IL LAVORO
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Re: IL LAVORO
NEL PAESE DOVE IL BUNGA-BUNGA E' DIVENTATO REGOLA ORDINARIA
FLOP DEL JOBS ACT
La Cgil: il 75% dei contratti fatti nel 2016 è precario
LA CRESCITA dell’o cc u p a z i o n e stabile nel 2015 è stata “dopata”dagli sgravi contributivi sulla previdenza e i datidel 2016con iltagliodegli incentivilo dimostrano con il calo consistente delle assunzioniatempo indeterminatoelaripresadei contrattiatermine.Lo sottolineala Cgil con una ricerca della Fondazione di Vittorio cheelabora idati dell’O ss e r va to
rio sul precariato Inps sui primi 9 mesi dell’anno, secondo i quali le assunzioni a tempo indeterminato diminuiscono del 32%mentre quellea termineaumentano del 3,4% sullo stessoperiodo del 2015. In pratica, segnala la Cgil, il 75% delle assunzioni nell’anno, comprese quelle stagionali anche se in arretramento, ha un termine. Nei primi nove mesi del 2016 - sottolinea la
Cgil - sono state registrate 926.000 assunzioni a tempo indeterminato (-32% sullo stesso periodo 2015) mentre sono aumentate le assunzioni a termine (-3,4%, a 2,7 milioni). Le assunzioni stagionali diminuiscono del 7% a 469.000 tornando sui livelli del 2014 mentre continua a crescere in modo sostenuto la vendita dei vouc h e r.
FLOP DEL JOBS ACT
La Cgil: il 75% dei contratti fatti nel 2016 è precario
LA CRESCITA dell’o cc u p a z i o n e stabile nel 2015 è stata “dopata”dagli sgravi contributivi sulla previdenza e i datidel 2016con iltagliodegli incentivilo dimostrano con il calo consistente delle assunzioniatempo indeterminatoelaripresadei contrattiatermine.Lo sottolineala Cgil con una ricerca della Fondazione di Vittorio cheelabora idati dell’O ss e r va to
rio sul precariato Inps sui primi 9 mesi dell’anno, secondo i quali le assunzioni a tempo indeterminato diminuiscono del 32%mentre quellea termineaumentano del 3,4% sullo stessoperiodo del 2015. In pratica, segnala la Cgil, il 75% delle assunzioni nell’anno, comprese quelle stagionali anche se in arretramento, ha un termine. Nei primi nove mesi del 2016 - sottolinea la
Cgil - sono state registrate 926.000 assunzioni a tempo indeterminato (-32% sullo stesso periodo 2015) mentre sono aumentate le assunzioni a termine (-3,4%, a 2,7 milioni). Le assunzioni stagionali diminuiscono del 7% a 469.000 tornando sui livelli del 2014 mentre continua a crescere in modo sostenuto la vendita dei vouc h e r.
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Re: IL LAVORO
DAGOSPIA SI OCCUPA O INDIRETTAMENTE DI LAVORO
20 NOV 2016 14:22
1. CHI È FRANCESCO MANGIACAPRA, NAPOLETANO, LAUREA IN LEGGE, GIÀ PRATICANTE DI STUDIO, DI PROFESSIONE ESCORT GAY? L’HA SPIEGATO IERI AL CONGRESSO DELL'ASSOCIAZIONE RADICALE CERTI DIRITTI: ‘’HO PREFERITO VENDERE IL MIO CORPO ANZICHÉ SVENDERE IL MIO CERVELLO FACENDO FOTOCOPIE IN UNO STUDIO LEGALE.OGGI MI SENTO UNA PERSONA’’ (VIDEO)
2. "ERO LAUREATO DA QUALCHE ANNO ED ERA UN GIORNO IN CUI MI SENTIVO MENO DI NIENTE. IN VIDEOCHAT UN UOMO MI PROPOSE UN INCONTRO. ERA UN AVVOCATO, PER VENTI MINUTI MI AVREBBE PAGATO 150 EURO, COME UN MESE DA PRATICANTE. IN QUEL MOMENTO HO SCELTO"
https://www.youtube.com/watch?v=Zi-IvBn34jw
Maria Teresa Martinengo per La Stampa
C' è una base di partenza per capire chi è Francesco Mangiacapra, napoletano, laurea in giurisprudenza, già praticante di studio, di professione escort gay. «Prostituto», nel linguaggio della parità. È quanto ha spiegato ieri al congresso dell'associazione radicale Certi Diritti, dove - presenti i leader storici Angelo Pezzana ed Enzo Cucco - si è riflettuto su quanto il movimento lgbt abbia inciso sull' evoluzione della società italiana.
«Non esiste vera libertà senza libertà sessuale. Rivendico il diritto di usare il mio corpo per lavorare, come fanno gli scaricatori di porto e altre categorie», ha detto Mangiacapra, noto per aver denunciato un cliente, il sacerdote don Luca Morini, «don Euro», che per pagarsi ragazzi e viaggi ha raggirato anziani e persone fragili.
Mangiacapra è diventato «sex worker» perché, racconta, «ho preferito vendere il mio corpo anziché svendere il mio cervello facendo fotocopie in uno studio legale.
Oggi mi sento una persona».
La sua attività è incominciata, si può dire, proprio in studio. «Ero laureato da qualche anno ed era un giorno in cui mi sentivo meno di niente. In videochat un uomo mi propose un incontro. Era un avvocato, per venti minuti mi avrebbe pagato 150 euro, come un mese da praticante. In quel momento ho scelto. Un ripiego, certo. Ma oggi quanti scendono a compromessi con l' inflazione dei titoli di studio, con la disoccupazione? E quanti sedicenni lo fanno per comprarsi l'ultimo iPhone? Non sono orgoglioso di prostituirmi, ma sono grato alla mia attività di avermi reso indipendente. Io metto più cervello nel vendere il mio corpo di quanto potessi metterne nello studio legale. E le persone spesso sono attratte da me perché so mettere insieme qualche pensiero...».
La prostituzione «consapevole», lontana dallo sfruttamento, per Mangiacapra, va regolamentata. «Per ora sono l' unico "sex worker" ad essere uscito allo scoperto: mi impegno per avere dignità. La mia è un' attività "a termine", non può durare molti anni, non ci sono ferie né mutua. Sarei felice - prosegue - di pagare le tasse e di costruirmi un futuro creando un' impresa, un' agenzia, con il mio know how e il mio "portafoglio clienti". La legalizzazione farebbe emergere il sommerso e darebbe dignità sociale alle persone che si prostituiscono».
In famiglia la sua attività è stata accettata. «Mia madre mi ha conosciuto disoccupato e frustrato, mi ha visto quando chiedevo 15 euro per uscire a mangiare una pizza con gli amici. Ora mi vede sereno, indipendente. I miei genitori sono persone intelligenti, che hanno posposto alle loro aspettative e al giudizio della gente la mia serenità».
Che cosa significa essere un escort Francesco Mangiacapra lo racconterà in un libro che uscirà a marzo, «Il numero uno. Confessioni di un marchettaro», Iacobelli Editore.
«Dico cose vere, che andranno anche a mio discapito, ma lo faccio per vedermi restituire un' immagine sociale e umana.
C' è gente che mi dice "zitto tu che ti prostituisci". Ma io vendo il mio corpo, lo svendevo facendo fotocopie in studio».
20 NOV 2016 14:22
1. CHI È FRANCESCO MANGIACAPRA, NAPOLETANO, LAUREA IN LEGGE, GIÀ PRATICANTE DI STUDIO, DI PROFESSIONE ESCORT GAY? L’HA SPIEGATO IERI AL CONGRESSO DELL'ASSOCIAZIONE RADICALE CERTI DIRITTI: ‘’HO PREFERITO VENDERE IL MIO CORPO ANZICHÉ SVENDERE IL MIO CERVELLO FACENDO FOTOCOPIE IN UNO STUDIO LEGALE.OGGI MI SENTO UNA PERSONA’’ (VIDEO)
2. "ERO LAUREATO DA QUALCHE ANNO ED ERA UN GIORNO IN CUI MI SENTIVO MENO DI NIENTE. IN VIDEOCHAT UN UOMO MI PROPOSE UN INCONTRO. ERA UN AVVOCATO, PER VENTI MINUTI MI AVREBBE PAGATO 150 EURO, COME UN MESE DA PRATICANTE. IN QUEL MOMENTO HO SCELTO"
https://www.youtube.com/watch?v=Zi-IvBn34jw
Maria Teresa Martinengo per La Stampa
C' è una base di partenza per capire chi è Francesco Mangiacapra, napoletano, laurea in giurisprudenza, già praticante di studio, di professione escort gay. «Prostituto», nel linguaggio della parità. È quanto ha spiegato ieri al congresso dell'associazione radicale Certi Diritti, dove - presenti i leader storici Angelo Pezzana ed Enzo Cucco - si è riflettuto su quanto il movimento lgbt abbia inciso sull' evoluzione della società italiana.
