Diario della caduta di un regime.

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Donald Trump, Silvio Berlusconi e noi. Strane somiglianze

di Furio Colombo | 20 agosto 2017

| 15
Alcuni commentatori americani lo avevano notato subito: è stato Berlusconi ad aprire la strada a Trump.



Governare è potere, la politica non c’entra niente, le idee non c’entrano niente, la ricchezza conta perché intimidisce e tiene alla larga la burocrazia (non chiedi autorizzazioni, decidi e paghi da solo) e definisce il personaggio.



Ma non è il vero punto di separazione, a differenza di quanto molti di noi hanno detto e scritto nei primi anni berlusconiani.



Conta usare il privilegio per mentire, bluffare e mantenere fuori equilibrio il gioco.



Le mosse sono due.


Una spinta indietro, brusca e improvvisa, del tutto imprevista. Berlusconi ha scelto di attaccare la Costituzione, definendola “comunista” e rompendo subito un legame che aveva tenuto anche durante gli anni di piombo delle Br e della destra armata.



Trump, che arriva al potere della più grande potenza del mondo nel tempo di una economia multicentrica formata da un intrico di scambi di ricchezze, proprietà e fondi sovrani, proclama l’isolazionismo nel senso antico e semplice del primo Novecento: frontiere, dazi, stop all’immigrazione.


La seconda mossa è dimostrare (la teoria del complotto) che l’immigrazione è cambio di sangue e di popoli, a danno dei bianchi e dei cristiani. Un intrigo così ha il pregio di entusiasmare le intelligenze elementari e di allargare la questione che divide tutti i Paesi e divide il mondo.


Il parallelismo fra Trump e Berlusconi fa apparire l’ex leader italiano una nave scuola.


Berlusconi, infatti, appena possibile, va a cercare e attacca al suo carro la Lega Nord che, al momento, è un partito secessionista, dedicato al disprezzo pesante e volgare degli italiani del Sud (esige che nel Veneto non siano ammessi insegnanti meridionali) e a un’intensa avversione per la nascente Unione europea.


Ma, alle condizioni giuste, la Lega si arruola.


Nascono così i vent’anni distruttivi di governo o di efficace opposizione berlusconiana.


Per realizzare il progetto bisogna che l’infezione della paura dello straniero dilaghi.



Servono notizie false.


Contro il diritto a sapere, predicato da Pannella, occorre la confusione di un’informazione rovesciata in cui i colpevoli sono i migranti e chi li salva, tutti parte di una associazione per delinquere insieme con i profittatori dei tentativi di fuga.



Notare che i profittatori ci sono perché è impedito ogni corridoio umanitario e ogni salvataggio a cura dello Stato.


C’era (Mare Nostrum), è durato un anno, funzionava, salvava moltissimo ed è stato subito chiuso.


Infatti in questa visione il male non è morire.


Il male è arrivare vivi e diventare parte di un Paese che invece vuole fermare e chiudere, affinché non ci sia sostituzione di popoli.


La sostituzione di popoli è l’ossessione di Trump e del suo stretto giro interno (ora apparentemente si è liberato di Stephen Bannon, inventore delle fake news, e portatore delle teorie di cui stiamo parlando) insieme con l’isolamento assoluto da ciò che non è americano.

Berlusconi e Trump hanno attaccato le due Repubbliche a loro affidate. Hanno spaccato i loro rispettivi Paesi e dalla spaccatura sono usciti fascisti, nazisti, suprematisti bianchi, KKK, CasaPound, decisi a rifarsi un potere cavalcando la paura del cambio di sangue, di religione, di popoli.


In America sono i suprematisti bianchi, in cerca di vendetta dalla presidenza di Obama e di una vendetta più lontana, la sconfitta dello schiavismo.


In Italia è la negazione aperta e sfacciata della Resistenza.


Qui diventa vistosa e dolorosa la differenza di risposta dei media e dei popoli alla sfida mortale.




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In Italia, giornali e televisioni cedono, seguendo passo passo, e con disciplina, i cambiamenti che portano al ritorno del fascismo da una porta che sembrava chiusa per sempre.
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In America i media (tutti) resistono al punto da commentare gli assurdi discorsi del presidente in diretta e dal vivo, e con allarmata franchezza.

In Italia il grosso del partito di sinistra erede della Resistenza ne cancella di colpo tutti i valori, spostandosi bruscamente sul lato della lotta contro l’immigrazione.

E affida l’arresto di chi prova a salvarsi a un frammento (armato dall’Italia) di un oscuro governo libico.

Come si vede, il governare distruttivo di Trump ha una somiglianza forte con il governare distruttivo di Berlusconi giovane che ha lasciato lunga eredità e attiva imitazione degli ex oppositori.

Entrambi fanno uscire dalla fossa gli scheletri del razzismo (il delitto di Charlottesville) e del fascismo (la nave fascista C Star che cerca profughi in mare da consegnare agli aguzzini libici).

Entrambi hanno ferito duramente la dignità dei loro Paesi.

