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Voucher, il referendum sarà il 28 maggio. Camusso: “Election day”. Con lei anche Emiliano, bersaniani e Cinquestelle

Politica

Sarà la 68esima consultazione abrogativa, l'ultima sulle trivelle fallì per la mancanza del quorum. La sinistra (compreso il governatore pugliese) chiede l'accorpamento del voto con le elezioni in oltre mille Comuni. Damiano (Pd): "Possibile modificare la legge prima". Ma la segretaria: "E' solo un maquillage, noi vogliamo l'abrogazione totale"

di F. Q. | 14 marzo 2017

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Più informazioni su: Michele Emiliano, Referendum, Referendum Voucher 2017, Susanna Camusso, Voucher


I referendum sull’abolizione dei voucher e sulla responsabilità solidale negli appalti, promossi dalla Cgil e dichiarati ammissibili dalla Consulta, si terranno domenica 28 maggio. Lo ha deciso martedì mattina il consiglio dei ministri, dopo che nelle scorse settimane il sindacato aveva chiesto al governo di stabilire al più presto la data. Sarà il 73esimo referendum nella storia della Repubblica, il 68esimo abrogativo. L’ultima consultazione – di tipo costituzionale – era stata quella sulle riforme costituzionali del 4 dicembre. Ma la fissazione della data dei referendum che modificano in pratica il Jobs Act fa partire il dibattito sull’eventualità dell’election day con le Amministrative di primavera che coinvolgeranno oltre mille Comuni. Un’opzione che, per esempio, il governo Renzi aveva scartato per il referendum abrogativo sulle trivelle del maggio 2016. Al centro di tutto, naturalmente, il fatto che le consultazioni che intendono abrogare leggi o parti di legge hanno bisogno del quorum di partecipazione al 50 per cento. La finestra delle elezioni amministrative va dal 15 aprile al 15 giugno: al voto – tra le altre città – andranno Genova, Padova, Palermo, Parma, Taranto e Verona.

A chiedere un giorno unico per amministrative e referendum sono tutta la sinistra, compresi i Democratici e progressisti (il presidente della Toscana Enrico Rossi ha chiamato in causa direttamente il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni) e anche il presidente della Puglia e candidato alla segreteria del Pd Michele Emiliano. Al referendum, aggiunge Emiliano, “voterò due sì e avrei votato anche contro il jobs act e voterei per il ripristino dell’articolo 18″. Si uniscono alla richiesta di election day anche i Cinquestelle. “Avevamo proposto l’election day e rinnoviamo questa richiesta” conferma la segretaria della Cgil Susanna Camusso. “Vista la data scelta, sarebbe possibile far coincidere il referendum con le elezioni amministrative – dice la leader del sindacato – e non perché ci preoccupa il quorum, i Comuni al voto non sono tantissimi, sarebbe solo una scelta oculata, in un’ottica di finanza pubblica“.

Nel frattempo alla Camera continua la corsa contro il tempo per modificare il testo sui voucher. La relatrice Patrizia Maestri (Pd) ha annunciato che domani scadranno i termini della presentazione degli emendamenti in commissione. A quel punto l’esame del provvedimento dovrebbe entrare nel vivo già domani. Certo sui tempi di approvazione è difficile fare previsioni. “Non dipende solo dal nostro lavoro, ma anche dal governo – dice la Maestri – Noi cercheremo di fare il nostro meglio, abbiamo già ricevuto alcune indicazioni di possibili modifiche al testo iniziale su cui cominceremo subito a fare degli approfondimenti”. Non solo: come spiega il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano (Pd, sostenitore di Andrea Orlando al congresso) è ancora possibile evitare il referendum ma “sarà la Corte a decidere se di fronte a una soluzione legislativa, questa sarà adatta a evitare la consultazione”. Damiano, a RaiNews24, sottolinea che “non è solo una riverniciatura. Si torna a definire i voucher come destinati solo a ‘lavori occasionali’ cioè lavoretti. E’ un abbattimento secco di quello che può essere l’abuso. Non è un maquillage legislativo, incide nel profondo. Limita l’uso solo all’impresa senza dipendenti. Se il monte voucher utilizzati era in buona parte in capo alle aziende di grandi dimensioni, quelle aziende non potranno più utilizzarli. E neanche la Pubblica amministrazione potrà farlo, se non per attività residuali. Poi è un testo di base, possiamo ulteriormente modificarlo”.

