IL LAVORO
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Re: IL LAVORO
EPPURE……………………………………………
Prossimamente ci saranno italiani contenti di andare ai gazebo, cavare 2 euro, per votare (comprare) delle pentole bucate, da mettere alla direzione del PD.
Vogliamo scommettere che ci saranno comunque tricolori che si recheranno ai gazebo, mentre sarebbero schifati di comprare mele taroccate, salumi e formaggi con la muffa, occhiali con una lente sola, camicie e golf unti e bisunti e via andare??????????
3 » ECONOMIA………………………………….. | IL FATTO QUOTIDIANO | Mercoledì 26 Aprile 2017
INVESTITORE ESTERO 3 anni per fare peggio di prima
“Veni, vidi, persi” :
il colpo di grazia dato
da Renzi e da Etihad
Salutati come salvatori dopo la gestione pubblica e quella dei capitani coraggiosi sono riusciti a perdere un miliardo
» DANIELE MARTINI
C’ è un ennesimo errore capitale che i protagonisti dell'orribile vicenda Alitalia non dovrebbero aggiungere alla catena di castronerie compiute in questi anni. Che è davvero lunga: dai leasing degli aerei ottenuti a prezzi da amatori al carburante pagato almeno 20 dollari in più alla tonnellata. Vista però l'ingordigia con cui si sono tuffati sugli sbagli, c'è purtroppo da temere che ci ricaschino. L'errore che non dovrebbero compiere azionisti (Etihad, Unicredit e Banca Intesa) e manager è quello di considerare il referendum come la pietra tombale sull'Alitalia, senza tentare nuove e possibili soluzioni, magari con il coinvolgimento del governo che fino ad ora anche su questa vicenda non ha fatto una bella figura. L'obiettivo comune dovrebbe essere quello di salvare un'azienda che resta uno dei pochi assett del Paese e dà lavoro a 12 mila persone. GLI SBAGLI di questi anni sono davvero tanti e hanno tanti padri. A cominciare dalla scelta del cavaliere bianco che avrebbe dovuto salvare la compagnia: gli arabi di Etihad entrati nell'azionariato da padroni con il 49 per cento del capitale spendendo una cifra ridicola, appena 380 milioni di euro. Fu Luca Cordero di Montezemolo, allora presidente di Alitalia, a spendere il suo nome per quell'intesa. Che si è rivelata fallimentare. Gli arabi hanno scelto a loro volta manager australiani, James Hogan e Cramer Ball che si sono circondati di una serie di collaboratori per lo più stranieri, passati da un abbaglio all'altro. Hanno puntato sulla trasformazione di Alitalia in una compagnia a 5 stelle proprio nel momento in cui il mercato andava da un'altra parte. Hanno maltrattato i sindacati creando fin da subito un clima di tensione. Sono arrivati perfino a scatenare uno sciopero generale a settembre dell'anno passato per una ridicola questione di viaggi gratis per i piloti. Hanno instaurato un clima di terrore licenziando a destra e a manca con motivazioni a volte più che prtetestuose. Hanno preteso perfino di cambiare le divise alle hostes
con abiti e colori di foggia discutibile, giudicati orrendi da chi li avrebbe dovuti indossare. Con grande lungimiranza il presidente del Consiglio di allora, Matteo Renzi, aveva salutato con entusiasmo la nuova era araba di Alitalia sostenendo che anche in quel caso si sarebbe voltata pagina e che la compagnia, reduce da un decennio di fallimenti, sarebbe tornata a volare. Usciti di scena, anzi scappati a gambe levate, molti dei vecchi patrioti scesi in pista anni prima, ai tempi della privatizzazione voluta da Silvio Berlusconi, a tenere alta la bandiera nazionale erano rimaste due grandi banche: Unicredit e Banca Intesa. Che non avevano voce in capitolo nella gestione diretta non avendono le competenze e che per di più non volevano metterci i soldi considerando l'impresa ad altissimo rischio. Così hanno fatto, sperando che gli arabi di Etihad riuscissero a tirar fuori le castagne dal fuoco. E invece i nuovi padroni non ne hanno azzeccata una. Hanno soppresso la manutenzione che era un fiore all'occhiello della compagnia di Fiumicino, affidandola all'esterno con un aggravio di costi del 40 per cento. Negli anni in cui il carburante scendeva ai minimi storici, hanno trovato perfino il verso di pagarlo un occhio della testa: 70 dollari a tonnellata invece di 50, grazie a contratti di assicurazione che secondo il segretario della Uiltrasporti, Claudio Tarlazzi, hanno favorito le banche azioniste della compagnia. Solo questo giochetto in 2 anni ha aperto un buco di 200 milioni di euro nel bilancio di Alitalia. Quando le banche si sono accorte che il nuovo corso non portava da nessuna parte, era troppo tardi. DA ULTIMO arabi e banche sono arrivati allo sbaglio al cubo: un piano industriale farlocco su cui hanno pretesero che votassero i 12 mila lavoratori di Alitalia. Hanno sbagliato perfino l'impostazione del referendum pretendendo che i dipendenti si esprimessero su un preaccordo sindacale sul costo del lavoro che come tutti sanno all'Alitalia è ormai a livelli fisiologici, tra il 16 e il 17 per cento dei costi totali, in linea perfino con compagnie low cost come Easyjet. Poi hanno subordinato la ricapitalizzazione dell'azienda e quindi il futuro del piano industriale (che era aria fritta) all'esito del voto. La prima reazione ufficiale degli azionisti Alitalia a nemmeno 24 ore dall'esito del referendum, negativo dal punto di vista dell'azienda, è stata quella di indire un consiglio di amministrazione per cantare il de profundis alla compagnia decidendo di non ricapitalizzarla e aprendo le porte al commissariamento. In realtà da un punto di vista strettamente economico la vittoria del no sposta veramente poco. Una cinquantina di milioni di euro l'anno che si sarebbero ottenuti con il taglio dell'8 per cento medio sul costo del lavoro del personale navigante, piloti e assistenti di volo. Sarebbe veramente sbalorditivo se ora la compagnia che perde circa 2 milioni al giorno, si autocondannasse alla scomparsa per 50 milioni di mancati risparmi in 12 mesi. Proprio in un momento in cui il traffico aereo mondiale è in uno stato di grazia e tutte le compagnie del mondo mediamente ben dirette guadagnano soldi a palate.
