero e fine campagna. Indecisi tendono a votare a favore della riforma”
Secondo l’analisi di Lorien lo scarto è sempre più ampio in favore del No (54,2%), ma il Sì (45,8%)può recuperare. Sono tre i fronti da considerare nel sondare gli umori: l’affluenza finale, considerando che gli indecisi sarebbero più propensi al Sì; i residenti all’estero, che sono 3,5 milioni, e non vengono calcolati nelle rilevazioni e potrebbero influenzare il risultato; la fine della campagna elettorale e i comizi che potrebbero spingere una parte dei cittadini a “votare sull’onda dell’impulso”. Secondo Lorien gli indecisi sono al 17 per cento e risultano in maggioranza vicini al Sì (6,5%) che al No (2,5%) a cui aggiungere un 8 per cento che non si esprime e potrebbe ancora scegliere l’astensione.
Piepoli per la Stampa: “No vince di 8 punti. Indecisi contro la riforma. Verdini spacca il Pd e Cuperlo ininfluente”
Avanti il No anche per Piepoli nell’analisi pubblicata su La Stampa: 54 per cento contro il 46 per cento. Per il 72 per cento degli intervistati la decisione è definitiva e non cambierà prima del voto. Tra chi è indeciso (24 per cento), il 24 per cento è più vicino al Sì e il 28 per cento più al No, mentre il 48 per cento non sa. Per quanto riguarda l’affluenza, si prevede che si supererà il 50 per cento e si arriverà alla soglia di 30 milioni validi. Secondo Piepoli, da luglio in poi per il fronte del Sì “non c’è più stata storia”. Gli indecisi sono attori centrali nel senso che intendono schierarsi, se sceglieranno alla fine di andare a votare, di andare a sostenere il No. Interessante anche la percezione rilevata in conseguenza dell’endorsement per il Sì di Gianni Cuperlo (visto come in generale ininfluente) e del plurimputato Denis Verdini, che se per il 47 per cento non influisce sul risultato invece per la maggioranza potrebbe portare a una scissione nel Pd.
Demos per Repubblica: “No in vantaggio di 7 punti. Sì più forte al Nord e tra gli over 65”
Secondo il sondaggio Demos per Repubblica il No è al 41 per cento, mentre il Sì al 34 con un distacco di 7 punti. Come segnalato da Ilvo Diamanti, si tratta di un’evoluzione significativa: il mese scorso la distanza era di 4 punti, mentre a settembre di 8 ma a vantaggio della riforma. Ancora presto però per dare per chiusa la competizione: il 25 per cento degli italiani intervistati è ancora indeciso, ovvero uno su quattro. La consultazione resta essenzialmente percepita come uno schierarsi pro o contro il governo (per il 62 per cento degli intervistati), piuttosto che per riformare la Costituzione (25%). Tanto che gli elettori seguono la linea data dai partiti: quelli per il Pd ad esempio sono tutti schierati a favore del provvedimento (75%), mentre solo i sostenitori di Ncd sono spaccati tra il Sì (30%) e il No (24%). Per quanto riguarda la distribuzione geografica, il Sì raccoglie più consensi al Nord e cala al centro e al sud. Il No è forte nella fascia 18-29 anni e in quella 30-44, mentre è debole tra gli over 65. Per quanto riguarda il consenso al governo: il 40 per cento dà un parere positivo all’operato dell’esecutivo. Una cifra in calo rispetto ai mesi scorsi: di 4 punti in confronto a ottobre e di 6 rispetto a settembre. Viene inoltre percepito, conclude Diamanti, uno stretto legame tra il presidente del Consiglio e il governo: da questa percezione deriva anche la necessità che sente Renzi di doversi dimettere in caso di fallimento del referendum.
