Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
8 Settembre 1943-(2.0)
Scrive oggi Marco Travaglio nel suo editoriale sul F.Q.:
Celle aperte, bocche chiuse
» MARCO TRAVAGLIO
Che le cose, nel 1992-’94, siano andate come le racconta il boss Giuseppe Graviano lo sanno benissimo da 25 anni tutti quelli che se ne sono occupati: da un lato mandanti, suggeritori, complici ed eredi; dall’altro inquirenti, pm, giudici e giornalisti informati dei fatti.
Chi scrive, nel suo piccolo, disse tutto quel che si poteva il 14 marzo 2001 su Rai2 al Satyricon di Daniele Luttazzi (che da allora smise di lavorare in tv). B.&C. ci chiesero decine di milioni di danni in otto cause civili e le persero tutte perché i fatti erano veri.
Eppure nel 2017 siamo ancora qui alla fiera dell’ipocrisia, circondati da sepolcri imbiancati e finti tonti che simulano stupore, arzigogolano dietrologie su “perché Graviano parla proprio ora” o sulle presunte simpatie a 5Stelle del pm Nino Di Matteo che ha depositato le intercettazioni al processo sulla trattativa Stato-mafia (come se a parlare nell’ora d’aria fosse stato il pm e non il boss).
E chiedono “le prove”: come se in questo quarto di secolo non avessimo ancora capito perché tutti quelli che sanno non parlano, se non per assaggi, messaggi, mezze verità, mentre tutto intorno chi sapeva e non garantiva il silenzio veniva suicidato in carcere, assassinato per strada, ammonito a stare zitto, scoraggiato a parlare da scandalosi insabbiamenti, depistaggi e assoluzioni, screditato da false accuse, indotto a ritrattare o a sputtanare ciò che aveva detto di vero con rivelazioni farlocche, ricompensato con favori segreti in cambio del suo mutismo
Scrive oggi Marco Travaglio nel suo editoriale sul F.Q.:
Celle aperte, bocche chiuse
» MARCO TRAVAGLIO
Che le cose, nel 1992-’94, siano andate come le racconta il boss Giuseppe Graviano lo sanno benissimo da 25 anni tutti quelli che se ne sono occupati: da un lato mandanti, suggeritori, complici ed eredi; dall’altro inquirenti, pm, giudici e giornalisti informati dei fatti.
Chi scrive, nel suo piccolo, disse tutto quel che si poteva il 14 marzo 2001 su Rai2 al Satyricon di Daniele Luttazzi (che da allora smise di lavorare in tv). B.&C. ci chiesero decine di milioni di danni in otto cause civili e le persero tutte perché i fatti erano veri.
Eppure nel 2017 siamo ancora qui alla fiera dell’ipocrisia, circondati da sepolcri imbiancati e finti tonti che simulano stupore, arzigogolano dietrologie su “perché Graviano parla proprio ora” o sulle presunte simpatie a 5Stelle del pm Nino Di Matteo che ha depositato le intercettazioni al processo sulla trattativa Stato-mafia (come se a parlare nell’ora d’aria fosse stato il pm e non il boss).
E chiedono “le prove”: come se in questo quarto di secolo non avessimo ancora capito perché tutti quelli che sanno non parlano, se non per assaggi, messaggi, mezze verità, mentre tutto intorno chi sapeva e non garantiva il silenzio veniva suicidato in carcere, assassinato per strada, ammonito a stare zitto, scoraggiato a parlare da scandalosi insabbiamenti, depistaggi e assoluzioni, screditato da false accuse, indotto a ritrattare o a sputtanare ciò che aveva detto di vero con rivelazioni farlocche, ricompensato con favori segreti in cambio del suo mutismo
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Re: Diario della caduta di un regime.
Un appunto che posso fare a Travaglio, se così si può chiamare, è quando precisa:UncleTom ha scritto:8 Settembre 1943-(2.0)
Scrive oggi Marco Travaglio nel suo editoriale sul F.Q.:
Celle aperte, bocche chiuse
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Che le cose, nel 1992-’94, siano andate come le racconta il boss Giuseppe Graviano lo sanno benissimo da 25 anni tutti quelli che se ne sono occupati: da un lato mandanti, suggeritori, complici ed eredi; dall’altro inquirenti, pm, giudici e giornalisti informati dei fatti.
Chi scrive, nel suo piccolo, disse tutto quel che si poteva il 14 marzo 2001 su Rai2 al Satyricon di Daniele Luttazzi (che da allora smise di lavorare in tv). B.&C. ci chiesero decine di milioni di danni in otto cause civili e le persero tutte perché i fatti erano veri.
Eppure nel 2017 siamo ancora qui alla fiera dell’ipocrisia, circondati da sepolcri imbiancati e finti tonti che simulano stupore, arzigogolano dietrologie su “perché Graviano parla proprio ora” o sulle presunte simpatie a 5Stelle del pm Nino Di Matteo che ha depositato le intercettazioni al processo sulla trattativa Stato-mafia (come se a parlare nell’ora d’aria fosse stato il pm e non il boss).
E chiedono “le prove”: come se in questo quarto di secolo non avessimo ancora capito perché tutti quelli che sanno non parlano, se non per assaggi, messaggi, mezze verità, mentre tutto intorno chi sapeva e non garantiva il silenzio veniva suicidato in carcere, assassinato per strada, ammonito a stare zitto, scoraggiato a parlare da scandalosi insabbiamenti, depistaggi e assoluzioni, screditato da false accuse, indotto a ritrattare o a sputtanare ciò che aveva detto di vero con rivelazioni farlocche, ricompensato con favori segreti in cambio del suo mutismo
Che le cose, nel 1992-’94, siano andate come le racconta il boss Giuseppe Graviano lo sanno benissimo da 25 anni tutti quelli che se ne sono occupati: da un lato mandanti, suggeritori, complici ed eredi; dall’altro inquirenti, pm, giudici e giornalisti informati dei fatti.
È che io, allora come oggi, stavo dall’altra parte.
Dalla parte dei lettori, e le informazioni le ricevevo da La Repubblica, quando ancora sembrava un quotidiano indipendente di sinistra.
Era emerso che i fratelli Graviano erano soci di Berlusconi.
Milano 1 e Milano 2 sono stati costruiti con i soldi della mafia.
Quando i Graviano sono stati incarcerati, Silviolo ha goduto di quegli affari.
Ma la domanda già allora era concentrata su come avrebbero regolato i conti quando i Graviano fossero usciti dal carcere.
Il 9 giugno u.s., il Fatto Quotidiano ha scritto:
“Silvio traditore: gli faccio fare una mala vecchiaia” – Di sicuro c’è solo che pochi giorni dopo – il 27 gennaio del 1994 – il boss di Brancaccio viene arrestato a Milano. Intercettato in carcere Graviano oggi prova sentimenti di vendetta nei confronti dell’ex cavaliere. “Berlusconi – dice – quando ha iniziato negli anni ’70 ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel ’94 si è ubriacato e ha detto: Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore“. Un concetto – quello del tradimento – sul quale Graviano torna più volte. “Venticinque anni mi sono seduto con te, giusto? – dice in un altro passaggio delle intercettazioni – Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo, perché sa il mio carattere. Perché tu lo sai che io mi sto facendo, mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta e senza soldi: alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, i giorni passano, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera“. Quindi il mafioso stragista continua: “Al Signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia. Pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste“.
Ha detto Graviano:
…mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta e senza soldi:….
Questo sembra il vero movente dello “sgarro” dei Graviano.
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Re: Diario della caduta di un regime.
8 Settembre 1943-(2.0)
IN UNA GUERRA DISPERATA COME QUESTA, MI SEMBRA OVVIO CHE SILVIOLO, E L’AVVOCATO GHEDINI NEGHINO TUTTO E GLI STURMTRUPPEN CHE SI SENTONO CON LE SPALLE AL MURO CERCHINO DI ACCREDITARE UN’ALTRA’ VERITA’.
IL CAMERATA SALLUSTI HA QUINDI SCRITTO:
Arriva il "Mafiellum"
Fango giudiziario a orologeria: un capomafia accusa Berlusconi proprio quando si doveva votare il Tedeschellum
Alessandro Sallusti - Sab, 10/06/2017 - 15:53
commenta
Il timer era stato impostato alla perfezione perché la bomba esplodesse nel momento più delicato della discussione alla Camera sulla nuova legge elettorale voluta da Berlusconi e Renzi.
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La mossa disperata dei pm
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Le inchieste finite in flop
L'esplosione avrebbe dovuto, nei piani dei bombaroli, far saltare in aria l'accordo e rigettare Silvio Berlusconi nella impresentabilità e quindi nella marginalità politica. E in effetti ieri lo scoppio c'è stato, ma a salve. Perché neppure questi terroristi mediatici avevano immaginato che Grillo, tradendo la sua parola e i suoi elettori, avrebbe fatto saltare tutto con ventiquattro ore d'anticipo e per conto suo.
La bomba di cui parliamo è una nuova, ennesima, presunta dichiarazione intercettata a un capo mafia in carcere secondo la quale ci sarebbe Berlusconi dietro le stragi di mafia che insanguinarono l'Italia nei primi anni Novanta.
Avete capito bene: non dietro Ruby ma dietro la mafia, anzi davanti visto che i picciotti avrebbero preso ordini direttamente dal Cavaliere. Verrebbe da ridere se non fosse che questa ipotesi fu purtroppo presa seriamente già in passato, ma sia i fantasiosi pm di Firenze nel '94 che i loro colleghi di Caltanissetta nei primi anni Duemila dopo ampie indagini dovettero arrendersi all'evidenza, oltre che al buonsenso, e chiedere loro stessi l'archiviazione per assoluta mancanza di indizi.
Quando i poteri occulti sono alla frutta hanno due strade. O tirano sòle al Pm di Napoli Woodcock, come è accaduto con i falsi su papà Renzi (ieri persino il Fatto Quotidiano ha dovuto porre le scuse per aver cavalcato quell'inchiesta farlocca), o innescano un mafioso a caso (successe già in passato, sempre con Berlusconi nel mirino, con Spatuzza e Ciancimino). Poi si trova il giornalista consenziente - meglio se in coppia con un conduttore televisivo di chiara fama, sul tipo di Santoro - e il gioco è fatto.
La vera notizia, a questo punto, è che neppure la mafia vuole che si vada a votare e ce lo fa sapere attraverso i servizi deviati che spacciano le intercettazioni scelte ad arte e utili allo scopo.
Ma la notizia è anche un'altra. Se dopo qualche anno di tregua si torna a infangare Berlusconi come ai vecchi tempi vuole dire che l'uomo è tornato centrale e fa paura a chi aveva deciso di spartirsi il Paese senza più dover fare i conti con lui e con i suoi elettori. Io non so quando e con che legge si andrà a votare, né la cosa mi appassiona più di tanto. Ma so che chi la pensa come noi sarà della partita, e ieri ne abbiamo avuto la riprova. Perché i servizi non scomodano un mafioso schifoso per nulla.
IN UNA GUERRA DISPERATA COME QUESTA, MI SEMBRA OVVIO CHE SILVIOLO, E L’AVVOCATO GHEDINI NEGHINO TUTTO E GLI STURMTRUPPEN CHE SI SENTONO CON LE SPALLE AL MURO CERCHINO DI ACCREDITARE UN’ALTRA’ VERITA’.
IL CAMERATA SALLUSTI HA QUINDI SCRITTO:
Arriva il "Mafiellum"
Fango giudiziario a orologeria: un capomafia accusa Berlusconi proprio quando si doveva votare il Tedeschellum
Alessandro Sallusti - Sab, 10/06/2017 - 15:53
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Il timer era stato impostato alla perfezione perché la bomba esplodesse nel momento più delicato della discussione alla Camera sulla nuova legge elettorale voluta da Berlusconi e Renzi.
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La mossa disperata dei pm
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Le inchieste finite in flop
L'esplosione avrebbe dovuto, nei piani dei bombaroli, far saltare in aria l'accordo e rigettare Silvio Berlusconi nella impresentabilità e quindi nella marginalità politica. E in effetti ieri lo scoppio c'è stato, ma a salve. Perché neppure questi terroristi mediatici avevano immaginato che Grillo, tradendo la sua parola e i suoi elettori, avrebbe fatto saltare tutto con ventiquattro ore d'anticipo e per conto suo.
La bomba di cui parliamo è una nuova, ennesima, presunta dichiarazione intercettata a un capo mafia in carcere secondo la quale ci sarebbe Berlusconi dietro le stragi di mafia che insanguinarono l'Italia nei primi anni Novanta.
Avete capito bene: non dietro Ruby ma dietro la mafia, anzi davanti visto che i picciotti avrebbero preso ordini direttamente dal Cavaliere. Verrebbe da ridere se non fosse che questa ipotesi fu purtroppo presa seriamente già in passato, ma sia i fantasiosi pm di Firenze nel '94 che i loro colleghi di Caltanissetta nei primi anni Duemila dopo ampie indagini dovettero arrendersi all'evidenza, oltre che al buonsenso, e chiedere loro stessi l'archiviazione per assoluta mancanza di indizi.
Quando i poteri occulti sono alla frutta hanno due strade. O tirano sòle al Pm di Napoli Woodcock, come è accaduto con i falsi su papà Renzi (ieri persino il Fatto Quotidiano ha dovuto porre le scuse per aver cavalcato quell'inchiesta farlocca), o innescano un mafioso a caso (successe già in passato, sempre con Berlusconi nel mirino, con Spatuzza e Ciancimino). Poi si trova il giornalista consenziente - meglio se in coppia con un conduttore televisivo di chiara fama, sul tipo di Santoro - e il gioco è fatto.
La vera notizia, a questo punto, è che neppure la mafia vuole che si vada a votare e ce lo fa sapere attraverso i servizi deviati che spacciano le intercettazioni scelte ad arte e utili allo scopo.
Ma la notizia è anche un'altra. Se dopo qualche anno di tregua si torna a infangare Berlusconi come ai vecchi tempi vuole dire che l'uomo è tornato centrale e fa paura a chi aveva deciso di spartirsi il Paese senza più dover fare i conti con lui e con i suoi elettori. Io non so quando e con che legge si andrà a votare, né la cosa mi appassiona più di tanto. Ma so che chi la pensa come noi sarà della partita, e ieri ne abbiamo avuto la riprova. Perché i servizi non scomodano un mafioso schifoso per nulla.
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Re: Diario della caduta di un regime.
SCRIVEVA LA REPUBBLICA NEL 2009:
Sono i soldi degli inizi del Cavaliere l'asso nella manica dei fratelli ...
http://www.repubblica.it/2009/10/sezion ... nti-1.html
1.
28 nov 2009 - E ha pochi dubbi che Giuseppe Graviano (che chiama "Madre Natura" o "Mio padre") "si giocherà l'asso" contro chi a Milano è stato il mediatore degli affari di famiglia, ... È il 16 marzo 2009, il mafioso di Brancaccio racconta ai pubblici .... Con quali capitali, Berlusconi abbia preso il volo, a metà degli ...
