Renzi

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soloo42001
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Re: Renzi

Messaggio da soloo42001 »

In effetti, detto tra noi, vincesse il SI, vincerebbe Renzi e un certo modo di pensare la politica.
E la Costituzione peggiorerebbe.

Ma per sovvertire la "politica nefasta" bisogna non tanto e non solo che gli elettori di SX
si ritrovino sotto una nuova bandiera, ecc., cosa che è come aspettare Godot.

Sarebbe sufficiente che i grillini prendessero la politica sul serio.
Adesso hanno un consenso pesante.
Sarebbe ora che sganciassero un po' di sghei, trasformassero il loro movimento in partito,
elaborassero un programma serio, attuabile, preparassero i loro candidati, selezionandoli
meglio, curassero comunicazione e immagine, ...

Devono uscire dall'immagine di comitato di quartiere fatto di mamme incazzate
e evolvere verso una vera forza politica.

E questo si può fare e va fatto sia che vinca il SI che il NO.
Anzi, si sarebbe potuto e dovuto fare anni e anni fa.
Invece gli amici grillini giocano alle scie chimiche.
E adesso che forse sono a ridosso di una vittoria importante,
al referendum o alle politiche venture, ancora non sono
pronti.
E oggettivamente questo non è colpa di Renzi.



soloo42001
pancho
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Re: Renzi

Messaggio da pancho »

soloo42001 ha scritto:In effetti, detto tra noi, vincesse il SI, vincerebbe Renzi e un certo modo di pensare la politica.
E la Costituzione peggiorerebbe.

Ma per sovvertire la "politica nefasta" bisogna non tanto e non solo che gli elettori di SX
si ritrovino sotto una nuova bandiera, ecc., cosa che è come aspettare Godot.

Sarebbe sufficiente che i grillini prendessero la politica sul serio.
Adesso hanno un consenso pesante.
Sarebbe ora che sganciassero un po' di sghei, trasformassero il loro movimento in partito,
elaborassero un programma serio, attuabile, preparassero i loro candidati, selezionandoli
meglio, curassero comunicazione e immagine, ...

Devono uscire dall'immagine di comitato di quartiere fatto di mamme incazzate
e evolvere verso una vera forza politica.

E questo si può fare e va fatto sia che vinca il SI che il NO.
Anzi, si sarebbe potuto e dovuto fare anni e anni fa.
Invece gli amici grillini giocano alle scie chimiche.
E adesso che forse sono a ridosso di una vittoria importante,
al referendum o alle politiche venture, ancora non sono
pronti.
E oggettivamente questo non è colpa di Renzi.

soloo42001
Aspettare, caro amico, che il M5Sdiventi un partito mi sa che sia un po difficile almeno per il momento.

Costoro hanno raccolto i movimenti antipolitica fra i quali anche quelli di una parte della sinistra storica di base.

Trasformarsi in un partito politico vorrebbe dire mettere in evidenza quali sono anche i loro obiettivi politici a medio e lungo tempo e questo vorrebbe dire da che parte stare....e qui ci sarebbe una vera rottura interna poiche questo movimento e' solo un' arcobaleno di idee politiche qualora anche contrastanti fra di loro.

Per ora non conviene ne a loro ne a noi che diventino quello che molti di noi vorrebbero.

La loro spaccatura farebbe solo il gioco delle destre e sarebbe la disfatta poiche quelli che rimarrebbero dove potrebbero trovar casa visto che non ne vedo una all'orizzonte?

Quindi, che continuino le loro battaglie dove stanno e a noi cercare con loro dei punti di incontro per contrastare gli avversari.

Credo che tutto questo lo abbia considerato o lo stia considerando anche lo stesso Grillo.

Certamente dopo questo referendum le cose non saranno più come prima e su questa mia ultima considerazione un po sempliciotta, credo che proprio su questo dovremmo ripartire e cercare di ricostruire qualcosa di nuovo facendo attenzione di non far salire i soliti rompiballe sempre pronti a schierarsi con i "vincenti"(si fa per dire xche dopo questo referendum avremo perso un po tutti)


un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
UncleTom
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Re: Renzi

Messaggio da UncleTom »

soloo42001 ha scritto:In effetti, detto tra noi, vincesse il SI, vincerebbe Renzi e un certo modo di pensare la politica.
E la Costituzione peggiorerebbe.

Ma per sovvertire la "politica nefasta" bisogna non tanto e non solo che gli elettori di SX
si ritrovino sotto una nuova bandiera, ecc., cosa che è come aspettare Godot.

Sarebbe sufficiente che i grillini prendessero la politica sul serio.
Adesso hanno un consenso pesante.
Sarebbe ora che sganciassero un po' di sghei, trasformassero il loro movimento in partito,
elaborassero un programma serio, attuabile, preparassero i loro candidati, selezionandoli
meglio, curassero comunicazione e immagine, ...

Devono uscire dall'immagine di comitato di quartiere fatto di mamme incazzate
e evolvere verso una vera forza politica.

