referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
VOTATE NO. SOLO A CHI PIACE LA TRUFFA E I TRUFFATORI VOTA SI
REFERENDUM COSTITUZIONALE
Referendum: italiani all’estero, votate No alla riforma che rottama la Costituzione
di Roberto Marchesi | 19 novembre 2016
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Roberto Marchesi
Politologo, studioso di macroeconomia
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Pur non vivendo più in America da quasi un anno, conservo ancora stretti legami con gli amici e connazionali all’estero coi quali ho condiviso una larga parentesi della mia vita. Con loro ho vissuto la fase che precedette immediatamente il voto degli italiani all’estero e la creazione dei Comites (Comitati degli italiani all’estero), conquiste che hanno consentito ai connazionali, grazie al lavoro svolto dal compianto On. Tremaglia, di vedersi direttamente rappresentati a Roma, e che ha visto persino, a suo tempo, la creazione di un Ministero per gli Italiani all’Estero (poi abbandonato inopinatamente sia dai governi Prodi che da quelli Berlusconi).
Questo stretto legame, non politico ma affettivo, mi spinge ora a scrivere questo post, anche per contrastare la recentissima decisione del premier italiano Renzi di scrivere a tutti i connazionali (costo stimato più di due milioni di euro) per incitarli a votare nel prossimo referendum costituzionale dove anche gli italiani all’estero in possesso della cittadinanza italiana potranno anch’essi decidere con un Sì o con un No nel referendum per approvare le riforme che lo stesso Renzi, capo del Partito Democratico (che ha ampia maggioranza nel Parlamento italiano), e premier del Governo italiano, ha già fatto approvare a maggioranza semplice da un Parlamento eletto con la legge cosiddetta del cosiddetto “Porcellum”.
E’ quasi incredibile che un Parlamento eletto con la legge elettorale denominata “Porcellum” proprio perché le liste dei candidati (nominativo e posizione in lista) veniva fatta dai segretari dei partiti e ai cittadini rimaneva (e rimane tuttora) solo il potere di mettere la propria crocetta su una scelta comunque già fatta dai partiti, sia giuridicamente e moralmente idoneo a legiferare, non solo per l’ordinaria amministrazione, che già sarebbe un azzardo, ma addirittura idoneo a cambiare la Costituzione.
Se aggiungiamo a questo il fatto che, per convenienze partitocratiche (favori in cambio dei voti), questo Parlamento è già inquinato da un altissimo numero di personaggi pluri-indagati per diversi crimini con elevata prevalenza di quelli per corruzione o concussione, appare del tutto improprio affidare proprio ad un Parlamento così malamente inquinato il compito di cambiare nientemeno che la Bibbia laica di ogni nazione, ovvero la Costituzione.
Se poi volessimo entrare nel merito delle modifiche proposte alla Costituzione, tra le quali la più vistosa è quella del pesantissimo cambiamento istituzionale previsto nell’abbandono del cosiddetto bicameralismo perfetto (dove le leggi devono essere approvate da entrambe le Camere, come è tuttora nel Congresso americano) per avviare un sistema dove il Senato non solo dovrà occuparsi istituzionalmente quasi esclusivamente di materie locali e regionali, ma che non verrà più eletto dal popolo ma verrà nominato direttamente dai Consigli Regionali che quindi, per andare a Roma a legiferare, non riusciranno più a far bene nessuna delle due cose, l’obbrobrio è totale.
Quindi il sistema legislativo italiano diventerebbe non solo (di fatto) monocamerale (in luogo del bicameralismo perfetto) ma persino esageratamente dominato da un leader di partito (attualmente Renzi) che, controllando il suo partito controlla già il funzionamento sia del governo che del Parlamento.
Inutile dire che piuttosto di un pastrocchio simile, che cancella di fatto la democrazia per avviare un premierato forte (anzi, invadente e autoritario, a giudicare dal comportamento di Renzi negli oltre due anni del suo governo) è molto meglio tenerci la Costituzione che i nostri padri costituenti ci hanno dato con grande buon senso e tolleranza dopo i disastri della guerra.
Un vecchio e saggio proverbio, mai così vero come in questa occasione, dice: “Chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quello che lascia, non sa quello che trova”. Perciò, e per quello che propone questa oscena riforma, il mio consiglio è votate No (oppure non votate per niente), perché le riforme Costituzionali si fan con la larga partecipazione e l’accordo di tutte le forze politiche, non l’uno contro l’altro come sta facendo Renzi, tra l’altro producendo un primo gravissimo guasto spaccando in due il suo stesso partito, che giustamente non lo segue compatto come lui sperava.
Se proprio si vuole avere un governo più forte si proponga un sistema di tipo “presidenziale”, come quello americano, e si lasci al popolo il diritto di scegliersi i candidati che verranno eletti, e dai quali verranno governati, come e’ sacrosanto in ogni vera democrazia.
REFERENDUM COSTITUZIONALE
Referendum: italiani all’estero, votate No alla riforma che rottama la Costituzione
di Roberto Marchesi | 19 novembre 2016
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Pur non vivendo più in America da quasi un anno, conservo ancora stretti legami con gli amici e connazionali all’estero coi quali ho condiviso una larga parentesi della mia vita. Con loro ho vissuto la fase che precedette immediatamente il voto degli italiani all’estero e la creazione dei Comites (Comitati degli italiani all’estero), conquiste che hanno consentito ai connazionali, grazie al lavoro svolto dal compianto On. Tremaglia, di vedersi direttamente rappresentati a Roma, e che ha visto persino, a suo tempo, la creazione di un Ministero per gli Italiani all’Estero (poi abbandonato inopinatamente sia dai governi Prodi che da quelli Berlusconi).
Questo stretto legame, non politico ma affettivo, mi spinge ora a scrivere questo post, anche per contrastare la recentissima decisione del premier italiano Renzi di scrivere a tutti i connazionali (costo stimato più di due milioni di euro) per incitarli a votare nel prossimo referendum costituzionale dove anche gli italiani all’estero in possesso della cittadinanza italiana potranno anch’essi decidere con un Sì o con un No nel referendum per approvare le riforme che lo stesso Renzi, capo del Partito Democratico (che ha ampia maggioranza nel Parlamento italiano), e premier del Governo italiano, ha già fatto approvare a maggioranza semplice da un Parlamento eletto con la legge cosiddetta del cosiddetto “Porcellum”.
E’ quasi incredibile che un Parlamento eletto con la legge elettorale denominata “Porcellum” proprio perché le liste dei candidati (nominativo e posizione in lista) veniva fatta dai segretari dei partiti e ai cittadini rimaneva (e rimane tuttora) solo il potere di mettere la propria crocetta su una scelta comunque già fatta dai partiti, sia giuridicamente e moralmente idoneo a legiferare, non solo per l’ordinaria amministrazione, che già sarebbe un azzardo, ma addirittura idoneo a cambiare la Costituzione.
Se aggiungiamo a questo il fatto che, per convenienze partitocratiche (favori in cambio dei voti), questo Parlamento è già inquinato da un altissimo numero di personaggi pluri-indagati per diversi crimini con elevata prevalenza di quelli per corruzione o concussione, appare del tutto improprio affidare proprio ad un Parlamento così malamente inquinato il compito di cambiare nientemeno che la Bibbia laica di ogni nazione, ovvero la Costituzione.
Se poi volessimo entrare nel merito delle modifiche proposte alla Costituzione, tra le quali la più vistosa è quella del pesantissimo cambiamento istituzionale previsto nell’abbandono del cosiddetto bicameralismo perfetto (dove le leggi devono essere approvate da entrambe le Camere, come è tuttora nel Congresso americano) per avviare un sistema dove il Senato non solo dovrà occuparsi istituzionalmente quasi esclusivamente di materie locali e regionali, ma che non verrà più eletto dal popolo ma verrà nominato direttamente dai Consigli Regionali che quindi, per andare a Roma a legiferare, non riusciranno più a far bene nessuna delle due cose, l’obbrobrio è totale.
Quindi il sistema legislativo italiano diventerebbe non solo (di fatto) monocamerale (in luogo del bicameralismo perfetto) ma persino esageratamente dominato da un leader di partito (attualmente Renzi) che, controllando il suo partito controlla già il funzionamento sia del governo che del Parlamento.
Inutile dire che piuttosto di un pastrocchio simile, che cancella di fatto la democrazia per avviare un premierato forte (anzi, invadente e autoritario, a giudicare dal comportamento di Renzi negli oltre due anni del suo governo) è molto meglio tenerci la Costituzione che i nostri padri costituenti ci hanno dato con grande buon senso e tolleranza dopo i disastri della guerra.
Un vecchio e saggio proverbio, mai così vero come in questa occasione, dice: “Chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quello che lascia, non sa quello che trova”. Perciò, e per quello che propone questa oscena riforma, il mio consiglio è votate No (oppure non votate per niente), perché le riforme Costituzionali si fan con la larga partecipazione e l’accordo di tutte le forze politiche, non l’uno contro l’altro come sta facendo Renzi, tra l’altro producendo un primo gravissimo guasto spaccando in due il suo stesso partito, che giustamente non lo segue compatto come lui sperava.
