THE CATHOLIC QUESTION

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erding
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

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Le tre piaghe della Chiesa
di Aldo Maria Valli
in “Europa” del 9 maggio 2012
La prevalenza delle parole umane sulla parola di Dio, la mancanza di semplicità evangelica, gli
atteggiamenti ipocriti che esprimono esteriormente virtù cristiane contraddette però nella pratica.
Sono questi per don Vinicio Albanesi i tre mali della Chiesa: verbalismo, estetismo, moralismo. E
siccome don Vinicio ama la Chiesa, come ha dimostrato nella sua ormai lunga esperienza alla guida
della Comunità di Capodarco e poi del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, ha
deciso di mettere le sue riflessioni nero su bianco. Ne è uscito I tre mali della Chiesa in Italia
(editrice Ancora, 176 pagine, 16 euro), un libro che fa tornare alla mente Le cinque piaghe della
Chiesa di Antonio Rosmini e soprattutto fa meditare.
«Sono quasi dieci anni – scrive don Vinicio – che il problema della crisi della Chiesa in Italia mi
gira nella mente e nell’anima». Il libro nasce così. Non per accusare, ma per esprimere tutta la pena
di un credente di fronte al «profondo malessere» della Chiesa e soprattutto alla mancanza di
prospettive.
Quella che don Vinicio racconta è una Chiesa «stanca e disorientata». Dalle parrocchie agli ordini
religiosi, dalla partecipazione ai sacramenti alle varie strutture pubbliche, il panorama è desolante.
Dietro una facciata sfarzosa e solenne, si nasconde «la crisi progressiva e inarrestabile di una
comunità cristiana che non regge gli sviluppi della vita delle persone e del mondo, chiusa nello
sconforto di speranze sistematicamente deluse o aggrappata a tendenze intransigenti»
. C’è un senso
di frustrazione in questa analisi, e don Vinicio non fa nulla per nasconderla. Qualcuno potrà anche
non condividerla, ma il fatto che sia formulata da chi per tanti anni ha vissuto nella Chiesa deve far
pensare.
I tempi del Concilio sembrano non solo lontanissimi, ben più lontani del mezzo secolo che ci separa
dall’avvio di quel grande incontro, ma addirittura appartenenti a un’altra Chiesa. Una Chiesa che
ancora voleva e poteva dire qualcosa a tutti, una Chiesa che, sia pure tra mille limiti e in mezzo a
tanti tormenti, camminava accanto all’uomo. Innumerevoli sarebbero i brani di don Vinicio da citare
alla lettera. Colpiscono in particolare i giudizi sul moralismo della e nella Chiesa, quando si spiega
che lo stile moralistico investe anche le relazioni pubbliche. Occorre dirlo con chiarezza: nella
Chiesa italiana o non ci si parla o ci si parla in modo ambiguo, spesso sotto una patina di formalità
che rende i rapporti poco o per nulla autentici.
«Probabilmente l’attenzione esagerata alla verità, intesa non come ricerca, ma come buon nome da
tutelare, ha accentuato il rischio di esteriorità.
Una specie di falso rispetto, di modi complessi di
comunicare, di forme non autentiche di relazionarsi. I rapporti tra cristiani difficilmente si esplicano
con lealtà» e sia le parole sia gli atteggiamenti hanno sempre bisogno di essere sottoposti a
interpretazione, «perché non è dato intendere ciò che esteriormente appare».
Il risultato è che nessuno si fida veramente dell’altro e che alla Chiesa stessa non si concede fiducia,
perché appare trincerata dietro una prudenza e un senso di responsabilità che in realtà nascondono
opportunismo. L’assenza di una vera comunione è «un secondo effetto nefasto» di questo
moralismo che tutto pervade. Più si parla di unità, meno c’è senso di comunione. «Non si ha il
coraggio del confronto: forte, leale, con scelte condivise, frutto di ascolto e riflessione. Si preferisce
una pseudounità, scegliendo strade (di spiritualità, di pastorale, di governo) frutto di compromessi».
Gli stessi documenti ecclesiali «sono sempre caratterizzati da un’ambiguità di linguaggio che è
sintomo anche di approcci sfuggenti». C’è come il perenne tentativo di tenere assieme tutto, destra e
sinistra, luci e ombre, per non scontentare veramente nessuno, per non dare veramente problemi a
nessuno. Ma la «mancanza del coraggio delle scelte confina con l’inganno, con il rischio che i
confini del bene e del male si confondano, fino a perdersi».

Questa Chiesa malata di formalismo ed esteriorità, dove magari ci si ossequia per poi sparlare
allegramente alle spalle di tutti, non è più una casa accogliente. È un luogo in cui «sono rarissimi i
momenti nei quali ciascuno si sente a suo agio, al proprio posto». Purtroppo «prevale la narcosi che
non è saggezza ed equilibrio, ma solo formalismo esterno». L’egoismo sostanziale e diffuso,
insieme causa e frutto di questa situazione, si fa particolarmente devastante quando sfocia nella
commistione della Chiesa con il potere temporale. «Tramontata definitivamente l’ipotesi di
cristianità, in Italia e in Europa, la tentazione egoistica di rimanere al centro di assetti istituzionali
per molti cristiani non solo è perseguibile, ma anche augurabile. Ciò che non si può ottenere per
adesione, lo si chiede per legge».

La pretesa di orientare in modo cristiano istituzioni ormai completamente avulse da una prospettiva
cristiana porta a «patteggiare con la politica» in vista di orientamenti legislativi cristiani.
Un’operazione sbagliata sotto tutti i profili perché mortifica la Chiesa, impegnata in un do ut des
che non ha nulla di evangelico, e soprattutto non conduce ai risultati sperati.

Qui il discorso si innesta quindi sulla questione dei laici cattolici e della laicità del credente. Un
fronte rispetto al quale la lezione conciliare è stata dimenticata e tradita, perché al posto della
valorizzazione del laico abbiamo «una presenza gerarchica pattizia» con le conseguenti collusioni, e
al posto della tutela del bene comune, cioè di tutti, abbiamo il tentativo di tutelare per via
istituzionale la fede e la sana dottrina.

