Francesco un papa ...Cristiano!
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
HA BUONE RAGIONI DI ESSERE DI UMOR NERO, IL PADRE ETERNO.
VITA DIFFICILE ANCHE PER FRANCESCO.
22 dic 2016 15:36
UN PAPPONE IN TONACA
- DON ANDREA CONTIN, PARROCO DI PADOVA, FACEVA PROSTITUIRE LA SUA AMANTE IN CANONICA! I CARABINIERI GLI HANNO SEQUESTRATO FRUSTE, VIBRATORI, MATERIALE PORNOGRAFICO
- IL SACERDOTE E' INDAGATO PER FAVOREGGIAMENTO DELLA PROSTITUZIONE E VIOLENZA PRIVATA
Da http://www.ilgazzettino.it
Insospettabile perché uomo di chiesa e al di sopra di ogni sospetto perché prete molto stimato a Padova. Ma ieri don Andrea Contin di 48 anni, parroco della chiesa di San Lazzaro, piccolo rione di 1.500 anime tra il quartiere Stanga e la strada che porta al casello autostradale di Padova Est, è finito nel registro degli indagati per favoreggiamento della prostituzione e violenza privata.
Impegnato politicamente prima di diventare sacerdote e poi fondatore di Casetta Michelino progetto per dare assistenza agli anziani, secondo l'accusa don Contin a partire dal 2014 avrebbe avuto una relazione sentimentale con una sua parrocchiana. Un amore intenso, ma ben presto sfociato in situazioni morbose.
La donna, non più tardi di due settimane fa, ha denunciato ai carabinieri di avere subito dal prete rapporti sessuali estremi e violenti, ma soprattutto di essere stata offerta ad altri uomini in cambio di denaro. Accuse pesanti e su cui la Procura ha fatto scattare le indagini, che sono culminate ieri mattina con la perquisizione della canonica in uso a don Contin. I militari hanno sequestrato numerosi giochi erotici come fruste e vibratori, ma anche materiale pornografico come video hard.
VITA DIFFICILE ANCHE PER FRANCESCO.
22 dic 2016 15:36
UN PAPPONE IN TONACA
- DON ANDREA CONTIN, PARROCO DI PADOVA, FACEVA PROSTITUIRE LA SUA AMANTE IN CANONICA! I CARABINIERI GLI HANNO SEQUESTRATO FRUSTE, VIBRATORI, MATERIALE PORNOGRAFICO
- IL SACERDOTE E' INDAGATO PER FAVOREGGIAMENTO DELLA PROSTITUZIONE E VIOLENZA PRIVATA
Da http://www.ilgazzettino.it
Insospettabile perché uomo di chiesa e al di sopra di ogni sospetto perché prete molto stimato a Padova. Ma ieri don Andrea Contin di 48 anni, parroco della chiesa di San Lazzaro, piccolo rione di 1.500 anime tra il quartiere Stanga e la strada che porta al casello autostradale di Padova Est, è finito nel registro degli indagati per favoreggiamento della prostituzione e violenza privata.
Impegnato politicamente prima di diventare sacerdote e poi fondatore di Casetta Michelino progetto per dare assistenza agli anziani, secondo l'accusa don Contin a partire dal 2014 avrebbe avuto una relazione sentimentale con una sua parrocchiana. Un amore intenso, ma ben presto sfociato in situazioni morbose.
La donna, non più tardi di due settimane fa, ha denunciato ai carabinieri di avere subito dal prete rapporti sessuali estremi e violenti, ma soprattutto di essere stata offerta ad altri uomini in cambio di denaro. Accuse pesanti e su cui la Procura ha fatto scattare le indagini, che sono culminate ieri mattina con la perquisizione della canonica in uso a don Contin. I militari hanno sequestrato numerosi giochi erotici come fruste e vibratori, ma anche materiale pornografico come video hard.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Cronaca
Il vecchio Papa rimane l’unico profeta di un mondo più giusto
di Marco Politi | 31 dicembre 2016
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Marco Politi
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Si preannuncia l’era degli “uomini di ferro” nell’anno 2017. Tramonta con l’addio di Obama un leader dotato di visione: un orizzonte in cui la propria nazione era immaginata a contribuire con la sua leadership per un equilibrio più pacifico, più equo del pianeta. Subentra il presidente dell’America First, la versione statunitense del Deutschland über alles.
Trump non è un caso isolato. La sua visione di una leadership dura, all’insegna dell’egoismo nazionale e del primato assoluto della (propria) ragion di stato, trova delle controparti eguali nell’attuale panorama geopolitico. Personalità inclini a tracciare con la scure, all’interno e all’esterno del proprio stato, la frontiera tra “noi” e “loro”. Che individuano l’immagine del nemico in qualsiasi critico, oppositore o portatore di interessi diversi. Pronte a spazzare gli ostacoli con la pura forza – se si danno le condizioni.
“Visionario” e “visionary” hanno un significato assai diverso in italiano e in inglese. La parola italiana designa una persona un po’ pazza. Il termine inglese indica invece chi è portatore di una visione lungimirante e innovatrice, non tesa a una difesa angusta dell’esistente.
Obama era “visionary”. Si è battuto per impiantare negli Stati Uniti uno stato welfare all’europea con un servizio sanitario nazionale – per tutti – , si è battuto per la salvaguardia dell’ambiente e un controllo dei cambiamenti climatici a livello internazionale, si è impegnato per voltare pagina rispetto all’interventismo militare disastroso di Bush e per portare alla nascita di due stati coesistenti: Palestina e Israele. Non da ultimo, la sua presidenza doveva sgonfiare il tumore razzista presente nelle viscere della società statunitense. E’ stato il contrario.
Le elezioni presidenziali americane segnano la fine di una stagione di speranze. In ultima analisi il “progetto Obama” ha perso. Ricordare il primo presidente nero americano, anche con le sue debolezze e i suoi fallimenti, serve da indicatore per capire dove stanno adesso sulla scena internazionale i personaggi “visionari” . Non se ne vedono tra i capi di stato e di governo. E’ l’era dei duri. Trump, Putin, Erdogan, Netanyahu, Al Sisi. Simili ai giocatori di poker del Far West: le carte in mano e la pistola sul tavolo.
Scorrendo lo sguardo sull’orizzonte, mentre inizia il 2017, l’unico leader internazionale a proporre un’idea di “bene comune” globale e di una convivenza inclusiva dentro e fuori i confini della propria patria, rimane il pontefice che ha scelto il nome del Povero di Assisi.
Sono stati necessari la Brexit e il rovesciamento radicale avvenuto negli Stati Uniti perché le élites politiche e mediatiche si accorgessero del problema enorme delle disuguaglianze, dell’emarginazione, della povertà crescente dei ceti medio-popolari in Occidente. Fa sorridere lo stupore con cui queste élites hanno mostrato di accorgersi che esiste una globalizzazione sfruttatrice, inesorabile nel produrre ed espellere “scarti sociali”.
Eppure da tre anni papa Bergoglio punta i riflettori e ammonisce con razionalità sui pericoli e i danni immensi causati da un capitalismo finanziario, senza regole, senza legami con la comunità, senza alcun interesse a far partecipare tutti i produttori alla vendemmia dei profitti. Come gli antichi profeti di Israele papa Francesco ricorda ai sovrani economici e politici dell’era contemporanea che deve esistere una giustizia nell’organizzazione dell’economia e della società. Il suo Vangelo sociale – evidentemente alimentato dal suo slancio religioso e dalla sua sequela di Cristo – è oggi quanto di più laico si possa ascoltare.
“Non fingere che tutto sia in ordine”. Perché non si possono trattare come “scarti” anziani emarginati e giovani in cerca di lavoro. Non si possono chiudere gli occhi davanti al legame tra degrado dell’ambiente naturale e degrado dell’ambiente sociale. Non si possono abbandonare milioni di migranti nelle mani dei mercanti di morte o immaginare di schiacciarli contro il filo spinato senza un’ombra di politica mirata all’integrazione o allo sviluppo delle loro terre di partenza.
Francesco è l’unico leder a non stancarsi di ricordare a un sistema politico-mediatico (il quale, dopo rapidi flash nei Tg si volta ostinatamente dall’altra parte) che oggi esistono e si diffondono nuove schiavitù. NUOVE SCHIAVITÙ. In Occidente e in Oriente, nell’emisfero Nord e nell’emisfero Sud. Decine, centinaia di milioni di esseri umani gettati nella catena di produzione dell’industria sessuale, del lavoro nero, delle aziende clandestine, del precariato eretto a sistema.
E così, nel nuovo mondo dei “duri”, varrà la pena di non perdere di vista il papa argentino che mette a nudo una politica “sottomessa alla finanza e alla tecnologia” e con il suo messaggio per la Giornata della Pace del 2017 offre all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale un manuale inedito di “non-violenza attiva” per affrontare i problemi del pianeta.
L’uomo venuto dalla fine del mondo in realtà si colloca nel cuore dei suoi drammi.
Il vecchio Papa rimane l’unico profeta di un mondo più giusto
di Marco Politi | 31 dicembre 2016
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Si preannuncia l’era degli “uomini di ferro” nell’anno 2017. Tramonta con l’addio di Obama un leader dotato di visione: un orizzonte in cui la propria nazione era immaginata a contribuire con la sua leadership per un equilibrio più pacifico, più equo del pianeta. Subentra il presidente dell’America First, la versione statunitense del Deutschland über alles.
Trump non è un caso isolato. La sua visione di una leadership dura, all’insegna dell’egoismo nazionale e del primato assoluto della (propria) ragion di stato, trova delle controparti eguali nell’attuale panorama geopolitico. Personalità inclini a tracciare con la scure, all’interno e all’esterno del proprio stato, la frontiera tra “noi” e “loro”. Che individuano l’immagine del nemico in qualsiasi critico, oppositore o portatore di interessi diversi. Pronte a spazzare gli ostacoli con la pura forza – se si danno le condizioni.
“Visionario” e “visionary” hanno un significato assai diverso in italiano e in inglese. La parola italiana designa una persona un po’ pazza. Il termine inglese indica invece chi è portatore di una visione lungimirante e innovatrice, non tesa a una difesa angusta dell’esistente.
Obama era “visionary”. Si è battuto per impiantare negli Stati Uniti uno stato welfare all’europea con un servizio sanitario nazionale – per tutti – , si è battuto per la salvaguardia dell’ambiente e un controllo dei cambiamenti climatici a livello internazionale, si è impegnato per voltare pagina rispetto all’interventismo militare disastroso di Bush e per portare alla nascita di due stati coesistenti: Palestina e Israele. Non da ultimo, la sua presidenza doveva sgonfiare il tumore razzista presente nelle viscere della società statunitense. E’ stato il contrario.
Le elezioni presidenziali americane segnano la fine di una stagione di speranze. In ultima analisi il “progetto Obama” ha perso. Ricordare il primo presidente nero americano, anche con le sue debolezze e i suoi fallimenti, serve da indicatore per capire dove stanno adesso sulla scena internazionale i personaggi “visionari” . Non se ne vedono tra i capi di stato e di governo. E’ l’era dei duri. Trump, Putin, Erdogan, Netanyahu, Al Sisi. Simili ai giocatori di poker del Far West: le carte in mano e la pistola sul tavolo.
Scorrendo lo sguardo sull’orizzonte, mentre inizia il 2017, l’unico leader internazionale a proporre un’idea di “bene comune” globale e di una convivenza inclusiva dentro e fuori i confini della propria patria, rimane il pontefice che ha scelto il nome del Povero di Assisi.
Sono stati necessari la Brexit e il rovesciamento radicale avvenuto negli Stati Uniti perché le élites politiche e mediatiche si accorgessero del problema enorme delle disuguaglianze, dell’emarginazione, della povertà crescente dei ceti medio-popolari in Occidente. Fa sorridere lo stupore con cui queste élites hanno mostrato di accorgersi che esiste una globalizzazione sfruttatrice, inesorabile nel produrre ed espellere “scarti sociali”.
Eppure da tre anni papa Bergoglio punta i riflettori e ammonisce con razionalità sui pericoli e i danni immensi causati da un capitalismo finanziario, senza regole, senza legami con la comunità, senza alcun interesse a far partecipare tutti i produttori alla vendemmia dei profitti. Come gli antichi profeti di Israele papa Francesco ricorda ai sovrani economici e politici dell’era contemporanea che deve esistere una giustizia nell’organizzazione dell’economia e della società. Il suo Vangelo sociale – evidentemente alimentato dal suo slancio religioso e dalla sua sequela di Cristo – è oggi quanto di più laico si possa ascoltare.
“Non fingere che tutto sia in ordine”. Perché non si possono trattare come “scarti” anziani emarginati e giovani in cerca di lavoro. Non si possono chiudere gli occhi davanti al legame tra degrado dell’ambiente naturale e degrado dell’ambiente sociale. Non si possono abbandonare milioni di migranti nelle mani dei mercanti di morte o immaginare di schiacciarli contro il filo spinato senza un’ombra di politica mirata all’integrazione o allo sviluppo delle loro terre di partenza.
Francesco è l’unico leder a non stancarsi di ricordare a un sistema politico-mediatico (il quale, dopo rapidi flash nei Tg si volta ostinatamente dall’altra parte) che oggi esistono e si diffondono nuove schiavitù. NUOVE SCHIAVITÙ. In Occidente e in Oriente, nell’emisfero Nord e nell’emisfero Sud. Decine, centinaia di milioni di esseri umani gettati nella catena di produzione dell’industria sessuale, del lavoro nero, delle aziende clandestine, del precariato eretto a sistema.
E così, nel nuovo mondo dei “duri”, varrà la pena di non perdere di vista il papa argentino che mette a nudo una politica “sottomessa alla finanza e alla tecnologia” e con il suo messaggio per la Giornata della Pace del 2017 offre all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale un manuale inedito di “non-violenza attiva” per affrontare i problemi del pianeta.
