Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
I DISCENDENTI DI ROMOLO E REMOLO, ALLE PRESE CON IL DEBITO PUBBLICO
Istat, il debito pubblico cresce ancora
Il debito pubblico nel 2016 in rapporto al Pil si attesta al 132,6% contro il 132% del 2015. In lieve calo la pressione fiscale
Franco Grilli - Mer, 01/03/2017 - 11:05
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Il debito continua ad aumentare. E a testimoniarlo arrivano i nuovi dati dell'Istat.
È in crescita infatti il debito pubblico che nel 2016 in rapporto al Pil si attesta al 132,6% contro il 132% del 2015. Secondo quanto si evince dalle tabelle Istat, il debito/Pil che nel 2012 era pari a 123,3% ha avuto un balzo nel 2013 quando si è attestato al 129%. È poi di poco salito nel 2014 (131,8%) così pure nel 2015 (132%). Nuovi dati anche sulla pressione fiscale che risultata pari al 42,9%, in calo di 0,4 punti percentuali rispetto al 2015. Nel dettaglio, sempre con riferimento al 2016, le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche sono aumentate dello 0,4% rispetto all’anno precedente. L’incidenza sul Pil è pari al 47,2%. Le entrate correnti hanno registrato una crescita dello 0,1%, risultando pari al 46,7% del Pil. In particolare, le imposte indirette sono diminuite del 3,1%; tale riduzione riflette prevalentemente la riduzione dell’Irap e della Tasi. Diversamente, le imposte dirette sono risultate in aumento del 2,3%, per effetto della crescita dell’Irpef e dell’andamento positivo dell’Ires, in parte compensate dalla riduzione delle imposte sostitutive. I contributi sociali effettivi hanno segnato un incremento (1,1%) rispetto al 2015.
Istat, il debito pubblico cresce ancora
Il debito pubblico nel 2016 in rapporto al Pil si attesta al 132,6% contro il 132% del 2015. In lieve calo la pressione fiscale
Franco Grilli - Mer, 01/03/2017 - 11:05
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Il debito continua ad aumentare. E a testimoniarlo arrivano i nuovi dati dell'Istat.
È in crescita infatti il debito pubblico che nel 2016 in rapporto al Pil si attesta al 132,6% contro il 132% del 2015. Secondo quanto si evince dalle tabelle Istat, il debito/Pil che nel 2012 era pari a 123,3% ha avuto un balzo nel 2013 quando si è attestato al 129%. È poi di poco salito nel 2014 (131,8%) così pure nel 2015 (132%). Nuovi dati anche sulla pressione fiscale che risultata pari al 42,9%, in calo di 0,4 punti percentuali rispetto al 2015. Nel dettaglio, sempre con riferimento al 2016, le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche sono aumentate dello 0,4% rispetto all’anno precedente. L’incidenza sul Pil è pari al 47,2%. Le entrate correnti hanno registrato una crescita dello 0,1%, risultando pari al 46,7% del Pil. In particolare, le imposte indirette sono diminuite del 3,1%; tale riduzione riflette prevalentemente la riduzione dell’Irap e della Tasi. Diversamente, le imposte dirette sono risultate in aumento del 2,3%, per effetto della crescita dell’Irpef e dell’andamento positivo dell’Ires, in parte compensate dalla riduzione delle imposte sostitutive. I contributi sociali effettivi hanno segnato un incremento (1,1%) rispetto al 2015.
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Re: Come se ne viene fuori ?
....E ADESSO CHE AMO TOCCATO ER FONNO CHE FAMO???????????????????????????????????????????????
Politica
Minzolini, perché il suo salvataggio è un caso di una semplicità sconcertante
di Otello Lupacchini | 18 marzo 2017
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Otello Lupacchini
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È ormai noto da secoli che incultura, selezioni inadeguate, interesse corporativo, garantiscono vita lunghissima al malcostume furbesco, sicché, là dove mancano protocolli in qualche modo verificabili, chiunque voglia sentenzia “pro amico”. Sono lì a testimoniacelo Michel Eyquem sieur de Montaigne e Gottfried Wilhelm Leibniz. Quando, tuttavia, i testi parlano chiaro, commentatori dal talento acrobatico provvederanno a innescare un vortice combinatorio di fronte al quale girerà la testa anche ai pochi che abbiano imparato tutto o quasi.
Quella del parlare a vanvera è patologia piuttosto diffusa, spesso scambiata per talento. Questa patologia affligge onniscienti “opinionisti” da Talk Show e colpisce sempre più spesso sedicenti “esperti” se non addirittura venerati “maestri”. Esemplare il dibattito sviluppatosi sugli esiti del voto, in Senato, sulla decadenza ex lege Severino del Senatore Minzolini. Un dibattito che ha del surreale: campioni garruli si esercitano in discorsi pesantemente imbarocchiti, farneticano, “docendo et disputando”, salmodiano “consiliorum multa millia”, discutendo questioni inesistenti; i meno sgangherati vivono su minuscoli imparaticci ignari del resto; difficile, se non addirittura impossibile, trovarne qualcuno intellettualmente onesto. Fanno un baffo, insomma, ai doctissimi iurisconsulti mai incontrati, durante il suo voyage en Italie del 1567, da Jacques Cujas, sebbene di loro si dicesse fecundam esse Italiam.
Il caso Minzolini è di una semplicità sconcertante. I testi non si prestano a equivoci: a norma dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 235 del 2012, “Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore […] coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale…”, ed è questo il caso del Senatore Minzolini, condannato, con sentenza definitiva, alla pena della reclusione in anni due e mesi sei, per peculato continuato; a norma del successivo art. 3, “qualora una causa di incandidabilità di cui all’articolo 1 sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione”: ancora una volta è il caso del Senatore Minzolini, la cui condanna è divenuta definitiva “nel corso del mandato elettivo”, cioè nel 2015; l’art. 66 della Costituzione dispone, infine, che “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”: ciò significa che, nel caso di Augusto Minzolini, il Senato era chiamato a verificare se lo stesso avesse riportato, per come ha effettivamente riportato, la condanna implicante l’incandidabilità, ma esorbitando dai propri poteri è entrato nel merito della vicenda giudiziaria, e ha “salvato” l’ormai incandidabile, che doveva lasciare Palazzo Madama in base alla legge Severino.