Se proprio si vuole avere un governo più forte si proponga un sistema di tipo “presidenziale”, come quello americano, e si lasci al popolo il diritto di scegliersi i candidati che verranno eletti, e dai quali verranno governati, come e’ sacrosanto in ogni vera democrazia.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
LUCI ED OMBRE DELL'AVVOCATO CARPEORO
LIBRE news
Carpeoro: è tutto ipocrita, dal referendum alla Costituzione
Scritto il 20/11/16 • nella Categoria: ideeCondividi
Noi viviamo di ipocrisia, non ragioniamo laicamente.
Questo è un referendum ipocrita, fatto su una legge ipocrita, da un capo del governo ipocrita, con un’opposizione ipocrita.
E uno perché si deve prestare a tutta questa ipocrisia, se tanto sa che dopo non cambia niente?
Se passa il Sì verremmo assoggettati all’Europa? Caspita, e ce ne accorgiamo adesso?
Tutti gli accordi europei sono passati senza farceli votare.
Ed è questa riforma che ci sottomette all’Europa?
Ma come ragionano, costoro?
Non capiscono la grevità di questo sistema di potere.
E si fanno coinvolgere in futili battaglie dalle quali si accorgeranno che non raccoglieranno nulla.
Ove dovesse vincere il No, com’è che saremmo liberi dalle burocrazie europee, bancarie e finanziarie?
Non succederà, finché non si mette in discussione il paradigma.
E la fase iniziale del paradigma è la selezione della classe dirigente, che non può continuare a essere svolta così.
Ma per arrivare a questo obiettivo bisogna fare una mezza rivoluzione – nonviolenta, ma una mezza rivoluzione.
Forse una rivoluzione intera, perché con i mezzi democratici non è più consentito mettere in discussione questo sistema.
Ti è consentito urlare nelle piazze, e poi arrivi anche tu a una fettina di potere, ti eleggi cinque sindaci, venti parlamentari, ma tu sei costretto a essere come gli altri – sei costretto, non puoi scegliere.
Oggi, dire che uno è anti-sistema è diventato quasi un’offesa.
Per me no: per me, dire che uno è anti-sistema non è un’offesa.
Quale effetto e che peso hanno avuto gli ultimi 12-15 referendum che si sono fatti in Italia?
Non serve cambiare le leggi, se non si cambia la burocrazia di questo paese.
Puoi cambiare il sindaco, ma non il segretario generale.
Non è strano che la Raggi, a Roma, si sia presa un personaggio come Marra, cioè esattamente il burocrate che c’era prima?
Se non cambi il paradigma, tu puoi cambiare Costituzione e Titolo V, ma le regole sono vuote, senza le persone che poi le devono interpretare e applicare.
Le regole possono anche essere buone, se le persone che le devono gestire sono positive.
Non vi è nulla di più mobile di una regola, di una legge: la interpreti come vuoi.
L’immunità parlamentare: perché nasce? Perché Mussolini gli onorevoli li aveva quasi incarcerati, per non farsi fare opposizione.
Così si è fatta la legge sull’immunità, per fare in modo che il parlamentare non fosse attaccabile.
Peccato che poi l’immunità parlamentare, che avrebbe dovuto servire soprattutto per reati d’opinione, è stata usata per coprire la corruzione e la mafia, perché i parlamentari che abbiamo eletto sono dei mascalzoni.
Quindi, risolvere il problema alla radice significa trovare le formule per non eleggere dei mascalzoni – e non invece togliere l’immunità parlamentare.
In che modo questo paese seleziona la sua classe dirigente?
Stirpe familiare, potere economico, funzionalità ai sistemi di potere sovranazionali: questi sono gli elementi per cui Monti diventa presidente del Consiglio e Renzi fa quello che fa.
Dice che si dimette, se perde il referendum?
Il presidente della Repubblica è già pronto a chiedergli di non lasciare l’Italia senza governo;
Renzi resterà, magari ottenendo dai suoi padroni europei qualche piccola concessione di facciata.
Noi dovremmo rivedere radicalmente queste modalità di selezione della classe dirigente, ma non lo facciamo.
E in nessun modo ci insospettisce e ci allarma il fatto che i vertici dei 5 Stelle siano abituali frequentatori di consolati e di sistemi dei servizi segreti americani: lo consideriamo un fatto normale.
Ma, finché avremo questo tipo di selezione della classe dirigente, qualunque legge fai, qualunque modifica della Costituzione, non ha effetto.
Qualcuno mi dice: eh, ma potrebbe non esserci più democrazia, in caso di vittoria del Sì al referendum.
Ah sì? E dov’è la democrazia, in Italia? Abbiamo taroccato le elezioni, compresi i 5 Stelle a Palermo.
Di quale ipocrisia ci stiamo nutrendo? Noi non abbiamo una mentalità democratica.
Noi riteniamo sacra una Costituzione che è stata fatta dopo un referendum, e che ha messo fuori legge quelli che l’avevano perso, il referendum, cioè i monarchici.
Noi abbiamo una Costituzione che non consente al popolo di metterla in discussione.
Se il regime è stato scelto con un referendum, perché quella stessa Costituzione dice che non si può tornare indietro?
Se il popolo cambia idea, si deve poter tornare indietro.
Altro che “la più bella del mondo”: quella Costituzione è nata antidemocratica.
E’ nata su un grave attentato alla democrazia: chi ha vinto il referendum ha messo fuori legge chi l’ha perso.
I Savoia si erano macchiati di gravi crimini?
E allora non lo fai, il referendum.
Così li si è legittimati.
Li si doveva processare subito, senza fare nessun referendum.
Noi siamo ipocriti, dobbiamo sempre mettere la foglia di fico sulla vergogna.
Le responsabilità sono sempre individuali.
Tutti sanno che il ramo legittimo della monarchia italiana sarebbe quello degli Aosta, non quello dei Savoia.
E, fino a prova contraria, Amedeo d’Aosta aveva pure fatto il partigiano.
Beninteso: io non sono un monarchico, sono un socialista.
Ma perché delegittimare, come facciamo ancora adesso, una forma, quella della monarchia costituzionale, che governa mezza Europa? Svezia, Inghilterra, Belgio, Spagna. Già, perché?
(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nighs” durante la diretta streaming “Carpeoro risponde”, su YouTube il 20 novembre 2016).
LIBRE news
Carpeoro: è tutto ipocrita, dal referendum alla Costituzione
Scritto il 20/11/16 • nella Categoria: ideeCondividi
Noi viviamo di ipocrisia, non ragioniamo laicamente.
Questo è un referendum ipocrita, fatto su una legge ipocrita, da un capo del governo ipocrita, con un’opposizione ipocrita.
E uno perché si deve prestare a tutta questa ipocrisia, se tanto sa che dopo non cambia niente?
Se passa il Sì verremmo assoggettati all’Europa? Caspita, e ce ne accorgiamo adesso?
Tutti gli accordi europei sono passati senza farceli votare.
Ed è questa riforma che ci sottomette all’Europa?
Ma come ragionano, costoro?
Non capiscono la grevità di questo sistema di potere.
E si fanno coinvolgere in futili battaglie dalle quali si accorgeranno che non raccoglieranno nulla.
Ove dovesse vincere il No, com’è che saremmo liberi dalle burocrazie europee, bancarie e finanziarie?
Non succederà, finché non si mette in discussione il paradigma.
E la fase iniziale del paradigma è la selezione della classe dirigente, che non può continuare a essere svolta così.
Ma per arrivare a questo obiettivo bisogna fare una mezza rivoluzione – nonviolenta, ma una mezza rivoluzione.
Forse una rivoluzione intera, perché con i mezzi democratici non è più consentito mettere in discussione questo sistema.
Ti è consentito urlare nelle piazze, e poi arrivi anche tu a una fettina di potere, ti eleggi cinque sindaci, venti parlamentari, ma tu sei costretto a essere come gli altri – sei costretto, non puoi scegliere.
Oggi, dire che uno è anti-sistema è diventato quasi un’offesa.
Per me no: per me, dire che uno è anti-sistema non è un’offesa.
Quale effetto e che peso hanno avuto gli ultimi 12-15 referendum che si sono fatti in Italia?
Non serve cambiare le leggi, se non si cambia la burocrazia di questo paese.
Puoi cambiare il sindaco, ma non il segretario generale.
Non è strano che la Raggi, a Roma, si sia presa un personaggio come Marra, cioè esattamente il burocrate che c’era prima?
Se non cambi il paradigma, tu puoi cambiare Costituzione e Titolo V, ma le regole sono vuote, senza le persone che poi le devono interpretare e applicare.
Le regole possono anche essere buone, se le persone che le devono gestire sono positive.
Non vi è nulla di più mobile di una regola, di una legge: la interpreti come vuoi.
L’immunità parlamentare: perché nasce? Perché Mussolini gli onorevoli li aveva quasi incarcerati, per non farsi fare opposizione.
Così si è fatta la legge sull’immunità, per fare in modo che il parlamentare non fosse attaccabile.
Peccato che poi l’immunità parlamentare, che avrebbe dovuto servire soprattutto per reati d’opinione, è stata usata per coprire la corruzione e la mafia, perché i parlamentari che abbiamo eletto sono dei mascalzoni.
Quindi, risolvere il problema alla radice significa trovare le formule per non eleggere dei mascalzoni – e non invece togliere l’immunità parlamentare.
In che modo questo paese seleziona la sua classe dirigente?
Stirpe familiare, potere economico, funzionalità ai sistemi di potere sovranazionali: questi sono gli elementi per cui Monti diventa presidente del Consiglio e Renzi fa quello che fa.
Dice che si dimette, se perde il referendum?