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Prossimamente ci saranno italiani contenti di andare ai gazebo, cavare 2 euro, per votare (comprare) delle pentole bucate, da mettere alla direzione del PD.
Vogliamo scommettere che ci saranno comunque tricolori che si recheranno ai gazebo, mentre sarebbero schifati di comprare mele taroccate, salumi e formaggi con la muffa, occhiali con una lente sola, camicie e golf unti e bisunti e via andare??????????
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INVESTITORE ESTERO 3 anni per fare peggio di prima
“Veni, vidi, persi” :
il colpo di grazia dato
da Renzi e da Etihad
Salutati come salvatori dopo la gestione pubblica e quella dei capitani coraggiosi sono riusciti a perdere un miliardo
» DANIELE MARTINI
C’ è un ennesimo errore capitale che i protagonisti dell'orribile vicenda Alitalia non dovrebbero aggiungere alla catena di castronerie compiute in questi anni. Che è davvero lunga: dai leasing degli aerei ottenuti a prezzi da amatori al carburante pagato almeno 20 dollari in più alla tonnellata. Vista però l'ingordigia con cui si sono tuffati sugli sbagli, c'è purtroppo da temere che ci ricaschino. L'errore che non dovrebbero compiere azionisti (Etihad, Unicredit e Banca Intesa) e manager è quello di considerare il referendum come la pietra tombale sull'Alitalia, senza tentare nuove e possibili soluzioni, magari con il coinvolgimento del governo che fino ad ora anche su questa vicenda non ha fatto una bella figura. L'obiettivo comune dovrebbe essere quello di salvare un'azienda che resta uno dei pochi assett del Paese e dà lavoro a 12 mila persone. GLI SBAGLI di questi anni sono davvero tanti e hanno tanti padri. A cominciare dalla scelta del cavaliere bianco che avrebbe dovuto salvare la compagnia: gli arabi di Etihad entrati nell'azionariato da padroni con il 49 per cento del capitale spendendo una cifra ridicola, appena 380 milioni di euro. Fu Luca Cordero di Montezemolo, allora presidente di Alitalia, a spendere il suo nome per quell'intesa. Che si è rivelata fallimentare. Gli arabi hanno scelto a loro volta manager australiani, James Hogan e Cramer Ball che si sono circondati di una serie di collaboratori per lo più stranieri, passati da un abbaglio all'altro. Hanno puntato sulla trasformazione di Alitalia in una compagnia a 5 stelle proprio nel momento in cui il mercato andava da un'altra parte. Hanno maltrattato i sindacati creando fin da subito un clima di tensione. Sono arrivati perfino a scatenare uno sciopero generale a settembre dell'anno passato per una ridicola questione di viaggi gratis per i piloti. Hanno instaurato un clima di terrore licenziando a destra e a manca con motivazioni a volte più che prtetestuose. Hanno preteso perfino di cambiare le divise alle hostes
con abiti e colori di foggia discutibile, giudicati orrendi da chi li avrebbe dovuti indossare. Con grande lungimiranza il presidente del Consiglio di allora, Matteo Renzi, aveva salutato con entusiasmo la nuova era araba di Alitalia sostenendo che anche in quel caso si sarebbe voltata pagina e che la compagnia, reduce da un decennio di fallimenti, sarebbe tornata a volare. Usciti di scena, anzi scappati a gambe levate, molti dei vecchi patrioti scesi in pista anni prima, ai tempi della privatizzazione voluta da Silvio Berlusconi, a tenere alta la bandiera nazionale erano rimaste due grandi banche: Unicredit e Banca Intesa. Che non avevano voce in capitolo nella gestione diretta non avendono le competenze e che per di più non volevano metterci i soldi considerando l'impresa ad altissimo rischio. Così hanno fatto, sperando che gli arabi di Etihad riuscissero a tirar fuori le castagne dal fuoco. E invece i nuovi padroni non ne hanno azzeccata una. Hanno soppresso la manutenzione che era un fiore all'occhiello della compagnia di Fiumicino, affidandola all'esterno con un aggravio di costi del 40 per cento. Negli anni in cui il carburante scendeva ai minimi storici, hanno trovato perfino il verso di pagarlo un occhio della testa: 70 dollari a tonnellata invece di 50, grazie a contratti di assicurazione che secondo il segretario della Uiltrasporti, Claudio Tarlazzi, hanno favorito le banche azioniste della compagnia. Solo questo giochetto in 2 anni ha aperto un buco di 200 milioni di euro nel bilancio di Alitalia. Quando le banche si sono accorte che il nuovo corso non portava da nessuna parte, era troppo tardi. DA ULTIMO arabi e banche sono arrivati allo sbaglio al cubo: un piano industriale farlocco su cui hanno pretesero che votassero i 12 mila lavoratori di Alitalia. Hanno sbagliato perfino l'impostazione del referendum pretendendo che i dipendenti si esprimessero su un preaccordo sindacale sul costo del lavoro che come tutti sanno all'Alitalia è ormai a livelli fisiologici, tra il 16 e il 17 per cento dei costi totali, in linea perfino con compagnie low cost come Easyjet. Poi hanno subordinato la ricapitalizzazione dell'azienda e quindi il futuro del piano industriale (che era aria fritta) all'esito del voto. La prima reazione ufficiale degli azionisti Alitalia a nemmeno 24 ore dall'esito del referendum, negativo dal punto di vista dell'azienda, è stata quella di indire un consiglio di amministrazione per cantare il de profundis alla compagnia decidendo di non ricapitalizzarla e aprendo le porte al commissariamento. In realtà da un punto di vista strettamente economico la vittoria del no sposta veramente poco. Una cinquantina di milioni di euro l'anno che si sarebbero ottenuti con il taglio dell'8 per cento medio sul costo del lavoro del personale navigante, piloti e assistenti di volo. Sarebbe veramente sbalorditivo se ora la compagnia che perde circa 2 milioni al giorno, si autocondannasse alla scomparsa per 50 milioni di mancati risparmi in 12 mesi. Proprio in un momento in cui il traffico aereo mondiale è in uno stato di grazia e tutte le compagnie del mondo mediamente ben dirette guadagnano soldi a palate.