Dottori cavillanti denunciano immediatamente leggi asseritamente “assurde” che regolerebbero lo scontro tra politica e giustizia, senza che alcuno se ne occupi seriamente. Imbrogliano le carte, postulando che la verifica di sussistenza della causa d’incandidabilità da parte della Camera di appartenenza, ai sensi dell’art. 66 della Costituzione, implichi, contro la lettera e lo spirito della disposizione costituzionale, una rivalutazione nel merito della condanna da cui l’incandidabilità deriva, poiché, in caso contrario, la verifica si ridurrebbe a un mero “passaggio di carte”.
E consumato l’espediente fraudolento, simulano stupore: perché mai, si domandano, se deputati e senatori esercitano il loro diritto di entrare nel merito e di sostituirsi ai magistrati, per quale diamine di motivo è stata approvata una legge sulla decadenza che poi non viene onorata? Così, mentre si dolgono di come il meccanismo elaborato dalla legge Severino sembri studiato apposta da qualche mente malata per aggiungere discredito sulle nostre povere istituzioni, neppure li sfiora il dubbio che non già in quel meccanismo, ma nelle arbitrariamente errate premesse dei loro paralogismi, si annida quel che offende la logica.
di Otello Lupacchini | 18 marzo 2017
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Minzolini, perché il suo salvataggio è un caso di una semplicità sconcertante
di Otello Lupacchini | 18 marzo 2017
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È ormai noto da secoli che incultura, selezioni inadeguate, interesse corporativo, garantiscono vita lunghissima al malcostume furbesco, sicché, là dove mancano protocolli in qualche modo verificabili, chiunque voglia sentenzia “pro amico”. Sono lì a testimoniacelo Michel Eyquem sieur de Montaigne e Gottfried Wilhelm Leibniz. Quando, tuttavia, i testi parlano chiaro, commentatori dal talento acrobatico provvederanno a innescare un vortice combinatorio di fronte al quale girerà la testa anche ai pochi che abbiano imparato tutto o quasi.
Quella del parlare a vanvera è patologia piuttosto diffusa, spesso scambiata per talento. Questa patologia affligge onniscienti “opinionisti” da Talk Show e colpisce sempre più spesso sedicenti “esperti” se non addirittura venerati “maestri”. Esemplare il dibattito sviluppatosi sugli esiti del voto, in Senato, sulla decadenza ex lege Severino del Senatore Minzolini. Un dibattito che ha del surreale: campioni garruli si esercitano in discorsi pesantemente imbarocchiti, farneticano, “docendo et disputando”, salmodiano “consiliorum multa millia”, discutendo questioni inesistenti; i meno sgangherati vivono su minuscoli imparaticci ignari del resto; difficile, se non addirittura impossibile, trovarne qualcuno intellettualmente onesto. Fanno un baffo, insomma, ai doctissimi iurisconsulti mai incontrati, durante il suo voyage en Italie del 1567, da Jacques Cujas, sebbene di loro si dicesse fecundam esse Italiam.
Il caso Minzolini è di una semplicità sconcertante. I testi non si prestano a equivoci: a norma dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 235 del 2012, “Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore […] coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale…”, ed è questo il caso del Senatore Minzolini, condannato, con sentenza definitiva, alla pena della reclusione in anni due e mesi sei, per peculato continuato; a norma del successivo art. 3, “qualora una causa di incandidabilità di cui all’articolo 1 sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione”: ancora una volta è il caso del Senatore Minzolini, la cui condanna è divenuta definitiva “nel corso del mandato elettivo”, cioè nel 2015; l’art. 66 della Costituzione dispone, infine, che “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”: ciò significa che, nel caso di Augusto Minzolini, il Senato era chiamato a verificare se lo stesso avesse riportato, per come ha effettivamente riportato, la condanna implicante l’incandidabilità, ma esorbitando dai propri poteri è entrato nel merito della vicenda giudiziaria, e ha “salvato” l’ormai incandidabile, che doveva lasciare Palazzo Madama in base alla legge Severino.
Dottori cavillanti denunciano immediatamente leggi asseritamente “assurde” che regolerebbero lo scontro tra politica e giustizia, senza che alcuno se ne occupi seriamente. Imbrogliano le carte, postulando che la verifica di sussistenza della causa d’incandidabilità da parte della Camera di appartenenza, ai sensi dell’art. 66 della Costituzione, implichi, contro la lettera e lo spirito della disposizione costituzionale, una rivalutazione nel merito della condanna da cui l’incandidabilità deriva, poiché, in caso contrario, la verifica si ridurrebbe a un mero “passaggio di carte”.
E consumato l’espediente fraudolento, simulano stupore: perché mai, si domandano, se deputati e senatori esercitano il loro diritto di entrare nel merito e di sostituirsi ai magistrati, per quale diamine di motivo è stata approvata una legge sulla decadenza che poi non viene onorata? Così, mentre si dolgono di come il meccanismo elaborato dalla legge Severino sembri studiato apposta da qualche mente malata per aggiungere discredito sulle nostre povere istituzioni, neppure li sfiora il dubbio che non già in quel meccanismo, ma nelle arbitrariamente errate premesse dei loro paralogismi, si annida quel che offende la logica.
di Otello Lupacchini | 18 marzo 2017
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Re: Come se ne viene fuori ?
Da L’Espresso in edicola da ieri, 2 Aprile 2017.
L’editoriale del direttore, Tommaso Cerno.
I nuovi Cesari e il miraggio
del grande cambiamento
Lo spavaldo Trump già vacilla e
guarda al passato. Anche se il
merito è dei repubblicani. Ma in
Europa Putin e Erdogan flirtano
con i populismi. Fenomeno che
va prima capito. E poi fermato
Come polvere di gesso soffiata via dal vento dei nuovi populismi, abbiamo l’impressione che la linea di demarcazione del campo politico in cui giochiamo la partita della sopravvivenza delle democrazie stia scomparendo.
Questo genera in noi due diverse reazioni, l’idea cioè che il nostro sistema di idee e di valori possa essere rovesciato; l’attrazione irrazionale per chi ci vuole sudditi, lo stravagante desiderio di somigliare ai nuovi Cesari (con picco di ironia: Bersani oramai stalker politico di Beppe Grillo).