L'INCHIESTA - Il peso del ricatto al premier della famiglia di Brancaccio
sembra legato all'inizio della sua storia di imprenditore
Sono i soldi degli inizi del Cavaliere
l'asso nella manica dei fratelli Graviano
Più che un eventuale avviso di garanzia per le stragi del '93, il premier dovrebbe
temere il coinvolgimento da parte delle cosche sulle storie di denaro affari e politica
di ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D'AVANZO
Giuseppe Graviano
Soldi. Soldi "loro" che non sono rimasti in Sicilia, ma "portati su", lontano da Palermo. "Filippo Graviano mi parlava come se fosse un suo investimento, come se la Fininvest fossero soldi messi da tasca sua". Per Gaspare Spatuzza, da qualche parte, la famiglia di Brancaccio ha "un asso nella manica". Quale può essere questo "jolly" non è più un mistero. Per i mafiosi, che riferiscono quel che sanno ai procuratori di Firenze, è una realtà il ricatto per Berlusconi che Cosa Nostra nasconde sotto la controversa storia delle stragi del 1993. Nell'interrogatorio del 16 marzo 2009, Spatuzza non parla più di morte, di bombe, di assassini, ma del denaro dei Graviano. E ha pochi dubbi che Giuseppe Graviano (che chiama "Madre Natura" o "Mio padre") "si giocherà l'asso" contro chi a Milano è stato il mediatore degli affari di famiglia, Marcello Dell'Utri, e l'utilizzatore di quelle risorse, Silvio Berlusconi.
Il mafioso ricostruisce la storia imprenditoriale della cosca di Brancaccio, con i Corleonesi di Riina e Bagarella e i Trapanesi di Matteo Messina Denaro, il nocciolo duro e irriducibile di Cosa nostra siciliana.
È il 16 marzo 2009, il mafioso di Brancaccio racconta ai pubblici ministeri del "tesoro" dei Graviano. "Cento lire non gliele hanno levate a tutt'oggi. Non gli hanno sequestrato niente e sono ricchissimi".
"Non si fidano di nessuno, hanno costruito in questi vent'anni un patrimonio immenso". Per Gaspare Spatuzza, due più due fa sempre quattro. Dopo il 1989 e fino al 27 gennaio 1994 (li arrestano ai tavoli di "Gigi il cacciatore" di via Procaccini), Filippo e Giuseppe decidono di starsene latitanti a Milano e non a Palermo. Hanno le loro buone ragioni. A Milano possono contare su protezioni eccellenti e insospettabili che li garantiscono meglio delle strade strette di Brancaccio dove non passa inosservato nemmeno uno spillo. E dunque perché? "E' anomalissimo", dice il mafioso, ma la chiave è nel denaro. A Milano non ci sono uomini della famiglia, ma non importa perché ci sono i loro soldi e gli uomini che li custodiscono. I loro nomi forse non sono un mistero. Di più, Gaspare Spatuzza li suggerisce. Interrogatorio del 16 giugno: "Filippo ha nutrito sempre simpatia nei riguardi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, (...) Filippo è tutto patito dell'abilità manageriale di Berlusconi. Potrei riempire pagine e pagine di verbale [per raccontare] della simpatia e del... possiamo dire ... dell'amore che lo lega a Berlusconi e Dell'Utri".
"L'asso nella manica" di Giuseppe Graviano, "il jolly" evocato dal mafioso come una minaccia - sostengono fonti vicine all'inchiesta - non è nella fitta rete di contatti, reciproche e ancora misteriose influenze che hanno preceduto le cinque stragi del 1993 - lo conferma anche Spatuzza - , ma nelle connessioni di affari che, "negli ultimi vent'anni", la famiglia di Brancaccio ha coltivato a Milano. E' la rassicurante condizione che rende arrogante anche Filippo, solitamente equilibrato. Dice Gaspare: "[Filippo mi disse]: facceli fare i processi a loro, perché un giorno glieli faremo noi, i processi".
Nella lettura delle migliaia di pagine di interrogatorio, ora agli atti del processo di appello di Marcello Dell'Utri, pare necessario allora non farsi imprigionare da quel doloroso 1993, ma tenere lo sguardo più lungo verso il passato perché le stragi di quell'anno sono soltanto la fine (provvisoria e sfuggente) di una storia, mentre i mafiosi che hanno saltato il fosso - e i boss che hanno autorizzato la manovra - parlano di un inizio e su quell'epifania sembrano fare affidamento per la resa dei conti con il capo del governo.
Le cose stanno così. Berlusconi non deve temere il suo coinvolgimento - come mandante - nelle stragi non esclusivamente mafiose del 1993. Può mettere fin da ora nel conto che sarà indagato, se già non lo è a Firenze. Molti saranno gli strepiti quando la notizia diventerà ufficiale, ma va ricordato che l'iscrizione al registro degli indagati mette in chiaro la situazione, tutela i diritti della difesa, garantisce all'indagato tempi certi dell'istruttoria (limitati nel tempo). Quando l'incolpazione diventerà pubblica, l'immagine internazionale del premier ne subirà un danno, è vero, ma il Cavaliere ha dimostrato di saper reggere anche alle pressioni più moleste. E comunque quel che deve intimorire e intimorisce oggi il premier non è la personale credibilità presso le cancellerie dell'Occidente, ma fin dove si può spingere e si spingerà l'aggressione della famiglia mafiosa di Brancaccio, determinata a regolare i conti con l'uomo - l'imprenditore, il politico - da cui si è sentita "venduta" e tradita, dopo "le trattative" del 1993 (nascita di Forza Italia), gli impegni del 1994 (primo governo Berlusconi), le attese del 2001 (il Cavaliere torna a Palazzo Chigi dopo la sconfitta del '96), le più recenti parole del premier: "Voglio passare alla storia come il presidente del consiglio che ha distrutto la mafia" (agosto 2009).
Filippo Graviano
Mandate in avanscoperta, non contraddette o isolate dai boss, le "seconde file" della cosca - manovali del delitto e della strage al tritolo - hanno finora tirato dentro il Cavaliere e Marcello Dell'Utri come ispiratori della campagna di bombe, inedita per una mafia che in Continente non ha mai messo piede - nel passato - per uccidere innocenti. Fonti vicine alle inchieste (quattro, Firenze, Caltanissetta, Palermo, Milano) non nascondono però che raccogliere le fonti di prove necessarie per un processo sarà un'impresa ardua dall'esito oggi dubbio e soltanto ipotetico. Non bastano i ricordi di mafiosi che "disertano". Non sono sufficienti le parole che si sono detti tra loro, dentro l'organizzazione. Non possono essere definitive le prudenti parole di dissociazione di Filippo Graviano o il trasversale messaggio di Giuseppe che promette ai magistrati "una mano d'aiuto per trovare la verità". Occorrono, come li definisce la Cassazione, "riscontri intrinseci ed estrinseci", corrispondenze delle parole con fatti accertabili. Detto con chiarezza, sarà molto difficile portare in un'aula di tribunale l'impronta digitale di Silvio Berlusconi nelle stragi del 1993.
Questo affondo della famiglia di Brancaccio sembra - vagliato allo stato delle cose di oggi - soltanto un avvertimento che Cosa Nostra vuole dare alla letale quiete che sta distruggendo il potere dell'organizzazione e, soprattutto, uno scrollone a uno stallo senza futuro, che l'allontana dal recupero di risorse essenziali per ritrovare l'appannato prestigio.
Marcello Dell'Utri
Il denaro, i piccioli, in queste storie di mafia, sono sempre curiosamente trascurati anche se i mafiosi, al di là della retorica dell'onore e della famiglia, altro non hanno in testa. I Graviano, dice Gaspare Spatuzza, non sono un'eccezione. Nel loro caso, addirittura sono più lungimiranti. Nei primi anni novanta, Filippo e Giuseppe preparano l'addio alla Sicilia, "la dismissione del loro patrimonio" nell'isola. Spatuzza (16 giugno 2009): "Nel 1991, vendono, svendono il patrimonio. Cercano i soldi, [vogliono] liquidità e io non so come sono stati impiegati [poi] questi capitali, e per quali acquisizioni. Certo, non sono restati in Sicilia". I Graviano, a Gaspare, non appaiono più interessati "alle attività illecite". "Quando Filippo esce [dal carcere] nell'88 o nel 1989, esce con questa mania, questa grandezza imprenditoriale. I Graviano hanno già, per esempio, le tre Standa di Palermo affidate a un prestanome, in corso Calatafimi a Porta Nuova, in via Duca Della Verdura, in via Hazon a Brancaccio". Filippo - sempre lui - si sforza di far capire anche a uno come Spatuzza, imbianchino, le opportunità e anche i rischi di un impegno nella finanza. Le sue parole svelano che ha già a disposizione uomini, canali, punti di riferimento, competenze. "[Filippo] mi parla di Borsa, di Tizio, di Caio, di investimenti, di titoli. (...). Mi dice: [vedi Gaspare], io so quanto posso guadagnare nel settore dell'edilizia, ma se investo in Borsa, nel mercato finanziario, posso perdere e guadagnare, non c'è certezza. Addirittura si dice che a volte, se si benda una scimmia e le si fa toccare un tasto, può riuscire meglio di un esperto. Filippo è attentissimo nel seguire gli scambi, legge ogni giorno il Sole 24ore. Tiene in considerazione la questione Fininvest, d'occhio [il volume degli] investimenti pubblicitari. Mi dice [meraviglie] di una trasmissione come Striscia la notizia. Minimo investimento, massima raccolta [di spot], introiti da paura. "Il programma più redditizio della Fininvest", dice. Abbiamo parlato anche di Telecom, Fiat, Piaggio, Colaninno, Tronchetti Provera, ma la Fininvest era, posso dire, un terreno di sua pertinenza, come [se fosse] un [suo] investimento, come se fossero soldi messi da tasca sua, la Fininvest".
E' l'interrogatorio del 29 giugno 2009. Gaspare conclude: "Le [mie] dichiarazioni non possono bruciare l'asso [conservato nella manica] di Giuseppe" perché "il jolly" non ha nulla a che spartire con la Sicilia, con le stragi, con quell'orizzonte mafioso che è il solo paesaggio sotto gli occhi di Spatuzza. Un mese dopo (28 luglio 2009), i pubblici ministeri chiedono a Filippo in modo tranchant dove siano le sue ricchezze. Quello risponde: "Non ne parlo e mi dispiace non poterne parlare".
Ora, per raccapezzarci meglio in questo labirinto, si deve ricordare che i legami tra Marcello Dell'Utri e i paesani di Palermo non sono una novità. Come non sono sconosciuti gli incontri - nella metà degli anni settanta - tra Silvio Berlusconi e la créme de la créme di Cosa Nostra (Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Tanino Cinà, Francesco Di Carlo). Né sono inedite le rivelazioni sulla latitanza di Gaetano e Antonino Grado nella tenuta di Villa San Martino ad Arcore, protetta dalla presenza di Vittorio Mangano, capo del mandamento di Porta Nuova (il mafioso, "che poteva chiedere qualsiasi cosa a Dell'Utri", siede alla tavola di Berlusconi anche nelle cene ufficiali, altro che "stalliere"). Nella scena che prepara la confessione di Gaspare Spatuzza, quel che è originale è l'esistenza di "un asso" che, giocato da Giuseppe Graviano, potrebbe compromettere il racconto mitologico dell'avventura imprenditoriale del presidente del consiglio.
Con quali capitali, Berlusconi abbia preso il volo, a metà degli settanta, ancora oggi è mistero glorioso e ben protetto. Molto si è ragionato sulle fidejussioni concessegli da una boutique del credito come la Banca Rasini; sul flusso di denaro che gli consente di tenere a battesimo Edilnord e i primi ambiziosi progetti immobiliari. Probabilmente capitali sottratti al fisco, espatriati, rientrati in condizioni più favorevoli, questo era il mestiere del conte Carlo Rasini. Ma è ancora nell'aria la convinzione che non tutta la Fininvest sia sotto il controllo del capo del governo.
Molte testimonianze di "personaggi o consulenti che hanno lavorato come interni al gruppo", rilasciate a Paolo Madron (autore, nel 1994, di una documentata biografia molto friendly, Le gesta del Cavaliere, Sperling&Kupfer), riferiscono che "sono [di Berlusconi] non meno dell'80 per cento delle azioni delle [22] holding [che controllano Fininvest]. Sull'altro 20 per cento, per la gioia di chi cerca, ci si può ancora sbizzarrire". Sembra di poter dire che il peso del ricatto della famiglia di Brancaccio contro Berlusconi può esercitarsi proprio tra le nebbie di quel venti per cento. In un contesto che tutti dovrebbe indurre all'inquietudine. Cosa Nostra minaccia in un regolamento di conti il presidente del consiglio. Ne conosce qualche segreto. Ha con lui delle cointeressenze antiche e inconfessabili. Le agita per condizionarne le scelte, ottenerne utili legislativi, regole carcerarie più favorevoli, minore pressione poliziesca e soprattutto la disponibilità di ricchezze che (lascia intuire) le sono state trafugate. In questo conflitto - da un lato, una banda di assassini; dall'altro un capo di governo liberamente eletto dal popolo, nonostante le sue opacità - non c'è dubbio con chi bisogna stare. E tuttavia, per sottrarsi a quel ricatto rovinoso, anche Berlusconi è chiamato a fare finalmente luce sull'inizio della sua storia d'imprenditore.
Il Cavaliere dice che si è fatto da sé correndo in salita senza capitali alle spalle. Sostiene di essere il proprietario unico delle holding che controllano Mediaset (ma quante sono, una buona volta, ventidue o trentotto?). E allora l'altro venti per cento di Mediaset di chi è? Davvero, come raccontano ora gli uomini di Brancaccio, è della mafia? È stata la Cosa Nostra siciliana allora a finanziarlo nei suoi primi, incerti passi di imprenditore? Già glielo avrebbero voluto chiedere i pubblici ministeri di Palermo che pure qualche indizio in mano ce l'avevano.
Quel dubbio non può essere trascurabile per un uomo orgoglioso di avercela fatta senza un gran nome, senza ricchezze familiari, un outsider nell'Italia ingessata delle consorterie e prepotente delle lobbies.
Berlusconi, in occasione del processo di primo grado contro Marcello Dell'Utri, avrebbe potuto liberarsi di quel sospetto con poche parole. Avrebbe potuto dire il suo segreto; raccontare le fatiche che ha affrontato; ricordare le curve che ha dovuto superare, anche le minacce che gli sono piovute sul capo. Poche parole con lingua secca e chiara. E lui, invece, niente. Non dice niente. L'uomo che parla ossessivamente di se stesso, compulsivamente delle sue imprese, tace e dimentica di dirci l'essenziale. Quando i giudici lo interrogano a Palazzo Chigi (è il 26 novembre 2002, guida il governo), "si avvale della facoltà di non rispondere". Glielo consente la legge (è stato indagato in quell'inchiesta), ma quale legge non scritta lo obbliga a tollerare sulle spalle quell'ombra così sgradevole e anche dolorosa, un'ombra che ipoteca irrimediabilmente la sua rispettabilità nel mondo - nel mondo perché noi, in Italia, siamo più distratti? Qual è il rospo che deve sputare? Che c'è di peggio di essere accusato di aver tenuto il filo - o, peggio, di essere stato finanziariamente sostenuto - da un potere criminale che in Sicilia ha fatto più morti che la guerra civile nell'Irlanda del Nord? Che c'è di peggio dell'accusa di essere un paramafioso, il riciclatore di denaro che puzza di paura e di morte? Un'evasione fiscale? Un trucco di bilancio? Chi può mai crederlo nell'Italia che ammira le canaglie. Per quella ragione, gli italiani lo avrebbero apprezzato di più, non di meno. Avrebbero detto: ma guarda quel bauscia, è furbissimo, ha truccato i conti, gabbato lo Stato e vedi un po' dove è arrivato e con quale ricchezza!