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Re: IL LAVORO
26 apr 2017 12:51
HANNO FATTO I CONTI SENZA L’HOSTESS. CHI HA VOTATO “SI” E CHI HA VOTATO “NO” AL REFERENDUM ALITALIA
– I COBAS: ''ORA CI DEVONO NAZIONALIZZARE. RYANAIR NON E' UNA SOCIETA' TRASPARENTE''
– L’UOMO CGIL: ''HA PREVALSO LA RABBIA ED IO RESTO SENZA LAVORO''
1. HANNO VINTO GLI ARRABBIATI
Filippo Santelli per la Repubblica
«La preoccupazione è tanta. A 41 anni rischio di perdere il lavoro. E poi?». Luigi Crocini lavora da 17 anni al reparto manutenzione di Alitalia. E da delegato sindacale Cgil ha provato a convincere i colleghi ad approvare l' accordo. Nella sua sezione il sì ha vinto, ma non con i margini attesi. «È stato un voto di rabbia».
Eppure l' accordo avrebbe scongiurato l' esternalizzazione del vostro reparto...
« I sindacati hanno ottenuto qualcosa, ma una parte dei lavoratori non lo ha colto. Tanti sono esausti, sfiduciati. I contenuti sono passati in secondo piano».
Pensano che li salvi lo Stato?
«Molti sono convinti che ci sia un giorno dopo, che l' accordo fosse un bluff di azienda e governo. Mi auguro che il tavolo si possa riaprire, ma ho il timore che non sia così».
Ha paura che questo no le costi il lavoro?
«Sì. Nel 2009 ci furono tagli, ma all' epoca molti colleghi poterono contare su ammortizzatori fino alla pensione. Oggi avremo al massimo due anni di Naspi. E poi? Saremmo ancora più vecchi per cercare un nuovo lavoro».
2. CI AVREBBERO TAGLIATO LO STIPENDIO DEL 20%
Filippo Santelli per la Repubblica
<Hanno detto che i tagli allo stipendio sarebbero stati dell' 8%. Ma considerando tutte le voci si arrivava al 20%». Daniele Barzetti, 55 anni, da 31 assistente di volo e rappresentante del sindacato di base Usb, spiega così il suo no: «Il referendum non doveva esistere».
Perché?
«È stato un aut aut di governo e sindacati confederali, che anziché assumersi le responsabilità hanno messo il cerino nelle mani dei lavoratori».
Ora si parla di spezzatino, non sarà più doloroso per voi?
«Tutti temiamo questa possibilità, abbiamo votato con un peso sullo stomaco. Ma il no era l' unica scelta possibile: dopo anni di gestione privata non possiamo pagare ancora. Siamo stanchi. La nazionalizzazione è l' unica strada».
Altri soldi pubblici?
«Vero, è uno sforzo per i contribuenti. Ma tante compagnie estere sono partecipate dallo Stato ed efficienti».
E se arriva Ryanair a comprarsi le rotte?
«Un servizio strategico del Paese non può finire nelle mani di una società non trasparente».
HANNO FATTO I CONTI SENZA L’HOSTESS. CHI HA VOTATO “SI” E CHI HA VOTATO “NO” AL REFERENDUM ALITALIA
– I COBAS: ''ORA CI DEVONO NAZIONALIZZARE. RYANAIR NON E' UNA SOCIETA' TRASPARENTE''
– L’UOMO CGIL: ''HA PREVALSO LA RABBIA ED IO RESTO SENZA LAVORO''
1. HANNO VINTO GLI ARRABBIATI
Filippo Santelli per la Repubblica
«La preoccupazione è tanta. A 41 anni rischio di perdere il lavoro. E poi?». Luigi Crocini lavora da 17 anni al reparto manutenzione di Alitalia. E da delegato sindacale Cgil ha provato a convincere i colleghi ad approvare l' accordo. Nella sua sezione il sì ha vinto, ma non con i margini attesi. «È stato un voto di rabbia».
Eppure l' accordo avrebbe scongiurato l' esternalizzazione del vostro reparto...
« I sindacati hanno ottenuto qualcosa, ma una parte dei lavoratori non lo ha colto. Tanti sono esausti, sfiduciati. I contenuti sono passati in secondo piano».
Pensano che li salvi lo Stato?
«Molti sono convinti che ci sia un giorno dopo, che l' accordo fosse un bluff di azienda e governo. Mi auguro che il tavolo si possa riaprire, ma ho il timore che non sia così».
Ha paura che questo no le costi il lavoro?