Corriere della Sera: “No avanti quattro punti. Considerare indecisi, astensione e chi cambierà idea”
26,1% vs 21 per cento: il vantaggio del No sul Sì secondo il sondaggio del Corriere della Sera è di circa 5 punti, gli indecisi sono il 6.4 per cento e gli astensionisti al 46,5%. In questo scenario ci sono tre elementi da tener presenti: chi prevede di cambiare idea, gli indecisi e l’affluenza. L’analisi di Nando Pagnoncelli per il Corriere della Sera parte dal fatto che c’è stata nell’ultimo mese una crescita di coloro che dicono di conoscere “a grandi linee” la riforma ( 51 per cento rispetto al 44 di ottobre). Solo il 12% dichiara di sapere nel dettaglio cosa prevede il provvedimento. Da notare il calo dell’affluenza che passa dal 57,7 per cento al 53,5 con una perdita di più di 4 punti. Per quanto riguarda l’area dell’incertezza viene quantificata nel 13 per cento del totale: il 6,4% si dice indeciso, il 6,6 per cento potrebbe cambiare idea. Viene inoltre considerato che una parte degli elettori già schierati si dicono disposti a cambiare idea: proprio come evidenziato da Demos, sono i centristi quelli più spaccati perché uno su tre ha dichiarato di poter rivedere la sua posizione. Pagnoncelli inoltre ha analizzato la campagna referendaria: l’attitudine è stata quella di personalizzare i contenuti anche per una notevole distanza del referendum dalle “priorità” degli elettori. Per questo slogan, comizi e dibattiti sono stati molto simili a quelli di una campagna per le elezioni politiche. Non solo Renzi ha quindi responsabilità nell’aver legato l’esito del voto al governo, ma anche le opposizioni che “hanno interesse a mantenere focalizzati gli elettori sullo scontro politico”.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
PER CHI SUONA LA POLTRONA
(Titolo originale: Per chi suona la campana di Ernest Hemingway. 1940)
Dall'inglese:For Whom the Bell Tolls
"...And therefore never send to know for whom the bell tolls. It tolls for thee".
("E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te".)
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Fabrizio d'Esposito
REFERENDUM COSTITUZIONALE
Clientelismo per il Sì, De Luca è il nuovo Gava
Referendum Costituzionale
di Fabrizio d'Esposito | 20 novembre 2016
COMMENTI (3)
Fabrizio d'Esposito
Inviato del Fatto Quotidiano
Post | Articoli
Vincenzo De Luca, classe 1949, aveva 32 anni e guidava la federazione provinciale di Salerno del grande Pci, quando nell’estate del 1981 Enrico Berlinguer fece la nota intervista sulla questione morale con Eugenio Scalfari per Repubblica. Berlinguer affrontò l’atavico nodo della corruzione politica, in particolare della Dc, partito-Stato, all’indomani del fallimento storico tra comunisti e democristiani, e in uno dei passaggi chiave disse: “I partiti sono soprattutto delle macchine di potere e di clientela”.
Trentacinque anni dopo, l’ex comunista De Luca è il governatore della Campania sotto le insegne del Pd ed è un convinto sostenitore del clientelismo. Di più. Spronando circa 300 amministratori pubblici della sua regione a fare una campagna porta a porta per il Sì, altra colossale anomalia, lo sceriffo di Salerno ha fatto un’apologia delle clientele per certi versi già diventata storica, grazie all’audio integrale della riunione riservata pubblicato in esclusiva dal fattoquotidiano.it: “Prendiamo Franco Alfieri, notoriamente clientelare. Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Che cosa bella. Ecco, l’impegno di Alfieri sarà di portare a votare la metà dei suoi concittadini, 4mila persone su 8mila. Li voglio vedere in blocco, armati, con le bandiere andare alle urne a votare il Sì. Franco, vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come caXXo vuoi tu, ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso”.
Alfieri è il sindaco di Agropoli, in provincia di Salerno, non senza qualche problema giudiziario, ed è un democristiano del Pd, ma su questo torneremo dopo. Per il momento, soffermiamoci sul clientelismo dalla prospettiva deluchiana. Da giovane lo condannava. Da politico anziano lo teorizza e lo predica in senso positivo. Ecco, in questo scarto di 35 anni c’è tutta la mutazione genetica della gran parte della classe dirigente postcomunista, soprattutto nel Mezzogiorno. Ancora prima, quindi, dell’avvento del cinico e spregiudicato renzismo nel dicembre del 2013. In pratica, la conquista del potere e la sua gestione quotidiana hanno trasfigurato De Luca nel nuovo Antonio Gava della Campania. Gava fu un boss democristiano, campione del clientelismo e non solo, arrivando persino a fare il ministro dell’Interno. Quando accadde, grazie al patto del Caf, Vauro fece una magnifica vignetta sul Manifesto: “Brillante operazione delle forze della camorra nei covi della polizia”. Ma oggi De Luca ricorda il democristiano doroteo Gava per il solito metodo di costruzione del consenso, spaziando dal clientelismo al familismo amorale con la sistemazione del figlio al comune di Salerno come assessore, per garantirgli un futuro.