D'altronde anche per questo scellerato fascino, gli italiani lo votano e gli regalano la loro fiducia. E dunque che c'è di indicibile nei finanziamenti oscuri, senza padre e domicilio, che gli consentono di affatturarsi i primi affari?
E' giunto il tempo, per Berlusconi, di fare i conti con il suo passato. Non in un'aula di giustizia, ma en plein air dinanzi all'opinione pubblica. Prima che sia Cosa Nostra a intrappolarlo e, con lui, il legittimo governo del Paese.
© Riproduzione riservata(28 novembre 2009)Tutti gli articoli di cronaca
Sono i soldi degli inizi del Cavaliere l'asso nella manica dei fratelli ...
http://www.repubblica.it/2009/10/sezion ... nti-1.html
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28 nov 2009 - E ha pochi dubbi che Giuseppe Graviano (che chiama "Madre Natura" o "Mio padre") "si giocherà l'asso" contro chi a Milano è stato il mediatore degli affari di famiglia, ... È il 16 marzo 2009, il mafioso di Brancaccio racconta ai pubblici .... Con quali capitali, Berlusconi abbia preso il volo, a metà degli ...
L'INCHIESTA - Il peso del ricatto al premier della famiglia di Brancaccio
sembra legato all'inizio della sua storia di imprenditore
Sono i soldi degli inizi del Cavaliere
l'asso nella manica dei fratelli Graviano
Più che un eventuale avviso di garanzia per le stragi del '93, il premier dovrebbe
temere il coinvolgimento da parte delle cosche sulle storie di denaro affari e politica
di ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D'AVANZO
Giuseppe Graviano
Soldi. Soldi "loro" che non sono rimasti in Sicilia, ma "portati su", lontano da Palermo. "Filippo Graviano mi parlava come se fosse un suo investimento, come se la Fininvest fossero soldi messi da tasca sua". Per Gaspare Spatuzza, da qualche parte, la famiglia di Brancaccio ha "un asso nella manica". Quale può essere questo "jolly" non è più un mistero. Per i mafiosi, che riferiscono quel che sanno ai procuratori di Firenze, è una realtà il ricatto per Berlusconi che Cosa Nostra nasconde sotto la controversa storia delle stragi del 1993. Nell'interrogatorio del 16 marzo 2009, Spatuzza non parla più di morte, di bombe, di assassini, ma del denaro dei Graviano. E ha pochi dubbi che Giuseppe Graviano (che chiama "Madre Natura" o "Mio padre") "si giocherà l'asso" contro chi a Milano è stato il mediatore degli affari di famiglia, Marcello Dell'Utri, e l'utilizzatore di quelle risorse, Silvio Berlusconi.
Il mafioso ricostruisce la storia imprenditoriale della cosca di Brancaccio, con i Corleonesi di Riina e Bagarella e i Trapanesi di Matteo Messina Denaro, il nocciolo duro e irriducibile di Cosa nostra siciliana.
È il 16 marzo 2009, il mafioso di Brancaccio racconta ai pubblici ministeri del "tesoro" dei Graviano. "Cento lire non gliele hanno levate a tutt'oggi. Non gli hanno sequestrato niente e sono ricchissimi".
"Non si fidano di nessuno, hanno costruito in questi vent'anni un patrimonio immenso". Per Gaspare Spatuzza, due più due fa sempre quattro. Dopo il 1989 e fino al 27 gennaio 1994 (li arrestano ai tavoli di "Gigi il cacciatore" di via Procaccini), Filippo e Giuseppe decidono di starsene latitanti a Milano e non a Palermo. Hanno le loro buone ragioni. A Milano possono contare su protezioni eccellenti e insospettabili che li garantiscono meglio delle strade strette di Brancaccio dove non passa inosservato nemmeno uno spillo. E dunque perché? "E' anomalissimo", dice il mafioso, ma la chiave è nel denaro. A Milano non ci sono uomini della famiglia, ma non importa perché ci sono i loro soldi e gli uomini che li custodiscono. I loro nomi forse non sono un mistero. Di più, Gaspare Spatuzza li suggerisce. Interrogatorio del 16 giugno: "Filippo ha nutrito sempre simpatia nei riguardi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, (...) Filippo è tutto patito dell'abilità manageriale di Berlusconi. Potrei riempire pagine e pagine di verbale [per raccontare] della simpatia e del... possiamo dire ... dell'amore che lo lega a Berlusconi e Dell'Utri".
"L'asso nella manica" di Giuseppe Graviano, "il jolly" evocato dal mafioso come una minaccia - sostengono fonti vicine all'inchiesta - non è nella fitta rete di contatti, reciproche e ancora misteriose influenze che hanno preceduto le cinque stragi del 1993 - lo conferma anche Spatuzza - , ma nelle connessioni di affari che, "negli ultimi vent'anni", la famiglia di Brancaccio ha coltivato a Milano. E' la rassicurante condizione che rende arrogante anche Filippo, solitamente equilibrato. Dice Gaspare: "[Filippo mi disse]: facceli fare i processi a loro, perché un giorno glieli faremo noi, i processi".
Nella lettura delle migliaia di pagine di interrogatorio, ora agli atti del processo di appello di Marcello Dell'Utri, pare necessario allora non farsi imprigionare da quel doloroso 1993, ma tenere lo sguardo più lungo verso il passato perché le stragi di quell'anno sono soltanto la fine (provvisoria e sfuggente) di una storia, mentre i mafiosi che hanno saltato il fosso - e i boss che hanno autorizzato la manovra - parlano di un inizio e su quell'epifania sembrano fare affidamento per la resa dei conti con il capo del governo.
Le cose stanno così. Berlusconi non deve temere il suo coinvolgimento - come mandante - nelle stragi non esclusivamente mafiose del 1993. Può mettere fin da ora nel conto che sarà indagato, se già non lo è a Firenze. Molti saranno gli strepiti quando la notizia diventerà ufficiale, ma va ricordato che l'iscrizione al registro degli indagati mette in chiaro la situazione, tutela i diritti della difesa, garantisce all'indagato tempi certi dell'istruttoria (limitati nel tempo). Quando l'incolpazione diventerà pubblica, l'immagine internazionale del premier ne subirà un danno, è vero, ma il Cavaliere ha dimostrato di saper reggere anche alle pressioni più moleste. E comunque quel che deve intimorire e intimorisce oggi il premier non è la personale credibilità presso le cancellerie dell'Occidente, ma fin dove si può spingere e si spingerà l'aggressione della famiglia mafiosa di Brancaccio, determinata a regolare i conti con l'uomo - l'imprenditore, il politico - da cui si è sentita "venduta" e tradita, dopo "le trattative" del 1993 (nascita di Forza Italia), gli impegni del 1994 (primo governo Berlusconi), le attese del 2001 (il Cavaliere torna a Palazzo Chigi dopo la sconfitta del '96), le più recenti parole del premier: "Voglio passare alla storia come il presidente del consiglio che ha distrutto la mafia" (agosto 2009).
Filippo Graviano
Mandate in avanscoperta, non contraddette o isolate dai boss, le "seconde file" della cosca - manovali del delitto e della strage al tritolo - hanno finora tirato dentro il Cavaliere e Marcello Dell'Utri come ispiratori della campagna di bombe, inedita per una mafia che in Continente non ha mai messo piede - nel passato - per uccidere innocenti. Fonti vicine alle inchieste (quattro, Firenze, Caltanissetta, Palermo, Milano) non nascondono però che raccogliere le fonti di prove necessarie per un processo sarà un'impresa ardua dall'esito oggi dubbio e soltanto ipotetico. Non bastano i ricordi di mafiosi che "disertano". Non sono sufficienti le parole che si sono detti tra loro, dentro l'organizzazione. Non possono essere definitive le prudenti parole di dissociazione di Filippo Graviano o il trasversale messaggio di Giuseppe che promette ai magistrati "una mano d'aiuto per trovare la verità". Occorrono, come li definisce la Cassazione, "riscontri intrinseci ed estrinseci", corrispondenze delle parole con fatti accertabili. Detto con chiarezza, sarà molto difficile portare in un'aula di tribunale l'impronta digitale di Silvio Berlusconi nelle stragi del 1993.
Questo affondo della famiglia di Brancaccio sembra - vagliato allo stato delle cose di oggi - soltanto un avvertimento che Cosa Nostra vuole dare alla letale quiete che sta distruggendo il potere dell'organizzazione e, soprattutto, uno scrollone a uno stallo senza futuro, che l'allontana dal recupero di risorse essenziali per ritrovare l'appannato prestigio.
Marcello Dell'Utri
Il denaro, i piccioli, in queste storie di mafia, sono sempre curiosamente trascurati anche se i mafiosi, al di là della retorica dell'onore e della famiglia, altro non hanno in testa. I Graviano, dice Gaspare Spatuzza, non sono un'eccezione. Nel loro caso, addirittura sono più lungimiranti. Nei primi anni novanta, Filippo e Giuseppe preparano l'addio alla Sicilia, "la dismissione del loro patrimonio" nell'isola. Spatuzza (16 giugno 2009): "Nel 1991, vendono, svendono il patrimonio. Cercano i soldi, [vogliono] liquidità e io non so come sono stati impiegati [poi] questi capitali, e per quali acquisizioni. Certo, non sono restati in Sicilia". I Graviano, a Gaspare, non appaiono più interessati "alle attività illecite". "Quando Filippo esce [dal carcere] nell'88 o nel 1989, esce con questa mania, questa grandezza imprenditoriale. I Graviano hanno già, per esempio, le tre Standa di Palermo affidate a un prestanome, in corso Calatafimi a Porta Nuova, in via Duca Della Verdura, in via Hazon a Brancaccio". Filippo - sempre lui - si sforza di far capire anche a uno come Spatuzza, imbianchino, le opportunità e anche i rischi di un impegno nella finanza. Le sue parole svelano che ha già a disposizione uomini, canali, punti di riferimento, competenze. "[Filippo] mi parla di Borsa, di Tizio, di Caio, di investimenti, di titoli. (...). Mi dice: [vedi Gaspare], io so quanto posso guadagnare nel settore dell'edilizia, ma se investo in Borsa, nel mercato finanziario, posso perdere e guadagnare, non c'è certezza. Addirittura si dice che a volte, se si benda una scimmia e le si fa toccare un tasto, può riuscire meglio di un esperto. Filippo è attentissimo nel seguire gli scambi, legge ogni giorno il Sole 24ore. Tiene in considerazione la questione Fininvest, d'occhio [il volume degli] investimenti pubblicitari. Mi dice [meraviglie] di una trasmissione come Striscia la notizia. Minimo investimento, massima raccolta [di spot], introiti da paura. "Il programma più redditizio della Fininvest", dice. Abbiamo parlato anche di Telecom, Fiat, Piaggio, Colaninno, Tronchetti Provera, ma la Fininvest era, posso dire, un terreno di sua pertinenza, come [se fosse] un [suo] investimento, come se fossero soldi messi da tasca sua, la Fininvest".
E' l'interrogatorio del 29 giugno 2009. Gaspare conclude: "Le [mie] dichiarazioni non possono bruciare l'asso [conservato nella manica] di Giuseppe" perché "il jolly" non ha nulla a che spartire con la Sicilia, con le stragi, con quell'orizzonte mafioso che è il solo paesaggio sotto gli occhi di Spatuzza. Un mese dopo (28 luglio 2009), i pubblici ministeri chiedono a Filippo in modo tranchant dove siano le sue ricchezze. Quello risponde: "Non ne parlo e mi dispiace non poterne parlare".
Ora, per raccapezzarci meglio in questo labirinto, si deve ricordare che i legami tra Marcello Dell'Utri e i paesani di Palermo non sono una novità. Come non sono sconosciuti gli incontri - nella metà degli anni settanta - tra Silvio Berlusconi e la créme de la créme di Cosa Nostra (Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Tanino Cinà, Francesco Di Carlo). Né sono inedite le rivelazioni sulla latitanza di Gaetano e Antonino Grado nella tenuta di Villa San Martino ad Arcore, protetta dalla presenza di Vittorio Mangano, capo del mandamento di Porta Nuova (il mafioso, "che poteva chiedere qualsiasi cosa a Dell'Utri", siede alla tavola di Berlusconi anche nelle cene ufficiali, altro che "stalliere"). Nella scena che prepara la confessione di Gaspare Spatuzza, quel che è originale è l'esistenza di "un asso" che, giocato da Giuseppe Graviano, potrebbe compromettere il racconto mitologico dell'avventura imprenditoriale del presidente del consiglio.
Con quali capitali, Berlusconi abbia preso il volo, a metà degli settanta, ancora oggi è mistero glorioso e ben protetto. Molto si è ragionato sulle fidejussioni concessegli da una boutique del credito come la Banca Rasini; sul flusso di denaro che gli consente di tenere a battesimo Edilnord e i primi ambiziosi progetti immobiliari. Probabilmente capitali sottratti al fisco, espatriati, rientrati in condizioni più favorevoli, questo era il mestiere del conte Carlo Rasini. Ma è ancora nell'aria la convinzione che non tutta la Fininvest sia sotto il controllo del capo del governo.
Molte testimonianze di "personaggi o consulenti che hanno lavorato come interni al gruppo", rilasciate a Paolo Madron (autore, nel 1994, di una documentata biografia molto friendly, Le gesta del Cavaliere, Sperling&Kupfer), riferiscono che "sono [di Berlusconi] non meno dell'80 per cento delle azioni delle [22] holding [che controllano Fininvest]. Sull'altro 20 per cento, per la gioia di chi cerca, ci si può ancora sbizzarrire". Sembra di poter dire che il peso del ricatto della famiglia di Brancaccio contro Berlusconi può esercitarsi proprio tra le nebbie di quel venti per cento. In un contesto che tutti dovrebbe indurre all'inquietudine. Cosa Nostra minaccia in un regolamento di conti il presidente del consiglio. Ne conosce qualche segreto. Ha con lui delle cointeressenze antiche e inconfessabili. Le agita per condizionarne le scelte, ottenerne utili legislativi, regole carcerarie più favorevoli, minore pressione poliziesca e soprattutto la disponibilità di ricchezze che (lascia intuire) le sono state trafugate. In questo conflitto - da un lato, una banda di assassini; dall'altro un capo di governo liberamente eletto dal popolo, nonostante le sue opacità - non c'è dubbio con chi bisogna stare. E tuttavia, per sottrarsi a quel ricatto rovinoso, anche Berlusconi è chiamato a fare finalmente luce sull'inizio della sua storia d'imprenditore.
Il Cavaliere dice che si è fatto da sé correndo in salita senza capitali alle spalle. Sostiene di essere il proprietario unico delle holding che controllano Mediaset (ma quante sono, una buona volta, ventidue o trentotto?). E allora l'altro venti per cento di Mediaset di chi è? Davvero, come raccontano ora gli uomini di Brancaccio, è della mafia? È stata la Cosa Nostra siciliana allora a finanziarlo nei suoi primi, incerti passi di imprenditore? Già glielo avrebbero voluto chiedere i pubblici ministeri di Palermo che pure qualche indizio in mano ce l'avevano.