E questo si può fare e va fatto sia che vinca il SI che il NO.
Anzi, si sarebbe potuto e dovuto fare anni e anni fa.
Invece gli amici grillini giocano alle scie chimiche.
E adesso che forse sono a ridosso di una vittoria importante,
al referendum o alle politiche venture, ancora non sono
pronti.
E oggettivamente questo non è colpa di Renzi.



soloo42001




Fedele all’unica regola che ci siamo dati: Non si discute per avere ragione, ma per capire, vado ad approfondire quanto descrive l’amico solo42001.

Ma per sovvertire la "politica nefasta" bisogna non tanto e non solo che gli elettori di SX
si ritrovino sotto una nuova bandiera, ecc., cosa che è come aspettare Godot.

Sarebbe sufficiente che i grillini prendessero la politica sul serio.
Adesso hanno un consenso pesante.
Sarebbe ora che sganciassero un po' di sghei, trasformassero il loro movimento in partito,
elaborassero un programma serio, attuabile, preparassero i loro candidati, selezionandoli
meglio, curassero comunicazione e immagine, ...



Quella che solo42001 chiama “politica nefasta” (e lo è), è il prodotto generato dall’indifferenza prettamente italica, prima e dopo la Seconda Repubblica.

Nel 1994 è comparso sulla scena politica, dopo il crollo dei partiti tradizionali della Prima Repubblica, un baldanzoso imprenditore brianzolo, che ha incantato buona parte degli italiani.

Una parte gli è rimasta fedelmente devota per molti anni, incantata dal motto del rodato venditore di pentole bucate “GHE PENSI MI”.

L’altra parte è rimasta alla finestra dicendo: “Vediamo alla fine cosa farà, questo signor “GHE PENSI MI”?”

E lui, l’istrione brianzolo ha fatto fondalmente gli affari suoi per un ventennio.

L’entrata in campo di Silvietto, la dobbiamo ad una furibonda litigata a Villa San Martino, residenza ufficiale dell’imprenditore brianzolo, una domenica mattina della primavera del 1993, con il suo vecchio amico e sodale Becchino Craxi.

Craxi alla fine della litigata, riuscì a convincere il riluttante Silvietto ad entrare direttamente in politica per salvaguardare i suoi interessi, in quanto il CAF, (Craxi, Andreotti, Forlani) a causa degli interventi della magistratura dell’epoca, era stato messo fuori uso, e non poteva più garantirgli quella normale copertura politica che aveva permesso l’espansione delle sue aziende.

Copertura, che il rampante imprenditore brianzolo ricambiava generosamente con un regolare, assegno coperto, ai signori del CAF.

Tolta la rete di protezione che funzionava da anni, Silvietto ha dovuto obbligatoriamente, pur controvoglia, perché era ben più semplice staccare un assegno per proteggere l’ambaradan, le sue aziende e sé stesso dall’avanzata dei procedimenti giudiziari a suo carico.

Così, si è barcamenato fino al 2008, quando il fallimento della Lehman Brothers, ha messo in crisi il mondo Occidentale, aldilà e aldiqua dell’Atlantico.

Ma la squadra di pelabrocchi che aveva messo insieme era solo abilitata a gestire il tran-tran ordinario.

La presenza di una crisi straordinaria, come era avvenuta, esulava dalle capacità, sia del conducator che degli esecutori ai suoi ordini.

Da qui la necessità di chi dirigeva il traffico nel 2011, di sostituire la dirigenza del Paese al confine dell’impero a stelle e striscie.

Il loro Agente all’Avana (King George) provvide alla sostituzione del signor GHE PENSI MI, con un uomo fedele all’apparato massonico-finanziario, nella persona del Prof. Mario Monti.


Continua
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Re: Renzi

Messaggio da UncleTom »

LIBRE news

Addavenì Roosevelt, ma per ora ci sono i padroni di Matteo

Scritto il 02/12/16 • nella Categoria: idee Condividi


Sarà anche meno simpatico di prima, però è stato bravo, Matteo.

Li ha messi tutti nel sacco: Bersani, Letta, Berlusconi.

Poi ha fatto il Jobs Act, rottamando quel che restava dei diritti del lavoro, in un paese devastato dal rigore indotto dall’Eurozona.


Quindi ha regalato a BlackRock metà di Poste Italiane, società che andava benissimo e fruttava ogni anno quasi mezzo miliardo, allo Stato.

E adesso rilancia: più potere al governo, una sola Camera, o me o il diluvio.

Ma è solo un esecutore, Matteo.

Un esecutore ambizioso, certo, dotato di talento narrativo: è riuscito a far credere di lavorare davvero per l’Italia, anziché per i soliti grandi manovratori, da cui dipende il suo avvenire.






Come Jamie Dimon, boss della Jp Morgan, quello che “la Costituzione italiana è oblsoleta, tutela ancora troppo i diritti sociali”.





Dimon e Larry Fink, di BlackRock.

E Michael Ledeen, super-falco dell’ultradestra americana, suo consigliere-ombra per la politica estera.

E il fido Marco Carrai, legato a Israele come Yoram Gutgeld, “mente” economica del Pd renziano ridotto a cinghia di trasmissione dei supremi poteri.


