Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
Durante la telefonata fattami stamani dall’amico G., parlando della situazione italiana in generale, mi ha comunicato che sulle spiagge del litorale romano, circola una voce unica:
“Ci vuole l’uomo forte”
Se questo Paese è conciato da sbatter via, lo deve al progetto di questo signore:
https://it.wikipedia.org/wiki/Licio_Gelli
Licio Gelli
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Licio Gelli (Pistoia, 21 aprile 1919 – Arezzo, 15 dicembre 2015[1]) è stato un imprenditore e faccendiere italiano, principalmente noto come maestro venerabile della loggia massonica segreta P2[2][3]. Fu condannato per depistaggio delle indagini della strage di Bologna del 1980. Dopo essere stato detenuto in Svizzera e Francia, è vissuto ad Arezzo, a Villa Wanda.
Biografia
Le origini e l'adesione al fascismo
Figlio di un mugnaio, Licio Gelli nacque a Pistoia il 21 aprile 1919. A diciotto anni Gelli partì volontario nel 735mo battaglione Camicie Nere per partecipare alla Guerra civile spagnola in aiuto delle truppe nazionaliste del generale Francisco Franco. Proprio nei combattimenti di Malaga morì il fratello maggiore Raffaello.
Nel 1939 tornò a Pistoia e narrò a puntate la sua esperienza di guerra sul "Ferruccio", il settimanale della locale federazione fascista. Puntate che poi raccolse in un volume (dodici lire il prezzo di copertina, cinquecento copie in tutto) dal titolo Fuoco! Cronache legionarie della insurrezione antibolscevica di Spagna.
Diventò quindi impiegato del GUF, ma all'università non approdò mai.
Tessera di Gelli appartenente ad una delle organizzazioni del PNF (1941)
Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Licio_Gelli
Nel luglio 1942, in qualità di ispettore del Partito Nazionale Fascista, gli fu affidato l'incarico di trasportare in Italia il tesoro di re Pietro II di Jugoslavia, requisito dal Servizio Informazioni Militare: in tutto, 60 tonnellate di lingotti d'oro, 2 di monete antiche, 6 milioni di dollari, 2 milioni di sterline. Nel 1947, quando il tesoro venne restituito alla Jugoslavia, mancavano 20 tonnellate di lingotti: è stata fatta l'ipotesi, sempre smentita da Gelli, che lui li avesse trasferiti al tempo in Argentina e che parte di queste 20 tonnellate sarebbero tra i preziosi ritrovati nelle fioriere di villa Wanda.[4]
Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica di Salò e conseguentemente divenne un ufficiale di collegamento fra il governo fascista e il Terzo Reich. Quando tuttavia la vittoria della guerra cominciò a rivelarsi impossibile per i nazi-fascisti, Gelli aderì al movimento partigiano. I contatti e le conoscenze abilmente acquisite mentre militava tra i fascisti gli consentirono di effettuare con efficacia il doppio gioco: cominciò quindi a trafugare e distribuire di nascosto ai partigiani i lasciapassare rossi della Kommandatura, e fornire ai suoi superiori informazioni fuorvianti per i rastrellamenti che erano in corso sugli Appennini.
Insieme al partigiano pistoiese Silvano Fedi, che in seguito venne ucciso in circostanze poco chiare, partecipò alla liberazione di prigionieri politici dal carcere delle Ville Sbertoli, organizzata dal Fedi e dalla sua brigata, della quale facevano parte Enzo Capecchi e Artese Benesperi che furono gli artefici dell'azione[5]. Il 16 dicembre 1944 sposò Wanda Vannacci (nata a Pistoia 31 gennaio 1926 e morta il 14 giugno 1993) dalla quale ebbe quattro figli, Raffaello (nato a Pistoia il 28 giugno 1947), Maria Rosa (nata a Pistoia il 22 dicembre 1952), Maria Grazia (nata a Pistoia il 9 settembre 1956 e deceduta a Firenze il 21 giugno 1988) e Maurizio (nato a Pistoia il 25 ottobre 1959)[6].