Don Vinicio è chiarissimo quando scrive che un primo nodo da sciogliere, per uscire da tutti questi
equivoci, sarebbe quello del regime concordatario, che è invece continuamente esaltato come una
forma di collaborazione. «Basterebbe un maggiore distacco della Santa Sede con le vicende italiane
per ritrovare meno relazioni e orpelli reciproci».
Nel libro di don Vinicio, ed è questo un altro suo
pregio, c’è però anche una parte propositiva. Occorre decisamente tornare all’essenziale, cioè al
Cristo, al suo esempio, alla sua parola. Solo così si può dare speranza al mondo ma prima di tutto a
se stessi. Il che implica una scelta di radicale povertà sotto tutti i profili, quella povertà che è libertà
e garantisce autonomia di giudizio e di proposta.
Quella povertà che rende credibile la testimonianza. «Nella Chiesa istituzionale è invalsa la strana
logica aziendale: essere sempre e comunque favorevoli al potere vigente. Una logica che dice di
partire dalla tutela delle istituzioni ecclesiastiche, ma che paga un prezzo troppo alto in termini di
scambio».
Il Vangelo non può essere piegato ai calcoli e allo scambio. Quella sognata da don Vinicio per il
futuro è una comunità cristiana umile, leale, plurima, misericordiosa, affettuosa, coraggiosa,
fiduciosa, affidata a Dio e non all’opportunismo. Bisogna parlarne. Uscendo dal clima di sospetto
reciproco e di paura alimentato anche da quei movimenti ecclesiali che, in nome della presenza
cristiana, sempre più manifestamente cadono in preda alla logica del potere.


http://www.finesettimana.org/pmwiki/upl ... 9valli.pdf

Straordinariamente chiaro, evangelico, cristiano!
camillobenso
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da camillobenso »

L'ANNUNCIO DI UN IMPRENDITORE PARMENSE, ROBERTO DI TARANTO, DURANTE L'ASSEMBLEA DEI SOCI
«Mi tolgo la vita se Unicredit non mi aiuta»
L'ad Ghizzoni: «Disponibili alle sue richieste»
L'accusa: «Per un errore della filiale di Parma sono stato segnalato alla centrale rischi di Bankitalia. Il tribunale mi ha dato ragione, ma quando avrò l'indennizzo sarò già morto»


MILANO - «Non escludo di allungare la lista degli imprenditori che si sono suicidati», l'annuncio-choc del piccolo imprenditore parmense Roberto Di Taranto nell'odierna assemblea degli azionisti di Unicredit. Annuncio che ha immediatamente messo sull'attenti i piani alti della banca, tanto da indurre l'amministratore delegato di Piazza Cordusio, Federico Ghizzoni, a rispondergli a stretto giro di posta confermando la volontà della banca di avviare un percorso di conciliazione: «Siamo disponibili alle sue richieste. La banca è sempre disponibile a valutare ragionevoli proposte transattive per contenziosi con la clientela».
IL MOMENTO - L'ipotesi di togliersi la vita - in un momento in cui i suicidi di piccoli imprenditori si susseguono con amara ripetitività- fa subito notizia. Soprattutto se avviene nell'odierna assemblea degli azionisti di Unicredit (Di Taranto è un piccolo socio della banca). E soprattutto se avviene ora, che la questione -suicidi ha persino provocato il primo autentico scossone al governo Monti dopo l'attacco del presidente del Consiglio al Pdl, uno dei due principali partiti che compongono la variegata (e insolita) maggioranza parlamentare che sorregge le sorti del governo tecnico. Il Pdl aveva avanzato la proposta di compensazione debiti/crediti nel rapporto tra imprese e Stato per tentare di disinnescare l'attuale cortocircuito con un'Italia tecnicamente in recessione, il peso del fisco cresciuto a causa del piano «Salva-Italia» e una produttività stagnante.

IL CASO - Ma al netto del contesto di riferimento la questione è giornalisticamente rilevante perché coinvolge il delicato rapporto banche-imprese, con lo spauracchio credit crunch agitato dai Piccoli e i ristrettissimi margini di manovra degli istituti di credito italiani, infarciti di titoli di Stato che di certo non attenuano il rischio-Paese e inducono i management a restringere per forza di cose i rubinetti del credito. Ma la denuncia Di Taranto si origina anche (e soprattutto) dalla lentezza (atavica) della giustizia. Dice l'imprenditore: «Se l'istituto non avvierà una trattativa per un equo indennizzo a causa di un suo errore che ha portato le mie tre società al fallimento, non vedo alternative».

IL RACCONTO - L'imprenditore ha raccontato davanti agli azionisti che la filiale di Parma di Unicredit per errore ha segnalato il suo nome alla centrale rischi di Bankitalia per un ritardo di pochi giorni nel pagamento di due rate di mutuo nel 2009 provocando il ritiro degli affidamenti con il conseguente fallimento. Di Taranto ha riferito che due pronunce del tribunale di Parma gli hanno dato ragione e si è visto quindi costretto ad avviare una causa contro Unicredit per essere indennizzato in quanto l'istituto si sarebbe rifiutato di fare una transazione. E ha spiegato: «Visti i tempi della giustizia rischio di avere l'indennizzo quando non ci sarò più. Intanto la mia famiglia è sul lastrico, io ho 55 anni sono disoccupato e non ho più possibilità di trovare un lavoro come dipendente».

Fabio Savelli
@FabioSavelli
11 maggio 2012 | 19:42
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camillobenso
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da camillobenso »

Ho replicato anche qui l'articolo di Politi perché affronta il tema della questione cattolica.


Elezioni, l’armata cattolica si è dissolta
di Marco Politi | 13 maggio 2012 - Commenti (54)


Si è persa per strada la riscossa cattolica annunciata con squilli di fanfare a Todi.

Sette mesi dopo non c’è traccia di ripresa bianca nel microcosmo variegato delle elezioni comunali e provinciali.

Anzi, molti esponenti anonimi, volonterosi e “normali” del Movimento 5 Stelle si sono impadroniti di temi antichi del cattolicesimo di popolo: risparmio, partecipazione, taglio delle prebende, etica di una buona amministrazione.

La Chiesa italiana si dovrà interrogare un giorno sulle sue responsabilità nell’aver permesso che fosse logorato quello spazio “medio” del Paese, fatto di onestà e voglia di lavorare per il bene comune.



