Francesco un papa ...Cristiano!

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UncleTom
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!

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IL SEGNO DEI TEMPI


Io non ricordo di essere stato testimone di un dileggio a mezzo manifesti per le vie di Roma con destinatario il Papa???

E voi????

E non ricordo neppure che sia avvenuto nei secoli precedenti, o di averlo letto da qualche parte.

A meno che sia un mio limite nella conoscenza.



Malgrado tutto, il cervello umano rimane un mistero.

La storia del bicchiere mezzo pieno e del bicchiere mezzo vuoto continua a riprodursi all’infinito.

Un amico ateone, stravede per Francesco perché vede in lui un comunista.

Vede anche un rinnovatore della Chiesa che sta facendo pulizia al suo interno.

I falsi cristiani de “Il Giornale” e di “Libero”vedono anche loro quanto vede l’amico ateone, un comunista, e non perdono occasione per evidenziarlo, ma da una posizione diversa.

Quella della destra fascista.

E quindi attaccano Francesco di brutto ogni volta che si presenta l’occasione.

Salvini che è un fascio-leghista, ha avuto un incontro segreto con il cardinale Raymond L. Burke, schierato con Trump e di conseguenza contro Bergoglio.

La stagione dei veleni non è solo in Italia, ma anche oltre le mura leonine.
UncleTom
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!

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“C’è corruzione in Vaticano“, ha detto il pontefice argentino

Il tema non è solo pesante e esaustivo solo per noi.


La denuncia del Papa: “Corruzione in Vaticano
A volte anche i marinai di Pietro remano contro”

Francesco a Civiltà cattolica: “Nella Chiesa clima mondano e principesco. Non c’è bisogno di diventare
cardinali per credersi principi”. Sui preti pedofili: “E’ malattia, attenzione a maturità dei candidati”

Cronaca
Corruzione. Scandali finanziari. Pedofilia. Marinai che nella barca di Pietro remano “in senso contrario“. “C’è corruzione in Vaticano“, ha detto il pontefice argentino in una lunga intervista a Civiltà cattolica. Interpellato su cosa possono fare i religiosi, Francesco ha risposto: “Nella Chiesa entra il clima mondano e principesco, e i religiosi possono contribuire a distruggere questo clima nefasto”. Il Papa usa toni lievi per parlare di temi complessi: la “barca di Pietro“, “a volte nella storia, oggi come ieri, può essere sballottata dalle onde e non c’è da meravigliarsi di questo. Ma anche gli stessi marinai chiamati a remare possono remare in senso contrario”
di F. Q.
UncleTom
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!

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UncleTom ha scritto:“C’è corruzione in Vaticano“, ha detto il pontefice argentino

Il tema non è solo pesante e esaustivo solo per noi.


La denuncia del Papa: “Corruzione in Vaticano
A volte anche i marinai di Pietro remano contro”

Francesco a Civiltà cattolica: “Nella Chiesa clima mondano e principesco. Non c’è bisogno di diventare
cardinali per credersi principi”. Sui preti pedofili: “E’ malattia, attenzione a maturità dei candidati”

Cronaca
Corruzione. Scandali finanziari. Pedofilia. Marinai che nella barca di Pietro remano “in senso contrario“. “C’è corruzione in Vaticano“, ha detto il pontefice argentino in una lunga intervista a Civiltà cattolica. Interpellato su cosa possono fare i religiosi, Francesco ha risposto: “Nella Chiesa entra il clima mondano e principesco, e i religiosi possono contribuire a distruggere questo clima nefasto”. Il Papa usa toni lievi per parlare di temi complessi: la “barca di Pietro“, “a volte nella storia, oggi come ieri, può essere sballottata dalle onde e non c’è da meravigliarsi di questo. Ma anche gli stessi marinai chiamati a remare possono remare in senso contrario”
di F. Q.




LA DENUNCIA DI FRANCESCO VISTA DAL FATTO QUOTIDIANO


Chiesa, la denuncia di Papa Francesco: “In Vaticano c’è corruzione. Nella barca di Pietro alcuni marinai remano contro”

Cronaca

In un lungo colloquio con "Civiltà Cattolica", il pontefice affronta alcune delle problematiche più scomode tra quelle che affliggono il Vaticano: ""Nelle strutture della Chiesa entra il clima mondano e principesco, e i religiosi possono contribuire a distruggere questo clima nefasto". Sulla pedofilia: "E' una malattia. Mai ricevere in una diocesi candidati respinti da un altro seminario o istituto senza chiedere informazioni molto chiare e dettagliate"

di F. Q. | 9 febbraio 2017

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Più informazioni su: Corruzione, Papa Francesco, Pedofilia, Vaticano

Corruzione. Scandali finanziari. Marinai che nella barca di Pietro remano “in senso contrario“. Pedofilia. In un lungo colloquio con Civiltà Cattolica di cui il Corriere della Sera riporta ampi brani, Papa Francesco affronta alcune delle problematiche più scomode tra quelle che affliggono il Vaticano.

“C’è corruzione in Vaticano. Ma io sono in pace“, ha detto il pontefice argentino al periodico dei gesuiti giunto al numero 4.000, sottolineando in questo modo la propria distanza da coloro che di questa corruzione si nutrono e ricordando anche che nelle Congregazioni Generali prima del Conclave che lo ha eletto “si parlava dei problemi del Vaticano, si parlava di riforme. Tutti le volevano”. Per restare sereno, tuttavia, scherza Francesco, “non prendo pastiglie tranquillanti. Gli italiani danno un bel consiglio: per vivere in pace ci vuole un sano menefreghismo“.

Ancora una volta “castigat sorridendo mores“, si potrebbe dire del Papa argentino parafrasando l’adagio latino: con levità il pontefice accende un faro su ciò che nella sua Chiesa lo preoccupa di più. Interpellato su cosa possono fare i religiosi per rinnovare le strutture e la mentalità della Chiesa, Francesco risponde: “Nelle strutture della Chiesa entra il clima mondano e principesco, e i religiosi possono contribuire a distruggere questo clima nefasto. E non c’è bisogno di diventare cardinali per credersi prìncipi! Basta essere clericali. Questo è quanto di peggio ci sia nell’organizzazione della Chiesa. I religiosi possono contribuire con la testimonianza di una fratellanza più umile”. Una fratellanza che ha il suono di un auspicio: “I religiosi possono dare la testimonianza di un iceberg capovolto, dove la punta, cioè il vertice, il capo, è capovolta, sta in basso”. Un vertice che spesso fa parlare di sé più per la sua ricchezza materiale che per le proprie virtù spirituali: “Il Signore vuole tanto che i religiosi siano poveri – affonda Francesco – quando non lo sono, il Signore manda un economo che porta l’Istituto in fallimento!”.

Torna a parlare di temi complessi, Francesco. Temi scomodi che nell’udienza alla comunità della rivista dei Gesuiti affronta con una metafora: la “barca di Pietro“, “a volte nella storia, oggi come ieri, può essere sballottata dalle onde e non c’è da meravigliarsi di questo. Ma anche gli stessi marinai chiamati a remare possono remare in senso contrario. È sempre accaduto”.

Nell’intervista a Civiltà Cattolica Francesco affronta anche il tema degli abusi sessuali sui minori compiuti all’interno della Chiesa: “Parliamoci chiaro: questa è una malattia. Se non siamo convinti che questa è una malattia, non si potrà risolvere bene il problema. Quindi, attenzione a ricevere in formazione candidati alla vita religiosa senza accertarsi bene della loro adeguata maturità affettiva. Per esempio: mai ricevere nella vita religiosa o in una diocesi candidati che sono stati respinti da un altro seminario o istituto senza chiedere informazioni molto chiare e dettagliate sulle motivazioni dell’allontanamento”.
UncleTom
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!

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9 feb 2017 10:41

LA PAPATA BOLLENTE SUL "VATICANO CORROTTO"


- IL GESUITA FRANCESCO SI FA INTERVISTARE DA ‘CIVILTÀ CATTOLICA’ E ATTACCA TUTTI: "I CORROTTI IN VATICANO CHE NON VOGLIONO RIFORME, I PRETI PEDOFILI MALATI E MOSSI DAL DEMONIO, LE ‘FONDAZIONI’ TIPO OPUS DEI E ORDINE DI MALTA (SENZA NOMINARLE): ‘SONO ‘RESTAURAZIONISTE. QUANDO MI DICONO CHE UNA CONGREGAZIONE ATTIRA TANTE VOCAZIONI, MI PREOCCUPO’








Antonio Spadaro, direttore della ‘Civiltà Cattolica’, intervista il Papa per il numero 4000 della rivista dei gesuiti, pubblicata dal ‘Corriere della Sera’

<<Il Papa è in ritardo», mi dicono all’ingresso dell’Aula Paolo VI il 25 novembre 2016. Dentro, nel luogo in cui si svolgono i Sinodi, erano in attesa 140 Superiori Generali di Ordini e Congregazioni religiose maschili (Usg), riuniti alla fine della loro 88a Assemblea Generale. Fuori una leggera pioggia. «Andate e portate frutto. La fecondità della profezia»: questo il tema dell’Assemblea che si è svolta dal 23 al 25 novembre presso il «Salesianum» di Roma. Non è comune che il Pontefice arrivi in ritardo. Alle 10,15 ecco arrivare i fotografi e quindi il Papa a passo svelto.