In questo numero L’Espresso analizza i due sentimenti opposti che spaccano l’Europa e il nostro Paese e che non compresi in tempo, rischiano di portarci ad una crisi non solo politica ma antropologica del nostro modello di convivenza.
Abbiamo di fronte tre volti diversi, eppur contigui, di quelle che possiamo chiamare le nuove dittature, diverse dal secolo scorso, ma pericolose su scala globale, l’America di Trump, la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan.
E un interrogativo: siamo cambiati anche noi per colpa loro?
I primi mesi di Trump alla Casa Bianca portano già i segni della crisi.
Un consenso fra i più bassi mai registrati.
I dubbi degli americani su The Donald alla prova dei fatti.
Ci mostrano , insomma, una caratteristica di questo tipo di potere: il populismo fa e disfa a parole, ma è impreparato a governare.
Odora di reazione, guarda indietro.
E se non possiamo dire che Trump è già finito, certo vacilla.
Dopo la débacle sull’Obamacare (conseguenza dell’opposizione che finora hanno fatto i repubblicani di destra) il presidente si lancia su carbone e infrastrutture.
Proiettandosi in un futuro che odora di antico.
E negando di fatto all’America il ruolo di pioniere economico e culturale del pianeta.
Eppure in Europa non solo Trump piace ancora ai partiti anti-sistema, c’è chi è attratto dal fascino oscuro degli altri dittatori moderni.
Sia nella Russia di Vladimir Putin dove il pugno di ferro non trova uffici federali né giudici a far da scudo allo Zar, come invece negli Usa avviene, ma risveglia una nostalgia sovietizzante, l’eco della falsa potenza che finge di rialzarsi, tira a lucido monumenti, ma al tempo stesso serra le manette ai polsi di chi dice no e tiene il popolo in miseria.
Poi c’è Recep Tayyip Erdogan, che ammaliò l’Occidente (si parlò di una Dc islamica, mostrando i limiti di immaginazione che accecarono l’Europa) ma che ora ha tolto il velo al suo progetto: cercare una via pseudo democratica al potere eterno, un sultanato in versione millennials fatto un po’ di botte e un po’ di referendum.
Quanto ci costa tutto questo?
L’Espresso prova a misurare l’ombra che i democratori allungano su di noi.
Alla vigilia delle elezioni in Francia, dove il “piccolo principe” Macron tenta di fare argine alla sconfitta del sistema democratico.
E alla vigilia della campagna elettorale con le primarie del Pd.
Il rischio?
Che non ci crediamo abbastanza.
Noi per primi-
E che si perda di vista l’urgenza di azioni capaci di distogliere il popolo dal miraggio del Grande Capo.
Capaci di parlare al Paese che-già si scorge negli Usa- sa che la rivoluzione a parole è facile ma pericolosa.
Perché avvia una regressione politica, economica, e culturale.
Che per noi sarebbe il baratro.
L’editoriale del direttore, Tommaso Cerno.
I nuovi Cesari e il miraggio
del grande cambiamento
Lo spavaldo Trump già vacilla e
guarda al passato. Anche se il
merito è dei repubblicani. Ma in
Europa Putin e Erdogan flirtano
con i populismi. Fenomeno che
va prima capito. E poi fermato
Come polvere di gesso soffiata via dal vento dei nuovi populismi, abbiamo l’impressione che la linea di demarcazione del campo politico in cui giochiamo la partita della sopravvivenza delle democrazie stia scomparendo.
Questo genera in noi due diverse reazioni, l’idea cioè che il nostro sistema di idee e di valori possa essere rovesciato; l’attrazione irrazionale per chi ci vuole sudditi, lo stravagante desiderio di somigliare ai nuovi Cesari (con picco di ironia: Bersani oramai stalker politico di Beppe Grillo).
In questo numero L’Espresso analizza i due sentimenti opposti che spaccano l’Europa e il nostro Paese e che non compresi in tempo, rischiano di portarci ad una crisi non solo politica ma antropologica del nostro modello di convivenza.
Abbiamo di fronte tre volti diversi, eppur contigui, di quelle che possiamo chiamare le nuove dittature, diverse dal secolo scorso, ma pericolose su scala globale, l’America di Trump, la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan.
E un interrogativo: siamo cambiati anche noi per colpa loro?
I primi mesi di Trump alla Casa Bianca portano già i segni della crisi.
Un consenso fra i più bassi mai registrati.
I dubbi degli americani su The Donald alla prova dei fatti.
Ci mostrano , insomma, una caratteristica di questo tipo di potere: il populismo fa e disfa a parole, ma è impreparato a governare.
Odora di reazione, guarda indietro.
E se non possiamo dire che Trump è già finito, certo vacilla.
Dopo la débacle sull’Obamacare (conseguenza dell’opposizione che finora hanno fatto i repubblicani di destra) il presidente si lancia su carbone e infrastrutture.
Proiettandosi in un futuro che odora di antico.
E negando di fatto all’America il ruolo di pioniere economico e culturale del pianeta.
Eppure in Europa non solo Trump piace ancora ai partiti anti-sistema, c’è chi è attratto dal fascino oscuro degli altri dittatori moderni.
Sia nella Russia di Vladimir Putin dove il pugno di ferro non trova uffici federali né giudici a far da scudo allo Zar, come invece negli Usa avviene, ma risveglia una nostalgia sovietizzante, l’eco della falsa potenza che finge di rialzarsi, tira a lucido monumenti, ma al tempo stesso serra le manette ai polsi di chi dice no e tiene il popolo in miseria.
Poi c’è Recep Tayyip Erdogan, che ammaliò l’Occidente (si parlò di una Dc islamica, mostrando i limiti di immaginazione che accecarono l’Europa) ma che ora ha tolto il velo al suo progetto: cercare una via pseudo democratica al potere eterno, un sultanato in versione millennials fatto un po’ di botte e un po’ di referendum.
Quanto ci costa tutto questo?
L’Espresso prova a misurare l’ombra che i democratori allungano su di noi.
Alla vigilia delle elezioni in Francia, dove il “piccolo principe” Macron tenta di fare argine alla sconfitta del sistema democratico.