Dopo la seconda guerra mondiale
Dopo la seconda guerra mondiale, si ipotizza che Gelli si sia arruolato nella CIA, su raccomandazione dei servizi segreti italiani (ma tale ipotesi non è stata verificata). In ogni caso, fu messo in stretta relazione da Edward Herman con Michael Ledeen, che è da molti ritenuto uno stretto collaboratore o un agente della CIA[7]. Fu un collaboratore delle agenzie di intelligence britanniche e americane.
Nel 1956 Gelli diventa direttore commerciale della Permaflex di Frosinone, in area di Cassa per il Mezzogiorno. Durante la sua direzione lo stabilimento diviene un via vai di politici, ministri, vescovi e generali.[8] Dal 1948 al 1958, Gelli fu portaborse del deputato democristiano Romolo Diecidue, eletto nel collegio di Firenze-Pistoia.
Iniziato alla massoneria (1963), in breve tempo ne scalò i gradi principali, fino a diventare maestro venerabile della loggia Propaganda 2 (detta P2); tra il 1970 e il 1981 riuscì a iniziare alla P2 un consistente numero di soggetti titolari di cariche politiche ed amministrative, i nomi di alcuni dei quali sarebbero stati noti soltanto ("all'orecchio") di Gelli. Benché per molti si trattasse soltanto di un'ulteriore e ben frequentata sede di affarismo politico, nel corso degli anni settanta la P2 si sarebbe qualificata per aver concentrato i protagonisti di un disegno eversivo, di cui fu traccia il "piano di rinascita democratica" redatto da Francesco Cosentino su istruzioni dello stesso Gelli.
Questi nel 1970 avrebbe dovuto arrestare il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, nell'ambito del fallito Golpe Borghese; Gelli ha sempre smentito questa ipotesi. Gelli è stato accusato di aver avuto un ruolo preminente nell'Operazione Gladio, una struttura clandestina di tipo "stay-behind", promossa dalla NATO e finanziata in parte dalla CIA allo scopo di contrastare l'influenza comunista in Italia, così come negli altri paesi europei. L'affaire Gladio è stato affrontato (anche giudizialmente) senza collegamenti diretti alla questione P2.
Gelli ripetutamente dichiarò in pubblico di essere stato uno stretto amico del leader argentino Juan Domingo Perón – e spesso ha affermato che tale amicizia è stata veramente importante per l'Italia, senza però aver mai spiegato perché – e proprio molti esponenti della camarilla di potere dell'ultimo peronismo, così come del golpismo uruguayano degli anni settanta, risultarono iscritti alla sua loggia massonica.
Gelli fu creato conte sul cognome dall'ex re Umberto II d'Italia, con Regie Lettere Patenti di concessione del 10 luglio 1980[9]. Gli venne concesso altresì il seguente stemma: "trinciato, alla catena d'oro sulla partizione; di rosso all'elmo piumato d'oro; d'azzurro alla croce latina d'oro, accompagnato da tre stelle d'argento a quattro raggi, male ordinate" con il motto "Virtute progredior"[10].
La lista P2
Lo stesso argomento in dettaglio: P2.
« Con la P2 avevamo l'Italia in mano. Con noi c'era l'Esercito, la Guardia di Finanza, la Polizia, tutte nettamente comandate da appartenenti alla Loggia. »
(Licio Gelli[11])
Il 17 marzo 1981, i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell'ambito di un'inchiesta sul finto rapimento del finanziere Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli a Castiglion Fibocchi (AR) e la fabbrica di sua proprietà (la Giole, sempre a Castiglion Fibocchi), che portò alla scoperta di una lunga lista di alti ufficiali delle forze armate e di funzionari pubblici aderenti alla P2[12]. La lista, la cui esistenza era presto divenuta celebre grazie ai media, includeva anche l'intero gruppo dirigente dei servizi segreti italiani, parlamentari, industriali, giornalisti e personaggi facoltosi come il più volte Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Costanzo. Vi sono molti elementi, a partire dalla numerazione, che lasciano tuttavia ritenere che la lista rinvenuta fosse incompleta.