L’America resiste.


di Furio Colombo | 20 agosto 2017
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REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO


Analisi
Consip, la vendetta del Giglio nero contro il "traditore" che ha parlato con i magistrati
Al di là dei risvolti penali, la bufera su Marroni architettata dal Partito democratico rivela un abuso politico ai danni dell’anello più debole. Mentre il ministro indagato viene difeso
di Emiliano Fittipaldi
27 giugno 2017



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Come il vaso di Pandora, dallo scandalo Consip può spuntare qualsiasi nefandezza. Le ipotesi di reato dell’inchiesta nata a Napoli e spostata a Roma sembrano un bignami del codice penale: corruzione di pubblici ufficiali per vincere appalti miliardari, ipotetiche mazzette per aggiustare sentenze del Consiglio di Stato, traffico di influenze illecite, fughe di notizie da parte di ministri e dei vertici dei carabinieri, cartelli tra aziende e cooperative rosse, depistaggi ipotizzati per altri militari dell’Arma.

Al netto di colpi di scena e funerali all’inchiesta organizzati troppo in fretta da politici e giornalisti poco avvezzi alla materia, a quasi quattro mesi di distanza dall’inchiesta dell’Espresso sul “Giglio nero” che rivelò le accuse dell’amministratore delegato della spa pubblica Luigi Marroni contro Tiziano Renzi, Denis Verdini e Luca Lotti, il cuore dell’indagine è rimasto solido, e il suo perno invariato. È vero, interi pezzi dell’informativa del Noe sono da buttare nel cestino dopo la scoperta che il capitano Giampaolo Scafarto del Noe si sarebbe spinto a falsificare prove pur di inchiodare il babbo dell’ex premier. Ma le accuse del super testimone Marroni restano tutte in piedi.

Il manager scelto da Renzi per guidare la stazione appaltante dello Stato, a dispetto di quanto temuto (o sperato) da osservatori interessati, il 9 giugno davanti ai pm Paolo Ielo e Mario Palazzi ha confermato punto per punto la versione già consegnata lo scorso dicembre a Henry John Woodcock. Sia riguardo al filone riguardante la fuga di notizie («ho saputo dell’inchiesta e delle cimici dal generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia e dal ministro Lotti», entrambi indagati per violazione del segreto istruttorio) sia sulle pressioni ricevute da Tiziano Renzi e il suo sodale Carlo Russo («Russo mi ricattava, Tiziano mi diceva di accontentarlo»), coppia iscritta nel registro degli indagati per traffico di influenze illecite.
Se altri personaggi hanno deciso di ritrattare o addirittura mentire ai pm per proteggere se stessi o qualche potente (il vicecomandante del Noe Alessandro Sessa e il presidente dimissionario della Consip Luigi Ferrara dopo gli interrogatori da persone informate sui fatti si sono trasformati in indagati), Marroni ha tenuto la barra dritta. Il suo racconto è considerato attendibile. Seppur non è detto che esistano le prove necessarie ad affrontare un dibattimento, il suo resoconto è stato verificato, e molte circostanze e incontri (tra cui quello con Tiziano Renzi a Firenze) sono stati confermati dai fatti. Sorprende, così, che un testimone considerato finora affidabile dai magistrati, mai indagato e sempre silente, pochi giorni dopo aver fatto il suo dovere di cittadino sia stato messo nel mirino dal Partito democratico e da chi, nel Giglio magico, lo ha piazzato in Consip. In due diverse occasioni il ministro Pier Carlo Padoan, a chi sosteneva che uno tra Marroni e Lotti era un bugiardo e doveva saltare, ha spiegato che non esistevano «motivazioni tecniche o statutarie» per chiedere le dimissioni del manager.

Improvvisamente, il gruppo al Senato del Pd ha invece preso una strada diversa, decidendo di uscire dall’impasse con una scelta di campo: tra Marroni e Lotti, hanno scelto il ministro dello Sport e il miglior amico del segretario del partito. Attraverso l’approvazione di una mozione ad hoc in Parlamento per silurare Marroni. Una mozione che aveva il parere favorevole del governo, nella quale, senza fare mai cenno al ministro indagato, si sollecitava il rinnovo dei vertici coinvolti nello scandalo per garantire «la legalità» e «l’immagine della società». Se l’incensurato Marroni lede l’immagine della Consip, perché l’indagato Lotti non rovina quella del governo?

La mozione è stata approvata, anche grazie all’appoggio di Forza Italia. Ma la mossa segnala ancora una volta la malattia che affligge il partito di Renzi: un’arroganza sistemica mista a una sciatteria strategica che sfiora, spesso e volentieri, l’autolesionismo. Marroni è stato abbandonato al suo destino, Lotti salvato ancora una volta. Nonostante anche l’altro testimone renziano, Filippo Vannoni, abbia spiegato ai pm che fu il ministro a spifferargli l’esistenza di un’inchiesta della procura di Napoli su Romeo e Consip.

Al di là delle vicende penali, la sensazione è quella di un abuso politico. Perpetrato nei confronti dell’anello più debole. O, peggio, di una vendetta nei confronti di un “traditore”, che ha cantato ai pm segreti inconfessabili che oggi minano i petali più preziosi del Giglio Magico di Matteo Renzi. Una sensazione assai sgradevole.
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• Luca Lotti
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• Matteo Renzi
© Riproduzione riservata 27 giugno 2017
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REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO





A tutto gas, per irretire il maggior numero di merli possibili per le prossime elezioni…………..





5 ore fa
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Chiedono casa al prete
Ma lui la dà ai migranti

Claudio Cartaldo


Una volta che un prete che fa il prete non può essere preso in considerazione.

O è un prete fascista,…..o niente.