«Sì. Nel 2009 ci furono tagli, ma all' epoca molti colleghi poterono contare su ammortizzatori fino alla pensione. Oggi avremo al massimo due anni di Naspi. E poi? Saremmo ancora più vecchi per cercare un nuovo lavoro».
2. CI AVREBBERO TAGLIATO LO STIPENDIO DEL 20%
Filippo Santelli per la Repubblica
<Hanno detto che i tagli allo stipendio sarebbero stati dell' 8%. Ma considerando tutte le voci si arrivava al 20%». Daniele Barzetti, 55 anni, da 31 assistente di volo e rappresentante del sindacato di base Usb, spiega così il suo no: «Il referendum non doveva esistere».
Perché?
«È stato un aut aut di governo e sindacati confederali, che anziché assumersi le responsabilità hanno messo il cerino nelle mani dei lavoratori».
Ora si parla di spezzatino, non sarà più doloroso per voi?
«Tutti temiamo questa possibilità, abbiamo votato con un peso sullo stomaco. Ma il no era l' unica scelta possibile: dopo anni di gestione privata non possiamo pagare ancora. Siamo stanchi. La nazionalizzazione è l' unica strada».
Altri soldi pubblici?
«Vero, è uno sforzo per i contribuenti. Ma tante compagnie estere sono partecipate dallo Stato ed efficienti».
E se arriva Ryanair a comprarsi le rotte?
«Un servizio strategico del Paese non può finire nelle mani di una società non trasparente».
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Re: IL LAVORO
Alitalia, così Etihad le ha dato il colpo di grazia
Tre anni di errori e un piano industriale farlocco
Carburante comprato a 70 dollari a tonnellata invece che 50. Tagli agli stipendi anche se il costo del lavoro è a livelli fisiologici. Tensioni con i sindacati. Le strategie fallimentari dei manager scelti dal socio arabo
C’è un ennesimo errore che i protagonisti della vicenda Alitalia non dovrebbero aggiungere alla catena di castronerie compiute in questi anni, da quando l’ex premier Matteo Renzi ha salutato con entusiasmo la nuova era araba. La lista è davvero lunga: dai leasing degli aerei ottenuti a prezzi da amatori al carburante pagato almeno 20 dollari in più alla tonnellata. L’errore che ora non dovrebbero compiere azionisti (Etihad, Unicredit e Banca Intesa) e manager è quello di considerare il referendum come la pietra tombale sull’Alitalia, senza tentare nuove e possibili soluzioni, magari con il coinvolgimento del governo
di Daniele Martini
Tre anni di errori e un piano industriale farlocco
Carburante comprato a 70 dollari a tonnellata invece che 50. Tagli agli stipendi anche se il costo del lavoro è a livelli fisiologici. Tensioni con i sindacati. Le strategie fallimentari dei manager scelti dal socio arabo
C’è un ennesimo errore che i protagonisti della vicenda Alitalia non dovrebbero aggiungere alla catena di castronerie compiute in questi anni, da quando l’ex premier Matteo Renzi ha salutato con entusiasmo la nuova era araba. La lista è davvero lunga: dai leasing degli aerei ottenuti a prezzi da amatori al carburante pagato almeno 20 dollari in più alla tonnellata. L’errore che ora non dovrebbero compiere azionisti (Etihad, Unicredit e Banca Intesa) e manager è quello di considerare il referendum come la pietra tombale sull’Alitalia, senza tentare nuove e possibili soluzioni, magari con il coinvolgimento del governo
di Daniele Martini
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Re: IL LAVORO
LA LOTTA POLITICA FATTA CON LA PROPAGANDA DEI MEDIA
Non un euro dallo Stato
Non merita e non ci possiamo più permettere un euro pubblico, cioè sottratto al nostro reddito, per darle l'ennesima spintarella
Nicola Porro - Mer, 26/04/2017 - 15:32
commenta
Negli ultimi quaranta anni l'Alitalia è costata ai contribuenti italiani 7,4 miliardi di euro, o se preferite 185 milioni l'anno (dati Mediobanca).
L'anno scorso, sotto la gestione Etihad, ha bruciato più del doppio. È stato come mettere alla cloche della compagnia il capitano dell'aereo più pazzo del mondo.
I lettori si potrebbero consolare con il fatto che gestire aeroplani è un mestiere in declino. Purtroppo anche questo non è vero. La Iata, l'organizzazione mondiale delle compagnie aeree, sostiene che il traffico aereo stia aumentando e che le compagnie aeree nel 2016 hanno registrato profitti netti aggregati pari a 36 miliardi di euro.
Ultima considerazione numerica, diciamo così. Gli azionisti di questa società sono privati. Alitalia è come la Rossi spa. Ha un numero importante di dipendenti e un indotto altrettanto vasto. Ma ormai è una società per azioni come tante. È strategica certamente. Come lo erano gli scaffali della grande distribuzione finiti in mano ai francesi, o le telecomunicazioni e l'energia.
Il suo asso nella manica è di essere basata a Roma, di trasportare anche politici e opinionisti. E di avere, per questa via, una grande influenza elettorale. È una bomba che scoppia spesso nell'imminenza di qualche competizione elettorale, e la politica ne ha sempre sentito il richiamo. Il vento pensavamo fosse cambiato.
Di una cosa siamo certi. Non merita e non ci possiamo più permettere un euro pubblico, cioè sottratto al nostro reddito, per darle l'ennesima spintarella.
Il tanto vituperato «populismo», quello contro le caste e i privilegi, pensavamo che questa volta ci potesse aiutare. Al contrario il sindaco di Roma, Virginia Raggi (in perfetta continuità con i suoi predecessori) chiede un qualche intervento pubblico e il suo leader designato, Luigi Di Maio dice: «I processi devono andare in un senso in cui lo Stato ha di nuovo la governance di quell'azienda». Roba da pazzi, o meglio da Pentapartito, con tutto il rispetto. Ma si tratta di un'era geologica fa. Il Pd proclama che non si lasceranno sole le famiglie. Il rischio è che anche il centrodestra si accodi.