In questi anni l’area moderata è stata distrutta dall’estremismo berlusconiano e leghista. E un ruolo non secondario nel tollerare la deriva verso lo sfascio è stata la copertura offerta al centrodestra dalla gerarchia ecclesiastica sotto la guida di Ruini. Al di là di qualche sporadica critica.


L’area moderata, quel ceto medio che costituisce il baricentro delle società occidentali, è stata distrutta dallo scardinamento del senso di legalità, dall’impoverimento delle famiglie – nonostante gli elogi all’istituto familiare usati per bloccare la legalizzazione delle coppie di fatto – dall’aver consentito alle imprese di creare precariato di massa, dall’aver lasciato decadere la scuola pubblica, dal non avere salvaguardato rigorosamente l’etica pubblica.


Ora masse di uomini e donne in carne ed ossa, smarriti, arrabbiati, schifati, fuggono nell’astensione o usano il voto come grido di protesta o per indicare la prospettiva di una politica purificata. L’idea che il “soggetto cattolico” potesse ereditare il comando, approfittando del crollo del berlusconismo, svanisce in “quel cumulo di macerie” del moderatismo che Pier Ferdinando Casini ha avuto l’onestà di riconoscere.


Se poi qualcuno fra i partecipanti di Todi – e ce n’erano – accarezzava il progetto di un movimento confessionale nuovo di zecca, può lasciare perdere. L’Italia resta bipolare.



Dunque era motivata la prudenza del presidente della Cei, cardinale Bagnasco, quando l’ottobre scorso in Umbria si attestò realisticamente sull’unica posizione possibile. Interloquire con la società così com’è. “La comunità cristiana – disse – deve animare i settori pre-politici nei quali maturano mentalità e si affinano competenze, dove si fa cultura sociale e politica”. Un approccio differente da certe frettolose indicazioni provenienti dal Vaticano, che pretendevano di decretare la fine della dispersione dei credenti nelle varie aree politiche per spingerli a una forzosa convergenza.

Il voto di maggio, invece, riconferma che i cattolici dividono il loro voto su tutto l’arco delle proposte elettorali. Da Pdl e Lega all’Udc, al Pd, ai partiti di Grillo, Vendola e Di Pietro. È un trend annunciato dalle inchieste sociologiche ripetutesi negli ultimi 15 anni. Soltanto che molti nella gerarchia ecclesiastica e fra gli aspiranti rifondatori di un cattolicesimo politico non ne hanno voluto testardamente tenere conto.

Ancora nel dicembre scorso un’inchiesta Ipsos per conto delle Acli certificava che per il 61 per cento dei cattolici la propria coscienza prevale sulle indicazioni dei vescovi, mentre il 62 per cento ritiene che un’“organizzazione dei cattolici è sbagliata, non bisogna confondere religione e politica”.

È tramontata perciò la prospettiva di un impegno dei movimenti cattolici nell’ambito socio-politico? Forse no. Piuttosto è mutato radicalmente lo scenario. Sepolta appare la stagione di un cattolicesimo politico guidato dai vescovi.

Fuori dalla storia è la tendenza, tuttora perdurante in gran parte dell’associazionismo, di attendere l’imbeccata dalle gerarchie.


L’unica strada percorribile appare quella del rischio e della responsabilità in prima persona. Come fanno i fedeli, che si danno alla politica negli Stati Uniti o in Francia, senza aspettarsi benedizioni dall’alto. Si apre lo spazio per movimenti che sanno mobilitarsi e mobilitare su tema precisi, unendo credenti e diversamente credenti. Come è stato il referendum sull’acqua, che ha visto lottare insieme l’associazionismo cattolico e laico. Lo stesso potrà o potrebbe accadere su questioni riguardanti il lavoro giovanile, il sostegno alla famiglia come nucleo sociale (nelle sue forme vecchie e nuove, senza fumisterie ideologiche), l’ambiente, la riforma dello Stato. Esistono sottotraccia nella galassia cattolica molte energie e idee. Il loro ruolo non è finito, a patto di rendersi conto che è finita l’epoca della delega. O delle timidezze. Come le Acli che hanno rinunciato a premere per il contratto d’ingresso prevalente per il lavoro giovanile.

Nelle urne gli italiani non si dividono più tra cattolici e non cattolici, ma in base alle richieste e alle proposte. Il “soggetto unico cattolico” è tramontato. Definitivamente. Resta la scena per tanti protagonisti cattolici. Se hanno qualcosa da dire. E magari evitano di ammantare di cristianesimo – come Formigoni e Cl – lobbismo e manovre di potere.

Il Fatto Quotidiano, 13 maggio 2012
erding
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da erding »

CHIESA DI TUTTI, CHIESA DEI POVERI.ASSEMBLEA NAZIONALE A 50 ANNI DAL CONCILIO

sabato 15 settembre 2012 (10-18) a Roma presso l’Auditorium dell’Istituto “Massimo” (zona Eur)

Nella consapevolezza dei promotori è ben presente il fatto che ricordare gli eventi non consiste nel portare indietro gli orologi, ma nel rielaborarne la memoria per capirne più a fondo il significato e farne scaturire eredità nuove ed antiche e impegni per il futuro. Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda gli eventi di salvezza (come certamente il Concilio è stato), molti dei quali non furono capiti dagli uomini della vecchia legge e dagli stessi discepoli di Gesù, se non più tardi, quando alla luce di nuovi eventi la memoria trasformatrice ne permise una nuova comprensione. Fu così ad esempio che, dopo la lavanda dei piedi, Gesù disse a Pietro: «Quello che io faccio ora non lo capisci, lo capirai dopo”, e fu da questa nuova comprensione che scaturì il primato della carità nella vita della Chiesa.

Così noi pensiamo che in questo modo, non meramente celebrativo, debba essere fatta memoria del Concilio nell’anno cinquantesimo dal suo inizio, e che al di là delle diverse ermeneutiche che si sono confrontate nella lettura di quell’evento, quella oggi più ricca di verità e di frutti sia un’ermeneutica della memoria rigeneratrice. Essa è volta a cogliere l’“aggiornamento” che il Concilio ha portato ed ancora oggi porta nella Chiesa, in maggiore o minore corrispondenza con il progetto per il quale era stato convocato.