Un prete non fascista non è un prete.





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Se l'addetto stampa del sindaco
urinava in strada come "arte"


Ecco la Barcellona buonista di Ada Colau

Claudio Cartaldo



3 ore fa
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Come agli inizi degli anni ‘20 del secolo scorso, fanno propaganda cercando di scovare quante più cazzate possibile per incrementare voti.


Adesso sono di moda i “buonisti”.
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Un po' alla vota, cercano di abituare gli italiani alla "loro" normalità.



Cronaca | Di David Evangelisti


Docente sul monte Sagro con bandiera Rsi
Poi posta foto su Facebook: “Vergognati”
Anpi: “È reato”. Le destre lo difendono


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Massa Carrara, professore sul monte Sagro con la bandiera della Rsi alla vigilia dell’anniversario dell’eccidio di Vinca
Massa Carrara, professore sul monte Sagro con la bandiera della Rsi alla vigilia dell’anniversario dell’eccidio di Vinca

Cronaca


Manfredo Bianchi, docente in un istituto tecnico ed esponente di Fdi, ha postato una foto con la bandiera della Repubblica Sociale di Salò scatenando le polemiche a pochi giorni dalla commemorazione dell'eccidio nel quale persero la vita 173 innocenti. Anpi: "E' un reato". Insulti sui social. Le destre lo difendono: "Una goliardata, assurdo linciaggio"



di David Evangelisti | 23 agosto 2017

commenti (214)
 1,2 mila








Più informazioni su: Apologia del Fascismo, Fascismo, Neofascismo






Schiaffo alla memoria delle vittime del nazifascismo, proprio alla vigilia della commemorazione dell’eccidio di Vinca, una frazione di Fivizzano, in provincia di Massa Carrara, ai piedi del monte Sagro, dove nell’agosto 1944 furono trucidati 173 civili innocenti. Manfredo Bianchi, insegnante e esponente di Fdi, ha postato su Facebook una foto che lo ritrae proprio sulla vetta del Sagro mentre sventola una bandiera della Repubblica di Salò. Il gesto è stato contestato dalla sezione locale dell’Anpi: “E’ un reato”. Bianchi in un primo momento al Tirreno – giornale che ha acceso i riflettori sulla questione – aveva dichiarato: “Penso di avere esercitato il diritto di opinione e non credo di aver commesso alcun reato”. Con il passare delle ore la polemica è cresciuta e Bianchi è stato costretto a aggiustare il tiro, smentendo inoltre che ci fosse un legame con la strage di Vinca: “È stato un evento drammatico. Lo scatto è stato un gesto di polemica nei confronti della proposta di legge Fiano – Boldrini sull’apologia di fascismo”.

Bianchi, ingegnere libero professionista, durante lo scorso anno scolastico ha insegnato disegno tecnico presso l’istituto tecnico Domenico Zaccagna di Carrara. Il docente è anche impegnato in politica: alle ultime elezioni amministrative è stato ad esempio candidato per Fratelli d’Italia al consiglio comunale di Carrara, città poi conquistata dal M5S. il docente non li ha mai nascosto la passione per gli ideali dell’estrema destra: la sua attuale foto del profilo Facebook ritrae ad esempio un uomo di spalle (difficile capire se sia lo stesso Bianchi durante la recente visita a Predappio) che sfodera un saluto romano al cospetto di un ritratto del duce. Diversi anche i riferimenti a Giorgio Almirante e ai caduti della Repubblica sociale italiana.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08 ... a/3811015/


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Scenario

Il filo rosso che collega Giulio Regeni agli accordi sui migranti

Nel tentativo di ridurre le partenze, l’Italia ha rinunciato alla verità sull’omicidio. Così ci siamo accordati con il debole Serraj. Ma non bastava: serviva anche il placet di Haftar e dell'Egitto suo sponsor


di Mattia Toaldo
22 agosto 2017


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Il filo rosso che collega Giulio Regeni agli accordi sui migranti
C’è un filo neanche troppo invisibile che lega la decisione di rimandare l’ambasciatore italiano al Cairo e la politica italiana sull’immigrazione dalla Libia. È un filo con cui abbiamo deciso di legarci le mani quando abbiamo concluso che l’unica cosa che si può fare con gli immigrati è respingerli in Libia: e per parlare con un pezzo di Libia, bisogna parlare anche con l’Egitto.

Il primo snodo di questo filo sono le nostre politiche migratorie. Il flusso principale verso l’Italia parte dall’Africa Occidentale, passa per il Niger, quindi in Libia e poi nel Mediterraneo. Da quando due anni fa l’allora governo Renzi propose il “migration compact”, la Ue ha messo in campo una serie di politiche e di accordi con l’Africa sub-Sahariana in cui si mescolano soldi per lo sviluppo, crescita delle capacità di controllo dei confini e limitazioni all’immigrazione da parte di alcuni Paesi chiave. Il Niger è diventato il modello di questo approccio e infatti i flussi da questo Paese verso la Libia si sono drasticamente ridotti tra il 2016 ed il 2017: probabilmente è questa una delle ragioni principali del crollo degli arrivi in Italia a luglio (è bene ricordarlo: un crollo avvenuto prima della cacciata delle Ong e del protagonismo della Guardia Costiera libica). Ma questa strada di ridurre i flussi alla fonte evidentemente non bastava: dalla Libia continuava ad arrivare sempre più gente e il resto dell’Europa aveva chiuso i confini ai migranti.