Il presidente della Repubblica è già pronto a chiedergli di non lasciare l’Italia senza governo;
Renzi resterà, magari ottenendo dai suoi padroni europei qualche piccola concessione di facciata.
Noi dovremmo rivedere radicalmente queste modalità di selezione della classe dirigente, ma non lo facciamo.
E in nessun modo ci insospettisce e ci allarma il fatto che i vertici dei 5 Stelle siano abituali frequentatori di consolati e di sistemi dei servizi segreti americani: lo consideriamo un fatto normale.
Ma, finché avremo questo tipo di selezione della classe dirigente, qualunque legge fai, qualunque modifica della Costituzione, non ha effetto.
Qualcuno mi dice: eh, ma potrebbe non esserci più democrazia, in caso di vittoria del Sì al referendum.
Ah sì? E dov’è la democrazia, in Italia? Abbiamo taroccato le elezioni, compresi i 5 Stelle a Palermo.
Di quale ipocrisia ci stiamo nutrendo? Noi non abbiamo una mentalità democratica.
Noi riteniamo sacra una Costituzione che è stata fatta dopo un referendum, e che ha messo fuori legge quelli che l’avevano perso, il referendum, cioè i monarchici.
Noi abbiamo una Costituzione che non consente al popolo di metterla in discussione.
Se il regime è stato scelto con un referendum, perché quella stessa Costituzione dice che non si può tornare indietro?
Se il popolo cambia idea, si deve poter tornare indietro.
Altro che “la più bella del mondo”: quella Costituzione è nata antidemocratica.
E’ nata su un grave attentato alla democrazia: chi ha vinto il referendum ha messo fuori legge chi l’ha perso.
I Savoia si erano macchiati di gravi crimini?
E allora non lo fai, il referendum.
Così li si è legittimati.
Li si doveva processare subito, senza fare nessun referendum.
Noi siamo ipocriti, dobbiamo sempre mettere la foglia di fico sulla vergogna.
Le responsabilità sono sempre individuali.
Tutti sanno che il ramo legittimo della monarchia italiana sarebbe quello degli Aosta, non quello dei Savoia.
E, fino a prova contraria, Amedeo d’Aosta aveva pure fatto il partigiano.
Beninteso: io non sono un monarchico, sono un socialista.
Ma perché delegittimare, come facciamo ancora adesso, una forma, quella della monarchia costituzionale, che governa mezza Europa? Svezia, Inghilterra, Belgio, Spagna. Già, perché?
(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nighs” durante la diretta streaming “Carpeoro risponde”, su YouTube il 20 novembre 2016).
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
L'apocalittica previsione del Ft: 'Se vince No, Italia fuori dall'Ue'
"Si innescherebbe una serie di eventi che solleverebbero dubbi sulla permanenza dell'Italia nell'Eurozona"
Luca Romano - Dom, 20/11/2016 - 18:57
commenta
La vittoria del populismo in Europa, con i primi segnali dati dalla Brexit (il referendum del 23 giugno scorso che ha sancito l'uscita di Londra dall'Ue) e, anche se negli Usa, la vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa, sono indice del probabile "ritorno della crisi dell'Eurozona".
Crisi che potrebbe essere accelerata "se il primo ministro italiano Matteo Renzi perderà il suo referendum costituzionale il 4 dicembre. A quel punto si innescherebbe una serie di eventi che solleverebbero dubbi sulla permanenza dell'Italia nell'Eurozona" ma anche, eventualità più remota, che potrebbero anche portare al collasso dell'euro tout court. L'apocalittica previsione di Wolfgang Munchau, condirettore del Financial Times, esperto di Unione Europea.
Per Muchau il "5 dicembre (all'indomani del referendum italiano, ndr) l'Europa potrebbe svegliarsi con l'immediata minaccia della disintegrazione". Tornando alla serie di eventi all'origine dell'apocalissi europea, Muchau ritiene che le cause non siano nel referendum italiano in sé ma nei problemi strutturali dell'economia italiana: "Da quando l'Italia nel 1999 è entrata nell'euro la sua produttività totale è stata di circa il 5% dove Germania e Francia hanno superato il 10%. La seconda causa il fallimento dell'Ue di costruire un unione economica e bancaria efficiente dopo la crisi dell'eurozona del 2010-2012 e di imporre, invece, (solo) l'austerity", scelta attribuibile secondo Munchau al cancelliere tedesco Angela Merkel.
"La combinazione di questi due fattori sono la più grande causa dell'esponenziale crescita del populismo in Europa" che per Munchau ha in Italia tre partiti ora d'opposizione, tutti a favore, seppur in modo diverso, dell'uscita dall'euro.
Cita i Cinque Stelle, Forza Italia e Lega.
"L'importanza del referendum (italiano) è data dal fatto che può accelerare il percorso verso l'uscita dall'Euro.
Se Renzi perderà, ha detto che si dimetterà, portando al caos politico.
Gli investitori potrebbero concludere che i giochi sono finiti (per l'Italia) e il 5 dicembre l'Europa potrebbe svegliarsi con l'immediata minaccia della disintegrazione".
Per Muchau accanto all'esito del referendum italiano bisogna prendere in considerazione l'altro possibile grande elemento destabilizzante: "La probabilità della vittoria alle elezioni presidenziali francesi di Marine Le Pen - che lui definisce, dimenticando il precedente del 2002 con tutti i partiti uniti contro il padre Jean-Marie riuscito ad arrivare al ballottaggio con Jacques Chirac - non più un rischio remoto.
E se dovesse vincere, la signora Le Pen ha promesso un referendum sul futuro della Francia nell'Ue. Se questo dovesse portare alla 'Frexit' (l'uscita dall'Ue di Parigi come la Brexit), l'Unione europea sarebbe finita il giorno dopo e così l'euro".
Il condirettore del Ft ritiene che un uscita di Italia e Francia dall'Euro innescherebbe "il più grosso default della storia.
I detentori dei titoli del debito pubblico italiano e francese vorrebbero essere pagati in lire e franchi e perderebbero molto del loro valore". Non solo.
"Visto che le banche non debbono conservare capitale sufficiente per coprire il valore dei titoli dei loro stati, le loro perdite potrebbero portare molte istituti di livello continentale alla bancarotta".
Per Muchau questa serie di eventi potrebbero essere prevenuta solo "se fossero adottate immediatamente una serie di decisioni e nella giusta sequenza.
Per prima cosa Merkel dovrebbe accettare ciò che ha finora rifiutato: una road map verso una piena unione fiscale e politica.
Dovrebbe anche essere rafforzato l'European Stability Mechanism, il sistema di salvataggio dei Paesi dell'eurozona che non è progettato per salvare Paesi delle dimensioni di Italia e Francia".
In ogni caso per Munchau la sua previsione più concreta "resta non un collasso dell'Ue o dell'Euro ma un'uscita di uno o più Paesi, verosimilmente l'Italia ma non la Francia".
"Si innescherebbe una serie di eventi che solleverebbero dubbi sulla permanenza dell'Italia nell'Eurozona"
Luca Romano - Dom, 20/11/2016 - 18:57
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La vittoria del populismo in Europa, con i primi segnali dati dalla Brexit (il referendum del 23 giugno scorso che ha sancito l'uscita di Londra dall'Ue) e, anche se negli Usa, la vittoria di Donald Trump alle presidenziali Usa, sono indice del probabile "ritorno della crisi dell'Eurozona".
Crisi che potrebbe essere accelerata "se il primo ministro italiano Matteo Renzi perderà il suo referendum costituzionale il 4 dicembre. A quel punto si innescherebbe una serie di eventi che solleverebbero dubbi sulla permanenza dell'Italia nell'Eurozona" ma anche, eventualità più remota, che potrebbero anche portare al collasso dell'euro tout court. L'apocalittica previsione di Wolfgang Munchau, condirettore del Financial Times, esperto di Unione Europea.
Per Muchau il "5 dicembre (all'indomani del referendum italiano, ndr) l'Europa potrebbe svegliarsi con l'immediata minaccia della disintegrazione". Tornando alla serie di eventi all'origine dell'apocalissi europea, Muchau ritiene che le cause non siano nel referendum italiano in sé ma nei problemi strutturali dell'economia italiana: "Da quando l'Italia nel 1999 è entrata nell'euro la sua produttività totale è stata di circa il 5% dove Germania e Francia hanno superato il 10%. La seconda causa il fallimento dell'Ue di costruire un unione economica e bancaria efficiente dopo la crisi dell'eurozona del 2010-2012 e di imporre, invece, (solo) l'austerity", scelta attribuibile secondo Munchau al cancelliere tedesco Angela Merkel.
"La combinazione di questi due fattori sono la più grande causa dell'esponenziale crescita del populismo in Europa" che per Munchau ha in Italia tre partiti ora d'opposizione, tutti a favore, seppur in modo diverso, dell'uscita dall'euro.
Cita i Cinque Stelle, Forza Italia e Lega.
"L'importanza del referendum (italiano) è data dal fatto che può accelerare il percorso verso l'uscita dall'Euro.
Se Renzi perderà, ha detto che si dimetterà, portando al caos politico.
Gli investitori potrebbero concludere che i giochi sono finiti (per l'Italia) e il 5 dicembre l'Europa potrebbe svegliarsi con l'immediata minaccia della disintegrazione".