L’uomo venuto dalla fine del mondo in realtà si colloca nel cuore dei suoi drammi.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
2 gen 2017 14:10
IL PAPA HA UN MESSAGGIO DI AUGURIO PER I CAPITALISTI: ''IL SANGUE DI TUTTA LA GENTE CHE AVETE SUCCHIATO È UN GRIDO AL SIGNORE. PENSAVAMO CHE GLI SCHIAVI NON ESISTESSERO PIÙ: ESISTONO. LA GENTE NON VA A PRENDERLI IN AFRICA PER VENDERLI IN AMERICA: NO! I TRAFFICANTI SONO NELLE NOSTRE CITTÀ''
- BERGOGLIO RACCONTA IL CASO DI UNA RAGAZZA CHE AVEVA TROVATO UN LAVORO DA 11 ORE AL GIORNO A 650 EURO IN NERO
Franca Giansoldati per www.ilmessaggero.it
Gli imprenditori che si arricchiscono con il lavoro nero sono tante sanguisughe, squallidi schiavisti, trafficanti di gente. Papa Francesco torna a condannare la deriva morale che colpisce coloro che non riconoscono il lavoro altrui garantendo al lavoratore il giusto compenso. “È peccato mortale” ha detto stamattina alla messa mattutina di Santa Marta.
Commentando le letture della liturgia odierna ha tuonato: “Ora voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce. Il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente”. Il problema per il Papa non sono tanto le ricchezze che “in sede stesse sono buone”.
Il denaro resta uno strumento, e dipende dall'uso che se ne fa. Gli utili che sono reinvestiti per creare impiego e per fare crescere la società sono un elemento positivo. Il problema è intaccare il cuore con l'idolatria del vitello d'oro di biblica memoria perché “non si può servire Dio e le ricchezze”.
Insomma è a un passo dal baratro chi accumula ricchezze “con lo sfruttamento della gente”. Il Papa ai fedeli ha poi raccontato un aneddoto di una ragazza che aveva trovato un lavoro da 11 ore al giorno a 650 euro in nero. La ragazza fece notare al datore di lavoro che in quel modo non avrebbe campato. “Se vuoi prendilo, se no, vattene. Dietro di te c’è la coda!”.
Ecco queste persone come tanti altri “ingrassano in ricchezze”. “Il sangue di tutta la gente che avete succhiato” e di cui “avete vissuto, è un grido al Signore, è un grido di giustizia. Lo sfruttamento della gente oggi è una vera schiavitù. Pensavamo che gli schiavi non esistessero più: esistono. È vero, la gente non va a prenderli in Africa per venderli in America: no! Ma è nelle nostre città. E ci sono questi trafficanti, questi che trattano la gente con il lavoro senza giustizia”
Sfruttare i lavoratori è un «peccato mortale». È il forte monito che Papa Francesco torna a ribadire nella quotidiana messa celebrata a Santa Marta. Il Pontefice, nell'omelia di cui riferisce Radio Vaticana, paragona gli sfruttatori dei lavoratori a delle sanguisughe. «Quando le ricchezze si fanno con lo sfruttamento della gente, i ricchi che sfruttano, sfruttano il lavoro della gente e quella povera gente diviene schiava», denuncia con forza il Papa.
La sua riflessione va alla realtà di oggi: «In tutto il mondo accade lo stesso. Voglio lavorare - Bene: ti fanno un contratto. Da settembre a giugno. Senza possibilità di pensione, senza assicurazione sanitaria... a giugno lo sospendono e luglio e agosto devi mangiare aria e a settembre te lo ridanno».
Il Pontefice non la manda a dire a questo genere di datori di lavoro. Questi che fanno questo sono vere sanguisughe e vivono dei salassi del sangue della gente che rendono schiavi del lavoro».
È amara la constatazione del Papa: «Noi pensavamo che gli schiavi non esistessero più: esistono. La gente non va a prenderli in Africa per venderli in America. È nelle nostre città. Ci sono questi trafficanti, questi che trattano la gente con il lavoro senza giustizia».
Pensando al dramma di oggi, il Pontefice elenca «lo sfruttamento della gente, il sangue di questa gente che diventa schiava, i trafficanti di gente e non solo quelli che trafficano le prostitute e i bambini ma quel traffico più 'civilizzatò. Che il Signore ci faccia capire la semplicità che Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: è più importante un bicchier d'acqua in nome di Cristo che tutte le ricchezze accumulate con lo sfruttamento della gente».
IL PAPA HA UN MESSAGGIO DI AUGURIO PER I CAPITALISTI: ''IL SANGUE DI TUTTA LA GENTE CHE AVETE SUCCHIATO È UN GRIDO AL SIGNORE. PENSAVAMO CHE GLI SCHIAVI NON ESISTESSERO PIÙ: ESISTONO. LA GENTE NON VA A PRENDERLI IN AFRICA PER VENDERLI IN AMERICA: NO! I TRAFFICANTI SONO NELLE NOSTRE CITTÀ''
- BERGOGLIO RACCONTA IL CASO DI UNA RAGAZZA CHE AVEVA TROVATO UN LAVORO DA 11 ORE AL GIORNO A 650 EURO IN NERO
Franca Giansoldati per www.ilmessaggero.it
Gli imprenditori che si arricchiscono con il lavoro nero sono tante sanguisughe, squallidi schiavisti, trafficanti di gente. Papa Francesco torna a condannare la deriva morale che colpisce coloro che non riconoscono il lavoro altrui garantendo al lavoratore il giusto compenso. “È peccato mortale” ha detto stamattina alla messa mattutina di Santa Marta.
Commentando le letture della liturgia odierna ha tuonato: “Ora voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce. Il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente”. Il problema per il Papa non sono tanto le ricchezze che “in sede stesse sono buone”.
Il denaro resta uno strumento, e dipende dall'uso che se ne fa. Gli utili che sono reinvestiti per creare impiego e per fare crescere la società sono un elemento positivo. Il problema è intaccare il cuore con l'idolatria del vitello d'oro di biblica memoria perché “non si può servire Dio e le ricchezze”.
Insomma è a un passo dal baratro chi accumula ricchezze “con lo sfruttamento della gente”. Il Papa ai fedeli ha poi raccontato un aneddoto di una ragazza che aveva trovato un lavoro da 11 ore al giorno a 650 euro in nero. La ragazza fece notare al datore di lavoro che in quel modo non avrebbe campato. “Se vuoi prendilo, se no, vattene. Dietro di te c’è la coda!”.
Ecco queste persone come tanti altri “ingrassano in ricchezze”. “Il sangue di tutta la gente che avete succhiato” e di cui “avete vissuto, è un grido al Signore, è un grido di giustizia. Lo sfruttamento della gente oggi è una vera schiavitù. Pensavamo che gli schiavi non esistessero più: esistono. È vero, la gente non va a prenderli in Africa per venderli in America: no! Ma è nelle nostre città. E ci sono questi trafficanti, questi che trattano la gente con il lavoro senza giustizia”
Sfruttare i lavoratori è un «peccato mortale». È il forte monito che Papa Francesco torna a ribadire nella quotidiana messa celebrata a Santa Marta. Il Pontefice, nell'omelia di cui riferisce Radio Vaticana, paragona gli sfruttatori dei lavoratori a delle sanguisughe. «Quando le ricchezze si fanno con lo sfruttamento della gente, i ricchi che sfruttano, sfruttano il lavoro della gente e quella povera gente diviene schiava», denuncia con forza il Papa.
La sua riflessione va alla realtà di oggi: «In tutto il mondo accade lo stesso. Voglio lavorare - Bene: ti fanno un contratto. Da settembre a giugno. Senza possibilità di pensione, senza assicurazione sanitaria... a giugno lo sospendono e luglio e agosto devi mangiare aria e a settembre te lo ridanno».
Il Pontefice non la manda a dire a questo genere di datori di lavoro. Questi che fanno questo sono vere sanguisughe e vivono dei salassi del sangue della gente che rendono schiavi del lavoro».
È amara la constatazione del Papa: «Noi pensavamo che gli schiavi non esistessero più: esistono. La gente non va a prenderli in Africa per venderli in America. È nelle nostre città. Ci sono questi trafficanti, questi che trattano la gente con il lavoro senza giustizia».
Pensando al dramma di oggi, il Pontefice elenca «lo sfruttamento della gente, il sangue di questa gente che diventa schiava, i trafficanti di gente e non solo quelli che trafficano le prostitute e i bambini ma quel traffico più 'civilizzatò. Che il Signore ci faccia capire la semplicità che Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: è più importante un bicchier d'acqua in nome di Cristo che tutte le ricchezze accumulate con lo sfruttamento della gente».
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Cronaca
Seguendo Francesco, la Chiesa è credibile solo se i cristiani agiscono
di Marco Politi | 9 gennaio 2017
commenti (93)
Più informazioni su: Bolzano, Diocesi, Papa Francesco, Sinodo
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La rivoluzione di Francesco non può procedere se rimane solo addossata sulle spalle del pontefice argentino. Diventa cruciale il rinnovamento (o il non rinnovamento) nelle migliaia di diocesi, che costituiscono i terminali nervosi del grande “corpo” cattolico di un miliardo e duecento milioni di fedeli. Qualcosa comincia a muoversi sotto la spinta dell’impulso bergogliano e uno degli indicatori è lo svolgimento dei sinodi diocesani: gli stati generali di preti, religiosi, religiose e laici, riuniti per fare il punto della situazione e riflettere sulla direzione da prendere per annunciare e vivere il Vangelo nel tempo attuale.
Interessante da questo punto di vista è il sinodo della diocesi di Bolzano-Bressanone, che dopo un biennio di lavori ha pubblicato nel 2016 i suoi documenti conclusivi. Perché prendere in esame proprio Bolzano? Intanto perché la diocesi guidata dal vescovo Ivo Muser, per ragioni storiche e linguistiche, è sempre stata aperta al riformismo ecclesiale dell’area di lingua tedesca e poi perché è una diocesi coraggiosa: il vescovo predecedente mons. Golser fu l’unico in tutto l’episcopato d’Italia ad aprire nel 2010 spontaneamente un’inchiesta a tutto campo sugli abusi sessuali accaduti nella sua giurisdizione, punendo chi di dovere e occupandosi delle vittime.
Il seme della predicazione bergogliana sembra caduto su terreno fertile nel “Documento programmatico”, in cui le prime parole non sono dedicate a una rivendicazione di verità o di ammaestramento, ma all’“amore per il prossimo”. La Chiesa locale di Bolzano-Bressanone ha ben presente che essere cristiani non si esaurisce nell’andare a messa, ma in un impegno di testimonianza per collaborare alla costruzione di una “società solidale, più giusta, libera, umana”, perché il mondo e l’ambiente non sono uno “spazio vitale per pochi privilegiati, ma per tutti gli esseri viventi di oggi e domani”.
Testimoniare il Vangelo, in questa visione, non significa ignorare i conflitti, ma affrontarli in modo non-violento, disinnescandoli, superando le diseguaglianze. Impegnarsi in politica, come diceva Paolo VI, è una missione esigente, che deve mirare a costruire una “comunità accogliente”, capace di offrire sviluppo autentico per tutti.
In questo quadro, etica ed economia non sono sfere estranee l’una all’altra. La ricerca delle risorse, i finanziamenti, la produzione, il consumo, ogni fase del ciclo economico “hanno ineluttabilmente implicazioni morali”, affermava già Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate. E Francesco denuncia le diseguaglianze, le nuove schiavitù, il nesso stretto tra degrado ambientale e degrado sociale.
I cattolici alto-atesini, nel loro sinodo unitario e trilingue, partono da lì con un’accentuazione: la Chiesa è credibile solo se i cristiani sono capaci di “agire nelle situazioni concrete”.
Con tono pacato, ma con coraggio l’assemblea diocesana ha affrontato anche nodi delicati dello sviluppo futuro della Chiesa. Il ruolo delle donne, il sacerdozio. “Donne e uomini – afferma il paragrafo 65 del documento finale, votato a maggioranza di due terzi – sono valorizzati alla pari nelle decisioni, nei servizi e nei ruoli di responsabilità all’interno della Chiesa”.
Un sondaggio formale, compiuto in seno all’assemblea, ha evidenziato che i fedeli sono pronti a sostenere il movimento riformatore innescato da Francesco. “L’ordine è aperto a tutti i battezzati e cresimati, donne e uomini”. Si tratta dell’ordine sacerdotale, tanto per capirsi. (62per cento Sì, 33 No , 4 astenuti). “L’ordine non è legato a una forma di vita vincolante”. (70 p.c. Sì, 24 No, 6 Astenuti).
Inutile dire che la sintonia con la visione di Francesco in tema familiare è piena: “Il fallimento umano nel sacramento del matrimonio non esclude, dopo un processo di maturazione, un nuovo inizio e non è motivo di esclusione dai sacramenti”. Posizione condivisa da uno schiacciante 80 per cento di voti. La valutazione assemblare è avvenuta prima delle conclusioni contorte del Sinodo mondiale dei vescovi 2015 in Vaticano. E getta una luce interessante su quali potevano essere nell’Italia tutta le risposte al sondaggio, che Francesco voleva nel 2014 rivolto a tutti i fedeli, e che la Cei ha svolto in maniera verticistica, non rivelandone mai né le modalità né le conclusioni.
Colpisce nel programma delineato dal cattolicesimo alto-atesino lo spirito fortemente non-clericale. Tutti: preti, diaconi, laici, uomini e donne credenti sono corresponsabili di un annuncio del Vangelo gioioso, non moralistico. Nel segno di Francesco si respira aria fresca. Nell’esperienza delle varie confessioni cristiane si scorge la “fantasia di Dio”, l’incontro con le altre religioni sia occasione per un impegno di pace e giustizia, il confronto con l’ateismo pratico può essere occasione di riflessione sulle proprie mancanze. C’è molta freschezza nel linguaggio. Gli immigrati sono “i nuovi cittadini”. Per chi crede in Dio fatto uomo, “nessuna persona è estranea o lontana”. Per la Chiesa è essenziale la “trasparenza”.
