La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LIBRE news
Recensioni
segnalazioni.
Carpeoro: oligarchi in guerra, e idioti che tifavano Trump
Scritto il 08/4/17 • nella Categoria: idee Condividi
«Stupiti che Trump abbia sparato missili sulla Siria?
Friggeva dalla voglia di farlo, e finalmente l’ha fatto.
Con buona pace dei tanti idioti che avevano creduto in lui, come fosse qualcosa di diverso dai suoi predecessori».
In collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights”, l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” spiega così l’ultimo sussulto di guerra in Medio Oriente: «E’ la guerra degli oligarchi, sgomitano per non restare indietro: sanno che le risorse del pianeta stanno per finire, e ciascuno tenta di conquistare la prima fila per mettere in atto il suo Piano-B».
Soldi, interessi. Nient’altro.
Da conquistare con ogni mezzo, dai missili al terrorismo “false flag”, targato Isis, che nel frattempo colpisce anche la Svezia, a Stoccolma, con il “solito” veicolo lanciato sulla folla, come già a Nizza, a Berlino, a Londra.
Carpeoro legge gli indizi dell’escalation: «Tanti attentati, in serie, temo preparino un attentato più devastante». Il metodo del camion-kamikaze? Micidiale: «Costi minimi, rischio zero, potenzialità di fare enormi danni: gli stessi di un grosso investimento in termini di intelligence, che però comporterebbe alti costi e grandi rischi». Strada ormai obbligata, per l’Isis: «Senza più una base territoriale, è più semplice mandare in giro dei “cani sciolti”, destinati a colpevolizzare l’Islam, che ovviamente non c’entra niente».
Carneficine in Europa, bombe in Medio Oriente: questa la minestra che oggi passa il convento. Ed era perfettamente inutile sperare che dagli Usa potesse davvero arrivare un’inversione di tendenza, a livello geopolitico. «Trump fa parte della stessa Carpeorologica dei suoi predecessori, perché dovrebbe muoversi in maniera diversa?». Insiste Carpeoro: «Non aspettatevi che Trump faccia rivoluzioni. Non è un rivoluzionario: è uno che campa con gli appalti, è un uomo del sistema. Perché non dovrebbe far parte della stessa logica di prima?». Per convincersene, qualcuno ha avuto bisogno di assistere al raid missilistico sulla Siria. «Non so quanti americani hanno creduto che Trump costituisse un cambiamento – aggiunge Carpeoro – ma quelli che l’hanno creduto sono il problema vero di questo mondo. E cioè: nel mondo c’è una percentuale di idioti troppo estesa, in qualunque Stato del pianeta. Questo è il problema». L’invito è ad aprire gli occhi: «A chi giova la guerra in Siria? A quelli che vendono le armi. Poi ci sono altri interessi economici consistenti: ognuna delle fazioni in campo vuole appropriarsi di tutto per gestire un potere economico derivante dal petrolio. E infine ci sono gli interessi spicci, che sono la vendita della droga, delle armi e del petrolio».
L’orizzonte, per Carpeoro, è tristemente chiaro: a monte, «ci sono gruppi oligarchici mondiali che si stanno scontrando per il potere». E quello che fanno – compreso il lanciare missili – va letto attentamente. L’attacco con i Tomahawk, per esempio, è stato stranamente inefficiente: solo 23 missili a bersaglio, su 59. «E nonostante i 23 missili a bersaglio, ci sono stati solo 5 morti». Un aspetto “genetico”, in questo tipo di attacco: non certo casuale, visto che non esistono ripari anti-missile. «In realtà, nella sua fisiologia, questo attacco è alquanto sospetto e discutibile: 23 missili su 59 è una percentuale inaudita, scandalosamente fallimentare, tale da rimuovere il capo del Pentagono. Se poi aggiungiamo che i 23 missili andati a segno hanno fatto solo 5 morti, si capisce che questo attacco desta perplessità». Da più parti si paventa che in Siria sia in atto la stessa inesorabile strategia di “conquista” che ha travolto Afghanistan, Iraq e Libia? Carpeoro non concorda: «In quei paesi è Guerra del Golfostata portata la guerra, ma non ha vinto nessuno. Qualcuno ha messo davvero le mani, sulla Libia, fino ad oggi? Qualcuno è riuscito a “occidentalizzare” l’Iraq? In realtà, questo scontro, nessuno l’ha vinto. E sono vent’anni, che nessuno vince».
La prima guerra in Iraq è del 1991: da allora, e siamo nel 2017, quella guerra non l’ha vinta nessuno. «Come fai a sfruttare economicamente territori dove imperversano le bombe? Il petrolio iracheno viene sfruttato per il mercato nero, per i commerci illeciti, per barattarlo con droga. Ma non ci può essere uno sfruttamento industriale, razionale, di un bacino petrolifero dove ci sono bombe e gente che gira armata». Tutti questi devastanti sforzi bellici, che hanno raso al suolo intere regioni del pianeta, «sono stati spesi per ottenere cose che non sono state ottenute: questa è una guerra che gli americani pensavano di vincere dall’inizio, e che dopo 25 anni ancora non hanno vinto». E questo perché la superpotenza statunitense è minata al suo interno: «Si sono creati due fronti: il primo è un fronte massonico, e il secondo è un altro tipo di fronte interno. Questo è nato perché, a fare man bassa di tutto, fossero gli interessi economici rappresentati dai Bush. Ma non ci sono solo gli interessi dei Bush, in America: c’è qualcun altro, a cui sono girate le palle. E ha detto: se facciamo diventare troppo potenti i Bush, come possiamo continuare a fare affari pure noi? Trump, ad esempio, è proprio il simbolo della guerra a Bush, non della guerra alla guerra».
Donald Trump, ricorda Carpeoro, è stato candidato per sbarrare la strada della Casa Bianca al più giovane dei Bush, Jeb. Ma Trump «rappresenta interessi che hanno le stesse caratteristiche di quelli dei Bush». E’ quindi «una guerra interna, tutta loro, tra questi oligarchi maledetti, che pretendono di fare sempre più soldi e pretendono pure di farsi la guerra tra loro – per quello non vincono». Si fa presto a dire “l’America”, ma gli Stati Uniti non sono solo i petrolieri: «Sono anche quelli che fanno macchine, che fanno la CocaCola, sono un buon 30-40% della farmacologia mondiale. E questi soggetti, fortunatamente (o sfortunatamente, non so dire) ormai sono tutti agitati dal fatto che ci sia uno solo di loro che possa “chiamare banco” e condizionare tutti gli altri». Un caos assoluto, molto sanguinoso, che forse è persino peggiore del disegno mondialista: «Se Trumpquel progetto riuscisse, almeno ci si potrebbe organizzare per una resistenza». Ma attenzione: «La litigiosità degli oligarchi dipende dal fatto che stanno finendo le risorse fossili del pianeta. Quando saranno finite, cosa accadrà?».
Sempre secondo Carpeoro, «dietro a tutto quello che sta succedendo nel mondo, probabilmente, c’è la strategia di un Piano-B rispetto agli attuali assetti economici globali. Ognuno, di Piano-B, ha il suo. E tutti si stanno scontrando per attuare il proprio». E attenzione: «Che i cattivi facciano i cattivi non mi preoccupa, è il loro mestiere», aggiunge Carpeoro. «Il problema sono i troppi idioti in circolazione, che non fanno il loro dovere». Prendiamo l’Italia: «Non mi stupisce che Berlusconi abbia fatto quello che ha fatto, trovo invece più innaturale il comportamento dei suoi avversari». In altre parole, «la gente deve cambiare testa, con un moto di massa. Ma succederà solo per necessità: quando non ci saranno più risorse, e la mattina non si potrà più usare l’ascensore mancando l’energia elettrica». Il conto alla rovescia è scattato, e “loro” lo sanno: per questo si combattono. «Le risorse stanno per finire. E queste guerre avvengono proprio per prendersi i posti in prima fila. Ognuno di questi potentati si è già disegnato un Piano-B per quando ci saranno determinati problemi. E ovviamente, per poterlo realizzare, devono essere in prima fila. E’ come nelle corse ciclistiche: negli ultimi chilometri, chi vuole vincere deve stare assolutamente in testa, perché se si ritrova imbottigliato in coda non può vincere. Questa guerra a cui stiamo assistendo è esattamente questo: si chiama “bagarre”, tecnicamente. Non è una guerra vera, è una bagarre». Con moltissime vittime, e nessun “eroe” ai posti di comando.
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Con buona pace dei tanti idioti che avevano creduto in lui, come fosse qualcosa di diverso dai suoi predecessori».
In collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights”, l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” spiega così l’ultimo sussulto di guerra in Medio Oriente: «E’ la guerra degli oligarchi, sgomitano per non restare indietro: sanno che le risorse del pianeta stanno per finire, e ciascuno tenta di conquistare la prima fila per mettere in atto il suo Piano-B».
Soldi, interessi. Nient’altro.
Da conquistare con ogni mezzo, dai missili al terrorismo “false flag”, targato Isis, che nel frattempo colpisce anche la Svezia, a Stoccolma, con il “solito” veicolo lanciato sulla folla, come già a Nizza, a Berlino, a Londra.
Carpeoro legge gli indizi dell’escalation: «Tanti attentati, in serie, temo preparino un attentato più devastante». Il metodo del camion-kamikaze? Micidiale: «Costi minimi, rischio zero, potenzialità di fare enormi danni: gli stessi di un grosso investimento in termini di intelligence, che però comporterebbe alti costi e grandi rischi». Strada ormai obbligata, per l’Isis: «Senza più una base territoriale, è più semplice mandare in giro dei “cani sciolti”, destinati a colpevolizzare l’Islam, che ovviamente non c’entra niente».