Dal canto suo il governo dice, e fa bene, che non ci sarà alcuna nazionalizzazione. Anche perché banalmente l'Europa, che non ci concede una virgola di deficit, figurarsi se permette aiuti di Stato. Inevitabilmente ci saranno dei mesi di amministrazione straordinaria (sei, dice il ministro Calenda): che scadranno proprio a ridosso della campagna elettorale per le Politiche (in Italia ancora si vota).
Il momento peggiore per fare ciò che si deve.
Ps. Qualcuno ci deve spiegare perché gli accordi aziendali e le scelte dei manager debbono essere sottoposte a referendum tra i lavoratori. Una cosa è la democrazia, che peraltro non è sempre diretta, e un'altra è l'organizzazione aziendale.
Non un euro dallo Stato
Non merita e non ci possiamo più permettere un euro pubblico, cioè sottratto al nostro reddito, per darle l'ennesima spintarella
Nicola Porro - Mer, 26/04/2017 - 15:32
commenta
Negli ultimi quaranta anni l'Alitalia è costata ai contribuenti italiani 7,4 miliardi di euro, o se preferite 185 milioni l'anno (dati Mediobanca).
L'anno scorso, sotto la gestione Etihad, ha bruciato più del doppio. È stato come mettere alla cloche della compagnia il capitano dell'aereo più pazzo del mondo.
I lettori si potrebbero consolare con il fatto che gestire aeroplani è un mestiere in declino. Purtroppo anche questo non è vero. La Iata, l'organizzazione mondiale delle compagnie aeree, sostiene che il traffico aereo stia aumentando e che le compagnie aeree nel 2016 hanno registrato profitti netti aggregati pari a 36 miliardi di euro.
Ultima considerazione numerica, diciamo così. Gli azionisti di questa società sono privati. Alitalia è come la Rossi spa. Ha un numero importante di dipendenti e un indotto altrettanto vasto. Ma ormai è una società per azioni come tante. È strategica certamente. Come lo erano gli scaffali della grande distribuzione finiti in mano ai francesi, o le telecomunicazioni e l'energia.
Il suo asso nella manica è di essere basata a Roma, di trasportare anche politici e opinionisti. E di avere, per questa via, una grande influenza elettorale. È una bomba che scoppia spesso nell'imminenza di qualche competizione elettorale, e la politica ne ha sempre sentito il richiamo. Il vento pensavamo fosse cambiato.
Di una cosa siamo certi. Non merita e non ci possiamo più permettere un euro pubblico, cioè sottratto al nostro reddito, per darle l'ennesima spintarella.
Il tanto vituperato «populismo», quello contro le caste e i privilegi, pensavamo che questa volta ci potesse aiutare. Al contrario il sindaco di Roma, Virginia Raggi (in perfetta continuità con i suoi predecessori) chiede un qualche intervento pubblico e il suo leader designato, Luigi Di Maio dice: «I processi devono andare in un senso in cui lo Stato ha di nuovo la governance di quell'azienda». Roba da pazzi, o meglio da Pentapartito, con tutto il rispetto. Ma si tratta di un'era geologica fa. Il Pd proclama che non si lasceranno sole le famiglie. Il rischio è che anche il centrodestra si accodi.
Dal canto suo il governo dice, e fa bene, che non ci sarà alcuna nazionalizzazione. Anche perché banalmente l'Europa, che non ci concede una virgola di deficit, figurarsi se permette aiuti di Stato. Inevitabilmente ci saranno dei mesi di amministrazione straordinaria (sei, dice il ministro Calenda): che scadranno proprio a ridosso della campagna elettorale per le Politiche (in Italia ancora si vota).
Il momento peggiore per fare ciò che si deve.
Ps. Qualcuno ci deve spiegare perché gli accordi aziendali e le scelte dei manager debbono essere sottoposte a referendum tra i lavoratori. Una cosa è la democrazia, che peraltro non è sempre diretta, e un'altra è l'organizzazione aziendale.
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Re: IL LAVORO
UncleTom ha scritto:Alitalia, così Etihad le ha dato il colpo di grazia
Tre anni di errori e un piano industriale farlocco
Carburante comprato a 70 dollari a tonnellata invece che 50. Tagli agli stipendi anche se il costo del lavoro è a livelli fisiologici. Tensioni con i sindacati. Le strategie fallimentari dei manager scelti dal socio arabo
C’è un ennesimo errore che i protagonisti della vicenda Alitalia non dovrebbero aggiungere alla catena di castronerie compiute in questi anni, da quando l’ex premier Matteo Renzi ha salutato con entusiasmo la nuova era araba. La lista è davvero lunga: dai leasing degli aerei ottenuti a prezzi da amatori al carburante pagato almeno 20 dollari in più alla tonnellata. L’errore che ora non dovrebbero compiere azionisti (Etihad, Unicredit e Banca Intesa) e manager è quello di considerare il referendum come la pietra tombale sull’Alitalia, senza tentare nuove e possibili soluzioni, magari con il coinvolgimento del governo
di Daniele Martini
Alitalia, carburante a prezzi fuori mercato e tagli a stipendi già al livello di Easyjet: così Etihad ha dato il colpo di grazia
Tre anni per fare peggio di prima. Salutati come salvatori dopo la gestione pubblica e quella dei capitani coraggiosi, gli arabi sono riusciti a perdere un miliardo
A terra – L’ex ceo di Alitalia, James Hogan, e un aereo Etihad – Ansa
di Daniele Martini | 26 aprile 2017
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C’è un ennesimo errore capitale che i protagonisti dell’orribile vicenda Alitalia non dovrebbero aggiungere alla catena di castronerie compiute in questi anni. Che è davvero lunga: dai leasing degli aerei ottenuti a prezzi da amatori al carburante pagato almeno 20 dollari in più alla tonnellata. Vista però l’ingordigia con cui si sono tuffati sugli sbagli, c’è purtroppo da temere che ci ricaschino. L’errore che non dovrebbero compiere azionisti (Etihad, Unicredit e Banca Intesa) e manager è quello di considerare il referendum come la pietra tombale sull’Alitalia, senza tentare nuove e possibili soluzioni, magari con il coinvolgimento del governo che fino ad ora anche su questa vicenda non ha fatto una bella figura. L’obiettivo comune dovrebbe essere quello di salvare un’azienda che resta uno dei pochi asset del Paese e dà lavoro a 12mila persone.