Camminare senza aver paura. Così una Chiesa locale riparte da Francesco.
Seguendo Francesco, la Chiesa è credibile solo se i cristiani agiscono
di Marco Politi | 9 gennaio 2017
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La rivoluzione di Francesco non può procedere se rimane solo addossata sulle spalle del pontefice argentino. Diventa cruciale il rinnovamento (o il non rinnovamento) nelle migliaia di diocesi, che costituiscono i terminali nervosi del grande “corpo” cattolico di un miliardo e duecento milioni di fedeli. Qualcosa comincia a muoversi sotto la spinta dell’impulso bergogliano e uno degli indicatori è lo svolgimento dei sinodi diocesani: gli stati generali di preti, religiosi, religiose e laici, riuniti per fare il punto della situazione e riflettere sulla direzione da prendere per annunciare e vivere il Vangelo nel tempo attuale.
Interessante da questo punto di vista è il sinodo della diocesi di Bolzano-Bressanone, che dopo un biennio di lavori ha pubblicato nel 2016 i suoi documenti conclusivi. Perché prendere in esame proprio Bolzano? Intanto perché la diocesi guidata dal vescovo Ivo Muser, per ragioni storiche e linguistiche, è sempre stata aperta al riformismo ecclesiale dell’area di lingua tedesca e poi perché è una diocesi coraggiosa: il vescovo predecedente mons. Golser fu l’unico in tutto l’episcopato d’Italia ad aprire nel 2010 spontaneamente un’inchiesta a tutto campo sugli abusi sessuali accaduti nella sua giurisdizione, punendo chi di dovere e occupandosi delle vittime.
Il seme della predicazione bergogliana sembra caduto su terreno fertile nel “Documento programmatico”, in cui le prime parole non sono dedicate a una rivendicazione di verità o di ammaestramento, ma all’“amore per il prossimo”. La Chiesa locale di Bolzano-Bressanone ha ben presente che essere cristiani non si esaurisce nell’andare a messa, ma in un impegno di testimonianza per collaborare alla costruzione di una “società solidale, più giusta, libera, umana”, perché il mondo e l’ambiente non sono uno “spazio vitale per pochi privilegiati, ma per tutti gli esseri viventi di oggi e domani”.
Testimoniare il Vangelo, in questa visione, non significa ignorare i conflitti, ma affrontarli in modo non-violento, disinnescandoli, superando le diseguaglianze. Impegnarsi in politica, come diceva Paolo VI, è una missione esigente, che deve mirare a costruire una “comunità accogliente”, capace di offrire sviluppo autentico per tutti.
In questo quadro, etica ed economia non sono sfere estranee l’una all’altra. La ricerca delle risorse, i finanziamenti, la produzione, il consumo, ogni fase del ciclo economico “hanno ineluttabilmente implicazioni morali”, affermava già Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate. E Francesco denuncia le diseguaglianze, le nuove schiavitù, il nesso stretto tra degrado ambientale e degrado sociale.
I cattolici alto-atesini, nel loro sinodo unitario e trilingue, partono da lì con un’accentuazione: la Chiesa è credibile solo se i cristiani sono capaci di “agire nelle situazioni concrete”.
Con tono pacato, ma con coraggio l’assemblea diocesana ha affrontato anche nodi delicati dello sviluppo futuro della Chiesa. Il ruolo delle donne, il sacerdozio. “Donne e uomini – afferma il paragrafo 65 del documento finale, votato a maggioranza di due terzi – sono valorizzati alla pari nelle decisioni, nei servizi e nei ruoli di responsabilità all’interno della Chiesa”.
Un sondaggio formale, compiuto in seno all’assemblea, ha evidenziato che i fedeli sono pronti a sostenere il movimento riformatore innescato da Francesco. “L’ordine è aperto a tutti i battezzati e cresimati, donne e uomini”. Si tratta dell’ordine sacerdotale, tanto per capirsi. (62per cento Sì, 33 No , 4 astenuti). “L’ordine non è legato a una forma di vita vincolante”. (70 p.c. Sì, 24 No, 6 Astenuti).
Inutile dire che la sintonia con la visione di Francesco in tema familiare è piena: “Il fallimento umano nel sacramento del matrimonio non esclude, dopo un processo di maturazione, un nuovo inizio e non è motivo di esclusione dai sacramenti”. Posizione condivisa da uno schiacciante 80 per cento di voti. La valutazione assemblare è avvenuta prima delle conclusioni contorte del Sinodo mondiale dei vescovi 2015 in Vaticano. E getta una luce interessante su quali potevano essere nell’Italia tutta le risposte al sondaggio, che Francesco voleva nel 2014 rivolto a tutti i fedeli, e che la Cei ha svolto in maniera verticistica, non rivelandone mai né le modalità né le conclusioni.
Colpisce nel programma delineato dal cattolicesimo alto-atesino lo spirito fortemente non-clericale. Tutti: preti, diaconi, laici, uomini e donne credenti sono corresponsabili di un annuncio del Vangelo gioioso, non moralistico. Nel segno di Francesco si respira aria fresca. Nell’esperienza delle varie confessioni cristiane si scorge la “fantasia di Dio”, l’incontro con le altre religioni sia occasione per un impegno di pace e giustizia, il confronto con l’ateismo pratico può essere occasione di riflessione sulle proprie mancanze. C’è molta freschezza nel linguaggio. Gli immigrati sono “i nuovi cittadini”. Per chi crede in Dio fatto uomo, “nessuna persona è estranea o lontana”. Per la Chiesa è essenziale la “trasparenza”.
Camminare senza aver paura. Così una Chiesa locale riparte da Francesco.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
LA VOX POPULI
andrea1961 • 36 minuti fa
io di credibile non vedo molto,ne la chiesa ne i cristiani...
△ ▽
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Ermenegildo Zecca • 39 minuti fa
Gentile Dr. Marco Politi lei afferma : " la Chiesa è credibile solo se i cristiani sono capaci di “agire nelle situazioni concrete”. Non condivido del tutto la Sua opinione. I cristiani saranno capaci di agire.............se i componenti clericali della Chiesa indicano la retta via e, soprattutto, se costituiscono esempio illuminante nella vita quotidiana. Ad esempio sono persuaso che sarebbe cosa buona se le Chiese fossero mantenute, ordinate e pulite, evitando di inserire, se non necessarie, opere architettoniche dispendiose. E. Zecca. Pavia.
△ ▽
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stromatolito • un'ora fa
ho ascoltato l'intervista fatta ad un frate sul canale 28, egli afferma che fransisco è Gesù, voi mangiaparticole non vi pare di esagerare ?, credete davvero di poter ridurre la sua figura al potere temporale di una istituzione ?, che stolti.
1 △ ▽
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Gianni • un'ora fa
mi sono proprio rotto, ho bisogno di un filtro che mi tolga tutte le notizie sul clero
△ ▽
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Franchino • un'ora fa
Iniziando per esempio a non dare la comunione a Renzie perchè altrimenti non ci vengano a dire che bisogna pentirsi sinceramente dei propri peccati per essere assolti.
△ ▽
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Chicco • un'ora fa
Per rendere credibile la Chiesa ci vorrebbe… Un miracolo!
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anna • un'ora fa
mia zia era suora, insegnava in una scuola cattolica, ovviamente frequentata solo da bimbi benestanti, la mia famiglia in bolletta e numerosa, ogni tanto andavo in vacanza da lei, mi colpiva sempre il tenore di vita,. avevano una cucina tipo ristorante con ogni ben di Dio,in poche parole a casa mia non avevo le stesso menù e tantomeno le stesse comodità.
Poi mia zia, ormai anziana, è andata in crisi e voleva lasciare tutto, non dico quello che ha subito per riavere la libertà (pressioni psicologiche, non la lasciavano più uscire da sola ma sempre con le sorelle)
E' entrata in convento appena diplomata, mia nonna diceva sempre "ho speso più per il matrimonio di tua zia con il signore che per tua mamma!"
ha dato al convento la dote in biancheria compreso i materassi più una
cifra in denaro. Ovviamente ,a mia zia, non hanno restituito nulla. Poi
grazie ad un avvocato è riuscita ad avere del denaro.
Aveva insegnato in una loro scuola per quasi tutta la vita,e la scuola in questione si faceva pagare molto bene, ma anche se non avesse lavorato, è cristiano lasciare una donna anziana in mezzo alla strada senza nulla??
△ ▽
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andrea1961 • 36 minuti fa
io di credibile non vedo molto,ne la chiesa ne i cristiani...
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Ermenegildo Zecca • 39 minuti fa
Gentile Dr. Marco Politi lei afferma : " la Chiesa è credibile solo se i cristiani sono capaci di “agire nelle situazioni concrete”. Non condivido del tutto la Sua opinione. I cristiani saranno capaci di agire.............se i componenti clericali della Chiesa indicano la retta via e, soprattutto, se costituiscono esempio illuminante nella vita quotidiana. Ad esempio sono persuaso che sarebbe cosa buona se le Chiese fossero mantenute, ordinate e pulite, evitando di inserire, se non necessarie, opere architettoniche dispendiose. E. Zecca. Pavia.
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stromatolito • un'ora fa
ho ascoltato l'intervista fatta ad un frate sul canale 28, egli afferma che fransisco è Gesù, voi mangiaparticole non vi pare di esagerare ?, credete davvero di poter ridurre la sua figura al potere temporale di una istituzione ?, che stolti.
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Gianni • un'ora fa
mi sono proprio rotto, ho bisogno di un filtro che mi tolga tutte le notizie sul clero
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Franchino • un'ora fa
Iniziando per esempio a non dare la comunione a Renzie perchè altrimenti non ci vengano a dire che bisogna pentirsi sinceramente dei propri peccati per essere assolti.
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Chicco • un'ora fa
Per rendere credibile la Chiesa ci vorrebbe… Un miracolo!
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anna • un'ora fa
mia zia era suora, insegnava in una scuola cattolica, ovviamente frequentata solo da bimbi benestanti, la mia famiglia in bolletta e numerosa, ogni tanto andavo in vacanza da lei, mi colpiva sempre il tenore di vita,. avevano una cucina tipo ristorante con ogni ben di Dio,in poche parole a casa mia non avevo le stesso menù e tantomeno le stesse comodità.
Poi mia zia, ormai anziana, è andata in crisi e voleva lasciare tutto, non dico quello che ha subito per riavere la libertà (pressioni psicologiche, non la lasciavano più uscire da sola ma sempre con le sorelle)
E' entrata in convento appena diplomata, mia nonna diceva sempre "ho speso più per il matrimonio di tua zia con il signore che per tua mamma!"
ha dato al convento la dote in biancheria compreso i materassi più una
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grazie ad un avvocato è riuscita ad avere del denaro.
Aveva insegnato in una loro scuola per quasi tutta la vita,e la scuola in questione si faceva pagare molto bene, ma anche se non avesse lavorato, è cristiano lasciare una donna anziana in mezzo alla strada senza nulla??
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
CRISTO SI E’ FERMATO AD EMPOLI
Parafrasando il più noto: CRISTO SI E’ FERMATO AD EBOLI, di Carlo Levi.
Levi, "Cristo si è fermato a Eboli": riassunto e commento
A cura di Alessandro Cane
34035 visite
Cristo si è fermato a Eboli è un romanzo autobiografico di Carlo Levi pubblicato da Einaudi nel 1945, in cui viene raccontata l’esperienza del confino in Lucania per motivi politici subito dall’autore tra il 1935 e il 1936.
Il protagonista, giunto nel paesino di Aliano (che nel libro prende il nome di Gagliano), deve confrontarsi con la profonda lontananza della campagna lucana dal mondo moderno e dallo sviluppo culturale e tecnologico della società: il titolo, modellato su un proverbio del luogo, identifica appunto la civiltà con "Cristo", e spiega che quest'ultimo si è fermato ad Eboli, parecchi chilometri più a nord di questo mondo arcaico.
Si tratta di un confronto tra un giovane intellettuale, scrittore e pittore, esponente della buona borghesia torinese e coinvolto politicamente nella lotta al fascismo e vittima delle persecuzione del regime (Carlo Levi fa parte del movimento “Giustizia e libertà”, fondato nel 1928 da Carlo Rosselli), e una realtà contadina e rurale legata ancora a tradizioni pagane, superstizioni e stregonerie varie, e succube di una borghesia parassitaria, che vive sulle spalle di gran parte della popolazione locale, priva di qualsiasi strumento di ribellione e riscatto.
Gli abitanti di Gagliano colpiscono subito la fantasia dello scrittore, che, mettendo a frutto la sua laurea in medicina, cerca di sollevare le difficili condizioni di vita dei contadini, falciati dalle malattie e dalla malaria.
L'attenzione antropologica dell'autore per questa realtà così distante dal suo mondo di provenienza si mescola con la narrazione dei mesi di confino.
Levi descrive le figure più emblematiche che incontra (dalla domestica Giulia, che svolge anche la professione di "strega", fino al parroco don Trajella e al "sanaporcelle", a metà strada tra un mago e un veterinario) e fissa anche alcuni caratteri di fondo della cosidetta "questione meridionale".
Per il contadino lucano, infatti, lo Stato unitario è un'entità astratta e sconosciuta, spesso visto come un nemico terribile e incomprensibile, che impone la sua presenza e al quale bisogna solo rassegnarsi:
[...] Lo Stato è più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre dall'altra parte.
Non importa quali siano le sue formule politiche, la sua struttura, i suoi programmi.
I contadini non li capiscono [...]
La sola possibile difesa, contro lo Stato e contro la propaganda, è la rassegnazione, la stessa cupa rassegnazione, senza speranza di paradiso, che curva le loro schiene sotto i mali della natura.
Se il narratore è attratta dal mondo contadino, egli prova ribrezzo per i pochi rappresentanti della classe borghese, cui imputa le disastrate condizioni di vita del paese.