Quel dubbio non può essere trascurabile per un uomo orgoglioso di avercela fatta senza un gran nome, senza ricchezze familiari, un outsider nell'Italia ingessata delle consorterie e prepotente delle lobbies.
Berlusconi, in occasione del processo di primo grado contro Marcello Dell'Utri, avrebbe potuto liberarsi di quel sospetto con poche parole. Avrebbe potuto dire il suo segreto; raccontare le fatiche che ha affrontato; ricordare le curve che ha dovuto superare, anche le minacce che gli sono piovute sul capo. Poche parole con lingua secca e chiara. E lui, invece, niente. Non dice niente. L'uomo che parla ossessivamente di se stesso, compulsivamente delle sue imprese, tace e dimentica di dirci l'essenziale. Quando i giudici lo interrogano a Palazzo Chigi (è il 26 novembre 2002, guida il governo), "si avvale della facoltà di non rispondere". Glielo consente la legge (è stato indagato in quell'inchiesta), ma quale legge non scritta lo obbliga a tollerare sulle spalle quell'ombra così sgradevole e anche dolorosa, un'ombra che ipoteca irrimediabilmente la sua rispettabilità nel mondo - nel mondo perché noi, in Italia, siamo più distratti? Qual è il rospo che deve sputare? Che c'è di peggio di essere accusato di aver tenuto il filo - o, peggio, di essere stato finanziariamente sostenuto - da un potere criminale che in Sicilia ha fatto più morti che la guerra civile nell'Irlanda del Nord? Che c'è di peggio dell'accusa di essere un paramafioso, il riciclatore di denaro che puzza di paura e di morte? Un'evasione fiscale? Un trucco di bilancio? Chi può mai crederlo nell'Italia che ammira le canaglie. Per quella ragione, gli italiani lo avrebbero apprezzato di più, non di meno. Avrebbero detto: ma guarda quel bauscia, è furbissimo, ha truccato i conti, gabbato lo Stato e vedi un po' dove è arrivato e con quale ricchezza!
D'altronde anche per questo scellerato fascino, gli italiani lo votano e gli regalano la loro fiducia. E dunque che c'è di indicibile nei finanziamenti oscuri, senza padre e domicilio, che gli consentono di affatturarsi i primi affari?
E' giunto il tempo, per Berlusconi, di fare i conti con il suo passato. Non in un'aula di giustizia, ma en plein air dinanzi all'opinione pubblica. Prima che sia Cosa Nostra a intrappolarlo e, con lui, il legittimo governo del Paese.
© Riproduzione riservata(28 novembre 2009)Tutti gli articoli di cronaca
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Re: Diario della caduta di un regime.
DAGOSPIA RIPORTA GLI INTERVENTI DE LA REPUBBLICA DI OGGI:
- IL CAV: "E’ UNA MACCHINAZIONE PER METTERMI FUORI GIOCO, ORA CHE SONO TORNATO PROTAGONISTA"
OVVIO CHE DICA COSI’, NON CREDERETE CHE AMMETTA LA VERITA’.
POTREBBERO SUBIRE UN DANNO ANCHE LE SUE AZIENDE E QUINDI I SUOI FIGLI.
TORNERA’ A RECITARE LA PARTE DEL FANTSMA DEL CAIMANO.
SOLO LUI E LA MASNADA DEI STRUMPTRUPPEN POSSONO CREDERE CHE E’ TORNATO PROTAGONISTA.
POLITICAMENTE E’ FINITO.
0 giu 2017 19:40
“IL MAFIELLUM” CONTRO IL RENZUSCONI
– IL RICICCIO DELLE ACCUSE DEL BOSS MAFIOSO GAVRIANO A BERLUSCONI AVEVA L'OBIETTIVO DI AFFONDARE IL PATTO ELETTORALE DI RENZI CON SILVIO. MA CI HA PENSATO IL PARLAMENTO A FARLO SALTARE
- IL CAV: "E’ UNA MACCHINAZIONE PER METTERMI FUORI GIOCO, ORA CHE SONO TORNATO PROTAGONISTA"
Carmelo Lopapa per la Repubblica
Eccola, puntuale, l' ennesima macchinazione giudiziaria per screditarmi, per mettermi fuori gioco, riecco il solito teorema sulla mafia». La notizia delle intercettazioni di Giuseppe Graviano coglie Silvio Berlusconi di sorpresa, nel tranquillo weekend di Villa San Martino, ad Arcore. È il vortice della vecchia storia della presunta "contiguità" che sembra riaffiorare per portarlo a fondo.
Lui non ci sta, vuole replicare subito, l' avvocato Niccolò Ghedini è al suo fianco, in meno di due ore viene diffusa la lunga nota con cui viene respinta ogni accusa. In privato, il Cavaliere, che riceve decine di telefonate dei suoi parlamentari, è ancora più duro. «Una clamorosa sciocchezza, ma vi rendete conto? Come è possibile dar credito e soprattutto diffondere le parole di un mafioso come quello?», è lo sfogo. Ci sarà un motivo, secondo il leader di Forza Italia, «se questa spazzatura è stata messa in circolo giusto venerdì, a due giorni dal voto, e non lunedì, dopo le amministrative: sarebbe stata la cosa più logica».
Dal suo punto di vista è la conferma della «macchinazione». Del tentativo di rimetterlo all' angolo, comunque penalizzarlo, «come alla vigilia di ogni appuntamento elettorale». Ma ancora più adesso, fa presente con un pizzico di orgoglio, «che sono tornato al centro della scena politica ».
Berlusconi tra i quattro protagonisti del patto per la riforma elettorale naufragato due giorni fa, Berlusconi alle prese col rilancio di Forza Italia a pochi mesi dalle prossime elezioni politiche, Berlusconi impegnato con la difficile ricomposizione del centrodestra. Insomma, un momento cruciale.
Ed ecco il nuovo affondo giudiziario, dal quale tuttavia «non teme alcuna conseguenza, sia chiaro», racconta chi gli ha parlato. Anche perché proprio l' avvocato Niccolò Ghedini gli ha fatto notare come non sia la prima volta che «questo signore», faccia trapelare roba su di lui. E poi già dalle inchieste sulle stragi di Caltanissetta, Firenze e Palermo sono emersi rimandi al fondatore di Forza Italia. «Tutti caduti puntualmente nel vuoto», è la linea del collegio difensivo con cui è stato rassicurato ancora una volta l' assistito.
La lunga dichiarazione che Ghedini mette nero su bianco, corretta e limata col "capo" e infine diffusa nel pomeriggio è quasi un' arringa difensiva.
«Dalle intercettazioni di Giuseppe Graviano, depositate dalla Procura di Palermo - si legge - composte da migliaia di pagine, corrispondenti a centinaia di ore di captazioni, vengono enucleate poche parole decontestualizzate che si riferirebbero al presidente Berlusconi. Tale interpretazione è destituita di ogni fondamento non avendo mai avuto alcun contatto né diretto né indiretto con il signor Graviano».
Vengono bollate tutte come «illazioni» delle quali chiameranno a rispondere in Tribunale. «Berlusconi è totalmente estraneo a fatti simili, come è stato già dimostrato in più sedi giudiziarie», caso chiuso, insomma. Con postilla: «Ogni qual volta il presidente sia particolarmente impegnato in momenti delicati della vita politica e nell' imminenza di scadenze elettorali, appaiono notizie infamanti, infondate, inesistenti».
Una sola novità, in uno spartito che si ripete sempre uguale, ad ogni tegola giudiziaria sull' ex premier. Stavolta nessun coro di solidarietà e difesa in massa dei forzisti. Il solo Maurizio Gasparri, tra i parlamentari in carica, interviene contro le «ricostruzioni farneticanti».
I MESSAGGI OBLIQUI DEL PADRINO
Attilio Bolzoni per la Repubblica
SULLA scena delle stragi di mafia precipita un' altra volta "M" o se preferite "Alfa" o anche "Autore 1", tutte misteriose sigle per non segnare sul registro degli indagati un nome molto eccellente accanto a quelle bombe e a quei morti.
Anche perché il personaggio indicato dai pentiti come possibile mandante dei massacri più spaventosi avvenuti negli ultimi venticinque anni nel nostro Paese, Silvio Berlusconi, era nel contempo pure il capo del Governo italiano. Oggi però il Cavaliere è scivolato ancora nella fossa dei sospetti.
Materia da brivido se non fosse che per quel Giuseppe Graviano, dopo quasi un quarto di secolo di carcere duro, Berlusconi è diventata una vera e propria ossessione. Sarà per via di certi soldi di droga che in passato hanno preso la via del Nord, sarà che l' ex premier non ha mai goduto in generale di buona reputazione per la sua amicizia con Marcello Dell' Utri e una tessera della P2 in tasca, ma la "cortesia", la "bella cosa" che avrebbe chiesto Berlusconi personalmente - e questo personalmente significa che si sarebbero incontrati e si sarebbero parlati - al boss di Brancaccio sembra davvero un messaggio molto obliquo. Lanciato da "Madre Natura" (così veniva chiamato dai suoi il Graviano) per farlo sapere a tutti.
Cominciamo col dire che quelli intercettati sono "discorsi" e non fatti. E che la rappresentazione andata in scena nel carcere di Ascoli Piceno somiglia tanto a quella già vista nel carcere di Opera, un replay dei "ragionamenti" di Totò Riina destinati allo sconosciuto (solo a lui?) pugliese della Sacra Corona Unita Alberto Lo Russo.
Oggi basta cambiare i nomi.
Mettere quello di Graviano al posto dello "zio Totò" e quello del camorrista di Salerno Umberto Adinolfi al posto di Lo Russo. Parole in libertà. Sapeva Riina di essere intercettato mentre diceva che voleva "far fare la fine dei tonni" al pm Nino Di Matteo, addossandosi in pratica la responsabilità - ufficialmente sempre negata - della morte di Falcone? Probabilmente sì. Sapeva "Madre Natura" di essere ascoltato e filmato mentre parlava di Berlusconi con riferimenti alle stragi e vantandosi che insieme «avevano il Paese nelle mani"? Probabilmente sì.
Già dieci anni fa Giuseppe Graviano e suo fratello Filippo erano stati protagonisti di un gioco degli specchi chiacchierando a lungo in carcere di Milan, di Mondadori e di Mediaset, un segnale qua e uno là, Filippo che spingeva un po' di più su Berlusconi e l' altro che frenava, il giorno dopo le parti che si invertivano. Anche questa volta è un tira e molla sul Cavaliere. Con un finale vagamente minaccioso: «Ora sono stanco ma quando sarò in condizione sarò io stesso a cercarvi (rivolto ai pm di Palermo, ndr), per chiarirvi alcune cose». Madre Natura che dice e non dice, che promette.
Questo romanzo nero del 1992 e del 1993 sembra non finire mai. Ci sono state 7 attentati in 14 mesi, dal 23 maggio 1992 al 28 luglio 1993. Capaci, via D' Amelio, l' esplosivo contro Maurizio Costanzo, via dei Georgofili a Firenze, il tritolo in via Palestro a Milano e quello alla basilica di San Giovanni Laterano a Roma. E altri 15 progettati e non eseguiti, fra i quali l' uccisione di Pietro Grasso, il rapimento di uno dei figli di Andreotti, la distruzione della torre di Pisa, l' assassinio di cento carabinieri all' Olimpico. Chi voleva tutto questo?
I "discorsi" di Giuseppe Graviano rilanciano la "pista" Palermo- Milano andata e ritorno, i rapporti di Dell' Utri con l' aristocrazia mafiosa palermitana prima (i Bontate, gli Inzerillo, i Teresi) e i Corleonesi poi, sentenze passate in giudicato che raccontano di un fiume di denaro riciclato in Lombardia e di un Berlusconi "sotto protezione" di Cosa Nostra dal 1974 al 1992. Il destino di Dell' Utri è noto: sta scontando in carcere una condanna a sette anni per concorso esterno. Silvio Berlusconi, al contrario, è entrato ed è uscito da quattro inchieste su mafia e su mafia e stragi.
La prima volta, nel '94. Quando lui è "M", Marcello Dell' Utri è "MM" e l'"eroe" Vittorio Mangano - lo stalliere mafioso che bivaccava nelle tenute del Cavaliere - è "MMM". L' ipotesi di reato: associazione mafiosa.
L' indagine è del procuratore capo di Palermo Gian Carlo Caselli, la posizione di Berlusconi viene subito stralciata e per per ben due volte il giudice delle indagini preliminari archivia «per mancanza di riscontri sufficienti ». In quello stesso anno, il '94, Berlusconi è indagato dalla procura di Caltanissetta come "Alfa" per le uccisioni di Falcone e Borsellino. Due anni dopo arriva l' archiviazione «per la friabilità del quadro indiziario ». Passa qualche mese e Berlusconi diventa "Autore 1" per la procura di Firenze, competente per la strage di via dei Georgofili. Nel 1998 esce dall' inchiesta. Passa qualche anno, parla il pentito Gaspare Spatuzza e rifinisce nella rete giudiziaria fiorentina. Ancora una volta tutto in archivio. E ora, torna alla carica Madre Natura.
- IL CAV: "E’ UNA MACCHINAZIONE PER METTERMI FUORI GIOCO, ORA CHE SONO TORNATO PROTAGONISTA"
OVVIO CHE DICA COSI’, NON CREDERETE CHE AMMETTA LA VERITA’.
POTREBBERO SUBIRE UN DANNO ANCHE LE SUE AZIENDE E QUINDI I SUOI FIGLI.
TORNERA’ A RECITARE LA PARTE DEL FANTSMA DEL CAIMANO.
SOLO LUI E LA MASNADA DEI STRUMPTRUPPEN POSSONO CREDERE CHE E’ TORNATO PROTAGONISTA.
POLITICAMENTE E’ FINITO.
0 giu 2017 19:40
“IL MAFIELLUM” CONTRO IL RENZUSCONI
– IL RICICCIO DELLE ACCUSE DEL BOSS MAFIOSO GAVRIANO A BERLUSCONI AVEVA L'OBIETTIVO DI AFFONDARE IL PATTO ELETTORALE DI RENZI CON SILVIO. MA CI HA PENSATO IL PARLAMENTO A FARLO SALTARE
- IL CAV: "E’ UNA MACCHINAZIONE PER METTERMI FUORI GIOCO, ORA CHE SONO TORNATO PROTAGONISTA"
Carmelo Lopapa per la Repubblica
Eccola, puntuale, l' ennesima macchinazione giudiziaria per screditarmi, per mettermi fuori gioco, riecco il solito teorema sulla mafia». La notizia delle intercettazioni di Giuseppe Graviano coglie Silvio Berlusconi di sorpresa, nel tranquillo weekend di Villa San Martino, ad Arcore. È il vortice della vecchia storia della presunta "contiguità" che sembra riaffiorare per portarlo a fondo.