Carneficine in Europa, bombe in Medio Oriente: questa la minestra che oggi passa il convento. Ed era perfettamente inutile sperare che dagli Usa potesse davvero arrivare un’inversione di tendenza, a livello geopolitico. «Trump fa parte della stessa Carpeorologica dei suoi predecessori, perché dovrebbe muoversi in maniera diversa?». Insiste Carpeoro: «Non aspettatevi che Trump faccia rivoluzioni. Non è un rivoluzionario: è uno che campa con gli appalti, è un uomo del sistema. Perché non dovrebbe far parte della stessa logica di prima?». Per convincersene, qualcuno ha avuto bisogno di assistere al raid missilistico sulla Siria. «Non so quanti americani hanno creduto che Trump costituisse un cambiamento – aggiunge Carpeoro – ma quelli che l’hanno creduto sono il problema vero di questo mondo. E cioè: nel mondo c’è una percentuale di idioti troppo estesa, in qualunque Stato del pianeta. Questo è il problema». L’invito è ad aprire gli occhi: «A chi giova la guerra in Siria? A quelli che vendono le armi. Poi ci sono altri interessi economici consistenti: ognuna delle fazioni in campo vuole appropriarsi di tutto per gestire un potere economico derivante dal petrolio. E infine ci sono gli interessi spicci, che sono la vendita della droga, delle armi e del petrolio».
L’orizzonte, per Carpeoro, è tristemente chiaro: a monte, «ci sono gruppi oligarchici mondiali che si stanno scontrando per il potere». E quello che fanno – compreso il lanciare missili – va letto attentamente. L’attacco con i Tomahawk, per esempio, è stato stranamente inefficiente: solo 23 missili a bersaglio, su 59. «E nonostante i 23 missili a bersaglio, ci sono stati solo 5 morti». Un aspetto “genetico”, in questo tipo di attacco: non certo casuale, visto che non esistono ripari anti-missile. «In realtà, nella sua fisiologia, questo attacco è alquanto sospetto e discutibile: 23 missili su 59 è una percentuale inaudita, scandalosamente fallimentare, tale da rimuovere il capo del Pentagono. Se poi aggiungiamo che i 23 missili andati a segno hanno fatto solo 5 morti, si capisce che questo attacco desta perplessità». Da più parti si paventa che in Siria sia in atto la stessa inesorabile strategia di “conquista” che ha travolto Afghanistan, Iraq e Libia? Carpeoro non concorda: «In quei paesi è Guerra del Golfostata portata la guerra, ma non ha vinto nessuno. Qualcuno ha messo davvero le mani, sulla Libia, fino ad oggi? Qualcuno è riuscito a “occidentalizzare” l’Iraq? In realtà, questo scontro, nessuno l’ha vinto. E sono vent’anni, che nessuno vince».
La prima guerra in Iraq è del 1991: da allora, e siamo nel 2017, quella guerra non l’ha vinta nessuno. «Come fai a sfruttare economicamente territori dove imperversano le bombe? Il petrolio iracheno viene sfruttato per il mercato nero, per i commerci illeciti, per barattarlo con droga. Ma non ci può essere uno sfruttamento industriale, razionale, di un bacino petrolifero dove ci sono bombe e gente che gira armata». Tutti questi devastanti sforzi bellici, che hanno raso al suolo intere regioni del pianeta, «sono stati spesi per ottenere cose che non sono state ottenute: questa è una guerra che gli americani pensavano di vincere dall’inizio, e che dopo 25 anni ancora non hanno vinto». E questo perché la superpotenza statunitense è minata al suo interno: «Si sono creati due fronti: il primo è un fronte massonico, e il secondo è un altro tipo di fronte interno. Questo è nato perché, a fare man bassa di tutto, fossero gli interessi economici rappresentati dai Bush. Ma non ci sono solo gli interessi dei Bush, in America: c’è qualcun altro, a cui sono girate le palle. E ha detto: se facciamo diventare troppo potenti i Bush, come possiamo continuare a fare affari pure noi? Trump, ad esempio, è proprio il simbolo della guerra a Bush, non della guerra alla guerra».
Donald Trump, ricorda Carpeoro, è stato candidato per sbarrare la strada della Casa Bianca al più giovane dei Bush, Jeb. Ma Trump «rappresenta interessi che hanno le stesse caratteristiche di quelli dei Bush». E’ quindi «una guerra interna, tutta loro, tra questi oligarchi maledetti, che pretendono di fare sempre più soldi e pretendono pure di farsi la guerra tra loro – per quello non vincono». Si fa presto a dire “l’America”, ma gli Stati Uniti non sono solo i petrolieri: «Sono anche quelli che fanno macchine, che fanno la CocaCola, sono un buon 30-40% della farmacologia mondiale. E questi soggetti, fortunatamente (o sfortunatamente, non so dire) ormai sono tutti agitati dal fatto che ci sia uno solo di loro che possa “chiamare banco” e condizionare tutti gli altri». Un caos assoluto, molto sanguinoso, che forse è persino peggiore del disegno mondialista: «Se Trumpquel progetto riuscisse, almeno ci si potrebbe organizzare per una resistenza». Ma attenzione: «La litigiosità degli oligarchi dipende dal fatto che stanno finendo le risorse fossili del pianeta. Quando saranno finite, cosa accadrà?».
Sempre secondo Carpeoro, «dietro a tutto quello che sta succedendo nel mondo, probabilmente, c’è la strategia di un Piano-B rispetto agli attuali assetti economici globali. Ognuno, di Piano-B, ha il suo. E tutti si stanno scontrando per attuare il proprio». E attenzione: «Che i cattivi facciano i cattivi non mi preoccupa, è il loro mestiere», aggiunge Carpeoro. «Il problema sono i troppi idioti in circolazione, che non fanno il loro dovere». Prendiamo l’Italia: «Non mi stupisce che Berlusconi abbia fatto quello che ha fatto, trovo invece più innaturale il comportamento dei suoi avversari». In altre parole, «la gente deve cambiare testa, con un moto di massa. Ma succederà solo per necessità: quando non ci saranno più risorse, e la mattina non si potrà più usare l’ascensore mancando l’energia elettrica». Il conto alla rovescia è scattato, e “loro” lo sanno: per questo si combattono. «Le risorse stanno per finire. E queste guerre avvengono proprio per prendersi i posti in prima fila. Ognuno di questi potentati si è già disegnato un Piano-B per quando ci saranno determinati problemi. E ovviamente, per poterlo realizzare, devono essere in prima fila. E’ come nelle corse ciclistiche: negli ultimi chilometri, chi vuole vincere deve stare assolutamente in testa, perché se si ritrova imbottigliato in coda non può vincere. Questa guerra a cui stiamo assistendo è esattamente questo: si chiama “bagarre”, tecnicamente. Non è una guerra vera, è una bagarre». Con moltissime vittime, e nessun “eroe” ai posti di comando.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA TORRE DI BABELE, VEDI: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Babele, E’ UN GIOCO DA RAGAZZI RISPETTO ALLA BABILONIA CHE SI AVVERTE ALL’INIZIO DEL TERZO MILLENNIO.
L’INTERPRETAZIONE DI QUANTO STA ACCADENDO NEL MONDO E’ ALQUANTO VARIEGATA E SOGGETTIVA.
L’UNICO ASPETTO UNIFICANTE, IN QUESTO MOMENTO, E’ LA CONSAPEVOLEZZA DI ESSERE DELLE RANE BOLLITE, A FRONTE DELLA TEORIA DEL FILOSOFO STATUNITENSE NOAM CHOMSKY, ATTUALMENTE CONDIVISA AL 100 PER 100 DELLE PERSONE INTERPELLATE. FORSE PER LA SEMPLICITA’ DI ESPOSIZIONE DELLA TEORIA DA PARTE DEL PROFESSORE AMERICANO.
UNA CORRENTE DI PENSIERO, DEI VARI COMMENTATORI DI QUOTIDIANI E RIVISTE, RITIENE CHE IL LANCIO DI MISSILI IN SIRIA, SERVA DA MONITO ANCHE A CICCIO KIM.
SEMBRA NON SIA COSI’.
Nord Corea, Pyongyang: “L’attacco Usa in Siria giustifica l’atomica”. E Trump rassicura Seul
di F. Q. | 8 aprile 2017
Mondo
Per il regime nordcoreano, l'attacco Usa alla base aerea siriana di Sahyrat, giustifica il rafforzamento e la prosecuzione del proprio programma nucleare. Trump rassicura gli alleati Sud coreani sull'impegno americano in difesa di Seul. Il Consiglio di sicurezza statunitense ha presentato al presidente, tra le varie opzioni, anche l'eliminazione di Kim Jong-un
di F. Q. | 8 aprile 2017
19
• 64
•
•
Più informazioni su: Cina, Corea del Nord, Donald Trump, Kim Jong-un, Pyongyang, Usa, Xi Jinping
“L’attacco Usa in Siria? Giustifica la nostra decisione di dotarci, sviluppare e rafforzare gli armamenti nucleari“. Da Pyongyang arriva la prima reazione ufficiale all’attacco missilistico contro la base area siriana di Shayrat ed è un’altra provocazione agli Stati Uniti e all’amministrazione di Donald Trump, definita “non diversa” da quelle precedenti. La Corea del Nord condanna come “assolutamente inaccettabile” il raid deciso dal presidente Usa, si legge in una nota del ministero degli Esteri, rilanciata dalla agenzia ufficiale Kcna.
Pyongyang definisce la mossa come una “chiara invasione” e una conferma della bontà del programma nucleare portato avanti dal leader Kim Jong-un. Un programma che continua a tenere altissima la tensione in Estremo Oriente: l’ennesimo esperimento provocatorio risale al 5 aprile scorso, con il nuovo lancio di un missile balistico a medio raggio della Corea del Nord verso il Mar del Giappone.
Donald Trump, dal canto suo, rassicura gli alleati della Sud Corea sull’impegno americano a difesa di Seul per le eventuali minacce atomiche e missilistiche dei vicini del Nord. Il presidente americano ha avuto in mattinata una telefonata di circa 20 minuti con Hwang Kyo-ahn, premier e presidente reggente sudcoreano dicendo d’aver discusso “in profondità il grave problema del nucleare nordcoreano e su come affrontarlo” con il presidente cinese Xi Jinping nel loro primo summit chiusosi poche ore fa a Mar-a-Lago, in Florida. L’amministrazione Trump “non è diversa” da quelle precedenti, è la conclusione della prima reazione ufficiale di Pyongyang all’attacco Usa in Siria. Anzi, agli osservatori è apparso che l’attacco alla Siria, per la sua tempistica, possa essere letto come un monito rivolto a Cina (per la “debole” persuasione) e a Corea del Nord di fronte a un regime che non vuole recedere dalle sue ambizioni atomiche. Trump, non a caso, ha ventilato l’ipotesi che gli Stati Uniti possano adottare atti unilaterali contro il Nord qualora la Cina non eserciti tutta la pressione possibile.