Gli sbagli di questi anni sono davvero tanti e hanno tanti padri. A cominciare dalla scelta del cavaliere bianco che avrebbe dovuto salvare la compagnia: gli arabi di Etihad entrati nell’azionariato da padroni con il 49 per cento del capitale spendendo una cifra ridicola, appena 380 milioni di euro. Fu Luca Cordero di Montezemolo, allora presidente di Alitalia, a spendere il suo nome per quell’intesa. Che si è rivelata fallimentare. Gli arabi hanno scelto a loro volta manager australiani, James Hogan e Cramer Ball che si sono circondati di una serie di collaboratori per lo più stranieri, passati da un abbaglio all’altro.
Hanno puntato sulla trasformazione di Alitalia in una compagnia a 5 stelle proprio nel momento in cui il mercato andava da un’altra parte. Hanno maltrattato i sindacati creando fin da subito un clima di tensione. Sono arrivati perfino a scatenare uno sciopero generale a settembre dell’anno passato per una ridicola questione di viaggi gratis per i piloti. Hanno instaurato un clima di terrore licenziando a destra e a manca con motivazioni a volte più che pretestuose. Hanno preteso perfino di cambiare le divise alle hostess con abiti e colori di foggia discutibile, giudicati orrendi da chi li avrebbe dovuti indossare.
Con grande lungimiranza il presidente del Consiglio di allora, Matteo Renzi, aveva salutato con entusiasmo la nuova era araba di Alitalia sostenendo che anche in quel caso si sarebbe voltata pagina e che la compagnia, reduce da un decennio di fallimenti, sarebbe tornata a volare. Usciti di scena, anzi scappati a gambe levate, molti dei vecchi patrioti scesi in pista anni prima, ai tempi della privatizzazione voluta da Silvio Berlusconi, a tenere alta la bandiera nazionale erano rimaste due grandi banche: Unicredit e Banca Intesa. Che non avevano voce in capitolo nella gestione diretta non avendone le competenze e che per di più non volevano metterci i soldi considerando l’impresa ad altissimo rischio. Così hanno fatto, sperando che gli arabi di Etihad riuscissero a tirar fuori le castagne dal fuoco. E invece i nuovi padroni non ne hanno azzeccata una. Hanno soppresso la manutenzione che era un fiore all’occhiello della compagnia di Fiumicino, affidandola all’esterno con un aggravio di costi del 40 per cento. Negli anni in cui il carburante scendeva ai minimi storici, hanno trovato perfino il verso di pagarlo un occhio della testa: 70 dollari a tonnellata invece di 50, grazie a contratti di assicurazione che secondo il segretario della Uiltrasporti, Claudio Tarlazzi, hanno favorito le banche azioniste della compagnia. Solo questo giochetto in 2 anni ha aperto un buco di 200 milioni di euro nel bilancio di Alitalia. Quando le banche si sono accorte che il nuovo corso non portava da nessuna parte, era troppo tardi.
Da ultimo arabi e banche sono arrivati allo sbaglio al cubo: un piano industriale farlocco su cui hanno pretesero che votassero i 12mila lavoratori di Alitalia. Hanno sbagliato perfino l’impostazione del referendum pretendendo che i dipendenti si esprimessero su un preaccordo sindacale sul costo del lavoro che come tutti sanno all’Alitalia è ormai a livelli fisiologici, tra il 16 e il 17 per cento dei costi totali, in linea perfino con compagnie low cost come Easyjet. Poi hanno subordinato la ricapitalizzazione dell’azienda e quindi il futuro del piano industriale (che era aria fritta) all’esito del voto.
La prima reazione ufficiale degli azionisti Alitalia a nemmeno 24 ore dall’esito del referendum, negativo dal punto di vista dell’azienda, è stata quella di indire un consiglio di amministrazione per cantare il de profundis alla compagnia decidendo di non ricapitalizzarla e aprendo le porte al commissariamento. In realtà da un punto di vista strettamente economico la vittoria del no sposta veramente poco. Una cinquantina di milioni di euro l’anno che si sarebbero ottenuti con il taglio dell’8 per cento medio sul costo del lavoro del personale navigante, piloti e assistenti di volo. Sarebbe veramente sbalorditivo se ora la compagnia che perde circa 2 milioni al giorno, si autocondannasse alla scomparsa per 50 milioni di mancati risparmi in 12 mesi. Proprio in un momento in cui il traffico aereo mondiale è in uno stato di grazia e tutte le compagnie del mondo mediamente ben dirette guadagnano soldi a palate.