Abbiamo riaperto i rapporti diplomatici con l'Egitto, nonostante abbiano provato a rifilarci una fandonia irricevibile sulla morte di Giulio. E per questo viene da chiedersi: quanto sarà mai credibile ogni altra verità che ci verrà proposta?
L’Italia, su spinta soprattutto del ministro Marco Minniti, è quindi ricorsa a politiche molto più drastiche in Libia, che di fatto coinvolgono la Guardia Costiera nominalmente al servizio del governo di Faiez Serraj e il governo stesso. Serraj è riconosciuto in teoria da tutta la comunità internazionale, incluso l’Egitto, ma chi ha un rapporto privilegiato con lui e in genere con tutta la Tripolitania è l’Italia: unici ad avere l’ambasciata aperta a Tripoli, unici ad avere rapporti profondi addirittura a livello di sindaci, quasi gli unici a mandare imprese e delegazioni.

Lo schema Minniti è di bloccare i flussi non solo dal Niger ma anche dalla Libia. Per farlo, si rafforza la Guardia Costiera libica con navi italiane e addestramento Ue e le si permette di creare una zona di soccorso in mare (la sigla inglese è Sar, Search And Rescue). I migranti “salvati” in questa zona vengono riportati in Libia e non potranno mai chiedere asilo. Per attuare questo schema, si è chiesto a Serraj di fare un gesto che lui aveva in precedenza rifiutato: permettere una presenza italiana in acque libiche per “guidare” la Guardia Costiera locale verso i gommoni. Serraj ha fatto questa concessione ma è stato subito accusato dai suoi oppositori di aver svenduto la sovranità del Paese all’ex potenza coloniale.

E qui arriviamo al secondo snodo: gli oppositori di Serraj che sono anche amici dell’Egitto. Il Primo ministro di Tripoli è figura assai debole, non controlla direttamente quasi nulla e anche la Guardia Costiera è più che altro un arcipelago di milizie locali, in alcuni casi molto vicine ai trafficanti stessi. Dall’altra parte della Libia, tra Bengasi e il confine con l’Egitto, c’è invece un uomo molto forte: il generale Khalifa Haftar, nemico giurato degli islamisti e per questo beneficiario di armi e sostegno politico da parte del Cairo e degli Emirati Arabi Uniti. Haftar ha colto la palla al balzo della “concessione” di Serraj agli italiani per accusarlo di tradimento e minacciare l’Italia e le sue navi. Proprio negli stessi giorni sono apparsi sulla stampa italiana articoli in cui si diceva che, fatto l’accordo con Serraj, ne serviva uno con Haftar. La ratio era che se i gommoni non potevano partire dalla Libia occidentale, sarebbero partiti da quella orientale. Basterebbe dare uno sguardo alla cartina, vedere quanto è lontana la Cirenaica dalle nostre acque per capire che il rischio non è proprio immediato.

Si giunge quindi al terzo snodo: l’Egitto. Dall’omicidio Regeni i rapporti tra il Cairo e Roma si erano raffreddati e ancor di più dopo il ritiro dell’ambasciatore italiano. In molti, attorno a Minniti, dicevano che non si poteva gestire la Libia senza parlare con gli egiziani: e senza l’ambasciatore veniva a mancare il rapporto diretto e quotidiano. Questo argomento in favore della ripresa dei pieni rapporti diplomatici con l’Egitto è precedente ai fatti di questi giorni ma dipende in larga parte dall’approccio “securitario” dato al tema immigrazione.


La riapertura dei canali diplomatici e il ritorno dell'ambasciatore italiano in Egitto sono un’abdicazione a capire il reale e a plasmarlo da parte della nostra politica. Il duro commento del filosofo
Il filo che lega lo schema Minniti e l’Egitto è quindi il seguente: dobbiamo bloccare gli immigrati in Libia ma non potendo fare noi i respingimenti (sono vietati), appaltiamo il blocco ai libici; questi libici sono indeboliti e minacciati dai libici amici dell’Egitto; quindi dobbiamo riattivare i rapporti con l’Egitto.

In questo schema ci sono poche cose inevitabili ma una di queste è la scarsa solidarietà europea. Ce ne fu poca fin dai tempi dell’omicidio Regeni: basti ricordare la visita del presidente francese François Hollande al Cairo la settimana dopo il ritiro del nostro ambasciatore, con tanto di contratti miliardari proprio nel settore della Difesa da cui era scaturito l’omicidio. La scarsa solidarietà è continuata sul tema migranti, forzando la mano allo schema Minniti.


NeI 18mesi in cui l'ambasciatore italiano non era in Egitto, i rapporti economici tra i due paesi non si erano fermati, anzi. Ecco il business tra armi, energia e turismo
Eppure, in tutto questo, una politica alternativa sull’immigrazione è possibile. Ad esempio, una politica che proponga agli stati africani un patto: vi daremo dei visti per l’immigrazione legale se vi riprenderete chi emigra illegalmente. Per i profughi l’Unhcr ha proposto 20 mila posti legali in Europa ma l’Ue ha rifiutato. Queste politiche “salterebbero” la Libia perché chi emigra legalmente prende l’aereo, non i gommoni dei trafficanti libici. Ci renderebbero meno schiavi dei “fili” descritti qui sopra ma richiederebbero scelte coraggiose che mirino davvero, proprio come dice Minniti, a “gestire i flussi”. Gestire e regolarizzare, non bloccare.