E alla vigilia della campagna elettorale con le primarie del Pd.
Il rischio?
Che non ci crediamo abbastanza.
Noi per primi-
E che si perda di vista l’urgenza di azioni capaci di distogliere il popolo dal miraggio del Grande Capo.
Capaci di parlare al Paese che-già si scorge negli Usa- sa che la rivoluzione a parole è facile ma pericolosa.
Perché avvia una regressione politica, economica, e culturale.
Che per noi sarebbe il baratro.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Il principio della rana bollita
(di Noam Chomsky)
Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana.
Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare.
La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa.
L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita.
Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.
Questa esperienza mostra che – quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta – sfugge alla coscienza e non suscita – per la maggior parte del tempo – nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta.
Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subiamo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose, che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e – oggi – ci disturbano solo leggermente o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute.
I foschi presagi annunciati per il futuro, anziché suscitare delle reazioni e delle misure preventive, non fanno altro che preparare psicologicamente il popolo ad accettare le condizioni di vita decadenti, perfino drammatiche.
Il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media satura i cervelli che non riescono più a discernere, a pensare con la loro testa.
Allora se non siete come la rana, già mezzo bolliti, date il colpo di zampa salutare, prima che sia troppo tardi!
(di Noam Chomsky)
Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana.
Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare.
La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa.
L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita.
Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.
Questa esperienza mostra che – quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta – sfugge alla coscienza e non suscita – per la maggior parte del tempo – nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta.
Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subiamo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose, che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e – oggi – ci disturbano solo leggermente o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute.
I foschi presagi annunciati per il futuro, anziché suscitare delle reazioni e delle misure preventive, non fanno altro che preparare psicologicamente il popolo ad accettare le condizioni di vita decadenti, perfino drammatiche.
Il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media satura i cervelli che non riescono più a discernere, a pensare con la loro testa.
Allora se non siete come la rana, già mezzo bolliti, date il colpo di zampa salutare, prima che sia troppo tardi!
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Re: Come se ne viene fuori ?
PER LA PRIMA VOLTA UN "COME SE NE VIENE FUORI" POSITIVO???????
DA ALTRO 3D:
http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 607#p49607
Come se ne esce?
«Noi – insiste Magaldi – abbiamo bisogno di un governo che abbia il coraggio di andare ai tavoli europei e dire: siamo tra i grandi contraenti del progetto europeo, vogliamo riscrivere i trattati, lavorare per un processo costituente per un’unione politica.
Se ci state, bene.
Altrimenti, se non si apre un dibattito, noi sospendiamo la vigenza dei trattati in Italia, accantonando tutte le retoriche europeiste o antieuropeiste».
Gioele Magaldi pensa al Pdp, Partito Democratico Progressista, di cui è appena stato registrato il marchio, in vista delle prossime elezioni politiche.
«Sarà un cantiere – spiega – al quale invitiamo tutti quelli che ne hanno abbastanza di sentir parlare di falsi democratici e falsi progressisti, come Bersani che ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione, trasformando il Parlamento in una caserma per imporre il sì al Fiscal Compact.
Misure-capestro, suicide per l’economia italiana, imposte «da uno dei governi più nefasti della storia, guidato dal massone reazionario Mario Monti, insediato dal massone ancora più reazionario Giorgio Napolitano».
In Italia Monti, Letta e Renzi.
E in Francia Hollande: «Doveva essere il campione anti-merkeliano e anti-austerity.
Invece, tra blandizie e minacce, si è ridoto a un ruolo ornamentale, senza una sola proposta per un vero cambio di paradigma, in Europa».
Renzi? «E’ stato poco furbo: se al referendum del 4 dicembre avesse inserito l’abolizione del pareggio di bilancio, avrebbe vinto».
Peggio ancora dell’ex premier, forse, «gli avventurieri che vorrebbero appropriarsi delle parole “democratico” e “progressista”, dopo aver sorretto il governo Monti».
Nella visione di Magaldi, non resta che ripartire dall’Italia per tentare di invertire il corso della storia, riaccendendo la luce sulla democrazia.
A questo serve il “Master Roosevelt in scienze della polis”, che offre formazione per «conoscere le reti private sovranazionali che asservono ai propri interessi i governi eletti».
Un’azione «di pedagogia e consapevolezza», fino a ieri limitata alla dimensione meta-partitica.
Domani estesa anche all’agone elettorale?
Magaldi appare deciso.
Vede la necessità di «un partito “pesante”, novecentesco, democratico e ideologico, improntato al “socialismo liberale” di Carlo Rosselli, l’antifascista che diceva: è inutile parlare di libertà politiche e civili se non si offre ai cittadini anche una dignità economica per potersi occupare della res publica».
Socialismo e liberalismo: «Keynes e Beveridge, il padre del welfare europeo, erano esponenti del Liberal Party».
L’ipotetico nuovo soggetto politico punterebbe sull’elettorato in fuga dal Pd, su quello del centrodestra in pieno caos (e senz’ombra di primarie), rivolgendosi anche ai 5 Stelle: «Rappresentano una speranza, per l’Italia, a patto che si rivelino all’altezza della situazione, offrendo cioè uno spettacolo diverso da quello mostrato a Roma».
Un nuovo partito, dunque? Sì, sembra dire Magaldi, se l’offerta politica italiana non offre alternative serie: e cioè un cambio radicale di paradigma.
Stop al dogma neoliberista, senza mezzi termini.
DA ALTRO 3D:
http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 607#p49607
Come se ne esce?
«Noi – insiste Magaldi – abbiamo bisogno di un governo che abbia il coraggio di andare ai tavoli europei e dire: siamo tra i grandi contraenti del progetto europeo, vogliamo riscrivere i trattati, lavorare per un processo costituente per un’unione politica.
Se ci state, bene.
Altrimenti, se non si apre un dibattito, noi sospendiamo la vigenza dei trattati in Italia, accantonando tutte le retoriche europeiste o antieuropeiste».
Gioele Magaldi pensa al Pdp, Partito Democratico Progressista, di cui è appena stato registrato il marchio, in vista delle prossime elezioni politiche.