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Re: IL LAVORO
la gestione Alitalia è stata una gestione sciatta allo stato puro è necessaria quindi la precisione di Lufthansa attraverso la sua partecipazione azionaria ad Alitalia
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Re: IL LAVORO
VOLARE BASSO - 20.000 posti in bilico
QUANTI DI QUESTI 20.000 POSSONO TROVARE OCCUPAZIONE IN ALTRE COMPAGNIE?
E A QUALE CONDIZIONE???
EMIGRARE IN ALTRI STATI, SEDI DELLE COMPAGNIE DI VOLO????
PERCHE’ IL GOVERNO DEI FALLITI E LE OPPOSIZIONI, PURE FALLITE, TACCIONO????
COSA COMPORTEREBBE DAL PUNTO DI VISTA DELL’ECONOMIA REALE DI TUTTI I GIORNI, AGGIUNGERE 20.000 DISOCCUPATI, O QUALCUNO DI MENO SE TROVA OCCUPAZIONE ALL’ESTERO, GRAZIE AL LAVORO QUALIFICATO????
20,000, O POCO MENO CHE TIRANO LA CINGHIA PER SOPRAVVIVERE.
CHE EQUIVALE AD UNA RIDUZIONE DEI CONSUMI, CHE PRODUCE ULTERIORE CRISI OCCUPAZIONALE IN ALTRI SETTORI.
QUANTI DI QUESTI 20.000 POSSONO TROVARE OCCUPAZIONE IN ALTRE COMPAGNIE?
E A QUALE CONDIZIONE???
EMIGRARE IN ALTRI STATI, SEDI DELLE COMPAGNIE DI VOLO????
PERCHE’ IL GOVERNO DEI FALLITI E LE OPPOSIZIONI, PURE FALLITE, TACCIONO????
COSA COMPORTEREBBE DAL PUNTO DI VISTA DELL’ECONOMIA REALE DI TUTTI I GIORNI, AGGIUNGERE 20.000 DISOCCUPATI, O QUALCUNO DI MENO SE TROVA OCCUPAZIONE ALL’ESTERO, GRAZIE AL LAVORO QUALIFICATO????
20,000, O POCO MENO CHE TIRANO LA CINGHIA PER SOPRAVVIVERE.
CHE EQUIVALE AD UNA RIDUZIONE DEI CONSUMI, CHE PRODUCE ULTERIORE CRISI OCCUPAZIONALE IN ALTRI SETTORI.
Ultima modifica di UncleTom il 27/04/2017, 4:32, modificato 1 volta in totale.
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Re: IL LAVORO
Hanno fatto bene i lavoratori a votare NO basta con gli sciatti e con i ricatti parte dell'imprenditoria è malata e sciatta non ha nessun ordine nel fare le cose ,basta con questi imprendioriri da strapazzo dicendo NO i lavoratori hanno sbattutto fuori a calci nel culo dalla porta il managment fuori dalle balle.Meglio la Luftanza
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Re: IL LAVORO
NELL'ITALIA CHE NON C'E' PIU'
UHE!!!!!!!......MA CHE BELLA PENSATA.
DOPO ANGELINO JOLIE, VERDINI, TOTI, ECCO UN'ALTRA BELLA PENSATA DI UN PRODOTTO DEL FARAONE.
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"Il Primo maggio è la festa dei garantiti Ora va abolito lo statuto dei lavoratori»
Il fondatore di Energie per l'Italia: «Giù le tasse per creare nuovi posti»
Fabrizio De Feo - Lun, 01/05/2017 - 13:00
commenta
Roma Stefano Parisi, nel giorno della festa del Primo Maggio lei invita il centrodestra a rilanciare la propria centralità su questo tema.
In quale modo?
«Bisogna cominciare dicendo la verità e affermando con forza che il lavoro non è un tema di sinistra. Basti pensare che alla festa del lavoro parla in piazza il segretario della Cgil, ovvero il sindacato che con le sue rigidità maggiormente frena l'occupazione in questo Paese. Bisogna uscire dalla retrovia del Primo Maggio, festa in cui si celebrano coloro che difendono i garantiti».
Inizialmente Renzi sembrò volersi mettere di traverso rispetto alla Cgil.
«Nei fatti ha confermato l'impianto politico-sindacale della sinistra e ha sbagliato tutti gli interventi, tutelando chi ha già un lavoro come con gli 80 euro e aumentando la spesa pubblica e non la propensione al consumo. I risultati negativi sono sotto gli occhi di tutti perché è evidente che per aumentare i consumi serve uno stipendio in più in famiglia, non le mance a chi ha già un lavoro».
Lei ha in mente un intervento «drastico». Su quali punti vorrebbe puntare?
«Bisogna abolire lo statuto dei lavoratori a favore di uno statuto dei lavori come voleva Marco Biagi. Il Libro Bianco per noi è centrale. Servono garanzie minime sia per chi è dipendente, sia per chi è autonomo. Bisogna ridurre il peso dei contratti nazionali e fare in modo che la contrattazione si svolga a livello individuale e aziendale. La scuola deve formare non in base agli interessi del sindacato ma dei futuri lavoratori, le politiche di formazione non devono servire solo a dare uno stipendio ai formatori».
Il cuneo fiscale è tornato nelle ultime settimane al centro del dibattito sulle politiche economiche governative.
«Di certo bisogna ridurre la pressione fiscale per creare lavoro, ridurre il costo dell'amministrazione pubblica, fare in modo che gli investimenti privati generino occupazione. E poi magari reintrodurre i voucher, ovvero quel poco di buono fatto con il Jobs Act».
Lei imputa a Renzi di aver sprecato 26 miliardi. A cosa fa riferimento?
«Sì, non gli perdono l'aver sprecato 26 miliardi di flessibilità concessa dalla Commissione europea e non aver sfruttato in maniera strutturale i tassi bassi di quel periodo».