Dopo l’applauso di saluto, Francesco esordisce: «Scusate per il ritardo. La vita è così: piena di sorprese. Per capire le sorprese di Dio bisogna capire le sorprese della vita. Grazie tante». E ha proseguito dicendo che non voleva che il suo ritardo influisse sul tempo fissato per stare insieme. Per questo l’incontro è durato comunque tre ore piene. A metà dell’incontro si è avuta una pausa. Era stata preparata una saletta riservata per il Papa, ma lui ha esclamato: «Perché mi volete far stare tutto da solo?». E così la pausa ha visto il Papa gioiosamente tra i Generali a prendere un caffè e uno spuntino, salutando l’uno e l’altro.

Non vi è stato alcun discorso preparato in anticipo né da parte dei religiosi né da parte del Papa. Le telecamere del Ctv hanno ripreso solamente i saluti iniziali e poi sono andate via. L’incontro doveva essere libero e fraterno, fatto di domande e risposte non filtrate. Il Papa non ha voluto leggerle in anticipo. Dopo aver ricevuto un brevissimo saluto da parte di p. Mario Johri, ministro generale dei Frati Cappuccini e presidente dell’Usg, e di p. David Glenday, comboniano, segretario generale, il Papa ha ascoltato le domande dell’Assemblea.


E se ci fossero critiche? «È bene essere criticato — afferma il Papa —, a me piace questo, sempre. La vita è fatta anche di incomprensioni e di tensioni. E quando sono critiche che fanno crescere, le accetto, rispondo. Le domande più difficili però non le fanno i religiosi, ma i giovani. I giovani ti mettono in difficoltà, loro sì. I pranzi con i ragazzi nelle Giornate Mondiali della Gioventù o in altre occasioni, queste situazioni mi mettono in difficoltà. I giovani sono sfacciati e sinceri e loro ti chiedono le cose più difficili. Adesso fate le vostre domande».


Santo Padre, noi riconosciamo la sua capacità di parlare ai giovani e di infiammarli per la causa del Vangelo. Noi sappiamo anche del suo impegno per avvicinare i giovani alla Chiesa; per questo ha convocato il prossimo Sinodo dei vescovi sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Quali motivazioni l’hanno spinta a convocare il Sinodo sui giovani? Quali suggerimenti ci offre per raggiungere i giovani oggi?

Alla fine del Sinodo scorso ogni partecipante ha dato tre suggerimenti sul tema da affrontare nel prossimo. Poi sono state consultate le Conferenze episcopali. Le convergenze sono andate su temi forti, quali gioventù, formazione sacerdotale, dialogo interreligioso e pace. Nel primo Consiglio post-sinodale è stata fatta una bella discussione. Io ero presente. Ci vado sempre, ma non parlo. Per me importante è ascoltare davvero. È importante che io ascolti, ma lascio che siano loro a lavorare liberamente. In questo modo capisco come emergono le problematiche, quali sono le proposte e i nodi, e come si affrontano.

Hanno scelto i giovani. Ma alcuni sottolineavano l’importanza della formazione sacerdotale. Personalmente ho molto a cuore il tema del discernimento. L’ho raccomandato più volte ai gesuiti: in Polonia e poi alla Congregazione Generale . Il discernimento accomuna la questione della formazione dei giovani alla vita: di tutti i giovani, e in particolare, a maggior ragione, anche dei seminaristi e dei futuri pastori. Perché la formazione e l’accompagnamento al sacerdozio ha bisogno del discernimento.


Al momento è uno dei problemi più grandi che abbiamo nella formazione sacerdotale. Nella formazione siamo abituati alle formule, ai bianchi e ai neri, ma non ai grigi della vita. E ciò che conta è la vita, non le formule. Dobbiamo crescere nel discernimento. La logica del bianco e nero può portare all’astrazione casuistica. Invece il discernimento è andare avanti nel grigio della vita secondo la volontà di Dio. E la volontà di Dio si cerca secondo la vera dottrina del Vangelo e non nel fissismo di una dottrina astratta. Ragionando sulla formazione dei giovani e sulla formazione dei seminaristi, ho deciso il tema finale così come è stato comunicato: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale».

La Chiesa deve accompagnare i giovani nel loro cammino verso la maturità, e solo con il discernimento e non con le astrazioni i giovani possono scoprire il loro progetto di vita e vivere una vita davvero aperta a Dio e al mondo. Dunque ho scelto questo tema per introdurre il discernimento con maggior forza nella vita della Chiesa. L’altro giorno abbiamo avuto la seconda riunione del Consiglio post-sinodale. Si è discusso abbastanza bene su questo argomento. Hanno preparato la prima bozza sui Lineamenta che si dovrà inviare subito alle Conferenze episcopali. Hanno lavorato anche religiosi. È uscita una bozza ben preparata.

Questo comunque è il punto chiave: il discernimento, che è sempre dinamico, come la vita. Le cose statiche non vanno. Soprattutto con i giovani. Quando io ero giovane, la moda era fare riunioni. Oggi le cose statiche come le riunioni non vanno bene. Si deve lavorare con i giovani facendo cose, lavorando, con le missioni popolari, il lavoro sociale, con l’andare ogni settimana a dar da mangiare ai senzatetto. I giovani trovano il Signore nell’azione.

Poi, dopo l’azione si deve fare una riflessione. Ma la riflessione da sola non aiuta: sono idee… solo idee. Dunque due parole: ascolto e movimento. Questo è importante. Ma non solamente formare i giovani all’ascolto, bensì innanzitutto ascoltare loro, i giovani stessi. Questo è un primo compito importantissimo della Chiesa: l’ascolto dei giovani. E nella preparazione del Sinodo la presenza dei religiosi è davvero importante, perché i religiosi lavorano molto con i giovani.


Che cosa si aspetta dalla vita religiosa nella preparazione del Sinodo? Quali speranze Lei ha per il prossimo Sinodo sui giovani, alla luce della diminuzione delle forze della vita religiosa in Occidente?


Certo, è vero che c’è una diminuzione delle forze della vita religiosa in Occidente. Certamente è collegata al problema demografico. Ma è anche vero che a volte la pastorale vocazionale non risponde alle attese dei giovani. Il prossimo Sinodo ci darà idee. La diminuzione della vita religiosa in Occidente mi preoccupa.

Ma mi preoccupa anche un’altra cosa: il sorgere di alcuni nuovi Istituti religiosi che sollevano alcune preoccupazioni. Non dico che non debbano esserci nuovi Istituti religiosi! Assolutamente no. Ma in alcuni casi mi interrogo su che cosa stia accadendo oggi. Alcuni di essi sembrano una grande novità, sembrano esprimere una grande forza apostolica, trascinano tanti e poi… falliscono. A volte si scopre persino che dietro c’erano cose scandalose… Ci sono piccole fondazioni nuove che sono davvero buone e che fanno sul serio. Vedo che dietro queste buone fondazioni ci sono a volte anche gruppi di vescovi che accompagnano e garantiscono la loro crescita. Però ce ne sono altre che nascono non da un carisma dello Spirito Santo, ma da un carisma umano, da una persona carismatica che attira per le sue doti umane di fascinazione.



Alcune sono, potrei dire, «restaurazioniste»: esse sembrano dare sicurezza e invece danno solo rigidità. Quando mi dicono che c’è una Congregazione che attira tante vocazioni, lo confesso, io mi preoccupo. Lo Spirito non funziona con la logica del successo umano: ha un altro modo. Ma mi dicono: ci sono tanti giovani decisi a tutto, che pregano tanto, che sono fedelissimi. E io mi dico: «Benissimo: vedremo se è il Signore!».

Alcuni poi sono pelagiani: vogliono tornare all’ascesi, fanno penitenze, sembrano soldati pronti a tutto per la difesa della fede e di buoni costumi… e poi scoppia lo scandalo del fondatore o della fondatrice… Noi sappiamo, vero? Lo stile di Gesù è un altro. Lo Spirito Santo ha fatto rumore il giorno della Pentecoste: era all’inizio. Ma di solito non fa tanto rumore, porta la croce. Lo Spirito Santo non è trionfalista. Lo stile di Dio è la croce che si porta avanti fino a che il Signore non dice «basta». Il trionfalismo non va bene d’accordo con la vita consacrata.

Dunque, non mettete la speranza nel fiorire improvviso e massiccio di questi Istituti. Cercate invece l’umile cammino di Gesù, quello della testimonianza evangelica. Benedetto XVI ce lo ha detto molto bene: la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione.

Perché ha scelto tre tematiche ne per le prossime tre Giornate mondiali della gioventù che condurranno alle Giornate mondiali di Panama?

I temini per le prossime tre Giornate mondiali non li ho scelti io! Dall’America Latina hanno chiesto questo: una forte presenza na. È vero che l’America Latina è molto na, e a me è sembrata una cosa molto buona. Non ho avuto altre proposte, e io ero contento così. Ma la Madonna vera! Non la Madonna capo di un ufficio postale che ogni giorno manda una lettera diversa, dicendo: «Figli miei, fate questo e poi il giorno dopo fate quest’altro». No, non questa. La Madonna vera è quella che genera Gesù nel nostro cuore, che è Madre. Questa moda della Madonna superstar, come una protagonista che mette se stessa al centro, non è cattolica.



Santo Padre, la sua missione nella Chiesa non è facile. Malgrado le sfide, le tensioni, le opposizioni, Lei ci offre la testimonianza di un uomo sereno, di un uomo di pace. Qual è la sorgente della sua serenità? Da dove viene questa fiducia che la ispira e che può sostenere anche la nostra missione? Chiamati a essere guide religiose, cosa ci suggerisce per vivere con responsabilità e pace il nostro compito?