Per Muchau accanto all'esito del referendum italiano bisogna prendere in considerazione l'altro possibile grande elemento destabilizzante: "La probabilità della vittoria alle elezioni presidenziali francesi di Marine Le Pen - che lui definisce, dimenticando il precedente del 2002 con tutti i partiti uniti contro il padre Jean-Marie riuscito ad arrivare al ballottaggio con Jacques Chirac - non più un rischio remoto.
E se dovesse vincere, la signora Le Pen ha promesso un referendum sul futuro della Francia nell'Ue. Se questo dovesse portare alla 'Frexit' (l'uscita dall'Ue di Parigi come la Brexit), l'Unione europea sarebbe finita il giorno dopo e così l'euro".
Il condirettore del Ft ritiene che un uscita di Italia e Francia dall'Euro innescherebbe "il più grosso default della storia.
I detentori dei titoli del debito pubblico italiano e francese vorrebbero essere pagati in lire e franchi e perderebbero molto del loro valore". Non solo.
"Visto che le banche non debbono conservare capitale sufficiente per coprire il valore dei titoli dei loro stati, le loro perdite potrebbero portare molte istituti di livello continentale alla bancarotta".
Per Muchau questa serie di eventi potrebbero essere prevenuta solo "se fossero adottate immediatamente una serie di decisioni e nella giusta sequenza.
Per prima cosa Merkel dovrebbe accettare ciò che ha finora rifiutato: una road map verso una piena unione fiscale e politica.
Dovrebbe anche essere rafforzato l'European Stability Mechanism, il sistema di salvataggio dei Paesi dell'eurozona che non è progettato per salvare Paesi delle dimensioni di Italia e Francia".
In ogni caso per Munchau la sua previsione più concreta "resta non un collasso dell'Ue o dell'Euro ma un'uscita di uno o più Paesi, verosimilmente l'Italia ma non la Francia".
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
Ma a questo mister Wolfgang Munchau, condirettore del Financial Times, esperto di Unione Europea, non viene in mente che eminenti teste di c…., referenti europee delle eminenti teste di c….delle élite massonico-finanziarie dell’oltre Atlantico, se non avessero imposto una testa di c….alla guida dell’Italia con l’ordine tassativo di promuovere una riforma a c…. della Costituzione italiana ora non ci troveremmo nella situazione di scegliere di mandare a……..…l’Ue??????
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
ANALISI
Referendum, perché il Sì e il No hanno già perso entrambi
Intorno alla consultazione del 4 dicembre c'è una battaglia esagerata da tutte e due le parti. Che non riguarda più il Paese, ma solo i destini di chi la conduce. E, dopo, sarà tutto da ricostruire
DI MARCO DAMILANO
21 novembre 2016
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Referendum, perché il Sì e il No hanno già perso entrambi
«Questa regola non contiene la totalità di ciò che è giusto». L’avessero fatta propria, la clausola finale della regola dettata da San Romualdo ai monaci di Camaldoli nel 1025, i profeti del Sì e gli apostoli del No non si troverebbero in questa situazione.
La «maggioranza silenziosa», l’ha chiamata Matteo Renzi, in modo maldestro perché da Richard Nixon al deputato piduista Massimo De Carolis l’espressione ha sempre definito quella parte di elettorato legge e ordine che si fa vivo solo il giorno del voto per poi tornare a inabissarsi: l’opposto del coinvolgimento in un’impresa collettiva, la vita activa di Hannah Arendt.
Ma Renzi, involontariamente, ha colto il punto. Perché non può essere considerata una maggioranza silenziosa quella che ha eletto Donald Trump in America, era al contrario una minoranza rumorosissima, se solo avesse trovato orecchie pronte ad ascoltare e non foderate di pregiudizio tra i liberal, i sondaggisti, la stampa. Mentre qui in Italia, il referendum divide e lacera in modo drammatico il Palazzo e i partiti, ma a questo clima apocalittico corrisponde il crescente distacco con cui la maggior parte degli italiani, anche quelli che voteranno sì o che voteranno no, seguono lo scontro tra l’opposta retorica della riforma risolutiva (basta un sì? magari...) e della deriva autoritaria.
Un sentimento ben raccontato e rappresentato da Roberto Saviano su l’Espresso : «Tutto il rumore che si sta facendo è un modo per occupare posizioni in quella che è una personalissima lotta per il raggiungimento di un personalissimo potere. Non mi saranno amici i signori del sì e non mi saranno amici i signori del no se dico che questo risiko per recuperare una percentuale minima di consenso è il peggior servizio che si sta facendo all’Italia. Un danno del quale non voglio essere complice. Non mi chiamate in sostegno, questo referendum è solo affar vostro, per questo referendum, io non ci sono». Qualcosa di simile ha detto Romano Prodi: «Il grande evento ormai si è consumato. Le altre sono realtà più piccole», ha ridimensionato il Professore dopo la vittoria di Trump.
Il rumore del Palazzo. E il silenzio della società. «Quella degli ultimi anni è un’Italia esagerata», ha detto un monumento vivente, l’ex portierone della Nazionale Dino Zoff. La campagna per il voto referendario è lo specchio di questa esagerazione, senza misura e limite. Interminabile, eccessiva, sproporzionata, spudorata. Trasformata in una guerra di religione, con i suoi condottieri, i dottori della legge, i teologi, gli inquisitori, i gesuiti euclidei, i professori armati di catechismi con apposite formulette, senza possibilità di perdono in caso di deviazione dalla retta via.
Tifoseria contro tifoseria, setta contro setta, predisposte a escludere più che a includere, fuori di noi nessuna salvezza: l’inferno dell’instabilità, per i seguaci del Sì, o della dittatura strisciante, per i messaggeri del No. E più si avvicina l’ora della verità, più si percepisce il quasi-falso, l’artefatto, il taroccato: come quei marchi che ricordano il modello originale ma lo tradiscono. Taroccato il quesito, sventolato dal premier negli studi tv, taroccato il futuro Senato, una simil-Camera alta acquistabile a prezzi stracciati al mercatino, taroccata, forse, l’intera riforma. Ma taroccato, anche, il pericolo della svolta totalitaria, fasullo il rischio dell’uomo-forte che sarebbe, al più, un simil-Erdogan.
Si parte da un’esigenza giusta, il cambiamento, o da una legittima preoccupazione, il timore di smantellare la Costituzione. Ma subito dopo arriva la propaganda, l’urlo sui social che non lascia scampo al pensiero critico. All’osso: il sì vincerà se Renzi riuscirà a far passare che la riforma taglia stipendi e poltrone, con gli argomenti dell’anti-politica, di Grillo (e di Trump), non per le raffinatezze costituzionali sulla fine del bicameralismo paritario.
E il no vincerà se prevarrà l’idea di rovesciare il premier con un voto su altra materia, argomento iper-politico, da manovratori di Palazzo, più alla D’Alema che da 5 Stelle. Schemi rudimentali, che di profondo smuovono solo il rancore. Nulla di paragonabile a quanto accaduto in altri momenti della storia repubblicana: il referendum tra la repubblica e la monarchia di settant’anni fa, vero passaggio cruciale, gestito dalla nuova classe politica anti-fascista, i democristiani, i comunisti con l’intento di ricucire la lacerazione dolorosa tra una metà del Paese e l’altra. Oppure il referendum sul divorzio del 1974, in cui gli elettori si dimostrarono più maturi e avanzati dei dirigenti di partito. E i referendum di Mario Segni di inizio anni Novanta, soprattutto il primo del 1991, che sprigionarono energie e passioni più ampie dell’oggetto della consultazione (la modesta abolizione della preferenza multipla). Fu una rivolta dei cittadini contro un sistema partitico sclerotico come la nomenclatura sovietica che si era espresso per far fallire quel voto.
Quell’onda di entusiasmo è un lontano ricordo. Il referendum 2016 registra il derby tra i costituzionalisti, gli ex presidenti della Corte costituzionale, i giornalisti, schierati di qua o di là. E scarsissima mobilitazione sui territori, nei quartieri, nelle città. Responsabilità di Renzi che non ha saputo, nonostante l’occupazione mediatica, dare l’idea di un gioco nuovo. E di chi, contrastandolo, si è barricato sul terreno della più cocciuta conservazione.
Nel merito il referendum è la risposta a una domanda decisiva trent’anni fa, quando il Parlamento era il cuore del sistema e riformare il bicameralismo significava davvero accelerare le decisioni. Mentre oggi vuol dire tagliare la mano quando già è stato amputato il braccio: le assemblee legislative contano poco in Europa e pochissimo in Italia, il pendolo del potere si è spostato sull’esecutivo, il governo. Ma di questo la riforma non parla. Appunto.
Così sul referendum si combattono altre battaglie. Sul 4 dicembre si svolge il congresso del Pd e si decide chi avrà la futura leadership del centro-destra, il trumpista Matteo Salvini o il Berlusconi che ora si scopre centrista e moderato (chiedere informazioni a Marco Follini e Gianfranco Fini), con il povero Stefano Parisi già scaricato. Come sarà la nuova legge elettorale e chi guiderà la Rai, l’Eni, l’Enel, Fimeccanica.
Nell’attesa del Giudizio universale l’intero Paese è stato bloccato in queste due parole. Il Sì e il No. Il renziano fronte del Sì, per assonanza, ha cominciato a dire di sì a tutto: sì al ponte sullo stretto, sì ai condoni, sì ad Altiero Spinelli e sì al tricolore al posto dello stendardo europeo. Il fronte del No, di Salvini e Grillo, in compenso ha detto di no a tutto: no alle Olimpiadi, no alle linee della metro, no agli sbarchi dei migranti. Troppe cose per una sola sillaba. Troppo stretti, il Sì e il No, per contenere la complessità della società, le speranze e le angosce, la rabbia e la volontà nonostante tutto di ripartire.