“Doveva” vincere, Matteo, contro il timido Letta, l’esausto Silvio, l’increscioso Bersani che consegnò l’Italia a Mario Monti, sottoscrivendo l’operazione internazionale affidata, per la regia italiana, a Giorgio Napolitano.






Tutti a sparare contro Gelli, dice Gioele Magaldi, e nessuno che dica – a parte lui – che nello stesso anno in cui Berlusconi entrava nella P2, Napolitano veniva affiliato alla “Three Eyes”, la potentissima Ur-Lodge plasmata da personaggi come Kissinger e Rockefeller.









Proprio alla “Three Eyes”, dice sempre Magaldi (massone progressista), il giovane Matteo sta tuttora “bussando”, sperando di essere accolto – nella “Three Eyes”, faro storico della destra massonica mondiale, ma anche presso altri «circuiti massonici neo-aristocratici, segnatamente quelli di cui è protagonista Mario Draghi», come le superlogge “Pan-Europa”, “Edmund Burke”, “Compass Star-Rose” e “Der Ring”, il cui venerabile maestro è il ministro delle finanze tedesco, il terribile Wolfgang Schaeuble.








Sono informazioni ormai accessibili al pubblico: Magaldi le ha inserite nel suo libro “Massoni”, edito da Chiarelettere, che i media mainstream hanno evitato di recensire.





«Non c’è la documentazione di quanto si afferma», ha detto qualcuno. Magaldi ha sempre risposto prontamente: «Ho a disposizione 6.000 pagine di documenti, se qualcuno dubita della veridicità di quanto ho lo scritto me lo dica, gli dimostrerò che si sbaglia».

Silenzio assoluto, naturalmente.






Tornando a Matteo: ha avuto buon gioco nel liquidare Letta («che è un esponente dell’Opus Dei», dichiara un altro analista di appartenenza massonica, Gianfranco Carpeoro, autore del dirompente saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, pubblicato da Uno Editori).






Lo stesso Carpeoro aggiunge: quei “salotti” non lo vogliono, Renzi, perché allarmati – persino loro – dalla straordinaria disinvoltura del fiorentino, troppo privo di scrupoli (“Enrico stai sereno”) persino per i super-squali del massimo potere.





Fatto fuori brutalmente Letta, Renzi ha illuso anche Berlusconi, facendosi credere disponibile a condividere il ridisegno strutturale del paese, dalla Costituzione alla legge elettorale.

E, prima ancora, aveva bruciato sul traguardo il pessimo Bersani, inchiodato da Grillo alla “non-vittoria” del 2013.

Bersani, ovvero: l’emblema della sinistra “politically correct” che ha dato a intendere agli italiani, per vent’anni, che il problema del paese era Berlusconi, e non la svendita dell’Italia ai super-padroni stranieri che manovrano i tecnocrati di Bruxelles, utilizzando l’abortita Unione Europea per svalutare le economie del Sud Europa, deindustrializzare, delocalizzare, demolire i diritti, far crollare il Pil, far esplodere il debito, ridurre l’ex classe media all’esasperazione che sta dietro al successo di Marine Le Pen e Donald Trump.





I tempi stanno per cambiare? Forse, e non solo negli Usa.





Lo disse, mesi fa, una delle più importanti eminenze grigie del “back office” super-massonico del potere americano, Zbigniew Brzezinki, già consigliere di Carter e stratega della globalizzazione.

Ammonì Obama e la Clinton: basta provocazioni, è tempo di un accordo stabile con Russia e Cina.

Su un altro piano, a queste dichiarazioni fa ora eco un altro super-potente, il francese Jacques Attali, già braccio destro di Mitterrand e “maestro” di Massimo D’Alema.

L’epoca dell’austerity è finita, ha detto, ed è stata una catastrofe per l’Europa.







Serve un nuovo Roosevelt che cambi faccia al vecchio continente, tornando a investire sulla spesa pubblica per produrre posti di lavoro






Sembra di sognare: nato come socialista, Attali divenne uno dei massimi artefici della politica neo-conservatrice che ha devastato l’Europa, da Maastricht in poi, precipitando nella crisi i paesi dell’Eurozona.



Ora Attali ci ripensa: abbiamo sbagliato tutto, ammette.




Nel suo piccolo ha sbagliato tutto anche Matteo, ultimamente, facendosi benedire dal tandem morente Obama-Hillary.




Si mette male, per il referendum renziano? Chi può dirlo.

Certo è che non esiste ancora un piano-B.

Da una parte la Merkel e Juncker a puntellare la tecnocrazia della crisi, dall’altra l’esplosione dei cosiddetti populismi.





Al povero Matteo, gli italiani credono sempre meno – e a milioni correranno a votare, anche solo per cancellargli dalla faccia il suo trionfalismo ipocrita e provinciale, ormai grottesco.





Ma dov’è l’alternativa? Dov’è il nuovo Roosevelt di cui parla l’anziano Attali? Secondo un sondaggio commissionato dalla “Stampa”, due italiani su tre hanno paura di abbandonare sia l’euro che l’Unione Europea, non riconoscendo né l’uno né l’altra come le vere cause del disastro che subiscono, tra aziende chiuse, lavoratori a spasso, super-tassazione, erosione dei risparmi, zero futuro.