A quel punto in Egitto potremmo mandarne anche due di ambasciatori. Perché il problema non è inviare un professionista il cui lavoro è tenere i rapporti con un altro Paese. Il problema è il mandato che ha quell’ambasciatore. Potremmo (anzi, dovremmo) spedirlo lì e chiedergli di ricordare ogni giorno al governo egiziano che vogliamo la verità sull’omicidio di Giulio Regeni. Ma saremo un po’ più liberi di dargli queste istruzioni quando ci libereremo dai fili descritti fin qui e ci doteremo di una politica diversa sull’immigrazione.

(L’autore, Mattia Toaldo, studioso di Medio Oriente e Nord Africa, è analista senior presso l’European Council on Foreign Relations a Londra)

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Egitto
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© Riproduzione riservata 22 agosto 2017


http://espresso.repubblica.it/internazi ... =HEF_RULLO
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Re: Diario della caduta di un regime.

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IL PIANETA DELLE SCIMMIE




Da sempre mi avevano detto che questo era denominato “PIANETA TERRA”.

Non credo però che sia il termine esatto.

Sempre di più, man mano che il tempo avanza, questo si sta di dimostrando il “PIANETA DELLE SCIMMIE”.




Ragazza di 23 anni uccisa e abbandonata sulla statale

4/25

Il Mattino
Giovanni Del Giaccio20 minuti fa

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Una ragazza di 23 anni è stata uccisa e abbandonata in strada questa notte sulla 156 " Dei monti Lepini " nel territorio di Prossedi. La giovane, probabilmente una prostituta, è stata massacrata di botte.
A dare l'allarme sono stati i titolari di un hotel nei pressi del quale si sarebbe verificato un acceso diverbio.
La vittima è una ragazza italiana originaria di Frosinone. Sull'episodio indagano i carabinieri.


ALTRO SU MSN:
Uccisa a coltellate, giallo nel milanese (Mediaset)
VIDEO
http://www.msn.com/it-it/notizie/italia ... spartanntp
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Re: Diario della caduta di un regime.

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REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO



IL CERCHIO SI STRINGE



Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo.

Primo Levi




IlFattoQuotidiano.it / Cronaca


Pistoia, portò migranti in piscina: dopo minacce di Forza Nuova vescovo invia il Vicario: dirà messa con don Biancalani
di Carlo Giorni | 25 agosto 2017

Cronaca
La decisione della curia è arrivata dopo che il movimento di estrema destra aveva annunciato che sarebbe in prima fila ad ascoltare la celebrazione di don Massimo “per vigilare sull'effettiva dottrina” del sacerdote
di Carlo Giorni | 25 agosto 2017
142
• 2,3 mila


Più informazioni su: Forza Nuova, Migranti, PD, Pistoia

Don Massimo Biancalani non sarà solo nella celebrazione della messa a Pistoia. Per la funzione in programma domenica prossima il vescovo, monsignor Fausto Tardelli, ha deciso di affiancare il suo Vicario Generale al parroco di Vicofaro, che aveva postato su Facebook la foto dei migranti portati a fare il bagno in piscina e si era attirato le critiche di un ampio fronte politico. La decisione della curia è arrivato dopo che Forza Nuova aveva annunciato che sarebbe in prima fila ad ascoltare la celebrazione di don Massimo “per vigilare sull’effettiva dottrina di don Biancalani”, come sostiene in un comunicato Claudio Cardillo, segretario provinciale del movimento di estrema destra.
“Si vorrebbe profanare la SS.Eucaristia con l’assurda motivazione di andare a controllare l’operato di un prete addirittura mentre celebra un Sacramento e facendo diventare la celebrazione eucaristica teatro di contese e di lotta. Richiamo tutti con forza alla ragione, considerando la gravità di ciò che si vorrebbe fare”, scrive il prelato. Che ha deciso di inviare a celebrare l’eucaristia il suo vicario don Patrizio Fabbri. Per disinnescare, appunto, l’iniziativa di Forza Nuova.
Ma anche la contromanifestazione annunciata dalla sinistra. Al movimento estremista di destra ha replicato, infatti, il segretario provinciale del Pd Riccardo Trallori. Che, dopo aver accusato Forza Nuova di intimidazione, ha proposto a tutti i pistoiesi, credenti e non credenti di andare tutti a messa da don Massimo “con noi, esponenti del Partito Democratico”. Anche se tra i dem non tutti stanno dalla parte del prete.
Monsignor Tardelli ha giustificato la decisione di sostituire don Massimo con la volontà di riaffermare la fiducia della diocesi nei suoi confronti. Una fiducia per la verità più pubblica che privata. A quattro’occhi infatti il vescovo ha rimproverato don Massimo: ok l’accoglienza, ma perché esibire sui social i migranti che nuotano, visto anche il clima ostile che c’è anche a Pistoia dove non a casa ha vinto il centrodestra? “Io faccio e lo racconto con semplicità nel segno del Vangelo”, replica don Biancalani. Che continuerà a fare quello che ha fatto: porterà i suoi profughi a farsi una bella nuotata in piscina e forse due giorni anche al mare, destinazione Vada, nel gran mare labronico. Con semplicità, appunto. E alla faccia di Salvini e di Forza Nuova.