La campagna referendaria, per ora, consegna un’unica certezza: non basta un sì o un no a coprire il vuoto politico, organizzativo e culturale in cui si muovono i leader vecchi e nuovi. Un progetto politico è più grande di un sì e un giornale deve restare più aperto e imprevedibile di un no. Ci sono più cose in cielo e in terra da rifare in questa Italia di un sì o di un no. Per questo, nelle prossime settimane, sarà interessante valutare chi rimane fuori dai due schieramenti. I non Incasellati. I non Arruolati che voteranno in modo laico e saranno decisivi per il risultato. Quando ci sarà da ricostruire. Scrivere la pagina del Dopo. Liberati, finalmente dalla gabbia asfissiante del Sì e del No. Nessuna regola contiene la totalità di ciò che è giusto, dettava la saggezza dei monaci antichi. Bastava dirlo.
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
Referendum, perché il Sì e il No hanno già perso entrambi
Intorno alla consultazione del 4 dicembre c'è una battaglia esagerata da tutte e due le parti. Che non riguarda più il Paese, ma solo i destini di chi la conduce. E, dopo, sarà tutto da ricostruire
DI MARCO DAMILANO
21 novembre 2016
7
Referendum, perché il Sì e il No hanno già perso entrambi
«Questa regola non contiene la totalità di ciò che è giusto». L’avessero fatta propria, la clausola finale della regola dettata da San Romualdo ai monaci di Camaldoli nel 1025, i profeti del Sì e gli apostoli del No non si troverebbero in questa situazione.
La «maggioranza silenziosa», l’ha chiamata Matteo Renzi, in modo maldestro perché da Richard Nixon al deputato piduista Massimo De Carolis l’espressione ha sempre definito quella parte di elettorato legge e ordine che si fa vivo solo il giorno del voto per poi tornare a inabissarsi: l’opposto del coinvolgimento in un’impresa collettiva, la vita activa di Hannah Arendt.
Ma Renzi, involontariamente, ha colto il punto. Perché non può essere considerata una maggioranza silenziosa quella che ha eletto Donald Trump in America, era al contrario una minoranza rumorosissima, se solo avesse trovato orecchie pronte ad ascoltare e non foderate di pregiudizio tra i liberal, i sondaggisti, la stampa. Mentre qui in Italia, il referendum divide e lacera in modo drammatico il Palazzo e i partiti, ma a questo clima apocalittico corrisponde il crescente distacco con cui la maggior parte degli italiani, anche quelli che voteranno sì o che voteranno no, seguono lo scontro tra l’opposta retorica della riforma risolutiva (basta un sì? magari...) e della deriva autoritaria.
Un sentimento ben raccontato e rappresentato da Roberto Saviano su l’Espresso : «Tutto il rumore che si sta facendo è un modo per occupare posizioni in quella che è una personalissima lotta per il raggiungimento di un personalissimo potere. Non mi saranno amici i signori del sì e non mi saranno amici i signori del no se dico che questo risiko per recuperare una percentuale minima di consenso è il peggior servizio che si sta facendo all’Italia. Un danno del quale non voglio essere complice. Non mi chiamate in sostegno, questo referendum è solo affar vostro, per questo referendum, io non ci sono». Qualcosa di simile ha detto Romano Prodi: «Il grande evento ormai si è consumato. Le altre sono realtà più piccole», ha ridimensionato il Professore dopo la vittoria di Trump.
Il rumore del Palazzo. E il silenzio della società. «Quella degli ultimi anni è un’Italia esagerata», ha detto un monumento vivente, l’ex portierone della Nazionale Dino Zoff. La campagna per il voto referendario è lo specchio di questa esagerazione, senza misura e limite. Interminabile, eccessiva, sproporzionata, spudorata. Trasformata in una guerra di religione, con i suoi condottieri, i dottori della legge, i teologi, gli inquisitori, i gesuiti euclidei, i professori armati di catechismi con apposite formulette, senza possibilità di perdono in caso di deviazione dalla retta via.
Tifoseria contro tifoseria, setta contro setta, predisposte a escludere più che a includere, fuori di noi nessuna salvezza: l’inferno dell’instabilità, per i seguaci del Sì, o della dittatura strisciante, per i messaggeri del No. E più si avvicina l’ora della verità, più si percepisce il quasi-falso, l’artefatto, il taroccato: come quei marchi che ricordano il modello originale ma lo tradiscono. Taroccato il quesito, sventolato dal premier negli studi tv, taroccato il futuro Senato, una simil-Camera alta acquistabile a prezzi stracciati al mercatino, taroccata, forse, l’intera riforma. Ma taroccato, anche, il pericolo della svolta totalitaria, fasullo il rischio dell’uomo-forte che sarebbe, al più, un simil-Erdogan.
Si parte da un’esigenza giusta, il cambiamento, o da una legittima preoccupazione, il timore di smantellare la Costituzione. Ma subito dopo arriva la propaganda, l’urlo sui social che non lascia scampo al pensiero critico. All’osso: il sì vincerà se Renzi riuscirà a far passare che la riforma taglia stipendi e poltrone, con gli argomenti dell’anti-politica, di Grillo (e di Trump), non per le raffinatezze costituzionali sulla fine del bicameralismo paritario.
E il no vincerà se prevarrà l’idea di rovesciare il premier con un voto su altra materia, argomento iper-politico, da manovratori di Palazzo, più alla D’Alema che da 5 Stelle. Schemi rudimentali, che di profondo smuovono solo il rancore. Nulla di paragonabile a quanto accaduto in altri momenti della storia repubblicana: il referendum tra la repubblica e la monarchia di settant’anni fa, vero passaggio cruciale, gestito dalla nuova classe politica anti-fascista, i democristiani, i comunisti con l’intento di ricucire la lacerazione dolorosa tra una metà del Paese e l’altra. Oppure il referendum sul divorzio del 1974, in cui gli elettori si dimostrarono più maturi e avanzati dei dirigenti di partito. E i referendum di Mario Segni di inizio anni Novanta, soprattutto il primo del 1991, che sprigionarono energie e passioni più ampie dell’oggetto della consultazione (la modesta abolizione della preferenza multipla). Fu una rivolta dei cittadini contro un sistema partitico sclerotico come la nomenclatura sovietica che si era espresso per far fallire quel voto.
Quell’onda di entusiasmo è un lontano ricordo. Il referendum 2016 registra il derby tra i costituzionalisti, gli ex presidenti della Corte costituzionale, i giornalisti, schierati di qua o di là. E scarsissima mobilitazione sui territori, nei quartieri, nelle città. Responsabilità di Renzi che non ha saputo, nonostante l’occupazione mediatica, dare l’idea di un gioco nuovo. E di chi, contrastandolo, si è barricato sul terreno della più cocciuta conservazione.
Nel merito il referendum è la risposta a una domanda decisiva trent’anni fa, quando il Parlamento era il cuore del sistema e riformare il bicameralismo significava davvero accelerare le decisioni. Mentre oggi vuol dire tagliare la mano quando già è stato amputato il braccio: le assemblee legislative contano poco in Europa e pochissimo in Italia, il pendolo del potere si è spostato sull’esecutivo, il governo. Ma di questo la riforma non parla. Appunto.
Così sul referendum si combattono altre battaglie. Sul 4 dicembre si svolge il congresso del Pd e si decide chi avrà la futura leadership del centro-destra, il trumpista Matteo Salvini o il Berlusconi che ora si scopre centrista e moderato (chiedere informazioni a Marco Follini e Gianfranco Fini), con il povero Stefano Parisi già scaricato. Come sarà la nuova legge elettorale e chi guiderà la Rai, l’Eni, l’Enel, Fimeccanica.
Nell’attesa del Giudizio universale l’intero Paese è stato bloccato in queste due parole. Il Sì e il No. Il renziano fronte del Sì, per assonanza, ha cominciato a dire di sì a tutto: sì al ponte sullo stretto, sì ai condoni, sì ad Altiero Spinelli e sì al tricolore al posto dello stendardo europeo. Il fronte del No, di Salvini e Grillo, in compenso ha detto di no a tutto: no alle Olimpiadi, no alle linee della metro, no agli sbarchi dei migranti. Troppe cose per una sola sillaba. Troppo stretti, il Sì e il No, per contenere la complessità della società, le speranze e le angosce, la rabbia e la volontà nonostante tutto di ripartire.