Di fronte c’è un Everest praticamente invalicabile, la disinformazione sistemica: il debito pubblico è visto ancora come una colpa, anziché una leva di sviluppo.

Le élite ci hanno lavorato per decenni: media, università, libri.

Sfugge, al cittadino comune, il valore decisivo della sovranità statale.

Non gliel’hanno spiegato né i sindacati né la sinistra di Bersani e quella di D’Alema, che andava a scuola da Attali quando ques’ultimo progettava l’annientamento dell’Europa.

Restano i 5 Stelle, dice qualcuno.

I 5 Stelle, appunto. Il nuovo Roosevelt può attendere.
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Re: Renzi

Messaggio da UncleTom »

PERCHE' LA SITUAZIONE E' GRAVE E PER IL MOMENTO SENZA SOLUZIONI????????

Scrive l'autore del post prededente:

Un esecutore ambizioso, certo, dotato di talento narrativo:


Perchè la maggioranza degli italiani ha subito il fascino per un ventennio dell'altro narratore di Hardcore.

Ne sono ora affascinati gli avversari di Berlusconi, perchè finalmente hanno il loro DUCE che mette "a tacere" gli avversari con le sue chiacchiere.

Ma anche una parte di italiani affascinati per un ventennio da Berlusconi.

E' inutile. Non a caso l'Italia è stata la mamma di tutti i fascismi.

E' un vizietto che gli italiani non possono scrollarsi di dosso.

Periodicamente, ci RICASCANO.


GLI ITALIANI HANNO SEMPRE BISOGNO DI UN DUCE CHE LI GUIDI.

LA DEMOCRAZIA E' UN ESERCIZIO FATICOSO.

RICHIEDE IMPEGNO.

MEGLIO IL PASTORE CHE GOVERNA LE PECORE.
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Re: Renzi

Messaggio da UncleTom »

AI POST PRECEDENTI, AGGIUNGIAMO ANCHE QUESTO




L'Italia di Renzi è senza futuro: boom di poveri e crollo dei nati

Istituzioni sempre più deboli. La società non investe più sul futuro: i giovani risultano più poveri dei nonni. Il risultato? La povertà cresce e crollano le nascite


Sergio Rame - Ven, 02/12/2016 - 10:52
commenta
Una società che si regge da sé, senza contare più su istituzioni indebolite, e che diventa così terreno fertile per il populismo. L'Italia di Matteo Renzi, descritta dal cinquantesimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, è senza futuro.


Un Paese che ha abdicato qualsiasi speranza nelle istituzioni e che non investe più. Un'Italia in cui "il corpo sociale si sente rancorosamente vittima di un sistema di casta", mentre "il mondo politico si arrocca sulla necessità di un rilancio dell'etica e della moralità pubblica" e "le istituzioni sono inermi (perché vuote o occupate da altri poteri), incapaci di svolgere il loro ruolo di cerniera". E così, mentre aumenta la povertà e crescono le preoccupazioni nei confronti dell'immigrazione, le coppie smettono di fare figli e i giovani restano intrappolatio in lavori a basso costo e bassa produttività.

I giovani più poveri dei nonni

Sfiduciati dalla crisi, gli italiani si aggrappano al risparmio e non investono sul futuro. Le risorse dirottate nel salvadanaio impoveriscono la società e i giovani si ritrovano più poveri dei loro nonni. È un'Italia rentier, avara di speranze, dove l'immobilità sociale genera insicurezza. Tanto che, dall'inizio della crisi nel 2007, in Italia sono stati accantonati 114,3 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva. Una cifra maggiore del Pil dell'Ungheria. Per i millennial è un ko economico. I loro redditi sono più bassi del 15% rispetto alla media. Un gap che cresce al 26,5% se si fa il confronto con i loro coetanei di venticinque anni fa. La ricchezza dei giovani è inferiore del 41% rispetto a quella dei sessantenni, che stanno sempre meglio. Per gli over 65 il reddito infatti è aumentato del 24,3%. "La ricchezza dei millennial - si legge nell'analisi del Censis - è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell'insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani è maggiore addirittura dell'84,7%". Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo perché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo è del 41,1%).


Gli italiani rinunciano a curarsi

"La scure non guarirà la sanità italiana. Gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento del governo si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che nel 2016 hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche". Secondo il Rapporto Censis, infatti, "il mercato del lavoro genera sempre meno opportunità occupazionali lasciando senza redditi un numero sempre più crescente di famiglie". Un impoverimento diffuso che non necessariamente coincide con la condizione di povertà economica: l'area del disagio sociale è infatti più ampia. "La deprivazione - si legge nel dossier - coinvolge anche famiglie che sono al di sopra della soglia di povertà. Sono in condizioni di deprivazione materiale grave 6,9 milioni di persone nel 2014 (+2,6 milioni rispetto al 2010) e uno zoccolo duro di 4,4 milioni di deprivati di lungo corso, cioè almeno dal 2010". I nuclei familiari in povertà alimentare sono oltre 2 milioni nel 2014 (pari all'8% del totale). E i minori in povertà relativa nel 2015 oltre 2 milioni (il 20,2% del totale). La crisi e la stentata ripresa generano un'incertezza diffusa che alimenta un pessimismo diffuso: solo pochi pensano di essere al riparo dal rischio di cadere in condizioni di disagio. Le famiglie in "deprivazione abitativa" sono 7,1 milioni nel 2014 (+1,7% rispetto al 2004). Quelle in "severa deprivazione abitativa" 826.000 (+0,4% rispetto al 2004). Circa il 20% ha problemi di umidità in casa, il 16,5% di sovraffollamento e il 13,2% di danni fisici all'abitazione. Le famiglie in deprivazione di beni durevoli sono 2,5 milioni nel 2014, di queste 775mila sono in gravi condizioni di deprivazione.