In fuga, Licio Gelli scappò in Svizzera, dove fu arrestato, il 13 settembre ’82, mentre cercava di ritirare decine di migliaia di dollari a Ginevra, ma, il 10 agosto '83, riuscì ad evadere dalla prigione.[13] Fuggì quindi in Sudamerica, prima di costituirsi nel 1987. Lo scandalo nazionale conseguente alla scoperta delle liste fu quasi drammatico, dato che molte delle più delicate cariche della Repubblica Italiana erano occupate da affiliati all'organizzazione di Gelli. La corte centrale del Grande Oriente d'Italia, con una sentenza del 31 ottobre 1981, decretò l'espulsione del Gelli dall'Ordine massonico. Il Parlamento italiano approvò in tempi rapidi una legge per mettere al bando le associazioni segrete in Italia e contemporaneamente (dicembre 1981), venne creata una commissione parlamentare d'inchiesta, presieduta dalla deputata Tina Anselmi (della Democrazia Cristiana), che riferirà al parlamento dopo 2 anni e mezzo di lavori.
Nelle conclusioni della relazione di maggioranza di questa commissione sulla P2 e su Gelli si legge:
« L'esame degli avvenimenti ed i collegamenti che tra essi è possibile instaurare sulla scorta delle conoscenze in nostro possesso portano infatti a due conclusioni che la Commissione ritiene di poter sottoporre all'esame del Parlamento.
La prima è in ordine all'ampiezza ed alla gravità del fenomeno che coinvolge, ad ogni livello di responsabilità, gli aspetti più qualificati della vita nazionale. Abbiamo infatti riscontrato che la Loggia P2 entra come elemento di peso decisivo in vicende finanziarie, quella Sindona e quella Calvi, che hanno interessato il mondo economico italiano in modo determinante. [...] La seconda conclusione alla quale siamo pervenuti è che in questa vasta e complessa operazione può essere riconosciuto un disegno generale di innegabile valore politico; un disegno cioè che non solo ha in se stesso intrinsecamente valore politico - ed altrimenti non potrebbe essere, per il livello al quale si pone - ma risponde, nella sua genesi come nelle sue finalità ultime, a criteri obiettivamente politici.
Le due conclusioni alle quali siamo pervenuti ci pongono pertanto di fronte ad un ultimo concludente interrogativo: è ragionevole chiedersi se non esista sproporzione tra l'operazione complessiva ed il personaggio che di essa appare interprete principale. È questa una sorta di quadratura del cerchio tra l'uomo in sé considerato ed il frutto della sua attività, che ci mostra come la vera sproporzione stia non nel comparare il fenomeno della Loggia P2 a Licio Gelli, storicamente considerato, ma nel riportarlo ad un solo individuo, nell'interpretare il disegno che ad esso è sotteso, e la sua completa e dettagliata attuazione, ad una sola mente. Abbiamo visto come Licio Gelli si sia valso di una tecnica di approccio strumentale rispetto a tutto ciò che ha avvicinato nel corso della sua carriera. Strumentale è il suo rapporto con la massoneria, strumentale è il suo rapporto con gli ambienti militari, strumentale il suo rapporto con gli ambienti eversivi, strumentale insomma è il contatto che egli stabilisce con uomini ed istituzioni con i quali entra in contatto, perché strumentale al massimo è la filosofia di fondo che si cela al fondo della concezione politica del controllo, che tutto usa ed a nessuno risponde se non a se stesso, contrapposto al governo che esercita il potere, ma è al contempo al servizio di chi vi è sottoposto. Ma allora, se tutto ciò deve avere un rinvenibile significato, quest'altro non può essere che quello di riconoscere che chi tutto strumentalizza, in realtà è egli stesso strumento. Questa infatti è nella logica della sua concezione teorica e della sua pratica costruzione la Loggia Propaganda 2: uno strumento neutro di intervento per operazioni di controllo e di condizionamento. »
L'8 maggio 2010 Licio Gelli diede mandato al direttore del periodico Il Piave, Alessandro Biz, di contattare la Anselmi per organizzare un incontro al fine di "discutere in modo civile della loggia massonica P2" dopo quasi trent'anni, ma l'incontro non si rese possibile per le condizioni di salute dell'ex parlamentare dello Scudo Crociato[14].