L’assemblea di settembre vorrebbe essere una tappa di questa ricerca. Se si terrà a settembre, invece che in ottobre, è perché intende rievocare, sia come inizio che come principio ispiratore del Vaticano II, anche il messaggio radiofonico di Giovanni XXIII dell’11 settembre 1962 che conteneva quella folgorante evocazione della Chiesa come «la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri». Da questo deriva infatti il tema del convegno.

Dopo un pensiero sulla “Mater Ecclesia” che gioì in quel giorno inaugurale dell’11 ottobre 1962 (intervento di Rosanna Virgili) l’incontro si articolerà in tre momenti: il primo dedicato a ricordare ciò che erano la Chiesa e il mondo fino al Concilio (intervento di Giovanni Turbanti); il secondo per discernere tra le diverse ermeneutiche del Vaticano II (intervento di don Carlo Molari); il terzo sulle prospettive future, nella previsione e nella speranza di un “aggiornamento” che continui, sia nelle forme dell’annuncio, sia nelle forme della preghiera, sia nella riforma delle strutture ecclesiali (intervento di Cettina Militello), con parole conclusive di Raniero La Valle (“Il Concilio nelle vostre mani”).

Sono previsti diversi interventi e contributi di testimoni del Concilio così come di comunità, di gruppi e di persone presenti al convegno, che potranno testimoniare la loro volontà di essere protagonisti della vita della Chiesa. L’ipotesi è che mentre lo Spirito «spinge la Chiesa ad aprire vie nuove per arrivare al mondo» (Presbyterorum Ordinis n. 22), l’eredità del Concilio, nella continuità della Chiesa e nell’unità di pastori e fedeli, ancora susciti ricchezze che è troppo presto per chiudere nelle forme di nuove “leggi fondamentali” (come fu tentato a suo tempo) o di nuovi catechismi, che non godono degli stessi carismi dei testi conciliari; mentre restano aperti gli orizzonti dell’ecumenismo e del dialogo con le altre religioni e tutte le culture per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato.

In questo spirito i promotori invitano alla preparazione e alla celebrazione del convegno romano di settembre, che parteciperà in tal modo a un programma di iniziative analoghe che si stanno già realizzando, in diverse forme, in Europa e nel mondo e che si concluderanno nel dicembre 2015 con un’assemblea mondiale a Roma a cinquant’anni dalla conclusione del Concilio.



Vittorio Bellavite, Emma Cavallaro, Giovanni Cereti, Franco Ferrari, Raniero La Valle, Alessandro Maggi, Enrico Peyretti, Fabrizio Truini

Promotori: Agire politicamente; Associazione “Cercasi un fine” (Ba); Associazione Cresia (Ca); Associazione Esodo (Ve); Associazione Mounier (Cr) (Rete dei Viandanti); Associazione nazionale Maurizio Polverari (Rm); Assemblea permanente S. Francesco Saverio (Pa); Associazione Sulla Strada – Attigliano (Vt); Associazione Viandanti (Pr); Beati i costruttori di pace (Pd); Casa della Solidarietà - Quarrata (Pt) (Rete dei Viandanti); Centro internazionale Helder Camara (Mi); Chicco di Senape (To) (Rete dei Viandanti); Chiesa-Città (Pa); Chiesa Oggi (Pr) (Rete dei Viandanti); Cipax (Rm); Città di Dio - Invorio (No) (Rete dei Viandanti); Comunità cristiana di base di S.Paolo (Rm); Comunità Cristiane di Base italiane; Comunità del Villaggio artigiano (Mo); Comunità di base delle Piagge (Fi); Comunità di Mambre – Busca (Cn); Comunità di S.Benedetto (Ge); Comunità di S. Rocco (Ca); Comunità ecclesiale di S. Angelo (Mi); Comunità La Collina (Ca); Cnca (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza); Fine Settimana (Vb) (Rete dei Viandanti); Fraternità degli Anavim (Rm); Galilei (Pd) (Rete dei Viandanti); Gruppo ecumenico donne (Vb) (Rete dei Viandanti); Gruppo Promozione Donna (Mi); Il Concilio Vaticano II davanti a noi (Pr) (Rete dei Viandanti); Il Dialogo – Monteforte Irpino (Av); Il filo (Na) (Rete dei Viandanti); Il Guado - Gruppo di riflessione su fede e omosessualità (Mi); Koinonia (Pt) (Rete dei Viandanti; La Rosa Bianca; Le radici e frutti (Ca); Lettera alla chiesa fiorentina (Fi) (Rete dei Viandanti); MIR- Movimento Internazionale per la Riconciliazione; Noi Siamo Chiesa; Nuove Generazioni (Rn); Oggi la parola - Camaldoli (Ar) (Rete dei Viandanti); Ore Undici (Rm); Parrocchia S. Maria Immacolata e San Torpete (Ge); Piccola Comunità Nuovi Orizzonti (Me); Preti del Friuli-Venezia Giulia della Lettera di Natale; Preti operai della Lombardia; Progetto Continenti – Roma; Progetto Gionata su Fede e omosessualità (Fi); Scuola popolare Oscar Romero (Ca); Vasti - scuola di ricerca e critica delle antropologie (Rm); Vocatio - Movimento dei preti sposati. Riviste: Adista; Cem mondialità; Combonifem; Confronti; Dialoghi; Esodo; Il Foglio; Il Gallo; Il Tetto; L’Altrapagina; Missioni Consolata; Missione oggi; Mosaico di pace; Nigrizia; Orientamenti sociali sardi; Popoli; Preti operai; Qol; Segno; Sulla Strada; Tempi di fraternità; Viottoli.

http://www.facebook.com/notes/adista/ch ... oncilio/10


Fonte: Adista
camillobenso
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da camillobenso »

Suicidio e crisi economica sono interconnessi?
di Luciano Casolari | 13 maggio 2012 | Commenti (63)
Più informazioni su: crisi economica, suicidio.


La serie di suicidi che negli ultimi mesi avvengono in relazione, più o meno diretta, con situazioni di difficoltà economica interroga ognuno di noi. Ho incontrato diversi pazienti che mi hanno espresso i loro dubbi: “Dottore ce la farò a non impazzire di fronte al fallimento dell’azienda di famiglia?”. “Se, finita la cassa integrazione, non trovo un nuovo lavoro non è che cadrò in depressione ed arriverò a suicidarmi?”. “Sono talmente arrabbiato e frustrato che a volte penso di fare qualcosa di eclatante!”. Questo clima di tensione e angoscia esistenziale appare quasi palpabile per cui occorre provare a fornire qualche risposta seppur parziale.