Lui non ci sta, vuole replicare subito, l' avvocato Niccolò Ghedini è al suo fianco, in meno di due ore viene diffusa la lunga nota con cui viene respinta ogni accusa. In privato, il Cavaliere, che riceve decine di telefonate dei suoi parlamentari, è ancora più duro. «Una clamorosa sciocchezza, ma vi rendete conto? Come è possibile dar credito e soprattutto diffondere le parole di un mafioso come quello?», è lo sfogo. Ci sarà un motivo, secondo il leader di Forza Italia, «se questa spazzatura è stata messa in circolo giusto venerdì, a due giorni dal voto, e non lunedì, dopo le amministrative: sarebbe stata la cosa più logica».
Dal suo punto di vista è la conferma della «macchinazione». Del tentativo di rimetterlo all' angolo, comunque penalizzarlo, «come alla vigilia di ogni appuntamento elettorale». Ma ancora più adesso, fa presente con un pizzico di orgoglio, «che sono tornato al centro della scena politica ».
Berlusconi tra i quattro protagonisti del patto per la riforma elettorale naufragato due giorni fa, Berlusconi alle prese col rilancio di Forza Italia a pochi mesi dalle prossime elezioni politiche, Berlusconi impegnato con la difficile ricomposizione del centrodestra. Insomma, un momento cruciale.
Ed ecco il nuovo affondo giudiziario, dal quale tuttavia «non teme alcuna conseguenza, sia chiaro», racconta chi gli ha parlato. Anche perché proprio l' avvocato Niccolò Ghedini gli ha fatto notare come non sia la prima volta che «questo signore», faccia trapelare roba su di lui. E poi già dalle inchieste sulle stragi di Caltanissetta, Firenze e Palermo sono emersi rimandi al fondatore di Forza Italia. «Tutti caduti puntualmente nel vuoto», è la linea del collegio difensivo con cui è stato rassicurato ancora una volta l' assistito.
La lunga dichiarazione che Ghedini mette nero su bianco, corretta e limata col "capo" e infine diffusa nel pomeriggio è quasi un' arringa difensiva.
«Dalle intercettazioni di Giuseppe Graviano, depositate dalla Procura di Palermo - si legge - composte da migliaia di pagine, corrispondenti a centinaia di ore di captazioni, vengono enucleate poche parole decontestualizzate che si riferirebbero al presidente Berlusconi. Tale interpretazione è destituita di ogni fondamento non avendo mai avuto alcun contatto né diretto né indiretto con il signor Graviano».
Vengono bollate tutte come «illazioni» delle quali chiameranno a rispondere in Tribunale. «Berlusconi è totalmente estraneo a fatti simili, come è stato già dimostrato in più sedi giudiziarie», caso chiuso, insomma. Con postilla: «Ogni qual volta il presidente sia particolarmente impegnato in momenti delicati della vita politica e nell' imminenza di scadenze elettorali, appaiono notizie infamanti, infondate, inesistenti».
Una sola novità, in uno spartito che si ripete sempre uguale, ad ogni tegola giudiziaria sull' ex premier. Stavolta nessun coro di solidarietà e difesa in massa dei forzisti. Il solo Maurizio Gasparri, tra i parlamentari in carica, interviene contro le «ricostruzioni farneticanti».
I MESSAGGI OBLIQUI DEL PADRINO
Attilio Bolzoni per la Repubblica
SULLA scena delle stragi di mafia precipita un' altra volta "M" o se preferite "Alfa" o anche "Autore 1", tutte misteriose sigle per non segnare sul registro degli indagati un nome molto eccellente accanto a quelle bombe e a quei morti.
Anche perché il personaggio indicato dai pentiti come possibile mandante dei massacri più spaventosi avvenuti negli ultimi venticinque anni nel nostro Paese, Silvio Berlusconi, era nel contempo pure il capo del Governo italiano. Oggi però il Cavaliere è scivolato ancora nella fossa dei sospetti.
Materia da brivido se non fosse che per quel Giuseppe Graviano, dopo quasi un quarto di secolo di carcere duro, Berlusconi è diventata una vera e propria ossessione. Sarà per via di certi soldi di droga che in passato hanno preso la via del Nord, sarà che l' ex premier non ha mai goduto in generale di buona reputazione per la sua amicizia con Marcello Dell' Utri e una tessera della P2 in tasca, ma la "cortesia", la "bella cosa" che avrebbe chiesto Berlusconi personalmente - e questo personalmente significa che si sarebbero incontrati e si sarebbero parlati - al boss di Brancaccio sembra davvero un messaggio molto obliquo. Lanciato da "Madre Natura" (così veniva chiamato dai suoi il Graviano) per farlo sapere a tutti.
Cominciamo col dire che quelli intercettati sono "discorsi" e non fatti. E che la rappresentazione andata in scena nel carcere di Ascoli Piceno somiglia tanto a quella già vista nel carcere di Opera, un replay dei "ragionamenti" di Totò Riina destinati allo sconosciuto (solo a lui?) pugliese della Sacra Corona Unita Alberto Lo Russo.
Oggi basta cambiare i nomi.
Mettere quello di Graviano al posto dello "zio Totò" e quello del camorrista di Salerno Umberto Adinolfi al posto di Lo Russo. Parole in libertà. Sapeva Riina di essere intercettato mentre diceva che voleva "far fare la fine dei tonni" al pm Nino Di Matteo, addossandosi in pratica la responsabilità - ufficialmente sempre negata - della morte di Falcone? Probabilmente sì. Sapeva "Madre Natura" di essere ascoltato e filmato mentre parlava di Berlusconi con riferimenti alle stragi e vantandosi che insieme «avevano il Paese nelle mani"? Probabilmente sì.
Già dieci anni fa Giuseppe Graviano e suo fratello Filippo erano stati protagonisti di un gioco degli specchi chiacchierando a lungo in carcere di Milan, di Mondadori e di Mediaset, un segnale qua e uno là, Filippo che spingeva un po' di più su Berlusconi e l' altro che frenava, il giorno dopo le parti che si invertivano. Anche questa volta è un tira e molla sul Cavaliere. Con un finale vagamente minaccioso: «Ora sono stanco ma quando sarò in condizione sarò io stesso a cercarvi (rivolto ai pm di Palermo, ndr), per chiarirvi alcune cose». Madre Natura che dice e non dice, che promette.
Questo romanzo nero del 1992 e del 1993 sembra non finire mai. Ci sono state 7 attentati in 14 mesi, dal 23 maggio 1992 al 28 luglio 1993. Capaci, via D' Amelio, l' esplosivo contro Maurizio Costanzo, via dei Georgofili a Firenze, il tritolo in via Palestro a Milano e quello alla basilica di San Giovanni Laterano a Roma. E altri 15 progettati e non eseguiti, fra i quali l' uccisione di Pietro Grasso, il rapimento di uno dei figli di Andreotti, la distruzione della torre di Pisa, l' assassinio di cento carabinieri all' Olimpico. Chi voleva tutto questo?
I "discorsi" di Giuseppe Graviano rilanciano la "pista" Palermo- Milano andata e ritorno, i rapporti di Dell' Utri con l' aristocrazia mafiosa palermitana prima (i Bontate, gli Inzerillo, i Teresi) e i Corleonesi poi, sentenze passate in giudicato che raccontano di un fiume di denaro riciclato in Lombardia e di un Berlusconi "sotto protezione" di Cosa Nostra dal 1974 al 1992. Il destino di Dell' Utri è noto: sta scontando in carcere una condanna a sette anni per concorso esterno. Silvio Berlusconi, al contrario, è entrato ed è uscito da quattro inchieste su mafia e su mafia e stragi.
La prima volta, nel '94. Quando lui è "M", Marcello Dell' Utri è "MM" e l'"eroe" Vittorio Mangano - lo stalliere mafioso che bivaccava nelle tenute del Cavaliere - è "MMM". L' ipotesi di reato: associazione mafiosa.
L' indagine è del procuratore capo di Palermo Gian Carlo Caselli, la posizione di Berlusconi viene subito stralciata e per per ben due volte il giudice delle indagini preliminari archivia «per mancanza di riscontri sufficienti ». In quello stesso anno, il '94, Berlusconi è indagato dalla procura di Caltanissetta come "Alfa" per le uccisioni di Falcone e Borsellino. Due anni dopo arriva l' archiviazione «per la friabilità del quadro indiziario ». Passa qualche mese e Berlusconi diventa "Autore 1" per la procura di Firenze, competente per la strage di via dei Georgofili. Nel 1998 esce dall' inchiesta. Passa qualche anno, parla il pentito Gaspare Spatuzza e rifinisce nella rete giudiziaria fiorentina. Ancora una volta tutto in archivio. E ora, torna alla carica Madre Natura.
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Re: Diario della caduta di un regime.
…Tale interpretazione è destituita di ogni fondamento non avendo mai avuto alcun contatto né diretto né indiretto con il signor Graviano».
Vengono bollate tutte come «illazioni» delle quali chiameranno a rispondere in Tribunale. «Berlusconi è totalmente estraneo a fatti simili, come è stato già dimostrato in più sedi giudiziarie», caso chiuso, insomma. Con postilla: «Ogni qual volta il presidente sia particolarmente impegnato in momenti delicati della vita politica e nell' imminenza di scadenze elettorali, appaiono notizie infamanti, infondate, inesistenti»….
Come con Vittorio Mangano, lo stalliere di Hardcore.
Infatti, tutti hanno uno stalliere della mafia, perché meravigliarsi???
Vengono bollate tutte come «illazioni» delle quali chiameranno a rispondere in Tribunale. «Berlusconi è totalmente estraneo a fatti simili, come è stato già dimostrato in più sedi giudiziarie», caso chiuso, insomma. Con postilla: «Ogni qual volta il presidente sia particolarmente impegnato in momenti delicati della vita politica e nell' imminenza di scadenze elettorali, appaiono notizie infamanti, infondate, inesistenti»….
Come con Vittorio Mangano, lo stalliere di Hardcore.
Infatti, tutti hanno uno stalliere della mafia, perché meravigliarsi???
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Re: Diario della caduta di un regime.
IL FATTO QUOTIDIANO | Domenica 11 Giugno
Graviano: “Se sto alla sbarra io
ci deve stare anche Berlusca”
Il boss di Brancaccio Un mese fa la Penitenziaria ha trovato nella sua cella un coltello e lo ha trasferito Altre rivelazioni dei colloqui con il camorrista Adinolfi
» GIUSEPPE LO BIANCO
E SANDRA RIZZA
P a l e r m o
“Adesso comincia un altro processo della Trattativa, ha già il numero. Ho chiesto: ma è lo stesso processo? No, questo è un altro, ma è collegato a quello... siete più persone... Quindi se ci sono io ci deve essere pure Berlusconi”. È il 7 marzo 2017 e il boss Giuseppe Graviano, raccontando al compagno di socialità, il camorrista Umberto Adinolfi, che un ispettore della Dia gli ha appena notificato il nuovo avviso di garanzia e un imminente interrogatorio da parte del pm Nino Di Matteo, ipotizza che l’imprenditore di Arcore sia coinvolto a pieno titolo con lui nel nuovo filone d’indagine aperto a Palermo dal pool della Trattativa. Al momento, però, l’unica certezza riguarda solo Graviano – trovato un mese fa con un coltello rudimentale (la lama ricavata da una lattina di Coca cola) in un intercapedine della sua cella e subito trasferito da Ascoli a Trani – iscritto per il reato di “violen - za e/o minaccia al corpo politico dello Stato”, perché sul numero e i nomi di eventuali altri indagati c’è il più rigoroso top secret. LA PROCURA si è chiusa in uno stretto riserbo, nulla è dato sapere sul fascicolo-bis, ma una cosa è certa: il ruolo di Silvio Berlusconi nella stagione degli accordi sotterranei tra Stato e mafia nelle ultime settimane è stato al centro di una riunione svolta a Roma con i pm di Palermo, Caltanissetta e della Direzione nazionale antimafia. E a distanza di 24 anni dalla sua “discesa in campo”, le parole del potente capomafia chiuso in cella dal ‘94 lo rilanciano come convitato di pietra della convulsa stagione politico-istituzionale che accompagnò la svolta tra Prima e Seconda Repubblica, nonostante le numerose archiviazioni con Marcello Dell’Utri come mandante occulto delle stragi. Furono per primi i pm di Firenze, Francesco Fleury, Gabriele Chelazzi, Giuseppe Nicolosi, Alessandro Crini e l’al - lora sostituto procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, a scrivere nella richiesta di archiviazione nei confronti di “Autore 1” e “Autore 2” che la natura del rapporto tra Berlusconi, Dell’Utri e i capimafia “non ha mai cessato di dimensionarsi (almeno in parte) sul le esigenze di Cosa nostra, vale a dire sulle esigenze di un’or - ganizzazione criminale”. Da quel giorno sono passati molti anni e molti governi per arrivare al 1° agosto 2013 quando la Cassazione depositò le motivazioni della condanna di Dell’Utri, individuato come il garante dell’accordo tra Berlusconi e la mafia per proteggere interessi economici e i suoi familiari: “La sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo, al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa Nostra”. L’im - prenditore che ha pagato per 18 anni il pizzo alla mafia, che non si è mai rivolto allo Stato per chiedere protezione, che ha avuto l’occasione per chiarire l’origine delle sue fortune e ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere, che ha beneficiato di un incredibile successo elettorale nel 2001 in Sicilia (61 a 0) si è sempre difeso promuovendo la sua immagine di vittima di mafia, alla quale, fino ad un certo punto, aderì la procura ipotizzando il ricatto allo Stato. Il pool di Palermo teorizzò in sostanza che nel 1994, sbarcato a Palazzo Chigi, Berlusconi avrebbe accettato un “patto di convivenza” con Cosa Nostra, garantendo un atteggiamento di massima tolleranza. Ma anche se all’epoca non furono raccolti elementi sufficienti per un coinvolgimento diretto del padrone di Fininvest, il suo rapporto “storico” (e ormai accertato) con Cosa nostra, sin dai tempi dell’accumulazione delle fortune finanziarie, aleggia sullo sfondo dell’intera ricostruzione giudiziaria della Trattativa Stato-mafia. E OGGI le parole di Graviano sembrano fornire una nuova e più inquietante chiave di lettura di quel periodo, aprendo un focus sulle stragi. “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia – ha detto in carcere il boss –per questo è stata l’urgenza di... lui voleva scendere... però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto... ci vorrebbe una bella cosa”. Parole che sembrano alludere direttamente al ricatto allo Stato nella stagione delle bombe: “Nel ‘91 – ricorda Graviano – questi cercavano... volevano che uno di noi... che andavano lì... a preparare le auto, preparare le cose... mi sono spiegato? Hai capito che ti ho detto?”. Sono le frasi che ora gli inquirenti, non solo di Palermo, dovranno contestualizzare per sviluppare il nuovo filone di indagine che potrebbe sfociare in nuove ipotesi accusatorie e allargare il campo degli indagati. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Graviano: “Se sto alla sbarra io
ci deve stare anche Berlusca”
Il boss di Brancaccio Un mese fa la Penitenziaria ha trovato nella sua cella un coltello e lo ha trasferito Altre rivelazioni dei colloqui con il camorrista Adinolfi
» GIUSEPPE LO BIANCO
E SANDRA RIZZA
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“Adesso comincia un altro processo della Trattativa, ha già il numero. Ho chiesto: ma è lo stesso processo? No, questo è un altro, ma è collegato a quello... siete più persone... Quindi se ci sono io ci deve essere pure Berlusconi”. È il 7 marzo 2017 e il boss Giuseppe Graviano, raccontando al compagno di socialità, il camorrista Umberto Adinolfi, che un ispettore della Dia gli ha appena notificato il nuovo avviso di garanzia e un imminente interrogatorio da parte del pm Nino Di Matteo, ipotizza che l’imprenditore di Arcore sia coinvolto a pieno titolo con lui nel nuovo filone d’indagine aperto a Palermo dal pool della Trattativa. Al momento, però, l’unica certezza riguarda solo Graviano – trovato un mese fa con un coltello rudimentale (la lama ricavata da una lattina di Coca cola) in un intercapedine della sua cella e subito trasferito da Ascoli a Trani – iscritto per il reato di “violen - za e/o minaccia al corpo politico dello Stato”, perché sul numero e i nomi di eventuali altri indagati c’è il più rigoroso top secret. LA PROCURA si è chiusa in uno stretto riserbo, nulla è dato sapere sul fascicolo-bis, ma una cosa è certa: il ruolo di Silvio Berlusconi nella stagione degli accordi sotterranei tra Stato e mafia nelle ultime settimane è stato al centro di una riunione svolta a Roma con i pm di Palermo, Caltanissetta e della Direzione nazionale antimafia. E a distanza di 24 anni dalla sua “discesa in campo”, le parole del potente capomafia chiuso in cella dal ‘94 lo rilanciano come convitato di pietra della convulsa stagione politico-istituzionale che accompagnò la svolta tra Prima e Seconda Repubblica, nonostante le numerose archiviazioni con Marcello Dell’Utri come mandante occulto delle stragi. Furono per primi i pm di Firenze, Francesco Fleury, Gabriele Chelazzi, Giuseppe Nicolosi, Alessandro Crini e l’al - lora sostituto procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, a scrivere nella richiesta di archiviazione nei confronti di “Autore 1” e “Autore 2” che la natura del rapporto tra Berlusconi, Dell’Utri e i capimafia “non ha mai cessato di dimensionarsi (almeno in parte) sul le esigenze di Cosa nostra, vale a dire sulle esigenze di un’or - ganizzazione criminale”. Da quel giorno sono passati molti anni e molti governi per arrivare al 1° agosto 2013 quando la Cassazione depositò le motivazioni della condanna di Dell’Utri, individuato come il garante dell’accordo tra Berlusconi e la mafia per proteggere interessi economici e i suoi familiari: “La sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo, al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa Nostra”. L’im - prenditore che ha pagato per 18 anni il pizzo alla mafia, che non si è mai rivolto allo Stato per chiedere protezione, che ha avuto l’occasione per chiarire l’origine delle sue fortune e ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere, che ha beneficiato di un incredibile successo elettorale nel 2001 in Sicilia (61 a 0) si è sempre difeso promuovendo la sua immagine di vittima di mafia, alla quale, fino ad un certo punto, aderì la procura ipotizzando il ricatto allo Stato. Il pool di Palermo teorizzò in sostanza che nel 1994, sbarcato a Palazzo Chigi, Berlusconi avrebbe accettato un “patto di convivenza” con Cosa Nostra, garantendo un atteggiamento di massima tolleranza. Ma anche se all’epoca non furono raccolti elementi sufficienti per un coinvolgimento diretto del padrone di Fininvest, il suo rapporto “storico” (e ormai accertato) con Cosa nostra, sin dai tempi dell’accumulazione delle fortune finanziarie, aleggia sullo sfondo dell’intera ricostruzione giudiziaria della Trattativa Stato-mafia. E OGGI le parole di Graviano sembrano fornire una nuova e più inquietante chiave di lettura di quel periodo, aprendo un focus sulle stragi. “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia – ha detto in carcere il boss –per questo è stata l’urgenza di... lui voleva scendere... però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto... ci vorrebbe una bella cosa”. Parole che sembrano alludere direttamente al ricatto allo Stato nella stagione delle bombe: “Nel ‘91 – ricorda Graviano – questi cercavano... volevano che uno di noi... che andavano lì... a preparare le auto, preparare le cose... mi sono spiegato? Hai capito che ti ho detto?”. Sono le frasi che ora gli inquirenti, non solo di Palermo, dovranno contestualizzare per sviluppare il nuovo filone di indagine che potrebbe sfociare in nuove ipotesi accusatorie e allargare il campo degli indagati. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Re: Diario della caduta di un regime.