«Sarà un cantiere – spiega – al quale invitiamo tutti quelli che ne hanno abbastanza di sentir parlare di falsi democratici e falsi progressisti, come Bersani che ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione, trasformando il Parlamento in una caserma per imporre il sì al Fiscal Compact.
Misure-capestro, suicide per l’economia italiana, imposte «da uno dei governi più nefasti della storia, guidato dal massone reazionario Mario Monti, insediato dal massone ancora più reazionario Giorgio Napolitano».
In Italia Monti, Letta e Renzi.
E in Francia Hollande: «Doveva essere il campione anti-merkeliano e anti-austerity.
Invece, tra blandizie e minacce, si è ridoto a un ruolo ornamentale, senza una sola proposta per un vero cambio di paradigma, in Europa».
Renzi? «E’ stato poco furbo: se al referendum del 4 dicembre avesse inserito l’abolizione del pareggio di bilancio, avrebbe vinto».
Peggio ancora dell’ex premier, forse, «gli avventurieri che vorrebbero appropriarsi delle parole “democratico” e “progressista”, dopo aver sorretto il governo Monti».
Nella visione di Magaldi, non resta che ripartire dall’Italia per tentare di invertire il corso della storia, riaccendendo la luce sulla democrazia.
A questo serve il “Master Roosevelt in scienze della polis”, che offre formazione per «conoscere le reti private sovranazionali che asservono ai propri interessi i governi eletti».
Un’azione «di pedagogia e consapevolezza», fino a ieri limitata alla dimensione meta-partitica.
Domani estesa anche all’agone elettorale?
Magaldi appare deciso.
Vede la necessità di «un partito “pesante”, novecentesco, democratico e ideologico, improntato al “socialismo liberale” di Carlo Rosselli, l’antifascista che diceva: è inutile parlare di libertà politiche e civili se non si offre ai cittadini anche una dignità economica per potersi occupare della res publica».
Socialismo e liberalismo: «Keynes e Beveridge, il padre del welfare europeo, erano esponenti del Liberal Party».
L’ipotetico nuovo soggetto politico punterebbe sull’elettorato in fuga dal Pd, su quello del centrodestra in pieno caos (e senz’ombra di primarie), rivolgendosi anche ai 5 Stelle: «Rappresentano una speranza, per l’Italia, a patto che si rivelino all’altezza della situazione, offrendo cioè uno spettacolo diverso da quello mostrato a Roma».
Un nuovo partito, dunque? Sì, sembra dire Magaldi, se l’offerta politica italiana non offre alternative serie: e cioè un cambio radicale di paradigma.
Stop al dogma neoliberista, senza mezzi termini.
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- Iscritto il: 18/03/2012, 10:43
Re: Come se ne viene fuori ?
Pure lui vuole fare un ennesimo partito escludendo delle persone che non gli piacciono e che comunque non si possono considerare allo stesso modo di Renzi.
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- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: Come se ne viene fuori ?
IL : Come se ne esce?? ........DI ERDING RIMBOMBA IN TUTTO LO STIVALE, DA BOZEN A LAMPEDUSA
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Bersani non andrà da nessuna parte, ma nemmeno Renzi
Scritto il 21/2/17 • nella Categoria: idee Condividi
Non andranno da nessuna parte, gli scissionisti del Pd: sono figure logore, nonché largamente compromesse con il peggior potere, quello che ha imposto all’Italia il regime dell’austerity. Beninteso: non andranno lontano nemmeno gli altri, i renziani, così come i berlusconiani. I grillini? Domani chissà, ma oggi – di fatto – non hanno vero un Piano-B per ribaltare l’economia italiana cambiando le regole del gioco. E’ la tesi di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che illumina gli imbarazzanti retroscena del “back office” del potere mondiale, con 36 superlogge internazionali che “orientano” le grandi decisioni dei governi, attraverso il controllo della finanza e delle istituzioni “paramassoniche” come Fmi e Banca Mondiale, Bilderberg e Trilaterale, think-tanks e lobby che, di fatto, “dettano” direttive, leggi, tendenze. Una su tutte: la supremazia neoliberista del mercato a danno dello Stato, neutralizzato dai tecnocrati e disabilitato nelle sue capacità di spesa pubblica e investimento economico e sociale.
«Si può dire anche molto male di Matteo Renzi, ma è pur sempre meglio di Pier Carlo Padoan, il ministro dell’economia, che – attraverso la Ur-Lodge “Three Eyes”, roccaforte storica della destra internazionale – è il terminale italiano dei super-poteri che predicano la privatizzazione universale». Ai microfoni di “Colors Radio”, Magaldi osserva con scetticismo lo spettacolare smottamento in corso nello scenario politico italiano, non solo nella cosiddetta sinistra, ma anche sul fronte opposto, dove – accanto a Salvini e Giorgia Meloni – emergono pulsioni “sovraniste” dalla ex destra sociale di Alemanno e Storace. Meglio di niente, sembra concludere Magaldi, che è progressista e ha fondato in Italia il Movimento Roosevelt, associazione meta-partitica con l’obiettivo di “inoculare il virus del risveglio”, liberando i partiti dalla loro sudditanza rispetto ai poteri forti. Magaldi ora va anche oltre, annunciando l’apertura di un cantiere politico per dare vita a un nuovo soggetto. Non l’ennesimo partitino, assicura, ma – sulla carta – l’unico strumento su cui far convergere un vero e proprio rovesciamento di valori e priorità, sulla scorta dell’esperienza condotta per la candidatura dell’economista keynesiano Nino Galloni al Comune di Roma.
Tradotto: prima viene il recupero della sovranità finanziaria, anche monetaria, e soltanto dopo è possibile ridisegnare leggi e governi, con alle spalle una struttura (pubblica) capace di investire denaro per l’economia reale, quella delle aziende e delle famiglie. Nulla di tutto ciò è in vista, nel campo della sinistra italiana tradizionale: che magari sbatte la porta in faccia a Renzi, ma poi non osa alzare la voce con i veri potenti, cioè i guardiani dell’ortodossia ordoliberista incarnata dall’Unione Europea a trazione tedesca. «Non capisco come facciano, Bersani e compagni, a rinfacciare a Renzi la mancanza di una politica sociale, di sinistra, che parta dalle istanze del popolo, quando loro sono stati i primi, con D’Alema e anche Veltroni, a plaudire al governo Monti, progettato dai grandi poteri con l’aiuto di Napolitano». Dove pensano di andare, Bersani e Speranza? Alla loro sinistra si è accampata Sinistra Italiana, cioè la reincarnazione di Sel, il partito di Vendola, ben lungi – al netto della retorica – dall’aver affrontato il nodo vero della questione: la sovranità democratica dei governi europei, resi “sudditi” da Bruxelles, a danno della comunità nazionale.