Vorrei proporre alcune domande che sottopongo ai lettori. Per ogni domanda cercherò, come base di discussione, di fornire elementi frutto della mia esperienza trentennale come psichiatra psicoanalista.

1. E’ in atto un aumento dei suicidi?
Le statistiche ufficiali le avremo fra circa un anno. Se guardiamo al trend storico scopriamo che le variazioni in passato non hanno molto risentito delle fasi di espansione o contrazione dell’economia. In Italia i suicidi annuali secondo le statistiche sono circa 1 ogni 20 mila abitanti con enorme differenza fra Nord e Sud. In particolare al Nord sono 4 volte di più che al Sud. La ricca e prosperosa (economicamente) Germania ha il doppio di suicidi rispetto all’Italia mentre il picco, quattro volte superiore, lo troviamo nei paesi scandinavi. Il benessere economico parrebbe, quindi, ininfluente rispetto al fenomeno. Su questi dati statistici aleggiano seri dubbi. Se il suicida non viene culturalmente accettato può esserci la volontà di occultamento da parte dello stesso suicida che, per evitare che la sua famiglia debba vergognarsi, può nascondere il proprio suicidio facendolo apparire come incidente stradale, sul lavoro o accidentale. Oppure volontà dei familiari che, con l’appoggio più o meno compiacente dei medici o delle forze dell’ordine, possono, ad esempio, registrare come caduta accidentale un defenestramento. La cultura dell’accettazione del suicidio ha, quindi, una grande importanza nell’incidere sulla statistica. Ricordiamo che fino al secolo scorso al suicida veniva negata la cerimonia religiosa e la tumulazione nei normali cimiteri. Volendo provare a rispondere alla domanda la mia ipotesi è che non ci sia un reale aumento dei suicidi, ma piuttosto una sovraesposizione mediatica. Forse gli atti suicidi non facevano più notizia mentre ora sono maggiormente considerati?

2. Che rapporto c’è fra crisi economica e suicidio?
La perdita della sicurezza economica, dell’immagine sociale o gli stenti di una situazione di precarietà sicuramente fungono da fattori di malessere esistenziale e provocano momenti di intensa angoscia. Nella mia attività come medico ho conosciuto centinaia di persone che avevano attuato atti suicidi. In quasi tutti i casi emergeva una sofferenza profonda presente da parecchi mesi o anni che si innestava su un evento, a volte anche relativamente poco rilevante, che fungeva da momento scatenante. La descrizione più frequente è quella di una persona che si dibatte fra depressione, autosvalutazione e malesseri psicofisici da molto tempo che, d’un tratto, incorre in un evento che “fa traboccare il vaso”. Improvvisamente quella persona si descrive come lucida e calma perché ha superato un limite mentale e la decisione suicida appare chiara e semplice. In base a queste valutazioni e esperienze sarei portato a ritenere che la crisi economica, con le sue conseguenze, non sia la causa dei suicidi, ma possa fungere da fattore scatenante. Quello che possiamo chiederci è se non ci fosse stata la difficoltà economica cosa sarebbe successo? Sarebbe stato sventato definitivamente il pericolo? O invece un altro evento come una crisi di coppia, una malattia o altro avrebbe portato allo stesso esito?

3. L’attenzione mediatica è positiva o negativa?
Il comportamento suicida interroga i familiari e la società. Spesso si cercano dei significati che possono variare molto “Non mi avete capito!”. “Scusate non riuscivo a reggere la situazione!”, per cercare di farsene una ragione. Proprio l’integrazione mentale, attraverso l’incasellamento all’interno di un ragionamento che abbia un senso logico, è quello che la società, ma soprattutto i familiari cercano disperatamente. Nessuno riesce ad accettare il buco vuoto, il gesto senza alcuna ragione perché lascerebbe una ferita troppo lacerante. Se non c’è una ragione, infatti, qualsiasi evento diviene ancora più pauroso e terrifico. Tutto questo il suicida lo sa e spesso cerca, per quanto riesce, di lenire la sofferenza nelle persone che gli sono care o di gettare la colpa su chi odia. Quando l’attenzione mediatica comincia ad essere più forte per eventi suicidi si assiste a una sorta di epidemia di episodi analoghi. Si può pensare che ci siano decine di persone che meditano da mesi il suicidio le quali, influenzate dai mezzi di comunicazione, prendono la decisione di porlo in atto in quel momento e con quelle modalità perché il loro gesto non cada nel vuoto ma venga ricordato. A volte si tratta di un gesto di accusa verso qualcuno che in qualche modo deresponsabilizza altri. Ad esempio se risulta che mi sono suicidato per colpa delle tasse è evidente che i miei familiari soffriranno meno e si interrogheranno meno su eventuali loro manchevolezze nei miei confronti. La mia risposta alla domanda è che l’attenzione mediatica non incide sulle cause profonde ma può fungere da fattore che determina la decisione finale.

4. Cosa si può fare per aiutare chi soffre e ridurre gli eventi suicidi?
Gli uomini si suicidano dalle cinque alle dieci volte di più delle donne perché nell’educazione loro impartita esiste ancora il mito della forza d’animo. “Devi essere forte, farcela da solo, essere come James Bond che anche nella situazione più disperata se la cava, non devi essere una femminuccia”. Le donne educate a essere più umili e accettare la loro fragilità quando soffrono ne parlano fra di loro, con l’amica del cuore, non hanno timore a recarsi dal medico, ad assumere farmaci se necessario, ad accettare consigli. La mia risposta a questa domanda è che occorre che i mezzi di comunicazione descrivano l’uomo come esso è, una persona fragile con problemi esistenziali, con dubbi difficili da dirimere e con la necessità di stare vicino ad altri esseri umani. Sarebbe opportuno che i mezzi di comunicazione parlassero del suicidio anche quando non fa notizia e sdoganassero la depressione come una malattia “normale” che può capitare nella vita di ognuno di noi dal ricco al povero, intelligente e stupido, famoso o sconosciuto.