Non è solo un caso personale, limitato. No, è stata questa pratica del potere ad ammazzare la presunta diversità della sinistra, almeno dalla Campania in giù. Il politologo inglese Percy Allumche già nel 1975 scrisse un fondamentale saggio sul sistema di potere democristiano in Campania, includendo la dinastia dei Gava (il papà Silvio, più volte ministro, e il figliolo Antonio), quando lasciò Napoli due lustri fa criticò da sinistra il bassolinismo: “E’ stato peggio del laurismo e del gavismo”. Questo per dire che la doroteizzazione di De Luca è figlia di un’onda lunga, solo adesso cavalcata dal giglio magico. Altro che rottamazione o cambiare verso. E’ il gattopardo travestito ancora una volta da presunto riformismo.
Non a caso, il referente romano di De Luca è quel Luca Lotti che quotidianamente sente e frequenta l’ex sherpa berlusconiano Denis Verdini, plurinquisito e plurimputato nonché teorico del fu patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi. E non a caso, le elezioni regionali in Campania vinte da De Luca sono state il primo laboratorio del Partito della Nazione, con gli ex berlusconiani di Nicola Cosentino (condannato pochi giorni fa, in primo grado, per concorso esterno alla camorra dei Casalesi) diventati verdiniani e alleati del Pd di De Luca. Il potere per il potere, difendendo ilSistema dall’assalto populista e gestendo i finanziamenti pubblici come i notabili dc del passato. Ecco un altro passaggio decisivo dell’audio di De Luca: il fiume di soldi garantito dall’interlocuzione con il governo di Roma e che quindi deve essere la molla principale per andare alle urne e votare Sì. LaCostituzione non c’entra nulla, in questo ragionamento. Conta il governo amico e conta che rimanga in sella il 5 dicembre. Altra ricetta del passato, quella che ha consentito alla Dc di prosperare con l’assistenzialismo e i fondi a pioggia. Nulla di nuovo sotto al sole. De Luca si erge come garante di questi fondi e soprattutto come successivo distributore per consolidare il suo clan di potere. La sua concezione di amministratore si misura con la capacità di prendere quanti più soldi possibili da Roma. Dov’è la novità?
Secondo la retorica democrat in circolazione, il Pd è nato dalla fusione delle due culture politiche prevalenti del secolo scorso: quella comunista e quella democristiana. Addirittura, sempre questa retorica porta ad appendere in una sezione ideale del Pd i ritratti di Berlinguer e Aldo Moro, appaiati. In realtà, per attenerci allo scandalo campano, De Luca ha rinnegato le sue origini berlingueriane per convertirsi al peggio del metodo democristiano. Pochi lo ricordano, ma è l’intero Pd della Campania a essersi doroteizzato, basti pensare che uno dei suoi esponenti di rilievo, di nome Lello Topo, è figlio dell’autista storico di Gava. I cerchi si chiudono sempre.
Tra i pochi giornali che hanno ripreso la notizia del Fatto sulla clamorosa riunione di De Luca che professa e istituzionalizza il clientelismo con i soldi pubblici e con amministratori pubblici non c’è il Mattino di Napoli, edito da Caltagirone, noto palazzinaro romano con interessi ovunque. E’ la stessa omertà di quando l’editore di riferimento del Mattino era la Dc e al massimo si pubblicava la biografia a puntate di Silvio Gava, papà di Antonio. Rispetto agli anni Ottanta la novità è il silenzio di Repubblica, il giornale su cui Berlinguer parlò di questione morale. Oggi il giornale-partito del centrosinistra è allineato al renzismo e il clientelismo di De Luca è un fenomeno imbarazzante da raccontare. Anche questo è un segno di questi tristi tempi.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11 ... a/3206259/
(Titolo originale: Per chi suona la campana di Ernest Hemingway. 1940)
Dall'inglese:For Whom the Bell Tolls
"...And therefore never send to know for whom the bell tolls. It tolls for thee".