Di “maquillage legislativo” aveva parlato proprio la Camusso in un’intervista a Repubblica. Il quesito più delicato è proprio quello che riguarda i buoni lavoro da 10 euro diventati la “nuova frontiera del precariato“. Per tentare di sminare il terreno, l’esecutivo Gentiloni punta come è noto a modificare la disciplina prima della consultazione. Per questo lo scorso 9 marzo è iniziato, in commissione Lavoro alla Camera, l’iter della proposta di modifica che ne accorpa altre 11 depositate da varie forze politiche. Rassicurazioni che da tempo non convincono la Camusso. “Il voto è il prossimo appuntamento – ha ribadito oggi – essendo Parlamento e governo assolutamente lontani dall’affrontare i temi di merito posti dai referendum, non in grado di dare soluzioni”. Per la segretaria la proposta all’esame della Camera “non svuota” il quesito, restando i voucher “uno strumento di precarietà nella Pa e nelle imprese”.

Il testo prevede il divieto all’uso dei voucher per le grandi aziende: potranno pagare le prestazioni di lavoro occasionale con questo strumento solo famiglie e piccole attività con zero dipendenti. Queste ultime però, in base alla proposta, pagheranno i voucher 15 euro invece che 10 e potranno utilizzarli solo per pagare studenti, pensionati, disabili e persone con disagio sociale, extracomunitari con permesso di soggiorno e disoccupati da oltre 6 mesi. Lo stesso varrà per chi ha uno studio professionale. Anche nel caso del lavoro agricolo stagionale i lavoratori potranno essere esclusivamente pensionati o studenti universitari con meno di 25 anni. La pubblica amministrazione sarebbe poi del tutto esclusa, tranne che per i “lavori di emergenza, come quelli dovuti a calamità o eventi naturali improvvisi, o di solidarietà“. E la Camusso ribadisce che la Cgil chiede l’abrogazione tout-court, non la modifica. “Chiediamo la cancellazione di una forma di precarietà” perché “le aziende che utilizzano i voucher lo fanno in maniera legale”. “Se fossimo davanti ad un abuso non avremmo chiesto l’abrogazione, ma il contrasto e la penalizzazione dei comportamenti illeciti. Ci troviamo di fronte, invece, all’ennesima legge che permette la degradazione del lavoro“.

L’altro quesito riguarda, invece, la piena responsabilità solidale tra appaltatore e appaltante nei confronti dei lavoratori. Oggi la normativa, modificata dalla legge Biagi e dalla legge Fornero, prevede che i lavoratori che fanno causa per il mancato pagamento di stipendi o contributi debbano citare in giudizio sia l’appaltatore sia il committente, e quest’ultimo può eccepire il cosiddetto “beneficio di preventiva escussione” del patrimonio dell’appaltatore: cioè il lavoratore, nel caso in cui i giudice gli dia ragione, deve prima tentare di recuperare il proprio credito dal proprio datore di lavoro e dai subappaltatori e solo in seguito può rivolgersi al committente.


VIDEO:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03 ... e/3450041/
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QUANDO GLI ITALIANI MANDERANNO A CASA QUESTA CLASSE DIRIGENTE INETTA E FALLIMENTARE??????????????????????????????






Alitalia, stipendi tagliati e 2.037 esuberi. I sindacati: “Piano insostenibile. Sciopero di 24 ore mercoledì 5 aprile”

Lobby


I rappresentanti di Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl Ta hanno incontrato i vertici della compagnia sperando che le cifre circolate nei giorni scorsi non fossero del tutto corrispondenti al vero. Davanti ai numeri definitivi parlano di un progetto "non di sviluppo ma di forte ridimensionamento". Il loro via libera alle sforbiciate è condizione necessaria per la ricapitalizzazione. L'ad Balle: "Le misure relative al personale sono dolorose, ma necessarie". Il governo ha convocato le parti per il 20 marzo



di F. Q. | 17 marzo 2017

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L’ammontare dei tagli, un miliardo di euro e circa 2mila esuberi, era già noto. E l’atteso incontro con i sindacati sul piano lacrime e sangue approvato dal cda di Alitalia il 15 marzo scorso è terminato con l’annuncio di uno sciopero unitario di 24 ore il prossimo 5 aprile. I rappresentanti di Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl Ta hanno incontrato i vertici dell’azienda sperando che le cifre circolate nei giorni scorsi non fossero del tutto corrispondenti al vero. Ma dal vertice, a cui ha partecipato il nuovo consigliere Luigi Gubitosi (che secondo un sindacalista ha commentato: “ho scelto il giorno sbagliato, venerdì 17”), la cifra è stata confermata: gli esuberi saranno 2.037 esuberi. Un numero nettamente superiore a quello ipotizzato a dicembre. Per le sigle che rappresentano i lavoratori l’intero piano è irricevibile. E il loro via libera, va ricordato, è la conditio sine qua non per la necessaria ricapitalizzazione della compagnia da parte di Etihad e delle banche socie e creditrici.