IFQ
peanuts
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da peanuts »

Oh, oggi hanno tirato fuori de pedis, criminale, assassino, sepolto in una basilica con tutti gli onori.
Mica ce lo rimetteranno?...
Oh, ma niente niente la faccenda Orlandi ha a che vedere con l'omicidio di Papa Luciani? Eh, care gerarchie vaticane, dissotterriamo anche Luciani e facciamo un'autopsia come si deve sui resti? O avete paura di scoprire la verità che tutti immaginiamo?
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
pancho
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da pancho »

Lettera aperta di “Noi Siamo Chiesa” ai vescovi italiani
Pubblicato il 13 maggio 2012
Lettera aperta ai vescovi italiani

Cari fratelli vescovi,

il prossimo 21 maggio vi riunirete in assemblea in un momento particolarmente difficile per il nostro paese a causa dell’attuale situazione economico sociale. Supponiamo che su ciò sarà concentrata la vostra attenzione. Sappiamo però che dovrete anche decidere in merito ai comportamenti da tenere nei confronti dei casi, veri o presunti, di abusi sessuali su minori in cui è coinvolto il clero. E’ di ciò che vogliamo parlare. Parecchi casi sono emersi nella cronaca negli ultimi mesi e confermano quanto sosteniamo da tempo: il problema esiste nel nostro paese in misura e modalità non sostanzialmente differenti da quelle degli altri paesi del nord Europa e degli USA. E’ stato un errore minimizzarlo, come ci sembra appaia dalle opinioni e dalle azioni che, in linea generale, avete manifestato e assunto fino ad ora. Riteniamo anche che sia in errore chi, nel mondo ecclesiastico, ritiene che ci si trovi di fronte a una specie di complotto da parte dei media o della cultura cd “radicale” o “laicista” per intaccare la credibilità della Chiesa. I fatti sono fatti e purtroppo questi fatti ci sono e anche in questi ultimi giorni.

Ciò premesso, “Noi Siamo Chiesa”, dopo aver ascoltato le vittime, da tempo ha riflettuto e, poi, ha espresso le proprie valutazioni su tutte queste questioni. Speriamo che siano da voi conosciute perché esse sono state diffuse ripetutamente e sono comunque tutte leggibili cercandole sul nostro sito Internet <www.noisiamochiesa.org>. Ugualmente sono ben conoscibili anche quelle, in argomento, del movimento Internazionale We Are Church (http://www.we-are-church.org). Le abbiamo espresse con passione per la vita della Chiesa e con la convinzione di esprimere opinioni largamente diffuse nel nostro mondo cattolico, anche se solo raramente esse vengono manifestate con la parresia che sarebbe necessaria. I nostri punti di vista non sono stati considerati.

Sappiamo che state discutendo al vostro interno di questa tematica. Ci interroghiamo e vi chiediamo se sia giusto che questa questione possa essere trattata con tempi e modi simili a quelli di tante altre, del tutto interne al funzionamento delle strutture ecclesiastiche. Qui ci sono di mezzo persone con le loro grandi sofferenze, persone che sono state o sono ancora nella Chiesa e che da essa si sono sentite abbandonate o esplicitamente tradite. Qui c’è di mezzo, più che su qualsiasi altro problema, la testimonianza del Vangelo nel nostro paese.

Nei prossimi giorni per voi c’è la possibilità di prendere una strada nuova. Ci riferiamo all’impegno che avete in questa vostra assemblea di approvare quelle “Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti dei minori da parte dei chierici” richieste un anno fa dalla Lettera circolare del 3.5.2011 della Congregazione per la dottrina della fede. Già nello scorso ottobre avevamo auspicato senza successo che queste Linee fossero elaborate con la partecipazione di rappresentanti delle vittime e con la collaborazione di esperti del problema, esterni al mondo ecclesiastico e di riconosciuta professionalità. Nulla si sa di quanto fino ad ora è stato discusso ed elaborato.

Ora, nell’imminenza di quanto deciderete da soli, molti si aspettano una presa d’atto della sottovalutazione del fenomeno e di troppi comportamenti negativi di cui alcuni di voi sono stati responsabili. Suggeriamo due punti sui quali deliberare:

–la denuncia alle autorità civili sia prevista nelle “Linee guida” come obbligatoria qualora ce ne siano gli estremi

–sia decisa l’istituzione in ogni diocesi di una struttura indipendente che sia il primo referente per le vittime sul modello di quanto di analogo già realizzato in altri paesi (Austria, Germania e altri e in Italia nella sola diocesi di Bolzano – Bressanone).

E’ necessario avere l’umiltà di riconoscere quanto di negativo è stato fatto o è stato omesso fino ad ora. Ci aspettiamo che ognuno di voi, davanti alla propria coscienza, non sfugga alle proprie personali responsabilità e all’appello del Vangelo e che tutti insieme riusciate ad individuare il percorso nuovo che è indispensabile. Ci auguriamo di cuore che ogni altro atteggiamento di chiusura clericale venga meno pensando al giudizio delle vittime, a quello del popolo dei credenti e a quello di Dio. Di altre possibili decisioni sbagliate sarebbe necessario pentirsi in futuro.

Un cordiale saluto nella comune fede nell’Evangelo

NOI SIAMO CHIESA http://www.noisiamochiesa.org/?p=2146
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da pancho »

Equità e convivenza

La Stampa, 29 gennaio 2012
di ENZO BIANCHI

Dopo un ventennio in cui è stata bandita quasi fosse un’istanza utopica se non un intralcio all’opulenza oggi, sopraggiunta la crisi con un significativo aumento delle sue vittime, si invoca l’equità e se ne afferma la necessità, ci si appella alla giustizia e all’uguaglianza, salvo ribellarvisi quando queste chiedono sacrifici a tutti e non solo “agli altri”. Ci rendiamo conto della barbarie che abbiamo voluto accogliere, dello scadimento cui abbiamo abbandonato tanti valori necessari alla semplice convivenza civile?

Nel leggere che in Italia il 10% delle famiglie più ricche possiede il 45,9% della ricchezza e che i poveri costituiscono ormai il 14,4% della popolazione mi viene spontaneo riandare alla descrizione della prima comunità cristiana di Gerusalemme: “Nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno”. Descrizione ormai vecchia di duemila anni, tesa a tratteggiare a posteriori un ideale non sempre collimante con la realtà: solo pochi versetti dopo, lo stesso libro degli Atti degli apostoli ci narra infatti della prima dichiarazione mendace dei redditi, con tragiche conseguenze per i due coniugi “contribuenti” disonesti.