Cosa avrebbe dovuto fare?
«Aumentare gli investimenti, abbattere il debito e non usare gli 80 euro per fare campagna elettorale».
Lei invoca interventi drastici. Il Paese oggi è più pronto rispetto ai tentativi fatti dai governi di centrodestra?
«Oggi il sindacato è più debole come si vede nel caso Alitalia che denota una totale assenza di leadership. Inoltre le associazioni imprenditoriali è ora che escano dal limbo e scelgano di prendere posizioni politiche più forti perché il rischio è che i grillini salgano al potere e con le loro politiche assistenzialiste danneggino ulteriormente il Paese. Serve uno shock e tutti devono fare la loro parte».
UHE!!!!!!!......MA CHE BELLA PENSATA.
DOPO ANGELINO JOLIE, VERDINI, TOTI, ECCO UN'ALTRA BELLA PENSATA DI UN PRODOTTO DEL FARAONE.
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"Il Primo maggio è la festa dei garantiti Ora va abolito lo statuto dei lavoratori»
Il fondatore di Energie per l'Italia: «Giù le tasse per creare nuovi posti»
Fabrizio De Feo - Lun, 01/05/2017 - 13:00
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Roma Stefano Parisi, nel giorno della festa del Primo Maggio lei invita il centrodestra a rilanciare la propria centralità su questo tema.
In quale modo?
«Bisogna cominciare dicendo la verità e affermando con forza che il lavoro non è un tema di sinistra. Basti pensare che alla festa del lavoro parla in piazza il segretario della Cgil, ovvero il sindacato che con le sue rigidità maggiormente frena l'occupazione in questo Paese. Bisogna uscire dalla retrovia del Primo Maggio, festa in cui si celebrano coloro che difendono i garantiti».
Inizialmente Renzi sembrò volersi mettere di traverso rispetto alla Cgil.
«Nei fatti ha confermato l'impianto politico-sindacale della sinistra e ha sbagliato tutti gli interventi, tutelando chi ha già un lavoro come con gli 80 euro e aumentando la spesa pubblica e non la propensione al consumo. I risultati negativi sono sotto gli occhi di tutti perché è evidente che per aumentare i consumi serve uno stipendio in più in famiglia, non le mance a chi ha già un lavoro».
Lei ha in mente un intervento «drastico». Su quali punti vorrebbe puntare?
«Bisogna abolire lo statuto dei lavoratori a favore di uno statuto dei lavori come voleva Marco Biagi. Il Libro Bianco per noi è centrale. Servono garanzie minime sia per chi è dipendente, sia per chi è autonomo. Bisogna ridurre il peso dei contratti nazionali e fare in modo che la contrattazione si svolga a livello individuale e aziendale. La scuola deve formare non in base agli interessi del sindacato ma dei futuri lavoratori, le politiche di formazione non devono servire solo a dare uno stipendio ai formatori».
Il cuneo fiscale è tornato nelle ultime settimane al centro del dibattito sulle politiche economiche governative.
«Di certo bisogna ridurre la pressione fiscale per creare lavoro, ridurre il costo dell'amministrazione pubblica, fare in modo che gli investimenti privati generino occupazione. E poi magari reintrodurre i voucher, ovvero quel poco di buono fatto con il Jobs Act».
Lei imputa a Renzi di aver sprecato 26 miliardi. A cosa fa riferimento?
«Sì, non gli perdono l'aver sprecato 26 miliardi di flessibilità concessa dalla Commissione europea e non aver sfruttato in maniera strutturale i tassi bassi di quel periodo».
Cosa avrebbe dovuto fare?
«Aumentare gli investimenti, abbattere il debito e non usare gli 80 euro per fare campagna elettorale».
Lei invoca interventi drastici. Il Paese oggi è più pronto rispetto ai tentativi fatti dai governi di centrodestra?
«Oggi il sindacato è più debole come si vede nel caso Alitalia che denota una totale assenza di leadership. Inoltre le associazioni imprenditoriali è ora che escano dal limbo e scelgano di prendere posizioni politiche più forti perché il rischio è che i grillini salgano al potere e con le loro politiche assistenzialiste danneggino ulteriormente il Paese. Serve uno shock e tutti devono fare la loro parte».
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Re: IL LAVORO
CRONACA DI UN PAESE FALLITO
Dalla prima pagina de “La Stampa” in edicola il 3 Maggio 2017.
Titolo di testa in bella evidenza.
Rispetto all’anno scorso 103 mila in più: per la prima volta dal 2004 i senza lavoro in età matura sono più degli under 25
Disoccupazione, boom dopo i 50 anni
Crisi Alitalia: scelti i tre commissari, Renzi vuole una quota statale e pensa al Qatar
Ma c’è in questo c…. di Paese fallito, uno straccio di facente funzione di giornalista, ed un giornale che abbia il coraggio di chiedere al “DUCETTO”(così lo chiama Dagospia), di rendere conto della cazzate che ha prodotto durante la sua permanenza a Palazzo Chigi????
Dalla prima pagina de “La Stampa” in edicola il 3 Maggio 2017.
Titolo di testa in bella evidenza.
Rispetto all’anno scorso 103 mila in più: per la prima volta dal 2004 i senza lavoro in età matura sono più degli under 25
Disoccupazione, boom dopo i 50 anni
Crisi Alitalia: scelti i tre commissari, Renzi vuole una quota statale e pensa al Qatar
Ma c’è in questo c…. di Paese fallito, uno straccio di facente funzione di giornalista, ed un giornale che abbia il coraggio di chiedere al “DUCETTO”(così lo chiama Dagospia), di rendere conto della cazzate che ha prodotto durante la sua permanenza a Palazzo Chigi????
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