SILVIO,….L’IMMACOLATA CONCEZIONE DI HARDCORE…..
Ecco i veri messaggi del boss intercettato che infanga Berlusconi
Graviano lancia segnali per ottenere benefici. E ora è nei guai per un coltello in cella al 41 bis
Mariateresa Conti - Dom, 11/06/2017 - 08:38
commenta
Con chi parla Giuseppe Graviano? Chi è il destinatario vero di quei messaggi criptati che, in barba al 41 bis, «Madre natura» (uno dei suoi soprannomi), l'ex capo del mandamento mafioso di Brancaccio, lancia quasi fosse una diretta streaming, complice il deposito del faldone agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia?
La domanda non è peregrina. E di certo il destinatario non è quel Silvio Berlusconi che Graviano cita usandolo a mo' di specchietto per le allodole. Il Cav cattura i titoli dei giornali, quindi per assicurarsi visibilità va benone. Ma non è l'interlocutore, non ha ruoli di governo. Tutt'al più è due volte vittima: perché infangato e anche minacciato, visto che il boss gli dà del «traditore»; e perché sotto tiro è finito lui, ma i colloqui spiati sono troppo recenti, tra febbraio del 2016 e lo scorso aprile. Ergo, se richieste Graviano ha voluto lanciare mestando su stragi del 1993 e 41 bis revocato ai mafiosi in quell'anno, non è a lui che si rivolge. A proposito di 41 bis. Quello di Graviano fa acqua da tutte le parti, evidentemente. Nella sua cella, nascosto in una intercapedine, c'era un coltello. «Non è mio», si è difeso lui che ha fatto ricorso. Il processo è fissato per domani. E lui intanto è stato trasferito da Ascoli Piceno.
Con chi parla Graviano? Chi è il misterioso interlocutore cui lancia segnali? Via, non scherziamo. Un boss del suo calibro non viene registrato per 14 mesi a sua insaputa (a volte anche filmato) mentre parla con lo stesso detenuto, Umberto Adinolfi, durante l'ora d'aria. È improbabile che sia accaduto nel 2013 con Totò Riina. Ed è praticamente impossibile che sia avvenuto adesso con Graviano. Lo dice la logica. E lo dicono anche le intercettazioni, in cui si intrecciano parole ben comprensibili (tipo «Berlusconi»)e incisi indecifrabili.
Con chi parla Graviano? E cosa vuole? La risposta alla seconda domanda ha varie opzioni. Graviano ha fuori la moglie, «una santa, una santa» dice nelle intercettazioni. Ha il figlio, Michele, concepito in barba al 41 bis perché, dice lui ora, dormiva in cella con la moglie. E ha anche una sorella, Nunzia («a picciridda», la bambina, ndr), finita in carcere per mafia, che nelle intercettazioni Graviano giura sia innocente. E poi lui stesso non sta bene, in alcuni passaggi delle intercettazioni fa riferimento anche alla necessità di una visita psichiatrica.
Con chi parla Graviano? Qui il problema è più complesso. E si intreccia con le manovre che ruotano attorno al processo trattativa Stato-mafia. A gennaio Riina aveva fatto sapere di essere disposto a rispondere alle domande dei pm. Poi ha fatto dietrofront. «Un equivoco», ha detto. O una retromarcia mirata. Con Graviano il copione si è ripetuto alla rovescia. Sinora il boss, ora indagato per la trattativa Stato-mafia, non ha voluto parlare: «Al processo trattativa - dice nelle intercettazioni - non rispondo, perché ci sono i politici e mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Ma ai pm che sono andati a tentare di interrogarlo lo scorso 28 marzo, pur avvalendosi della facoltà di non rispondere, ha dato una risposta sibillina: «Ora sono stanco ma quando sarò in condizione sarò io stesso a cercarvi per chiarirvi alcune cose». Quali? Forse quelle che non riguardano Berlusconi ma il governo di centrosinistra guidato da Carlo Azeglio Ciampi in carica nel luglio del '93? «Quella notte - parla ancora Graviano - si sono spaventati, un colpo di Stato, il colpo di Stato e Ciampi è andato subito a Palazzo Chigi assieme ai suoi vertici, fanno il colpo di Stato. Loro, loro hanno voluto...n emmeno la resistenza, non volevano nemmeno resistere. Avevano deciso già... In quel periodo il 41 bis è stato modificato e 300 di loro...».
Ecco i veri messaggi del boss intercettato che infanga Berlusconi
Graviano lancia segnali per ottenere benefici. E ora è nei guai per un coltello in cella al 41 bis
Mariateresa Conti - Dom, 11/06/2017 - 08:38
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Con chi parla Giuseppe Graviano? Chi è il destinatario vero di quei messaggi criptati che, in barba al 41 bis, «Madre natura» (uno dei suoi soprannomi), l'ex capo del mandamento mafioso di Brancaccio, lancia quasi fosse una diretta streaming, complice il deposito del faldone agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia?
La domanda non è peregrina. E di certo il destinatario non è quel Silvio Berlusconi che Graviano cita usandolo a mo' di specchietto per le allodole. Il Cav cattura i titoli dei giornali, quindi per assicurarsi visibilità va benone. Ma non è l'interlocutore, non ha ruoli di governo. Tutt'al più è due volte vittima: perché infangato e anche minacciato, visto che il boss gli dà del «traditore»; e perché sotto tiro è finito lui, ma i colloqui spiati sono troppo recenti, tra febbraio del 2016 e lo scorso aprile. Ergo, se richieste Graviano ha voluto lanciare mestando su stragi del 1993 e 41 bis revocato ai mafiosi in quell'anno, non è a lui che si rivolge. A proposito di 41 bis. Quello di Graviano fa acqua da tutte le parti, evidentemente. Nella sua cella, nascosto in una intercapedine, c'era un coltello. «Non è mio», si è difeso lui che ha fatto ricorso. Il processo è fissato per domani. E lui intanto è stato trasferito da Ascoli Piceno.
Con chi parla Graviano? Chi è il misterioso interlocutore cui lancia segnali? Via, non scherziamo. Un boss del suo calibro non viene registrato per 14 mesi a sua insaputa (a volte anche filmato) mentre parla con lo stesso detenuto, Umberto Adinolfi, durante l'ora d'aria. È improbabile che sia accaduto nel 2013 con Totò Riina. Ed è praticamente impossibile che sia avvenuto adesso con Graviano. Lo dice la logica. E lo dicono anche le intercettazioni, in cui si intrecciano parole ben comprensibili (tipo «Berlusconi»)e incisi indecifrabili.
Con chi parla Graviano? E cosa vuole? La risposta alla seconda domanda ha varie opzioni. Graviano ha fuori la moglie, «una santa, una santa» dice nelle intercettazioni. Ha il figlio, Michele, concepito in barba al 41 bis perché, dice lui ora, dormiva in cella con la moglie. E ha anche una sorella, Nunzia («a picciridda», la bambina, ndr), finita in carcere per mafia, che nelle intercettazioni Graviano giura sia innocente. E poi lui stesso non sta bene, in alcuni passaggi delle intercettazioni fa riferimento anche alla necessità di una visita psichiatrica.
Con chi parla Graviano? Qui il problema è più complesso. E si intreccia con le manovre che ruotano attorno al processo trattativa Stato-mafia. A gennaio Riina aveva fatto sapere di essere disposto a rispondere alle domande dei pm. Poi ha fatto dietrofront. «Un equivoco», ha detto. O una retromarcia mirata. Con Graviano il copione si è ripetuto alla rovescia. Sinora il boss, ora indagato per la trattativa Stato-mafia, non ha voluto parlare: «Al processo trattativa - dice nelle intercettazioni - non rispondo, perché ci sono i politici e mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Ma ai pm che sono andati a tentare di interrogarlo lo scorso 28 marzo, pur avvalendosi della facoltà di non rispondere, ha dato una risposta sibillina: «Ora sono stanco ma quando sarò in condizione sarò io stesso a cercarvi per chiarirvi alcune cose». Quali? Forse quelle che non riguardano Berlusconi ma il governo di centrosinistra guidato da Carlo Azeglio Ciampi in carica nel luglio del '93? «Quella notte - parla ancora Graviano - si sono spaventati, un colpo di Stato, il colpo di Stato e Ciampi è andato subito a Palazzo Chigi assieme ai suoi vertici, fanno il colpo di Stato. Loro, loro hanno voluto...n emmeno la resistenza, non volevano nemmeno resistere. Avevano deciso già... In quel periodo il 41 bis è stato modificato e 300 di loro...».
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Re: Diario della caduta di un regime.
L’I N T E R V I S T A Antonio Ingroia
Avvocato, ex pm
“B. dovrebbe essere
di nuovo indagato:
concorso in strage”
Palermo
Dottor Ingroia, quale sarebbe dunque il ruolo di Berlusconi nella stagione del ricatto allo Stato secondo le parole di Graviano?
Dalle parole intercettate sembra emergere con chiarezza che il capomafia di Brancaccio tra il ’91 e il ’94, data del suo arresto, ebbe rapporti con Berlusconi.
Ma anche che dietro alle stragi di mafia di quegli anni ci furono mandanti politici.
Immagino che le conversazioni captate dalle microspie della Dia siano oggi materia di approfondimento per le procure di Caltanissetta e Firenze che indagano sulle stragi ’92-’93 e debbano determinare la riapertura delle indagini per concorso in strage nei confronti di Silvio Berlusconi.
Nella prima fase dell’indagine sulla Trattativa, che lei stesso coordinò, il pool Stato-mafia aveva ipotizzato che Berlusconi fosse solo il destinatario finale del ricatto allo Stato.
Ora la posizione dell’ex Cavaliere potrebbe cambiare?
Certamente c’è un importantissimo elemento nuovo, la cui attendibilità va rigorosamente verificata. Se la ‘cortesia’ di cui parla Graviano, che Berlusconi gli avrebbe chiesto poco prima di scendere in campo, fosse da collegare alle stragi, come sembra dalle notizie di stampa, sarebbe difficile affermare che l’ex Cavaliere è stato solo una vittima del ricatto allo Stato, cosa avvenuta nel 1994, al momento della sua nomina come presidente del Consiglio.
Se fosse stato addirittura complice delle stragi che furono strumento della Trattativa, Berlusconi dovrebbe essere considerato complice anche della Trattativa.
Ovviamente stiamo parlando di elementi sufficienti per un’iscrizione nel registro notizie di reato, ma tutto andrebbe verificato ed approfondito.
Gianfranco Micciché ha definito le esternazioni di Graviano “minchiate” e si è rammaricato del fatto che alcuni pm (“pochi per la verità”, ha aggiunto) attribuiscano credibilità ad un mafioso pluriergastolano.
Lei che ne pensa?
Chi, davanti a esternazioni così gravi, chiare ed eloquenti, risponde in questo modo o non capisce nulla o ha paura di quelle rivelazioni.