È ovvio che non possiamo pensare di applicare a una collettività di quasi sessanta milioni di individui, membri di una società complessa, multietnica e multireligiosa le scelte individuali di condivisione proprie a una ristretta comunità di credenti (anche per questo è stata inventata la laicità), ma potremmo interrogarci sull’equità nelle misure per governare l’economia, cioè la giustizia intesa non solo come giudizio relativo al rispetto della legge ma come affermazione concreta e quotidiana dell’uguaglianza, almeno di partenza, di tutti i cittadini.

https://www.monasterodibose.it/content/ ... 4/lang,it/

un salutone da Juan....al Conte
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pancho
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Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da pancho »

“Mai una predica contro gli evasori”
di Adriana Zarri
in “il Fatto Quotidiano” del 14 maggio 2011

Vuoi dire qualcosa sul senso del peccato? In che cosa consiste?
Un’inchiesta recente ha confermato che le persone non vanno quasi più a confessarsi.Cosa ne pensi?

Ti dirò che io mi confesso di rado (un paio di volte all’anno sì e no). C’erano dei santi che si confessavano tutti i giorni. Ce n’era uno che si confessava due volte al giorno. Credo che questo sia una stortura.

Si dice che il peccato sia sbagliare bersaglio, sbagliare strada, modo di vivere. È vero?

C’è da dire che certe cose che noi consideriamo peccaminose una volta non lo erano. Una volta la Chiesa non condannava la schiavitù, per esempio (vedi san Paolo, la lettera a Filemone). C’è poi il peccato come rottura di donazione, di comunione. Il peccato è andare contro Dio e contro il volere di Dio, ma a me non piace questa parola. Meglio contro l’amore.

E poi c’è il peccato come rottura della relazione tra gli uomini a tutti i livelli (dalla violenza fino all’offesa personale. Su questo l’Evangelo è chiaro!.
Certo. Nel momento in cui si rompe l’armonia con Dio, la si rompe anche con gli uomini.

Il peccato esiste anche fuori dalla Chiesa?
Certamente! Fuori dalla Chiesa lo chiamano colpa, reato. Non vedo cosa cambia. Al di fuori della Chiesa non ha questa valenza di rottura di un rapporto con Dio, ma di un rapporto con una società. C’è lo stesso il senso del disordine.

Il peccato come senso del disordine?
Se no non ci sarebbero le leggi di uno Stato laico, se non ci fosse questa consapevolezza della rottura di un ordine che non sarà più considerato da uno Stato laico un ordine divino, ma un ordine umano.

Si parlava prima di “valori non negoziabili”, di diritti umani. In questo senso può essere peccato non pagare le tasse, non rispettare le leggi, lasciarsi corrompere o non praticare lagiustizia.
All’interno della Chiesa evidentemente c’è un malcostume dei peccati sopravvalutati e dei peccati sottovalutati. Mentre facciamo un dramma dei peccati sessuali, per esempio, non parliamo mai dei furti, della corruzione o delle tasse. Io non ho mai sentito in predica una condanna per chi non paga le tasse...

Lo hai scritto in un tuo recente articolo su “Rocca”. A questo proposito ha destato scalpore l’inchiesta fatta da un giornalista laico, Curzio Maltese, in cui si sottolineava il non pagamento delle tasse da parte della Chiesa istituzione. Sono problemi complessi che meriterebbero un approfondimento da parte di tutto il popolo di Dio. Al di là delle critiche ciò che va affermato con forza è che i cristiani debbono sempre rispettare le leggi e i diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione.
Certamente. Bisogna, però, dire che oggi c’è una maggiore presa di coscienza su questi problemi. Penso, ad esempio, a don Luigi Ciotti. Lui sta dedicando la vita alla lotta contro ogni forma di illegalità. Non ci avevo mai pensato, ma combattere contro l’illegalità per affermare la giustizia è un atto rivoluzionario.
Per concludere questo discorso mi sembra utile riportare un’affermazione del cardinal Martini nel suo ultimo libro:La Chiesa di Gesù Cristo deve contribuire a rendere il mondo più giusto e più pacifico. Secondo la Bibbia, la giustizia è più del diritto e della carità: è l’attributo fondamentale di Dio. Giustizia significa un impegno attivo e audace perché tutti possano convivere in pace. La giustizia deve vegliare affinché il diritto, come è formulato nelle leggi, consenta a tutti gli uomini un’esistenza dignitosa. Gesù ha dato la sua vita per la giustizia(...). Chi interviene al fianco degli uomini, che sono pecore senza pastore, e li riunisce rendendoli consapevoli, diventa pericoloso agli occhi dei potenti. I cristiani che adottano “l’opzione a favore dei poveri” di Gesù devono ancora oggi aspettarsi delle persecuzioni.

http://www.finesettimana.org/pmwiki/upl ... 4zarri.pdf
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Personaggi come questi fanno sentire la loro mancanza sopratutto in questi giorni.Non sono gli unici pero', e questo mi consola, basta essere un po' piu' attenti a quel che si vuol cercare per leggere e quindi capire che non esiste una sola voce nel mondo cattolico e cristiano.

Sta' a noi individuare quale di queste rispecchiano il ns. modo do essere cristiani e cattolici.
I dubbi fanno parte della natura stessa dell'essere umano e quindi nesseuno puo essere esente neppure la stessa chiesa.

Il ns. compito allora non sara' altro che quello di cercare certezze ai ns. continui dubbi. Io almeno ne ho tanti, ma voi?


un salutone da Juan ..,.per il Conte e co. ;)
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
Amadeus

Re: THE CATHOLIC QUESTION

Messaggio da Amadeus »

allaccio all'articolo del FQ riportato sopra un altro che tenta di analizzare dei dati statistici , non per togliere importanza al dramma ma per inquadrare il fenomeno dal punto di vista mediatico .
l'informazione in Italia riesce sempre ad avvitarsi su se stessa .
questo articolo è l'unica voce che ho sentito proporre una cosa buona e giusta : l'ultimo paragrafo che ho sottolineato in blu .