La campagna referendaria, per ora, consegna un’unica certezza: non basta un sì o un no a coprire il vuoto politico, organizzativo e culturale in cui si muovono i leader vecchi e nuovi. Un progetto politico è più grande di un sì e un giornale deve restare più aperto e imprevedibile di un no. Ci sono più cose in cielo e in terra da rifare in questa Italia di un sì o di un no. Per questo, nelle prossime settimane, sarà interessante valutare chi rimane fuori dai due schieramenti. I non Incasellati. I non Arruolati che voteranno in modo laico e saranno decisivi per il risultato. Quando ci sarà da ricostruire. Scrivere la pagina del Dopo. Liberati, finalmente dalla gabbia asfissiante del Sì e del No. Nessuna regola contiene la totalità di ciò che è giusto, dettava la saggezza dei monaci antichi. Bastava dirlo.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
IlFattoQuotidiano se ne occupa 24 ore dopo Il Giornale
IlFattoQuotidiano.it / Referendum Costituzionale
Referendum, lo scenario catastrofista del Ft: “Il no spiana la strada a uscita dall’euro. Per Ue rischio default”
Referendum Costituzionale
I grandi giornali finanziari internazionali guardano con preoccupazione all'esito della consultazione del 4 dicembre. Il britannico Financial Times: "La fine dell'euro più vicina". Più ottimisti New York Times, Bloomberg e Wall Street Journal. Credit Suisse: "Se vince il No non ci saranno conseguenze di sistema"
di F. Q. | 21 novembre 2016
COMMENTI (35)
Più informazioni su: Financial Times, Matteo Renzi, Referendum Costituzionale 2016, Unione Europea
“L’esito del referendum potrebbe accelerare il cammino dell’Italia fuori dall’euro. E sarebbe di riflesso una minaccia di disintegrazione per l’Europa”. E ancora “sarebbe il più grande default della storia”.
A sostenerlo è un’editoriale apparso sul Financial Times, a firma del condirettore Wolfgang Munchau, che disegna scenari catastrofici per l’Europa in caso di vittoria del “no” al referendum italiano del prossimo 5 dicembre.
Cupissimi, a suo dire, “saldamente ancorati a una scala ottimistica di aspettative negative”.
I grandi giornali finanziari internazionali guardano con preoccupazione all’esito della consultazione del 4 dicembre.
Una posizione assai più netta rispetto ad altri grandi giornali finanziari internazionali, come il Wall Street Journal o New York Times.
Anche Bloomberg e Credit Suisse hanno recentemente indicato come scenario probabile un impatto a livello nazionale ma nessuna conseguenza per la stabilità della zona euro.
Diverse e fauste le previsioni del Ft.
Il ragionamento parte dalla constatazione che il merito della riforma su cui si vota nulla c’entra col destino che determinerà.
Quello che davvero conta, scrive l’editorialista, è che la performance dell’Italia da quando ha adottato la moneta unica è stata negativa: dal 1999 lavoro e capitale sono rimasti al palo, crescendo di cinque punti mentre altrove, in Germania o Francia, sono aumentati del doppio.
La seconda ragione che lega esito referendario ed Europa è il fatto che mentre l’Italia non-cresceva, la Ue poco o nulla faceva davvero per attrezzarsi come unione economica e bancaria per affrontare la crisi dell’eurozona del 2010-2012, optando sull’austerità a senso unico.
“Se volete sapere perché Angela Merkel non può essere indicata come leader del mondo libero, non cercate oltre.
Il cancelliere tedesco non riusciva a guidare l’Europa neppure quando contava”.
Ed è la combinazione di questi due fattori, secondo l’analista del Ft, ad aver messo le ali al populismo e a rendere ora esplosivo l’appuntamento italiano.
Munchau si addentra in considerazioni sui riflessi interni al Belpase dopo il 5 dicembre, in caso di vittoria del “no”.
“Il più grande e importante partito è il Movimento Cinque Stelle, che sfida la consueta classificazione destra-sinistra”.
Il secondo è Forza Italia che ha sviluppato rabbiosamente la sua ostilità all’euro dopo le dimissioni di Berlusconi dovute anche alla pressione delle istituzioni e dei mercati.
Anche se in realtà, e questo l’editoriale non lo dice, il partito di Berlusconi ha esibito sempre un antieuropeismo di facciata.
“Il terzo è il separatista della Lega Nord”.
Munchau conclude, forse semplificando un po’ troppo, che “Nei paesi democratici è comune che i partiti di opposizione alla fine arrivino al potere.
E ci si aspetta che accada in Italia”.
In ogni caso il referendum è l’appuntamento col destino non solo per Renzi e l’Italia ma per tutta la comunità europea.
“Il referendum potrebbe accelerare il cammino verso l’uscita di euro.
Se il signor Renzi perde, visto che ha detto si sarebbe dimesso, ne conseguirà il caos politico.
Gli investitori potrebbero staccare la spina.
Il 5 dicembre, l’Europa potrebbe essere risvegliata da una minaccia immediata di disintegrazione”.
Ma la spallata potrebbe arrivare anche da Parigi e da una Frexit.
“In Francia, la probabilità di una vittoria alle elezioni presidenziali di Marine Le Pen non è più un rischio remoto e ha promesso di tenere un referendum sul futuro della Francia in Europa.
Se quel referendum dovesse portare a Frexit, l’UE sarebbe finito il mattino successivo. Così sarebbe la fine dell’euro”.
Come evitarlo? L’opinionista del Ft mette in fila le mosse per scongiurare il crollo, opzione teoricamente ancora percorribile.
La Merkel, scrive Munchau, dovrebbe accettare quella road verso l’unione fiscale e politica che ha rifiutato nel 2012 mente la Ue dovrebbe rafforzare il meccanismo di stabilità, allargare l’ombrello di salvataggio, che “non è progettato per gestire paesi delle dimensioni di Italia o Francia”.
E la Merkel? “Se le chiedeste di comprare obbligazioni della zona euro vi risponderebbe di no, ma se dovesse scegliere tra eurobond e l’uscita dall’euro la sua risposta potrebbe essere diversa”.
E questa dipenderà anche dal fatto che in Germani l’anno prossimo si vota.
Quindi le aspettative dell’analista.
“Non un crollo della UE e dell’euro, ma una partenza di uno o più paesi, forse l’Italia, più che la Francia.
Alla luce dei recenti avvenimenti, il mio scenario di base è ormai saldamente sulla scala ottimistica delle aspettative ragionevoli”.
IlFattoQuotidiano.it / Referendum Costituzionale
Referendum, lo scenario catastrofista del Ft: “Il no spiana la strada a uscita dall’euro. Per Ue rischio default”
Referendum Costituzionale
I grandi giornali finanziari internazionali guardano con preoccupazione all'esito della consultazione del 4 dicembre. Il britannico Financial Times: "La fine dell'euro più vicina". Più ottimisti New York Times, Bloomberg e Wall Street Journal. Credit Suisse: "Se vince il No non ci saranno conseguenze di sistema"
di F. Q. | 21 novembre 2016
COMMENTI (35)
Più informazioni su: Financial Times, Matteo Renzi, Referendum Costituzionale 2016, Unione Europea
“L’esito del referendum potrebbe accelerare il cammino dell’Italia fuori dall’euro. E sarebbe di riflesso una minaccia di disintegrazione per l’Europa”. E ancora “sarebbe il più grande default della storia”.
A sostenerlo è un’editoriale apparso sul Financial Times, a firma del condirettore Wolfgang Munchau, che disegna scenari catastrofici per l’Europa in caso di vittoria del “no” al referendum italiano del prossimo 5 dicembre.
Cupissimi, a suo dire, “saldamente ancorati a una scala ottimistica di aspettative negative”.
I grandi giornali finanziari internazionali guardano con preoccupazione all’esito della consultazione del 4 dicembre.
Una posizione assai più netta rispetto ad altri grandi giornali finanziari internazionali, come il Wall Street Journal o New York Times.
Anche Bloomberg e Credit Suisse hanno recentemente indicato come scenario probabile un impatto a livello nazionale ma nessuna conseguenza per la stabilità della zona euro.
Diverse e fauste le previsioni del Ft.
Il ragionamento parte dalla constatazione che il merito della riforma su cui si vota nulla c’entra col destino che determinerà.
Quello che davvero conta, scrive l’editorialista, è che la performance dell’Italia da quando ha adottato la moneta unica è stata negativa: dal 1999 lavoro e capitale sono rimasti al palo, crescendo di cinque punti mentre altrove, in Germania o Francia, sono aumentati del doppio.
La seconda ragione che lega esito referendario ed Europa è il fatto che mentre l’Italia non-cresceva, la Ue poco o nulla faceva davvero per attrezzarsi come unione economica e bancaria per affrontare la crisi dell’eurozona del 2010-2012, optando sull’austerità a senso unico.
“Se volete sapere perché Angela Merkel non può essere indicata come leader del mondo libero, non cercate oltre.
Il cancelliere tedesco non riusciva a guidare l’Europa neppure quando contava”.
Ed è la combinazione di questi due fattori, secondo l’analista del Ft, ad aver messo le ali al populismo e a rendere ora esplosivo l’appuntamento italiano.
Munchau si addentra in considerazioni sui riflessi interni al Belpase dopo il 5 dicembre, in caso di vittoria del “no”.
“Il più grande e importante partito è il Movimento Cinque Stelle, che sfida la consueta classificazione destra-sinistra”.
Il secondo è Forza Italia che ha sviluppato rabbiosamente la sua ostilità all’euro dopo le dimissioni di Berlusconi dovute anche alla pressione delle istituzioni e dei mercati.
Anche se in realtà, e questo l’editoriale non lo dice, il partito di Berlusconi ha esibito sempre un antieuropeismo di facciata.
“Il terzo è il separatista della Lega Nord”.
Munchau conclude, forse semplificando un po’ troppo, che “Nei paesi democratici è comune che i partiti di opposizione alla fine arrivino al potere.
E ci si aspetta che accada in Italia”.
In ogni caso il referendum è l’appuntamento col destino non solo per Renzi e l’Italia ma per tutta la comunità europea.
“Il referendum potrebbe accelerare il cammino verso l’uscita di euro.