I CAMERATI SON TORNATI E AGISCONO INDISTURBATI COME ALL'INIZIO DEGLI ANNI '20 DEL SECOLO SCORSO
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO





Il Fatto Quotidiano rappresenta senz’altro una punta avanzata del giornalismo indipendente. Ma non ha compreso a fondo la gravità del momento.

Tanto che ha scritto al termine dell’articolo di Gomez:


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Commenti
venerdì 25/08/2017



Ischia, una domanda scomoda: siamo un popolo di idioti?


di Peter Gomez | 25 agosto 2017


| 12


Noi italiani siamo un popolo di idioti? Con tutto il rispetto che si deve all’immenso dolore di chi a Ischia conta i morti e i feriti, questa domanda oggi ce la dobbiamo porre con scomoda franchezza. Certo, molto di quanto accaduto dipende dalla politica. Decenni di mancati controlli, di condoni, di demolizioni non eseguite (600 solo nell’isola), hanno finito per creare nei cittadini la convinzione che tutto fosse permesso. Che per ogni irregolarità o abuso ci fosse un rimedio. Solo che Ischia, come tante altre zone d’Italia, non è un posto normale. È un luogo bellissimo, ma a elevato rischio sismico e idrogeologico. La gente del posto lo sa. Nelle scuole dell’isola i bimbi studiano che il terremoto del 1883 uccise più di 2000 persone e in Campania quando si vuole dire che sta per scoppiare un putiferio si usa ancora la frase “qui succede Casamicciola”, evocando il nome del paese in quel frangente più colpito. Ecco allora perché è giusto chiedersi quanta idiozia scorra nelle nostre vene. Indipendentemente dalle leggi, dai politici, dal rispetto delle regole e dell’ambiente.

Guardiamo i fatti, partendo da un esempio tra i tanti. Qualsiasi abitazione con piani costruiti in cemento armato sopra i piani originali in muratura in caso di terremoto, anche lieve, si ripiega su se stessa. Chiunque in questi anni abbia seguito un qualsiasi programma televisivo ne è a conoscenza. Eppure, come Ischia insegna, le proteste e le manifestazioni degli abusivi avvengono sempre per chiedere il condono. Non per pretendere aiuti e agevolazioni che permettano di adottare altre soluzioni. Chi occupa una prima casa abusiva scende in piazza solo per domandare di restarci. Non per ottenerne una nuova finalmente sicura o per condizionare la propria permanenza a lavori edilizi che riducano i rischi.

Nel 2010, il Comitato per il diritto alla casa di Ischia e Procida, un’organizzazione con migliaia di aderenti, in un volantino invitava i cittadini a annullare le schede elettorali con la scritta “voto abusivo”. Protestava contro i partiti di qualsiasi colore tutti egualmente “responsabili dell’abusivismo edilizio e dei conseguenti abbattimenti delle prime case di necessità”. Nessun accenno invece a richieste d’interventi pubblici in favore di chi l’abitazione a rischio l’aveva semplicemente ereditata o non ne aveva un’altra dove andare. Risultato: oggi si piangono i morti, si curano i feriti, si polemizza sul nulla e soprattutto si attende il prossimo disastro. Nessuno sa quando accadrà. Ma tutti sanno che accadrà. Anche coloro i quali abitano zone a inedificabilità assoluta ai piedi del Vesuvio, un vulcano che prima o poi riprenderà a eruttare.

Per questo oggi è il caso di riflettere su noi italiani e sulla nostra idiozia. Sui grandi pericoli che facciamo correre ai nostri figli. Possibile che in un Paese in cui la politica del condono edilizio (dichiarato o più spesso mascherato dall’inazione delle autorità locali) è da sempre merce elettorale, i cittadini non riescano a proporre ai candidati uno scambio diverso? Possibile che i comitati e le associazioni degli abusivi, ma pure i loro amici e parenti, non possano offrire il loro consenso solo a chi propone soluzioni alternative alla semplice sanatoria? Perché lamentarsi e protestare è giusto. Ma di fronte alla morte non essere degli idioti è un dovere. La tragedia di Ischia sta lì a raccontarcelo. E d’ora in poi chi farà finta di non saperlo non potrà dirsi innocente.
erding
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Iscritto il: 21/02/2012, 22:55

Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da erding »

L'amico Francesco Briganti fa una descrizione amara, cruda e nuda dell'italica condizione,
inoppugnabilmente vera come altrettanto vero è che tutti, a vario titolo, dobbiamo sentirci responsabili,
se non altro per la nostra ignavia e la nostra incapacità a reagire adeguatamente.


"… in questo mondo di ladri …

Che squallido paese è questo!. Bastano quattro manganellate quattro, basta una frase sconcia detta da un coglione nel mentre, da schiavo in divisa da poliziotto o da politico, si mostra ligio al proprio ruolo infame, sia militare o politico poco importa, e tutto lo schifo a viversi quotidianamente viene dimenticato e passa in seconda linea.