Qual è la sorgente della mia serenità? No, non prendo pastiglie tranquillanti! Gli italiani danno un bel consiglio: per vivere in pace ci vuole un sano menefreghismo. Io non ho problemi nel dire che questa che sto vivendo è un’esperienza completamente nuova per me. A Buenos Aires ero più ansioso, lo ammetto. Mi sentivo più teso e preoccupato. Insomma: non ero come adesso. Ho avuto un’esperienza molto particolare di pace profonda dal momento che sono stato eletto. E non mi lascia più. Vivo in pace. Non so spiegare.



Per il conclave, mi dicono che nelle scommesse a Londra ero nel numero 42 o 46. Io non lo prevedevo affatto. Ho pure lasciato l’omelia pronta per il Giovedì santo . Nei giornali si diceva che ero un king maker, ma non il Papa. Al momento dell’elezione io ho detto semplicemente: «Signore, andiamo avanti!». Ho sentito pace, e quella pace non se n’è andata.


Nelle Congregazioni Generali si parlava dei problemi del Vaticano, si parlava di riforme. Tutti le volevano. C’è corruzione in Vaticano. Ma io sono in pace. Se c’è un problema, io scrivo un biglietto a san Giuseppe e lo metto sotto una statuetta che ho in camera mia. È la statua di san Giuseppe che dorme. E ormai lui dorme sotto un materasso di biglietti! Per questo io dormo bene: è una grazia di Dio. Dormo sempre sei ore. E prego. Prego a mio modo. Il breviario mi piace tanto e mai lo lascio. La Messa tutti i giorni. Il rosario…. Quando prego, prendo sempre la Bibbia. E la pace cresce. Non so se questo è il segreto… La mia pace è un regalo del Signore. Che non me la tolga!

Credo che ciascuno debba trovare la radice dell’elezione che il Signore ha fatto su di lui. Del resto, perdere la pace non aiuta affatto a soffrire. I superiori devono imparare a soffrire, ma a soffrire come un papà. E anche a soffrire con molta umiltà. Per questa strada si può andare dalla croce alla pace. Ma mai lavarsi le mani dai problemi! Sì, nella Chiesa ci sono i Ponzio Pilato che se ne lavano le mani per stare tranquilli. Ma un superiore che se ne lava le mani non è padre e non aiuta.


Santo Padre, nei suoi interventi ci ha detto spesso che ciò che specifica la vita religiosa è la profezia. Ci siamo confrontati a lungo su cosa significhi essere radicali nella profezia. Quali sono le «zone di sicurezza e di conforto» da cui siamo chiamati a uscire? Lei ha parlato alle monache di una «ascesi profetica e credibile». Come la intende in una prospettiva rinnovata di «cultura della misericordia»? Come può la vita consacrata contribuire a tale cultura?



Essere radicali nella profezia. A me questo importa tanto. Prenderò come «icona» Gioele 3. Mi viene spesso in mente, e so che viene da Dio. Dice: «Gli anziani avranno sogni e i giovani profetizzeranno». Questo versetto è un nocciolo della spiritualità delle generazioni. Essere radicali nella profezia è il famoso sine glossa, la regola sine glossa, il Vangelo sine glossa. Cioè: senza calmanti! Il Vangelo va preso senza calmanti. Così hanno fatto i nostri fondatori.



La radicalità della profezia dobbiamo trovarla nei nostri fondatori. Loro ci ricordano che siamo chiamati a uscire dalle nostre zone di conforto e sicurezza, da tutto quello che è mondanità: nel modo di vivere, ma anche nel pensare strade nuove per i nostri Istituti. Le strade nuove vanno cercate nel carisma fondazionale e nella profezia iniziale. Dobbiamo riconoscere personalmente e comunitariamente qual è la nostra mondanità.


Persino l’ascetica può essere mondana. E invece deve essere profetica. Quando sono entrato nel noviziato dei gesuiti, mi hanno dato il cilicio. Va bene anche il cilicio, ma attenzione: non deve aiutarmi a dimostrare quanto sono bravo e forte. La vera ascesi deve farmi più libero. Credo che il digiuno sia una cosa che conservi attualità: ma come faccio il digiuno? Semplicemente non mangiando?



Santa Teresina aveva anche un altro modo: mai diceva cosa le piaceva. Non si lamentava e prendeva tutto quello che le davano. C’è un’ascesi quotidiana, piccola, che è una mortificazione costante. Mi viene in mente una frase di sant’Ignazio che aiuta a essere più liberi e felici. Lui diceva che per seguire il Signore aiuta la mortificazione in tutte le cose possibili. Se ti aiuta una cosa, falla, anche il cilicio! Ma solamente se ti aiuta a essere più libero, non se ti serve per mostrare a te stesso che sei forte.



Cosa comporta la vita comunitaria? Qual è il ruolo di un superiore per custodire questa profezia? Quale apporto possono dare i religiosi per contribuire al rinnovamento delle strutture e della mentalità della Chiesa?


La vita comunitaria? Alcuni santi l’hanno definita una continua penitenza. Ci sono comunità in cui la gente si spella e si spiuma! Se la misericordia non entra nella comunità, non va bene. Per i religiosi la capacità di perdono deve spesso iniziare nella comunità. E questo è profetico. Si comincia sempre con l’ascolto: che tutti si sentano ascoltati. Ci vuole ascolto e persuasione anche da parte del superiore. Se il superiore rimprovera continuamente, non aiuta a creare la profezia radicale della vita religiosa. Sono convinto che i religiosi siano in vantaggio nel dare un contributo al rinnovamento delle strutture e della mentalità della Chiesa.



Nei consigli presbiterali delle diocesi i religiosi aiutano nel cammino. E non devono avere paura di dire le cose. Nelle strutture della Chiesa entra il clima mondano e principesco, e i religiosi possono contribuire a distruggere questo clima nefasto. E non c’è bisogno di diventare cardinali per credersi prìncipi! Basta essere clericali. Questo è quanto di peggio ci sia nell’organizzazione della Chiesa. I religiosi possono contribuire con la testimonianza di una fratellanza più umile. I religiosi possono dare la testimonianza di un iceberg capovolto, dove la punta, cioè il vertice, il capo, è capovolta, sta in basso.



Santo Padre, noi abbiamo speranze che attraverso la sua guida si sviluppino migliori relazioni tra vita consacrata e Chiese particolari. Che cosa ci suggerisce per esprimere in pienezza i nostri carismi nelle Chiese particolari e per affrontare le difficoltà che a volte sorgono nei rapporti con i vescovi e il clero diocesano? Come vede la realizzazione del dialogo della vita religiosa con i vescovi e la collaborazione con la Chiesa locale?



Da tempo si chiede di rivedere i criteri circa i rapporti tra i vescovi e i religiosi stabiliti nel 1978 dalla Congregazione per i religiosi e dalla Congregazione per i vescovi nel documento Mutuae relationes. Già nel Sinodo del 1994 ne se era parlato. Quel documento risponde a un certo tempo e non è più così attuale. Il tempo è maturo per il cambiamento. È importante che i religiosi si sentano appieno dentro la Chiesa diocesana. Appieno.


A volte ci sono tante incomprensioni che non aiutano all’unità, e allora bisogna dare un nome ai problemi. I religiosi devono essere nelle strutture di governo della Chiesa locale: consigli di amministrazione, consigli presbiterali… A Buenos Aires i religiosi eleggevano i loro rappresentanti nel consiglio presbiterale. Il lavoro va condiviso nelle strutture delle diocesi. I religiosi devono essere nelle strutture di governo della diocesi. Da isolati non ci si aiuta. In questo si deve crescere tanto. E così anche il vescovo è aiutato a non cadere nella tentazione di diventare un po’ principe…



Ma anche la spiritualità va diffusa e condivisa, e i religiosi sono portatori di forti correnti spirituali. In alcune diocesi i sacerdoti del clero diocesano si riuniscono in gruppi di spiritualità francescana, carmelitana… Ma che lo stile di vita possa essere condiviso: alcuni preti diocesani si chiedono perché non possano vivere insieme per non essere soli, perché non possano vivere una vita più comunitaria.

Il desiderio viene, ad esempio, quando si ha la buona testimonianza di una parrocchia retta da una comunità di religiosi. Dunque, c’è un livello di collaborazione radicale, perché spirituale, di anima. E stare vicini spiritualmente in diocesi tra il clero e i religiosi aiuta a risolvere le possibili incomprensioni. Si possono studiare e ripensare tante cose. Tra queste anche la durata del servizio come parroco, che mi sembra breve e si cambiano i parroci troppo facilmente. Non nascondo che poi ci sono tanti altri problemi a un terzo livello, legato alla gestione economica. I problemi vengono quando si toccano le tasche! Penso alla questione dell’alienazione dei beni. Con i beni dobbiamo essere molto delicati. La povertà è midollare nella vita della Chiesa. Sia quando la si osserva, sia quando non la si osserva. Le conseguenze sono sempre forti.



Santo Padre, come la Chiesa anche la vita religiosa è impegnata ad affrontare le situazioni di abusi sessuali sui minori e di abusi finanziari con trasparenza e determinazione. Tutto ciò è una contro-testimonianza, suscita scandali e ha anche ripercussioni sulla proposta vocazionale e sull’aiuto dei benefattori. Quali misure ci suggerisce per prevenire tali scandali nelle nostre Congregazioni?