Questi personaggi, spesso collusi col potere fascista, sono descritti in maniera caricaturale, insistendo sulle loro manie comportamentali o sulla loro miseria etica (“gentucola meschina, oziosa, capace solo di risentimenti squallidi e sorretta da una protervia occhiuta”, come spiega Vittorio Spinazzola in Letteratura e popolo borghese, p. 279).
Al tempo stesso, il narratore ha modo di osservare con cura il mondo fisico di Gagliano, concentrandosi, con l'occhio del pittore di professione, sia sui tratti fisici dei personaggi popolari, sia sul paesaggio, aspro e selvatico, della campagna lucana (che Levi riproduce in molte sue tele del periodo).
Per tutti questi motivi, Cristo si è fermato ad Eboli non è solo un romanzo autobiografico, ma anche un'attenta analisi storico-politica sul Meridione e sulle ragioni della sua cronica arretratezza; non a caso, il libro venne inizialmente pubblicato da Einaudi in una collana di saggistica, suscitando un dibattito acceso anche in Parlamento.
Se per Italo Calvino il protagonista “è un uomo impegnato nella storia che viene a trovarsi nel cuore d’un Sud stregonesco, magico, e vede che quelle che erano per lui le ragioni in gioco qui non valgono più, sono in gioco altre ragioni, altre opposizioni nello stesso tempo più complesse e più elementari” (“Galleria”, 3-6, 1967, pp. 237-40), l'intento di Levi è quello di unire narrazione romanzesca e messaggio etico-politico da destinare all'Italia appena uscita dalle devastazioni del secondo conflitto mondiale.
Significativa è allora la conclusione del romanzo: Levi, sulla strada del ritorno dal confino grazie all'amnistia per il trionfo nella guerra d'Etiopia, riflette sulla sua esperienza come uomo e come cittadino (pp. 219-223):
Tutti mi avevano chiesto notizie del mezzogiorno [...]
Alcuni vedevano in esso un puro problema economico e tecnico, parlavano di opere pubbliche, di bonifiche, di necessaria industrializzazione, di colonizzazione interna, o si riferivano ai vecchi programmi socialisti, 'rifare l'Italia'.
Altri non vi vedevano che una triste eredità storica, una tradizione di borbonica servitù che una democrazia liberale avrebbe un po' per volta eliminato.
Altri sentenziavano non essere altro, il problema meridionale, che un caso particolare della oppressione capitalistica, che la dittatura del proletariato avrebbe senz'altro risolto.
Altri ancora pensavano a una vera inferiorità di razza, e parlavano del sud come di un peso morto, per l'Italia del Nord, e studiavano le provvidenze per ovviare, dall'alto, a questo doloroso dato di fatto.
Per tutti, lo Stato avrebbe potuto fare qualcosa, qualcosa di molto utile, benefico, e provvidenziale […] e mi avevano guardato con stupore quando io avevo detto che lo Stato, come essi lo intendevano, era invece l'ostacolo fondamentale a che si facesse qualunque cosa.
Non può essere lo Stato, avevo detto, a risolvere la questione meridionale, per la ragione che quello che noi chiamiamo problema meridionale non è altro che il problema dello Stato.
CONTINUA
Parafrasando il più noto: CRISTO SI E’ FERMATO AD EBOLI, di Carlo Levi.
Levi, "Cristo si è fermato a Eboli": riassunto e commento
A cura di Alessandro Cane
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Cristo si è fermato a Eboli è un romanzo autobiografico di Carlo Levi pubblicato da Einaudi nel 1945, in cui viene raccontata l’esperienza del confino in Lucania per motivi politici subito dall’autore tra il 1935 e il 1936.
Il protagonista, giunto nel paesino di Aliano (che nel libro prende il nome di Gagliano), deve confrontarsi con la profonda lontananza della campagna lucana dal mondo moderno e dallo sviluppo culturale e tecnologico della società: il titolo, modellato su un proverbio del luogo, identifica appunto la civiltà con "Cristo", e spiega che quest'ultimo si è fermato ad Eboli, parecchi chilometri più a nord di questo mondo arcaico.
Si tratta di un confronto tra un giovane intellettuale, scrittore e pittore, esponente della buona borghesia torinese e coinvolto politicamente nella lotta al fascismo e vittima delle persecuzione del regime (Carlo Levi fa parte del movimento “Giustizia e libertà”, fondato nel 1928 da Carlo Rosselli), e una realtà contadina e rurale legata ancora a tradizioni pagane, superstizioni e stregonerie varie, e succube di una borghesia parassitaria, che vive sulle spalle di gran parte della popolazione locale, priva di qualsiasi strumento di ribellione e riscatto.
Gli abitanti di Gagliano colpiscono subito la fantasia dello scrittore, che, mettendo a frutto la sua laurea in medicina, cerca di sollevare le difficili condizioni di vita dei contadini, falciati dalle malattie e dalla malaria.
L'attenzione antropologica dell'autore per questa realtà così distante dal suo mondo di provenienza si mescola con la narrazione dei mesi di confino.
Levi descrive le figure più emblematiche che incontra (dalla domestica Giulia, che svolge anche la professione di "strega", fino al parroco don Trajella e al "sanaporcelle", a metà strada tra un mago e un veterinario) e fissa anche alcuni caratteri di fondo della cosidetta "questione meridionale".
Per il contadino lucano, infatti, lo Stato unitario è un'entità astratta e sconosciuta, spesso visto come un nemico terribile e incomprensibile, che impone la sua presenza e al quale bisogna solo rassegnarsi:
[...] Lo Stato è più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre dall'altra parte.
Non importa quali siano le sue formule politiche, la sua struttura, i suoi programmi.
I contadini non li capiscono [...]
La sola possibile difesa, contro lo Stato e contro la propaganda, è la rassegnazione, la stessa cupa rassegnazione, senza speranza di paradiso, che curva le loro schiene sotto i mali della natura.
Se il narratore è attratta dal mondo contadino, egli prova ribrezzo per i pochi rappresentanti della classe borghese, cui imputa le disastrate condizioni di vita del paese.
Questi personaggi, spesso collusi col potere fascista, sono descritti in maniera caricaturale, insistendo sulle loro manie comportamentali o sulla loro miseria etica (“gentucola meschina, oziosa, capace solo di risentimenti squallidi e sorretta da una protervia occhiuta”, come spiega Vittorio Spinazzola in Letteratura e popolo borghese, p. 279).
Al tempo stesso, il narratore ha modo di osservare con cura il mondo fisico di Gagliano, concentrandosi, con l'occhio del pittore di professione, sia sui tratti fisici dei personaggi popolari, sia sul paesaggio, aspro e selvatico, della campagna lucana (che Levi riproduce in molte sue tele del periodo).
Per tutti questi motivi, Cristo si è fermato ad Eboli non è solo un romanzo autobiografico, ma anche un'attenta analisi storico-politica sul Meridione e sulle ragioni della sua cronica arretratezza; non a caso, il libro venne inizialmente pubblicato da Einaudi in una collana di saggistica, suscitando un dibattito acceso anche in Parlamento.
Se per Italo Calvino il protagonista “è un uomo impegnato nella storia che viene a trovarsi nel cuore d’un Sud stregonesco, magico, e vede che quelle che erano per lui le ragioni in gioco qui non valgono più, sono in gioco altre ragioni, altre opposizioni nello stesso tempo più complesse e più elementari” (“Galleria”, 3-6, 1967, pp. 237-40), l'intento di Levi è quello di unire narrazione romanzesca e messaggio etico-politico da destinare all'Italia appena uscita dalle devastazioni del secondo conflitto mondiale.
Significativa è allora la conclusione del romanzo: Levi, sulla strada del ritorno dal confino grazie all'amnistia per il trionfo nella guerra d'Etiopia, riflette sulla sua esperienza come uomo e come cittadino (pp. 219-223):
Tutti mi avevano chiesto notizie del mezzogiorno [...]
Alcuni vedevano in esso un puro problema economico e tecnico, parlavano di opere pubbliche, di bonifiche, di necessaria industrializzazione, di colonizzazione interna, o si riferivano ai vecchi programmi socialisti, 'rifare l'Italia'.
Altri non vi vedevano che una triste eredità storica, una tradizione di borbonica servitù che una democrazia liberale avrebbe un po' per volta eliminato.
Altri sentenziavano non essere altro, il problema meridionale, che un caso particolare della oppressione capitalistica, che la dittatura del proletariato avrebbe senz'altro risolto.
Altri ancora pensavano a una vera inferiorità di razza, e parlavano del sud come di un peso morto, per l'Italia del Nord, e studiavano le provvidenze per ovviare, dall'alto, a questo doloroso dato di fatto.
Per tutti, lo Stato avrebbe potuto fare qualcosa, qualcosa di molto utile, benefico, e provvidenziale […] e mi avevano guardato con stupore quando io avevo detto che lo Stato, come essi lo intendevano, era invece l'ostacolo fondamentale a che si facesse qualunque cosa.
Non può essere lo Stato, avevo detto, a risolvere la questione meridionale, per la ragione che quello che noi chiamiamo problema meridionale non è altro che il problema dello Stato.
CONTINUA
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA
Tutte e due le facce, tendono alla Jihad.
I falsi cattolici e i falsi islamici.
Se il Papa abbraccia un falso uomo di pace
Aperta in Vaticano l'ambasciata di un Paese che non esiste e dove si vessano i cristiani
Fiamma Nirenstein - Dom, 15/01/2017 - 10:00
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Dopo lo stupefacente successo di pochi giorni fa all'Onu con la supervisione oculata di Obama, è difficile sottrarsi alla sensazione che la visita di Abu Mazen da Papa Francesco sulla strada per Parigi dove partecipa oggi alla Conferenza voluta dal presidente Hollande cui sono invitati più di 70 ministri degli esteri all'evidente scopo di mettere Israele all'angolo, non sia parte della medesima passeggiata trionfale per cui si sono mobilitati molti leader occidentali.
Perché per quanto si sventolino le bandiere della pace e della lotta al terrorismo, un'occhiata anche superficiale alla politica di Abu Mazen rende molto difficile pensare che papa Francesco possa credere, se ha dei consiglieri informati, di avere abbracciato ieri l'uomo della pace in Medio Oriente. Di più: che sia un gesto utile quello fatto ieri di aprire un'ambasciata della «Palestina» in Vaticano. Un Paese che per ora non esiste è stato riconosciuto con i crismi della diplomazia, mentre per riconoscere Israele ci sono voluti quasi cinquant'anni e la grande coscienza europea dolente di papa Giovanni Paolo.
Dunque Abu Mazen nell'ambito di un'offensiva diplomatica a 360 gradi ha varcato ieri le soglie del Vaticano, ha ricevuto abbracci e doni e la garanzia che il Papa vede la Palestina come uno Stato già formato e Abu Mazen come un personaggio da sostenere, un capo di Stato. Ma il Papa, che è uomo di esperienza, sa bene di che Stato si tratta: Abu Mazen domina il suo popolo col pugno di ferro dal 2005, le elezioni si sarebbero dovute tenere nel 2009 e invece si sono perse di vista, nessun Paese moderno e democratico potrebbe sopportare il regime di milizie che domina i territori palestinesi. Il ministro degli esteri Angelino Alfano, anche lui incontratosi ieri con Abu Mazen, ha vantato il dono dell'Italia di 240 milioni dal 2005 in aiuti, ma è stato sempre impossibile verificarne a fondo l'autentico utilizzo, mentre la ricchezza della leadership palestinese è nota e ostentata.
La parola d'ordine sullo sfondo della visita è stata «pace» e lo slogan «guerra al terrorismo»: ma è impossibile credere a Abu Mazen come autentico sostenitore della guerra al terrore. Si possono, certo, riportare le citazioni del suo ufficiale cordoglio per le stragi dei camion di Nizza e di Berlino, ma niente del genere si è avuto per il camion di Gerusalemme. La società palestinese è impregnata dell'impronta filo terrorista datagli prima dalla politica di Arafat e poi da quella di Abu Mazen.
Altrettanto necessario quanto una vera richiesta di impegno di pace contro il terrorismo da parte del Papa, sarebbe stata una verifica migliore delle intenzioni palestinesi verso i cristiani: i rapporti sono drammatici anche se Abu Mazen va alla messa di Natale a Betlemme: qui i pochi superstiti (dall'86 per cento negli anni Cinquanta a circa il 10 per cento oggi) raccontano pesanti discriminazioni specie verso le donne. Tanti cronisti, fra cui la sottoscritta, ne hanno raccontato in presa diretta. È una storia che la Chiesa conosce bene. E tuttavia ha mandato Abu Mazen a Parigi con una nuova medaglia. Perché?
Tutte e due le facce, tendono alla Jihad.
I falsi cattolici e i falsi islamici.
Se il Papa abbraccia un falso uomo di pace
Aperta in Vaticano l'ambasciata di un Paese che non esiste e dove si vessano i cristiani
Fiamma Nirenstein - Dom, 15/01/2017 - 10:00
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Dopo lo stupefacente successo di pochi giorni fa all'Onu con la supervisione oculata di Obama, è difficile sottrarsi alla sensazione che la visita di Abu Mazen da Papa Francesco sulla strada per Parigi dove partecipa oggi alla Conferenza voluta dal presidente Hollande cui sono invitati più di 70 ministri degli esteri all'evidente scopo di mettere Israele all'angolo, non sia parte della medesima passeggiata trionfale per cui si sono mobilitati molti leader occidentali.
Perché per quanto si sventolino le bandiere della pace e della lotta al terrorismo, un'occhiata anche superficiale alla politica di Abu Mazen rende molto difficile pensare che papa Francesco possa credere, se ha dei consiglieri informati, di avere abbracciato ieri l'uomo della pace in Medio Oriente. Di più: che sia un gesto utile quello fatto ieri di aprire un'ambasciata della «Palestina» in Vaticano. Un Paese che per ora non esiste è stato riconosciuto con i crismi della diplomazia, mentre per riconoscere Israele ci sono voluti quasi cinquant'anni e la grande coscienza europea dolente di papa Giovanni Paolo.