Roma e Milano sempre più povere
Le capitali italiane - quella politica, Roma e quella finanziaria, Milano - pesano di meno per Pil delle omologhe aree urbane delle altre nazioni del vecchio Continente. "Sono molti i Paesi europei in cui la capitale - spiega il Censis - condensa in misura straordinaria popolazione e soprattutto ricchezza. Stoccolma, Bruxelles, Vienna, Lisbona, Praga pesano per oltre il 30% della rispettiva ricchezza nazionale. Milano e Roma, pur con il loro primato nazionale, pesano ciascuna per poco meno del 10% del Pil italiano". All'interno di questa 'fotografià rientra la difficile strada dell'autonomia abitativa dei giovani italiani. In Italia la generazione dei millennial ha un peso demografico scarso: i giovani di 20-34 anni rappresentano appena il 16,4% della popolazione totale, la percentuale più bassa tra i Paesi dell'Unione europea. E sono in diminuzione: oggi non arrivano a 11 milioni (erano quasi 15 milioni nel 1991), mentre la popolazione anziana (13,4 milioni) è in costante crescita. Anche le nostre grandi aree urbane, se paragonate a quelle del resto del continente, risultano le meno giovani: la quota di popolazione tra 20 e 34 anni si attesta al 15-16% a Roma, Milano e Torino. I giovani di 18-24 anni ancora in famiglia in Italia sono il 92,6%, nella fascia di età 25-34 anni la quota scende al 48,4%: dati molto elevati rispetto alla media dell'Ue (rispettivamente, 78,9% e 28,9%).

Il calo della popolazione e l'allarme demografico
In Italia le coppie sono sempre più "temporanee, reversibili e asimmetriche, ma autentiche". Nell'ultimo anno sono nati fuori dal matrimonio 139.611 bambini (+59,9% in un decennio), pari al 28,7% del totale: dieci anni fa erano il 15,8%. "Emerge insomma - rileva il Censis - l'erosione delle forme più tradizionali di relazionalità tra le persone e il contestuale sviluppo di modelli diversi". Vince, insomma, la spinta ad abbassare le barriere di ingresso e di uscita nelle relazioni affettive. I millennial sono per l'80,6% celibi o nubili (il 71,4% solo dieci anni fa), mentre i coniugati sono il 19,1% (erano il 28,2%). L'Italia non è un Paese per genitori. Che nel Belpaese si facciano troppi pochi figli e sempre più avanti negli anni è una consapevolezza ormai diffusa nell'immaginario collettivo. Nel sentire comune, la prima causa imputata rispetto al crollo delle nascite è la grave e perdurante crisi economica. Il Censis segnala, infatti, come "senza stranieri il rischio è il declino". Nell'ultimo anno l'allarme demografico ha raggiunto il suo apice: diminuisce la popolazione (nel 2015 le nascite sono state 485.780, il minimo storico dall'Unità d'Italia a oggi), la fecondità si è ridotta a 1,35 figli per donna, gli anziani rappresentano il 22% della popolazione e i minori il 16,5%. "Senza giovani né bambini - si legge nel report - il nostro viene percepito come un Paese senza futuro".

L'allarme immigrazione e il terrorismo

Sono l'immigrazione e il terrorismo le due questioni che più preoccupano l'Europa e l'Italia. Paure che hanno portato il 65,4% degli italiani a modificare le proprie abitudini. Nell'immediato, il 73,1% ha evitato di fare viaggi all'estero, il 53,1% ha evitato luoghi percepiti come possibili bersagli di attentati (piazze, monumenti, stazioni), il 52,7% ha disertato luoghi affollati (cinema, teatri, musei, sale per concerti, luoghi della movida), il 27,5% non ha preso la metropolitana, il 18% ha evitato di uscire la sera. In realtà la stragrande maggioranza degli italiani è convinta che queste microstrategie non siano sufficienti a risolvere problemi che avrebbero bisogno di una governance condivisa sul terreno dell'ordine pubblico e dell'intelligence.
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Re: Renzi

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CHI LAVORA ATTIVAMENTE CONTRO QUESTO PAESE


Il Financial Times "blinda" Renzi: "Resti anche col No"
Il quotidiano della City: "Roma ha bisogno di riforme, ma la stabilità è la prima cosa". Un altro assist per il premier Renzi
Luca Romano - Ven, 02/12/2016 - 10:46
commenta
"Roma ha bisogno di riforme, ma la stabilità è la prima cosa". Con questa frase, che è il titolo di un editoriale non firmato, il Financial Times chiede al presidente del Consiglio Matteo Renzi di "restare qualunque sia il risultato del referendum".