Il Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, principale organo che consiglia e assiste il presidente in materia di politica estera, ha presentato a Donald Trump le proprie opzioni per rispondere al programma nucleare della Corea del Nord, tra cui il posizionamento di testate nucleari in territorio sudcoreano o l’eliminazione del dittatore Kim Jong-un. Lo riporta l’emittente NBC News, che cita alti funzionari dell’intelligence e dell’esercito americano.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04 ... l/3509219/
L’INTERPRETAZIONE DI QUANTO STA ACCADENDO NEL MONDO E’ ALQUANTO VARIEGATA E SOGGETTIVA.
L’UNICO ASPETTO UNIFICANTE, IN QUESTO MOMENTO, E’ LA CONSAPEVOLEZZA DI ESSERE DELLE RANE BOLLITE, A FRONTE DELLA TEORIA DEL FILOSOFO STATUNITENSE NOAM CHOMSKY, ATTUALMENTE CONDIVISA AL 100 PER 100 DELLE PERSONE INTERPELLATE. FORSE PER LA SEMPLICITA’ DI ESPOSIZIONE DELLA TEORIA DA PARTE DEL PROFESSORE AMERICANO.
UNA CORRENTE DI PENSIERO, DEI VARI COMMENTATORI DI QUOTIDIANI E RIVISTE, RITIENE CHE IL LANCIO DI MISSILI IN SIRIA, SERVA DA MONITO ANCHE A CICCIO KIM.
SEMBRA NON SIA COSI’.
Nord Corea, Pyongyang: “L’attacco Usa in Siria giustifica l’atomica”. E Trump rassicura Seul
di F. Q. | 8 aprile 2017
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Per il regime nordcoreano, l'attacco Usa alla base aerea siriana di Sahyrat, giustifica il rafforzamento e la prosecuzione del proprio programma nucleare. Trump rassicura gli alleati Sud coreani sull'impegno americano in difesa di Seul. Il Consiglio di sicurezza statunitense ha presentato al presidente, tra le varie opzioni, anche l'eliminazione di Kim Jong-un
di F. Q. | 8 aprile 2017
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Più informazioni su: Cina, Corea del Nord, Donald Trump, Kim Jong-un, Pyongyang, Usa, Xi Jinping
“L’attacco Usa in Siria? Giustifica la nostra decisione di dotarci, sviluppare e rafforzare gli armamenti nucleari“. Da Pyongyang arriva la prima reazione ufficiale all’attacco missilistico contro la base area siriana di Shayrat ed è un’altra provocazione agli Stati Uniti e all’amministrazione di Donald Trump, definita “non diversa” da quelle precedenti. La Corea del Nord condanna come “assolutamente inaccettabile” il raid deciso dal presidente Usa, si legge in una nota del ministero degli Esteri, rilanciata dalla agenzia ufficiale Kcna.
Pyongyang definisce la mossa come una “chiara invasione” e una conferma della bontà del programma nucleare portato avanti dal leader Kim Jong-un. Un programma che continua a tenere altissima la tensione in Estremo Oriente: l’ennesimo esperimento provocatorio risale al 5 aprile scorso, con il nuovo lancio di un missile balistico a medio raggio della Corea del Nord verso il Mar del Giappone.
Donald Trump, dal canto suo, rassicura gli alleati della Sud Corea sull’impegno americano a difesa di Seul per le eventuali minacce atomiche e missilistiche dei vicini del Nord. Il presidente americano ha avuto in mattinata una telefonata di circa 20 minuti con Hwang Kyo-ahn, premier e presidente reggente sudcoreano dicendo d’aver discusso “in profondità il grave problema del nucleare nordcoreano e su come affrontarlo” con il presidente cinese Xi Jinping nel loro primo summit chiusosi poche ore fa a Mar-a-Lago, in Florida. L’amministrazione Trump “non è diversa” da quelle precedenti, è la conclusione della prima reazione ufficiale di Pyongyang all’attacco Usa in Siria. Anzi, agli osservatori è apparso che l’attacco alla Siria, per la sua tempistica, possa essere letto come un monito rivolto a Cina (per la “debole” persuasione) e a Corea del Nord di fronte a un regime che non vuole recedere dalle sue ambizioni atomiche. Trump, non a caso, ha ventilato l’ipotesi che gli Stati Uniti possano adottare atti unilaterali contro il Nord qualora la Cina non eserciti tutta la pressione possibile.
Il Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, principale organo che consiglia e assiste il presidente in materia di politica estera, ha presentato a Donald Trump le proprie opzioni per rispondere al programma nucleare della Corea del Nord, tra cui il posizionamento di testate nucleari in territorio sudcoreano o l’eliminazione del dittatore Kim Jong-un. Lo riporta l’emittente NBC News, che cita alti funzionari dell’intelligence e dell’esercito americano.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04 ... l/3509219/
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Secondo il quotidiano degli Strumptruppen:
Nord Corea. "L'attacco degli Usa in Siria giustifica la bomba atomica"
La Corea del Nord condanna gli Stati Uniti e sfrutta l'intervento militare per legittimare il suo programma nucleare
Giovanni Neve - Sab, 08/04/2017 - 19:11
commenta
L'attacco degli Stati Uniti in Siria? "Prova un milione di volte" che è necessario che la Corea del Nord continui nel suo programma nucleare e nella dotazione di una bomba atomica.
Lo riferiscono i media locali citando un portavoce del ministero degli Esteri di Pyongyang. Il via libera del presidente Usa Donald Trump è arrivato proprio mentre stata ricevendo in Florida il presidente cinese Xi Jinping, al quale ha di fatto intimato: o tenete a bada voi la Corea del Nord o ci penseremo noi anche ricorrendo ad un intervento militare.
Secondo l'agenzia di Stato Kcna il portavoce del ministero degli Esteri ha aggiunto che "atteggiandosi arrogantemente a superpotenza gli Stati Uniti hanno solo scelto di colpire Paesi senza armi nucleari e l'amministrazione Trump non fa eccezione alcuna" a questa linea di condotta. "L'attacco siriano ci rircorda con durezza che solo la nostra potenza militare ci proteggerà da un'aggressione imperialista e pertanto rafforzeremo le forze di autodifesa per fare fronte agli ancora più intensi atti di aggressione statunitensi", ha concluso il portavoce di Pyongyang.
La Corea del Nord ha effettuato dall'ottobre 2006 cinque test di esplosioni di altrettanti ordigni atomici, due solo lo scorso anno e le immagini satellitari raccolte dagli americani da settimane lasciano intendere che si prepari ad effettuarne un sesto, in palese violazione delle sanzioni Onu. Allo stesso modo Pyongyang ha dimostrato che non ha alcuna intenzione di fermare il proprio programma missilitico che ha l'obiettivo di riuscire a costruire un vettore balistico intercontinentale sul quale montare una testata atomica miniaturizzta in grado di essere collocata nell'ogiva e sparata a migliaia di km di distanza.
Nord Corea. "L'attacco degli Usa in Siria giustifica la bomba atomica"
La Corea del Nord condanna gli Stati Uniti e sfrutta l'intervento militare per legittimare il suo programma nucleare
Giovanni Neve - Sab, 08/04/2017 - 19:11
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L'attacco degli Stati Uniti in Siria? "Prova un milione di volte" che è necessario che la Corea del Nord continui nel suo programma nucleare e nella dotazione di una bomba atomica.
Lo riferiscono i media locali citando un portavoce del ministero degli Esteri di Pyongyang. Il via libera del presidente Usa Donald Trump è arrivato proprio mentre stata ricevendo in Florida il presidente cinese Xi Jinping, al quale ha di fatto intimato: o tenete a bada voi la Corea del Nord o ci penseremo noi anche ricorrendo ad un intervento militare.
Secondo l'agenzia di Stato Kcna il portavoce del ministero degli Esteri ha aggiunto che "atteggiandosi arrogantemente a superpotenza gli Stati Uniti hanno solo scelto di colpire Paesi senza armi nucleari e l'amministrazione Trump non fa eccezione alcuna" a questa linea di condotta. "L'attacco siriano ci rircorda con durezza che solo la nostra potenza militare ci proteggerà da un'aggressione imperialista e pertanto rafforzeremo le forze di autodifesa per fare fronte agli ancora più intensi atti di aggressione statunitensi", ha concluso il portavoce di Pyongyang.
La Corea del Nord ha effettuato dall'ottobre 2006 cinque test di esplosioni di altrettanti ordigni atomici, due solo lo scorso anno e le immagini satellitari raccolte dagli americani da settimane lasciano intendere che si prepari ad effettuarne un sesto, in palese violazione delle sanzioni Onu. Allo stesso modo Pyongyang ha dimostrato che non ha alcuna intenzione di fermare il proprio programma missilitico che ha l'obiettivo di riuscire a costruire un vettore balistico intercontinentale sul quale montare una testata atomica miniaturizzta in grado di essere collocata nell'ogiva e sparata a migliaia di km di distanza.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Così Trump ha avvertito i russi primi di attaccare la Siria
Novanta prima dello strike in Siria, la comunicazione tra Mosca e Washington
Lucio Di Marzo - Sab, 08/04/2017 - 11:01
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"Riparatevi o fuggite". Soltanto novanta minuti prima è arrivato il messaggio, chiarissimo, da parte degli Stati Uniti, che così avvertivano la Russia - e i lealisti siriani - che uno sciame di missili Tomahawk stava per abbattersi sulla base aerea di al-Shayrat, in un raid che, il giorno dopo, appare chiaramente come un avvertimento da parte della Casa Bianca, un modo per mandare un messaggio più che il tentativo di agire concretamente e in armi contro Damasco.
Sono 59 i missili che si sono abbattuti sulla postazione dell'esercito di Bashar al-Assad, in quella che l'America ha inquadrato come una risposta all'attacco a Khan Shaykhun, in cui cento persone sono morte e per cui la Siria è accusata di avere utilizzata gas sarin, mentre gli alleati russi difendono Assad, sostenendo invece che nel mirino sia finito per errore un deposito chimico delle milizie islamiste che controllano la zona di Idlib.