Se il signor Renzi perde, visto che ha detto si sarebbe dimesso, ne conseguirà il caos politico.
Gli investitori potrebbero staccare la spina.
Il 5 dicembre, l’Europa potrebbe essere risvegliata da una minaccia immediata di disintegrazione”.
Ma la spallata potrebbe arrivare anche da Parigi e da una Frexit.
“In Francia, la probabilità di una vittoria alle elezioni presidenziali di Marine Le Pen non è più un rischio remoto e ha promesso di tenere un referendum sul futuro della Francia in Europa.
Se quel referendum dovesse portare a Frexit, l’UE sarebbe finito il mattino successivo. Così sarebbe la fine dell’euro”.
Come evitarlo? L’opinionista del Ft mette in fila le mosse per scongiurare il crollo, opzione teoricamente ancora percorribile.
La Merkel, scrive Munchau, dovrebbe accettare quella road verso l’unione fiscale e politica che ha rifiutato nel 2012 mente la Ue dovrebbe rafforzare il meccanismo di stabilità, allargare l’ombrello di salvataggio, che “non è progettato per gestire paesi delle dimensioni di Italia o Francia”.
E la Merkel? “Se le chiedeste di comprare obbligazioni della zona euro vi risponderebbe di no, ma se dovesse scegliere tra eurobond e l’uscita dall’euro la sua risposta potrebbe essere diversa”.
E questa dipenderà anche dal fatto che in Germani l’anno prossimo si vota.
Quindi le aspettative dell’analista.
“Non un crollo della UE e dell’euro, ma una partenza di uno o più paesi, forse l’Italia, più che la Francia.
Alla luce dei recenti avvenimenti, il mio scenario di base è ormai saldamente sulla scala ottimistica delle aspettative ragionevoli”.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Manlio Lilli
REFERENDUM COSTITUZIONALE
De Luca e le clientele, cambiamo la Carta per ‘una frittura di pesce’
Referendum Costituzionale
di Manlio Lilli | 21 novembre 2016
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39
Più informazioni su: Campania, Matteo Renzi, Referendum Costituzionale 2016, Vincenzo De Luca
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Manlio Lilli
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“Vi piace Renzi non vi piace Renzi a me non me ne fotte un c… Abbiamo fatto una chiacchierata con Renzi. Gli abbiamo chiesto 270 milioni di euro per Bagnoli e ce li ha dati. Altri 50 e ce li ha dati. Mezzo miliardo per la Terra dei fuochi e ha detto sì… Abbiamo promesse di finanziamenti per Caserta, Pompei, Ercolano, Paestum. Sono arrivati fiumi di soldi: 2 miliardi e 700 milioni per il Patto per la Campania, altri 308 per Napoli… Ancora 600 milioni per Napoli. Che dobbiamo chiedere di più?”.
Il De Luca che ha arringato qualche giorno i “suoi sindaci” in un Hotel di Napoli rischia di mettere a disagio perfino Maurizio Crozza, suo apprezzato imitatore. Nessun disagio invece per il presidente del Consiglio Matteo Renzi che continua il suo tour. Il governatore della Campania in una riunione che pensava segreta e soprattutto al riparo da occhi e orecchie indiscreti ha vuotato il sacco. Bisogna raccogliere consensi per il Sì, ad ogni costo. In ogni materia. Il referendum sulla riforma costituzionale non è un appuntamento. E’, per De Luca la Regione Campania, l’appuntamento principe.
Proprio per questo, la partita va giocata senza esclusione di colpi. Senza regole. Mentre in tv si cerca di argomentare, in occasione degli incontri pubblici si prova a spiegare, anche se in maniera strumentale, ci sono quelli che organizzano le truppe cammellate. “Franco, vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come c… vuoi tu”, dice De Luca, con toni decisi, riferendosi a Franco Alfieri, sindaco di Agropoli.
A lui il compito “di portare a votare la metà dei suoi concittadini, 4mila su 8mila”. Ai parlamentari il fioretto, quando ne sono capaci, a De Luca e ad altri che del governatore campano sono omologhi in quanto a modalità utilizzate per convincere, la clava. Il Renzi double-face che demonizza la vecchia politica ma che se ne serve, non ama perdere. Per questo motivo gioca partite tutte sue. Proprio come in questo caso. Ora è chiaro come arriveranno i voti dalla Campania. “Una frittura di pesce”, oppure un giro “sulle barche, sugli yacht” alla gente per votare Sì e cambiare la Costituzione.
Milioni di euro alla politica locale. Ben inteso, nessun scandalo in questo se in mezzo non ci fosse una consultazione elettorale. Quei soldi dovrebbero servire per bonifiche, per opere da completare, persino per musei e aree archeologiche. Ma quel che non va bene sono le modalità. In Campania si è promesso, evidentemente per ricevere. Il dubbio che sia stato fatto altrettanto anche nelle altre regioni del Sud che rientrano nel “patto”, viene. Se non altro per la Sicilia, per la quale tanto si spende il presidente del Consiglio. Qualcuno davvero si stupirebbe di sapere che, nel regno del governatore Crocetta, i 267.275.503 euro per Turismo e cultura, dei quali 166.275.503 per interventi su siti culturali e archeologici, e i 2.521.303.916 euro per dissesto idrogeologico e territorio, nascondano, in fondo, niente altro che arancini e panelle oppure un piatto di pasta con le sarde?
Il do ut des della Campania ha il potere di inquinare ulteriormente un referendum che sfortunatamente sembra appassionare e coinvolgere più i due opposti schieramenti che il Paese, nella sua interezza. Il punto non è più neppure l’opaco comportamento di De Luca oppure l’endorsement per il Sì di Crocetta. Il punto è un altro. E’ che la Costituzione possa essere mutata, stravolta, in nome di una frittura e di una gita in barca oppure di un piatto di pastacon le sarde. Questo fa un po’ tristezza, molta rabbia.
di Manlio Lilli | 21 novembre 2016
REFERENDUM COSTITUZIONALE
De Luca e le clientele, cambiamo la Carta per ‘una frittura di pesce’
Referendum Costituzionale
di Manlio Lilli | 21 novembre 2016
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“Vi piace Renzi non vi piace Renzi a me non me ne fotte un c… Abbiamo fatto una chiacchierata con Renzi. Gli abbiamo chiesto 270 milioni di euro per Bagnoli e ce li ha dati. Altri 50 e ce li ha dati. Mezzo miliardo per la Terra dei fuochi e ha detto sì… Abbiamo promesse di finanziamenti per Caserta, Pompei, Ercolano, Paestum. Sono arrivati fiumi di soldi: 2 miliardi e 700 milioni per il Patto per la Campania, altri 308 per Napoli… Ancora 600 milioni per Napoli. Che dobbiamo chiedere di più?”.
Il De Luca che ha arringato qualche giorno i “suoi sindaci” in un Hotel di Napoli rischia di mettere a disagio perfino Maurizio Crozza, suo apprezzato imitatore. Nessun disagio invece per il presidente del Consiglio Matteo Renzi che continua il suo tour. Il governatore della Campania in una riunione che pensava segreta e soprattutto al riparo da occhi e orecchie indiscreti ha vuotato il sacco. Bisogna raccogliere consensi per il Sì, ad ogni costo. In ogni materia. Il referendum sulla riforma costituzionale non è un appuntamento. E’, per De Luca la Regione Campania, l’appuntamento principe.
Proprio per questo, la partita va giocata senza esclusione di colpi. Senza regole. Mentre in tv si cerca di argomentare, in occasione degli incontri pubblici si prova a spiegare, anche se in maniera strumentale, ci sono quelli che organizzano le truppe cammellate. “Franco, vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come c… vuoi tu”, dice De Luca, con toni decisi, riferendosi a Franco Alfieri, sindaco di Agropoli.
A lui il compito “di portare a votare la metà dei suoi concittadini, 4mila su 8mila”. Ai parlamentari il fioretto, quando ne sono capaci, a De Luca e ad altri che del governatore campano sono omologhi in quanto a modalità utilizzate per convincere, la clava. Il Renzi double-face che demonizza la vecchia politica ma che se ne serve, non ama perdere. Per questo motivo gioca partite tutte sue. Proprio come in questo caso. Ora è chiaro come arriveranno i voti dalla Campania. “Una frittura di pesce”, oppure un giro “sulle barche, sugli yacht” alla gente per votare Sì e cambiare la Costituzione.
Milioni di euro alla politica locale. Ben inteso, nessun scandalo in questo se in mezzo non ci fosse una consultazione elettorale. Quei soldi dovrebbero servire per bonifiche, per opere da completare, persino per musei e aree archeologiche. Ma quel che non va bene sono le modalità. In Campania si è promesso, evidentemente per ricevere. Il dubbio che sia stato fatto altrettanto anche nelle altre regioni del Sud che rientrano nel “patto”, viene. Se non altro per la Sicilia, per la quale tanto si spende il presidente del Consiglio. Qualcuno davvero si stupirebbe di sapere che, nel regno del governatore Crocetta, i 267.275.503 euro per Turismo e cultura, dei quali 166.275.503 per interventi su siti culturali e archeologici, e i 2.521.303.916 euro per dissesto idrogeologico e territorio, nascondano, in fondo, niente altro che arancini e panelle oppure un piatto di pasta con le sarde?