Forse non c’è il tempo per una risposta molto articolata e faccio affidamento alla vostra sapienza. Fatemi dire però che il Signore vuole tanto che i religiosi siano poveri. Quando non lo sono, il Signore manda un economo che porta l’Istituto in fallimento! A volte Congregazioni religiose sono accompagnate da un amministratore ritenuto «amico» e che poi le fa fallire. Comunque, criterio fondamentale per un economo è quello di non essere personalmente attaccato ai soldi. Una volta accadde che una suora economa svenne e una consorella disse a chi la soccorreva: «Passatele sotto il naso una banconota e certamente si riprenderà!». C’è da ridere, ma anche da riflettere. Importante poi verificare come le banche investono i soldi. Non deve mai accadere che ci siano investimenti in armi, ad esempio. Mai.


Circa gli abusi sessuali: pare che su 4 persone che abusano, 2 siano state abusate a loro volta. Si semina l’abuso nel futuro: è devastante. Se sono coinvolti preti o religiosi, è chiaro che è in azione la presenza del diavolo che rovina l’opera di Gesù tramite colui che doveva annunciare Gesù. Ma parliamoci chiaro: questa è una malattia. Se non siamo convinti che questa è una malattia, non si potrà risolvere bene il problema. Quindi, attenzione a ricevere in formazione candidati alla vita religiosa senza accertarsi bene della loro adeguata maturità affettiva. Per esempio: mai ricevere nella vita religiosa o in una diocesi candidati che sono stati respinti da un altro seminario o da un altro Istituto senza chiedere informazioni molto chiare e dettagliate sulle motivazioni dell’allontanamento.



Santo Padre, la vita religiosa non è in funzione di se stessa, ma della sua missione nel mondo. Lei ci ha invitato ad essere una Chiesa in uscita. Dal suo punto di osservazione, la vita religiosa nelle diverse parti del modo sta operando questa conversione?



La Chiesa è nata in uscita. Era chiusa nel Cenacolo e poi è uscita. E deve rimanere in uscita. Non deve tornare a chiudersi nel Cenacolo. Gesù ha voluto che fosse così. E «fuori» significa quelle che io chiamo periferie, esistenziali e sociali. I poveri esistenziali e i poveri sociali spingono la Chiesa fuori di sé. Pensiamo a una forma di povertà, quella legata al problema dei migranti e dei rifugiati: più importante degli accordi internazionali è la vita di quelle persone!


E proprio nel servizio della carità è pure possibile trovare un ottimo terreno per il dialogo ecumenico: sono i poveri che uniscono i cristiani divisi! Queste sono tutte sfide aperte per i religiosi di una Chiesa in uscita. L’Evangelii gaudium vuole comunicare questa necessità: uscire. Vorrei che si tornasse a quella Esortazione apostolica con la riflessione e la preghiera. Essa è maturata alla luce dell’Evangelii nuntiandi e del lavoro fatto ad Aparecida, contiene un’ampia riflessione ecclesiale. E infine ricordiamolo sempre: la misericordia è Dio in uscita. E Dio è sempre misericordioso. Anche voi uscite!



Alle 13,00 circa l’incontro si è concluso con alcune parole di ringraziamento e un lungo applauso. Il Papa, già in piedi, prima di lasciare l’Aula, ha salutato tutti con queste parole: «Andate avanti con coraggio e senza paura di sbagliare! Quello che non sbaglia mai è quello che non fa nulla. Dobbiamo andare avanti! Sbaglieremo, a volte, sì, ma c’è sempre la misericordia di Dio dalla nostra parte!». Prima di uscire, Francesco ha voluto salutare ancora una volta tutti i presenti, uno ad uno.
UncleTom
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!

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IL CORSO DELLA STORIA DELL'UMANITA', DOPO UN PERIODO RELATIVAMENTE TRANQUILLO DOPO IL TRAGICO EVENTO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, SI E' MESSO NUOVAMENTE A CORRERE.

QUESTI SONO TEMPI NUOVI, TEMPI SCONVOLGENTI, TEMPI RIVOLUZIONARI. AL PUNTO CHE NON VIENE RISPARMIATO NEPPURE IL VATICANO CHIUSO ENTRO LE MURA LEONINE.



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Càtari, Templari, Sufi: San Francesco d’Assisi, quello vero

Scritto il 12/2/17 • nella Categoria: Recensioni Condividi




«Parlava con tutti gli animali, con i lupi; abbracciava i maiali, si spogliava nudo in chiesa, lavorava con i muratori e si faceva beffe delle autorità». Era il vero San Francesco d’Assisi, il “giullare di Dio” cantato da Dario Fo. Non era affatto un uomo di Chiesa: era un laico, che amava la sua compagna – Chiara – e predicava il messaggio di Cristo alle folle, criticando i ricchi e i potenti. Non era un prete, dunque, ma un cavaliere: ispirato dai Templari. E per giunta figlio di una donna proveniente dalla Linguadoca, la terra dei càtari, dove la Crociata Albigese stava facendo decine di migliaia di morti, con lo sterminio sistematico dei “boni homines”, i cristiani alternativi che stavano dalla parte degli ultimi. Ma poi accadde che, appena dopo la sua morte, il vero Francesco d’Assisi scomparve di colpo. Tutti i suoi documenti furono distrutti, bruciati. La sua memoria, cancellata. Al suo posto, nacque un nuovo San Francesco. Inventato di sana pianta, completamente falso: il San Francesco cattolico. Per riesumare le prime tracce di quello autentico ci vollero cinque secoli, col riemergere di un libro antico. Ma ormai era tardi: il Vaticano aveva fabbricato il docile “format” francescano, impresso nell’immaginario popolare.

E’ la grande rivelazione al centro del libro “San Francesco, le verità nascoste”, a cura di Gian Marco Bragadin. In 488 pagine pubblicate dalla casa editrice Melchisedek, il libro racconta la vera vita e il carattere del santo d’Assisi, rivelando «l’ipocrita ricostruzione che lo ha trasformato nel più fedele e mansueto servitore della Chiesa, nel medioevo e oltre, fino ai giorni d’oggi». Una clamorosa manipolazione storica: «Moltissimi documenti – scritti, memorie su Francesco (e probabilmente anche su Chiara) – sono stati dati alle fiamme per non propagare un ritratto non idoneo a farne un obbediente santo della Chiesa cattolica», racconta Bragadin, intervistato da “AdnKronos”. Un lavoro, il suo, sulla stessa lunghezza d’onda di “Francesco D’Assisi, la storia negata”, pubblicato di recente da Laterza e scritto dalla storica medievale Chiara Mercuri. Non a caso, per “riscrivere” la biografia dell’uomo di Assisi, fu incaricato «un frate erudito», Bonaventura, «che però non aveva conosciuto Francesco». Al biografo infedele fu ordinato di raccontare la vita del santo «attutendo, modificando, spesso cancellando del tutto ogni aspetto che poteva mettere in discussione quel ritratto del “poverello d’Assisi” che si è perseguito per secoli».

Quali sono, dunque, le verità nascoste? «Praticamente tutto quello che Francesco è stato ed ha fatto, per gran parte della sua vita», spiega Bragadin all’“AdnKronos”, sottolineando come San Francesco sia stato «un guerriero, che ha combattuto e che è stato imprigionato, e che più volte ha tentato di andare alla Crociata per diventare un valoroso cavaliere». Il vero Francesco «si è innamorato dell’ideale dei Templari, al punto che il suo ordine è modellato su quello templare». Inoltre, «templari erano alcuni suoi frati». La stessa madre di Francesco era nativa dell’Occitania, la patria dei càtari, cristiani “eretici” perché dualisti come i mazdei, i seguaci di Zoroastro, convinti che la creazione fosse opera del demiurgo, il “dio straniero”, nonostante ogni creatura avesse in sé la scintilla divina del “padre celeste”. In un mondo, quello feudale, basato sulla pretesa investitura “divina” del potere e quindi della proprietà terriera, il messaggio sociale dei càtari era devastante, intollerabile per l’ordine costituito: i “buoni cristiani” (così si chiamavano, tra loro) erano convinti che niente e nessuno potesse legittimare la “privata proprietà dei beni”. Da qui la loro scelta di campo, a fianco degli ultimi.

«Dai càtari – conferma Bragadin – Francesco ha preso il concetto di servizio ai poveri, il rifiuto della proprietà. Ma non si deve dire, perché la Chiesa all’epoca lanciò una crociata per distruggere i càtari, con massacri orribili». Si ricorda quello di Béziers: 20.000 persone sterminate per essersi rifiutate di consegnare ai crociati i 200 eretici presenti in città. «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi», fu l’ordine dell’abate Arnaud Amaury, capo spirituale della crociata. Era il 1209. L’ultimo grande eccidio, nel 1244, a Montségur, sui Pirenei, con 220 “perfetti” càtari arsi sul rogo. Ma non finì lì. Proprio per debellare il Catarismo fu istituito il tribunale speciale dell’Inquisizione, che impiegò 70 anni ad estirpare l’eresia, con “purghe” terribili, torture, roghi. Un regime di terrore, fondato sulla delazione, che devastò la Francia meridionale, distruggendo il tessuto sociale di una regione che, per Simone Veil, era stata la culla della civiltà mediterranea medievale, la terra tollerante dov’era fiorita la poesia dei trovatori. Più tardi la contro-predicazione evangelica dei “buoni uomini” avrebbe lambito lo stesso ordine francescano, a lungo ritenuto anch’esso in odore di eresia, data la sua predilezione per i poveri e i loro diritti.