("E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te".)
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Fabrizio d'Esposito
REFERENDUM COSTITUZIONALE
Clientelismo per il Sì, De Luca è il nuovo Gava
Referendum Costituzionale
di Fabrizio d'Esposito | 20 novembre 2016
COMMENTI (3)
Fabrizio d'Esposito
Inviato del Fatto Quotidiano
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Vincenzo De Luca, classe 1949, aveva 32 anni e guidava la federazione provinciale di Salerno del grande Pci, quando nell’estate del 1981 Enrico Berlinguer fece la nota intervista sulla questione morale con Eugenio Scalfari per Repubblica. Berlinguer affrontò l’atavico nodo della corruzione politica, in particolare della Dc, partito-Stato, all’indomani del fallimento storico tra comunisti e democristiani, e in uno dei passaggi chiave disse: “I partiti sono soprattutto delle macchine di potere e di clientela”.
Trentacinque anni dopo, l’ex comunista De Luca è il governatore della Campania sotto le insegne del Pd ed è un convinto sostenitore del clientelismo. Di più. Spronando circa 300 amministratori pubblici della sua regione a fare una campagna porta a porta per il Sì, altra colossale anomalia, lo sceriffo di Salerno ha fatto un’apologia delle clientele per certi versi già diventata storica, grazie all’audio integrale della riunione riservata pubblicato in esclusiva dal fattoquotidiano.it: “Prendiamo Franco Alfieri, notoriamente clientelare. Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Che cosa bella. Ecco, l’impegno di Alfieri sarà di portare a votare la metà dei suoi concittadini, 4mila persone su 8mila. Li voglio vedere in blocco, armati, con le bandiere andare alle urne a votare il Sì. Franco, vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come caXXo vuoi tu, ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso”.
Alfieri è il sindaco di Agropoli, in provincia di Salerno, non senza qualche problema giudiziario, ed è un democristiano del Pd, ma su questo torneremo dopo. Per il momento, soffermiamoci sul clientelismo dalla prospettiva deluchiana. Da giovane lo condannava. Da politico anziano lo teorizza e lo predica in senso positivo. Ecco, in questo scarto di 35 anni c’è tutta la mutazione genetica della gran parte della classe dirigente postcomunista, soprattutto nel Mezzogiorno. Ancora prima, quindi, dell’avvento del cinico e spregiudicato renzismo nel dicembre del 2013. In pratica, la conquista del potere e la sua gestione quotidiana hanno trasfigurato De Luca nel nuovo Antonio Gava della Campania. Gava fu un boss democristiano, campione del clientelismo e non solo, arrivando persino a fare il ministro dell’Interno. Quando accadde, grazie al patto del Caf, Vauro fece una magnifica vignetta sul Manifesto: “Brillante operazione delle forze della camorra nei covi della polizia”. Ma oggi De Luca ricorda il democristiano doroteo Gava per il solito metodo di costruzione del consenso, spaziando dal clientelismo al familismo amorale con la sistemazione del figlio al comune di Salerno come assessore, per garantirgli un futuro.
Non è solo un caso personale, limitato. No, è stata questa pratica del potere ad ammazzare la presunta diversità della sinistra, almeno dalla Campania in giù. Il politologo inglese Percy Allumche già nel 1975 scrisse un fondamentale saggio sul sistema di potere democristiano in Campania, includendo la dinastia dei Gava (il papà Silvio, più volte ministro, e il figliolo Antonio), quando lasciò Napoli due lustri fa criticò da sinistra il bassolinismo: “E’ stato peggio del laurismo e del gavismo”. Questo per dire che la doroteizzazione di De Luca è figlia di un’onda lunga, solo adesso cavalcata dal giglio magico. Altro che rottamazione o cambiare verso. E’ il gattopardo travestito ancora una volta da presunto riformismo.