I sindacati: “Solo sopravvivenza”
Non c’è stato presentato un vero piano industriale, abbiamo avuto un piano che prevede solo un taglio di costi, un intervento solo occupazionale da 163 milioni di euro tra esuberi e taglio alle retribuzioni” spiega Nino Cortorillo, segretario Cgil Trasporti. “Sulla parte di prospettiva”, continua, il piano ” è veramente molto molto ridotto, si vede chiaramente che in questi mesi il cambio di piano è stato fatto dalle banche. Continuo a dire che questo non è un piano industriale ma un taglio secco dei costi“. I sindacati hanno chiesto la convocazione di un tavolo con il governo lunedì, ma “sugli esuberi non si tratta – sottolinea Cortorillo – Il nostro obiettivo come quello di qualunque sindacato non può che essere portarli a zero “. Quella di oggi “non è stata una trattativa è stata una presentazione del piano. Al prossimo appuntamento con il governo vediamo l’azienda se ci dice cose diverse e poi capiremo se sono in grado di modificare la situazione di oggi perché così come è non possiamo approvare il piano”. “Il futuro presidente esecutivo di Alitalia Luigi Gubitosi ha detto oggi di aver scelto il giorno sfortunato visto che è venerdì 17. E questo detto da un napoletano…”.

I sindacati: “È”Questo per noi non è un piano di sviluppo, è solo un piano di sopravvivenza. Abbiamo detto che è necessario coinvolgere il governo, il nostro giudizio sul piano non può che essere negativo” dichiara il segretario nazionale Fit-Cisl, Emiliano Fiorentino. Il nuovo consigliere di amministrazione e presidente designato dall’azienda Luigi Gubitosi, riferisce Fiorentino, ha esortato a “mantenere un percorso in modo più possibile unitario tra sindacati e azienda. Noi gli abbiamo detto – spiega Fiorentino – che ci auspichiamo che possa fare la differenza è garantire un futuro a un’azienda che in otto anni ha visto cambiare molte persone ai vertici ma non la situazione”.






“Il piano è assolutamente non credibile, come pensavamo, con tagli sul costo del lavoro e sugli organici, e ipotesi di aumento dei ricavi sul lungo raggio con l’ingresso di 8 aerei in 5 anni, ipotesi molto remota che non ci dà la possibilità di credere ai ricavi” spiega il segretario generale della Uiltrasporti Claudio Tarlazzi, sottolineando che questo piano “ci vede molto molto distanti”. Per questo “abbiamo chiesto l’intervento del governo, con il quale potrebbe esserci un incontro credo già lunedì”.

Finanziamento subordinato all’accordo con i sindacati
I 2.037 esuberi nel personale di terra riguardano sia lavoratori a tempo determinato che a tempo indeterminato: 1.338 a tempo indeterminato, 558 a tempo determinato e 141 nell’estero. A questi si aggiungerebbero 400 naviganti per i quali la solidarietà difensiva scade a dicembre. L’azienda ha chiesto anche tagli salariali del 28% per i piloti medio raggio, 22% per i piloti lungo raggio e 32% per gli assistenti di volo. Il piano prevederebbe anche l’assunzione nel 2019 di circa 500 unità per il personale di volo (assistenti di volo e piloti): inoltre ci sarebbe anche l’arrivo, nel 2019, di 8 nuovi aerei (che si aggiungerebbero all’unità entrata in attività circa 1 mese fa), che verrebbero utilizzati per una decina di nuove rotte di lungo raggio. La rottura con i sindacati di fatto blocca il finanziamento. Perché il cda aveva approvato il piano di rilancio della compagnia 2017-2021 presentato dall’ad Cramer Ball e verificato dall’advisor indipendente Roland Berger, subordinandolo all’accordo con i sindacati sul nuovo contratto di lavoro e sulle misure relative al personale previste nel piano.

Alitalia ha cassa solo a fine aprile, parti convocate dal governo
Il tempo a disposizione per trovare un’intesa fra governo, lavoratori e azienda è sempre meno poco. Il consiglio non ha infatti varato un aumento di capitale e Alitalia ha cassa solo fino a fine aprile. La compagnia, che nel 2016 ha registrato 400 milioni di perdite, ha bisogno di almeno 900 milioni.

Il governo ha convocato Alitalia e i sindacati dei trasporti di Cgil, Cisl, Uil e Ugl per un incontro al ministero dello Sviluppo lunedì 20 marzo alle 16,30. All’incontro parteciperanno i ministri dello Sviluppo, Carlo Calenda, dei Trasporti Graziano Delrio e del lavoro Giuliano Poletti. Nell’incontro di ieri al Mise tra governo e azienda era stato già annunciato che il governo avrebbe visto insieme azienda e sindacati all’inizio della prossima settimana.