Ma Francesco d’Assisi – quello vero – non stimava solo i càtari. «Ha tentato in tutti i modi il contatto con i musulmani», racconta Bragadin: «Non per convertirli (lui non giudicava nessuno, mostrava il suo esempio di vita), ma per trovare i punti di unione tra le religioni, per raggiungere una pace duratura». Ancora oggi, da allora, i francescani hanno la cura del Santo Sepolcro a Gerusalemme, dono del Sultano a Francesco e Frate Elia. Tutte verità nascoste, perché Francesco, aggiunge Bragadin, «ha vissuto una esistenza da eretico, sempre sul filo di finire al rogo». Vista però la sua enorme popolarità, dovuta al rivoluzionario messaggio d’amore che portava, «si è fatta conoscere solo una parte della sua vita, nascondendo tutto ciò che lo riguardava», incluso il legame con «la sua amata compagna Chiara», unione che «poteva essere disdicevole per l’istituzione ecclesiastica». Pochi sanno, continua Bragadin, che Francesco «ha voluto restare sempre un laico». Certo, un laico sui generis: «Predicava il Vangelo nelle piazze, alle feste, nei mercati: come poteva, la rigida Chiesa del tempo, ammettere che un laico parlasse di Cristo alla gente? Poteva predicare agli uccelli o ai lupi, non alla gente. E invece Francesco non ha fatto altro per tutta la vita, perfino quando era malato». Non a caso, la storica Chiara Frugoni, in varie interviste, si domanda perché esistano migliaia di quadri e affreschi su Francesco, ma neanche uno in cui predica. «E la ragione è la seguente: non si voleva tramandare l’immagine di un laico che parlasse di Cristo».

Morto Francesco nel 1226, allontanati i suoi vecchi confratelli e segregata Chiara nel convento, sono scattate le grandi manovre per cancellarne la vera storia e dare ai fedeli «una immagine edulcorata di mansueto, docile soldatino della Chiesa cattolica», spiega Bragadin, attingendo a diverse fonti, tra cui molti scritti di Tommaso da Celano. Come si organizzò la grande impostura? Già nel 1260, al Capitolo, l’annuale riunione dei francescani che quell’anno si teneva a Narbonne, nella Francia mediterranea. A frate Bonaventura venne affidato il compito di scrivere una nuova biografia di Francesco, che fu poi approvata a Pisa nel 1263, durante il Capitolo successivo. Tre anni dopo, sempre il Capitolo (stavolta riunito a Parigi) «giunse a decretare la distruzione di tutte le biografie precedenti alla “Legenda Maior”, con la scusa che biografie diverse avrebbero condotto l’ordine verso una divisione». Una scelta atttuata in modo così meticoloso, aggiunge Bragadin, da far sparire dalla faccia della terra anche gli scritti di Francesco e quelli di Chiara, le lettere, le testimonianze. «Non solo: vennero distrutti nelle chiese immagini, affreschi, tutto». Damnatio memoriae. Sepolto il vero Francesco, doveva sopravvivere solo quello falso. E così sarebbe stato, fino al 1768.

Quell’anno, ormai in pieno Illuminismo, viene ritrovata miracolosamente “La Vita Prima”, del Celano, «a più di cinque secoli dalla morte di Francesco». Poco dopo torna alla luce anche “La Vita Seconda”, un manoscritto che Bragadin definisce «molto difettoso», scoperto nel 1806. E infine il terzo libro, “Il Trattato dei Miracoli”, «acquistato casualmente a un’asta pubblica nel 1900». Grazie a quei tre volumi, spiega l’autore, si è potuta finalmente ricostruire la biografia autentica del vero Francesco. Ma nei cinque secoli precedenti, aggiunge, il Vaticano «ha avuto tutto il tempo di costruire una storia artificiale e falsa». Lo confermano anche gli storici ufficiali: nell’agiografia di Bonaventura «si inventano anche false vicende, per far corrispondere la figura di Francesco a quanto si voleva tramandare, funzionale cioè alla posizione che voleva prendere l’ordine. E si trascura del tutto, naturalmente, la figura di Chiara e le sue vicende, quasi che le clarisse non facessero parte del movimento». Di Chiara «si sa poco», conferma il medievista Franco Cardini. Anche perché attorno al santo di Assisi fu fatta, letteralmente, terra bruciata: Bonaventura ordinò di dare alle fiamme tutti gli scritti su Francesco. «Sembra un ordine dal Cremlino». Da quel momento, la verità su Francesco, non sarebbe più stata quella della sua vita privata, ma una verità imposta dalla Chiesa.

Bragadin ha ignorato la storiografia ufficiale, affidata a documenti autentici ma inattendibili (menzogneri) e si è spinto in pellegrinaggio ad Assisi per almeno cento volte in un quarto di secolo, raccogliendo indizi e confidenze preziose da anziani monaci, segeretamente “innamorati” del vero Francesco. «Ho studiato attentamente ogni cosa – racconta – incluse le informazioni su Internet di frati o storici non allineati come Paul Sabatier, che ipotizza tutto quello che poi io ho provato a raccontare». E’ il caso, per esempio, dei colloqui con vecchi frati amici che «se ne fregavano, data l’età, di mantenere segreti sui due santi d’Assisi e sul loro immenso amore cosmico, che nell’ordine si tramandava per via orale». Dalle biografie di Celano, poi, affiorano storie «che sono al limite della decenza», perché emerge un Francesco che si mette a nudo, in chiesa, spogliandosi completamente. «Un estremista, barricadero, che incita la folla contro i potenti. No, un santo così non lo si può accettare». E’ decisamente troppo, per vescovi e cardinali.

L’autore parla anche dell’amore di Francesco per i Sufi, l’elusiva confraternita dei mistici orientali approdati all’Islam dopo aver attraversato l’induismo e il buddismo, mantenendo vivi molti aspetti del mazdeismo zoroastriano. Un network segreto, quello dei Sufi, da sempre impegnato per la pace. E’ un rosario Sufi, scrive Bragadin, quello tumulato insieme alle spoglie di Francesco, di cui l’autore ripercorre anche lo storico viaggio in Terrasanta. Fonti e storici ufficiali, racconta Bragadin, negano che Francesco, dopo i massacri dei Crociati a Damietta, nel 1220, si sia recato a Gerusalemme, nonostante avesse un permesso speciale del sultano El-Kamil, che aveva incontrato. «Ma come possiamo credere – dice l’autore – che Francesco, a pochi passi dalla meta, in quasi un anno di permanenza in Terrasanta, rinunci al sogno di una vita, visitare i luoghi santi del suo Gesù?». Altri documenti, infatti, dimostrano che quei luoghi li ha visitati. Lo ammette anche Ratzinger, sicuramente basandosi su fonti inoppugnabili: «San Francesco ha visitato il Santo Sepolcro, ci sono elementi certi», scrive Benedetto XVI. «Ha gettato un seme che avrebbe portato molto frutto».

Gli stessi documenti arabi confermano che Francesco abbia incontrato i Sufi: «Metà del “Cantico di Frate Sole”, sembra tratto dai poemi di Rumi», il massimo poeta islamico, afghano, fondatore della prima scuola Sufi dei Dervisci Rotanti. E il sultano, Francesco l’aveva incontrato «non certo per “convertirlo” (una fissa della Chiesa Cattolica), ma per confrontarsi in un rapporto di amore reciproco». Pace, nella diversità: unire ciò che è stato diviso. Francesco faceva parte, dunque, di una sorta di “intelligence informale” dell’epoca: una rete che, evidentemente, condivideva conoscenze esoteriche e collaborava per l’unità sostanziale dei popoli, al di là delle differenze religiose. “Perché il mondo non è nostro, e noi non siamo del mondo”, recita il “Pater” dei càtari, che sembra ispirato direttamente da Zoroastro e invita a liberarsi del “giogo” della materia. “Nel mondo, ma non del mondo”, è il motto dei Sufi. “Nulla possedendo, da nulla essendo posseduti”. Ecco in cosa credeva Francesco. Quello vero.

(Il libro: Gian Marco Bragadin, “San Francesco. Le verità nascoste”, Melchisedek, 492 pagine, euro 21,25, ebook a 12,99 euro).
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Chi è l’ideologo di Trump in Vaticano
Feb 12, 2017
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Roberto Vivaldelli
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Un ex prete 54enne di bell’aspetto e dai toni gentili: così il New York Times descrive Thomas Williams, corrispondente di Breitbart News in Vaticano, sito fondato dal capo della strategia del presidente Donald Trump, Steve Bannon. Dal 2014 Williams è collaboratore dell’agenzia di stampa vicina al presidente repubblicano e rappresenta la sponda ideale tra l’entourage di Trump e la Chiesa Cattolica romana. Bannon, al tempo amministratore delegato di Breitbart e ora consigliere di The Donald, si era rivolto a Thomas Williams, teologo telegenico e poliglotta, dopo che quest’ultimo aveva difeso il leader del suo ordine religioso conservatore contro le accuse di molestie su minori. Williams ha poi lasciato il sacerdozio quando è emerso che era venuto meno ai voti di celibato ed era diventato padre di un figlio.