In un nuovo intervento dedicato all’incombente turno referendario italiano, il quotidiano londinese spiega che Renzi "ha esagerato in ottimismo" scegliendo di "trasformare il referendum costituzionale in un test sulla sua popolarità personale". Con il risultato che "sussiste una forte possibilità che gli elettori respingano le proposte di riforma". Il rischio è che "il No rafforzi il M5S e la Lega, due partiti populisti" e, allo stesso tempo, che il sistema bancario italiano soffra dell’instabilità dei mercati e dell’incertezza politica. Ma "il rischio più grande sarebbe quello costituito dai danni nel lungo termine".
Renzi, seppur un "riformatore imperfetto", ha in effetti "tentato di esplorare nuove strade, dando al mondo un segnale della disponibilità dell’Italia al cambiamento". Quindi se il No dovesse portare alle sue dimissioni "altri politici trarrebbero la conclusione che la sua è una linea suicida e pochi tenterebbeo in futuro di percorrere la stessa strada". L’Italia si dovrebbe accontentare di governi "tecnici e poco ambiziosi, gli investimenti ne soffrirebbe e continuerebbe il declino a carburazione lenta". Questi sono "i motivi per cui Renzi dovrebbe restare al suo posto" magari mettendo poi mano alla legge elettorale. "Pagherebbe un prezzo, ma non sarebbe nemmeno il primo politico a subire un’imbarazzante perdita di prestigio. L’alternativa potrebbe essere quella sorta di vuoto politico che affligge il Regno Unito dal referendum sulla Brexit
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Re: Renzi

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ACERBO 2.0 - DUCE SI - DUCE NO


Legge Acerbo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La legge 18 novembre 1923, n. 2444, nota come Legge Acerbo (dal nome del deputato Giacomo Acerbo che ne redasse il testo)[1], fu una legge elettorale del Regno d'Italia, adottata dal Regno nelle elezioni politiche italiane del 1924.
Fu voluta da Benito Mussolini per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare.

https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_Acerbo

TEMPI E METODI - LA STORIA SI RIPETE


2 DIC 2016 15:38
LE PIROETTE DI MATTEUCCIO


- DA “LASCERO’” A “VEDREMO”: RENZI NON FA PIU’ IL BULLETTO


- IL REFERENDUM ERA LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE, POI SI E’ CORRETTO DURANTE LA CAMPAGNA


- FINO A FAR FILTRARE CHE, IN CASO DI SCONFITTA, RESTEREBBE COMUNQUE A PALAZZO CHIGI



- DICEVA: NON RESTO INCOLLATO ALLA POLTRONA...



Fabrizio Boschi per il Giornale


Quante giravolte. Quante inversioni a U. Quanti tatticismi e quante contraddizioni. Alle capriole di Matteo Renzi siamo abituati. Così come alle sue infinite campagne elettorali. Ma è con il referendum che ha dato il meglio di sé. La messinscena è partita a gennaio 2016 definendo la riforma costituzionale come «la madre di tutte le battaglie». Il premier, sembra già passato un secolo, assicurava: «Non sono un politico vecchia maniera. Se perdo il referendum lascio la politica». Concetto ribadito in ogni dove da tutti i suoi pasdaran, in primis la sua valletta, Maria Elena Boschi.

A marzo rilanciava: in caso di sconfitta «è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica». A giugno chiedeva: «Secondo voi posso diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di nulla?». Poi, visti i sondaggi disastrosi, il repentino cambio di rotta. Il «se perdo vado via subito e non mi vedete più» è diventato «ho sbagliato a personalizzare troppo, si voterà comunque nel 2018», anche se vincesse il No. Del resto stiamo parlando della stessa persona che prima di accoltellare Letta alle spalle, giurò e spergiurò che non sarebbe mai salito a Palazzo Chigi senza passare prima dal voto. Una perenne supercazzola insomma: «Come se fosse Antani».


29 dicembre 2015 - Conferenza stampa di fine anno: «Se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza politica».

10 gennaio 2016 - Tg1: «Non sono un politico vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona: io penso che si faccia politica per seguire un ideale. Io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità».

20 gennaio - Aula del Senato: «Ripeto qui: se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza perché credo profondamente nel valore della dignità della cosa pubblica».

25 gennaio - Quinta Colonna: «Io non sono come gli altri, non posso restare aggrappato alla politica. Se gli italiani diranno No, prendo la borsettina e torno a casa».

7 febbraio - Scuola di formazione del Pd: «Se perdo al referendum prendo atto del fatto che ho perso. Dite che sto attaccato alla poltrona? Tirate fuori le vostre idee, ecco la mia poltrona».

12 marzo - Scuola di formazione del Pd: «Se perdiamo il referendum è doveroso trarne conseguenze, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica».