Da al-Shayrat, secondo l'America, sarebbe partito il raid che ha colpito a Khan Shaykhun, come molti degli attacchi aerei che prendono di mira le zone ancora sotto il controllo dell'opposizione. Nell'area si trovavano un centinaia di militari russi, sostengono informazioni in mano agli statunitensi riportate dal New York Times. Hanno avuto un'ora e mezza per allontanarsi, avvisati da quella stessa linea di comunicazione pensata per evitare scontri nei cieli siriani e che ieri Mosca ha interrotto.
Novanta prima dello strike in Siria, la comunicazione tra Mosca e Washington
Lucio Di Marzo - Sab, 08/04/2017 - 11:01
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"Riparatevi o fuggite". Soltanto novanta minuti prima è arrivato il messaggio, chiarissimo, da parte degli Stati Uniti, che così avvertivano la Russia - e i lealisti siriani - che uno sciame di missili Tomahawk stava per abbattersi sulla base aerea di al-Shayrat, in un raid che, il giorno dopo, appare chiaramente come un avvertimento da parte della Casa Bianca, un modo per mandare un messaggio più che il tentativo di agire concretamente e in armi contro Damasco.
Sono 59 i missili che si sono abbattuti sulla postazione dell'esercito di Bashar al-Assad, in quella che l'America ha inquadrato come una risposta all'attacco a Khan Shaykhun, in cui cento persone sono morte e per cui la Siria è accusata di avere utilizzata gas sarin, mentre gli alleati russi difendono Assad, sostenendo invece che nel mirino sia finito per errore un deposito chimico delle milizie islamiste che controllano la zona di Idlib.
Da al-Shayrat, secondo l'America, sarebbe partito il raid che ha colpito a Khan Shaykhun, come molti degli attacchi aerei che prendono di mira le zone ancora sotto il controllo dell'opposizione. Nell'area si trovavano un centinaia di militari russi, sostengono informazioni in mano agli statunitensi riportate dal New York Times. Hanno avuto un'ora e mezza per allontanarsi, avvisati da quella stessa linea di comunicazione pensata per evitare scontri nei cieli siriani e che ieri Mosca ha interrotto.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
SIAMO OBBLIGATI A PORRE LE NOSTRE SPERANZE NELL'AFFERMAZIONE DI MAGALDI?????????????
«Ebbene, vi dico: non prevarranno. I manovratori saranno pubblicamente denunciati e fermati».
Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico”
LIBRE news
Recensioni
segnalazioni.
Magaldi: chi spegne verità e democrazia se la vedrà con noi
Scritto il 07/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Esplodono bombe, interi paesi sprofondano nella crisi, i missili di Trump piovono sulla Siria.
E i media non raccontano la verità: tacciono, mentono, restano reticenti.
C’è un piano mondiale, in atto da trent’anni: finanziare guerre, terremotare le economie e silenziare l’informazione.
«Ebbene, vi dico: non prevarranno. I manovratori saranno pubblicamente denunciati e fermati».
Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico” nonché autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che denuncia per la prima volta, con impressionante precisione, le trame occulte di 36 superlogge internazionali, vero e proprio “back office” del potere, al lavoro da decenni per svuotare la democrazia a vantaggio dell’élite mondialista.
In collegamento con Claudio Messora su “ByoBlu”, canale web finito di recente sotto attacco (boicottaggio pubblicitario da parte di Google), Magaldi raccoglie la sfida e prepara l’affondo a Roma, l’8-9 aprile, con un forum sul futuro della democrazia con ospiti come l’economista Nino Galloni, il magistrato Ferdinando Imposimato e un giornalista come Giulietto Chiesa, bandiera storica dell’informazione indipedente.
Obiettivo: costringere il sistema a dire la verità, anche con la creazione di un nuovo partito, che si impegni a stracciare i trattati europei che stanno piegando l’Eurozona.
L’emergenza, oggi, colpisce in primo luogo l’informazione: gli Usa sparano missili sulla Siria per abbattere Assad, e non l’Isis, senza che la grande stampa si premuri di ricordare che è stato proprio l’Occidente a “fabbricare” lo jihadismo, come cavallo di Troia geopolitico in Medio Oriente e come alibi, in Europa, per la politica securitaria motivata dal dilagare del terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, secondo la peggiore logica della strategia della tensione.
A dare fastidio sono le verità che emergono dal web, le sole rimaste?
Così parrebbe, visto l’attivismo «dell’ineffabile Laura Boldrini, proconsole di una filiale internazionale, che ha iniziato anche qui in Italia a preoccuparsi di imbavagliare la libera informazione».
Magaldi non ha dubbi: «Negli ultimi anni, nel mondo, chi ha prodotto “fake news” non sono tanto i blogger, i siti indipendenti, quelli che cercano – come navi corsare, benemerite – di aprire degli spiragli nel pensiero unico del mainstream».
Al contrario: «Il problema è stato spesso di chi ha fabbricato notizie false, e su questo ha anche costruito guerre, speculazioni finanziarie ai danni dei popoli, verso una destrutturazione di quello che sarebbe stato un processo virtuoso di globalizzazione della democrazia».
Siamo all’eterna riedizione delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, inventate di sana piana come pretesto per invare l’Iraq?
Di suo, Magaldi aggiunge una lettura di taglio massonico: quanto di peggio è avvenuto, nel mondo, negli ultimi tre decenni, è stato progettato a tavolino da un’élite super-massonica apolide, decisa a mettere in atto una globalizzazione a mano armata e senza diritti, tantomeno quello all’informazione, su cui si fonda il pensiero democratico.
Tutto si tiene, anche la «grottesca celebrazione dei Trattati di Roma affidata ai sedicenti europeisti che in realtà lavorano dal mattino alla sera per distruggere il progetto europeo, soffocato dall’economicismo dei tecnocrati: una camicia di forza che esaspera i nazionalismi, tra manine occulte e cancellerie asservite a interessi apolidi».
Come se ne esce?
«Noi – insiste Magaldi – abbiamo bisogno di un governo che abbia il coraggio di andare ai tavoli europei e dire: siamo tra i grandi contraenti del progetto europeo, vogliamo riscrivere i trattati, lavorare per un processo costituente per un’unione politica.
Se ci state, bene.
Altrimenti, se non si apre un dibattito, noi sospendiamo la vigenza dei trattati in Italia, accantonando tutte le retoriche europeiste o antieuropeiste».
Gioele Magaldi pensa al Pdp, Partito Democratico Progressista, di cui è appena stato registrato il marchio, in vista delle prossime elezioni politiche.
«Sarà un cantiere – spiega – al quale invitiamo tutti quelli che ne hanno abbastanza di sentir parlare di falsi democratici e falsi progressisti, come Bersani che ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione, trasformando il Parlamento in una caserma per imporre il sì al Fiscal Compact.
Misure-capestro, suicide per l’economia italiana, imposte «da uno dei governi più nefasti della storia, guidato dal massone reazionario Mario Monti, insediato dal massone ancora più reazionario Giorgio Napolitano».
In Italia Monti, Letta e Renzi.
E in Francia Hollande: «Doveva essere il campione anti-merkeliano e anti-austerity.
Invece, tra blandizie e minacce, si è ridoto a un ruolo ornamentale, senza una sola proposta per un vero cambio di paradigma, in Europa».
Renzi? «E’ stato poco furbo: se al referendum del 4 dicembre avesse inserito l’abolizione del pareggio di bilancio, avrebbe vinto».
Peggio ancora dell’ex premier, forse, «gli avventurieri che vorrebbero appropriarsi delle parole “democratico” e “progressista”, dopo aver sorretto il governo Monti».
Nella visione di Magaldi, non resta che ripartire dall’Italia per tentare di invertire il corso della storia, riaccendendo la luce sulla democrazia.
A questo serve il “Master Roosevelt in scienze della polis”, che offre formazione per «conoscere le reti private sovranazionali che asservono ai propri interessi i governi eletti».
Un’azione «di pedagogia e consapevolezza», fino a ieri limitata alla dimensione meta-partitica.
Domani estesa anche all’agone elettorale?
Magaldi appare deciso.
Vede la necessità di «un partito “pesante”, novecentesco, democratico e ideologico, improntato al “socialismo liberale” di Carlo Rosselli, l’antifascista che diceva: è inutile parlare di libertà politiche e civili se non si offre ai cittadini anche una dignità economica per potersi occupare della res publica».
Socialismo e liberalismo: «Keynes e Beveridge, il padre del welfare europeo, erano esponenti del Liberal Party».
L’ipotetico nuovo soggetto politico punterebbe sull’elettorato in fuga dal Pd, su quello del centrodestra in pieno caos (e senz’ombra di primarie), rivolgendosi anche ai 5 Stelle: «Rappresentano una speranza, per l’Italia, a patto che si rivelino all’altezza della situazione, offrendo cioè uno spettacolo diverso da quello mostrato a Roma».
Un nuovo partito, dunque? Sì, sembra dire Magaldi, se l’offerta politica italiana non offre alternative serie: e cioè un cambio radicale di paradigma.
Stop al dogma neoliberista, senza mezzi termini.
Come?
«Dicendo quello che nessuno dice chiaramente: primo punto del programma, la revisione dei trattati europei.
Tutti cianciano, parlano di uscire dall’euro, ma nessuno chiede apertamente, formalmente, di farla finita con questa Ue».
Insiste Magaldi: «Propongo una riforma costituzionale per eliminare il pareggio di bilancio.
Ho sentito che tutti i partiti che l’hanno votata se ne lamentano, si dicono pentiti.
Bene, sfidiamoli: mettiamoli alla prova».
Con un nuovo partito?
Non ci lasciano altra scelta, sembra concludere Magaldi, che pensa alla discesa in campo.
E, citando le «reti massoniche progressiste» a cui fa riferimento, si spende per «rassicurare tutti gli operatori dell’informazione libera e tutti i cittadini», per dire che il bavaglio al web non passerà.
«Questi tentativi odiosi saranno sventati.
Saranno anche denunciati.
E tutti coloro che oggi si stanno impegnando in questa campagna liberticida, oltre a fallire, verranno sottoposti al giudizio severissimo della pubblica opinione», che ha imparato che giornali e televisioni non spiegheranno mai che, dietro ai missili di Trump, ci sono i “padrini” dell’Isis, di cui Magaldi – nel suo libro – fa nomi e cognomi.
«Ebbene, vi dico: non prevarranno. I manovratori saranno pubblicamente denunciati e fermati».
Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico”
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Magaldi: chi spegne verità e democrazia se la vedrà con noi
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Esplodono bombe, interi paesi sprofondano nella crisi, i missili di Trump piovono sulla Siria.
E i media non raccontano la verità: tacciono, mentono, restano reticenti.
C’è un piano mondiale, in atto da trent’anni: finanziare guerre, terremotare le economie e silenziare l’informazione.
«Ebbene, vi dico: non prevarranno. I manovratori saranno pubblicamente denunciati e fermati».
Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico” nonché autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che denuncia per la prima volta, con impressionante precisione, le trame occulte di 36 superlogge internazionali, vero e proprio “back office” del potere, al lavoro da decenni per svuotare la democrazia a vantaggio dell’élite mondialista.
In collegamento con Claudio Messora su “ByoBlu”, canale web finito di recente sotto attacco (boicottaggio pubblicitario da parte di Google), Magaldi raccoglie la sfida e prepara l’affondo a Roma, l’8-9 aprile, con un forum sul futuro della democrazia con ospiti come l’economista Nino Galloni, il magistrato Ferdinando Imposimato e un giornalista come Giulietto Chiesa, bandiera storica dell’informazione indipedente.
Obiettivo: costringere il sistema a dire la verità, anche con la creazione di un nuovo partito, che si impegni a stracciare i trattati europei che stanno piegando l’Eurozona.
L’emergenza, oggi, colpisce in primo luogo l’informazione: gli Usa sparano missili sulla Siria per abbattere Assad, e non l’Isis, senza che la grande stampa si premuri di ricordare che è stato proprio l’Occidente a “fabbricare” lo jihadismo, come cavallo di Troia geopolitico in Medio Oriente e come alibi, in Europa, per la politica securitaria motivata dal dilagare del terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, secondo la peggiore logica della strategia della tensione.
A dare fastidio sono le verità che emergono dal web, le sole rimaste?
Così parrebbe, visto l’attivismo «dell’ineffabile Laura Boldrini, proconsole di una filiale internazionale, che ha iniziato anche qui in Italia a preoccuparsi di imbavagliare la libera informazione».
Magaldi non ha dubbi: «Negli ultimi anni, nel mondo, chi ha prodotto “fake news” non sono tanto i blogger, i siti indipendenti, quelli che cercano – come navi corsare, benemerite – di aprire degli spiragli nel pensiero unico del mainstream».
Al contrario: «Il problema è stato spesso di chi ha fabbricato notizie false, e su questo ha anche costruito guerre, speculazioni finanziarie ai danni dei popoli, verso una destrutturazione di quello che sarebbe stato un processo virtuoso di globalizzazione della democrazia».
Siamo all’eterna riedizione delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, inventate di sana piana come pretesto per invare l’Iraq?
Di suo, Magaldi aggiunge una lettura di taglio massonico: quanto di peggio è avvenuto, nel mondo, negli ultimi tre decenni, è stato progettato a tavolino da un’élite super-massonica apolide, decisa a mettere in atto una globalizzazione a mano armata e senza diritti, tantomeno quello all’informazione, su cui si fonda il pensiero democratico.
Tutto si tiene, anche la «grottesca celebrazione dei Trattati di Roma affidata ai sedicenti europeisti che in realtà lavorano dal mattino alla sera per distruggere il progetto europeo, soffocato dall’economicismo dei tecnocrati: una camicia di forza che esaspera i nazionalismi, tra manine occulte e cancellerie asservite a interessi apolidi».
Come se ne esce?
«Noi – insiste Magaldi – abbiamo bisogno di un governo che abbia il coraggio di andare ai tavoli europei e dire: siamo tra i grandi contraenti del progetto europeo, vogliamo riscrivere i trattati, lavorare per un processo costituente per un’unione politica.
Se ci state, bene.
Altrimenti, se non si apre un dibattito, noi sospendiamo la vigenza dei trattati in Italia, accantonando tutte le retoriche europeiste o antieuropeiste».
Gioele Magaldi pensa al Pdp, Partito Democratico Progressista, di cui è appena stato registrato il marchio, in vista delle prossime elezioni politiche.
«Sarà un cantiere – spiega – al quale invitiamo tutti quelli che ne hanno abbastanza di sentir parlare di falsi democratici e falsi progressisti, come Bersani che ha votato il pareggio di bilancio in Costituzione, trasformando il Parlamento in una caserma per imporre il sì al Fiscal Compact.
Misure-capestro, suicide per l’economia italiana, imposte «da uno dei governi più nefasti della storia, guidato dal massone reazionario Mario Monti, insediato dal massone ancora più reazionario Giorgio Napolitano».
In Italia Monti, Letta e Renzi.
E in Francia Hollande: «Doveva essere il campione anti-merkeliano e anti-austerity.
Invece, tra blandizie e minacce, si è ridoto a un ruolo ornamentale, senza una sola proposta per un vero cambio di paradigma, in Europa».
Renzi? «E’ stato poco furbo: se al referendum del 4 dicembre avesse inserito l’abolizione del pareggio di bilancio, avrebbe vinto».
Peggio ancora dell’ex premier, forse, «gli avventurieri che vorrebbero appropriarsi delle parole “democratico” e “progressista”, dopo aver sorretto il governo Monti».
Nella visione di Magaldi, non resta che ripartire dall’Italia per tentare di invertire il corso della storia, riaccendendo la luce sulla democrazia.
A questo serve il “Master Roosevelt in scienze della polis”, che offre formazione per «conoscere le reti private sovranazionali che asservono ai propri interessi i governi eletti».
Un’azione «di pedagogia e consapevolezza», fino a ieri limitata alla dimensione meta-partitica.
Domani estesa anche all’agone elettorale?
Magaldi appare deciso.
Vede la necessità di «un partito “pesante”, novecentesco, democratico e ideologico, improntato al “socialismo liberale” di Carlo Rosselli, l’antifascista che diceva: è inutile parlare di libertà politiche e civili se non si offre ai cittadini anche una dignità economica per potersi occupare della res publica».
Socialismo e liberalismo: «Keynes e Beveridge, il padre del welfare europeo, erano esponenti del Liberal Party».
L’ipotetico nuovo soggetto politico punterebbe sull’elettorato in fuga dal Pd, su quello del centrodestra in pieno caos (e senz’ombra di primarie), rivolgendosi anche ai 5 Stelle: «Rappresentano una speranza, per l’Italia, a patto che si rivelino all’altezza della situazione, offrendo cioè uno spettacolo diverso da quello mostrato a Roma».
Un nuovo partito, dunque? Sì, sembra dire Magaldi, se l’offerta politica italiana non offre alternative serie: e cioè un cambio radicale di paradigma.
Stop al dogma neoliberista, senza mezzi termini.
Come?
«Dicendo quello che nessuno dice chiaramente: primo punto del programma, la revisione dei trattati europei.
Tutti cianciano, parlano di uscire dall’euro, ma nessuno chiede apertamente, formalmente, di farla finita con questa Ue».
Insiste Magaldi: «Propongo una riforma costituzionale per eliminare il pareggio di bilancio.
Ho sentito che tutti i partiti che l’hanno votata se ne lamentano, si dicono pentiti.
Bene, sfidiamoli: mettiamoli alla prova».
Con un nuovo partito?
Non ci lasciano altra scelta, sembra concludere Magaldi, che pensa alla discesa in campo.
E, citando le «reti massoniche progressiste» a cui fa riferimento, si spende per «rassicurare tutti gli operatori dell’informazione libera e tutti i cittadini», per dire che il bavaglio al web non passerà.
«Questi tentativi odiosi saranno sventati.
Saranno anche denunciati.
E tutti coloro che oggi si stanno impegnando in questa campagna liberticida, oltre a fallire, verranno sottoposti al giudizio severissimo della pubblica opinione», che ha imparato che giornali e televisioni non spiegheranno mai che, dietro ai missili di Trump, ci sono i “padrini” dell’Isis, di cui Magaldi – nel suo libro – fa nomi e cognomi.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Attacco Usa in Siria, messaggio a Xi Jinping
Apr 8, 2017/
131 Commenti/
Punti di vista /
Roberto Vivaldelli
218
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L’attacco statunitense alla base di Al Shayrat per mezzo di 59 missili Tomahawk, cambia radicalmente la narrativa del conflitto in Siria. Una guerra per procura animata dalle potenze mondiali che si combatte da 6 lunghi anni e che coinvolge un intreccio complesso di attori direttamente interessati: da una parte le monarchie del Golfo e la Turchia, supportati dall’Occidente, che vorrebbero la destituzione di Bashar al-Assad; dall’altra la Repubblica Islamica dell’Iran e la Federazione Russa che, insieme ad Hezbollah, sono i fedeli alleati del presidente alawita. Ma a sostenere indirettamente il governo siriano ci sono anche Bolivia, Venezuela, Cina e, in parte anche l’Egitto. Un fronte ben più ampio di quanto si pensi.
A 100 anni esatti dalla dichiarazione di guerra degli Usa all’Impero Tedesco – era il 6 aprile 1917 – si assiste a una prima giravolta della politica estera di Donald Trump: il ridimensionato del “guru” Steve Bannon, spiana la strada al «Deep State» che aveva precedentemente osteggiato il tycoon sin qui. Quanto questo processo sia arrivato al suo compimento, lo si valuterà nelle prossime settimane. Ma per quanto questa prova muscolare sia «dimostrativa» – il Cremlino era stato preventivamente avvisato dell’attacco, e la base era semi-deserta – questo atto avrà delle implicazioni. E forse non così positive come Trump può pensare, benché sul fronte interno – quello dei servizi e dell’apparato Usa – The Donald qualche consenso in più ora lo abbia. Compresa quello della ex rivale Hillary Clinton e di numerosi esponenti democratici che plaudono all’iniziativa del presidente Usa.
Le implicazioni della “prova muscolare”
Al di là delle inevitabili e prevedibili reazioni a breve termine di Mosca, vi potrebbero essere, dunque, anche delle implicazioni sul medio-lungo periodo. Le analizza Kori Schake sull’autorevole rivista statunitense Foreign Policy: «Gli alleati degli Stati Uniti nel Medio Oriente erano preoccupati circa la serietà della Casa Bianca quando Obama si rifiutò di far valere la sua linea rossa in Siria. Ora sono sollevati nel vedere che Trump non è così refrattario nel far rispettare la sua. Questa però potrebbe essere pericoloso per gli Stati Uniti. I russi potrebbero decidere di aumentare l’impegno verso Assad. Inoltre le forze militari e di Intelligence siriane potrebbero colpire gli americani che operano in Siria e Iraq, così come potrebbero fare gli iraniani. L’Iran, inoltre, potrebbe valutare di riprendere il suo programma nucleare».