L’ad Ball: “Misure dolorose ma necessarie”
“Le misure relative al personale sono dolorose, ma necessarie, insieme alla riduzione di altri costi operativi, per stabilizzare la situazione finanziaria della compagnia e garantirne la sostenibilità di lungo termine” fa sapere l’ad Cramer Ball in una nota. “Insieme ai sindacati e con il sostegno del governo italiano, lavoreremo, come è giusto e doveroso che sia, per cercare il modo per ridurre il più possibile l’impatto sociale del piano sul personale coinvolto. Questi cambiamenti sono essenziali se vogliamo competere in modo efficiente in un mercato del trasporto aereo europeo che è caratterizzato da una spietata concorrenza”.

“Il piano industriale contiene misure importanti relative al costo del lavoro, quali una riduzione del personale e l’accordo su un nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, necessarie per rendere la struttura dei costi di Alitalia più competitiva. Il piano prevede una riduzione dell’organico che riguarderà fino a 2.000 posti di lavoro, relativi a contratti a tempo indeterminato e determinato, ovvero una riduzione del 51% del personale degli uffici e del 20% per il personale operativo (non di volo). La compagnia aerea impiega attualmente 12.500 persone in Italia e all’estero“. Secondo quanto si legge, “Alitalia ridurrà i costi di 1 miliardo di euro entro il 2019 e la maggior parte del risparmio – due terzi – verrà da costi non legati a quello del lavoro mentre un terzo sarà legato al lavoro e alla produttività. Solo con il ritorno alla profittabilità nel 2019, Alitalia potrà riprendere a crescere anche grazie all’ingresso in flotta di sei nuovi aeromobili di lungo raggio tra il 2019 e il 2021. Aerei che si aggiungeranno ai due già previsti nel 2017 e nel 2018. La compagnia prevede inoltre di potenziare il lungo raggio con l’apertura di 10 nuove rotte tra il 2017 e il 2021 e di assumere fino a 500 nuove persone fra piloti ed assistenti di volo dal 2019″.
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Re: IL LAVORO

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Lavoro & Precari
Lavorare tanto, guadagnare zero: l’incubo di una generazione
di Elisabetta Ambrosi | 18 marzo 2017

260
• 35,1 mila


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Elisabetta Ambrosi
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Siamo una generazione cresciuta a pane ed etica del lavoro: sapevamo che avremmo dovuto studiare molto, e bene, per poter avere un lavoro degnamente retribuito. Sapevamo che nulla ci sarebbe stato regalato, ma che seguendo un percorso stabilito da qualche parte saremmo arrivati: medici o avvocati, giornalisti o professori.
Invece qualcosa, lungo il percorso, si è spezzato: qualcuno l’ha chiamata globalizzazione (e cambiamento tecnologico), qualcuno debito pubblico e paralisi dello Stato, qualcun altro crisi economica. Ma quello che è accaduto è non tanto che a quei posti non siamo mai arrivati – o meglio sì, specie se pubblici, ad esempio professori universitari, ministeriali, dirigenti pubblici, ruoli ormai impensabili – ma che quando ci siamo arrivati il lavoro si era improvvisamente svuotato del proprio senso. E insieme del suo compenso.