Dunque Abu Mazen nell'ambito di un'offensiva diplomatica a 360 gradi ha varcato ieri le soglie del Vaticano, ha ricevuto abbracci e doni e la garanzia che il Papa vede la Palestina come uno Stato già formato e Abu Mazen come un personaggio da sostenere, un capo di Stato. Ma il Papa, che è uomo di esperienza, sa bene di che Stato si tratta: Abu Mazen domina il suo popolo col pugno di ferro dal 2005, le elezioni si sarebbero dovute tenere nel 2009 e invece si sono perse di vista, nessun Paese moderno e democratico potrebbe sopportare il regime di milizie che domina i territori palestinesi. Il ministro degli esteri Angelino Alfano, anche lui incontratosi ieri con Abu Mazen, ha vantato il dono dell'Italia di 240 milioni dal 2005 in aiuti, ma è stato sempre impossibile verificarne a fondo l'autentico utilizzo, mentre la ricchezza della leadership palestinese è nota e ostentata.
La parola d'ordine sullo sfondo della visita è stata «pace» e lo slogan «guerra al terrorismo»: ma è impossibile credere a Abu Mazen come autentico sostenitore della guerra al terrore. Si possono, certo, riportare le citazioni del suo ufficiale cordoglio per le stragi dei camion di Nizza e di Berlino, ma niente del genere si è avuto per il camion di Gerusalemme. La società palestinese è impregnata dell'impronta filo terrorista datagli prima dalla politica di Arafat e poi da quella di Abu Mazen.
Altrettanto necessario quanto una vera richiesta di impegno di pace contro il terrorismo da parte del Papa, sarebbe stata una verifica migliore delle intenzioni palestinesi verso i cristiani: i rapporti sono drammatici anche se Abu Mazen va alla messa di Natale a Betlemme: qui i pochi superstiti (dall'86 per cento negli anni Cinquanta a circa il 10 per cento oggi) raccontano pesanti discriminazioni specie verso le donne. Tanti cronisti, fra cui la sottoscritta, ne hanno raccontato in presa diretta. È una storia che la Chiesa conosce bene. E tuttavia ha mandato Abu Mazen a Parigi con una nuova medaglia. Perché?
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Fiamma Nirenstein
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://it.wikipedia.org/wiki/Fiamma_Nirenstein
Fiamma Nirenstein (Firenze, 18 dicembre 1945) è una giornalista, scrittrice e politica italiana naturalizzata israeliana.
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
Famiglia e vita privata[modifica | modifica wikitesto]
Fiamma Nirenstein è figlia di Aron Albert Nirensztejn/Nirenstajn / Alberto Nirenstein (Baranow, 1915), soldato polacco della brigata ebraica alleata sbarcata a Salerno, unico scampato della sua famiglia all'Olocausto e in seguito emigrato in Israele,[1] e di Wanda Lattes, giornalista fiorentina del Corriere della Sera, comunista e partigiana di Giustizia e Libertà. Affermò: “io sono nata comunista“.[2] I Nirenstein hanno tre figlie; una sorella di Fiamma, Susanna Nirenstein, è giornalista per la Repubblica [3]
Fiamma Nirenstein
FiammaNirenstein.JPG
Deputato della Repubblica Italiana
Legislature
XVI
Gruppo
parlamentare
PDL
Coalizione
Popolo della Libertà
Circoscrizione
Liguria
Incarichi parlamentari
Vicepresidente Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati
Dati generali
Partito politico
Popolo della Libertà
Titolo di studio
Laurea in storia moderna
Professione
Giornalista
Sarà pure nata comunista, ma ne conosciamo molto il pensiero da adulta-
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
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Fiamma Nirenstein (Firenze, 18 dicembre 1945) è una giornalista, scrittrice e politica italiana naturalizzata israeliana.
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Famiglia e vita privata[modifica | modifica wikitesto]
Fiamma Nirenstein è figlia di Aron Albert Nirensztejn/Nirenstajn / Alberto Nirenstein (Baranow, 1915), soldato polacco della brigata ebraica alleata sbarcata a Salerno, unico scampato della sua famiglia all'Olocausto e in seguito emigrato in Israele,[1] e di Wanda Lattes, giornalista fiorentina del Corriere della Sera, comunista e partigiana di Giustizia e Libertà. Affermò: “io sono nata comunista“.[2] I Nirenstein hanno tre figlie; una sorella di Fiamma, Susanna Nirenstein, è giornalista per la Repubblica [3]
Fiamma Nirenstein
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
A FRANCESCO DOMENICA IL PRANZO SARA' ANDATO PER TRAVERSO.
LA COPERTINA DELL'ESPRESSO NON SARA' SFUGGITA AI SUOI COLLABORATORI.
Esclusivo
Così il Vaticano protegge i preti pedofili
Alti prelati del Vaticano, italiani e stranieri. Molto vicini a papa Francesco. Che per anni hanno insabbiato le violenze sessuali sui minori da parte degli orchi con la tonaca. Lo rivela "Lussuria", il nuovo libro del giornalista processato dalla Santa Sede per Vatileaks. Che fa luce su responsabilità, silenzi e omertà
di Emiliano Fittipaldi
16 gennaio 2017
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Tre cardinali che hanno protetto sacerdoti pedofili sono stati promossi nel C9, il gruppo di nove alti prelati che assistono papa Francesco nel governo della Chiesa Universale. Altre quattro porpore italiane e straniere che non hanno denunciato predatori seriali e che hanno cercato di proteggere le casse della Chiesa dalle richieste di risarcimenti alle vittime, sono ascesi sulla cima della scala gerarchica della Santa Sede. In Italia, Spagna, Francia, Belgio e Sud America altri vescovi insabbiatori sono stati premiati con incarichi importanti, o graziati di recente con sentenze canoniche discutibili.
Insomma, se il Vaticano ha dichiarato da tempo guerra aperta ai crimini sessuali dei suoi preti nei confronti di bambini e ragazzine («una battaglia cruciale, che va vinta ad ogni costo», ha detto e ripetuto papa Francesco fin dall’inizio della sua elezione al soglio petrino) a quasi quattro anni dall’inizio del pontificato di Bergoglio la lotta mostra più di una crepa. Non solo per alcune nomine che appaiono sorprendenti, ma anche perché il fenomeno degli orchi in tonaca continua ad avere numeri impressionanti: tra il 2013 e il 2015 fonti interne alla Congregazione per la dottrina per la fede spiegano che sono arrivate dalle diocesi sparse per il mondo ben 1200 denunce di casi “verosimili” di predatori e molestatori di minorenni.
Un numero praticamente raddoppiato rispetto a quelli rilevati nel periodo che va dal 2005 al 2009: il trend dimostra come il cancro non è stato affatto estirpato.
Se delle denunce, delle vittime e dei carnefici non si sa praticamente nulla (ancora oggi i processi canonici sono sotto segreto pontificio, e chi tradisce la regola del silenzio rischia pene severissime, scomunica compresa), e se la commissione antipedofilia voluta da Francesco si è riunita in sede plenaria solo tre volte dalla sua nascita nel 2014 senza essere riuscita nemmeno a inserire nelle norme vaticane l’obbligo di denuncia alla magistratura ordinaria, in “Lussuria”, il libro che uscirà per Feltrinelli giovedì 19 gennaio, si raccontano storie inedite di insabbiamenti di altissimi prelati in tutto il mondo, di scandali sessuali coperti dal Vaticano per timore di ripercussioni mediatiche, del sistema di protezione messo in piedi in Italia e di lobby ecclesiastiche unite dagli interessi economici e dalle medesime inclinazioni sessuali.
L’UOMO NERO IN VATICANO
La storia di George Pell è emblematica. Il cardinale australiano è stato chiamato da Francesco a Roma con l’intento di “moralizzare” la corrotta curia romana. Pell, oggi, è il capo della potente Segreteria dell’Economia. Di fatto, il numero tre del Vaticano. Leggendo le carte della Royal Commission che sta indagando sui preti pedofili, i documenti riservati della vecchia diocesi della porpora, i bilanci della chiesa australiana e alcune lettere firmate dal prelato e dai suoi avvocati, non sembra che Bergoglio abbia puntato sull’uomo giusto. Non solo perché da qualche mese è accusato da cinque persone di aver commesso lui stesso abusi sessuali tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta (il cardinale smentisce ogni responsabilità, con sdegno), ma perché troppe volte, di fronte a crimini sessuali di sacerdoti, negò alle vittime giustizia e compassione pur riconoscendo la veridicità delle loro denunce. Come scrive la commissione d’inchiesta, «mancò di agire equamente da un punto di vista cristiano». È certo che Pell cercò di minimizzare le violenze e di proteggere in ogni modo la cassaforte della sua diocesi dalle richieste di risarcimento dei sopravvissuti.
I documenti dei giudici dell’organismo voluto dal governo australiano sono un pugno nello stomaco. Partiamo dal caso della famiglia Foster. Davanti alla tragedia dei genitori Anthony e Christine, le cui figlie Emma e Katie sono state violentate da bambine dal preside della loro scuola cattolica don Kevin O’ Donnell, Pell ha prima tentato di evitare ogni incontro faccia a faccia («se incontro la famiglia Foster poi dovrò incontrare anche le altre. Il mio tempo è molto limitato. Perché sono diversi dagli altri casi?», si chiede nel 1996 in una lettera spedita ai suoi avvocati), poi ha provato a chiudere la faccenda con un risarcimento di appena 50 mila dollari australiani, pari a 30 mila euro. La signora Foster ha raccontato ai giudici che durante il primo incontro a casa loro, Pell - di fronte alle rimostranze del marito che accusava l’allora arcivescovo di voler proteggere il portafoglio della Chiesa - rispose secco: «Se non ti va bene quello che siamo facendo, portaci in tribunale». «In un secondo incontro con altri genitori di piccoli abusati da padre O’ Donnell» si legge negli atti della commissione «la signora Foster ricorda che davanti a una domanda su perché alcuni noti pedofili servivano ancora nelle parrocchie di Melbourne, l’arcivescovo Pell rispose: «È tutto un pettegolezzo, finché non ci sono prove in tribunale; e io non do ascolto ai gossip».
Il 26 agosto del 1998 Pell spedisce finalmente una lettera di scuse ai Foster, accompagnandola con l’offerta formale di risarcimento a favore della piccola Emma, formulata dall’avvocato di fiducia dell’arcidiocesi Richard Leder. Trentamila euro. «L’indennizzo è offerto dall’arcivescovo a Emma nella speranza che possano aiutare il suo recupero e fornire un’alternativa realistica a un contenzioso legale. Nel quale, altrimenti, ci difenderemo strenuamente». Ai genitori delle piccole, leggendo la missiva, sale la rabbia: sia per la cifra umiliante, sia per la minaccia - in caso di mancata accettazione della proposta - di «difendersi strenuamente». «Ammetto che sia stata un’espressione poco felice, ma credo che certe espressioni vadano lette in maniera non offensiva», ha detto Pell in un interrogatorio del 2014.
SENZA MISERICORDIA
I Foster, alla fine, si rassegnano. I soldi sono davvero pochi, ma li prendono. Serviranno a poco: nel 2008 Emma si è infatti suicidata con una dose letale di eroina, che le farà dimenticare per sempre le mani e gli occhi del suo vecchio preside.
Trentamila euro, o meglio 50 mila dollari australiani, sono in realtà l’offerta massima consentita dal sistema di risarcimento creato dal braccio destro di Francesco, il cosiddetto “Melbourne Response”. Un tetto innalzato a 75 mila euro nel 2008. Analizzando i dati contabili dell’arcidiocesi della città si scopre che tra il 1996 e il marzo del 2014 le circa trecento vittime che hanno chiesto i danni per le violenze dei sacerdoti hanno ottenuto in media 32 mila dollari a testa, circa 20 mila euro. Il prezzo di una Fiat 500 accessoriata.
Una miseria, anche perché l’arcidiocesi guidata fino al 2001 da Pell (nel marzo di quell’anno fu promosso vescovo di Sydney) è ricchissima. Controlla infatti due società, la Roman Catholic Trust Corporation e la Catholic Development Fund, che hanno in pancia contanti, proprietà immobiliari come appartamenti e palazzi, e fanno investimenti azionari e obbligazionari a sette zeri. Sommando il valore delle entrate, solo nel 2013 sono stati incassati, tra profitti finanziari e beneficenza dei fedeli, oltre 108 milioni di dollari australiani, mentre gli asset attualmente controllati dall’arcidiocesi valgono quasi 1,3 miliardi. Esatto: 1,3 miliardi di dollari. In pratica, per chiudere i fastidiosi contenziosi sulla vicenda pedofilia dei preti della città, Pell e i suoi successori hanno rinunciato a una cifra complessiva di appena 10 milioni di dollari australiani, pari allo 0,7 per cento del patrimonio della diocesi.
Qualche anno dopo aver accettato i soldi per le cure di Emma, i Foster decidono però di capire se la giustizia terrena sia meno avara di quella divina, e aprono un procedimento civile di fronte allo Stato di Victoria. Che capovolge la filosofia del Melbourne Response, riconoscendo come le cifre dei risarcimenti debbano essere molto più alte: alla fine della causa la Chiesa è costretta ad accettare una mediazione pagando i Foster ben 750 mila dollari.
Quello di Emma non è l’unico caso che imbarazza Pell. Tra le decine di migliaia di carte della Royal Commission ci sono anche i documenti e i verbali che provano come la sua diocesi, mentre lesinava aiuto alle vittime, non faceva mancare sostegno ai prelati pedofili usciti di prigione. Il successore di Pell, l’arcivescovo Denis James Hart famoso in Australia per aver scacciato una donna che voleva denunciare un’aggressione sessuale di un prete con l’epiteto «Vai all’inferno, cagna!», in un interrogatorio ha ammesso che la diocesi di Melbourne ha speso centinaia di migliaia di dollari per aiutare ex preti pedofili pagando loro sia lo stipendio sia l’affitto, la pensione, l’assicurazione sanitaria e persino quella dell’automobile.