Più interessante il campo opposto, dove si registra quantomeno la vitalità di Salvini e Meloni, con il limite però di dover fare sempre i conti con l’eterno Berlusconi, che in vent’anni – reso vulnerabile dal ricatto incombente sulle sue aziende – non è riuscito a dire un solo “no” ai nemici dell’Italia. Restano i 5 Stelle: se non l’attuale dirigenza “grillo-replicante”, almeno la sincera disponibilità democratica della base. Per Magaldi, il ogni caso, il Pd è finito: «Marcirà, si estinguerà per putrefazione. Mentre l’Italia ha un disperato bisogno di rigenerazione, attraverso la rinascita del campo progressista», adeguata allo scenario di oggi: un rinascimento politico, che parta dalla battaglia (storica) per denunciare gli abusi dell’oligarchia europea e restituire piena sovranità finanziaria all’economia nazionale, condizione imprescindibile per poi riscrivere le leggi in senso democratico, ridisegnando il paese, dopo aver rimesso al potere politici legittimi, non più maggiordomi dell’élite.
Non andranno da nessuna parte, gli scissionisti del Pd: sono figure logore, nonché largamente compromesse con il peggior potere, quello che ha imposto all’Italia il regime dell’austerity. Beninteso: non andranno lontano nemmeno gli altri, i renziani, così come i berlusconiani. I grillini? Domani chissà, ma oggi – di fatto – non hanno vero un Piano-B per ribaltare l’economia italiana cambiando le regole del gioco. E’ la tesi di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che illumina gli imbarazzanti retroscena del “back office” del potere mondiale, con 36 superlogge internazionali che “orientano” le grandi decisioni dei governi, attraverso il controllo della finanza e delle istituzioni “paramassoniche” come Fmi e Banca Mondiale, Bilderberg e Trilaterale, think-tanks e lobby che, di fatto, “dettano” direttive, leggi, tendenze. Una su tutte: la supremazia neoliberista del mercato a danno dello Stato, neutralizzato dai tecnocrati e disabilitato nelle sue capacità di spesa pubblica e investimento economico e sociale.
«Si può dire anche molto male di Matteo Renzi, ma è pur sempre meglio di Pier Carlo Padoan, il ministro dell’economia, che – attraverso la Ur-Lodge “Three Eyes”, roccaforte storica della destra internazionale – è il terminale italiano dei super-poteri che Gioele Magaldipredicano la privatizzazione universale». Ai microfoni di “Colors Radio”, Magaldi osserva con scetticismo lo spettacolare smottamento in corso nello scenario politico italiano, non solo nella cosiddetta sinistra, ma anche sul fronte opposto, dove – accanto a Salvini e Giorgia Meloni – emergono pulsioni “sovraniste” dalla ex destra sociale di Alemanno e Storace. Meglio di niente, sembra concludere Magaldi, che è progressista e ha fondato in Italia il Movimento Roosevelt, associazione meta-partitica con l’obiettivo di “inoculare il virus del risveglio”, liberando i partiti dalla loro sudditanza rispetto ai poteri forti. Magaldi ora va anche oltre, annunciando l’apertura di un cantiere politico per dare vita a un nuovo soggetto. Non l’ennesimo partitino, assicura, ma – sulla carta – l’unico strumento su cui far convergere un vero e proprio rovesciamento di valori e priorità, sulla scorta dell’esperienza condotta per la candidatura dell’economista keynesiano Nino Galloni al Comune di Roma.
Tradotto: prima viene il recupero della sovranità finanziaria, anche monetaria, e soltanto dopo è possibile ridisegnare leggi e governi, con alle spalle una struttura (pubblica) capace di investire denaro per l’economia reale, quella delle aziende e delle famiglie. Nulla di tutto ciò è in vista, nel campo della sinistra italiana tradizionale: che magari sbatte la porta in faccia a Renzi, ma poi non osa alzare la voce con i veri potenti, cioè i guardiani dell’ortodossia ordoliberista incarnata dall’Unione Europea a trazione tedesca. «Non capisco come facciano, Bersani e compagni, a rinfacciare a Renzi la mancanza di una politica sociale, di sinistra, che parta dalle istanze del popolo, quando loro sono stati i primi, con D’Alema e anche Veltroni, a plaudire al governo Monti, progettato dai grandi poteri con l’aiuto di Napolitano». Dove pensano di andare, Bersani e Speranza? Alla loro sinistra si è accampata Sinistra Italiana, cioè la reincarnazione di Sel, il partito di Vendola, ben lungi – al netto della retorica – Bersani e Renzidall’aver affrontato il nodo vero della questione: la sovranità democratica dei governi europei, resi “sudditi” da Bruxelles, a danno della comunità nazionale.
Più interessante il campo opposto, dove si registra quantomeno la vitalità di Salvini e Meloni, con il limite però di dover fare sempre i conti con l’eterno Berlusconi, che in vent’anni – reso vulnerabile dal ricatto incombente sulle sue aziende – non è riuscito a dire un solo “no” ai nemici dell’Italia. Restano i 5 Stelle: se non l’attuale dirigenza “grillo-replicante”, almeno la sincera disponibilità democratica della base. Per Magaldi, il ogni caso, il Pd è finito: «Marcirà, si estinguerà per putrefazione. Mentre l’Italia ha un disperato bisogno di rigenerazione, attraverso la rinascita del campo progressista», adeguata allo scenario di oggi: un rinascimento politico, che parta dalla battaglia (storica) per denunciare gli abusi dell’oligarchia europea e restituire piena sovranità finanziaria all’economia nazionale, condizione imprescindibile per poi riscrivere le leggi in senso democratico, ridisegnando il paese, dopo aver rimesso al potere politici legittimi, non più maggiordomi dell’élite.