Una mossa preparata da tempo?
Secondo l’analista siriano Taleb Ibrahim, direttore del Damascus Centre for Strategic Studies, la reazione al presunto attacco con armi chimiche di Bashar al-Assad è solo un pretesto ed era preparata da tempo: “Non è possibile lanciare un attacco missilistico di questo genere nel giro di 24 ore – osserva – occorre prepararlo per settimane. Questo perché i tomahawk hanno bisogno di un’elevata precisione e bisogna programmare l’attacco settimane prima, non come hanno fatto gli Stati Uniti. E’ impossibile».
Messaggio a Xi-Jiping
Tra i destinatari della prova muscolare dell’amministrazione Trump c’è il presidente cinese Xi-Jinping. La delegazione cinese che ha incontrato Donald Trump ha lasciato la località di Mar-a-lago, in Florida, cinque minuti dopo l’avvio dell’attacco missilistico. Forse è più di una banale coincidenza. Da ricordare che la Cina si è sempre schierata con la Siria – e di conseguenza con la Russia – in sede ONU, mettendo il veto su tutte le iniziative dell’Occidente. «L’attacco – osservano Emily Tamkin e Robbie Gramer su Foreign Policy – il primo degli Stati Uniti in Siria contro Assad, vuole lanciare un avvertimento a Xi Jinping circa la determinazione americana – e come intende trattare le vicende della Corea del Nord e quella relativa alla libera navigazione nel Mar Cinese Meridionale.Il Pentagono era irritato dalla mancanza di volontà della Casa Bianca e di Barack Obama di reagire contro la Cina».
Questo trova conferma nel fatto che il Segretario di Stato americano Rex Tillerson ha più volte affermato di voler impedire l’accesso alla Cina delle isole di cui reclama la sovranità.
Apr 8, 2017/
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Roberto Vivaldelli
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L’attacco statunitense alla base di Al Shayrat per mezzo di 59 missili Tomahawk, cambia radicalmente la narrativa del conflitto in Siria. Una guerra per procura animata dalle potenze mondiali che si combatte da 6 lunghi anni e che coinvolge un intreccio complesso di attori direttamente interessati: da una parte le monarchie del Golfo e la Turchia, supportati dall’Occidente, che vorrebbero la destituzione di Bashar al-Assad; dall’altra la Repubblica Islamica dell’Iran e la Federazione Russa che, insieme ad Hezbollah, sono i fedeli alleati del presidente alawita. Ma a sostenere indirettamente il governo siriano ci sono anche Bolivia, Venezuela, Cina e, in parte anche l’Egitto. Un fronte ben più ampio di quanto si pensi.
A 100 anni esatti dalla dichiarazione di guerra degli Usa all’Impero Tedesco – era il 6 aprile 1917 – si assiste a una prima giravolta della politica estera di Donald Trump: il ridimensionato del “guru” Steve Bannon, spiana la strada al «Deep State» che aveva precedentemente osteggiato il tycoon sin qui. Quanto questo processo sia arrivato al suo compimento, lo si valuterà nelle prossime settimane. Ma per quanto questa prova muscolare sia «dimostrativa» – il Cremlino era stato preventivamente avvisato dell’attacco, e la base era semi-deserta – questo atto avrà delle implicazioni. E forse non così positive come Trump può pensare, benché sul fronte interno – quello dei servizi e dell’apparato Usa – The Donald qualche consenso in più ora lo abbia. Compresa quello della ex rivale Hillary Clinton e di numerosi esponenti democratici che plaudono all’iniziativa del presidente Usa.
Le implicazioni della “prova muscolare”
Al di là delle inevitabili e prevedibili reazioni a breve termine di Mosca, vi potrebbero essere, dunque, anche delle implicazioni sul medio-lungo periodo. Le analizza Kori Schake sull’autorevole rivista statunitense Foreign Policy: «Gli alleati degli Stati Uniti nel Medio Oriente erano preoccupati circa la serietà della Casa Bianca quando Obama si rifiutò di far valere la sua linea rossa in Siria. Ora sono sollevati nel vedere che Trump non è così refrattario nel far rispettare la sua. Questa però potrebbe essere pericoloso per gli Stati Uniti. I russi potrebbero decidere di aumentare l’impegno verso Assad. Inoltre le forze militari e di Intelligence siriane potrebbero colpire gli americani che operano in Siria e Iraq, così come potrebbero fare gli iraniani. L’Iran, inoltre, potrebbe valutare di riprendere il suo programma nucleare».
Una mossa preparata da tempo?
Secondo l’analista siriano Taleb Ibrahim, direttore del Damascus Centre for Strategic Studies, la reazione al presunto attacco con armi chimiche di Bashar al-Assad è solo un pretesto ed era preparata da tempo: “Non è possibile lanciare un attacco missilistico di questo genere nel giro di 24 ore – osserva – occorre prepararlo per settimane. Questo perché i tomahawk hanno bisogno di un’elevata precisione e bisogna programmare l’attacco settimane prima, non come hanno fatto gli Stati Uniti. E’ impossibile».
Messaggio a Xi-Jiping
Tra i destinatari della prova muscolare dell’amministrazione Trump c’è il presidente cinese Xi-Jinping. La delegazione cinese che ha incontrato Donald Trump ha lasciato la località di Mar-a-lago, in Florida, cinque minuti dopo l’avvio dell’attacco missilistico. Forse è più di una banale coincidenza. Da ricordare che la Cina si è sempre schierata con la Siria – e di conseguenza con la Russia – in sede ONU, mettendo il veto su tutte le iniziative dell’Occidente. «L’attacco – osservano Emily Tamkin e Robbie Gramer su Foreign Policy – il primo degli Stati Uniti in Siria contro Assad, vuole lanciare un avvertimento a Xi Jinping circa la determinazione americana – e come intende trattare le vicende della Corea del Nord e quella relativa alla libera navigazione nel Mar Cinese Meridionale.Il Pentagono era irritato dalla mancanza di volontà della Casa Bianca e di Barack Obama di reagire contro la Cina».
Questo trova conferma nel fatto che il Segretario di Stato americano Rex Tillerson ha più volte affermato di voler impedire l’accesso alla Cina delle isole di cui reclama la sovranità.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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Craig Roberts: Trump si è arreso, il prossimo sarà Putin?
Scritto il 09/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
«Trump si è arreso. Il prossimo sarà Putin?». Se lo domanda Paul Craig Roberts, uno dei più autorevoli osservatori indipendenti della scena internazionale, all’indomani del raid missilistico sulla Siria ordinato dal capo della Casa Bianca senza prima acquisire prove sulle responsabilità di Assad nell’attacco a Idlib con il gas Sarin. «L’establishment di Washington ha ripreso il controllo», scrive sul suo blog l’ex viceministro di Ronald Reagan. «Prima Flynn e ora Bannon», via le “colombe” che avevano trainato la campagna elettorale di Trump, lasciando intravedere il disgelo col resto del mondo. «Tutto ciò che hanno lasciato nell’amministrazione Trump – afferma Roberts – sono i sionisti e i generali impazziti che vogliono la guerra con la Russia, la Cina, l’Iran, la Siria e la Corea del Nord. E non c’è nessuno, alla Casa Bianca, capace di fermarli». Questo è il «bacio d’addio alla normalizzazione delle relazioni con la Russia: il conflitto siriano è impostato per essere riaperto». Incidente gravissimo, strategico: data «l’assenza di qualsiasi prova» sulle responsabilità di Assad, «è del tutto evidente che l’attacco chimico è un evento orchestrato da Washington».
Il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha messo in guardia la Russia: è scattata l’operazione per rimuovere Assad, e purtroppo Trump è d’accordo, continua Craig Roberts. Conseguenza: «La rimozione di Assad permette a Washington di imporre un altro burattino americano su popoli musulmani». Obiettivo sostanziale:«Rimuovere un altro governo arabo con una politica indipendente da Washington, per eliminare un altro governo che si oppone al furto di Israele della Palestina». Per Tillerson, storico patron della Exxon, far cadere il governo siriano significa anche «tagliare il gas russo destinato all’Europa con un gasdotto controllato degli Stati Uniti, che dal Qatar raggiunga l’Europa attraverso la Siria». Brutte notizie per Mosca, che – combattendo seriamente contro l’Isis – sperava davvero, con Trump, di raggiungere una partnership con Washington attraverso uno sforzo comune contro il terrorismo. Speranze che Craig Roberts oggi definisce «del tutto irrealistiche». Un’idea addirittura «ridicola», visto che «il terrorismo è l’arma di Washington». Un’accusa frontale, dunque: sono gli Usa i mandanti diretti dell’Isis, accusa l’ex stratega di Reagan.
Una volta messa fuori gioco la Russia, continua Craig Roberts, «il terrorismo verrà poi diretto contro l’Iran su larga scala». E quando l’Iran dovesse a sua volta cadere, sempre il terrorismo “amico” della Cia, quello che oggi è targato Isis, «inizierà a lavorare sulla Federazione Russa e con la provincia cinese che confina con il Kazakhstan». Possibile? Senz’altro: «Washington ha già dato alla Russia un assaggio del terrorismo sostenuto dagli Usa in Cecenia. E il più è deve ancora arrivare». Craig Roberts rimprovera ai russi una sorta di fatale ingenuità: speravano, davvero in Donald Trump. Per questo, sostiene, hanno evitato di stravincere, dopo aver conquistato il cruciale ovest della Siria, paese che oggi è invece, ancora, a rischio di spartizione, dopo la brutale defenestrazione di Assad. I russi, «ipnotizzati dal sogno di cooperare con Washington, hanno messo la Siria (e se stessi) in una posizione difficile». Avevano «sorpreso il mondo», accettando di difendere la Siria dall’Isis, e allora «Washington era impotente». In pochi mesi, l’intervento russo ha sbaragliato l’Isis. «Poi, all’improvviso, Putin si è fermato: ha annunciato il ritiro, affermando, come Bush sulla portaerei: missione compiuta».