I suicidi non sono aumentati per la crisi
Le persone che si tolgono la vita a causa di difficoltà economiche sembrano solamente in aumento. Andiamoci piano: i dati statistici raccontano un’altra verità
09 maggio 2012 di Daniela Cipolloni

Sembra inarrestabile l’ escalation di suicidi legati alle difficoltà economiche. Un bollettino di guerra, quasi all’ordine del giorno. Gli ultimi tre casi, due nel salernitano e uno nel milanese nella giornata di ieri, portano a 38 il bilancio delle cosiddette vittime della crisi dall’inizio del 2012 , quasi un terzo delle quali in Veneto. Tanto da spingere il segretario dell’ Associazione artigiani piccole imprese (Cgia) di Mestre, Giuseppe Bortolussi, a lanciare un appello al presidente Giorgio Napolitano perché intervenga.

La politica cavalca l’onda funesta, con il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, che ha usato parole fortissime contro il premier Mario Monti, accusandolo di avere queste morti sulla coscienza. Ma davvero stiamo assistendo a un’ impennata di suicidi? Davvero la crisi sarebbe la causa di questa strage? Il 2012 sarà ricordato come l’anno dei suicidi o forse ce lo stanno dipingendo così? I dati, se si reputano affidabili le 38 morti dichiarate, parlano chiaro: nel 2012, ogni giorno ci sono 0,29 suicidi per motivi economici, contro lo 0,51 del 2010 e lo 0,54 del 2009. Nessuna epidemia suicida in corso, almeno finora. Per valutare davvero la situazione, si dovrà aspettare.

“ Ogni anno in Italia si verificano circa tremila casi di suicidio, con punte di quasi quattromila casi nei primi anni Novanta”, osserva Stefano Marchetti, responsabile dell’ultima, recentissima, indagine dell’ Istituto nazionale di statistica (Istat) su suicidi e tentativi di suicidio in Italia, relativa all’anno 2010: “ Ogni gesto estremo, come quelli che le cronache recenti raccontano, nasconde una tragedia umana e impone il massimo rispetto. Ma è difficile affermare, a oggi, che vi sia un aumento statisticamente significativo dei suicidi dovuto alla crisi economica. Temo che si stiamo facendo affermazioni forti, senza robuste evidenze scientifiche”.

Può sembrare cinico snocciolare numeri e percentuali, ma è l’unico modo per separare i fatti dalle impressioni. Dicevamo: 38 suicidi per motivi economici dal 1 gennaio all'8 maggio 2012. Purtroppo sono la punta dell’iceberg rispetto al fenomeno generale. Nel 2010, per esempio, l’Istat ha contato 3.048 suicidi, di cui 187 per motivi economici, “ in base a quello – specifica Marchetti – che viene indicato dalle forze dell’ordine come il presunto movente”. Se si escludono i suicidi per motivi d’onore (18 in tutto), quello economico è, per assurdo, il movente meno preoccupante di tutti. Quasi una persona su due (1.412) ha deciso di farla finita a causa di una malattia (per 4 su 5 di origine psichica). La seconda causa di suicidio è affettiva: 324 persone si sono tolte la vita per questioni di cuore, quasi il doppio rispetto a chi l’ha fatto per il conto in banca. E quasi in un caso su tre non è stato possibile individuare il movente del gesto. Questo per dire che debiti, tasse, difficoltà economiche possono sì indurre a compiere una follia, ma la piaga sociale dei suicidi è molto più vasta e complessa di come appare dai mezzi d’informazione.

Guardiamo agli anni passati, per vedere se la crisi ha colpito davvero. Nel 2008, i suicidi per ragioni economiche sono stati 150, su un totale di 2.828 casi. Nel 2009, sono stati 198 su 2.986 casi. Se si prende solo il dato numerico questo significa che sono aumentati del 24,6% tra 2008 e 2010, ma anche che sono diminuiti del 6 per cento tra 2009 e 2010. Rispetto al totale, questi atti rappresentano il 5,3% di tutti i suicidi nel 2008, il 6,6% nel 2009 e il 6,1% nel 2010. La variazione percentuale, insomma, appare minima.

Dopo di che, è innegabile che le difficoltà economiche o la mancanza di un lavoro possano gettare nella disperazione. Secondo il recente rapporto dell’ Eures Ricerche Economiche e Sociali, intitolato Il suicidio in Italia al tempo della crisi sarebbero in aumento i suicidi tra i disoccupati (362 nel 2010, contro 357 nel 2009 e una media di 270 nel triennio precedente), con un +40% tra 2008 e 2010. I più a rischio sarebbero proprio loro, quelli che hanno perso il lavoro o non riescono a trovarlo, seguiti da imprenditori e liberi professionisti.

Tuttavia occorre cautela prima di emettere sentenze. In Germania, la cui economia tiene, il numero dei suicidi è quasi doppio rispetto all’Italia e in Finlandia, dove la qualità della vita è molto più alta, i suicidi sono quattro volte superiori ai nostri. Nella Grecia sull’orlo del collasso ci sono poco più della metà dei suicidi rispetto all’Italia e può sembrare paradossale, ma il paese nel quale la situazione economica è più drammatica è anche quello dove si verificano meno suicidi in tutta Europa ( qui si trovano un po’ di tabelle).

È giusto affrontare il problema, ma interpretare la situazione attuale come una drammatica emergenza legata alla crisi è una forzatura. Ed è pericoloso, perché il fenomeno dei suicidi è a forte rischio emulazione. Questo sì, è scientificamente provato. “ Studi epidemiologici internazionali dimostrano con certezza che le notizie dei suicidi da crisi economica, se presentate in modo sensazionalistico, inducono altri suicidi, innescando un pericoloso ‘effetto domino ’”, dice Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano: “ Le persone che compiono questi gesti estremi sono nella grande maggioranza dei casi entrate da tempo nel tunnel della patologia psichica, prevalentemente depressiva, che toglie la possibilità di trovare soluzioni alternative. I gesti estremi possono essere scatenati da fatti contingenti che esasperano una situazione economica già complessa, ma s’innescano in personalità da tempo fragili e vulnerabili che non hanno avuto la possibilità di chiedere aiuto per la loro sofferenza psichica”. L’appello rivolto a chi governa è che potenzino i servizi di salute mentale, in questo periodo di recessione. Perché c’è tanta gente che non sa a chi chiedere aiuto, ma non solo per motivi economici.
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