L’incontro con Steve Bannon, “guru” ideologico del presidente

Williams ha conosciuto Steve Bannon nel 2003, tramite un amico comune che stava producendo “La Passione di Cristo” di Mel Gibson, a cui l’ex prete ha collaborato come consulente teologico. “Più che altro dovevo dire cosa si poteva fare e cosa no” – ha sottolineato Williams. “Rispetto a Bannon, ho pensato subito che fosse un po ‘pazzo” – ha spiegato – Sapevo che aveva quei progetti nei mass media e aveva delle teorie particolari su tutto”. Il corrispondente di Breitbart afferma inoltre, di non aver mai riscontrato in Bannon “visioni razziste o antisemite”.
A quel tempo, Thomas Williams rappresentava volto della Legione di Cristo, un ordine religioso conservatore. Nel 1997 ha contribuito a fondare l’ordine sponsorizzato dall’agenzia di stampa Zenit, e ha scritto 15 libri, tra cui “Conoscere il bene dal male: una guida cristiana alla coscienza.”

Tra Donald Trump e Papa Francesco
Come racconta il New York Times, quando Steve Bannon ha iniziato ha supportare la candidatura del tycoon contro l’establishment, Williams si è rivolto al suo (ex) capo, dicendogli: “Se hai intenzione di demolire, è meglio sapere cosa si costruirà dopo. Ma penso che lui preferisca demolire per poi costruire, onestamente” – ha aggiunto. Sulla politica migratoria, l’ex prete ha una posizione moderata, a metà strada tra quella di Donald Trump e quella di Papa Francesco. Inoltre, considera “terribile”, anche come simbolo, il Muro con il Messico.

Steve Bannon contro Papa Francesco

Bannon ha articolato pubblicamente le sue idee sulla Chiesa via Skype in un conferenza pubblica svoltasi pochi mesi dopo il suo incontro con il cardinale ultra-conservatoreRaymond Burke , sempre in Vaticano. In quell’occasione, l’ex direttore di BreitBart si scagliò contro la secolarizzazione dilagante, la minaccia dell’Islam, e un capitalismo che aveva via via abbandonato i valori del cristianesimo. All’appuntamento era presente anche Thomas Williams. Benché su altri temi l’ex Legionario di Cristo rappresenti spiccatamente il volto più “moderato” della testata conservatrice, da questo punto di vista, in particolare sull’Islam, la sintonia con Bannon è totale.
Il ponte ideale tra Donald Trump e il mondo cattolico
Contrario alla secolarizzazione del cattolicesimo ma moderato e accomodante sulla politica migratoria; difensore dei valori cristiani tradizionali ma allo stesso tempo volto affabile, dai modi gentili e dall’aspetto “moderno” e giovanile: Steve Bannon, che è un abilissimo stratega, sa benissimo che Williams rappresenta, in virtù di queste caratteristiche, il ponte ideale tra l’amministrazione Trump e le varie anime del mondo cattolico ed ecclesiastico. La sua figura può dunque assumere un’importanza significativa nel comprendere la strategia di dell’entourage di Trump con il Vaticano.


FONTE:

Arditi della Divisione STrumpTruppen tricolore
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LA RAGIONE E LA RELIGIONE




Pedofilia, il dolore del Papa: "Come può un prete causare tanto male?"

Il dolore di papa Francesco: "Chiedo umilmente perdono per i preti pedofili". Poi la denuncia: "È un segno del diavolo, saremo severissimi"
Sergio Rame - Lun, 13/02/2017 - 10:32

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"Come può un prete, al servizio di Cristo e della sua Chiesa, arrivare a causare tanto male?".

Nella prefazione al volume edito da Piemme La perdono padre, scritto da Danile Pittet, ex sacerdote vittima da ragazzo di abusi sessuali da parte di un prete, e pubblicato oggi da Repubblica, papa Francesco prega per le vittime dei preti pedofili. E denuncia: "Come può aver consacrato la sua vita per condurre i bambini a Dio, e finire invece per divorarli in quello che ho chiamato 'un sacrificio diabolico', che distrugge sia la vittima sia la vita della Chiesa?".

"Alcune vittime sono arrivate fino al suicidio. Questi morti pesano sul mio cuore, sulla mia coscienza e su quella di tutta la Chiesa". Alle loro famiglie papa Francesco porge sentimenti di amore e di dolore e, umilmente, chiede perdono: "Per chi è stato vittima di un pedofilo è difficile raccontare quello che ha subito, descrivere i traumi che ancora persistono a distanza di anni". Per questo motivo la testimonianza di Daniel Pittet è per tutti necessaria, preziosa e coraggiosa. Il Pontefice ha conosciuto Daniel in Vaticano nel 2015, in occasione dell'Anno della vita consacrata. Voleva diffondere su larga scala un libro intitolato Amare è dare tutto, che raccoglieva le testimonianze di religiosi e religiose, di preti e di consacrati. "Non potevo immaginare che quest'uomo entusiasta e appassionato di Cristo fosse stato vittima di abusi da parte di un prete - racconta il Santo Padre - eppure questo è ciò che mi ha raccontato, e la sua sofferenza mi ha molto colpito".

In Daniel Bergoglio ha visto, ancora una volta, i danni spaventosi causati dagli abusi sessuali e il lungo e doloroso cammino che attende le vittime. "Sono felice che altri possano leggere oggi la sua testimonianza e scoprire a che punto il male può entrare nel cuore di un servitore della Chiesa". Come anche papa Francesco ha ricordato nella lettera apostolica Come una madre amorevole, la Chiesa è chamata a prendersi cura e proteggere con affetto particolare i più deboli e gli indifesi. "Abbiamo dichiarato - aggiunge il Papa -che è nostro dovere far prova di severità estrema con i sacerdoti che tradiscono la loro missione, e con la loro gerarchia, vescovi o cardinali, che li proteggesse, come già è successo in passato". Quanto all'ex sacerdote, per Francesco la sua testimonianza ha un valore enorme: "Nella disgrazia, Daniel Pittet ha potuto incontrare anche un'altra faccia della Chiesa, e questo gli ha permesso di non perdere la speranza negli uomini e in Dio. Ha scelto di incontrare il suo aguzzino quarantaquattro anni dopo, e di guardare negli occhi l'uomo che l'ha ferito nel profondo dell'animo. E gli ha teso la mano. Il bambino ferito è oggi un uomo in piedi, fragile ma in piedi".
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TEMPI RIVOLUZIONARI






IlFattoQuotidiano.it / Cronaca

Papa Francesco ai parroci: “Accogliete i giovani che preferiscono convivere”

Cronaca

"Unioni celebrate in Cristo, unioni di fatto, unioni civili, unioni fallite, famiglie e giovani felici e infelici. Di ogni persona - dice Bergoglio - e di ogni situazione voi siete chiamati ad essere compagni di viaggio per testimoniare e sostenere"

di F. Q. | 25 febbraio 2017

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Fa un passo avanti senza precedenti Papa Francesco, lancia il suo sguardo un po’ più in là rispetto al passato in tema di diritti, scelte di vita e non solo. “Fatevi prossimi – chiede Bergoglio ai parroci che hanno partecipato al corso sul nuovo processo matrimoniali – con lo stile proprio del Vangelo, nell’incontro e nell’accoglienza di quei giovani che preferiscono convivere senza sposarsi. Essi, sul piano spirituale e morale, sono tra i poveri e i piccoli, verso i quali la Chiesa, sulle orme del suo Maestro e Signore, vuole essere madre che non abbandona ma che si avvicina e si prende cura. Anche queste persone sono amate dal cuore di Cristo. Abbiate verso di loro uno sguardo di tenerezza e di compassione. Questa cura degli ultimi, – raccomanda – proprio perché emana dal Vangelo, è parte essenziale della vostra opera di promozione e difesa del Sacramento del matrimonio. La parrocchia è infatti il luogo per antonomasia della salus animarum“.

Il Papa pone sotto gli occhi di tutti una visione totale e aperta famiglie e giovani felici e infelici. Di ogni persona e di ogni situazione voi siete chiamati ad essere compagni di viaggio per testimoniare e sostenere”. Bergoglio ricorda loro che sono i “primi interlocutori” sia dei giovani che desiderano formare una nuova famiglia, che dei coniugi “in crisi, con seri problemi di relazione”. La loro prima “premura”, è “testimoniare la grazia del sacramento del matrimonio e il bene primordiale della famiglia”, aiutando le coppie “a vivere nelle luci e nelle ombre”. Ma sono anche chiamati a “sostenere quanti si sono resi conto del fatto che la loro unione non è un vero matrimonio sacramentale e vogliono uscire da questa situazione”: siano visti non come “esperti di atti burocratici”, ma come “fratelli” “in ascolto e comprensione“.

Ai membri della comunità di Capodarco, ricevuti in udienza in occasione dei 50 anni di fondazione, il Papa ricorda il tema della solidarietà e della partecipazione: “Anche la persona con disabilità e fragilità fisiche, psichiche o morali, deve poter partecipare alla vita della società ed essere aiutata ad attuare le sue potenzialità nella varie dimensioni. Soltanto se vengono riconosciuti i diritti dei più deboli, una società può dire di essere fondata sul diritto e sulla giustizia. Una società che desse spazio solo alle persone pienamente funzionali, del tutto autonome e indipendenti non sarebbe una società degna dell’uomo. La discriminazione in base all’efficienza non è meno deplorevole di quella compiuta in base alla razza o al censo o alla religione”.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!

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SE FRANCESCO NON FOSSE COSI IRRAGGIUNGIBILE, E SE PARTECIPASSE A QUESTO FORUM, GLI CHIEDEREI COSA NE PENSA DI QUESTO ARTICOLO PUBBLICATO OGGI SU LIBRE ASSOCIAZIONE DI IDEE.