«Non esiste vera libertà senza libertà sessuale. Rivendico il diritto di usare il mio corpo per lavorare, come fanno gli scaricatori di porto e altre categorie», ha detto Mangiacapra, noto per aver denunciato un cliente, il sacerdote don Luca Morini, «don Euro», che per pagarsi ragazzi e viaggi ha raggirato anziani e persone fragili.
Mangiacapra è diventato «sex worker» perché, racconta, «ho preferito vendere il mio corpo anziché svendere il mio cervello facendo fotocopie in uno studio legale.
Oggi mi sento una persona».
La sua attività è incominciata, si può dire, proprio in studio. «Ero laureato da qualche anno ed era un giorno in cui mi sentivo meno di niente. In videochat un uomo mi propose un incontro. Era un avvocato, per venti minuti mi avrebbe pagato 150 euro, come un mese da praticante. In quel momento ho scelto. Un ripiego, certo. Ma oggi quanti scendono a compromessi con l' inflazione dei titoli di studio, con la disoccupazione? E quanti sedicenni lo fanno per comprarsi l'ultimo iPhone? Non sono orgoglioso di prostituirmi, ma sono grato alla mia attività di avermi reso indipendente. Io metto più cervello nel vendere il mio corpo di quanto potessi metterne nello studio legale. E le persone spesso sono attratte da me perché so mettere insieme qualche pensiero...».
La prostituzione «consapevole», lontana dallo sfruttamento, per Mangiacapra, va regolamentata. «Per ora sono l' unico "sex worker" ad essere uscito allo scoperto: mi impegno per avere dignità. La mia è un' attività "a termine", non può durare molti anni, non ci sono ferie né mutua. Sarei felice - prosegue - di pagare le tasse e di costruirmi un futuro creando un' impresa, un' agenzia, con il mio know how e il mio "portafoglio clienti". La legalizzazione farebbe emergere il sommerso e darebbe dignità sociale alle persone che si prostituiscono».
In famiglia la sua attività è stata accettata. «Mia madre mi ha conosciuto disoccupato e frustrato, mi ha visto quando chiedevo 15 euro per uscire a mangiare una pizza con gli amici. Ora mi vede sereno, indipendente. I miei genitori sono persone intelligenti, che hanno posposto alle loro aspettative e al giudizio della gente la mia serenità».
Che cosa significa essere un escort Francesco Mangiacapra lo racconterà in un libro che uscirà a marzo, «Il numero uno. Confessioni di un marchettaro», Iacobelli Editore.
«Dico cose vere, che andranno anche a mio discapito, ma lo faccio per vedermi restituire un' immagine sociale e umana.
C' è gente che mi dice "zitto tu che ti prostituisci". Ma io vendo il mio corpo, lo svendevo facendo fotocopie in studio».
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Re: IL LAVORO
DOPO LE NOTIZIE, DIAMETRALMENTE OPPOSTE DEL
THE BALLINGTON POST
Lorenzo Salvia per il “Corriere della Sera”
20 NOV 2016 11:31
QUANDO IL WEB DIVENTA “GUFO”
- AUMENTANO DEL 4% I LICENZIAMENTI
- MA E’ SOLO PER L’OBBLIGO DI DELLE DIMISSIONI ON LINE
- A GUARDARE I NUMERI, LE IMPRESE CON PIU’ DI 15 DIPENDENTI AVREBBERO LICENZIATO UN LAVORATORE SU TRE
- GLI SCONTI FISCALI PER LE ASSUNZIONI SOLO PER UN ANNO E SOLO AL SUD
- PARITA' UOMO E DONNA DI PERDERE IL LAVORO -
Lorenzo Salvia per il “Corriere della Sera”
Aumentano i licenziamenti in Italia. Ma, secondo il presidente dell' Inps Tito Boeri, non si può parlare di un effetto legato al Jobs act , e alle modifiche all' articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Nei primi nove mesi di quest' anno - secondo l' Istituto di previdenza - i licenziamenti sono cresciuti del 4% rispetto allo stesso periodo dell' anno scorso, passando da 430 mila a 448 mila. Se focalizziamo la lente di ingrandimento sui licenziamenti per motivi disciplinari, l' aumento è più marcato: 28%.
E se guardiamo solo la tabella delle aziende con più di 15 dipendenti, per le quali l' articolo 18 è cambiato, saliamo ancora, 32,6%. Secondo Boeri, però, non sono indizi che portano a un effetto prodotto dal Jobs act . Perché?
I dati sui licenziamenti non distinguono fra vecchi contratti con articolo 18 e nuovi contratti senza. La causa dell' aumento, dice il presidente dell' Inps, è da ricercare nell' obbligo delle dimissioni on line, arrivato a marzo di quest' anno. Una norma pensata per contrastare le dimissioni in bianco, la pratica di far firmare al lavoratore una lettera di rinuncia al posto di lavoro da tirar fuori in caso di malattia o di gravidanza. Ma che risulta un po' complicata da utilizzare, specie per gli stranieri.
E che ha portato a una riduzione del numero delle dimissioni volontarie. Di fatto una parte delle uscite che prima venivano considerate dimissioni adesso vengono conteggiate come licenziamenti.
C' è un altro dato importante: il calo della probabilità di essere licenziati. Nel 2016 è stata pari al 4,1%, contro il 4,2% dell' anno scorso. Sembra una contraddizione rispetto all' aumento dei licenziamenti ma non è così. Perché nel frattempo è aumentato il numero totale dei contratti di lavoro stabili, da poco più di 10 milioni a quasi 11 milioni. E la probabilità di essere licenziati è proprio il rapporto fra il numero dei licenziamenti e il totale dei lavoratori. Colpisce il fatto, semmai, che la probabilità di essere licenziati sia più alta tra gli uomini: il 7% contro il 5,7% delle donne. Una differenza non lontana da quella che c' è tra gli italiani, 6,1%, e gli extracomunitari, con l' 8,1%.
Sull' altro fronte del mercato del lavoro, quello delle assunzioni, viene confermata la tendenza già registrata negli ultimi mesi. Il saldo fra le nuove assunzioni stabili e i contratti che non ci sono più è pari a 47.455 unità. Comunque positivo. Ma con un crollo del 90% rispetto allo stesso periodo dell' anno scorso. Allora c' era un generoso sconto sui contributi pagati dalle imprese, che quest' anno è stato dimezzato. Anche per questo il governo lo ha appena rilanciato per il 2017. Ma solo per le Regioni del Sud e solo per un anno.
THE BALLINGTON POST
Lorenzo Salvia per il “Corriere della Sera”
20 NOV 2016 11:31
QUANDO IL WEB DIVENTA “GUFO”
- AUMENTANO DEL 4% I LICENZIAMENTI
- MA E’ SOLO PER L’OBBLIGO DI DELLE DIMISSIONI ON LINE
- A GUARDARE I NUMERI, LE IMPRESE CON PIU’ DI 15 DIPENDENTI AVREBBERO LICENZIATO UN LAVORATORE SU TRE
- GLI SCONTI FISCALI PER LE ASSUNZIONI SOLO PER UN ANNO E SOLO AL SUD
- PARITA' UOMO E DONNA DI PERDERE IL LAVORO -
Lorenzo Salvia per il “Corriere della Sera”
Aumentano i licenziamenti in Italia. Ma, secondo il presidente dell' Inps Tito Boeri, non si può parlare di un effetto legato al Jobs act , e alle modifiche all' articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Nei primi nove mesi di quest' anno - secondo l' Istituto di previdenza - i licenziamenti sono cresciuti del 4% rispetto allo stesso periodo dell' anno scorso, passando da 430 mila a 448 mila. Se focalizziamo la lente di ingrandimento sui licenziamenti per motivi disciplinari, l' aumento è più marcato: 28%.
E se guardiamo solo la tabella delle aziende con più di 15 dipendenti, per le quali l' articolo 18 è cambiato, saliamo ancora, 32,6%. Secondo Boeri, però, non sono indizi che portano a un effetto prodotto dal Jobs act . Perché?
I dati sui licenziamenti non distinguono fra vecchi contratti con articolo 18 e nuovi contratti senza. La causa dell' aumento, dice il presidente dell' Inps, è da ricercare nell' obbligo delle dimissioni on line, arrivato a marzo di quest' anno. Una norma pensata per contrastare le dimissioni in bianco, la pratica di far firmare al lavoratore una lettera di rinuncia al posto di lavoro da tirar fuori in caso di malattia o di gravidanza. Ma che risulta un po' complicata da utilizzare, specie per gli stranieri.
E che ha portato a una riduzione del numero delle dimissioni volontarie. Di fatto una parte delle uscite che prima venivano considerate dimissioni adesso vengono conteggiate come licenziamenti.
C' è un altro dato importante: il calo della probabilità di essere licenziati. Nel 2016 è stata pari al 4,1%, contro il 4,2% dell' anno scorso. Sembra una contraddizione rispetto all' aumento dei licenziamenti ma non è così. Perché nel frattempo è aumentato il numero totale dei contratti di lavoro stabili, da poco più di 10 milioni a quasi 11 milioni. E la probabilità di essere licenziati è proprio il rapporto fra il numero dei licenziamenti e il totale dei lavoratori. Colpisce il fatto, semmai, che la probabilità di essere licenziati sia più alta tra gli uomini: il 7% contro il 5,7% delle donne. Una differenza non lontana da quella che c' è tra gli italiani, 6,1%, e gli extracomunitari, con l' 8,1%.