In altre parole, siamo arrivati anche noi, come la generazione precedente e anzi molto di più, carichi di titoli di studio. E siamo diventati anche noi dipendenti di aziende o, molto più spesso che in passato, liberi professionisti, free lance in ogni settore. Niente di più falso dunque che affermare che il lavoro sia finito. No il lavoro c’è, ma non è retribuito. Oggi le nostre giornate di lavoro sono lunghissime. Cominciano la mattina presto, finiscono tardi, quando finiamo di rispondere agli ultimi messaggi o sistemare le ultime cose. Nel frattempo si è moltiplicato il lavoro sui social media, strumento fondamentale per promuovere tutto ciò che facciamo. Così siamo sempre incastrati al telefono, andiamo a prendere i nostri figli parlando e organizzando incontri, cuciniamo scrivendo mail, e ancora a letto lavoriamo e lavoriamo.
Peccato che i nostri redditi abbiano subito una picchiata fragorosa e sconcertante: i dipendenti hanno stipendi sempre più magri, tutele meno floride che in passato, e vivono spesso in un clima fatto di paura e terrore, visto che possono essere spazzati via facilmente. I liberi professionisti hanno entrate ancora più misere, visto che le commesse sono sempre meno pagate, anzi vengono continuamente tagliate. E su quei redditi lordi bisogna pagare le tasse, i contributi (che possono arrivare quasi al 30 per cento), l’assicurazione medica, la formazione obbligatoria per chi fa parte di ordini, tutte le spese dello studio, la macchina e così via. Alla fine, restano poche briciole, e arrivare a uno stipendio a fine mese è qualcosa di arduo.
Ne conoscono a dozzine di gente così, in particolare donne: laureate, iperformate, anche – e parecchio – digitalizzate, spesso titolari di piccole imprese in proprio, spesso fondatrici di micro start up, oppure scrittrici, ghostwriter, giornaliste, avvocate, e via dicendo. Tutte lavorano con serietà spaventosa, tutte – mi dicono – non riescono a portare a casa più di poche migliaia di euro l’anno. Eppure dalla mattina alla sera si dedicano con serietà alla loro occupazione, che sia all’interno di uno studio oppure freelance, talvolta a casa, oppure in co-working. Lavorano, lavorano, lavorano e non guadagnano. E certe volte, sconfortate, si chiedono tra le lacrime dove hanno sbagliato, che cosa potrebbero fare di più di quello che fanno, che futuro le aspetta.
Io non so come consolarle, se non dire loro che no, non hanno sbagliato in nulla, si sono adattate, continuano ad adattarsi, a formarsi, a cercare di seguire anche i cambiamenti tecnologici, fondamentali nei loro lavori. Il problema non sta in loro, ma in come è cambiato il lavoro: svuotato, impoverito, devalorizzato, non più in grado di garantire il mantenimento, proprio quello a cui il lavoro dovrebbe servire. Oggi si lavora per lavorare, c’è un’enorme mole di lavoro non retribuito che serve per andare a trovare quelle zone ormai rare di lavoro ben pagato, anzi pagato il giusto, com’è stato fino agli anni Duemila, quando qualcosa si è inceppato per sempre. Lavora bene chi ha una famiglia benestante, lavora bene chi già ha un reddito. Un paradosso. Gli altri continuano cercando di sopravvivere alle commesse intermittenti, ai tagli continui, alla contrazione delle retribuzioni. Magari hanno figli, e fanno sempre più fatica a mandare avanti la famiglia. È il ceto medio impoverito, i working poor, di cui tanti libri e saggi hanno parlato.
Solo che quei working poor siamo noi, sono i nostri amici, quelli che non sono emigrati, sono tutti quelli degli anni Settanta e Ottanta che hanno studiato tanto per ottenere nulla. Ancora più sfortunati quelli che vivranno dopo, anche se almeno hanno sviluppato una maggior praticità e un giusto cinismo: studiano di meno, smettono la scuola, oppure si laureano solo ed esclusivamente nelle poche lauree richieste dal mercato. La maggior parte, però, se ne va, ancor più dei loro colleghi più anziani. Quelli che hanno visto inutilmente studiare, formarsi, mettersi a totale disposizione del datore di lavoro, per poi ritrovarsi a lavorare pesantemente tutto il giorno ma non guadagnare quasi nulla.
Di chi è la colpa di questa situazione? Per l’Italia, di generazioni precedenti che hanno rapinato tutte le risorse e continuano a rapinarle ancora oggi, settantenni ancora avidi di poltrone. Poi una classe politica che non sa più cosa significhi proteggere il lavoro, anche perché non ha idea di come il lavoro sia cambiato, di cosa sia diventato, non conosce le nuove tecnologie, non sa nulla di nulla. L’unica cosa che sa è fare leggi, come il Jobs Act, che consentano alle aziende di fare praticamente qualunque cosa sulla pelle dei lavoratori e al tempo stesso che legano le mani ai giudici del lavoro, molti dei quali lamentano l’impossibilità, oggi, di difendere davvero i lavoratori vessati e oppressi come loro vorrebbero. Infine di un’Europa cieca di fronte a paesi che hanno generazioni di giovani e di genitori – specie donne, specie madri – che non riescono ad avere redditi sufficienti per mantenersi, mentre sono prive di qualsiasi forma di sussidio che ovunque in Europa esiste, o di reddito di cittadinanza, l’unica misura che riuscirebbe a sostenere i working poor e il ceto medio impoverito.
Uomini e donne che vanno verso un futuro ancor più difficile, ancor più precario e fragile, come scrive Ferdinando Menga nel libro Lo scandalo del futuro. Per una giustizia intergenerazionale (Edizioni di Storia e Letteratura, 2016). Questo ceto medio, fatto sempre più di giovani, ormai vota solo i cosiddetti partiti “populisti”. Sta cambiando la geografia dell’Europa, e progressivamente del mondo. Il motivo è solo un0: aver perso non tanto il lavoro, quello ce n’è per tutti, ma il reddito che da quel lavoro dovrebbe scaturire. E con esso la dignità di esseri umani, persone, genitori capaci di sostenere i propri figli senza ricorrere all’elemosina dei parenti. Per coloro che ce l’hanno.
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Re: IL LAVORO

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Gli indifferenti è un film del 1964 ripreso dal romanzo di esordio di Alberto Moravia, del 1929.