Basta la foto di un bambino affogato in mare, la minaccia di una frattura, la reazione di quattro disgraziati che sarebbero da commiserare piuttosto che da assolvere o condannare ed i call center, gli esodati, le pensioni irraggiungibili, i disoccupati, la sanità inefficiente, la giustizia paralizzata, le scuole fabbriche di imbecilli, i vecchi a scavare nella spazzatura, le industrie italiane a vendersi o ad aprirsi all’estero, le ignominie di politici abbuffini, le pretese di potere di un idiota, sia esso un salvini o un renzi qualunque, quelle di un partito a dichiararsi di eroi e di santi, gli scioperi inutili, i sindacati resi barzellette, i mostri ad uccidere ed a sfuggire puntualmente, ed ecco che l’attenzione degli stessi protagonisti di quanto sopra viene dirottata da tutt’altra parte incapace com’è di focalizzarsi nell’unica cosa dirimente: PRENDERE A CALCI NEL CULO tutto e tutti senza distinzioni e con un solo fine:

“ FARE TABULA RASA! “.

Qualcuno in risposta al mio post di ieri ha così commentato: “ bene Francesco, dicci allora tu cosa avresti fatto “.

Quello che può sembrare un commento a condividere è in realtà una domanda provocatoria e senza un costrutto reale giacché il problema vero non sono i migranti di piazza indipendenza o quelli rifiutati da un sindaco pd o leghista o 5S o marxista leninista che fosse.

Il vero problema, e rassegnatevi una buona volta ad aprire gli occhi ed vedere ciò che vi succede intorno, è l'asfittica ignavia di chi ci governa da anni e non solo ab Renzi usurpatore: se ci fossero, infatti ed in questopaese, le condizioni necessarie per una vita civile e sociale relative ad un consesso non già sfruttato e perseguitato, ma degnamente a vivere ed atteso a condizioni quanto meno normali, ci sarebbero case, lavoro, integrazione ed accoglienza senza altri parametri da considerare.
Non ci sarebbero tensioni latenti e vigliacche, non ci sarebbero giovani a fuggir dalle proprie case, vecchi a morire sotto i ponti, mamme a piangere i propri figli, padri ad uccidersi per lo sconforto.

“ (…) La questione di fondo è che la povertà sta diventando una colpa, introiettata nella coscienza collettiva e nel codice politico dominante, così come il migrante si porta addosso il marchio dell’ultima mutazione del peccato originale: il peccato d’origine.
Unite insieme dalla realtà dei fatti e dal gigantismo della sua proiezione fantasmatica, povertà e immigrazione, colpa e peccato recintano gli esclusi, nuovi “banditi” della modernità, perché noi — i garantiti, gli inclusi — non vogliamo vederli mentre agitano nelle nostre città la primordialità radicale della loro pretesa di vivere.
Il fatto è che questi esseri umani ridotti a massa contabile, senza mai riuscire ad essere persone degne di una risposta umanitaria, e ancor meno cittadini portatori di diritti, sono improvvisamente diventati merce politica oltremodo appetibile, in un mercato dei partiti e dei leader stremato, asfittico, afasico. (…). “ (Repubblica; oggi; E.Mauro; ndr).

Per cui la colpa di tutto quello che ci succede intorno è mia, è tua, è sua, e nostra ed è vostra!.

Non nascondetevi dietro ad un finto sdegno; non fate i Pilato di ogni situazione; non scegliete il Barabba di ogni singola e soggettiva convenienza; non siate quella massa informe ed inutile attesa a centinaia di migliaia di soggetti in happening di poche ore in quella piazza, davanti a quel cancello, in fila in attesa per poter scrivere su di una scheda una croce o un vaffa indegni entrambi di un essere umano; non contentatevi di poter cantare, comunque lo facciate : “ … in questo mondo di ladri … “ restandovene a casa comodamente sdraiati con lo spaghetto aglio ed olio, la birra gelata ed il rutto libero; giacché voi come me, al posto di quel coglione a comandare una ventina di disgraziati a pensare al proprio stipendio e non alla vita di chi avrebbero colpito, AVRESTE FATTO ESATTAMENTE LA STESSA COSA!.

E dunque siamo arrivati al punto della scelta finale, quella relativa al posto fisico da occupare da quei grandi coglioni che non siamo altro …

davanti o dietro un manganello !." (Francesco Briganti)
UncleTom
Messaggi: 5725
Iscritto il: 11/10/2016, 2:47

Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »


…..IL TEMPO DEI CACCIABALLEROS…..





Ingrandimento
I potenti non si vergognano più di mentire. Anzi, ora se ne vantano pure
Dagli Usa all’Europa, la politica non 
si fa più scrupoli a dire bugie ed è arrivata al punto di rivendicare le proprie balle con orgoglio. Perché così aumenta la propria fetta di tifosi. E se Trump ha portato quest'arte a un nuovo livello, l'Italia con Berlusconi e Renzi non prende lezioni da nessuno
DI RAFFAELE SIMONE
25 agosto 2017



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Silvio Berlusconi e Matteo Renzi Un paio di mesi fa, con un’iniziativa senza precedenti, il New York Times ha pubblicato la “lista definitiva delle bugie di Donald Trump”, che sono finora centinaia. La lista può esser letta anche come catalogo dei tipi possibili di bugia: esagerazioni, falsi annunci, errori di fatto, dichiarazioni strampalate o sbruffone. Il giornale ha notato che, dei più di cento giorni che ha passato alla Casa Bianca, solo un giorno è passato senza che Donald emettesse bugie in pubblico.