Sull' altro fronte del mercato del lavoro, quello delle assunzioni, viene confermata la tendenza già registrata negli ultimi mesi. Il saldo fra le nuove assunzioni stabili e i contratti che non ci sono più è pari a 47.455 unità. Comunque positivo. Ma con un crollo del 90% rispetto allo stesso periodo dell' anno scorso. Allora c' era un generoso sconto sui contributi pagati dalle imprese, che quest' anno è stato dimezzato. Anche per questo il governo lo ha appena rilanciato per il 2017. Ma solo per le Regioni del Sud e solo per un anno.
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Re: IL LAVORO
I GIORNALISTI DOVREBBERO FARE UNA DOMANDA DIRETTA A BENITO, PINOCCHIO MUSSOLONI-LA TRUFFA, SU QUESTO TEMA.
INVECE COME FAZIO, FANNO I TAPPETINI.
23 NOV 2016 15:38
IL FUTURO E’ NERO
- PER LA CGIA DI MESTRE IN ITALIA CI SONO 3,1 MILIONI DI LAVORATORI SENZA CONTRATTO
- QUESTO ESERCITO DI “INVISIBILI” (INSIEME AI DATORI DI LAVORO CHE PREFERISCONO NON ASSUMERE) NON VERSANO TASSE E CONTRIBUTI E CREANO 77,2 MILIARDI DI EURO DI PIL IRREGOLARE ALL'ANNO
(ANSA) - Secondo una stima elaborata dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre sono 3.100.000 i lavoratori in nero presenti in Italia e oltre il 40 per cento (pari a quasi 1.270.000) sono "occupati" al Sud. Questo esercito di invisibili che ogni giorno lavora nel Paese senza versare tasse e contributi dà luogo a 77,2 miliardi di euro di Pil irregolare all'anno.
Tre milioni di persone che sono costituiti da lavoratori dipendenti che fanno il secondo lavoro; da cassaintegrati o pensionati che arrotondano le loro magre entrate o da disoccupati che in attesa di rientrare ufficialmente nel mercato del lavoro sbarcano il lunario "grazie" ai proventi di una attività irregolare. La Regione più a "rischio" è la Calabria che presenta 143.000 lavoratori in nero e un'incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil pari all'8,7 per cento.
Questa situazione, secondo l'elaborazione della Cgia, si traduce in 1,3 miliardi di euro di mancate entrate per lo Stato dalla Calabria. Segue la Campania che con 387.200 unità di lavoro irregolari "produce" un Pil in "nero" che pesa su quello ufficiale per l'8,4 per cento. Le tasse che mediamente vengono a mancare in Campania ammontano a 3,9 miliardi di euro all'anno.
Al terzo posto di questa particolare graduatoria troviamo la Sicilia: con 306.900 irregolari e un peso dell'economia sommersa su quella ufficiale pari al 7,8 per cento, le imposte e i contributi non versati sono pari a 3,2 miliardi di euro all'anno. Come ricordato oggi dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, la Cgia rileva che il valore aggiunto "prodotto" dal sommerso economico nel 2014 è stato stimato dall'Istat in 194,4 miliardi di euro (che include i flussi generati dalla sotto-dichiarazione, dal lavoro irregolare e dagli affitti in nero). Tale importo sale a 211,3 miliardi se si considerano anche le attività illegali (prostituzione, traffico stupefacenti e contrabbando di sigarette).
INVECE COME FAZIO, FANNO I TAPPETINI.
23 NOV 2016 15:38
IL FUTURO E’ NERO
- PER LA CGIA DI MESTRE IN ITALIA CI SONO 3,1 MILIONI DI LAVORATORI SENZA CONTRATTO
- QUESTO ESERCITO DI “INVISIBILI” (INSIEME AI DATORI DI LAVORO CHE PREFERISCONO NON ASSUMERE) NON VERSANO TASSE E CONTRIBUTI E CREANO 77,2 MILIARDI DI EURO DI PIL IRREGOLARE ALL'ANNO
(ANSA) - Secondo una stima elaborata dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre sono 3.100.000 i lavoratori in nero presenti in Italia e oltre il 40 per cento (pari a quasi 1.270.000) sono "occupati" al Sud. Questo esercito di invisibili che ogni giorno lavora nel Paese senza versare tasse e contributi dà luogo a 77,2 miliardi di euro di Pil irregolare all'anno.
Tre milioni di persone che sono costituiti da lavoratori dipendenti che fanno il secondo lavoro; da cassaintegrati o pensionati che arrotondano le loro magre entrate o da disoccupati che in attesa di rientrare ufficialmente nel mercato del lavoro sbarcano il lunario "grazie" ai proventi di una attività irregolare. La Regione più a "rischio" è la Calabria che presenta 143.000 lavoratori in nero e un'incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil pari all'8,7 per cento.
Questa situazione, secondo l'elaborazione della Cgia, si traduce in 1,3 miliardi di euro di mancate entrate per lo Stato dalla Calabria. Segue la Campania che con 387.200 unità di lavoro irregolari "produce" un Pil in "nero" che pesa su quello ufficiale per l'8,4 per cento. Le tasse che mediamente vengono a mancare in Campania ammontano a 3,9 miliardi di euro all'anno.
Al terzo posto di questa particolare graduatoria troviamo la Sicilia: con 306.900 irregolari e un peso dell'economia sommersa su quella ufficiale pari al 7,8 per cento, le imposte e i contributi non versati sono pari a 3,2 miliardi di euro all'anno. Come ricordato oggi dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, la Cgia rileva che il valore aggiunto "prodotto" dal sommerso economico nel 2014 è stato stimato dall'Istat in 194,4 miliardi di euro (che include i flussi generati dalla sotto-dichiarazione, dal lavoro irregolare e dagli affitti in nero). Tale importo sale a 211,3 miliardi se si considerano anche le attività illegali (prostituzione, traffico stupefacenti e contrabbando di sigarette).
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Re: IL LAVORO
Altre lettere
Stefania Rossini
29 nov
Morire sul lavoro con un voucher in tasca
Oggi l'ennesimo dramma sul lavoro, che è costato la vita a 4 operai, morti per le esalazioni mentre eseguivano dei lavori di pulizia nei serbatoi del carburante in una nave nel porto di Messina.
Ancora le chiamano morti bianche, un termine ipocrita che è un insulto ai familiari e alle vittime sul lavoro.
Purtroppo non passa giorno che 3/4 lavoratori (a volte anche di più) perdano la vita sul posto di lavoro. La sicurezza sul lavoro è importante, ma a quanto pare non è una priorità di questo governo.Ne di quelli precedenti!
Siamo il Paese Europeo con il più alto numero di morti sul lavoro e questo vorrà pure dire qualcosa.
Abbiamo anche un altro triste primato che è quello dell'abuso dei voucher, che molto spesso favorisce il lavoro nero. E non mi pare siano stati messi dei limiti concreti perchè questo abuso possa essere fermato. Averli estesi a tutte le lavorazioni non mi pare sia stata una bella idea.
I voucher sono utilizzati anche per coprire gli infortuni di chi lavora in nero.
Oggi è intervenuto immediatamente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in una nota ha detto che "ogni morte sul lavoro è inaccettabile in un Paese come il nostro".
Nel 2015, dati Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro, ci sono state oltre 1400 morti sul lavoro.
Nel 2016, dati aggiornati ad oggi, ci sono già oltre 1260 morti sul lavoro.
Sono numeri allarmanti!.
Vanno bene le parole di cordoglio, ci mancherebbe, ma quelli che purtroppo invece mancano, sono i fatti, perchè si porga un freno alle stragi sul lavoro.
Io sono un semplice operaio e nel mio piccolo cerco di fare il possibile, perchè se ne parli, e di sensibilizzare sulle morti sul lavoro.
Ma ci vuole l'impegno di tutti, tutti, specialmente di chi è al Governo e che davvero può cambiare le cose.
L'Italia non è solo il referendum costituzionale, a cui si è dato uno spazio enorme, mentre sulle morti sul lavoro nessuno dice nulla!
Marco Bazzoni
Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza-Firenze
Commenti
Biffo 30 novembre 2016 alle 11:41
Posso testimoniare che la mia figliuola maggiore, ad oltre 40 anni, ha lavorato a lungo in un pub dove la pagavano solo e soltanto con voucher, quel tanto da tirare quattro paghe non per il lesso, troppo caro, ma per mangiare quel tanto da stare in piedi, a servire ai tavoli, almeno al pub, dalle 20 alle 2 della sera. La razza dei padroni non morirà mai, è ricoperta da abiti d'amianto, come quelli del santo della canzone di Rino Gaetano.