Il tema è di altra natura, ma si potrebbe riproporre un titolo analogo per quanto sta accadendo oggi nella società italiana.


Lavoro, Istat: “Nel 2016 ancora oltre 1
milione di famiglie in cui nessun
componente ha un’occupazione


Lavoro & Precari
Dalle tabelle appena aggiornate emerge che la maggior parte di questi nuclei (587mila) vivono al Sud e 448mila sono coppie con figli. In 970mila famiglie invece lavora solo la donna
di F. Q. | 21 marzo 2017

Anche lo scorso anno è rimasto sopra quota un milione il numero di famiglie italiane in cui nessun componente ha un lavoro. E in cui, di conseguenza, non entra nemmeno uno stipendio. E’ quello che emerge dalla tabelle Istat sulle forze di lavoro, appena aggiornate. Nel 2016 i nuclei senza redditi da lavoro erano 1.085.000, in lieve calo rispetto alle 1.092.000 del 2015. Si tratta del 6,6% delle famiglie presenti sul mercato del lavoro (16,5 milioni). Il dato tiene conto ovviamente solo delle persone in età da lavoro e che sono impegnate attivamente nella ricerca di un’occupazione. Queste famiglie si sostengono solo con ammortizzatori sociali, eventuali rendite o pensioni.
Tra i nuclei senza lavoro, 448mila sono coppie con figli e 290mila sono famiglie con un solo componente, single, più spesso uomo che donna (178mila contro 113mila), Seguono 222mila nuclei mono-genitore (in questo caso sono di più le donne, 192mila), che rappresentano il 12% del totale, e 80mila coppie senza figli (7,6%). La maggior parte (587mila) vive al Sud, che precede sia il Nord (300mila) che il Centro (198mila).
Dalle tavole emerge anche che ci sono 970mila famiglie, con e senza figli, dove lavora solo la donna (a tempo pieno o part time), mentre l’uomo è in cerca di occupazione o inattivo perché pensionato o comunque fuori dal mercato del lavoro.
di F. Q. | 21 marzo 2017
UncleTom
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Re: IL LAVORO

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Raccolta

Poletti, Padoa-Schioppa, Berlusconi: dieci anni di battute contro i giovani precari


"Meglio il calcetto del curriculum" è stato solo l'ultimo sfottò di una lunga serie di uscite governative. Da 'Donne sposate mio figlio!' agli 'sfigati' senza ancora una laurea


di Wil NonLeggerlo
28 marzo 2017

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Poletti, Padoa-Schioppa, Berlusconi: dieci anni di battute contro i giovani precari
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti
"Sfigati", "poco occupabili", "bamboccioni", "choosy"”. Insomma, "l'Italia peggiore". Dieci anni di crisi economica, dieci anni di battutine, sfottò, consigli imbarazzanti per studenti, precari e mondo del lavoro in generale. Ecco la risposta governativa ad una disoccupazione giovanile che veleggia stabile sul 40%, tra le più alte dell'Eurozona. L'ultimo caso riguarda il ministro del Lavoro Poletti: inviare curricula? Meglio il calcetto, crea più opportunità. Scivoloni di questo tipo non riguardano ovviamente solo i governi Renzi-Gentiloni, partono da Padoa-Schioppa e attraversano 10 anni di esecutivi, politici e tecnici. Li abbiamo raccolti per voi.

- Meglio il calcetto dei curricula (Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti agli studenti dell'istituto tecnico professionale Manfredi-Tanari di Bologna - 27 marzo 2017): Nella ricerca di un lavoro "il rapporto di fiducia è un tema sempre più essenziale", si creano più opportunità "a giocare a calcetto che a mandare in giro i curricula".

- Dopo lo scoppio delle polemiche il ministro Poletti prova a spiegare meglio il concetto (28 marzo 2017): "Critiche? È una stupidaggine sintetizzare in una riga due ore di dialogo con i ragazzi. Il calcetto, se volete, è la metafora della relazione sociale".

- Fuori dai piedi (Il ministro Poletti a colloquio con i giornalisti a Fano - 19 dicembre 2016): "Bene così: se 100mila giovani sono andati via non vuol dire che qui siano rimasti 60 milioni di pistola. Quelli che se ne sono andati è bene che stiano dove sono, il Paese non soffrirà sicuramente nel non averli più tra i piedi".