Il capomafia di Brancaccio, che non si è mai pentito ed è considerato un irriducibile, fa riferimento ad incontri, pranzi, cene, accordi e, alla fine, ad un tradimento.
Nessuno, meglio di lui, poteva confermare, e potrebbe farlo in modo più completo se decidesse di rispondere alle domande dei pm, tutta la ricostruzione dell’indagine trattativa Stato-mafia ipotizzata dalla procura di Palermo.
Il 41 bis si conferma l’incubo del boss detenuto.
Graviano appare combattuto tra la rabbia maturata in 24 anni di reclusione e la speranza che prima o poi qualcosa possa ancora accedere.
Il boss sembra tuttora in attesa di un “segnale”.
Ma cosa potrebbe accadere?
Alcuni segnali che Graviano da anni invia, così come altri boss in carcere, Riina compreso, mi sembrano inequivoci.
L’esercito dei boss mafiosi al 41 bis è impaziente.
La cambiale è scaduta e vogliono portare all’incasso il loro silenzio prima che sia troppo tardi.
È una pentola in ebollizione da tempo e potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
Con esiti imprevedibili.
Eppure lo stesso Graviano dice che il processo sulla Trattativa “è in corso e non ne parla nessuno”...
Questo processo non piace a nessuno.
Ed è questa la ragione per cui io prima, e Nino Di Matteo poi, siamo stati tanto duramente attaccati e tanto ferocemente osteggiati.
Pensa che le intercettazioni di Graviano provocheranno ripercussioni politiche?
In un Paese normale le Procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta all’unisono avrebbero iniziato a indagare Berlusconi, la politica lo avrebbe messo in un angolo e si sarebbe aperta una commissione d’inchiesta.
Per molto meno Donald Trump rischia l’impeachment.
Qui il segretario del Pd Matteo Renzi, un altro ex premier, considera il suo predecessore Silvio Berlusconi un ‘padre della Patria’, tanto da voler stringere accordi con lui.
Questa è l’Italia di oggi.
GLB E S. R. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Avvocato, ex pm
“B. dovrebbe essere
di nuovo indagato:
concorso in strage”
Palermo
Dottor Ingroia, quale sarebbe dunque il ruolo di Berlusconi nella stagione del ricatto allo Stato secondo le parole di Graviano?
Dalle parole intercettate sembra emergere con chiarezza che il capomafia di Brancaccio tra il ’91 e il ’94, data del suo arresto, ebbe rapporti con Berlusconi.
Ma anche che dietro alle stragi di mafia di quegli anni ci furono mandanti politici.
Immagino che le conversazioni captate dalle microspie della Dia siano oggi materia di approfondimento per le procure di Caltanissetta e Firenze che indagano sulle stragi ’92-’93 e debbano determinare la riapertura delle indagini per concorso in strage nei confronti di Silvio Berlusconi.
Nella prima fase dell’indagine sulla Trattativa, che lei stesso coordinò, il pool Stato-mafia aveva ipotizzato che Berlusconi fosse solo il destinatario finale del ricatto allo Stato.
Ora la posizione dell’ex Cavaliere potrebbe cambiare?
Certamente c’è un importantissimo elemento nuovo, la cui attendibilità va rigorosamente verificata. Se la ‘cortesia’ di cui parla Graviano, che Berlusconi gli avrebbe chiesto poco prima di scendere in campo, fosse da collegare alle stragi, come sembra dalle notizie di stampa, sarebbe difficile affermare che l’ex Cavaliere è stato solo una vittima del ricatto allo Stato, cosa avvenuta nel 1994, al momento della sua nomina come presidente del Consiglio.
Se fosse stato addirittura complice delle stragi che furono strumento della Trattativa, Berlusconi dovrebbe essere considerato complice anche della Trattativa.
Ovviamente stiamo parlando di elementi sufficienti per un’iscrizione nel registro notizie di reato, ma tutto andrebbe verificato ed approfondito.
Gianfranco Micciché ha definito le esternazioni di Graviano “minchiate” e si è rammaricato del fatto che alcuni pm (“pochi per la verità”, ha aggiunto) attribuiscano credibilità ad un mafioso pluriergastolano.
Lei che ne pensa?
Chi, davanti a esternazioni così gravi, chiare ed eloquenti, risponde in questo modo o non capisce nulla o ha paura di quelle rivelazioni.
Il capomafia di Brancaccio, che non si è mai pentito ed è considerato un irriducibile, fa riferimento ad incontri, pranzi, cene, accordi e, alla fine, ad un tradimento.
Nessuno, meglio di lui, poteva confermare, e potrebbe farlo in modo più completo se decidesse di rispondere alle domande dei pm, tutta la ricostruzione dell’indagine trattativa Stato-mafia ipotizzata dalla procura di Palermo.
Il 41 bis si conferma l’incubo del boss detenuto.
Graviano appare combattuto tra la rabbia maturata in 24 anni di reclusione e la speranza che prima o poi qualcosa possa ancora accedere.
Il boss sembra tuttora in attesa di un “segnale”.
Ma cosa potrebbe accadere?
Alcuni segnali che Graviano da anni invia, così come altri boss in carcere, Riina compreso, mi sembrano inequivoci.
L’esercito dei boss mafiosi al 41 bis è impaziente.
La cambiale è scaduta e vogliono portare all’incasso il loro silenzio prima che sia troppo tardi.
È una pentola in ebollizione da tempo e potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
Con esiti imprevedibili.
Eppure lo stesso Graviano dice che il processo sulla Trattativa “è in corso e non ne parla nessuno”...
Questo processo non piace a nessuno.
Ed è questa la ragione per cui io prima, e Nino Di Matteo poi, siamo stati tanto duramente attaccati e tanto ferocemente osteggiati.
Pensa che le intercettazioni di Graviano provocheranno ripercussioni politiche?
In un Paese normale le Procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta all’unisono avrebbero iniziato a indagare Berlusconi, la politica lo avrebbe messo in un angolo e si sarebbe aperta una commissione d’inchiesta.
Per molto meno Donald Trump rischia l’impeachment.
Qui il segretario del Pd Matteo Renzi, un altro ex premier, considera il suo predecessore Silvio Berlusconi un ‘padre della Patria’, tanto da voler stringere accordi con lui.
Questa è l’Italia di oggi.
GLB E S. R. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Re: Diario della caduta di un regime.
Elezioni amministrative 2017, risultati: M5s fuori da tutti i ballottaggi. Da Genova a Taranto, il ritorno del centrodestra
Elezioni Comunali Genova 2017
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Elezioni Amministrative 2017
Amarezza per i grillini che non riescono a conquistare neppure i centri dove speravano di giocarsela, mentre Lega e Forza Italia riprendono fiato alla luce dei successi dove sono riusciti ad andare coalizzati. A Palermo Orlando rivince per la quinta volta. A Parma l'ex M5s Pizzarotti in testa ma deve sfidare il centrosinistra al secondo turno. Italiani al voto senza entusiasmo: l'affluenza si è fermata al 60 per cento, sette punti sotto i risultati della volta precedente
di F. Q. | 12 giugno 2017
commenti (28)
9
Più informazioni su: Amministrative, Elezioni, Leoluca Orlando
Il Movimento 5 stelle fuori da tutti (o quasi) i ballottaggi, il centrodestra che batte più colpi e dichiara il suo risveglio a livello nazionale da Genova a Taranto fino a Piacenza. La Sicilia grillina che incorona per la quinta volta Leoluca Orlando sindaco di Palermo e lo fa addirittura al primo turno. Sono queste le prime fotografie che arrivano dalle elezioni amministrative in un’Italia che, in uno dei primi weekend estivi, ha deciso di andare alle urne con pochissimo entusiasmo: l’affluenza nei 25 capoluoghi di Regione e di Provincia al voto è stata del 60 per cento, sette punti sotto rispetto alla volta precedente. Da nord a sud, la cronaca racconta territori che fanno storia a sé, anche se contemporaneamente lanciano segnali importanti ai partiti in vista delle prossime elezioni nazionali. Da una parte infatti c’è l’amarezza dei 5 stelle che non riescono ad arrivare al secondo turno in nessuno dei comuni su cui speravano almeno di giocarsela, dall’altra la soddisfazione di un centrodestra che, dove si presenta unito, porta a casa qualche soddisfazione. Genova è una delle città simbolo: il leghista Marco Bucci, sostenuto da Fi e affini e soprattutto sponsorizzato dal presidente della Liguria azzurro Giovanni Toti, sfida quasi alla pari il centrosinistra di Giovanni Crivello. Brutta serata per i 5 stelle che, nella città di Beppe Grillo, si sbriciolano tra liti interne e candidati alternativi tanto che il candidato ufficiale Luca Pirondini si ferma al 18 per cento. Palermo va come da copione: rivince addirittura al primo turno Orlando, senza che il M5s riesca a spuntarla là dove avrebbe potuto sbancare. Pesano l’inchiesta che ha portato a sospensioni di deputati nazionali, ma anche le faide interne che hanno indebolito il candidato Ugo Forello. Va male per i grillini anche a Taranto: la patria dell’Ilva era la terra di delusione dove speravano di raccogliere consensi. Ma, sempre stando alle prime proiezioni, arrivano quarti addirittura dietro Mario Cito.
Il segnale, in vista delle prossime elezioni politiche, è anche e soprattutto a destra: il primo a gongolare è il leader della Lega Nord Matteo Salvini che a scrutinio ancora in corso è intervenuto in diretta tv per invocare l’unità del centrodestra, ma a “traino leghista”. La coalizione Fi, Carroccio e Fdi è in vantaggio in varie città: se la gioca a Genova, dove la destra non ha mai governato nella seconda repubblica; a Verona lo scontro è a tre con la presenza addirittura della compagna del sindaco uscente Flavio Tosi che compete con centrodestra e centrosinistra; a Padova il sindaco sceriffo Massimo Bitonci non ce la fa al primo turno, ma comunque si presenta al ballottaggio da vincitore. Ma la coalizione è in testa anche a Piacenza, Lucca, La Spezia, Rieti. Senza contare dove va al ballottaggio, come Lecce, L’Aquila e Monza. Tutti numeri che riaprono la partita nazionale, soprattutto nei giorni in cui il dibattito politico si sposta sulla famigerata riforma della legge elettorale: “Se stiamo ai numeri delle amministrative in tutta Italia”, ha detto il fedelissimo di Silvio Berlusconi Toti, “vedo che un centrodestra unito potrebbe arrivare in città molto difficili come Genova al 33-34% e quindi non così lontano da quel 40% che segna il premio di maggioranza per la lista che prenderà più voti con l’Italicum“. E quindi il messaggio all’ex Cavaliere contro “il proporzionale che non darebbe governabilità al Paese”. Se fino a oggi non lo aveva ascoltato, forse da domani mattina, risultati alla mano, potrebbe cambiare idea.
Palermo – Leoluca Orlando è sindaco per la quinta volta. Il primo cittadino uscente chiude la partita senza lasciare spazio a nessuno degli avversari. Secondo le prime proiezioni Emg per La7, arriva addirittura al 44,4 per cento. La soglia minima per essere eletti al primo turno è, secondo la legge elettorale siciliana, appunto il 40 per cento e, a scrutinio ancora in corso, Orlando sembra non avere particolari preoccupazioni. Si fermano dietro di lui: Fabrizio Ferrandelli (centrodestra) al 32,7%, Ugo Forello (M5S) al 16,9%. Palermo è una delle occasioni perse per i 5 stelle, che hanno sofferto negli ultimi mesi per lotte interne e indagini. Da segnalare anche qui, come secondo la tendenza di tutta Italia, un calo significativo dell’affluenza: ha votato il 52,6% degli elettori, mentre nel 2012 era andato alle urne il 63,19%. “Da palermitano”, ha commentato il grillino Forello, “prima ancora che da candidato M5s mi rammarica molto il dato dell’astensionismo. E’ andato a votare poco più del 50 per cento dei palermitani, questo evidenzia la disaffezione e disillusione dei palermitani nei confronti della politica”.
Parma – Nella città che fu la Stalingrado 5 stelle nel 2012, l’uscente ed ex grillino Pizzarotti non ce la fa al primo turno, ma arriva comunque in testa al 35,6 %. Al ballottaggio dovrà vedersela con il candidato civico sostenuto dal centrosinistra Paolo Scarpa (dato intorno al 29,6 per cento). Terza tra il 18 e 22 per cento c’è la leghista Laura Cavandoli. Quest’ultima comunque registra una percentuale significativa in Emilia, anche grazie al sostegno delle forze di centrodestra che proprio su Parma hanno puntato molto. Lo stesso leader del Carroccio Matteo Salvini è stato più volte a Parma nei mesi scorsi e qui ha voluto organizzare il congresso della Lega Nord.
Genova – La sfida al ballottaggio nella città di Beppe Grillo sarà tra il centrodestra e il centrosinistra. Da una parte il candidato di sinistra Gianni Crivello che, secondo le proiezioni, arriva al 34,8% dall’altra il leghista Marco Bucci al 35,3%. Terzo il grillino Luca Pirondini (M5s). Molto bassa l’affluenza in città, con un dato che si ferma sotto il 50 per cento. “Questo deve stimolare una riflessione sul perché la maggioranza dei cittadini ha preferito non andare a votare per nessuno”, ha detto il segretario locale dem Alessandro Terrile. “E’ stata una campagna elettorale anche difficile, il distacco verso la politica è evidente”.
Taranto – La città dell’Ilva manda al ballottaggio, in base alla II proiezione di Istituto Piepoli per Rai, la candidata del centrodestra Stefania Baldassarri (23%) e l’avversario del centrosinistra Rinaldo Melucci (Pd, Psi, Centristi, liste civiche) al 16%, Mario Cito (Lega d’Azione meridionale) al 13% e Francesco Nevoli (M5s) al 12%.
Trapani – Lo scontro è tra il senatore Antonino D’Alì sostenuto da Forza Italia, Psi, Per la grande città; il deputato regionale ed ex sindaco Mimmo Fazio con ‘Lista per Fazio, ‘Uniti per il futuro’, ‘Progetto per Trapani’, ‘Trapani tuà, ‘Io ci sono’. Marcello Maltese candidato del Movimento 5 stelle sarebbe distanziato di qualche punto percentuale. A Trapani la campagna elettorale è stata sconvolta da due inchieste giudiziarie che hanno coinvolto D’Alì e Fazio, un tempo assieme nel Pdl e ora avversari. Per D’Alì la Dda di Palermo ha chiesto l’obbligo di soggiorno, con il tribunale che notificò il provvedimento al senatore a ridosso della scadenza dei termini per la presentazione delle liste elettorali. I pm ritengono D’Alì “socialmente pericoloso”. La richiesta sarà esaminata, a luglio, dal tribunale di Trapani. D’Alì a caldo aveva sospeso la campagna elettorale per poi riprenderla su impulso del suo partito, Forza Italia. Fazio invece è stato arrestato per corruzione e poi rimesso in libertà dopo la revoca dei domiciliari. E’ coinvolto nell’inchiesta della Procura di Palermo che ha portato all’arresto dell’armatore della Liberty Ettore Morace per corruzione, indagine che ha coinvolto altri politici. I 5stelle hanno cercato di approfittarne, tant’è che s’è mosso il leader Beppe Grillo in prima persona, facendo tappa a Trapani a chiusura della campagna elettorale.