Taras 2008 30 novembre 2016 alle 15:14
Biffo,
certo che la razza dei padroni non morirà mai, bisogna "solo" volerla abbatterla e solo allora forse si "estinguerà".
Biffo 30 novembre 2016 alle 18:41
Chi abbatterà la razza dei padroni, non farà che andarla poi a sostituire, purtroppo, e con metodi ancora peggiori, Taras. verrà mai un giorno in cui ci potremo incontrare, brùt disgrasiàa d'un cumunista, pussèe rùss d'una biedràva? Magari in primavera, dai!
Taras 2008 1 dicembre 2016 alle 11:53
Brutto spegnicandele d'un pretaccio mancato,
te l'ho già detto quelli là non sono comunisti, sono mica scemo io a pagare da oltre un trentennio la mia quota mensile che è molto ma molto di più di una decina di euro mensile, oltre a sgambettare.
Tu intanto colla paura di quel falso comunismo, continua a farti fregare dalla democrazia borghese, che qui sopra abbonda di giuste critiche, ma non vedete spiragli.
Probabilmente in estate verrò a fare diffusione di "lotta comunista" da quelle parti, e può darsi che ti vengo a trovare preavvertendoti, tu intanto prepari il malloppo per finanziare i tuoi avversari politici.
Ciao.
Biffo 1 dicembre 2016 alle 17:32
Mimmo, anch'io ho, come Don Camillo, un fucile ed un mortaio; ti aspetto. Io non ho paura del falso comunismo, e nemmeno di quello reale; sono ben altre le cose che posso temere, comunqu
Stefania Rossini
29 nov
Morire sul lavoro con un voucher in tasca
Oggi l'ennesimo dramma sul lavoro, che è costato la vita a 4 operai, morti per le esalazioni mentre eseguivano dei lavori di pulizia nei serbatoi del carburante in una nave nel porto di Messina.
Ancora le chiamano morti bianche, un termine ipocrita che è un insulto ai familiari e alle vittime sul lavoro.
Purtroppo non passa giorno che 3/4 lavoratori (a volte anche di più) perdano la vita sul posto di lavoro. La sicurezza sul lavoro è importante, ma a quanto pare non è una priorità di questo governo.Ne di quelli precedenti!
Siamo il Paese Europeo con il più alto numero di morti sul lavoro e questo vorrà pure dire qualcosa.
Abbiamo anche un altro triste primato che è quello dell'abuso dei voucher, che molto spesso favorisce il lavoro nero. E non mi pare siano stati messi dei limiti concreti perchè questo abuso possa essere fermato. Averli estesi a tutte le lavorazioni non mi pare sia stata una bella idea.
I voucher sono utilizzati anche per coprire gli infortuni di chi lavora in nero.
Oggi è intervenuto immediatamente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in una nota ha detto che "ogni morte sul lavoro è inaccettabile in un Paese come il nostro".
Nel 2015, dati Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro, ci sono state oltre 1400 morti sul lavoro.
Nel 2016, dati aggiornati ad oggi, ci sono già oltre 1260 morti sul lavoro.
Sono numeri allarmanti!.
Vanno bene le parole di cordoglio, ci mancherebbe, ma quelli che purtroppo invece mancano, sono i fatti, perchè si porga un freno alle stragi sul lavoro.
Io sono un semplice operaio e nel mio piccolo cerco di fare il possibile, perchè se ne parli, e di sensibilizzare sulle morti sul lavoro.
Ma ci vuole l'impegno di tutti, tutti, specialmente di chi è al Governo e che davvero può cambiare le cose.
L'Italia non è solo il referendum costituzionale, a cui si è dato uno spazio enorme, mentre sulle morti sul lavoro nessuno dice nulla!
Marco Bazzoni
Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza-Firenze
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Biffo 30 novembre 2016 alle 11:41
Posso testimoniare che la mia figliuola maggiore, ad oltre 40 anni, ha lavorato a lungo in un pub dove la pagavano solo e soltanto con voucher, quel tanto da tirare quattro paghe non per il lesso, troppo caro, ma per mangiare quel tanto da stare in piedi, a servire ai tavoli, almeno al pub, dalle 20 alle 2 della sera. La razza dei padroni non morirà mai, è ricoperta da abiti d'amianto, come quelli del santo della canzone di Rino Gaetano.
Taras 2008 30 novembre 2016 alle 15:14
Biffo,
certo che la razza dei padroni non morirà mai, bisogna "solo" volerla abbatterla e solo allora forse si "estinguerà".
Biffo 30 novembre 2016 alle 18:41
Chi abbatterà la razza dei padroni, non farà che andarla poi a sostituire, purtroppo, e con metodi ancora peggiori, Taras. verrà mai un giorno in cui ci potremo incontrare, brùt disgrasiàa d'un cumunista, pussèe rùss d'una biedràva? Magari in primavera, dai!
Taras 2008 1 dicembre 2016 alle 11:53
Brutto spegnicandele d'un pretaccio mancato,
te l'ho già detto quelli là non sono comunisti, sono mica scemo io a pagare da oltre un trentennio la mia quota mensile che è molto ma molto di più di una decina di euro mensile, oltre a sgambettare.
Tu intanto colla paura di quel falso comunismo, continua a farti fregare dalla democrazia borghese, che qui sopra abbonda di giuste critiche, ma non vedete spiragli.
Probabilmente in estate verrò a fare diffusione di "lotta comunista" da quelle parti, e può darsi che ti vengo a trovare preavvertendoti, tu intanto prepari il malloppo per finanziare i tuoi avversari politici.
Ciao.
Biffo 1 dicembre 2016 alle 17:32
Mimmo, anch'io ho, come Don Camillo, un fucile ed un mortaio; ti aspetto. Io non ho paura del falso comunismo, e nemmeno di quello reale; sono ben altre le cose che posso temere, comunqu
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Re: IL LAVORO
VOTA NO…………………VOTA NO…………………VOTA NO
Come ha scritto don Ciotti, chi ha voluto questa “nuova” Costituzione vede «la democrazia come un ostacolo», e il bene comune come «una faccenda in cui il popolo non deve immischiarsi».
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Re: IL LAVORO
L'ANSIA DI OTTENERE UN SUCCESSO A TUTTI I COSTI HA COSTRETTO PINOCCHIO MUSSOLONI A PREMERE SULLA FALSIFICAZIONE DEI DATI.
L'UOMO DI SUGHERO, GENTILONI, PROSEGUIRA' SULLA STRADA DEL SUO PREDECESSORE O SI LIMITERA' A FORNIRE DATI UFFICIALI CON UN MINORE TASSO DI FALSIFICAZIONE?
Con il Jobs Act i licenziamenti disciplinari cresciuti del 28%
La consulente del lavoro: "L’aumento registrato dall’Inps non è dovuto tanto alla legge in sé, quanto all’abuso che ne viene fatto"
Marta Proietti - Dom, 11/12/2016 - 13:02
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L’Osservatorio sul precariato dell’Inps ha registrato un'innalzamento dei licenziamenti disciplinari dall'entrata in vigore del Jobs Act, cioè da marzo del 2015.
Nello specifico i licenziamenti sono aumentati del 28 per cento nei primi 8 mesi di quest'anno. Per capire se sia una conseguenza della riforma, La Stampa ha messo a confronto storie di lavoratori che quest’anno hanno perso il lavoro.
"Il Jobs Act rappresenta un forte deterrente nelle relazioni aziendali e ciò ha indubbiamente provocato un cambio di paradigma - spiega l’avvocato Giorgio De Stefani che da trent’anni a Roma offre assistenza legale civile anche nel diritto del lavoro -. Con l’introduzione delle nuove norme, nel mondo del lavoro è mutato il clima psicologico-culturale. Soprattutto in aziende medio-grandi in crisi, nelle situazioni nelle quali prima si soprassedeva o si cercava una mediazione, adesso il datore di lavoro è più portato ad andare per le spicce perché dispone dello strumento tecnico per poterlo fare. Si tollera di meno, specie se non c’è un rapporto di conoscenza col dipendente".
Dall'indagine è emerso che sono cresciuti soprattutto i licenziamenti per ragioni disciplinari. E per i nuovi assunti niente reintegra nel posto di lavoro in caso di ingiusto licenziamento. "L’aumento registrato dall’Inps non è dovuto tanto alla legge in sé, quanto all’abuso che ne viene fatto", sottolinea la consulente del lavoro Monica Melani. In un anno i licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo sono passati da 36.048 a 46.255, con un aumento appunto del 28 per cento. Intanto i sindacati ricevono molte richieste di aiuto e i tribunali si riempiono di ricorsi.