Il do ut des della Campania ha il potere di inquinare ulteriormente un referendum che sfortunatamente sembra appassionare e coinvolgere più i due opposti schieramenti che il Paese, nella sua interezza. Il punto non è più neppure l’opaco comportamento di De Luca oppure l’endorsement per il Sì di Crocetta. Il punto è un altro. E’ che la Costituzione possa essere mutata, stravolta, in nome di una frittura e di una gita in barca oppure di un piatto di pastacon le sarde. Questo fa un po’ tristezza, molta rabbia.
di Manlio Lilli | 21 novembre 2016
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
IlFattoQuotidiano.it / Referendum Costituzionale
“Referendum? Io ho già votato”. Ecco come fa un italiano all’estero, tra buste anonime e rischio brogli
Video http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11 ... i/3210539/
:0:17/0:29
di Fabrizio d'Esposito | 22 novembre 2016
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Più informazioni su: Brogli, Italiani all'Estero, Referendum Costituzionale 2016
Ecco come vota un italiano all’estero. Un lettore del Fatto ha filmato il suo voto con uno smartphone, cosa impensabile nei seggi di casa nostra. Ma il punto è un altro e conferma tutti i timori su questa modalità nata con la legge Tremaglia e che ha visto il suo debutto nel 2003 con un referendum. Ossia la possibilità di brogli. Nelle elezioni politiche del 2006 e del 2008 sono state decine i casi documentati nelle quattro ripartizioni della circoscrizione Estero: Europa; America meridionale; America centrale e settentrionale; Asia, Africa, Oceania e Antartide.
Atteniamoci però al voto nel video, di un elettore che ha già votato in un Paese asiatico al referendum sulle riforme istituzionali del governo Renzi. La vulnerabilità della scheda s’inserisce in un sistema dalle troppe falle. Innanzitutto le buste. Quella bianca piccola può essere sostituita in varie fasi, nel consolato o nell’ambasciata del Paese in cui si vota fino all’arrivo in Italia. La scheda, infatti, una volta votata e imbustata come si vede, viene rispedita al consolato. Di qui il viaggio aereo fino al nostro Paese. In passato, appunto, i brogli hanno avuto quest’ampia casistica: plichi rubati dalle caselle postali, schede sostituite nei Paesi di provenienza, schede sostituite nei seggi italiani dove vengono scrutinate. Non c’è alcuna sicurezza sul voto. Del resto il sistema si basa su buste comuni, facilmente manipolabili: quali sono, infatti, le garanzie che le due buste, quella piccola e quella grande, arrivino a destinazione sane e salve? L’unico ostacolo, fragile, è quel tagliandino che spunta nella busta grande, con le generalità dell’elettore, aggirabilissimo. Nessun timbro o altro segno identificabile per garantire certezze.
Ecco perché da più parti del fronte del No sono stati fatti vari appelli per il voto all’estero. Quest’anno, per la prima volta, saranno più di 4 milioni gli aventi diritto e un milione e mezzo di voti sarebbero sufficienti a ribaltare il risultato. Non a caso il governo ha investito parecchio sugli italiani all’estero, dalle visite della Boschi in Sudamerica alle note lettere spedite da Renzi. Non solo. E’ stato Massimo D’Alema, una settimana fa, ad augurarsi sibillinamente che i diplomatici dei vari consolati manifestino fedeltà al Paese e non al governo
“Referendum? Io ho già votato”. Ecco come fa un italiano all’estero, tra buste anonime e rischio brogli
Video http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11 ... i/3210539/
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di Fabrizio d'Esposito | 22 novembre 2016
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Ecco come vota un italiano all’estero. Un lettore del Fatto ha filmato il suo voto con uno smartphone, cosa impensabile nei seggi di casa nostra. Ma il punto è un altro e conferma tutti i timori su questa modalità nata con la legge Tremaglia e che ha visto il suo debutto nel 2003 con un referendum. Ossia la possibilità di brogli. Nelle elezioni politiche del 2006 e del 2008 sono state decine i casi documentati nelle quattro ripartizioni della circoscrizione Estero: Europa; America meridionale; America centrale e settentrionale; Asia, Africa, Oceania e Antartide.
Atteniamoci però al voto nel video, di un elettore che ha già votato in un Paese asiatico al referendum sulle riforme istituzionali del governo Renzi. La vulnerabilità della scheda s’inserisce in un sistema dalle troppe falle. Innanzitutto le buste. Quella bianca piccola può essere sostituita in varie fasi, nel consolato o nell’ambasciata del Paese in cui si vota fino all’arrivo in Italia. La scheda, infatti, una volta votata e imbustata come si vede, viene rispedita al consolato. Di qui il viaggio aereo fino al nostro Paese. In passato, appunto, i brogli hanno avuto quest’ampia casistica: plichi rubati dalle caselle postali, schede sostituite nei Paesi di provenienza, schede sostituite nei seggi italiani dove vengono scrutinate. Non c’è alcuna sicurezza sul voto. Del resto il sistema si basa su buste comuni, facilmente manipolabili: quali sono, infatti, le garanzie che le due buste, quella piccola e quella grande, arrivino a destinazione sane e salve? L’unico ostacolo, fragile, è quel tagliandino che spunta nella busta grande, con le generalità dell’elettore, aggirabilissimo. Nessun timbro o altro segno identificabile per garantire certezze.
Ecco perché da più parti del fronte del No sono stati fatti vari appelli per il voto all’estero. Quest’anno, per la prima volta, saranno più di 4 milioni gli aventi diritto e un milione e mezzo di voti sarebbero sufficienti a ribaltare il risultato. Non a caso il governo ha investito parecchio sugli italiani all’estero, dalle visite della Boschi in Sudamerica alle note lettere spedite da Renzi. Non solo. E’ stato Massimo D’Alema, una settimana fa, ad augurarsi sibillinamente che i diplomatici dei vari consolati manifestino fedeltà al Paese e non al governo
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
Gentiloni assicura: "Gli italiani all'estero non sono imbroglioni"
MA I POLITICI ITALIANI SI, SONO IMBROGLIONI--RICORDATELO GENTILO'
Referendum, Gentiloni "copre" Renzi: "Il voto all'estero è a prova di brogli"
Gentiloni assicura: "Gli italiani all'estero non sono imbroglioni". Poi ammette: "Il sistema, però, non è infallibile"
Sergio Rame - Mer, 23/11/2016 - 18:44
commenta
"Gli italiani all'estero non sono di serie B né imbroglioni". Nel question time di oggi il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, prova a parare le accuse che gli piovono addosso nelle interrogazioni delle opposizioni.
Assicura che "la rete consolare applica le legge in modo corretto" e nega l'esistenza di qualsiasi "irregolarità nelle procedure elettorali per il voto degli italiani all'estero". In realtà i timori sono tutt'altro che infondati e le prime avvisaglie di brogli e irregolarità sono già arrivate da più Paesi dell'Unione europea.
Il Comitato del No si è già mosso. Ha presentato alla Consulta un ricorso per invalidare il voto nel caso in cui vinca il Sì con i voti degli italiani all'estero. Un pacchetto di voti che, secondo le stime di Repubblica, può muovere circa il 5 per cento delle preferenze e quindi modificare sensibilmente il risultato del referendum sulle riforme costituzionali. Dall'estero qualche avvisaglia di irregolarità è già arrivata all'attenzione del fronte del No. Eppure il capo della Farnesina si fionda a "coprire" tutto attribuendo la duplicazione di documenti elettorali avvenuta a Praga a un "errore materiale della tipografia". In ogni caso, spiega durante il question time di oggi, un tentativo di votare due volte "sarebbe identificabile in via di scrutinio tramite il codice elettore; inoltre gli elettori sono stati informati della esistenza di una legge, che punisce chi tenta di votare due volte".
MA I POLITICI ITALIANI SI, SONO IMBROGLIONI--RICORDATELO GENTILO'
Referendum, Gentiloni "copre" Renzi: "Il voto all'estero è a prova di brogli"
Gentiloni assicura: "Gli italiani all'estero non sono imbroglioni". Poi ammette: "Il sistema, però, non è infallibile"
Sergio Rame - Mer, 23/11/2016 - 18:44
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"Gli italiani all'estero non sono di serie B né imbroglioni". Nel question time di oggi il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, prova a parare le accuse che gli piovono addosso nelle interrogazioni delle opposizioni.
Assicura che "la rete consolare applica le legge in modo corretto" e nega l'esistenza di qualsiasi "irregolarità nelle procedure elettorali per il voto degli italiani all'estero". In realtà i timori sono tutt'altro che infondati e le prime avvisaglie di brogli e irregolarità sono già arrivate da più Paesi dell'Unione europea.
Il Comitato del No si è già mosso. Ha presentato alla Consulta un ricorso per invalidare il voto nel caso in cui vinca il Sì con i voti degli italiani all'estero. Un pacchetto di voti che, secondo le stime di Repubblica, può muovere circa il 5 per cento delle preferenze e quindi modificare sensibilmente il risultato del referendum sulle riforme costituzionali. Dall'estero qualche avvisaglia di irregolarità è già arrivata all'attenzione del fronte del No. Eppure il capo della Farnesina si fionda a "coprire" tutto attribuendo la duplicazione di documenti elettorali avvenuta a Praga a un "errore materiale della tipografia". In ogni caso, spiega durante il question time di oggi, un tentativo di votare due volte "sarebbe identificabile in via di scrutinio tramite il codice elettore; inoltre gli elettori sono stati informati della esistenza di una legge, che punisce chi tenta di votare due volte".
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