UN ARTICOLO PIUTTOSTO LUNGO, MAI VISTO PRIMA DI OGGI, MA CHE INDUCE A RIFLETTERE.



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E se poi, un bel giorno, scopri che non era vero niente?

Scritto il 26/2/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet




Perché l’oro è così importante? L’oro, non il ferro, l’argento, altri metalli. Perché si è scoperto che l’oro, incorruttibile, può isolare al 100% da radiazioni pericolose, provenienti da tecnologie avanzate. Lo affermano i controversi studiosi della cosiddetta paleo-astronautica, che si interrogano sul singolare interesse manifestato, per l’oro, da tutti gli “dèi” dell’antichità, chiamati Viracochas sulle Ande nel regno Inca, Túatha Dé Dànann in Irlanda, Elohim in Palestina, Annunaki in Mesopotamia, Theòi in Grecia, Vimana in India. E ancora: Kachinas in Arizona, Muxul nello Yucatan presso i Maya, Dogu in Giappone, Wakinyan in Nord America presso i Lakota Sioux, Nommo in Mali presso i Dogon. Una cosa è sicura: a un certo punto, nella storia, l’oro viene improvvisamente apprezzato e ricercato, estratto, lavorato, tesaurizzato, utilizzato come valore di scambio. Tutti quegli esseri appassionati all’oro, spesso chiamati Figli delle Stelle perché comparsi a bordo di formidabili mezzi volanti, raffigurati in sculture e altorilievi ancora oggi visibili un po’ in tutto il mondo, instaurarono dominazioni di tipo coloniale, imponendo sempre – alle popolazioni assoggettate – lo stesso “sacrificio” quotidiano: bruciare, per loro, il grasso (inizialmente dei neonati primogeniti, poi solo di agnelli) presente in prossimità di certi organi, fegato e reni.

Grasso che, una volta bruciato, produce un fumo inebriante e “calmante”, come spiegano nella Bibbia i sudditi di Jahwè, uno degli Elohim dell’area palestinese, divenuto celebre attraverso il drammatico racconto biblico – Jahwè (o anche Jeohwà o Jihwì, a seconda delle vocalizzazioni convenzionali introdotte solo nel medioevo dai biblisti ebrei della scuola masoretica) era il dispotico, temutissimo padrone della famiglia di Giacobbe-Israele, poi successivamente trasformato, dalla teologia, addirittura in “Dio unico”. Nell’antica Roma, quello stesso grasso era chiamato “omentum”. Stesse disposizioni: era la parte “sacra”, cioè riservata esclusivamente agli “dèi”, perché fosse bruciata (quindi “sacrificata”) solo per loro, pena la morte dei trasgressori. Quel particolare grasso che sovrasta gli organi interni non è come l’adipe, provvisorio e accumulato con l’alimentazione, ma è un grasso stratificato fin dall’infanzia, addirittura dalla nascita. Se bruciato, confermano i chimici, produce un fumo che sprigiona molecole pressoché identiche a quelle delle endorfine, fortemente psicotrope, il cui odore ricorda il profumo appetitoso che si libera dal barbecue durante una grigliata.

L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, di ritorno dallo spazio, ha dichiarato che, lassù, aleggia un odore di carne bruciata. Gli scienziati spiegano che quell’odore si diffonde, anche in un’astronave, man mano che si prolunga la missione, perché le condizioni ambientali all’interno del veicolo spaziale accelerano la morte di milioni di cellule epiteliali – morte che, appunto, produce quell’odore. Di recente, poi, ricercatori hanno scoperto che il vino rosso contiene una sostanza particolarissima, il resveratrolo, che protegge le ossa da svariate complicazioni, inclusa la “friabilità” che colpisce lo scheletro negli astronauti esposti a lunghi soggiorni orbitali. La Bibbia racconta che Jahwè beveva vino spesso e volentieri (fece impiantare una vigna a Noè, subito dopo lo sbarco dall’Arca), mentre i testi sumero-accadici riferiscono che gli Annunaki gradivano molto la birra. Elohim, Vimana e tutti gli altri: Figli delle Stelle? “Vimàn” era il nome di una compagnia aerea del Bangladesh, ricorda Mauro Biglino. “In India voliamo da tremila anni”, era uno slogan pubblicitario dell’Air India. El-Al è invece il nome della celebre compagnia israeliana.

Se la tradizione rabbinica racchiusa nel Talmud ammette con assoluta tranquillità la presenza della manipolazione genetica nella Genesi – basta vedere come vennero al mondo Adamo ed Eva, disse il professor Safran, rabbino e docente universario di etica medica in Israele, all’epoca della clonazione della pecora Dolly – è davvero impossibile trascurare gli studi più recenti dei genetisti, che mettono in crisi l’evoluzionismo darwiniano: è come se fosse intervenuto qualcosa a “correggere” l’evoluzione, accelerandola – non solo per il Sapiens, ma anche per la pecora e la mucca, la patata, il grano. Cioè gli animali e i vegetali che popolavano il Gan Eden di cui parla la Bibbia, da cui i primi ibridi – Adamo ed Eva, appunto – furono allontanati preventivamente, prima cioè che potessero approfondire “le pratiche dell’albero della vita”, acquisendo cioè le medesime conoscenze, dunque il medesimo potere, dei loro “creatori”, gli Elohim, veri specialisti in genetica sperimentale, a quanto sembra.

Emerge un’altra verità, dunque, sui cosiddetti “testi sacri”, da cui discende un impianto di pensiero – e di potere – almeno bimillenario. Non stupisce, quindi, il grande successo dei bestseller di Biglino, pubblicati anche da Mondadori, né l’entusiasmo delle centinaia di persone che affollano le sue frequentissime conferenze. Di Biglino si può apprezzare innanzitutto la correttezza, nella sua impostazione preliminare: non metto in discussione l’esistenza di Dio, ripete, perché non ho le certezze degli atei; mi limito a dimostrare che quella della Bibbia non è una divinità ma solo un Elohim, di cui la stessa Bibbia nomina almeno 20 “colleghi”, di equivalente status, senza peraltro mai spiegare il significato della parola Elohim, che nessuno al mondo conosce. Inoltre, nella Bibbia non sono presenti, mai, i concetti-chiave del monoteismo: creazione, eternità, immortalità, divinità. Il verbo tradotto con “creare” è Baraa, che significa dividere, separare (i cieli dalle acque, le acque dalle terre – Genesi). E della parola Olàm, ancora e sempre tradotta con “eternità”, e che in realtà significa “tempo molto lungo”, i dizionari raccomandano: non tradurla mai con il termine “eternità”.

Lo scorso marzo, Biglino è stato protagonista, a Milano, di un importante confronto con eminenti teologi: un importante sacerdote e docente di teologia dell’università cattolica, un arcivescovo ortodosso, il rabbino capo della comunità ebraica di Torino e un insigne biblista, pastore valdese, co-autore di alcuni tra i più importanti dizionari di ebraico e aramaico antico. Nessuno ha messo in discussione le sue tesi. Tutti, al contrario, hanno ammesso che la Bibbia è stata ampiamente travisata. Ma lì si fermano: non denunciano, cioè, il fatto che venga ancora oggi regolarmente travisata. Dice Biglino: nel 95% dei casi, chi professa e propaga le grandi religioni monoteiste che si pretendono originate da quel libro (e quindi: Papi, vescovi, parroci, catechisti, pastori) non conosce neppure la lingua in cui quel libro è scritto. Pretende di “far dire” a quel libro determinate verità, per di più “sacre”, ma non conosce – alla lettera – il testo, nella lingua originaria. Senza contare, poi, che la Bibbia resta una raccolta (non uniforme) di testi di epoche diverse, tutti senza fonte: non è possibile risalire con certezza neppure a un autore; nessuno dei testi biblici ha una chiara paternità – tantomeno i libri più famosi e celebrati, come quello attribuito all’ipotetico profeta Isaia.

Anche per questo, mezzo secolo fa, i biblisti ebraici hanno varato il “Bible Project” con il compito, entro 200 anni, di ricostruire una Bibbia più attendibile. L’unica certezza, dicono, è che la Bibbia di oggi – riveduta e corretta per l’ultima volta dai masoreti all’epoca di Carlomagno – non è l’originale. Inoltre mancano una decina di libri, pure citati qua e là: quei libri sono scomparsi. E le incongruenze sintattiche presenti nella versione masoretica dimostrano il grado di manipolazione cui quei testi sono stati sottoposti, nel corso dei secoli. Biglino dice: mi si rimprovera di offrire una lettura letterale del testo, anziché allegorica, simbologica, esoterica, teologica. Va bene, teniamo pure conto di tutte le interpretazioni possibili. Ma aggiunge: perché privarci della versione letterale, sia pure di un testo che sappiamo essere così pesantemente rimaneggiato? Non si sa neppure in che lingua fosse scritto, l’originale: all’epoca della prima stesura della Genesi, per esempio, la lingua ebraica non esisteva ancora. Dunque non sappiamo in che lingua fosse scritto, quel libro, né tantomeno come venissero pronunciate, le parole in esso contenute. Poi intervenne la traduzione in ebraico, ma con le sole consonanti; le vocali furono introdotte solo fra il VI e l’XVIII secolo dopo Cristo, quando appunto “Yhw” divenne finalmente “Jahwè” (ma aJahwènche “Jihwì” e “Jeohwah”).