Il primo caso analizzato da La Stampa è quello di Domenico Rossi, che per 35 anni ha lavorato come ausiliare alle vendite e cassiere al supermercato Carrefour di via XXI settembre, nel centro di Roma. Mai richiami, contestazioni o situazioni di conflitto fino allo scorso 3 giugno, quando è stato licenziato. Secondo l’azienda "è stato sorpreso, con merce non regolarmente acquistata, nell’atto di lasciare il punto vendita". Eppure, racconta Rossi, "quando i poliziotti hanno visionate le immagini delle telecamere interne, non hanno trovate niente di irregolare". Infatti, aggiunge, "come facciamo sempre noi dipendenti, ero passato dietro le casse per evitare la coda dei clienti, ho pagato tutto e alla vigilanza che mi ha fermato ho mostrato lo scontrino della spesa che avevo nella busta". Continua: "Mi hanno perquisito e lasciato in piedi per due ore davanti ai clienti che passavano, poi mi hanno ripetuto più volte che l’unica cosa che mi restava da fare era presentare immediatamente le mie dimissioni per non andare incontro a conseguenze peggiori. Possono fare una cosa del genere?".
L’azienda ha contestato al signor Rossi di aver abbandonato nel supermercato confezioni di cibo aperto e di non aver pagato due prodotti. Carrefour assicura di non licenziare con leggerezza e che contro il dipendente ci si è basati "esclusivamente su quanto comprovato dalle risultanze aziendali".
Situazioni simili sono state riscontrate in tutta Italia. "Non vengono spalancate indiscriminatamente le porte d’uscita, né si assiste a esodi di massa, ma senza lo spauracchio della reintegra molte aziende medie e grandi si arrischiano in licenziamenti che prima del Jobs Act avrebbero evitato", afferma Giovanni Guizzardi, consigliere dell’ordine dei consulenti del lavoro di Bologna. Il cinquantenne Antonio Ettore Ambrosini per 28 anni ha lavorato come cameriere ai piani e poi come maitre d’hotel in uno storico albergo di Roma, il Victoria, a due passi da via Veneto.
In seguito alla separazione della moglie nel 2011 aveva usufruito di 6 mesi di aspettativa non retribuita per un esaurimento nervoso. "Tornato in servizio non ho più avuto problemi finché, nell’ultimo periodo, il nuovo direttore dell’hotel mi ha preso di mira rimproverandomi pubblicamente per qualunque cosa, anche per come disponevo le tazze sui tavoli della prima colazione. Per il continuo stato di stress e di ansia ho avuto un collasso sul lavoro e sono stato soccorso da un’ambulanza". Ad agosto è stato "licenziato e liquidato con il Tfr e con due buste paga da 1400 euro: l’azienda sostiene di avere testimoni per dimostrare che sono stato trovato ubriaco in servizio e che mi sono addormentato mentre aspettavo le ordinazioni ai piani". Ma "non è vero", protesta, "dovevano tagliare il personale e le spese, così sono finito io nel mirino". Ambrosini poi si commuove: "Ora tiro avanti con il trattamento di fine rapporto che mi stanno pagando in tre tranche, ho sempre pagato gli alimenti per mia figlia. Mi hanno tolto il lavoro, la dignità. Al momento della contestazione mi sono sentito male e sono stato licenziato durante malattia, cosa che non si può fare. L’azienda sostiene che il licenziamento per giusta causa supera anche il divieto di cacciare un lavoratore mentre è malato".
L'economista Giuliano Cazzola, esperto di lavoro e previdenza, commenta le due vicende: "Rossi è accusato di furto e Ambrosini di ubriachezza in servizio: mancanze gravi se accertate, ma in entrambi i casi i datori di lavoro sembrano avere prove piuttosto labili". E ancora: "Nel Jobs Act c’è uno scambio tra contratti più stabili e minore rigidità nella risoluzione del rapporto di lavoro. Finora i giudici sono stati di manica larga anche di fronte a responsabilità vere dei lavoratori".
L'UOMO DI SUGHERO, GENTILONI, PROSEGUIRA' SULLA STRADA DEL SUO PREDECESSORE O SI LIMITERA' A FORNIRE DATI UFFICIALI CON UN MINORE TASSO DI FALSIFICAZIONE?
Con il Jobs Act i licenziamenti disciplinari cresciuti del 28%
La consulente del lavoro: "L’aumento registrato dall’Inps non è dovuto tanto alla legge in sé, quanto all’abuso che ne viene fatto"
Marta Proietti - Dom, 11/12/2016 - 13:02
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L’Osservatorio sul precariato dell’Inps ha registrato un'innalzamento dei licenziamenti disciplinari dall'entrata in vigore del Jobs Act, cioè da marzo del 2015.
Nello specifico i licenziamenti sono aumentati del 28 per cento nei primi 8 mesi di quest'anno. Per capire se sia una conseguenza della riforma, La Stampa ha messo a confronto storie di lavoratori che quest’anno hanno perso il lavoro.
"Il Jobs Act rappresenta un forte deterrente nelle relazioni aziendali e ciò ha indubbiamente provocato un cambio di paradigma - spiega l’avvocato Giorgio De Stefani che da trent’anni a Roma offre assistenza legale civile anche nel diritto del lavoro -. Con l’introduzione delle nuove norme, nel mondo del lavoro è mutato il clima psicologico-culturale. Soprattutto in aziende medio-grandi in crisi, nelle situazioni nelle quali prima si soprassedeva o si cercava una mediazione, adesso il datore di lavoro è più portato ad andare per le spicce perché dispone dello strumento tecnico per poterlo fare. Si tollera di meno, specie se non c’è un rapporto di conoscenza col dipendente".
Dall'indagine è emerso che sono cresciuti soprattutto i licenziamenti per ragioni disciplinari. E per i nuovi assunti niente reintegra nel posto di lavoro in caso di ingiusto licenziamento. "L’aumento registrato dall’Inps non è dovuto tanto alla legge in sé, quanto all’abuso che ne viene fatto", sottolinea la consulente del lavoro Monica Melani. In un anno i licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo sono passati da 36.048 a 46.255, con un aumento appunto del 28 per cento. Intanto i sindacati ricevono molte richieste di aiuto e i tribunali si riempiono di ricorsi.
Il primo caso analizzato da La Stampa è quello di Domenico Rossi, che per 35 anni ha lavorato come ausiliare alle vendite e cassiere al supermercato Carrefour di via XXI settembre, nel centro di Roma. Mai richiami, contestazioni o situazioni di conflitto fino allo scorso 3 giugno, quando è stato licenziato. Secondo l’azienda "è stato sorpreso, con merce non regolarmente acquistata, nell’atto di lasciare il punto vendita". Eppure, racconta Rossi, "quando i poliziotti hanno visionate le immagini delle telecamere interne, non hanno trovate niente di irregolare". Infatti, aggiunge, "come facciamo sempre noi dipendenti, ero passato dietro le casse per evitare la coda dei clienti, ho pagato tutto e alla vigilanza che mi ha fermato ho mostrato lo scontrino della spesa che avevo nella busta". Continua: "Mi hanno perquisito e lasciato in piedi per due ore davanti ai clienti che passavano, poi mi hanno ripetuto più volte che l’unica cosa che mi restava da fare era presentare immediatamente le mie dimissioni per non andare incontro a conseguenze peggiori. Possono fare una cosa del genere?".
L’azienda ha contestato al signor Rossi di aver abbandonato nel supermercato confezioni di cibo aperto e di non aver pagato due prodotti. Carrefour assicura di non licenziare con leggerezza e che contro il dipendente ci si è basati "esclusivamente su quanto comprovato dalle risultanze aziendali".
Situazioni simili sono state riscontrate in tutta Italia. "Non vengono spalancate indiscriminatamente le porte d’uscita, né si assiste a esodi di massa, ma senza lo spauracchio della reintegra molte aziende medie e grandi si arrischiano in licenziamenti che prima del Jobs Act avrebbero evitato", afferma Giovanni Guizzardi, consigliere dell’ordine dei consulenti del lavoro di Bologna. Il cinquantenne Antonio Ettore Ambrosini per 28 anni ha lavorato come cameriere ai piani e poi come maitre d’hotel in uno storico albergo di Roma, il Victoria, a due passi da via Veneto.
In seguito alla separazione della moglie nel 2011 aveva usufruito di 6 mesi di aspettativa non retribuita per un esaurimento nervoso. "Tornato in servizio non ho più avuto problemi finché, nell’ultimo periodo, il nuovo direttore dell’hotel mi ha preso di mira rimproverandomi pubblicamente per qualunque cosa, anche per come disponevo le tazze sui tavoli della prima colazione. Per il continuo stato di stress e di ansia ho avuto un collasso sul lavoro e sono stato soccorso da un’ambulanza". Ad agosto è stato "licenziato e liquidato con il Tfr e con due buste paga da 1400 euro: l’azienda sostiene di avere testimoni per dimostrare che sono stato trovato ubriaco in servizio e che mi sono addormentato mentre aspettavo le ordinazioni ai piani". Ma "non è vero", protesta, "dovevano tagliare il personale e le spese, così sono finito io nel mirino". Ambrosini poi si commuove: "Ora tiro avanti con il trattamento di fine rapporto che mi stanno pagando in tre tranche, ho sempre pagato gli alimenti per mia figlia. Mi hanno tolto il lavoro, la dignità. Al momento della contestazione mi sono sentito male e sono stato licenziato durante malattia, cosa che non si può fare. L’azienda sostiene che il licenziamento per giusta causa supera anche il divieto di cacciare un lavoratore mentre è malato".