CONTINUA
“Ci vuole l’uomo forte”
Se questo Paese è conciato da sbatter via, lo deve al progetto di questo signore:
https://it.wikipedia.org/wiki/Licio_Gelli
Licio Gelli
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Licio Gelli (Pistoia, 21 aprile 1919 – Arezzo, 15 dicembre 2015[1]) è stato un imprenditore e faccendiere italiano, principalmente noto come maestro venerabile della loggia massonica segreta P2[2][3]. Fu condannato per depistaggio delle indagini della strage di Bologna del 1980. Dopo essere stato detenuto in Svizzera e Francia, è vissuto ad Arezzo, a Villa Wanda.
Biografia
Le origini e l'adesione al fascismo
Figlio di un mugnaio, Licio Gelli nacque a Pistoia il 21 aprile 1919. A diciotto anni Gelli partì volontario nel 735mo battaglione Camicie Nere per partecipare alla Guerra civile spagnola in aiuto delle truppe nazionaliste del generale Francisco Franco. Proprio nei combattimenti di Malaga morì il fratello maggiore Raffaello.
Nel 1939 tornò a Pistoia e narrò a puntate la sua esperienza di guerra sul "Ferruccio", il settimanale della locale federazione fascista. Puntate che poi raccolse in un volume (dodici lire il prezzo di copertina, cinquecento copie in tutto) dal titolo Fuoco! Cronache legionarie della insurrezione antibolscevica di Spagna.
Diventò quindi impiegato del GUF, ma all'università non approdò mai.
Tessera di Gelli appartenente ad una delle organizzazioni del PNF (1941)
Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Licio_Gelli
Nel luglio 1942, in qualità di ispettore del Partito Nazionale Fascista, gli fu affidato l'incarico di trasportare in Italia il tesoro di re Pietro II di Jugoslavia, requisito dal Servizio Informazioni Militare: in tutto, 60 tonnellate di lingotti d'oro, 2 di monete antiche, 6 milioni di dollari, 2 milioni di sterline. Nel 1947, quando il tesoro venne restituito alla Jugoslavia, mancavano 20 tonnellate di lingotti: è stata fatta l'ipotesi, sempre smentita da Gelli, che lui li avesse trasferiti al tempo in Argentina e che parte di queste 20 tonnellate sarebbero tra i preziosi ritrovati nelle fioriere di villa Wanda.[4]
Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica di Salò e conseguentemente divenne un ufficiale di collegamento fra il governo fascista e il Terzo Reich. Quando tuttavia la vittoria della guerra cominciò a rivelarsi impossibile per i nazi-fascisti, Gelli aderì al movimento partigiano. I contatti e le conoscenze abilmente acquisite mentre militava tra i fascisti gli consentirono di effettuare con efficacia il doppio gioco: cominciò quindi a trafugare e distribuire di nascosto ai partigiani i lasciapassare rossi della Kommandatura, e fornire ai suoi superiori informazioni fuorvianti per i rastrellamenti che erano in corso sugli Appennini.
Insieme al partigiano pistoiese Silvano Fedi, che in seguito venne ucciso in circostanze poco chiare, partecipò alla liberazione di prigionieri politici dal carcere delle Ville Sbertoli, organizzata dal Fedi e dalla sua brigata, della quale facevano parte Enzo Capecchi e Artese Benesperi che furono gli artefici dell'azione[5]. Il 16 dicembre 1944 sposò Wanda Vannacci (nata a Pistoia 31 gennaio 1926 e morta il 14 giugno 1993) dalla quale ebbe quattro figli, Raffaello (nato a Pistoia il 28 giugno 1947), Maria Rosa (nata a Pistoia il 22 dicembre 1952), Maria Grazia (nata a Pistoia il 9 settembre 1956 e deceduta a Firenze il 21 giugno 1988) e Maurizio (nato a Pistoia il 25 ottobre 1959)[6].
Dopo la seconda guerra mondiale
Dopo la seconda guerra mondiale, si ipotizza che Gelli si sia arruolato nella CIA, su raccomandazione dei servizi segreti italiani (ma tale ipotesi non è stata verificata). In ogni caso, fu messo in stretta relazione da Edward Herman con Michael Ledeen, che è da molti ritenuto uno stretto collaboratore o un agente della CIA[7]. Fu un collaboratore delle agenzie di intelligence britanniche e americane.