Nonostante tutto ciò, insiste Biglino, perché non provare a leggere il testo così com’è, dando per buona – per un attimo – l’idea che racconti fatti realmente accaduti? Si scoprirebbe, conclude, che la storia narrata – vera o falsa che sia – non è priva di coerenza. Ed è, tra l’altro, la fotocopia perfetta di molti altri libri antichi preesistenti, “sacri” e non, come la trilogia fondativa di un popolo geograficamente contiguo a quello ebraico, i sumero-babilonesi. Quei testi mesopotamici sono l’Atrahasis, l’Enuma Elish e l’Epopea di Gilgamesh. Raccontano tutti la stessa storia: e cioè l’arrivo (da cielo?) di individui potentissimi ma non onnipotenti, molto longevi ma non immortali, in possesso esclusivo di tecnologie fantascientifiche, decisi a colonizzare territori imponendo la loro legge (i comandamenti di Jahwè non sono 10, ma oltre 600) e stabilendo alleanze con singole tribù, in lotta perenne tra loro per la spartizione di piccoli territori. Il patto: voi lavorate per me (mi servite, mi nutrite, mi bruciate quel famoso grasso e mi obbedite in tutto) e io vi aiuto a conquistare “terre promesse”. Se disobbedite, vi stermino. Jahwè, è scritto nella Bibbia, arrivò a uccidere in massa 24.000 sudditi disobbedienti.

Quello che Biglino contesta è che, nonostante le evidenze e le conferme provenienti dagli ambiti di studio più disparati (dall’esegesi ebraica all’autorevole École Biblique dei domenicani di Gerusalemme) le traduzioni erronee continuino a essere presenti nelle Bibbie attualmente stampate. In sintesi, il primo problema è Dio. Nella Bibbia, semplicemente, non c’è, dice Biglino. C’è Jahwè, che però è sempre in compagnia dei “colleghi” Milkòm, Kamòsh, e tanti altri. Viene tradotto con “Altissimo” il nome Eliòn, che invece è un individuo «chiaramente indicato come il capo degli Elohim: è scritto nel testo biblico che ne presiede un’assemblea, nientemeno». E addirittura è tradotto coi termini “eterno” e “onnipotente” il nome El Shaddai, letteralmente “signore della steppa”, cioè l’Elohim nel quale si imbatté Abramo. Allo stesso modo, altri termini vengono sempre tradotti in modo consapevolmente inappropriato e fuorviante: Kavod, per esempio. Il contesto biblico lo presenta come un’arma da guerra, un oggetto volante e pericoloso, dotato di armanenti micidiali. Viene tradotto: “gloria”. Così, il “Kavod di Jahwè” diventa la “gloria di Dio”.

Quando appare, il Kavod solleva un gran vento, il Ruach – che viene tradotto “spirito”. Sotto il Kavod sono fissati 4 Cherubini. Mezzi meccanici volanti, secondo i rabbini: robot, monoposto. Per l’esegesi teologica cristiana, invece, i Cherubini sono “angeli”, così come gli altri “angeli”, incorporei e alati, che la Bibbia invece chiama Malachìm, presentandoli come individui in carne e ossa, di cui gli umani hanno paura – sono soldati, ufficiali degli Elohim, portaordini pericolosi, molesti, inquietanti. «L’angelo apparve alla vista di Gedeone, volando con leggerezza», e poi «scomparve», scrive la traduzione cristiana della Bibbia, che invece nell’originale, in ebraico, scrive che «il Malach» si fece vedere da Gedeone, e poi «se ne andà camminando». Pura invenzione, il volo, così come l’attraversamento miracoloso del Mar Rosso: «Nel testo c’è scritto che Mosè e i suoi attraversarono solo uno Yam Suf, un canneto. Nessun mare, tantomeno Rosso».

Quanto agli “angeli”, più tardi, il fondatore del cristianesimo, Paolo di Tarso, raccomanda alle giovani donne di coprirsi il capo con il velo, se partecipano ad assemblee, e di farlo «a motivo degli angeli», poiché sono sessualmente eccitabili e poco raccomandabili, violenti. Biglino “corregge” anche l’interpretazione della comparsa dell’Arcangelo Gabriele, quello dell’Annunciazione: «Gabriele non è un nome proprio ma solo un termine comune, funzionale: deriva da Ghevèr-El, e essere “il Ghevèr di un El”, per di più “arcangelo”, significa essere un potente ufficiale di alto grado». Dallo studio condotto da Biglino appare evidente la fabbricazione artificiale di un culto, la cui radice viene attribuita a un libro debitamente leggendario, in quanto antico, scritto in una lingua sconosciuta ai più. Lo studioso contesta chi ritiene obbligatoria una lettura necessariamente cifrata: «Quando furono scritti, i testi biblici, a saper leggere e scrivere erano in pochissimi: che motivi avrebbero avuto per dover nascondere il loro racconto sotto il velo simbolico-allegorico?».

La prima versione della Bibbia divulgata nel Mediterraneo oltre la Palestina, detta “Bibbia dei Settanta”, fu tradotta in greco ad Alessandria d’Egitto, secondo Biglino ricorrendo a una massiccia interpolazione interpretativa ispirata dal pensiero platonico, che – a differenza della Bibbia – contempla le nozioni filosofiche di trascendenza, divinità, creazione, eternità. Gli ebrei considerano la “Bibbia dei Settanta”, letteralmente, «una tragedia per l’umanità». Eppure, sottolinea lo stesso Biglino, è proprio quella Bibbia in greco ad aver poi originato quella in latino, che è alla base della teologia cattolica e quindi delle Bibbie in italiano per le famiglie. Il lavoro del ricercatore torinese non mette in crisi solo la teologia ufficiale su cui si basano le istituzioni religiose, ma anche l’esegesi alternativa fornita dall’esoterismo, acutamente suggestiva, fondata sulla lettura allegorica e simbolica del testo – lettura che, come quella cattolica, non mette mai in discussione la presenza della divinità nell’Antico Testamento. Diversa ancora l’interpretazione offerta dalla Cabala, che dal testo originario ricava essenzialmente relazioni, assai criptiche, tra valori numerico-simbolici, come se la Bibbia fosse in realtà una complessa trama numerica, velata dalla narrazione superficiale di eventi di per sé non così importanti quanto invece il tessuto ermetico sottostante.

Certo è singolare la produzione, negli ultimi anni, di una tale quantità di informazioni, ormai di pubblico dominio, che riguardano in particolare l’interpretazione della storia antica, sacra e non, ma anche una radicale rilettura dell’approccio scientifico alla conoscenza, rivalutando sia i testi sacri, fondativi delle grandi religioni, sia l’opera di esoteristi particolarmente illuminanti – filosofi, medici, artisti, alchimisti, proto-scienziati – che tendono a fornire chiavi di interpretazione delle “leggi universali” i “leggi di natura” molto simili a quelle cui oggi pervengono i settori più avanzati della scienza stessa, a cominciare dalla fisica, dall’astrofisica, dalla geofisica, dalla meccanica quantistica, con le recenti indagini sulla reale consistenza della materia, in cui si suppone che il visibile e l’invisibile rispondano alle stesse leggi, essendo costituiti della medesima energia. Da qui le riflessioni sulla percezione del tempo e della vita stessa, sulla cosiddetta Energia Oscura, sulla Materia Bianca cerebrale di cui i neurologi ammettono di non sapere praticamente nulla.

Fisici come Vittorio Marchi e Giuliana Conforto sostengono che la realtà sensibile non sia altro che rappresentazione, e che il nostro cervello non percepisca che il 2% di quanto ci circonda, sulla Terra – per non parlare dell’universo, di cui sappiamo ben poco, al di là del nostro minuscolo sistema solare. Un numero sempre maggiore di storici e antropologi sospetta che la storia sia interamente da riscrivere: a quanto pare non furono gli egizi a erigere le piramidi; quelle scoperte in Bosnia sono più antiche e più grandi di quelle dell’Egitto. Né tantomeno conosciamo la storia misteriosa dei Sumeri, che sorsero all’improvviso come civiltà già formata, in possesso di conoscenze evolute (architettura, agricoltura, scrittura). Forse, ipotizza Biglino sempre prendendo la Bibbia alla lettera, i Sumeri erano la discendenza di Caino, che – essendo cresciuto nel Gan Eden – era stato formato e istruito dagli Elohim.

L’esegesi ebraica ritiene ormai in modo unanime che Abramo, storicamente, non sia mai esistito. Quantomeno, il personaggio biblico rispondente a quel nome era evidentemente un sumero, spinto dagli Elohim a vagare “lungi dalla casa di padre mio”, viaggiando fino in Palestina. Poi, i Sumeri scomparvero di colpo, in coincidenza con la distruzione delle città ribelli di Sodoma e Gomorra, operata dagli Elohim impiegando “l’arma dei terrore”, che sprigionò nell’atmosfera una nube letale – i venti dovettero sospingerla fino alla regione di Babilonia, dove è documentata la strage della popolazione (con sintomi da contaminazione nucleare) e la fuga precipitosa degli “dèi” locali, gli Annunaki, che presero il largo a bordo dei loro “carri celesti”, in tutto simili al Kavod di Jahwè.
UncleTom
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!

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QUALCOSA NON TORNA

"LA TERRA E' ANCORA PIATTA????????"


4 ore fa
280

La Cei boccia le toghe:
"Famiglia è con madre"


Luca Romano
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