L'economista Giuliano Cazzola, esperto di lavoro e previdenza, commenta le due vicende: "Rossi è accusato di furto e Ambrosini di ubriachezza in servizio: mancanze gravi se accertate, ma in entrambi i casi i datori di lavoro sembrano avere prove piuttosto labili". E ancora: "Nel Jobs Act c’è uno scambio tra contratti più stabili e minore rigidità nella risoluzione del rapporto di lavoro. Finora i giudici sono stati di manica larga anche di fronte a responsabilità vere dei lavoratori".
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Re: IL LAVORO
IGNAZIO vuje site 'a schifezza 'ra schifezza 'ra schiefezza 'ra schifezza 'e l'uommn.
29 dic 2016 14:54
COLPO DI CODA - DOPO ESSERE STATO LICENZIATO UN 45ENNE SI REINVENTA CON UNA PROFESSIONE DEL TUTTO NUOVA: IL CODISTA - IL SUO RUOLO CONSISTE NEL FARE LE FILE PER CONTO DEGLI ALTRI - HA LANCIATO IL CONTRATTO DI CATEGORIA, TIENE CORSI DI FORMAZIONE - LA SUA CODA PIU’ LUNGA E’ DURATA 8 ORE QUANDO E’ USCITO L’IPHONE 6S - “LE CODE PEGGIORI? QUELLE DI EQUITALIA E AGENZIA DELLE ENTRATE” -
Pietro Vernizzi per “la Verità”
Tre anni fa è stato licenziato dall' azienda di abbigliamento per la quale lavorava come responsabile marketing a seguito di una delocalizzazione. Invece di perdersi d' animo Giovanni Cafaro, 45 anni, ha deciso di reinventarsi con una professione del tutto nuova, quella di codista.
Il suo ruolo consiste nel fare le code per conto di chi non ha tempo. Nonostante si parli tanto di digitalizzazione della pubblica amministrazione, secondo la Cgia di Mestre dal 1995 a oggi agli sportelli dei Comuni italiani le code superiori ai 20 minuti sono aumentate del 104,6 per cento. E così Cafaro, nato a Salerno ma trapiantato a Milano, si è trovato con un business in forte crescita.
La mia coda più lunga risale al settembre 2015, quando è uscito l' iPhone 6S e un ragazzo mi ha chiesto di fare di tutto per procurarglielo. Sono rimasto in fila 8 ore ma alla fi ne l' ho spuntata, racconta orgoglioso Cafaro. Sul suo profilo Linkedin si definisce il primo codista italiano, un titolo che si è guadagnato macinando ore di attesa alle prevendite di cd e libri dei cantanti, dei biglietti per le mostre a Palazzo Reale, nonché agli sportelli di uffici pubblici come Inps, Poste e Comune.
Le code in assoluto peggiori sono quelle di Equitalia e Agenzia delle entrate, confida il codista. Una volta sono rimasto per 3 ore e mezza in attesa ai loro sportelli. Il fatto più spiacevole però non è dover aspettare, ma non sapere mai se hai con te i documenti necessari, perché spesso le procedure cambiano senza che agli utenti sia comunicato nulla.
Anche se spesso ha dovuto rifare la stessa fila più volte perché mancava un timbro o un pezzo di carta, Cafaro confessa: Io adoro qualsiasi tipo di coda e non mi faccio mai mancare nulla. È proprio qualcosa di innato: più è lunga la fila che ho davanti e più sto bene. Non tutti però possono svolgere questa professione. Quello di codista è un lavoro che non si può improvvisare. Innanzitutto servono doti caratteriali che non tutti hanno come calma e pazienza. Ma occorre anche la capacità di capire a fondo le procedure dell' amministrazione e l' abilità nelle pubbliche relazioni.
Proprio per insegnare l' esperienza acquisita Cafaro ha avviato dei corsi di formazione per codisti, preparando più di 300 persone provenienti da tutte le regioni italiane.
Al termine rilascio l' attestato che certifica la professionalità e la preparazione necessarie per svolgere l' attività di codista, sottolinea. La mia soddisfazione più grande è il fatto che alcuni dei miei "studenti" sono stati assunti dalle imprese per migliorare il welfare aziendale. Garantire questo servizio ai dipendenti, infatti, riduce la richiesta di permessi e aumenta la produttività.
Cafaro ha anche lanciato il primo contratto nazionale di lavoro dei codisti, che consente di inserire questa figura nel mondo lavorativo in modo flessibile. Il codista può essere occupato in un' azienda per la durata di un giorno, una settimana o un mese, ma può anche essere assunto a tempo determinato, spiega l' ex manager. In questo periodo di tempo ha diritto a busta paga, permessi, ferie nonché ai contributi previdenziali e assicurativi. Il lavoratore riceve 10 euro lordi l' ora, di cui 7,50 euro come salario netto mentre 2,50 vanno a Inps e Inail.
Ora Cafaro intende anche chiedere alla Camera di commercio di riconoscere alla professione di codista un apposito codice Ateco, cioè la combinazione alfanumerica che identifica le varie attività economiche. Regolare la professione di codista è fondamentale, assicura il quarantacinquenne. Spesso con il nostro lavoro dobbiamo risolvere problematiche molto serie e delicate, instaurando un rapporto di fiducia con i clienti. Tra questi ultimi ci sono banche, professionisti, commercianti, dipendenti delle aziende, ma anche cittadini privati e disabili. Il nostro è un vero e proprio servizio dal punto di vista sociale.
E aggiunge Cafaro: Negli uffici dove mi reco più di frequente ormai mi conoscono tutti e a volte mi propongono di saltare la coda. Ma io mi rifiuto sempre, perché ne va della mia deontologia professionale.
L' ex manager ha anche provato a elaborare una teoria scientifica della coda. Per sperimentarla ho provato in primo luogo a svegliarmi all' alba per arrivare per primo allo sportello, ma in più casi trovavo comunque una fila molto lunga. Ho spostato quindi l' orario di arrivo a mezzogiorno o poco prima della chiusura, quando la coda si era già smaltita.
E ho anche cercato di selezionare il giorno della settimana migliore: per esempio il venerdì una parte delle persone parte per il weekend lungo. Alla fine però mi sono arreso perché le variabili in gioco sono troppe e quando meno te lo aspetti ti trovi di fronte una coda chilometrica.
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 138506.htm
29 dic 2016 14:54
COLPO DI CODA - DOPO ESSERE STATO LICENZIATO UN 45ENNE SI REINVENTA CON UNA PROFESSIONE DEL TUTTO NUOVA: IL CODISTA - IL SUO RUOLO CONSISTE NEL FARE LE FILE PER CONTO DEGLI ALTRI - HA LANCIATO IL CONTRATTO DI CATEGORIA, TIENE CORSI DI FORMAZIONE - LA SUA CODA PIU’ LUNGA E’ DURATA 8 ORE QUANDO E’ USCITO L’IPHONE 6S - “LE CODE PEGGIORI? QUELLE DI EQUITALIA E AGENZIA DELLE ENTRATE” -
Pietro Vernizzi per “la Verità”
Tre anni fa è stato licenziato dall' azienda di abbigliamento per la quale lavorava come responsabile marketing a seguito di una delocalizzazione. Invece di perdersi d' animo Giovanni Cafaro, 45 anni, ha deciso di reinventarsi con una professione del tutto nuova, quella di codista.
Il suo ruolo consiste nel fare le code per conto di chi non ha tempo. Nonostante si parli tanto di digitalizzazione della pubblica amministrazione, secondo la Cgia di Mestre dal 1995 a oggi agli sportelli dei Comuni italiani le code superiori ai 20 minuti sono aumentate del 104,6 per cento. E così Cafaro, nato a Salerno ma trapiantato a Milano, si è trovato con un business in forte crescita.
La mia coda più lunga risale al settembre 2015, quando è uscito l' iPhone 6S e un ragazzo mi ha chiesto di fare di tutto per procurarglielo. Sono rimasto in fila 8 ore ma alla fi ne l' ho spuntata, racconta orgoglioso Cafaro. Sul suo profilo Linkedin si definisce il primo codista italiano, un titolo che si è guadagnato macinando ore di attesa alle prevendite di cd e libri dei cantanti, dei biglietti per le mostre a Palazzo Reale, nonché agli sportelli di uffici pubblici come Inps, Poste e Comune.
Le code in assoluto peggiori sono quelle di Equitalia e Agenzia delle entrate, confida il codista. Una volta sono rimasto per 3 ore e mezza in attesa ai loro sportelli. Il fatto più spiacevole però non è dover aspettare, ma non sapere mai se hai con te i documenti necessari, perché spesso le procedure cambiano senza che agli utenti sia comunicato nulla.