20 marzo - Congresso dei Giovani Democratici: «Io ho già la mia clessidra girata. Se mi va come spero, finisco tra meno di 7 anni. Se mi va male, se perdo la sfida della credibilità o il referendum del 2016, vado via subito e non mi vedete più».

18 aprile - Tg1: «La domanda di ottobre non riguarda il governo ma riguarda se si vuol cambiare la Carta e rendere più semplice la politica. Se noi saremo bravi a spiegare le nostre ragioni otterremo un consenso ma il voto sulla persona non c' entra niente. Certo io se perdo vado a casa».

27 aprile - Maria Elena Boschi a Otto e Mezzo: «Si voterà sul merito delle riforme. Sono altri che cercano di trasformarlo in un referendum sul governo. Questo è un segnale di serietà. Se un governo ha avuto il mandato da Napolitano a fare le riforme se queste poi non passano è normale che ne prenda atto».


28 aprile - #matteorisponde: «Se il referendum vedrà sconfitto il Sì, trarrò le conseguenze. So da dove vengo e so che la politica è servizio. Sto personalizzando? No, se perdi una sfida epocale che fai? Racconti che i cittadini hanno sbagliato? No hai sbagliato tu».

2 maggio - Ansa: «La rottamazione non vale solo quando si voleva noi. Se non riesco vado a casa».

4 maggio - Rtl 102.5: «Non sono come i vecchi politici che si mettono il vinavil e che invece di lavorare restano attaccati alla poltrone».

8 maggio - Che tempo che fa: «Se io perdo, con che faccia rimango? Ma non è che vado a casa, smetto di fare politica. Non è personalizzazione ma serietà».

11 maggio - Ansa: «Non sto in paradiso a dispetto dei santi. Se perdo, non finisce solo il governo ma finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro».


18 maggio - #matteorisponde: «Quando provo a entrare nel merito, mi dicono che ho personalizzato il referendum. Ma io ho detto che se perdo non è che posso fare la faccia contrita e dire, schiarendomi la voce, che dopotutto è stato un buon risultato. Io cerco di vincere, sempre, quando perdo, talvolta mi è accaduto come alle primarie del 2012, ammetto la sconfitta».

21 maggio - L' Eco di Bergamo: «Se lo vinciamo, l' Italia diventerà un Paese più stabile. Se lo perdiamo, vado a casa. Per serietà. Non resto aggrappato alla poltrona. Questa è personalizzazione? No. Questa è serietà».

22 maggio - In mezz' ora: «Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico. Il nostro piano B è che verranno altri e noi andremo via».


22 maggio - Ansa: «Io ho preso l' impegno di cambiare questo Paese ed è giusto che, se non lo mantengo, vada a casa. Non la vedrei come una personalizzazione del referendum ne' un ricatto».

22 maggio - Ernesto Carbone, membro della segreteria Pd: «Non si lascia la politica se vince il No per fare un dispetto, non si scappa con la palla in mano. È una questione di serietà».

29 maggio - Dario Franceschini su Repubblica: «Il ritiro in caso di vittoria del No non è una minaccia, non è una personalizzazione. A me sembra una con-sta-ta-zio-ne. Questo governo nasce per fare le riforme. Se le riforme non si fanno chiude bottega il governo e chiude anche la legislatura, mi pare ovvio».

29 giugno - e-news: «In tanti stanno cercando di non parlare del merito del referendum. Parlano di me. Dicono che io ho sbagliato a dire che se perdo vado a casa: e secondo voi io posso diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di nulla? Pensano forse che io possa diventare come loro?».


15 luglio - e-news: «Ogni giorno che passa diventa più chiaro che il referendum è sulla Costituzione, sul funzionamento del Parlamento e non su altro: questo ci aiuta molto a crescere nei consensi».

2 agosto - Cnbc: «Sono sicuro che vincerò il referendum, ma non perché questa sarebbe la mia vittoria, non è il referendum di Renzi». Si dimetterà se perde? «Vincerò».

9 agosto - Festa de L' Unità di Modena: «Anch' io ho sbagliato delle volte a dare dei messaggi: questo referendum non è il mio referendum. Ho sbagliato a personalizzare la riforma».

21 agosto - Versiliana: «Si vota nel 2018». Comunque vada il referendum? «Sì, si vota nel 2018».

15 settembre - Festa de L' Unità di Bologna: «A casa ci vado volentieri, ma resto al governo finché ho la fiducia del Parlamento».

26 settembre - Consiglio dei ministri: «Si voterà il 4 dicembre. La partita è adesso e non tornerà. Non ci sarà un' altra occasione».

29 ottobre - Luca Lotti dai Liberal democratici per il Sì: «Se non passa la riforma, se vince il No, non vanno a casa Renzi o Lotti. Chi vota No blocca il futuro del Paese».

14 novembre - Radio Monte Carlo: «Io di restare a vivacchiare e galleggiare non sono adatto. Cosa significa? Lo vedremo il 5 dicembre. A quelli a cui sto sulle scatole dico che quello del 4 dicembre non è un voto sulla mia simpatia ma sul Paese. Vi rendete conto che c' è chi vota no per farmi un dispetto? Riflettete».