Nel 1956 Gelli diventa direttore commerciale della Permaflex di Frosinone, in area di Cassa per il Mezzogiorno. Durante la sua direzione lo stabilimento diviene un via vai di politici, ministri, vescovi e generali.[8] Dal 1948 al 1958, Gelli fu portaborse del deputato democristiano Romolo Diecidue, eletto nel collegio di Firenze-Pistoia.
Iniziato alla massoneria (1963), in breve tempo ne scalò i gradi principali, fino a diventare maestro venerabile della loggia Propaganda 2 (detta P2); tra il 1970 e il 1981 riuscì a iniziare alla P2 un consistente numero di soggetti titolari di cariche politiche ed amministrative, i nomi di alcuni dei quali sarebbero stati noti soltanto ("all'orecchio") di Gelli. Benché per molti si trattasse soltanto di un'ulteriore e ben frequentata sede di affarismo politico, nel corso degli anni settanta la P2 si sarebbe qualificata per aver concentrato i protagonisti di un disegno eversivo, di cui fu traccia il "piano di rinascita democratica" redatto da Francesco Cosentino su istruzioni dello stesso Gelli.
Questi nel 1970 avrebbe dovuto arrestare il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, nell'ambito del fallito Golpe Borghese; Gelli ha sempre smentito questa ipotesi. Gelli è stato accusato di aver avuto un ruolo preminente nell'Operazione Gladio, una struttura clandestina di tipo "stay-behind", promossa dalla NATO e finanziata in parte dalla CIA allo scopo di contrastare l'influenza comunista in Italia, così come negli altri paesi europei. L'affaire Gladio è stato affrontato (anche giudizialmente) senza collegamenti diretti alla questione P2.
Gelli ripetutamente dichiarò in pubblico di essere stato uno stretto amico del leader argentino Juan Domingo Perón – e spesso ha affermato che tale amicizia è stata veramente importante per l'Italia, senza però aver mai spiegato perché – e proprio molti esponenti della camarilla di potere dell'ultimo peronismo, così come del golpismo uruguayano degli anni settanta, risultarono iscritti alla sua loggia massonica.
Gelli fu creato conte sul cognome dall'ex re Umberto II d'Italia, con Regie Lettere Patenti di concessione del 10 luglio 1980[9]. Gli venne concesso altresì il seguente stemma: "trinciato, alla catena d'oro sulla partizione; di rosso all'elmo piumato d'oro; d'azzurro alla croce latina d'oro, accompagnato da tre stelle d'argento a quattro raggi, male ordinate" con il motto "Virtute progredior"[10].
La lista P2
Lo stesso argomento in dettaglio: P2.
« Con la P2 avevamo l'Italia in mano. Con noi c'era l'Esercito, la Guardia di Finanza, la Polizia, tutte nettamente comandate da appartenenti alla Loggia. »
(Licio Gelli[11])
Il 17 marzo 1981, i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell'ambito di un'inchiesta sul finto rapimento del finanziere Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli a Castiglion Fibocchi (AR) e la fabbrica di sua proprietà (la Giole, sempre a Castiglion Fibocchi), che portò alla scoperta di una lunga lista di alti ufficiali delle forze armate e di funzionari pubblici aderenti alla P2[12]. La lista, la cui esistenza era presto divenuta celebre grazie ai media, includeva anche l'intero gruppo dirigente dei servizi segreti italiani, parlamentari, industriali, giornalisti e personaggi facoltosi come il più volte Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Costanzo. Vi sono molti elementi, a partire dalla numerazione, che lasciano tuttavia ritenere che la lista rinvenuta fosse incompleta.