Anche se spesso ha dovuto rifare la stessa fila più volte perché mancava un timbro o un pezzo di carta, Cafaro confessa: Io adoro qualsiasi tipo di coda e non mi faccio mai mancare nulla. È proprio qualcosa di innato: più è lunga la fila che ho davanti e più sto bene. Non tutti però possono svolgere questa professione. Quello di codista è un lavoro che non si può improvvisare. Innanzitutto servono doti caratteriali che non tutti hanno come calma e pazienza. Ma occorre anche la capacità di capire a fondo le procedure dell' amministrazione e l' abilità nelle pubbliche relazioni.
Proprio per insegnare l' esperienza acquisita Cafaro ha avviato dei corsi di formazione per codisti, preparando più di 300 persone provenienti da tutte le regioni italiane.
Al termine rilascio l' attestato che certifica la professionalità e la preparazione necessarie per svolgere l' attività di codista, sottolinea. La mia soddisfazione più grande è il fatto che alcuni dei miei "studenti" sono stati assunti dalle imprese per migliorare il welfare aziendale. Garantire questo servizio ai dipendenti, infatti, riduce la richiesta di permessi e aumenta la produttività.
Cafaro ha anche lanciato il primo contratto nazionale di lavoro dei codisti, che consente di inserire questa figura nel mondo lavorativo in modo flessibile. Il codista può essere occupato in un' azienda per la durata di un giorno, una settimana o un mese, ma può anche essere assunto a tempo determinato, spiega l' ex manager. In questo periodo di tempo ha diritto a busta paga, permessi, ferie nonché ai contributi previdenziali e assicurativi. Il lavoratore riceve 10 euro lordi l' ora, di cui 7,50 euro come salario netto mentre 2,50 vanno a Inps e Inail.
Ora Cafaro intende anche chiedere alla Camera di commercio di riconoscere alla professione di codista un apposito codice Ateco, cioè la combinazione alfanumerica che identifica le varie attività economiche. Regolare la professione di codista è fondamentale, assicura il quarantacinquenne. Spesso con il nostro lavoro dobbiamo risolvere problematiche molto serie e delicate, instaurando un rapporto di fiducia con i clienti. Tra questi ultimi ci sono banche, professionisti, commercianti, dipendenti delle aziende, ma anche cittadini privati e disabili. Il nostro è un vero e proprio servizio dal punto di vista sociale.
E aggiunge Cafaro: Negli uffici dove mi reco più di frequente ormai mi conoscono tutti e a volte mi propongono di saltare la coda. Ma io mi rifiuto sempre, perché ne va della mia deontologia professionale.
L' ex manager ha anche provato a elaborare una teoria scientifica della coda. Per sperimentarla ho provato in primo luogo a svegliarmi all' alba per arrivare per primo allo sportello, ma in più casi trovavo comunque una fila molto lunga. Ho spostato quindi l' orario di arrivo a mezzogiorno o poco prima della chiusura, quando la coda si era già smaltita.
E ho anche cercato di selezionare il giorno della settimana migliore: per esempio il venerdì una parte delle persone parte per il weekend lungo. Alla fine però mi sono arreso perché le variabili in gioco sono troppe e quando meno te lo aspetti ti trovi di fronte una coda chilometrica.
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 138506.htm
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Re: IL LAVORO
NEL PAESE DEL BUNGA-BUNGA ORA ET SIEMPRE, IMMERSI IN UN'AUTOBOTTE DELLA BIRAGHI SPURGHI SPA
IN TUTTI I TG DELLA GIORNATA VIENE RIPETUTO IL PASSAGGIO DEL DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL CONIGLIO, CHE SI RIVOLGE AL MERLAME DECOTTO, DICENDO LORO CHE IL SUO GOVERNO CONTINUA NEL SOLCO DELLE RIFORME DEL GOVERNO RENZI.
CHE TRADOTTO NEL BUNGA-BUNGHESE UFFICIALE SIGNIFICA:
CARI SUDDITI SCEMOTTI E DECOTTI, IL BUNGA-BUNGA CONTINUA PER LA VOSTRA SODDISFAZIONE.
Almaviva, non c’è accordo azienda-sindacati: chiude la sede di Roma, licenziati 1.666 dipendenti
Lavoro & Precari
Fumata nera per il salvataggio della sede romana. Il viceministro Bellanova: "I lavoratori dovevano essere ascoltati prima". Il riferimento è al referendum interno convocato a cinque giorni dal mancato accordo
di Luisiana Gaita | 29 dicembre 2016
commenti ()
Più informazioni su: legge ad aziendam, Ministero dello Sviluppo Economico, Sviluppo Economico
“#Almaviva, profonda amarezza. Nonostante l’ultimo tentativo su Roma non si revocano licenziamenti. I lavoratori dovevano essere ascoltati prima”. A 4 ore dall’inizio dell’incontro al ministero dello Sviluppo economico convocato per tentare in extremis di salvare i 1.666 dipendenti della sede romana di Almaviva Contact, il viceministro Teresa Bellanova affida a Twitter un messaggio che racchiude i fatti e la delusione per una vicenda che poteva chiudersi diversamente. Invece l’azienda di call center non ha voluto fare dietrofront rispetto a quanto dichiarato 24 ore prima. Risultato: chiusa la sede di Roma, a casa 1.666 lavoratori, con le lettere di licenziamento già inviate. “Solo chi non conoscesse la normativa o pensasse di ignorarla potrebbe ritenere di riaprire un procedimento formalmente concluso e sottoscritto dalle parti congiuntamente ai competenti rappresentanti dei Ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro” scriveva ieri Almaviva. E oggi l’azienda ha puntato i piedi nonostante il tentativo del Mise di mediare. Tutto inutile.
LA FUMATA NERA – Non si torna indietro rispetto alla notte del 22 dicembre scorso quando al termine di un tavolo di confronto tra Almaviva Contact e le Rsu degli stabilimenti del gruppo, i 13 delegati della Rsu della sede di Roma non hanno firmato la proposta di mediazione. E proprio i fatti di quella notte, almeno formalmente, hanno impedito oggi a governo, sindacati e azienda di trovare l’accordo che invece era stato sottoscritto il 22 dicembre dalla sede napoletana di Almaviva al termine di una lunga trattativa. Era ottobre quando la società di call center ha annunciato l’apertura di una procedura di riduzione del personale all’interno di un nuovo piano di riorganizzazione del personale. Una trattativa proseguita anche dopo che, in piena bufera post referendum, Almaviva ha ritirato la proposta di accordo, parlando di “indisponibilità al confronto” dei sindacati. E poi c’è stato lo sciopero del 19 dicembre, dopo che l’azienda “ha espresso la propria indisponibilità all’utilizzo della Cigs e ribadito il taglio secco del salario contrattuale dei lavoratori su tutte le sedi di Almaviva in Italia come unica soluzione alternativa ai licenziamenti”.
L’ULTIMO TENTATIVO – A nulla è valso l’esito del referendum interno fissato da Rsu e strutture regionali di Slc e Cgil per il 27 dicembre, attraverso il quale con 590 voti favorevoli e 473 contrari, i dipendenti hanno detto ‘sì’ all’intesa anche per la sede di Roma. Una bocciatura alla decisione presa dai sindacati, che ha reso inutile anche l’incontro riconvocato ieri sera dal viceministro Bellanova. Le lettere di licenziamento sono già partite e lo stesso viceministro non ha potuto evitare di sottolineare che sarebbe stato il caso di ascoltare i lavoratori prima di chiudere il dialogo. Invece “le Rsu hanno ritenuto quell’accordo inaccettabile e quindi hanno determinato la perdita di lavoro di oltre 1.600 persone” ha dichiarato ai microfoni di RaiNews24, sottolineando che “non si è voluto prendere tempo” nonostante la proposta del governo fosse stata giudicata positiva dai segretari generali dei sindacati.
ASSIST ALL’AZIENDA. CHE PUNTA I PIEDI – Di fatto la società è stata messa nelle condizioni di poter mettere la parola fine alla trattativa. E Almaviva l’ha fatto. “L’azienda – ha continuato Bellanova – ha avanzato difficoltà anche dal punto di vista della tenuta della procedura e quindi ha ribadito il mantenimento dell’accordo dei lavoratori di Napoli e il mancato accordo con Roma che non ha firmato”. Tra le prime reazioni, quella di Stefano Pedica del Pd: “La chiusura della sede di Roma del call center Almaviva è l’ennesima sconfitta per la città di Roma. La capitale è sempre più povera e abbandonata a se stessa”.
SINDACATI: “LA SITUAZIONE ADESSO E’ DRAMMATICA” – “La situazione adesso è drammatica, una pagina nera su cui come sindacato proveremo a trovare qualsiasi possibile soluzione”. Questo il commento di Salvo Ugliarolo, segretario generale Uilcom, dopo la fumata nera e l’annunciata chiusura della sede romana di Almaviva. “Purtroppo i fatti hanno confermato quello che già pensavamo – ha sottolineato il sindacalista – ossia che era stata fatta una scelta sbagliata da parte dei delegati aziendali di Roma che hanno rifiutato l’accordo dello scorso 22 dicembre”. “Oggi abbiamo fatto un tentativo, forti della raccolta firme con cui oltre 700 lavoratori hanno chiesto alle segreterie di poter accedere allo stesso accordo firmato per la sede di Napoli – ha sottolineato il segretario della Uilcom – ma purtroppo abbiamo riscontrato la chiusura da parte dell’azienda perché tecnicamente essendo ormai chiusa la procedura, non c’erano più margini per riportare questi lavoratori all’interno dell’accordo“.