Un documento interno del 2 ottobre 1996 segnala come Pell abbia presieduto una riunione dove lui e alti prelati discussero come poter aiutare tre preti (tra cui don Michael Glennon) dopo il loro rilascio dalla prigione. «Punto 15. Ipotesi su come aiutare i preti che stanno uscendo di galera» si legge nel verbale dell’incontro «Possibilità di un posto (appartamento indipendente) nel palazzo di Box Hill. Padre McMahon ha parlato di cure mediche necessarie, ed è stato invitato dall’arcivescovo Pell a far presente cosa serve alla loro assistenza». Se padre Wilfred Baker, che ha molestato 21 bambini, ha ricevuto dalla curia tra pensione e spese per l’affitto 21 mila dollari l’anno fino al 2014, (il massimo della pensione possibile, ha notato il giornale “The Age”), Desmond Gannon e David Daniel, anche loro condannati per crimini sessuali, hanno subito una semplice decurtazione della busta paga. I giudici hanno poi scoperto che una serie di giroconti finanziari per aiutare il pedofilo Gannon fu orchestrata in modo tale che «difficilmente la notizia dell’aiuto sarebbe diventata di dominio pubblico». Per la cronaca, i denari per aiutare i preti australiani caduti in disgrazia sono stati prelevati dal Fondo pensione del clero, che è per gran parte finanziato dai contributi dei parrocchiani. Tra loro, paradossalmente, c’erano anche alcune famiglie degli abusati.
INSABBIAMENTI
Ma il cardinale promosso da Francesco ha altri scheletri nell’armadio: ha protetto l’orco seriale Gerald Risdale (suo ex coinquilino, negli atti della Royal Commission spunta una foto che ritrae Pell a braccetto con il maniaco: nonostante le pesanti accuse aveva deciso di accompagnarlo alla prima udienza del processo; è un fatto che né Pell né altri vescovi cattolici abbiano mai accompagnato in tribunale le vittime dei loro colleghi predatori), né ha voluto ascoltare un ragazzo che lo avvertì come un sacerdote, Edward Dowlan, avesse abusato di alcuni ragazzini di un collegio cattolico di Ballarat, la città natale del cardinale («Mi disse: “Non essere ridicolo”, uscendo dalla stanza senza degnarmi di altre attenzioni» mette a verbale il testimone Timothy Green, «la sua reazione mi ha dato l’impressione che lui conoscesse fratello Dowlan, ma che non potesse o volesse fare nulla a riguardo»).
Non è tutto. Il ministro economico del Vaticano avrebbe anche tentato di corrompere una vittima («mi chiese cosa volessi per tenermi tranquillo», racconta il nipote abusato di padre Risdale. «Chiamai sconvolto mia sorella dicendogli: Il bastardo ha cercato di corrompermi»), e ha mentito per iscritto almeno su un altro caso di pedofilia, in modo da evitare di pagare risarcimenti alla vittima. Nonostante accuse circostanziate, decine di testimonianze durissime e documenti che dimostrano insabbiamenti e leggerezze, Pell è stato sempre protetto dal Vaticano, e fa tuttora parte del C9, il gruppo dei nove cardinali nominati dal pontefice in persona per aiutarlo nel governo della Chiesa Universale.
Il suo non è l’unico caso di promozioni discutibili. Strettissimo collaboratore del papa è infatti Francisco Errazuriz, anche lui chiamato a far parte dell’inner circle del pontefice. Ex arcivescovo di Santiago del Cile e oggi pezzo da novanta della Santa Sede, è stato protagonista, insieme al suo successore Ricardo Ezzati e al nuovo vescovo di Osorno Juan Barros Madrid, dello scandalo di padre Fernando Karadima. Un prete, per stessa ammissione del cardinale, che ha formato tre generazioni di prelati cileni. Una sorta di “santo vivente” per quasi tutta l’alta borghesia e il clero di Santiago che però, secondo le accuse di quattro uomini, dei giudici ordinari e perfino della Congregazione per la dottrina della Fede, nascondeva dietro l’aureola un’altra faccia. Quella di un criminale seriale che ha distrutto vite di giovani adolescenti.
L’inchiesta del giudice istruttore Jessica Gonzales è sintetizzata in un documento di 84 pagine dove vengono ricostruite le fasi dell’inchiesta interna della curia cilena, e mostrano il tentativo - da parte di Errazuriz - di evitare lo scandalo allungando a dismisura i tempi dell’istruttoria: nonostante il cardinale fosse stato avvertito delle violenze di Karadima già nel 2003, Errazuriz manderà il fascicolo a Roma solo nel 2010, quando ormai le vittime - che non erano riuscite ad ottenere giustizia dal loro vescovo - avevano deciso di raccontare le violenze pubblicamente.
Errazuriz spiega a verbale di non aver mai creduto alle accuse, ma schernisce chi lo indica, in patria, come un insabbiatore. Di certo nel 2006, dopo aver “sospeso” l’inchiesta interna che altri pezzi della sua curia volevano portare avanti, chiese a don Karadima di farsi da parte. Ma solo per raggiunti limiti di età. «Caro Fernando» si legge in una missiva privata pubblicata da un giornale cileno «la celebrazione per i suoi cinquant’anni di sacerdozio sarà un grande anniversario, nessuno potrà dire che non sia stato celebrato come si conviene...». Il giudice penale alla fine dell’istruttoria ha confermato le violenze, ma ha dovuto prescrivere i reati. La Congregazione ha condannato Karadima «a una vita di preghiera». Nel 2013 si è aperta una causa civile contro l’arcidiocesi di Santiago su cui pendono richieste di risarcimento da parte di quattro vittime pari a 450 milioni di pesos.
Insieme a Pell e ad Errazuriz, nel C9 c’è anche Oscar Rodriguez Maradiaga, coordinatore del gruppo e uno dei cardinali più ascoltati dal papa. In pochi sanno che tra il 2003 e il 2004 la porpora ospitò in una delle diocesi sotto il suo arcivescovado di Tegucigalpa, in Honduras, un prete incriminato dalla polizia del Costarica per abusi sessuali. Un latitante, don Enrique Vasquez, braccato dall’Interpol fin dal 1998: dopo una fuga tra Nicaragua, New York, Connecticut e una casa di cura per preti in Messico, don Enrique si rifugerà per qualche mese anche a Guinope, dove diventa parroco di una parrocchia sotto il controllo dell’arcivescovado di Maradiaga. Il reporter Brooks Egerton, racconta che riuscì al tempo ad intervistare il segretario di Maradiaga per il Dallas Morning News, che non negò affatto la presenza del pedofilo, ma minimizzò solo il ruolo pastorale. L’attuale cardinale, invece, non volle mai rispondere alle sue domande. «Secondo un agente del’Interpol che intervistai, i funzionari della diocesi si resero conto di avere un problema con don Enrique, e così si liberarono di lui», azzarda Egerton. Maradiaga però è uno che non si nasconde, e non hai mai avuto sul tema alcun pelo sulla lingua: un anno prima dell’arrivo di Vasquez nella sua diocesi, in una conferenza pubblica a Roma spiegò che lui, anche di fronte a un sacerdote accusato di pedofilia, sarebbe stato «pronto ad andare in prigione piuttosto che danneggiare uno dei miei preti... Per me sarebbe una tragedia ridurre il ruolo di pastore a quello di poliziotto. Non dobbiamo dimenticare che siamo pastori, e non agenti dell’Fbi o della Cia».
Tra le porpore che hanno fatto strada “Lussuria” racconta anche le contraddizioni di Timothy Dolan, arcivescovo
di New York che come capo della Conferenza episcopale statunitense che ha dato l’ok ha pagare dal 2007 al 2015 parcelle da ben 2,1 milioni di dollari a favore di importanti società di lobbying con l’obiettivo - ovviamente non dichiarato - di bloccare, o quanto meno modificare, l’approvazione di una proposta di legge dello Stato che prevede l’abolizione della prescrizione per le vittime della pedofilia.
Ma omertà e i silenzi hanno caratterizzato anche il comportamento del cardinale francese Philippe Barbarin e dell’italiano Domenico Calcagno, e fedelissimi di Francesco come monsignor Godfried Danneels, arcivescovo emerito di Bruxelles messo da Bergoglio in cima alla lista dei padri sinodali: possibile che il papa non conoscesse le imbarazzanti intercettazioni (mai pubblicate in Italia) con cui il porporato tentava di proteggere un vescovo lussurioso? È un fatto che documenti originali e testimonianze dimostrano come nell’anno di grazia 2017 il sistema attraverso cui la gerarchia ecclesiastica protegge le mele marce, nonostante qualche blando tentativo di scardinarlo, funziona ancora a pieno regime.
Tag
Vaticano
preti pedofili pedofilia
George Pell
© Riproduzione riservata 16 gennaio 2017
LA COPERTINA DELL'ESPRESSO NON SARA' SFUGGITA AI SUOI COLLABORATORI.
Esclusivo
Così il Vaticano protegge i preti pedofili
Alti prelati del Vaticano, italiani e stranieri. Molto vicini a papa Francesco. Che per anni hanno insabbiato le violenze sessuali sui minori da parte degli orchi con la tonaca. Lo rivela "Lussuria", il nuovo libro del giornalista processato dalla Santa Sede per Vatileaks. Che fa luce su responsabilità, silenzi e omertà
di Emiliano Fittipaldi
16 gennaio 2017
Tre cardinali che hanno protetto sacerdoti pedofili sono stati promossi nel C9, il gruppo di nove alti prelati che assistono papa Francesco nel governo della Chiesa Universale. Altre quattro porpore italiane e straniere che non hanno denunciato predatori seriali e che hanno cercato di proteggere le casse della Chiesa dalle richieste di risarcimenti alle vittime, sono ascesi sulla cima della scala gerarchica della Santa Sede. In Italia, Spagna, Francia, Belgio e Sud America altri vescovi insabbiatori sono stati premiati con incarichi importanti, o graziati di recente con sentenze canoniche discutibili.
Insomma, se il Vaticano ha dichiarato da tempo guerra aperta ai crimini sessuali dei suoi preti nei confronti di bambini e ragazzine («una battaglia cruciale, che va vinta ad ogni costo», ha detto e ripetuto papa Francesco fin dall’inizio della sua elezione al soglio petrino) a quasi quattro anni dall’inizio del pontificato di Bergoglio la lotta mostra più di una crepa. Non solo per alcune nomine che appaiono sorprendenti, ma anche perché il fenomeno degli orchi in tonaca continua ad avere numeri impressionanti: tra il 2013 e il 2015 fonti interne alla Congregazione per la dottrina per la fede spiegano che sono arrivate dalle diocesi sparse per il mondo ben 1200 denunce di casi “verosimili” di predatori e molestatori di minorenni.
Un numero praticamente raddoppiato rispetto a quelli rilevati nel periodo che va dal 2005 al 2009: il trend dimostra come il cancro non è stato affatto estirpato.
Se delle denunce, delle vittime e dei carnefici non si sa praticamente nulla (ancora oggi i processi canonici sono sotto segreto pontificio, e chi tradisce la regola del silenzio rischia pene severissime, scomunica compresa), e se la commissione antipedofilia voluta da Francesco si è riunita in sede plenaria solo tre volte dalla sua nascita nel 2014 senza essere riuscita nemmeno a inserire nelle norme vaticane l’obbligo di denuncia alla magistratura ordinaria, in “Lussuria”, il libro che uscirà per Feltrinelli giovedì 19 gennaio, si raccontano storie inedite di insabbiamenti di altissimi prelati in tutto il mondo, di scandali sessuali coperti dal Vaticano per timore di ripercussioni mediatiche, del sistema di protezione messo in piedi in Italia e di lobby ecclesiastiche unite dagli interessi economici e dalle medesime inclinazioni sessuali.
L’UOMO NERO IN VATICANO
La storia di George Pell è emblematica. Il cardinale australiano è stato chiamato da Francesco a Roma con l’intento di “moralizzare” la corrotta curia romana. Pell, oggi, è il capo della potente Segreteria dell’Economia. Di fatto, il numero tre del Vaticano. Leggendo le carte della Royal Commission che sta indagando sui preti pedofili, i documenti riservati della vecchia diocesi della porpora, i bilanci della chiesa australiana e alcune lettere firmate dal prelato e dai suoi avvocati, non sembra che Bergoglio abbia puntato sull’uomo giusto. Non solo perché da qualche mese è accusato da cinque persone di aver commesso lui stesso abusi sessuali tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta (il cardinale smentisce ogni responsabilità, con sdegno), ma perché troppe volte, di fronte a crimini sessuali di sacerdoti, negò alle vittime giustizia e compassione pur riconoscendo la veridicità delle loro denunce. Come scrive la commissione d’inchiesta, «mancò di agire equamente da un punto di vista cristiano». È certo che Pell cercò di minimizzare le violenze e di proteggere in ogni modo la cassaforte della sua diocesi dalle richieste di risarcimento dei sopravvissuti.
I documenti dei giudici dell’organismo voluto dal governo australiano sono un pugno nello stomaco. Partiamo dal caso della famiglia Foster. Davanti alla tragedia dei genitori Anthony e Christine, le cui figlie Emma e Katie sono state violentate da bambine dal preside della loro scuola cattolica don Kevin O’ Donnell, Pell ha prima tentato di evitare ogni incontro faccia a faccia («se incontro la famiglia Foster poi dovrò incontrare anche le altre. Il mio tempo è molto limitato. Perché sono diversi dagli altri casi?», si chiede nel 1996 in una lettera spedita ai suoi avvocati), poi ha provato a chiudere la faccenda con un risarcimento di appena 50 mila dollari australiani, pari a 30 mila euro. La signora Foster ha raccontato ai giudici che durante il primo incontro a casa loro, Pell - di fronte alle rimostranze del marito che accusava l’allora arcivescovo di voler proteggere il portafoglio della Chiesa - rispose secco: «Se non ti va bene quello che siamo facendo, portaci in tribunale». «In un secondo incontro con altri genitori di piccoli abusati da padre O’ Donnell» si legge negli atti della commissione «la signora Foster ricorda che davanti a una domanda su perché alcuni noti pedofili servivano ancora nelle parrocchie di Melbourne, l’arcivescovo Pell rispose: «È tutto un pettegolezzo, finché non ci sono prove in tribunale; e io non do ascolto ai gossip».