Ma la missione non era compiuta, sottolinea Craig Roberts: la Russia è stata costretta a tornare in campo, «nella vana convinzione che Washington si sarebbe messa finalmente a collaborare con la Russia per eliminare l’ultima roccaforte Isis». Al contrario, invece, «gli Stati Uniti hanno inviato forze militari per bloccare i progressi russi sulla scena siriana». Il ministro degli esteri Lavrov ha protestato, ma – ancora una volta – la Russia «non ha usato il suo potere superiore sulla scena per battere le forze americane e portare a termine il conflitto». Ora Washington dà “avvertimenti” a Mosca, a suon di missili: riuscirà il Cremlino a capire che può scordarsi ogni cooperazione e, semmai, prenotarsi per un ruolo di vassallo? Si avvicina una trappola pericolosa, continua Craig Roberts: «La Russia non permetterà a Washington di rimuovere Assad», ma a Mosca esiste una “quinta colonna” «che è alleata con l’Occidente». Per Putin e l’indipendenza della Russia come potenza sovrana, si tratta del pericolo più insidioso, tale da metter fine al ruolo di Mosca come attore euroasiatico capace di imporre stabilità geopolitica, a cavallo dei due continenti.
Collaboratori infedeli: spesso si è accennato, in quei termini, al gruppo che fa capo all’ex presidente Dmitrij Medvedev. Questa “quinta colonna”, sostiene Craig Roberts, «insisterà dicendo che la Russia potrà finalmente ottenere la collaborazione di Washington solo se “sacrificherà” Assad». Sarebbe un suicidio: l’acquiescenza di Putin «distruggerebbe l’immagine del potere russo», e sarebbe utilizzata «per privare la Russia di valuta estera dalle vendite di gas naturale verso l’Europa». Putin ha detto che la Russia non può fidarsi di Washington? «Si tratta di una deduzione corretta dai fatti», conclude Craig Roberts. E quindi, perché mai la Russia dovrebbe cedere, in cambio del miraggio della mitica cooperazione con Washington, cioè con il potere che sostiene sottobanco i terroristi dell’Isis? «La cooperazione ha un solo significato: significa arrendersi a Washington». Per il grande analista americano, Putin ha “ripulito” la Russia solo in parte: «Il paese rimane pieno di agenti americani, ed è straordinario vedere quanto poco, i media russi, capiscono il pericolo nel quale la Russia si trova». E dunque: «Sarà Putin il prossimo a cadere vittima dell’establishment di Washington, come è appena accaduto a Trump?».
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Craig Roberts: Trump si è arreso, il prossimo sarà Putin?
Scritto il 09/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
«Trump si è arreso. Il prossimo sarà Putin?». Se lo domanda Paul Craig Roberts, uno dei più autorevoli osservatori indipendenti della scena internazionale, all’indomani del raid missilistico sulla Siria ordinato dal capo della Casa Bianca senza prima acquisire prove sulle responsabilità di Assad nell’attacco a Idlib con il gas Sarin. «L’establishment di Washington ha ripreso il controllo», scrive sul suo blog l’ex viceministro di Ronald Reagan. «Prima Flynn e ora Bannon», via le “colombe” che avevano trainato la campagna elettorale di Trump, lasciando intravedere il disgelo col resto del mondo. «Tutto ciò che hanno lasciato nell’amministrazione Trump – afferma Roberts – sono i sionisti e i generali impazziti che vogliono la guerra con la Russia, la Cina, l’Iran, la Siria e la Corea del Nord. E non c’è nessuno, alla Casa Bianca, capace di fermarli». Questo è il «bacio d’addio alla normalizzazione delle relazioni con la Russia: il conflitto siriano è impostato per essere riaperto». Incidente gravissimo, strategico: data «l’assenza di qualsiasi prova» sulle responsabilità di Assad, «è del tutto evidente che l’attacco chimico è un evento orchestrato da Washington».
Il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha messo in guardia la Russia: è scattata l’operazione per rimuovere Assad, e purtroppo Trump è d’accordo, continua Craig Roberts. Conseguenza: «La rimozione di Assad permette a Washington di imporre un altro burattino americano su popoli musulmani». Obiettivo sostanziale:«Rimuovere un altro governo arabo con una politica indipendente da Washington, per eliminare un altro governo che si oppone al furto di Israele della Palestina». Per Tillerson, storico patron della Exxon, far cadere il governo siriano significa anche «tagliare il gas russo destinato all’Europa con un gasdotto controllato degli Stati Uniti, che dal Qatar raggiunga l’Europa attraverso la Siria». Brutte notizie per Mosca, che – combattendo seriamente contro l’Isis – sperava davvero, con Trump, di raggiungere una partnership con Washington attraverso uno sforzo comune contro il terrorismo. Speranze che Craig Roberts oggi definisce «del tutto irrealistiche». Un’idea addirittura «ridicola», visto che «il terrorismo è l’arma di Washington». Un’accusa frontale, dunque: sono gli Usa i mandanti diretti dell’Isis, accusa l’ex stratega di Reagan.
Una volta messa fuori gioco la Russia, continua Craig Roberts, «il terrorismo verrà poi diretto contro l’Iran su larga scala». E quando l’Iran dovesse a sua volta cadere, sempre il terrorismo “amico” della Cia, quello che oggi è targato Isis, «inizierà a lavorare sulla Federazione Russa e con la provincia cinese che confina con il Kazakhstan». Possibile? Senz’altro: «Washington ha già dato alla Russia un assaggio del terrorismo sostenuto dagli Usa in Cecenia. E il più è deve ancora arrivare». Craig Roberts rimprovera ai russi una sorta di fatale ingenuità: speravano, davvero in Donald Trump. Per questo, sostiene, hanno evitato di stravincere, dopo aver conquistato il cruciale ovest della Siria, paese che oggi è invece, ancora, a rischio di spartizione, dopo la brutale defenestrazione di Assad. I russi, «ipnotizzati dal sogno di cooperare con Washington, hanno messo la Siria (e se stessi) in una posizione difficile». Avevano «sorpreso il mondo», accettando di difendere la Siria dall’Isis, e allora «Washington era impotente». In pochi mesi, l’intervento russo ha sbaragliato l’Isis. «Poi, all’improvviso, Putin si è fermato: ha annunciato il ritiro, affermando, come Bush sulla portaerei: missione compiuta».
Ma la missione non era compiuta, sottolinea Craig Roberts: la Russia è stata costretta a tornare in campo, «nella vana convinzione che Washington si sarebbe messa finalmente a collaborare con la Russia per eliminare l’ultima roccaforte Isis». Al contrario, invece, «gli Stati Uniti hanno inviato forze militari per bloccare i progressi russi sulla scena siriana». Il ministro degli esteri Lavrov ha protestato, ma – ancora una volta – la Russia «non ha usato il suo potere superiore sulla scena per battere le forze americane e portare a termine il conflitto». Ora Washington dà “avvertimenti” a Mosca, a suon di missili: riuscirà il Cremlino a capire che può scordarsi ogni cooperazione e, semmai, prenotarsi per un ruolo di vassallo? Si avvicina una trappola pericolosa, continua Craig Roberts: «La Russia non permetterà a Washington di rimuovere Assad», ma a Mosca esiste una “quinta colonna” «che è alleata con l’Occidente». Per Putin e l’indipendenza della Russia come potenza sovrana, si tratta del pericolo più insidioso, tale da metter fine al ruolo di Mosca come attore euroasiatico capace di imporre stabilità geopolitica, a cavallo dei due continenti.
Collaboratori infedeli: spesso si è accennato, in quei termini, al gruppo che fa capo all’ex presidente Dmitrij Medvedev. Questa “quinta colonna”, sostiene Craig Roberts, «insisterà dicendo che la Russia potrà finalmente ottenere la collaborazione di Washington solo se “sacrificherà” Assad». Sarebbe un suicidio: l’acquiescenza di Putin «distruggerebbe l’immagine del potere russo», e sarebbe utilizzata «per privare la Russia di valuta estera dalle vendite di gas naturale verso l’Europa». Putin ha detto che la Russia non può fidarsi di Washington? «Si tratta di una deduzione corretta dai fatti», conclude Craig Roberts. E quindi, perché mai la Russia dovrebbe cedere, in cambio del miraggio della mitica cooperazione con Washington, cioè con il potere che sostiene sottobanco i terroristi dell’Isis? «La cooperazione ha un solo significato: significa arrendersi a Washington». Per il grande analista americano, Putin ha “ripulito” la Russia solo in parte: «Il paese rimane pieno di agenti americani, ed è straordinario vedere quanto poco, i media russi, capiscono il pericolo nel quale la Russia si trova». E dunque: «Sarà Putin il prossimo a cadere vittima dell’establishment di Washington, come è appena accaduto a Trump?».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA STRATEGIA DELLA TENSIONE
Noi l'abbiamo già subita su scala nazionale a partire dal dicembre 1969.
Adesso si sviluppa a livello intercontinentale.
Egitto, esplosione in una chiesa nella domenica delle Palme, morti e feriti
1/31
Corriere della Sera
Redazione Online
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Almeno cinque persone, ma il bilancio è destinato a a crescere, sono morte e altre 42 sono rimaste ferite in seguito a una esplosione vicino a una chiesa nella città egiziana di Tanta, a nord del Cairo: lo riporta l’emittente Al Arabiya.
© Fornito da RCS MediaGroup S.p.A.
Celebrazione Domenica Palme
Le forze di sicurezza hanno formato un cordone attorno alla chiesa copta Mar Girgis vicino alla quale è avvenuta l’esplosione, riporta il sito del quotidiano Al-Youm 7, sottolineando che sul posto sono arrivate anche la protezione civile ed esperti di esplosivi. La chiesa si trova nella zona Ali Moubarak, riporta il giornale Al Masry Al Youm, sottolineando che cinque ambulanze si sono recate immediatamente sul posto. Nella chiesa si stava celebrando la Domenica delle Palme.
NON E' PIU' OPPORTUNO DEFINIRLA LA DOMENICA DELLE SALME?
Noi l'abbiamo già subita su scala nazionale a partire dal dicembre 1969.
Adesso si sviluppa a livello intercontinentale.
Egitto, esplosione in una chiesa nella domenica delle Palme, morti e feriti
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Almeno cinque persone, ma il bilancio è destinato a a crescere, sono morte e altre 42 sono rimaste ferite in seguito a una esplosione vicino a una chiesa nella città egiziana di Tanta, a nord del Cairo: lo riporta l’emittente Al Arabiya.