Ancora più drastiche le parole di Vito Vitale, segretario generale della Fistel Cisl: “Abbiamo preso atto che ormai non ci sono altri elementi su cui poter costruire le nostre speranze. Siamo usciti dal Ministero con una vicenda ormai chiusa”. Per Vitale l’azione dei delegati sindacali aziendali di Roma che hanno rifiutato lo scorso 22 dicembre l’accordo raggiunto al ministero “è stata irresponsabile, se avessimo avuto l’ok sulla firma di quell’intesa oggi non avremmo avuto questa situazione”. A sentire il rappresentante della Fistel Cisl, quello che è accaduto oggi “era nell’aria da giorni”, perché nonostante il governo “abbia subito proposto all’azienda di integrare l’accordo fatto su Napoli, dal punto di vista amministrativo mancavano ormai le garanzie e si poteva anche mettere a repentaglio l’accordo già firmato per Napoli”.
di Luisiana Gaita | 29 dicembre 2016
IN TUTTI I TG DELLA GIORNATA VIENE RIPETUTO IL PASSAGGIO DEL DISCORSO DEL PRESIDENTE DEL CONIGLIO, CHE SI RIVOLGE AL MERLAME DECOTTO, DICENDO LORO CHE IL SUO GOVERNO CONTINUA NEL SOLCO DELLE RIFORME DEL GOVERNO RENZI.
CHE TRADOTTO NEL BUNGA-BUNGHESE UFFICIALE SIGNIFICA:
CARI SUDDITI SCEMOTTI E DECOTTI, IL BUNGA-BUNGA CONTINUA PER LA VOSTRA SODDISFAZIONE.
Almaviva, non c’è accordo azienda-sindacati: chiude la sede di Roma, licenziati 1.666 dipendenti
Lavoro & Precari
Fumata nera per il salvataggio della sede romana. Il viceministro Bellanova: "I lavoratori dovevano essere ascoltati prima". Il riferimento è al referendum interno convocato a cinque giorni dal mancato accordo
di Luisiana Gaita | 29 dicembre 2016
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Più informazioni su: legge ad aziendam, Ministero dello Sviluppo Economico, Sviluppo Economico
“#Almaviva, profonda amarezza. Nonostante l’ultimo tentativo su Roma non si revocano licenziamenti. I lavoratori dovevano essere ascoltati prima”. A 4 ore dall’inizio dell’incontro al ministero dello Sviluppo economico convocato per tentare in extremis di salvare i 1.666 dipendenti della sede romana di Almaviva Contact, il viceministro Teresa Bellanova affida a Twitter un messaggio che racchiude i fatti e la delusione per una vicenda che poteva chiudersi diversamente. Invece l’azienda di call center non ha voluto fare dietrofront rispetto a quanto dichiarato 24 ore prima. Risultato: chiusa la sede di Roma, a casa 1.666 lavoratori, con le lettere di licenziamento già inviate. “Solo chi non conoscesse la normativa o pensasse di ignorarla potrebbe ritenere di riaprire un procedimento formalmente concluso e sottoscritto dalle parti congiuntamente ai competenti rappresentanti dei Ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro” scriveva ieri Almaviva. E oggi l’azienda ha puntato i piedi nonostante il tentativo del Mise di mediare. Tutto inutile.
LA FUMATA NERA – Non si torna indietro rispetto alla notte del 22 dicembre scorso quando al termine di un tavolo di confronto tra Almaviva Contact e le Rsu degli stabilimenti del gruppo, i 13 delegati della Rsu della sede di Roma non hanno firmato la proposta di mediazione. E proprio i fatti di quella notte, almeno formalmente, hanno impedito oggi a governo, sindacati e azienda di trovare l’accordo che invece era stato sottoscritto il 22 dicembre dalla sede napoletana di Almaviva al termine di una lunga trattativa. Era ottobre quando la società di call center ha annunciato l’apertura di una procedura di riduzione del personale all’interno di un nuovo piano di riorganizzazione del personale. Una trattativa proseguita anche dopo che, in piena bufera post referendum, Almaviva ha ritirato la proposta di accordo, parlando di “indisponibilità al confronto” dei sindacati. E poi c’è stato lo sciopero del 19 dicembre, dopo che l’azienda “ha espresso la propria indisponibilità all’utilizzo della Cigs e ribadito il taglio secco del salario contrattuale dei lavoratori su tutte le sedi di Almaviva in Italia come unica soluzione alternativa ai licenziamenti”.
L’ULTIMO TENTATIVO – A nulla è valso l’esito del referendum interno fissato da Rsu e strutture regionali di Slc e Cgil per il 27 dicembre, attraverso il quale con 590 voti favorevoli e 473 contrari, i dipendenti hanno detto ‘sì’ all’intesa anche per la sede di Roma. Una bocciatura alla decisione presa dai sindacati, che ha reso inutile anche l’incontro riconvocato ieri sera dal viceministro Bellanova. Le lettere di licenziamento sono già partite e lo stesso viceministro non ha potuto evitare di sottolineare che sarebbe stato il caso di ascoltare i lavoratori prima di chiudere il dialogo. Invece “le Rsu hanno ritenuto quell’accordo inaccettabile e quindi hanno determinato la perdita di lavoro di oltre 1.600 persone” ha dichiarato ai microfoni di RaiNews24, sottolineando che “non si è voluto prendere tempo” nonostante la proposta del governo fosse stata giudicata positiva dai segretari generali dei sindacati.
ASSIST ALL’AZIENDA. CHE PUNTA I PIEDI – Di fatto la società è stata messa nelle condizioni di poter mettere la parola fine alla trattativa. E Almaviva l’ha fatto. “L’azienda – ha continuato Bellanova – ha avanzato difficoltà anche dal punto di vista della tenuta della procedura e quindi ha ribadito il mantenimento dell’accordo dei lavoratori di Napoli e il mancato accordo con Roma che non ha firmato”. Tra le prime reazioni, quella di Stefano Pedica del Pd: “La chiusura della sede di Roma del call center Almaviva è l’ennesima sconfitta per la città di Roma. La capitale è sempre più povera e abbandonata a se stessa”.
SINDACATI: “LA SITUAZIONE ADESSO E’ DRAMMATICA” – “La situazione adesso è drammatica, una pagina nera su cui come sindacato proveremo a trovare qualsiasi possibile soluzione”. Questo il commento di Salvo Ugliarolo, segretario generale Uilcom, dopo la fumata nera e l’annunciata chiusura della sede romana di Almaviva. “Purtroppo i fatti hanno confermato quello che già pensavamo – ha sottolineato il sindacalista – ossia che era stata fatta una scelta sbagliata da parte dei delegati aziendali di Roma che hanno rifiutato l’accordo dello scorso 22 dicembre”. “Oggi abbiamo fatto un tentativo, forti della raccolta firme con cui oltre 700 lavoratori hanno chiesto alle segreterie di poter accedere allo stesso accordo firmato per la sede di Napoli – ha sottolineato il segretario della Uilcom – ma purtroppo abbiamo riscontrato la chiusura da parte dell’azienda perché tecnicamente essendo ormai chiusa la procedura, non c’erano più margini per riportare questi lavoratori all’interno dell’accordo“.
Ancora più drastiche le parole di Vito Vitale, segretario generale della Fistel Cisl: “Abbiamo preso atto che ormai non ci sono altri elementi su cui poter costruire le nostre speranze. Siamo usciti dal Ministero con una vicenda ormai chiusa”. Per Vitale l’azione dei delegati sindacali aziendali di Roma che hanno rifiutato lo scorso 22 dicembre l’accordo raggiunto al ministero “è stata irresponsabile, se avessimo avuto l’ok sulla firma di quell’intesa oggi non avremmo avuto questa situazione”. A sentire il rappresentante della Fistel Cisl, quello che è accaduto oggi “era nell’aria da giorni”, perché nonostante il governo “abbia subito proposto all’azienda di integrare l’accordo fatto su Napoli, dal punto di vista amministrativo mancavano ormai le garanzie e si poteva anche mettere a repentaglio l’accordo già firmato per Napoli”.
di Luisiana Gaita | 29 dicembre 2016
Ultima modifica di UncleTom il 29/12/2016, 21:02, modificato 1 volta in totale.
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Re: IL LAVORO
il job act oltre a scaricare completamente la flessibilità sui giovani con legislazioni differenti ha finito per rendere più rigido il mercato del lavoro perche chi ha un lavoro protetto dall'art 18 non lo molla.La conseguenza è che le cessazioni sono crollate del 27%e i giovani sono solo al servizio dei protetti e sù di essi si scarica completamente la fessibilità.Quindi è normale che fuggano all'estero
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