17 novembre - Ansa: «Io non posso essere quello che si mette d' accordo con gli altri partiti per fare un governo di scopo o un governicchio».

20 novembre - L' Unione Sarda: «È molto semplice: se perdo il referendum, questo governo cade».

28 novembre - Mattino Cinque: «Qui non c' è scritto cosa pensate del governo, se è simpatico o no Renzi. Quello che accadrà dopo lo vedremo dopo».

28 novembre - Conferenza stampa con Pier Carlo Padoan: «State tranquilli. Il governo c' è sempre, politico o tecnico, super politico, iper tecnico».

29 novembre - Maria Elena Boschi a Otto e Mezzo: «Il 4 dicembre non siamo chiamati a scegliere sul governo ma sulla Costituzione».

30 novembre - Palaindoor di Ancona: «Non vi aspettate che io diventi come gli altri. Io non galleggerò dalla mattina alla sera, non sono quello che fa accordicchi alle spalle dei cittadini. Per questo possono chiamare qualcun altro».


30 novembre - Adnkronos: «Io preferirei non ci fosse da lunedì mattina un governo tecnico, ma se gli italiani non vogliono le riforme bisogna prendere atto di questo. Io non sono come gli altri, aggrappato alla poltrona. Sto in politica se posso cambiare il Paese».

30 novembre - Matrix: «Sono un boy scout, non voglio diventare come gli altri. Il mio lavoro è per cambiare il Paese. Se vogliono un bell' inciucione se lo fanno da soli».

30 novembre - Repubblica tv: «Domenica non si vota su di me. Che ci siano delle conseguenze è un altro discorso. Ho sbagliato nell' eccesso di personalizzazione. Errare è umano, ma perseverare sarebbe diabolico. Io faccio al massimo un altro giro. Se poi gli italiani dicono no, preparo i pop corn per vedere in tv i dibattiti sulla casta».


30 novembre - Dario Franceschini al video forum del Corriere della Sera: «Se il referendum è sulla Costituzione e non sul governo, a me pare naturale che il governo debba proseguire la sua azione fino al termine della legislatura, anche in caso di sciagurata vittoria del No».

1° dicembre - Mattino Cinque: «Penso che l' Italia abbia bisogno di essere governata, accompagnata, presa per mano e portata nel futuro».
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Re: Renzi

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UN BUGIARDO IMPENITENTE CHE FAREBBE PREOCCUPARE IL PINOCCHIO ORIGINALE


11 maggio - Ansa: «Non sto in paradiso a dispetto dei santi. Se perdo, non finisce solo il governo ma finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro».


E' IL PEGGIOR FACENTE FUNZIONE DEL MONDO POLITICO DELLA STORIA REPUBBLICANA
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Re: Renzi

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Speciale: Referendum Costituzionale




Il referendum e il cabaret di Renzi
In piazza il premier raccoglie solo fischi e contestazioni. E nei teatri mette in scena il solito cabaret per promuovere le ragioni del Sì



Michel Dessì - Ven, 02/12/2016 - 17:56
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Matteo Renzi chiude la campagna referendaria sul palcoscenico del teatro Cilea.


A Reggio Calabria. Il posto più adatto al premier, almeno così sembrerebbe, dopo il suo comizio spettacolo (guarda il video). In sala centinaia di tesserati provenienti da tutta la regione, pronti a fare un selfie con Matteo che, però, scappa subito a Firenze. È lì che chiuderà realmente la faticosa campagna “elettorale”. L'aereo in sosta all’aeroporto dello Stretto (ormai verso il fallimento) scalda i motori. E i simpatizzanti, con le bandiere arrotolate e strette sotto l’ascella come il pane francese si allontanano dal teatro. Un po’ delusi. Avrebbero voluto scattare la foto da postare sui social e condividere domenica.

Arrivato in una Reggio blindata per l’occasione, e con la solita ora di ritardo, si è subito fatto scortare fino al teatro comunale dove, in realtà, lo aspettava solo una scontata truppa di suoi soldati. Yes-man che hanno addirittura fischiato l’intervento intelligente di una giovane che dissentiva con Renzi per la troppo superficiale esposizione dei motivi del si. "Non è così semplice…", ha detto a voce alta Alessia, dai balconcini del teatro, riferendosi al senato pensato da Renzi.



Renzi ha dato il meglio di se come show-man indossando il palcoscenico come fosse un proprio soprabito (guarda il video). Altro che Beppe Grillo, e oltre! Probabilmente l’area frizzantina dello stretto lo ha gasato oltremodo. Dalle imitazioni di Silvio Berlusconi ai duri attacchi a Matteo Salvini, per passare, subito dopo, ai grillini. Non ha risparmiato neanche uno.

Dei suoi non mancava nessuno; invece della sinistra dissidente nemmeno l’ombra. In prima fila Mario Oliverio, già bersaniano ma, attualmente, renziano. Come si cambia, per non morire. Come si cambia per ricominciare… La Calabria stanca lo ha ignorato. A contestarlo, fuori dal teatro, solo un gruppo di cittadini che, a furia di gridare pagliaccio, hanno perfino perso la voce.
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