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Celebrazione Domenica Palme
Le forze di sicurezza hanno formato un cordone attorno alla chiesa copta Mar Girgis vicino alla quale è avvenuta l’esplosione, riporta il sito del quotidiano Al-Youm 7, sottolineando che sul posto sono arrivate anche la protezione civile ed esperti di esplosivi. La chiesa si trova nella zona Ali Moubarak, riporta il giornale Al Masry Al Youm, sottolineando che cinque ambulanze si sono recate immediatamente sul posto. Nella chiesa si stava celebrando la Domenica delle Palme.
NON E' PIU' OPPORTUNO DEFINIRLA LA DOMENICA DELLE SALME?
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA STRATEGIA DELLA TENSIONE
Egitto, strage nella Domenica delle Palme
Bomba in una chiesa cristiana, almeno 25 morti
Ordigno “azionato a distanza” esplode dopo le 9.30 nella basilica copta Mar Girgis a Tanta, a nord della capitale, dove 2mila persone assistevano alla messa. Due arresti, Al Sisi apre ospedali militari ai feriti
Mondo
Esplosione nella chiesa cristiana copta di Mar Girgis, nella città egiziana di Tanta, a nord del Cairo, dove 2mila persone assistevano alla messa della domenica delle Palme. Le vittime, secondo quanto riporta Al Arabiya sono almeno 25. Secondo la tv di Stato egiziana è possibile che l’ordigno sia stato fatto esplodere a distanza. Le forze dell’ordine hanno arrestato due persone
di F. Q.
^^^^^^^^^
IlFattoQuotidiano.it / Mondo
Il Cairo, bomba nella chiesa cristiana: ’25 morti, ordigno fatto esplodere a distanza’
Mondo
La deflagrazione è avvenuta nella basilica di Mar Girgis, nella città di Tanta a nord della capitale, nella quale 2mila persone partecipavano alla messa per la domenica delle Palme. La polizia ha arrestato 2 persone sospettate di essere coinvolte nell'attentato
di F. Q. | 9 aprile 2017
Esplosione in una chiesa cristiana copta nella città egiziana di Tanta, a nord del Cairo. Le vittime, secondo quanto riporta l’emittente Al Arabiya sono almeno 25. Una fonte della sicurezza egiziana ha detto che la deflagrazione è stata provocata da un ordigno esploso all’interno della chiesa di Mar Girgis durante la preghiera per la Domenica delle Palme, dove erano presenti 2mila persone. In una dichiarazione alla agenzia Mena la fonte ha aggiunto che sono sul posto le squadre esperte di esplosivi per assicurarsi che non vi siano altri ordigni. Secondo la tv di Stato egiziana è possibile che l’ordigno sia stato fatto esplodere a distanza. Le forze dell’ordine hanno arrestato due persone sospettate di essere coinvolte nell’attacco.
Al Arabiya English
✔ @AlArabiya_Eng
WATCH: Moment of blast near Egyptian church in #Tanta caught on live TV http://ara.tv/jxavv #Egypt
11:04 - 9 Apr 2017
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29 29 Retweet
•
9 9 Mi piace
Le emittenti locali hanno riferito inoltre che il presidente Abdel Fattah Al-Sisi ha ordinato agli ospedali militari di accogliere i feriti, oltre quaranta, dopo la deflagrazione della bomba avvenuta tra le 9.30 e le 10. Le forze dell’ordine, accompagnate da squadre di artificieri, hanno circondato tutta la zona.
Lo riporta il giornale indipendente in lingua inglese Daily News Egypt. Al momento, riferisce Al Arabiya, non ci sono rivendicazioni e la causa dello scoppio è sconosciuta.
di F. Q. | 9 aprile 2017
Egitto, strage nella Domenica delle Palme
Bomba in una chiesa cristiana, almeno 25 morti
Ordigno “azionato a distanza” esplode dopo le 9.30 nella basilica copta Mar Girgis a Tanta, a nord della capitale, dove 2mila persone assistevano alla messa. Due arresti, Al Sisi apre ospedali militari ai feriti
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Esplosione nella chiesa cristiana copta di Mar Girgis, nella città egiziana di Tanta, a nord del Cairo, dove 2mila persone assistevano alla messa della domenica delle Palme. Le vittime, secondo quanto riporta Al Arabiya sono almeno 25. Secondo la tv di Stato egiziana è possibile che l’ordigno sia stato fatto esplodere a distanza. Le forze dell’ordine hanno arrestato due persone
di F. Q.
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Il Cairo, bomba nella chiesa cristiana: ’25 morti, ordigno fatto esplodere a distanza’
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La deflagrazione è avvenuta nella basilica di Mar Girgis, nella città di Tanta a nord della capitale, nella quale 2mila persone partecipavano alla messa per la domenica delle Palme. La polizia ha arrestato 2 persone sospettate di essere coinvolte nell'attentato
di F. Q. | 9 aprile 2017
Esplosione in una chiesa cristiana copta nella città egiziana di Tanta, a nord del Cairo. Le vittime, secondo quanto riporta l’emittente Al Arabiya sono almeno 25. Una fonte della sicurezza egiziana ha detto che la deflagrazione è stata provocata da un ordigno esploso all’interno della chiesa di Mar Girgis durante la preghiera per la Domenica delle Palme, dove erano presenti 2mila persone. In una dichiarazione alla agenzia Mena la fonte ha aggiunto che sono sul posto le squadre esperte di esplosivi per assicurarsi che non vi siano altri ordigni. Secondo la tv di Stato egiziana è possibile che l’ordigno sia stato fatto esplodere a distanza. Le forze dell’ordine hanno arrestato due persone sospettate di essere coinvolte nell’attacco.
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11:04 - 9 Apr 2017
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Le emittenti locali hanno riferito inoltre che il presidente Abdel Fattah Al-Sisi ha ordinato agli ospedali militari di accogliere i feriti, oltre quaranta, dopo la deflagrazione della bomba avvenuta tra le 9.30 e le 10. Le forze dell’ordine, accompagnate da squadre di artificieri, hanno circondato tutta la zona.
Lo riporta il giornale indipendente in lingua inglese Daily News Egypt. Al momento, riferisce Al Arabiya, non ci sono rivendicazioni e la causa dello scoppio è sconosciuta.
di F. Q. | 9 aprile 2017
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA STRATEGIA DELLA TENSIONE
Attentato contro una chiesa nel Delta egiziano: molte le vittime
Un ordigno esplode tra i fedeli a Tanta nel giorno della Domenica delle Palme
Lucio Di Marzo - Dom, 09/04/2017 - 10:39
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Si contano ancora le vittime a Tanta, città nel Delta egiziano a circa 100 chilometri dalla capitale, dove una bomba è esplosa all'interno di una chiesa nel giorno della Domenica delle palme.
Potrebbero essere almeno 21 le vittime, dicono informazioni che arrivano dal ministero della Salute. Numeri confermati dalla prefettura di Gharbiya, che parla anche di 59 feriti alla chiesa copta di San Giorgio, molti dei quali potrebbero essere in condizioni gravi. Potrebbero essere almeno 21 le vittime, dicono informazioni che arrivano dal ministero della Salute. Numeri confermati dalla prefettura di Gharbiya, che parla anche di 59 feriti alla chiesa copta di San Giorgio, molti dei quali potrebbero essere in condizioni gravi.
"Un gesto spregevole, privo di ogni umanità", ha commentato Ahmad al-Tayyib, gran imam dell'Università di Al-Azhar al Cairo. "Un altro attacco disgustoso", ha scritto il portavoce del ministero degli Esteri su twitter, parlando anche di "un tentativo fallito contro gli egiziani". Una scelta di parole contestata da molti.
La minoranza cristiana copta costituisce circa il 10% della popolazione egiziana e non è certo la prima volta che finisce nel mirino. A dicembre dello scorso anno un grave attacco era avvenuto alla Cattedrale di San Marco, nella zona di Abbasiya al Cairo.
A fine aprile in Egitto arriverà papa Francesco, che il 28 sarà al Cairo, dove incontrerà le autorità civili e religiose, al-Tayyib incluso, e terrà un discorso ai partecipanti alla Conferenza internazionale sulla pace, per poi vedere Teodoro II, papa copto di Alessandria e incontrare i vescovi egiziani.
Attentato contro una chiesa nel Delta egiziano: molte le vittime
Un ordigno esplode tra i fedeli a Tanta nel giorno della Domenica delle Palme
Lucio Di Marzo - Dom, 09/04/2017 - 10:39
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Si contano ancora le vittime a Tanta, città nel Delta egiziano a circa 100 chilometri dalla capitale, dove una bomba è esplosa all'interno di una chiesa nel giorno della Domenica delle palme.
Potrebbero essere almeno 21 le vittime, dicono informazioni che arrivano dal ministero della Salute. Numeri confermati dalla prefettura di Gharbiya, che parla anche di 59 feriti alla chiesa copta di San Giorgio, molti dei quali potrebbero essere in condizioni gravi. Potrebbero essere almeno 21 le vittime, dicono informazioni che arrivano dal ministero della Salute. Numeri confermati dalla prefettura di Gharbiya, che parla anche di 59 feriti alla chiesa copta di San Giorgio, molti dei quali potrebbero essere in condizioni gravi.
"Un gesto spregevole, privo di ogni umanità", ha commentato Ahmad al-Tayyib, gran imam dell'Università di Al-Azhar al Cairo. "Un altro attacco disgustoso", ha scritto il portavoce del ministero degli Esteri su twitter, parlando anche di "un tentativo fallito contro gli egiziani". Una scelta di parole contestata da molti.
La minoranza cristiana copta costituisce circa il 10% della popolazione egiziana e non è certo la prima volta che finisce nel mirino. A dicembre dello scorso anno un grave attacco era avvenuto alla Cattedrale di San Marco, nella zona di Abbasiya al Cairo.
A fine aprile in Egitto arriverà papa Francesco, che il 28 sarà al Cairo, dove incontrerà le autorità civili e religiose, al-Tayyib incluso, e terrà un discorso ai partecipanti alla Conferenza internazionale sulla pace, per poi vedere Teodoro II, papa copto di Alessandria e incontrare i vescovi egiziani.
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