In fuga, Licio Gelli scappò in Svizzera, dove fu arrestato, il 13 settembre ’82, mentre cercava di ritirare decine di migliaia di dollari a Ginevra, ma, il 10 agosto '83, riuscì ad evadere dalla prigione.[13] Fuggì quindi in Sudamerica, prima di costituirsi nel 1987. Lo scandalo nazionale conseguente alla scoperta delle liste fu quasi drammatico, dato che molte delle più delicate cariche della Repubblica Italiana erano occupate da affiliati all'organizzazione di Gelli. La corte centrale del Grande Oriente d'Italia, con una sentenza del 31 ottobre 1981, decretò l'espulsione del Gelli dall'Ordine massonico. Il Parlamento italiano approvò in tempi rapidi una legge per mettere al bando le associazioni segrete in Italia e contemporaneamente (dicembre 1981), venne creata una commissione parlamentare d'inchiesta, presieduta dalla deputata Tina Anselmi (della Democrazia Cristiana), che riferirà al parlamento dopo 2 anni e mezzo di lavori.
Nelle conclusioni della relazione di maggioranza di questa commissione sulla P2 e su Gelli si legge:
« L'esame degli avvenimenti ed i collegamenti che tra essi è possibile instaurare sulla scorta delle conoscenze in nostro possesso portano infatti a due conclusioni che la Commissione ritiene di poter sottoporre all'esame del Parlamento.
La prima è in ordine all'ampiezza ed alla gravità del fenomeno che coinvolge, ad ogni livello di responsabilità, gli aspetti più qualificati della vita nazionale. Abbiamo infatti riscontrato che la Loggia P2 entra come elemento di peso decisivo in vicende finanziarie, quella Sindona e quella Calvi, che hanno interessato il mondo economico italiano in modo determinante. [...] La seconda conclusione alla quale siamo pervenuti è che in questa vasta e complessa operazione può essere riconosciuto un disegno generale di innegabile valore politico; un disegno cioè che non solo ha in se stesso intrinsecamente valore politico - ed altrimenti non potrebbe essere, per il livello al quale si pone - ma risponde, nella sua genesi come nelle sue finalità ultime, a criteri obiettivamente politici.
Le due conclusioni alle quali siamo pervenuti ci pongono pertanto di fronte ad un ultimo concludente interrogativo: è ragionevole chiedersi se non esista sproporzione tra l'operazione complessiva ed il personaggio che di essa appare interprete principale. È questa una sorta di quadratura del cerchio tra l'uomo in sé considerato ed il frutto della sua attività, che ci mostra come la vera sproporzione stia non nel comparare il fenomeno della Loggia P2 a Licio Gelli, storicamente considerato, ma nel riportarlo ad un solo individuo, nell'interpretare il disegno che ad esso è sotteso, e la sua completa e dettagliata attuazione, ad una sola mente. Abbiamo visto come Licio Gelli si sia valso di una tecnica di approccio strumentale rispetto a tutto ciò che ha avvicinato nel corso della sua carriera. Strumentale è il suo rapporto con la massoneria, strumentale è il suo rapporto con gli ambienti militari, strumentale il suo rapporto con gli ambienti eversivi, strumentale insomma è il contatto che egli stabilisce con uomini ed istituzioni con i quali entra in contatto, perché strumentale al massimo è la filosofia di fondo che si cela al fondo della concezione politica del controllo, che tutto usa ed a nessuno risponde se non a se stesso, contrapposto al governo che esercita il potere, ma è al contempo al servizio di chi vi è sottoposto. Ma allora, se tutto ciò deve avere un rinvenibile significato, quest'altro non può essere che quello di riconoscere che chi tutto strumentalizza, in realtà è egli stesso strumento. Questa infatti è nella logica della sua concezione teorica e della sua pratica costruzione la Loggia Propaganda 2: uno strumento neutro di intervento per operazioni di controllo e di condizionamento. »
L'8 maggio 2010 Licio Gelli diede mandato al direttore del periodico Il Piave, Alessandro Biz, di contattare la Anselmi per organizzare un incontro al fine di "discutere in modo civile della loggia massonica P2" dopo quasi trent'anni, ma l'incontro non si rese possibile per le condizioni di salute dell'ex parlamentare dello Scudo Crociato[14].
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Re: Come se ne viene fuori ?