Il 26 agosto del 1998 Pell spedisce finalmente una lettera di scuse ai Foster, accompagnandola con l’offerta formale di risarcimento a favore della piccola Emma, formulata dall’avvocato di fiducia dell’arcidiocesi Richard Leder. Trentamila euro. «L’indennizzo è offerto dall’arcivescovo a Emma nella speranza che possano aiutare il suo recupero e fornire un’alternativa realistica a un contenzioso legale. Nel quale, altrimenti, ci difenderemo strenuamente». Ai genitori delle piccole, leggendo la missiva, sale la rabbia: sia per la cifra umiliante, sia per la minaccia - in caso di mancata accettazione della proposta - di «difendersi strenuamente». «Ammetto che sia stata un’espressione poco felice, ma credo che certe espressioni vadano lette in maniera non offensiva», ha detto Pell in un interrogatorio del 2014.
SENZA MISERICORDIA
I Foster, alla fine, si rassegnano. I soldi sono davvero pochi, ma li prendono. Serviranno a poco: nel 2008 Emma si è infatti suicidata con una dose letale di eroina, che le farà dimenticare per sempre le mani e gli occhi del suo vecchio preside.
Trentamila euro, o meglio 50 mila dollari australiani, sono in realtà l’offerta massima consentita dal sistema di risarcimento creato dal braccio destro di Francesco, il cosiddetto “Melbourne Response”. Un tetto innalzato a 75 mila euro nel 2008. Analizzando i dati contabili dell’arcidiocesi della città si scopre che tra il 1996 e il marzo del 2014 le circa trecento vittime che hanno chiesto i danni per le violenze dei sacerdoti hanno ottenuto in media 32 mila dollari a testa, circa 20 mila euro. Il prezzo di una Fiat 500 accessoriata.
Una miseria, anche perché l’arcidiocesi guidata fino al 2001 da Pell (nel marzo di quell’anno fu promosso vescovo di Sydney) è ricchissima. Controlla infatti due società, la Roman Catholic Trust Corporation e la Catholic Development Fund, che hanno in pancia contanti, proprietà immobiliari come appartamenti e palazzi, e fanno investimenti azionari e obbligazionari a sette zeri. Sommando il valore delle entrate, solo nel 2013 sono stati incassati, tra profitti finanziari e beneficenza dei fedeli, oltre 108 milioni di dollari australiani, mentre gli asset attualmente controllati dall’arcidiocesi valgono quasi 1,3 miliardi. Esatto: 1,3 miliardi di dollari. In pratica, per chiudere i fastidiosi contenziosi sulla vicenda pedofilia dei preti della città, Pell e i suoi successori hanno rinunciato a una cifra complessiva di appena 10 milioni di dollari australiani, pari allo 0,7 per cento del patrimonio della diocesi.
Qualche anno dopo aver accettato i soldi per le cure di Emma, i Foster decidono però di capire se la giustizia terrena sia meno avara di quella divina, e aprono un procedimento civile di fronte allo Stato di Victoria. Che capovolge la filosofia del Melbourne Response, riconoscendo come le cifre dei risarcimenti debbano essere molto più alte: alla fine della causa la Chiesa è costretta ad accettare una mediazione pagando i Foster ben 750 mila dollari.
Quello di Emma non è l’unico caso che imbarazza Pell. Tra le decine di migliaia di carte della Royal Commission ci sono anche i documenti e i verbali che provano come la sua diocesi, mentre lesinava aiuto alle vittime, non faceva mancare sostegno ai prelati pedofili usciti di prigione. Il successore di Pell, l’arcivescovo Denis James Hart famoso in Australia per aver scacciato una donna che voleva denunciare un’aggressione sessuale di un prete con l’epiteto «Vai all’inferno, cagna!», in un interrogatorio ha ammesso che la diocesi di Melbourne ha speso centinaia di migliaia di dollari per aiutare ex preti pedofili pagando loro sia lo stipendio sia l’affitto, la pensione, l’assicurazione sanitaria e persino quella dell’automobile.
Un documento interno del 2 ottobre 1996 segnala come Pell abbia presieduto una riunione dove lui e alti prelati discussero come poter aiutare tre preti (tra cui don Michael Glennon) dopo il loro rilascio dalla prigione. «Punto 15. Ipotesi su come aiutare i preti che stanno uscendo di galera» si legge nel verbale dell’incontro «Possibilità di un posto (appartamento indipendente) nel palazzo di Box Hill. Padre McMahon ha parlato di cure mediche necessarie, ed è stato invitato dall’arcivescovo Pell a far presente cosa serve alla loro assistenza». Se padre Wilfred Baker, che ha molestato 21 bambini, ha ricevuto dalla curia tra pensione e spese per l’affitto 21 mila dollari l’anno fino al 2014, (il massimo della pensione possibile, ha notato il giornale “The Age”), Desmond Gannon e David Daniel, anche loro condannati per crimini sessuali, hanno subito una semplice decurtazione della busta paga. I giudici hanno poi scoperto che una serie di giroconti finanziari per aiutare il pedofilo Gannon fu orchestrata in modo tale che «difficilmente la notizia dell’aiuto sarebbe diventata di dominio pubblico». Per la cronaca, i denari per aiutare i preti australiani caduti in disgrazia sono stati prelevati dal Fondo pensione del clero, che è per gran parte finanziato dai contributi dei parrocchiani. Tra loro, paradossalmente, c’erano anche alcune famiglie degli abusati.
INSABBIAMENTI
Ma il cardinale promosso da Francesco ha altri scheletri nell’armadio: ha protetto l’orco seriale Gerald Risdale (suo ex coinquilino, negli atti della Royal Commission spunta una foto che ritrae Pell a braccetto con il maniaco: nonostante le pesanti accuse aveva deciso di accompagnarlo alla prima udienza del processo; è un fatto che né Pell né altri vescovi cattolici abbiano mai accompagnato in tribunale le vittime dei loro colleghi predatori), né ha voluto ascoltare un ragazzo che lo avvertì come un sacerdote, Edward Dowlan, avesse abusato di alcuni ragazzini di un collegio cattolico di Ballarat, la città natale del cardinale («Mi disse: “Non essere ridicolo”, uscendo dalla stanza senza degnarmi di altre attenzioni» mette a verbale il testimone Timothy Green, «la sua reazione mi ha dato l’impressione che lui conoscesse fratello Dowlan, ma che non potesse o volesse fare nulla a riguardo»).
Non è tutto. Il ministro economico del Vaticano avrebbe anche tentato di corrompere una vittima («mi chiese cosa volessi per tenermi tranquillo», racconta il nipote abusato di padre Risdale. «Chiamai sconvolto mia sorella dicendogli: Il bastardo ha cercato di corrompermi»), e ha mentito per iscritto almeno su un altro caso di pedofilia, in modo da evitare di pagare risarcimenti alla vittima. Nonostante accuse circostanziate, decine di testimonianze durissime e documenti che dimostrano insabbiamenti e leggerezze, Pell è stato sempre protetto dal Vaticano, e fa tuttora parte del C9, il gruppo dei nove cardinali nominati dal pontefice in persona per aiutarlo nel governo della Chiesa Universale.
Il suo non è l’unico caso di promozioni discutibili. Strettissimo collaboratore del papa è infatti Francisco Errazuriz, anche lui chiamato a far parte dell’inner circle del pontefice. Ex arcivescovo di Santiago del Cile e oggi pezzo da novanta della Santa Sede, è stato protagonista, insieme al suo successore Ricardo Ezzati e al nuovo vescovo di Osorno Juan Barros Madrid, dello scandalo di padre Fernando Karadima. Un prete, per stessa ammissione del cardinale, che ha formato tre generazioni di prelati cileni. Una sorta di “santo vivente” per quasi tutta l’alta borghesia e il clero di Santiago che però, secondo le accuse di quattro uomini, dei giudici ordinari e perfino della Congregazione per la dottrina della Fede, nascondeva dietro l’aureola un’altra faccia. Quella di un criminale seriale che ha distrutto vite di giovani adolescenti.
L’inchiesta del giudice istruttore Jessica Gonzales è sintetizzata in un documento di 84 pagine dove vengono ricostruite le fasi dell’inchiesta interna della curia cilena, e mostrano il tentativo - da parte di Errazuriz - di evitare lo scandalo allungando a dismisura i tempi dell’istruttoria: nonostante il cardinale fosse stato avvertito delle violenze di Karadima già nel 2003, Errazuriz manderà il fascicolo a Roma solo nel 2010, quando ormai le vittime - che non erano riuscite ad ottenere giustizia dal loro vescovo - avevano deciso di raccontare le violenze pubblicamente.
Errazuriz spiega a verbale di non aver mai creduto alle accuse, ma schernisce chi lo indica, in patria, come un insabbiatore. Di certo nel 2006, dopo aver “sospeso” l’inchiesta interna che altri pezzi della sua curia volevano portare avanti, chiese a don Karadima di farsi da parte. Ma solo per raggiunti limiti di età. «Caro Fernando» si legge in una missiva privata pubblicata da un giornale cileno «la celebrazione per i suoi cinquant’anni di sacerdozio sarà un grande anniversario, nessuno potrà dire che non sia stato celebrato come si conviene...». Il giudice penale alla fine dell’istruttoria ha confermato le violenze, ma ha dovuto prescrivere i reati. La Congregazione ha condannato Karadima «a una vita di preghiera». Nel 2013 si è aperta una causa civile contro l’arcidiocesi di Santiago su cui pendono richieste di risarcimento da parte di quattro vittime pari a 450 milioni di pesos.
Insieme a Pell e ad Errazuriz, nel C9 c’è anche Oscar Rodriguez Maradiaga, coordinatore del gruppo e uno dei cardinali più ascoltati dal papa. In pochi sanno che tra il 2003 e il 2004 la porpora ospitò in una delle diocesi sotto il suo arcivescovado di Tegucigalpa, in Honduras, un prete incriminato dalla polizia del Costarica per abusi sessuali. Un latitante, don Enrique Vasquez, braccato dall’Interpol fin dal 1998: dopo una fuga tra Nicaragua, New York, Connecticut e una casa di cura per preti in Messico, don Enrique si rifugerà per qualche mese anche a Guinope, dove diventa parroco di una parrocchia sotto il controllo dell’arcivescovado di Maradiaga. Il reporter Brooks Egerton, racconta che riuscì al tempo ad intervistare il segretario di Maradiaga per il Dallas Morning News, che non negò affatto la presenza del pedofilo, ma minimizzò solo il ruolo pastorale. L’attuale cardinale, invece, non volle mai rispondere alle sue domande. «Secondo un agente del’Interpol che intervistai, i funzionari della diocesi si resero conto di avere un problema con don Enrique, e così si liberarono di lui», azzarda Egerton. Maradiaga però è uno che non si nasconde, e non hai mai avuto sul tema alcun pelo sulla lingua: un anno prima dell’arrivo di Vasquez nella sua diocesi, in una conferenza pubblica a Roma spiegò che lui, anche di fronte a un sacerdote accusato di pedofilia, sarebbe stato «pronto ad andare in prigione piuttosto che danneggiare uno dei miei preti... Per me sarebbe una tragedia ridurre il ruolo di pastore a quello di poliziotto. Non dobbiamo dimenticare che siamo pastori, e non agenti dell’Fbi o della Cia».
Tra le porpore che hanno fatto strada “Lussuria” racconta anche le contraddizioni di Timothy Dolan, arcivescovo
di New York che come capo della Conferenza episcopale statunitense che ha dato l’ok ha pagare dal 2007 al 2015 parcelle da ben 2,1 milioni di dollari a favore di importanti società di lobbying con l’obiettivo - ovviamente non dichiarato - di bloccare, o quanto meno modificare, l’approvazione di una proposta di legge dello Stato che prevede l’abolizione della prescrizione per le vittime della pedofilia.
Ma omertà e i silenzi hanno caratterizzato anche il comportamento del cardinale francese Philippe Barbarin e dell’italiano Domenico Calcagno, e fedelissimi di Francesco come monsignor Godfried Danneels, arcivescovo emerito di Bruxelles messo da Bergoglio in cima alla lista dei padri sinodali: possibile che il papa non conoscesse le imbarazzanti intercettazioni (mai pubblicate in Italia) con cui il porporato tentava di proteggere un vescovo lussurioso? È un fatto che documenti originali e testimonianze dimostrano come nell’anno di grazia 2017 il sistema attraverso cui la gerarchia ecclesiastica protegge le mele marce, nonostante qualche blando tentativo di scardinarlo, funziona ancora a pieno regime.
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George Pell
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
RILEVO, SULL'ARGOMENTO SOTTORIPORTATO, UNO STRANO SILENZIO DELLA CHIESA CATTOLICA E DI FRANCESCO.
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La strage dei bambini, orrendo tabù avvolto dal silenzio
Scritto il 21/1/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Bambini da uccidere, sacrificare, persino mangiare. Mentre spariscono ogni anno centinaia di minori, in parte forse destinati anche alla potentissima rete internazionale dei pedofili, una ricercatrice come Lara Pavanetto, a margine del suo libro “Streghe o vittime?” (Filippi editore), in una riflessione sul suo blog si sofferma sul sinistro mistero che nasconde il vero destino di tanti, troppi bambini, nella storia della nostra civiltà. «Di tutti i gruppi sociali che formavano le società del passato, i bambini sono quello più misterioso», scrive. «Raramente si vedono nei documenti, mai si sentono. Un misterioso silenzio circonda la moltitudine dei neonati, bambini e adolescenti che pure hanno vissuto. I resti fossili dei popoli antichi e medievali appartengono quasi totalmente ad adulti, i bambini sembrano non aver lasciato traccia alcuna. E’ difficile sapere qualcosa sulla vita dei bambini, ancora più difficile è conoscerne qualcosa riguardo la morte. Ma spesso morte e vita erano due facce della stessa medaglia, intimamente legate; soprattutto la morte dei bambini, fino ad oggi, è e rimane un tabù che nasconde molto».