Tra le più grosse, quella che si è fatta scappare il 1° giugno annunciando: «Sono appena tornato da un viaggio all’estero dove abbiamo concluso un accordo da circa 350 milioni di dollari per lo sviluppo militare e economico degli Usa, creando centinaia di migliaia di posti di lavoro». Il giornale annota, sornione, che «le cifre erano gonfiate e premature», cioè totalmente fantasiose. «Nessun presidente - in nessuno dei due partiti - si è mai comportato come Trump», ha aggiunto. Ma Donald non si è dato per inteso: qualche giorno fa, ha dichiarato senza fare una piega di aver ricevuto due telefonate di elogi dal capo dei Boy Scout e dal presidente messicano, ma s’è scoperto subito dopo che erano due bufale.

Donald ha di certo passato il segno, ma il New York Times s’illude se immagina una politica senza menzogne. Il fatto è che negli Usa la cultura della sincerità pubblica è radicata. Ma le bugie sono consustanziali all’attività politica, dato che servono a tre obiettivi fondamentali in quel mondo: acquistare consenso, coprirsi le spalle e raggiungere un traguardo impervio. Sarebbe bastato sporgere un po’ il naso fuori, infatti, per scoprire che la bugia pubblica si usa ovunque senza risparmio.

Tra quelle recenti, spiccano quelle, enormi e sfrontate, con cui François Fillon ha tentato di negare gli spettacolari favori coi soldi dei francesi che aveva fatto a moglie e figli.

Si parva licet, in questo campo l’Italia non è seconda a nessuno. Dopo il bugiardissimo Mussolini, il campione di questa speciale arte è Silvio Berlusconi: dalle falsità vere e proprie (“il presidente operaio”), alle false promesse (“meno tasse per tutti”, “un milione di posti di lavoro”), alle castronerie (“l’anno scorso gli sbarchi di immigrati sono calati del 127 per cento”), alle mitologie fantasiose (“il partito dell’odio, il partito dell’amore”), a Silvio si deve anche una notevole estensione del concetto del mentire. Ha mostrato infatti che questo non consiste solo nel dire una cosa non vera, ma anche nel fare promesse inattuabili, nel distorcere i fatti (il caso della “nipote di Mubarak”), nell’occultarli e nel sottacere lo scopo reale di un atto vero.

In questa indisponente graduatoria, Matteo Renzi, per parte sua, è secondo solo in ordine di tempo: per dirne solo una famosa, dopo aver annunciato urbi et orbi che, se avesse perso il referendum, si sarebbe ritirato dalla politica, si guardò dal farlo; mesi fa ha disinvoltamente raccontato come una vittoria la pesante sconfitta Pd alle ultime amministrative.

Nella democrazia light dell’epoca digitale, le bugie sono così correnti che sarà bene cominciare a chiamarle «fatti alternativi», come ha suggerito (con inconsapevole genialità epistemologica) la portavoce di Donald a commento delle prime bugie che venivano attribuite al presidente. Allo stesso modo, la menzogna è praticata e teorizzata nella cerchia di Emmanuel Macron. Il suo portavoce Christophe Castaner è stato beccato più volte a mentire e Sibet Ndiaye, la disinvolta capoufficio stampa, ha ammesso giorni fa che «si assume la responsabilità di dir bugie per proteggere il presidente». L’assuefazione al web accelera con un infrenabile crescendo l’evaporare della realtà dura nel mare dei fatti alternativi.

Dinanzi a questo mare di bufale, che sarà mai il catalogo di Donald? Se il New York Times insorge, in Italia, dove «la domanda pubblica di sincerità» (come dice Luciano Violante in “Politica e Menzogna”, Einaudi 2013) è modesta, ai cittadini sembra importare poco se chi li governa dica il vero o no e perfino i dati Istat possono essere messi in dubbio senza fare una piega.

Essendo un popolo di story-tellers (cioè di gente che la racconta e se la racconta), ciò non sorprende. Il mentire infatti, proprietà unica del linguaggio umano, è cruciale per narrare storie. Per questo è normale che, se uno mente come Donald, «sta cercando (dice acutamente il New York Times) di creare un’atmosfera in cui la realtà è del tutto irrilevante». È esattamente il terreno su cui nascono la narrazione, il cinema, il teatro e tutte le arti in cui si raccontano storie.

Il problema, quindi, è il seguente: può la politica sopravvivere senza mentire? Il tema preoccupa da tempo i filosofi. Jacques Derrida sottolineò l’urgenza di metter mano a una “pseudologia” o scienza della menzogna, di cui esistono già autorevoli frammenti (da sant’Agostino ai moderni). La linea di riflessione su questo tema è ininterrotta e ha alcuni high points. Hannah Arendt nel 1967 dedicò un famoso saggio al mentire in politica (“Lying in politics”). A fine Settecento, per esempio, ebbe luogo uno spettacolare dibattito a distanza tra Immanuel Kant e Benjamin Constant sull’opportunità di mentire in politica. Kant lo escludeva in modo tassativo. Più pragmaticamente, l’acuto Constant replicò che non dir bugie è un obbligo, «ma solo verso chi ha diritto alla verità».

Qui sta forse la chiave del problema. Per Donald come per i suoi omologhi europei in formato minore, se si mente al popolo è soprattutto perché si ritiene che non abbia alcun “diritto alla verità”. E le menzogne più gravi non sono quelle su singoli fatti, ma quelle che consistono nel tenere nascoste le proprie vere intenzioni.
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• Donald Trump
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© Riproduzione riservata 25 agosto 2017


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