- Consigli per la laurea (Il ministro Poletti - non laureato - durante la convention di Veronafiere "Job&Orienta" - 26 novembre 2015): "Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21".

- Italiani poco occupabili (Enrico Giovannini, ministro del Lavoro nel governo Letta - 9 ottobre 2013): "L'Italia esce con le ossa rotte dai dati dell'Ocse diffusi ieri: dati che ci mostrano come gli italiani siano poco 'occupabili', perché molti di loro non hanno le conoscenze minime per vivere nel mondo in cui viviamo e non costituiscono capitale umano su cui investire per il futuro".

- Choosy (Elsa Fornero, ministro del Lavoro del governo Monti, durante un convegno a Milano - 22 ottobre 2012): "I giovani escono dalla scuola e devono trovare un'occupazione. Devono anche non essere troppo 'choosy', come dicono gli inglesi". Il video





- Sfigati (Michel Martone, viceministro del Lavoro del governo Monti, alla sua prima uscita pubblica, in un convegno sull’apprendistato organizzato dalla Regione Lazio - 24 gennaio 2012): "Dobbiamo iniziare a far passare messaggi culturali nuovi, dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni, sei uno sfigato".

- Precari, siete l'Italia peggiore! (Renato Brunetta, ministro per la Funzione Pubblica del governo Berlusconi, risponde così ad un gruppo di precari durante la terza edizione della “Giornata Nazionale dell’Innovazione” - 14 giugno 2011): Il ministro invita due donne che chiedono di fare una domanda sul palco, ma non appena pronunciano la parola "precari" Brunetta perde completamente la pazienza: "Grazie, arrivederci. Questa è la peggiore Italia!". Uscendo dalla sala strapperà pure il cartellone dei manifestanti.
UncleTom
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Re: IL LAVORO

Messaggio da UncleTom »

LEGGI:

Goldman Sachs: salvare i lavoratori, il futuro sarà dei robot



http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 763#p49763
lilly
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Re: IL LAVORO

Messaggio da lilly »

la battuta di poletti dimostra di quando il nostro paese sia antimeritocratico.Le caste diffondono l'idea della raccomandazione per difendere se stesse e i loro affiliati ed in questo modo demolendo la meritocrazia provocano il declino del paese.E' di pochi giorni fà l'eliminazione del merito per i dirigenti scolastici.La meritocrazia invece vale per tutti nessuno può sottrarsi alla meritocrazia.Se questa vale per gli studenti con un'insufficenza o un voto discreto passa per la valutazione degli insegnanti fono ad arrivare ai dirigenti scolastici.Poi calcoliamo che non c'è solo mancanza di meritocrazia c'è anche precarietà violazione dei diritti basilari dei lavoratori welfare inefficente.Sono forme di fascismo nascoste diverse dal passato ma più aggressive che bisogna debellare
UncleTom
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Re: IL LAVORO

Messaggio da UncleTom »

BUFALE & BUFALIERI


Ha scritto lilly in altro 3D:
tagliare il cuneo fiscale che è troppo alto,c'è troppa disoccupazione l'Italia non può andare avanti cosi

Oggi emerge un’altra bufala di Pinocchio Mussoloni.




DIRITTI & DOVERI Oggi vertice decisivo al Mise. L’algerino non ha mai presentato il piano per rilanciare l’ex Lucchini rilevata dallo Stato »