Anticamente, scrive Pavanetto, la pratica dell’abbandono era assai frequente, e spesso finiva per significare la morte del bambino: «Tuttavia questa naturale prospettiva non è mai citata né dalle fonti letterarie né da quelle storiche». E soltanto una volta, nel corpus di testi giuridici che si occupano dell’abbandono, si allude alla morte degli “esposti”. «Nelle fonti letterarie questi bambini non muoiono mai, nessuno storico cita la morte di esposti e mostra preoccupazione per la loro salvezza. Nessuna fonte menziona cadaverini da seppellire. Soltanto i moralisti e gli oratori sollevano qualche dubbio sulla loro fine». Nella Bibbia, il sacrificio dei bambini agli dèi è «proibito, condannato o menzionato con disprezzo in molti passi», eppure nel Libro dei Re si menziona Moloch (un dio pagano?) che richiede l’uccisione di bambini. Idem in Geremia e forse nel Levitico. Sempre nei Re «si parla anche di sacrifici di bambini con il fuoco». I bambini «erano un dono prezioso per gli déi», ma evidentemente «non abbastanza per i genitori». Il re Moab sacrifica il primogenito sulle mura della città come segno di lutto (Re). E in un altro testo biblico, (Giudici) Iefte «uccide la sua unica figlia per adempiere un voto fatto al Signore». Sarà poi “Dio” stesso a richiedere ad Abramo (Genesi), il sacrificio estremo del figlio: Abramo è pronto a farlo, sarà solo “Dio” a fermarlo.
«Ma, nelle sacre scritture, si parla anche di genitori che mangiano i loro figli», aggiunge Lara Pavanetto, che spiega: si tratta di «un topos non isolato, che ricorre anche nella letteratura antica». C’è il Faraone, che tenta di uccidere tutti i figli maschi degli ebrei (Esodo). «Poi si aggiungono alcuni passi davvero eloquenti che parlano di forme di infanticidio più generali». Si legge nel Libro dei Re: «Sfracellerai i loro lattanti e squarcerai le loro donne incinte». E nei Salmi: «Beato chi prenderà i tuoi pargoli e li sbatterà contro la pietra». Un intellettuale come Filone, filosofo ebreo di lingua greca vissuto ad Alessandria nel primo secolo, «poneva sullo stesso piano l’infanticidio e l’abbandono, descrivendo anche i metodi abitualmente usati per sopprimere un bambino: soffocamento o annegamento». In epoca medievale, «sia gli eretici che gli stranieri sono accusati nelle fonti contemporanee di rapire, uccidere, violentare e addirittura mangiare i bambini: Anna Comnena affermava che i Normanni erano soliti arrostire i bambini sugli spiedi».
In diverse parti della Grecia, in epoca micenea o minoica, e in epoche ancora posteriori, in Egina, Attica, Argolide, Melos e Creta, si usava seppellire i morti in casa, in vasi di terracotta interrati nel pavimento, specie nel caso dei fanciulli, «forse per tenere gli amati resti più vicini a sé, o forse sperando che l’anima si reincarnasse ancora». In alcune zone dell’India, continua Pavanetto, questa pratica funebre riguardava soprattutto i bambini nati morti, seppelliti sotto la soglia di casa «sperando appunto che il fanciullo rinascesse in famiglia, nuovamente». Tutte queste usanze «nascono proprio dalla credenza che i morti rinascano nei fanciulli: i Taolnla, indiani, quando nasce un bambino cercano di accertare quale dei loro antenati ha fatto ritorno; così, appena nasce un bambino, subito ci si affanna nel cercare qualche somiglianza: la mamma, il papà, lo zio, i nonni, i bisnonni». In pratica, presso quella popolazione, l’idea è che il bambino venga da un “al di là” sconosciuto e misterioso, e sia dunque portatore di qualcosa di antico e misterioso, che in lui si rivela.
«Quando il bambino nasce morto – racconta Lara Pavanetto – la sua non presenza è ancora più misteriosa: gli Inuit credono che le anime dei bambini, specie di quelli nati morti, possano rendere grandi servigi ai cacciatori, sempre in pericolo di morte loro stessi». Così, proprio «per assicurarsi il loro aiuto spirituale», gli Inuit «non esitavano ad uccidere un bambino». Ma il delitto doveva rimanere segreto, facendo in modo di nascondere la vittima perché nessuno sapesse dell’infanticidio. «Così, dopo aver messo al sicuro il cadaverino, lo si faceva seccare per poi metterlo in un sacchetto che il cacciatore portava con sé quando andava in mare con la sua canoa». Lo spirito del fanciullo, avendo la vista molto acuta, la “vista dei morti”, lo avrebbe aiutato a trovare la preda e dirigere la sua lancia per non fallire un colpo. «I morti bambini aiutano: nella caccia, nella guerra». Lo confermano i Batak dell’isola di Sumatra, che avevano «bisogno proprio degli spiriti dei fanciulli, perché li precedano nei combattimenti, spianando loro la strada dagli spiriti del nemico».
Il minore, aggiunge Pavanetto, in quel caso veniva appositamente “comprato” o rapito, trascinato nella foresta lontano dal villaggio e seppellito vivo, in piedi, lasciandogli fuori solo la testa. «Per quattro giorni lo nutrivano solo con riso condito con pepe e sale, per aumentarne la sete, mentre gli chiedevano continuamente se voleva benedirli e aiutarli in guerra. Il quarto giorno gli uomini più importanti del villaggio si radunavano attorno a lui e cercavano di estorcergli la promessa di benedizione e aiuto». Appena la vittima cedeva, promettendo che il suo spirito li avrebbe protetti, «l’uomo che gli stava alle spalle gli rovesciava la testa all’indietro e gli versava piombo fuso in bocca: così il fanciullo non poteva più rimangiarsi la promessa fatta». Grazie a una morte così tremenda, lo spirito del fanciullo «diventava un demone maligno». Essendo legato alla promessa di non nuocere ai suoi assassini, avrebbe riversato la sua vendetta soltanto sul nemico. «E perché la vendetta fosse ancora più efficace, estraevano dal corpo del fanciullo delle parti del cervello, di cuore e di fegato, e con questi macabri ingredienti preparavano un unguento che poi introducevano in una bacchetta magica che era portata in battaglia alla testa delle truppe: così l’anima del fanciullo morto marciava alla loro testa contro il nemico».
Strage di bambini: in Europa ne sparisce uno ogni 2 minuti | LIBRE
www.libreidee.org/.../strage-di-bambini ... -uno-ogni-...
31 lug 2015 - E' la strage degli innocenti: sono centinaia, ogni anno, i bambini che scompaiono. Solo in Italia, secondo il ministero dell'interno, non meno di ...
I bambini clandestini che spariscono in Italia dove vanno ...
portale.lombardinelmondo.org › ... › Articoli › Storia ed emigrazione
I bambini clandestini che spariscono in Italia dove vanno? ... Arrivando in Italia come minori, tutti coloro che non entrano negli istituti di accoglienza per minori, ...
Perché i minori non accompagnati spariscono a migliaia? - Progetto ...
http://www.meltingpot.org/perche-i-mino ... scono.html
22 feb 2016 - Sulle coste dell'Italia e della Grecia sta arrivando un numero senza ... ma su 15.000 bambini che arrivano in Italia il 29% vengono dall'Eritrea, ...
Perché i minori non accompagnati spariscono a migliaia?
overthedoors.it › accoglienza
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Bambini da uccidere, sacrificare, persino mangiare. Mentre spariscono ogni anno centinaia di minori, in parte forse destinati anche alla potentissima rete internazionale dei pedofili, una ricercatrice come Lara Pavanetto, a margine del suo libro “Streghe o vittime?” (Filippi editore), in una riflessione sul suo blog si sofferma sul sinistro mistero che nasconde il vero destino di tanti, troppi bambini, nella storia della nostra civiltà. «Di tutti i gruppi sociali che formavano le società del passato, i bambini sono quello più misterioso», scrive. «Raramente si vedono nei documenti, mai si sentono. Un misterioso silenzio circonda la moltitudine dei neonati, bambini e adolescenti che pure hanno vissuto. I resti fossili dei popoli antichi e medievali appartengono quasi totalmente ad adulti, i bambini sembrano non aver lasciato traccia alcuna. E’ difficile sapere qualcosa sulla vita dei bambini, ancora più difficile è conoscerne qualcosa riguardo la morte. Ma spesso morte e vita erano due facce della stessa medaglia, intimamente legate; soprattutto la morte dei bambini, fino ad oggi, è e rimane un tabù che nasconde molto».
Anticamente, scrive Pavanetto, la pratica dell’abbandono era assai frequente, e spesso finiva per significare la morte del bambino: «Tuttavia questa naturale prospettiva non è mai citata né dalle fonti letterarie né da quelle storiche». E soltanto una volta, nel corpus di testi giuridici che si occupano dell’abbandono, si allude alla morte degli “esposti”. «Nelle fonti letterarie questi bambini non muoiono mai, nessuno storico cita la morte di esposti e mostra preoccupazione per la loro salvezza. Nessuna fonte menziona cadaverini da seppellire. Soltanto i moralisti e gli oratori sollevano qualche dubbio sulla loro fine». Nella Bibbia, il sacrificio dei bambini agli dèi è «proibito, condannato o menzionato con disprezzo in molti passi», eppure nel Libro dei Re si menziona Moloch (un dio pagano?) che richiede l’uccisione di bambini. Idem in Geremia e forse nel Levitico. Sempre nei Re «si parla anche di sacrifici di bambini con il fuoco». I bambini «erano un dono prezioso per gli déi», ma evidentemente «non abbastanza per i genitori». Il re Moab sacrifica il primogenito sulle mura della città come segno di lutto (Re). E in un altro testo biblico, (Giudici) Iefte «uccide la sua unica figlia per adempiere un voto fatto al Signore». Sarà poi “Dio” stesso a richiedere ad Abramo (Genesi), il sacrificio estremo del figlio: Abramo è pronto a farlo, sarà solo “Dio” a fermarlo.
«Ma, nelle sacre scritture, si parla anche di genitori che mangiano i loro figli», aggiunge Lara Pavanetto, che spiega: si tratta di «un topos non isolato, che ricorre anche nella letteratura antica». C’è il Faraone, che tenta di uccidere tutti i figli maschi degli ebrei (Esodo). «Poi si aggiungono alcuni passi davvero eloquenti che parlano di forme di infanticidio più generali». Si legge nel Libro dei Re: «Sfracellerai i loro lattanti e squarcerai le loro donne incinte». E nei Salmi: «Beato chi prenderà i tuoi pargoli e li sbatterà contro la pietra». Un intellettuale come Filone, filosofo ebreo di lingua greca vissuto ad Alessandria nel primo secolo, «poneva sullo stesso piano l’infanticidio e l’abbandono, descrivendo anche i metodi abitualmente usati per sopprimere un bambino: soffocamento o annegamento». In epoca medievale, «sia gli eretici che gli stranieri sono accusati nelle fonti contemporanee di rapire, uccidere, violentare e addirittura mangiare i bambini: Anna Comnena affermava che i Normanni erano soliti arrostire i bambini sugli spiedi».
In diverse parti della Grecia, in epoca micenea o minoica, e in epoche ancora posteriori, in Egina, Attica, Argolide, Melos e Creta, si usava seppellire i morti in casa, in vasi di terracotta interrati nel pavimento, specie nel caso dei fanciulli, «forse per tenere gli amati resti più vicini a sé, o forse sperando che l’anima si reincarnasse ancora». In alcune zone dell’India, continua Pavanetto, questa pratica funebre riguardava soprattutto i bambini nati morti, seppelliti sotto la soglia di casa «sperando appunto che il fanciullo rinascesse in famiglia, nuovamente». Tutte queste usanze «nascono proprio dalla credenza che i morti rinascano nei fanciulli: i Taolnla, indiani, quando nasce un bambino cercano di accertare quale dei loro antenati ha fatto ritorno; così, appena nasce un bambino, subito ci si affanna nel cercare qualche somiglianza: la mamma, il papà, lo zio, i nonni, i bisnonni». In pratica, presso quella popolazione, l’idea è che il bambino venga da un “al di là” sconosciuto e misterioso, e sia dunque portatore di qualcosa di antico e misterioso, che in lui si rivela.
«Quando il bambino nasce morto – racconta Lara Pavanetto – la sua non presenza è ancora più misteriosa: gli Inuit credono che le anime dei bambini, specie di quelli nati morti, possano rendere grandi servigi ai cacciatori, sempre in pericolo di morte loro stessi». Così, proprio «per assicurarsi il loro aiuto spirituale», gli Inuit «non esitavano ad uccidere un bambino». Ma il delitto doveva rimanere segreto, facendo in modo di nascondere la vittima perché nessuno sapesse dell’infanticidio. «Così, dopo aver messo al sicuro il cadaverino, lo si faceva seccare per poi metterlo in un sacchetto che il cacciatore portava con sé quando andava in mare con la sua canoa». Lo spirito del fanciullo, avendo la vista molto acuta, la “vista dei morti”, lo avrebbe aiutato a trovare la preda e dirigere la sua lancia per non fallire un colpo. «I morti bambini aiutano: nella caccia, nella guerra». Lo confermano i Batak dell’isola di Sumatra, che avevano «bisogno proprio degli spiriti dei fanciulli, perché li precedano nei combattimenti, spianando loro la strada dagli spiriti del nemico».
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