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Non andranno da nessuna parte, gli scissionisti del Pd: sono figure logore, nonché largamente compromesse con il peggior potere, quello che ha imposto all’Italia il regime dell’austerity. Beninteso: non andranno lontano nemmeno gli altri, i renziani, così come i berlusconiani. I grillini? Domani chissà, ma oggi – di fatto – non hanno vero un Piano-B per ribaltare l’economia italiana cambiando le regole del gioco. E’ la tesi di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che illumina gli imbarazzanti retroscena del “back office” del potere mondiale, con 36 superlogge internazionali che “orientano” le grandi decisioni dei governi, attraverso il controllo della finanza e delle istituzioni “paramassoniche” come Fmi e Banca Mondiale, Bilderberg e Trilaterale, think-tanks e lobby che, di fatto, “dettano” direttive, leggi, tendenze. Una su tutte: la supremazia neoliberista del mercato a danno dello Stato, neutralizzato dai tecnocrati e disabilitato nelle sue capacità di spesa pubblica e investimento economico e sociale.
«Si può dire anche molto male di Matteo Renzi, ma è pur sempre meglio di Pier Carlo Padoan, il ministro dell’economia, che – attraverso la Ur-Lodge “Three Eyes”, roccaforte storica della destra internazionale – è il terminale italiano dei super-poteri che predicano la privatizzazione universale». Ai microfoni di “Colors Radio”, Magaldi osserva con scetticismo lo spettacolare smottamento in corso nello scenario politico italiano, non solo nella cosiddetta sinistra, ma anche sul fronte opposto, dove – accanto a Salvini e Giorgia Meloni – emergono pulsioni “sovraniste” dalla ex destra sociale di Alemanno e Storace. Meglio di niente, sembra concludere Magaldi, che è progressista e ha fondato in Italia il Movimento Roosevelt, associazione meta-partitica con l’obiettivo di “inoculare il virus del risveglio”, liberando i partiti dalla loro sudditanza rispetto ai poteri forti. Magaldi ora va anche oltre, annunciando l’apertura di un cantiere politico per dare vita a un nuovo soggetto. Non l’ennesimo partitino, assicura, ma – sulla carta – l’unico strumento su cui far convergere un vero e proprio rovesciamento di valori e priorità, sulla scorta dell’esperienza condotta per la candidatura dell’economista keynesiano Nino Galloni al Comune di Roma.
Tradotto: prima viene il recupero della sovranità finanziaria, anche monetaria, e soltanto dopo è possibile ridisegnare leggi e governi, con alle spalle una struttura (pubblica) capace di investire denaro per l’economia reale, quella delle aziende e delle famiglie. Nulla di tutto ciò è in vista, nel campo della sinistra italiana tradizionale: che magari sbatte la porta in faccia a Renzi, ma poi non osa alzare la voce con i veri potenti, cioè i guardiani dell’ortodossia ordoliberista incarnata dall’Unione Europea a trazione tedesca. «Non capisco come facciano, Bersani e compagni, a rinfacciare a Renzi la mancanza di una politica sociale, di sinistra, che parta dalle istanze del popolo, quando loro sono stati i primi, con D’Alema e anche Veltroni, a plaudire al governo Monti, progettato dai grandi poteri con l’aiuto di Napolitano». Dove pensano di andare, Bersani e Speranza? Alla loro sinistra si è accampata Sinistra Italiana, cioè la reincarnazione di Sel, il partito di Vendola, ben lungi – al netto della retorica – dall’aver affrontato il nodo vero della questione: la sovranità democratica dei governi europei, resi “sudditi” da Bruxelles, a danno della comunità nazionale.
Più interessante il campo opposto, dove si registra quantomeno la vitalità di Salvini e Meloni, con il limite però di dover fare sempre i conti con l’eterno Berlusconi, che in vent’anni – reso vulnerabile dal ricatto incombente sulle sue aziende – non è riuscito a dire un solo “no” ai nemici dell’Italia. Restano i 5 Stelle: se non l’attuale dirigenza “grillo-replicante”, almeno la sincera disponibilità democratica della base. Per Magaldi, il ogni caso, il Pd è finito: «Marcirà, si estinguerà per putrefazione. Mentre l’Italia ha un disperato bisogno di rigenerazione, attraverso la rinascita del campo progressista», adeguata allo scenario di oggi: un rinascimento politico, che parta dalla battaglia (storica) per denunciare gli abusi dell’oligarchia europea e restituire piena sovranità finanziaria all’economia nazionale, condizione imprescindibile per poi riscrivere le leggi in senso democratico, ridisegnando il paese, dopo aver rimesso al potere politici legittimi, non più maggiordomi dell’élite.
Non andranno da nessuna parte, gli scissionisti del Pd: sono figure logore, nonché largamente compromesse con il peggior potere, quello che ha imposto all’Italia il regime dell’austerity. Beninteso: non andranno lontano nemmeno gli altri, i renziani, così come i berlusconiani. I grillini? Domani chissà, ma oggi – di fatto – non hanno vero un Piano-B per ribaltare l’economia italiana cambiando le regole del gioco. E’ la tesi di Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che illumina gli imbarazzanti retroscena del “back office” del potere mondiale, con 36 superlogge internazionali che “orientano” le grandi decisioni dei governi, attraverso il controllo della finanza e delle istituzioni “paramassoniche” come Fmi e Banca Mondiale, Bilderberg e Trilaterale, think-tanks e lobby che, di fatto, “dettano” direttive, leggi, tendenze. Una su tutte: la supremazia neoliberista del mercato a danno dello Stato, neutralizzato dai tecnocrati e disabilitato nelle sue capacità di spesa pubblica e investimento economico e sociale.