Piombino, Rebrab non mantiene le promesse. A rischio 2200 operai

ROBERTO ROTUNNO L’ impressione è che l'incontro di oggi sarà decisivo – nel bene o nel male – per il futuro di Piombino. Al ministero dello Sviluppo economico sarà presente Carlo Calenda con i sindacati e con i rappresentanti della Cevital, società dell’algerino Issad Rebrab che due anni fa si è impegnato a riconvertire l’acciaieria ex Lucchini e a mantenere i 2.200 operai della fabbrica. Da allora, molte promesse e nessun fatto concreto, tanto che da giorni il Comune è occupato dai lavoratori in protesta. Non si capisce come e quando sarà avviato il piano di rilancio presentato nel 2014 e sostenuto dal presidente della Regione Enrico Rossi e dall'allora premier Matteo Renzi. Il progetto prevedeva in primis l'attivazione di un forno elettrico per rendere meno inquinante la produzione nel polo siderurgico. Poi, la diversificazione dell'industria: un polo agro-alimentare e uno logistico per sfruttare la vicinanza con il porto. L’obiettivo di Rebrab è addirittura arrivare a impiegare 3.500 persone nell'intera area, da trasformare in un centro di approdo e lavorazione di prodotti alimentari di tutto il Mediterraneo. La realtà racconta altro: l'algerino ha acquistato nel 2014 la ex Lucchini, in amministrazione controllata, e assunto i 2.200 dipendenti. I lavori per la riconversione, però, non partono e addirittura si fa fatica ad assicurare continuità produttiva all'acciaieria. Si è da poco riacceso il ciclo del treno a rotaie che serve una commessa di Ferrovie dello Stato. Il problema è che manca liquidità per l'acquisto dei semilavorati e non è facile ottenerla attraverso il credito bancario. I clienti, infatti, pagano a 90 giorni; gli istituti non sempre sono disposti ad anticipare i soldi attraverso i contratti di factoring. I lavoratori sono in solidarietà, ma se non sarà assicurato almeno il 40% della capacità produttiva si dovrà ricorrere alla cassa integrazione. A luglio, inoltre, scadono gli effetti della legge Marzano, che in questi due anni ha impedito a Cevital di licenziare. A meno di proroghe, dunque, si rischiano addirittura allontanamenti in estate. Rebrab continua a ribadire gli impegni ai quali però non segue la presentazione di un serio piano industriale. “Il governo – spiega Mauro Faticanti della Fiom –deve assumersi la responsabilità e intervenire. È lui che ha venduto la ex Lucchini all'algerino, ora decida se continuare a fidarsi o cercare altri partner più credibili”. Tra le alternative possibili sembra esserci l'indiana Jindal, attualmente in corsa per l'Ilva, ma molto dipende da come finirà appunto la questione di Taranto. Altre piste portano al supporto di British Steel o di Liberty House. Niente di concreto abbastanza da tranquillizzare i 2.200 lavoratori.
UncleTom
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Re: IL LAVORO

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VISTO CHE STANNO BLOCCANDO IL COPIA INCOLLA, PER IL MOMENTO, L'ARTICOLO SUL REFERENDUM ALITALIA LEGGETELO QUI.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04 ... o/3541792/









Tornando ai risultati, l’unica certezza è che il personale degli aeroporti milanesi ha deciso: per loro il pre accordo tra sindacati e azienda è irricevibile. La conferma arriva dai dati definitivi dello spoglio. A Linate ci sono stati 698 no e 153 sì, a Malpensa 238 no e 39 sì. A Malpensa registrate anche 2 schede bianche e 2 schede nulle. A quanto apprende l’agenzia Dire da fonti sindacali, lo stesso risultato si starebbe registrando nella sezione ‘naviganti’, quella riservata al personale di volo, e più in generale in tutti i seggi, tanto da spingere alcuni rappresentanti sindacali ad affermare che “si profila una vittoria del no”. Il Sì vincerebbe invece a Torino ma di strettissima misura con 2 Sì in più. A Fiumicino, nel frattempo, davanti al Training Academy Alitalia, dove è in corso dalle 17,15 circa lo spoglio del referendum, ci sono quasi 200 persone in attesa del risultato finale, tra lavoratori dei due fronti contrapposti del si e del no, delegati sindacali e cronisti. Il primo parzialissimo risultato, relativo all’urna che accoglieva i voti del personale di volo, mostra in vantaggio il no con mille voti, contro i 100 del sì. Lo riferiscono fonti sindacali. I seggi per votare a Roma erano sei, di cui cinque collocati a Fiumicino e uno alla Magliana. Questa prima indicazione è dunque molto parziale e riferita solo al personale di volo, non a quello di terra. Al referendum dei lavoratori Alitalia hanno partecipato quasi 9 dipendenti ogni 10, per un’affluenza che si avvicina al 87%.

La vittoria del No, come detto, renderebbe del tutto inutile la nuova garanzia pubblica che il governo era pronto a mettere sul piatto. La manovra correttiva bollinata lunedì dal Quirinale autorizza infatti il Tesoro a sottoscrivere un aumento di capitale da 300 milioni di Invitalia, sua partecipata al 100%. Con quelle risorse l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, che per statuto deve “dare impulso alla crescita economica del Paese, avrebbe poi fornito la rete di salvataggio richiesta dalle banche azioniste e creditrici Intesa Sanpaolo e Unicredit per partecipare insieme a Etihad alla ricapitalizzazione da circa 2 miliardi che la bocciatura del preaccordo con i sindacati fa ora sfumare
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Re: IL LAVORO

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REFERENDUM, PIOGGIA DI NO Bocciati i tagli, Palazzo Chigi esclude interventi
L’Alitalia non vola più: il governo
scarica le sue colpe su chi lavora




IL FATTO QUOTIDIANO | Martedì 25 Aprile 2017
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