UncleTom ha scritto:Durante la telefonata fattami stamani dall’amico G., parlando della situazione italiana in generale, mi ha comunicato che sulle spiagge del litorale romano, circola una voce unica:
“Ci vuole l’uomo forte”
Se questo Paese è conciato da sbatter via, lo deve al progetto di questo signore:
https://it.wikipedia.org/wiki/Licio_Gelli
Licio Gelli
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Licio Gelli (Pistoia, 21 aprile 1919 – Arezzo, 15 dicembre 2015[1]) è stato un imprenditore e faccendiere italiano, principalmente noto come maestro venerabile della loggia massonica segreta P2[2][3]. Fu condannato per depistaggio delle indagini della strage di Bologna del 1980. Dopo essere stato detenuto in Svizzera e Francia, è vissuto ad Arezzo, a Villa Wanda.
Biografia
Le origini e l'adesione al fascismo
Figlio di un mugnaio, Licio Gelli nacque a Pistoia il 21 aprile 1919. A diciotto anni Gelli partì volontario nel 735mo battaglione Camicie Nere per partecipare alla Guerra civile spagnola in aiuto delle truppe nazionaliste del generale Francisco Franco. Proprio nei combattimenti di Malaga morì il fratello maggiore Raffaello.
Nel 1939 tornò a Pistoia e narrò a puntate la sua esperienza di guerra sul "Ferruccio", il settimanale della locale federazione fascista. Puntate che poi raccolse in un volume (dodici lire il prezzo di copertina, cinquecento copie in tutto) dal titolo Fuoco! Cronache legionarie della insurrezione antibolscevica di Spagna.
Diventò quindi impiegato del GUF, ma all'università non approdò mai.
Tessera di Gelli appartenente ad una delle organizzazioni del PNF (1941)
Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Licio_Gelli
Nel luglio 1942, in qualità di ispettore del Partito Nazionale Fascista, gli fu affidato l'incarico di trasportare in Italia il tesoro di re Pietro II di Jugoslavia, requisito dal Servizio Informazioni Militare: in tutto, 60 tonnellate di lingotti d'oro, 2 di monete antiche, 6 milioni di dollari, 2 milioni di sterline. Nel 1947, quando il tesoro venne restituito alla Jugoslavia, mancavano 20 tonnellate di lingotti: è stata fatta l'ipotesi, sempre smentita da Gelli, che lui li avesse trasferiti al tempo in Argentina e che parte di queste 20 tonnellate sarebbero tra i preziosi ritrovati nelle fioriere di villa Wanda.[4]
Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica di Salò e conseguentemente divenne un ufficiale di collegamento fra il governo fascista e il Terzo Reich. Quando tuttavia la vittoria della guerra cominciò a rivelarsi impossibile per i nazi-fascisti, Gelli aderì al movimento partigiano. I contatti e le conoscenze abilmente acquisite mentre militava tra i fascisti gli consentirono di effettuare con efficacia il doppio gioco: cominciò quindi a trafugare e distribuire di nascosto ai partigiani i lasciapassare rossi della Kommandatura, e fornire ai suoi superiori informazioni fuorvianti per i rastrellamenti che erano in corso sugli Appennini.
Insieme al partigiano pistoiese Silvano Fedi, che in seguito venne ucciso in circostanze poco chiare, partecipò alla liberazione di prigionieri politici dal carcere delle Ville Sbertoli, organizzata dal Fedi e dalla sua brigata, della quale facevano parte Enzo Capecchi e Artese Benesperi che furono gli artefici dell'azione[5]. Il 16 dicembre 1944 sposò Wanda Vannacci (nata a Pistoia 31 gennaio 1926 e morta il 14 giugno 1993) dalla quale ebbe quattro figli, Raffaello (nato a Pistoia il 28 giugno 1947), Maria Rosa (nata a Pistoia il 22 dicembre 1952), Maria Grazia (nata a Pistoia il 9 settembre 1956 e deceduta a Firenze il 21 giugno 1988) e Maurizio (nato a Pistoia il 25 ottobre 1959)[6].