Non a caso, il referente romano di De Luca è quel Luca Lotti che quotidianamente sente e frequenta l’ex sherpa berlusconiano Denis Verdini, plurinquisito e plurimputato nonché teorico del fu patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi. E non a caso, le elezioni regionali in Campania vinte da De Luca sono state il primo laboratorio del Partito della Nazione, con gli ex berlusconiani di Nicola Cosentino (condannato pochi giorni fa, in primo grado, per concorso esterno alla camorra dei Casalesi) diventati verdiniani e alleati del Pd di De Luca. Il potere per il potere, difendendo ilSistema dall’assalto populista e gestendo i finanziamenti pubblici come i notabili dc del passato. Ecco un altro passaggio decisivo dell’audio di De Luca: il fiume di soldi garantito dall’interlocuzione con il governo di Roma e che quindi deve essere la molla principale per andare alle urne e votare Sì. LaCostituzione non c’entra nulla, in questo ragionamento. Conta il governo amico e conta che rimanga in sella il 5 dicembre. Altra ricetta del passato, quella che ha consentito alla Dc di prosperare con l’assistenzialismo e i fondi a pioggia. Nulla di nuovo sotto al sole. De Luca si erge come garante di questi fondi e soprattutto come successivo distributore per consolidare il suo clan di potere. La sua concezione di amministratore si misura con la capacità di prendere quanti più soldi possibili da Roma. Dov’è la novità?
Secondo la retorica democrat in circolazione, il Pd è nato dalla fusione delle due culture politiche prevalenti del secolo scorso: quella comunista e quella democristiana. Addirittura, sempre questa retorica porta ad appendere in una sezione ideale del Pd i ritratti di Berlinguer e Aldo Moro, appaiati. In realtà, per attenerci allo scandalo campano, De Luca ha rinnegato le sue origini berlingueriane per convertirsi al peggio del metodo democristiano. Pochi lo ricordano, ma è l’intero Pd della Campania a essersi doroteizzato, basti pensare che uno dei suoi esponenti di rilievo, di nome Lello Topo, è figlio dell’autista storico di Gava. I cerchi si chiudono sempre.
Tra i pochi giornali che hanno ripreso la notizia del Fatto sulla clamorosa riunione di De Luca che professa e istituzionalizza il clientelismo con i soldi pubblici e con amministratori pubblici non c’è il Mattino di Napoli, edito da Caltagirone, noto palazzinaro romano con interessi ovunque. E’ la stessa omertà di quando l’editore di riferimento del Mattino era la Dc e al massimo si pubblicava la biografia a puntate di Silvio Gava, papà di Antonio. Rispetto agli anni Ottanta la novità è il silenzio di Repubblica, il giornale su cui Berlinguer parlò di questione morale. Oggi il giornale-partito del centrosinistra è allineato al renzismo e il clientelismo di De Luca è un fenomeno imbarazzante da raccontare. Anche questo è un segno di questi tristi tempi.
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Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Referendum: ecco cosa spaventa gli italiani
16/11/2016 Redazione Sondaggio
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Referendum Costituzionale: cosa spaventa di più gli italiani? In caso di vittoria del Sì, il fatto che Matteo Renzi resterà Premier e in una posizione di maggiore forza, ma soprattutto il cambiamento, in peggio, della Costituzione. In caso di vittoria del No, L’immobilismo nella politica: si dovrebbe ricominciare da capo con le riforme. E’ quanto emerge dal sondaggio di Euromedia Research di questa settimana, interamente dedicato al Referendum Costituzionale.
16/11/2016 Redazione Sondaggio
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Referendum Costituzionale: cosa spaventa di più gli italiani? In caso di vittoria del Sì, il fatto che Matteo Renzi resterà Premier e in una posizione di maggiore forza, ma soprattutto il cambiamento, in peggio, della Costituzione. In caso di vittoria del No, L’immobilismo nella politica: si dovrebbe ricominciare da capo con le riforme. E’ quanto emerge dal sondaggio di Euromedia Research di questa settimana, interamente dedicato al Referendum Costituzionale.
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