L’Aquila – L’Aquila vede il ballottaggio tra centrosinistra e centrodestra. In base alla seconda proiezione Ipr-Piepoli per la Rai, nel capoluogo abruzzese il candidato sindaco Americo Di Benedetto (centrosinistra), poco prima dell’una di notte, è dato al 45%, Pierluigi Biondi (centrodestra) al 37%, Carla Cimaroni (sinistra) al 7%, Fabrizio Righetti (M5s) al 5%. Buona l’affluenza con il 67,77%. L’affluenza qui è stata del 67,77%, alle precedenti elezioni comunali l’affluenza era stata del 72,38%.
Verona – Una manciata di voti divide i candidati sindaco di Verona Federico Sboarina (Lega), Orietta Salemi (Pd) e Patrizia Bisinella (Lista Tosi). Secondo il ministero degli Interni, al momento sono state scrutinate 35 sezioni su 268 e Sboarina è in testa con 3.581 voti (27,93%) seguito da Salemi con 3.144 voti (24,52%) e da Bisinella con 3.056 voti (23,84%). La situazione, quindi, non è ancora delineata in modo netto, con la compagna di Tosi che potrebbe soffiare il ballottaggio alla democratica.
Padova – Non torna subito in sella a Padova Massimo Bitonci, il sindaco ‘sceriffò della Lega disarcionato nel novembre 2016 da sua stessa maggioranza, che guida la sfida per Palazzo Moroni ma dovrà affrontare il secondo turno (con ogni probabilità) con il candidato del Pd, l’imprenditore Sergio Giordani. Le prime proiezioni vedono Bitonci al 37% dei voti, e Giordani al 27%. Il risultato più eclatante, è però quello del prof universitario Arturo Lorenzoni, che con la sua ‘Coalizione civicà è accreditato di un 24%.
Affluenza in calo – Si sono chiusi alle 23 i seggi nei 1.004 Comuni chiamati al voto per elezioni amministrative. Hanno ora inizio le operazioni di spoglio. Quando sono noti i dati relativi a oltre 300 comuni sugli 849 i cui dati sono raccolti dal Viminale, l’affluenza alle urne per le elezioni comunali, rilevata alle 23 di oggi – orario di chiusura dei seggi – va attestandosi poco sopra il 61%. Alle precedenti omologhe, alle ore 23, la percentuale era stata del 68%. Il dato non tiene conto dei comuni del Friuli Venezia Giulia e della Sicilia, gestiti direttamente dalle due Regioni e non dal Viminale. Alle 19 la partecipazione al voto era data in crescita al 42,35% (negli 849 Comuni italiani rendicontati dal Viminale, escludendo quelli delle Regioni a statuto speciale Trentino Alto Adige e Sicilia). In occasione delle ultime amministrative, nel 2012, alla stessa ora, aveva votato il 37,7% degli aventi diritto, ma allora si votava in due giorni ed era possibile votare fino alle 15 di lunedì. Alle 19 l’affluenza era al 46%, invece, nella tornata elettorale delle Amministrative 2016: allora si votava in un giorno solo: tra i Comuni coinvolti c’erano anche Roma, Milano, Torino e Bologna ed era un turno più avvertito dai partiti avendo più peso a livello nazionale.
Elezioni Comunali Genova 2017
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Elezioni Amministrative 2017
Amarezza per i grillini che non riescono a conquistare neppure i centri dove speravano di giocarsela, mentre Lega e Forza Italia riprendono fiato alla luce dei successi dove sono riusciti ad andare coalizzati. A Palermo Orlando rivince per la quinta volta. A Parma l'ex M5s Pizzarotti in testa ma deve sfidare il centrosinistra al secondo turno. Italiani al voto senza entusiasmo: l'affluenza si è fermata al 60 per cento, sette punti sotto i risultati della volta precedente
di F. Q. | 12 giugno 2017
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Il Movimento 5 stelle fuori da tutti (o quasi) i ballottaggi, il centrodestra che batte più colpi e dichiara il suo risveglio a livello nazionale da Genova a Taranto fino a Piacenza. La Sicilia grillina che incorona per la quinta volta Leoluca Orlando sindaco di Palermo e lo fa addirittura al primo turno. Sono queste le prime fotografie che arrivano dalle elezioni amministrative in un’Italia che, in uno dei primi weekend estivi, ha deciso di andare alle urne con pochissimo entusiasmo: l’affluenza nei 25 capoluoghi di Regione e di Provincia al voto è stata del 60 per cento, sette punti sotto rispetto alla volta precedente. Da nord a sud, la cronaca racconta territori che fanno storia a sé, anche se contemporaneamente lanciano segnali importanti ai partiti in vista delle prossime elezioni nazionali. Da una parte infatti c’è l’amarezza dei 5 stelle che non riescono ad arrivare al secondo turno in nessuno dei comuni su cui speravano almeno di giocarsela, dall’altra la soddisfazione di un centrodestra che, dove si presenta unito, porta a casa qualche soddisfazione. Genova è una delle città simbolo: il leghista Marco Bucci, sostenuto da Fi e affini e soprattutto sponsorizzato dal presidente della Liguria azzurro Giovanni Toti, sfida quasi alla pari il centrosinistra di Giovanni Crivello. Brutta serata per i 5 stelle che, nella città di Beppe Grillo, si sbriciolano tra liti interne e candidati alternativi tanto che il candidato ufficiale Luca Pirondini si ferma al 18 per cento. Palermo va come da copione: rivince addirittura al primo turno Orlando, senza che il M5s riesca a spuntarla là dove avrebbe potuto sbancare. Pesano l’inchiesta che ha portato a sospensioni di deputati nazionali, ma anche le faide interne che hanno indebolito il candidato Ugo Forello. Va male per i grillini anche a Taranto: la patria dell’Ilva era la terra di delusione dove speravano di raccogliere consensi. Ma, sempre stando alle prime proiezioni, arrivano quarti addirittura dietro Mario Cito.
Il segnale, in vista delle prossime elezioni politiche, è anche e soprattutto a destra: il primo a gongolare è il leader della Lega Nord Matteo Salvini che a scrutinio ancora in corso è intervenuto in diretta tv per invocare l’unità del centrodestra, ma a “traino leghista”. La coalizione Fi, Carroccio e Fdi è in vantaggio in varie città: se la gioca a Genova, dove la destra non ha mai governato nella seconda repubblica; a Verona lo scontro è a tre con la presenza addirittura della compagna del sindaco uscente Flavio Tosi che compete con centrodestra e centrosinistra; a Padova il sindaco sceriffo Massimo Bitonci non ce la fa al primo turno, ma comunque si presenta al ballottaggio da vincitore. Ma la coalizione è in testa anche a Piacenza, Lucca, La Spezia, Rieti. Senza contare dove va al ballottaggio, come Lecce, L’Aquila e Monza. Tutti numeri che riaprono la partita nazionale, soprattutto nei giorni in cui il dibattito politico si sposta sulla famigerata riforma della legge elettorale: “Se stiamo ai numeri delle amministrative in tutta Italia”, ha detto il fedelissimo di Silvio Berlusconi Toti, “vedo che un centrodestra unito potrebbe arrivare in città molto difficili come Genova al 33-34% e quindi non così lontano da quel 40% che segna il premio di maggioranza per la lista che prenderà più voti con l’Italicum“. E quindi il messaggio all’ex Cavaliere contro “il proporzionale che non darebbe governabilità al Paese”. Se fino a oggi non lo aveva ascoltato, forse da domani mattina, risultati alla mano, potrebbe cambiare idea.
Palermo – Leoluca Orlando è sindaco per la quinta volta. Il primo cittadino uscente chiude la partita senza lasciare spazio a nessuno degli avversari. Secondo le prime proiezioni Emg per La7, arriva addirittura al 44,4 per cento. La soglia minima per essere eletti al primo turno è, secondo la legge elettorale siciliana, appunto il 40 per cento e, a scrutinio ancora in corso, Orlando sembra non avere particolari preoccupazioni. Si fermano dietro di lui: Fabrizio Ferrandelli (centrodestra) al 32,7%, Ugo Forello (M5S) al 16,9%. Palermo è una delle occasioni perse per i 5 stelle, che hanno sofferto negli ultimi mesi per lotte interne e indagini. Da segnalare anche qui, come secondo la tendenza di tutta Italia, un calo significativo dell’affluenza: ha votato il 52,6% degli elettori, mentre nel 2012 era andato alle urne il 63,19%. “Da palermitano”, ha commentato il grillino Forello, “prima ancora che da candidato M5s mi rammarica molto il dato dell’astensionismo. E’ andato a votare poco più del 50 per cento dei palermitani, questo evidenzia la disaffezione e disillusione dei palermitani nei confronti della politica”.
Parma – Nella città che fu la Stalingrado 5 stelle nel 2012, l’uscente ed ex grillino Pizzarotti non ce la fa al primo turno, ma arriva comunque in testa al 35,6 %. Al ballottaggio dovrà vedersela con il candidato civico sostenuto dal centrosinistra Paolo Scarpa (dato intorno al 29,6 per cento). Terza tra il 18 e 22 per cento c’è la leghista Laura Cavandoli. Quest’ultima comunque registra una percentuale significativa in Emilia, anche grazie al sostegno delle forze di centrodestra che proprio su Parma hanno puntato molto. Lo stesso leader del Carroccio Matteo Salvini è stato più volte a Parma nei mesi scorsi e qui ha voluto organizzare il congresso della Lega Nord.
Genova – La sfida al ballottaggio nella città di Beppe Grillo sarà tra il centrodestra e il centrosinistra. Da una parte il candidato di sinistra Gianni Crivello che, secondo le proiezioni, arriva al 34,8% dall’altra il leghista Marco Bucci al 35,3%. Terzo il grillino Luca Pirondini (M5s). Molto bassa l’affluenza in città, con un dato che si ferma sotto il 50 per cento. “Questo deve stimolare una riflessione sul perché la maggioranza dei cittadini ha preferito non andare a votare per nessuno”, ha detto il segretario locale dem Alessandro Terrile. “E’ stata una campagna elettorale anche difficile, il distacco verso la politica è evidente”.
Taranto – La città dell’Ilva manda al ballottaggio, in base alla II proiezione di Istituto Piepoli per Rai, la candidata del centrodestra Stefania Baldassarri (23%) e l’avversario del centrosinistra Rinaldo Melucci (Pd, Psi, Centristi, liste civiche) al 16%, Mario Cito (Lega d’Azione meridionale) al 13% e Francesco Nevoli (M5s) al 12%.
Trapani – Lo scontro è tra il senatore Antonino D’Alì sostenuto da Forza Italia, Psi, Per la grande città; il deputato regionale ed ex sindaco Mimmo Fazio con ‘Lista per Fazio, ‘Uniti per il futuro’, ‘Progetto per Trapani’, ‘Trapani tuà, ‘Io ci sono’. Marcello Maltese candidato del Movimento 5 stelle sarebbe distanziato di qualche punto percentuale. A Trapani la campagna elettorale è stata sconvolta da due inchieste giudiziarie che hanno coinvolto D’Alì e Fazio, un tempo assieme nel Pdl e ora avversari. Per D’Alì la Dda di Palermo ha chiesto l’obbligo di soggiorno, con il tribunale che notificò il provvedimento al senatore a ridosso della scadenza dei termini per la presentazione delle liste elettorali. I pm ritengono D’Alì “socialmente pericoloso”. La richiesta sarà esaminata, a luglio, dal tribunale di Trapani. D’Alì a caldo aveva sospeso la campagna elettorale per poi riprenderla su impulso del suo partito, Forza Italia. Fazio invece è stato arrestato per corruzione e poi rimesso in libertà dopo la revoca dei domiciliari. E’ coinvolto nell’inchiesta della Procura di Palermo che ha portato all’arresto dell’armatore della Liberty Ettore Morace per corruzione, indagine che ha coinvolto altri politici. I 5stelle hanno cercato di approfittarne, tant’è che s’è mosso il leader Beppe Grillo in prima persona, facendo tappa a Trapani a chiusura della campagna elettorale.
L’Aquila – L’Aquila vede il ballottaggio tra centrosinistra e centrodestra. In base alla seconda proiezione Ipr-Piepoli per la Rai, nel capoluogo abruzzese il candidato sindaco Americo Di Benedetto (centrosinistra), poco prima dell’una di notte, è dato al 45%, Pierluigi Biondi (centrodestra) al 37%, Carla Cimaroni (sinistra) al 7%, Fabrizio Righetti (M5s) al 5%. Buona l’affluenza con il 67,77%. L’affluenza qui è stata del 67,77%, alle precedenti elezioni comunali l’affluenza era stata del 72,38%.
Verona – Una manciata di voti divide i candidati sindaco di Verona Federico Sboarina (Lega), Orietta Salemi (Pd) e Patrizia Bisinella (Lista Tosi). Secondo il ministero degli Interni, al momento sono state scrutinate 35 sezioni su 268 e Sboarina è in testa con 3.581 voti (27,93%) seguito da Salemi con 3.144 voti (24,52%) e da Bisinella con 3.056 voti (23,84%). La situazione, quindi, non è ancora delineata in modo netto, con la compagna di Tosi che potrebbe soffiare il ballottaggio alla democratica.
Padova – Non torna subito in sella a Padova Massimo Bitonci, il sindaco ‘sceriffò della Lega disarcionato nel novembre 2016 da sua stessa maggioranza, che guida la sfida per Palazzo Moroni ma dovrà affrontare il secondo turno (con ogni probabilità) con il candidato del Pd, l’imprenditore Sergio Giordani. Le prime proiezioni vedono Bitonci al 37% dei voti, e Giordani al 27%. Il risultato più eclatante, è però quello del prof universitario Arturo Lorenzoni, che con la sua ‘Coalizione civicà è accreditato di un 24%.
Affluenza in calo – Si sono chiusi alle 23 i seggi nei 1.004 Comuni chiamati al voto per elezioni amministrative. Hanno ora inizio le operazioni di spoglio. Quando sono noti i dati relativi a oltre 300 comuni sugli 849 i cui dati sono raccolti dal Viminale, l’affluenza alle urne per le elezioni comunali, rilevata alle 23 di oggi – orario di chiusura dei seggi – va attestandosi poco sopra il 61%. Alle precedenti omologhe, alle ore 23, la percentuale era stata del 68%. Il dato non tiene conto dei comuni del Friuli Venezia Giulia e della Sicilia, gestiti direttamente dalle due Regioni e non dal Viminale. Alle 19 la partecipazione al voto era data in crescita al 42,35% (negli 849 Comuni italiani rendicontati dal Viminale, escludendo quelli delle Regioni a statuto speciale Trentino Alto Adige e Sicilia). In occasione delle ultime amministrative, nel 2012, alla stessa ora, aveva votato il 37,7% degli aventi diritto, ma allora si votava in due giorni ed era possibile votare fino alle 15 di lunedì. Alle 19 l’affluenza era al 46%, invece, nella tornata elettorale delle Amministrative 2016: allora si votava in un giorno solo: tra i Comuni coinvolti c’erano anche Roma, Milano, Torino e Bologna ed era un turno più avvertito dai partiti avendo più peso a livello nazionale.
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