«Si può dire anche molto male di Matteo Renzi, ma è pur sempre meglio di Pier Carlo Padoan, il ministro dell’economia, che – attraverso la Ur-Lodge “Three Eyes”, roccaforte storica della destra internazionale – è il terminale italiano dei super-poteri che Gioele Magaldipredicano la privatizzazione universale». Ai microfoni di “Colors Radio”, Magaldi osserva con scetticismo lo spettacolare smottamento in corso nello scenario politico italiano, non solo nella cosiddetta sinistra, ma anche sul fronte opposto, dove – accanto a Salvini e Giorgia Meloni – emergono pulsioni “sovraniste” dalla ex destra sociale di Alemanno e Storace. Meglio di niente, sembra concludere Magaldi, che è progressista e ha fondato in Italia il Movimento Roosevelt, associazione meta-partitica con l’obiettivo di “inoculare il virus del risveglio”, liberando i partiti dalla loro sudditanza rispetto ai poteri forti. Magaldi ora va anche oltre, annunciando l’apertura di un cantiere politico per dare vita a un nuovo soggetto. Non l’ennesimo partitino, assicura, ma – sulla carta – l’unico strumento su cui far convergere un vero e proprio rovesciamento di valori e priorità, sulla scorta dell’esperienza condotta per la candidatura dell’economista keynesiano Nino Galloni al Comune di Roma.
Tradotto: prima viene il recupero della sovranità finanziaria, anche monetaria, e soltanto dopo è possibile ridisegnare leggi e governi, con alle spalle una struttura (pubblica) capace di investire denaro per l’economia reale, quella delle aziende e delle famiglie. Nulla di tutto ciò è in vista, nel campo della sinistra italiana tradizionale: che magari sbatte la porta in faccia a Renzi, ma poi non osa alzare la voce con i veri potenti, cioè i guardiani dell’ortodossia ordoliberista incarnata dall’Unione Europea a trazione tedesca. «Non capisco come facciano, Bersani e compagni, a rinfacciare a Renzi la mancanza di una politica sociale, di sinistra, che parta dalle istanze del popolo, quando loro sono stati i primi, con D’Alema e anche Veltroni, a plaudire al governo Monti, progettato dai grandi poteri con l’aiuto di Napolitano». Dove pensano di andare, Bersani e Speranza? Alla loro sinistra si è accampata Sinistra Italiana, cioè la reincarnazione di Sel, il partito di Vendola, ben lungi – al netto della retorica – Bersani e Renzidall’aver affrontato il nodo vero della questione: la sovranità democratica dei governi europei, resi “sudditi” da Bruxelles, a danno della comunità nazionale.
Più interessante il campo opposto, dove si registra quantomeno la vitalità di Salvini e Meloni, con il limite però di dover fare sempre i conti con l’eterno Berlusconi, che in vent’anni – reso vulnerabile dal ricatto incombente sulle sue aziende – non è riuscito a dire un solo “no” ai nemici dell’Italia. Restano i 5 Stelle: se non l’attuale dirigenza “grillo-replicante”, almeno la sincera disponibilità democratica della base. Per Magaldi, il ogni caso, il Pd è finito: «Marcirà, si estinguerà per putrefazione. Mentre l’Italia ha un disperato bisogno di rigenerazione, attraverso la rinascita del campo progressista», adeguata allo scenario di oggi: un rinascimento politico, che parta dalla battaglia (storica) per denunciare gli abusi dell’oligarchia europea e restituire piena sovranità finanziaria all’economia nazionale, condizione imprescindibile per poi riscrivere le leggi in senso democratico, ridisegnando il paese, dopo aver rimesso al potere politici legittimi, non più maggiordomi dell’élite.
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- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: Come se ne viene fuori ?
LA TEMPERATURA DEL PENTOLONE E' DIVENTATA TROPPO ALTA PER NOI RANE BOLLITE DEL PIANETA TERRA?????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????
Mondo | Di F. Q.
“Rischio di guerra nucleare imminente”
Pyongyang minaccia gli Usa: “Gangster”
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PIU' CHE MAI QUESTO E' IL MOMENTO DI CHIEDERCI:
COME SE NE VIENE FUORI?
OPPURE DOBBIAMO MORIRE RASSEGNATI DI DOVER MORIRE????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????
Mondo | Di F. Q.
“Rischio di guerra nucleare imminente”
Pyongyang minaccia gli Usa: “Gangster”
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- Iscritto il: 21/02/2012, 22:55
Re: Come se ne viene fuori ?
Chi minaccia, o peggio ricorre ad azioni belliche,
tende sempre a giustificarsi dicendo: " c'è una ragione superiore”
La superiorità di una ragione rispetto ad un'altra è sempre opinabile.
La scelta meno opinabile e veramente perentoria, dovrebbe essere la scelta della pace.
tende sempre a giustificarsi dicendo: " c'è una ragione superiore”
La superiorità di una ragione rispetto ad un'altra è sempre opinabile.
La scelta meno opinabile e veramente perentoria, dovrebbe essere la scelta della pace.
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- Iscritto il: 21/02/2012, 22:55
Re: Come se ne viene fuori ?
Oggi secondo il calendario sarebbe primavera, eppure stamane fa freddo.
Il sole è nascosto e fa fatica ad imporsi facendosi largo tra le nubi.
Come la primavera che stenta ad arrivare, come il sole che fatica ad imporsi,
così il prendere piena coscienza di uno stato di fatto, il prendere coraggio e reagire
come si converrebbe scartando calcoli di comodo, uscire allo scoperto e smetterla
col: “vai avanti tu poi ti seguirò”, trovare la giusta e doverosa determinazione,
per scegliere il ciò che è giusto e non il ciò che è comodo, non è da tutti, non è per tutti,
si fa fatica, comporta rinunce, occorre coraggio e il coraggio se uno non c'è l'ha...
Intanto, lo stato, simboleggiato da un auto dei carabinieri, resta schiacciato sotto l'ennesimo crollo.
Il sole è nascosto e fa fatica ad imporsi facendosi largo tra le nubi.
Come la primavera che stenta ad arrivare, come il sole che fatica ad imporsi,
così il prendere piena coscienza di uno stato di fatto, il prendere coraggio e reagire
come si converrebbe scartando calcoli di comodo, uscire allo scoperto e smetterla
col: “vai avanti tu poi ti seguirò”, trovare la giusta e doverosa determinazione,
per scegliere il ciò che è giusto e non il ciò che è comodo, non è da tutti, non è per tutti,
si fa fatica, comporta rinunce, occorre coraggio e il coraggio se uno non c'è l'ha...
Intanto, lo stato, simboleggiato da un auto dei carabinieri, resta schiacciato sotto l'ennesimo crollo.
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