Dopo la seconda guerra mondiale
Dopo la seconda guerra mondiale, si ipotizza che Gelli si sia arruolato nella CIA, su raccomandazione dei servizi segreti italiani (ma tale ipotesi non è stata verificata). In ogni caso, fu messo in stretta relazione da Edward Herman con Michael Ledeen, che è da molti ritenuto uno stretto collaboratore o un agente della CIA[7]. Fu un collaboratore delle agenzie di intelligence britanniche e americane.
Nel 1956 Gelli diventa direttore commerciale della Permaflex di Frosinone, in area di Cassa per il Mezzogiorno. Durante la sua direzione lo stabilimento diviene un via vai di politici, ministri, vescovi e generali.[8] Dal 1948 al 1958, Gelli fu portaborse del deputato democristiano Romolo Diecidue, eletto nel collegio di Firenze-Pistoia.
Iniziato alla massoneria (1963), in breve tempo ne scalò i gradi principali, fino a diventare maestro venerabile della loggia Propaganda 2 (detta P2); tra il 1970 e il 1981 riuscì a iniziare alla P2 un consistente numero di soggetti titolari di cariche politiche ed amministrative, i nomi di alcuni dei quali sarebbero stati noti soltanto ("all'orecchio") di Gelli. Benché per molti si trattasse soltanto di un'ulteriore e ben frequentata sede di affarismo politico, nel corso degli anni settanta la P2 si sarebbe qualificata per aver concentrato i protagonisti di un disegno eversivo, di cui fu traccia il "piano di rinascita democratica" redatto da Francesco Cosentino su istruzioni dello stesso Gelli.
Questi nel 1970 avrebbe dovuto arrestare il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, nell'ambito del fallito Golpe Borghese; Gelli ha sempre smentito questa ipotesi. Gelli è stato accusato di aver avuto un ruolo preminente nell'Operazione Gladio, una struttura clandestina di tipo "stay-behind", promossa dalla NATO e finanziata in parte dalla CIA allo scopo di contrastare l'influenza comunista in Italia, così come negli altri paesi europei. L'affaire Gladio è stato affrontato (anche giudizialmente) senza collegamenti diretti alla questione P2.
Gelli ripetutamente dichiarò in pubblico di essere stato uno stretto amico del leader argentino Juan Domingo Perón – e spesso ha affermato che tale amicizia è stata veramente importante per l'Italia, senza però aver mai spiegato perché – e proprio molti esponenti della camarilla di potere dell'ultimo peronismo, così come del golpismo uruguayano degli anni settanta, risultarono iscritti alla sua loggia massonica.
Gelli fu creato conte sul cognome dall'ex re Umberto II d'Italia, con Regie Lettere Patenti di concessione del 10 luglio 1980[9]. Gli venne concesso altresì il seguente stemma: "trinciato, alla catena d'oro sulla partizione; di rosso all'elmo piumato d'oro; d'azzurro alla croce latina d'oro, accompagnato da tre stelle d'argento a quattro raggi, male ordinate" con il motto "Virtute progredior"[10].
La lista P2
Lo stesso argomento in dettaglio: P2.
« Con la P2 avevamo l'Italia in mano. Con noi c'era l'Esercito, la Guardia di Finanza, la Polizia, tutte nettamente comandate da appartenenti alla Loggia. »
(Licio Gelli[11])
Il 17 marzo 1981, i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell'ambito di un'inchiesta sul finto rapimento del finanziere Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli a Castiglion Fibocchi (AR) e la fabbrica di sua proprietà (la Giole, sempre a Castiglion Fibocchi), che portò alla scoperta di una lunga lista di alti ufficiali delle forze armate e di funzionari pubblici aderenti alla P2[12]. La lista, la cui esistenza era presto divenuta celebre grazie ai media, includeva anche l'intero gruppo dirigente dei servizi segreti italiani, parlamentari, industriali, giornalisti e personaggi facoltosi come il più volte Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Costanzo. Vi sono molti elementi, a partire dalla numerazione, che lasciano tuttavia ritenere che la lista rinvenuta fosse incompleta.
In fuga, Licio Gelli scappò in Svizzera, dove fu arrestato, il 13 settembre ’82, mentre cercava di ritirare decine di migliaia di dollari a Ginevra, ma, il 10 agosto '83, riuscì ad evadere dalla prigione.[13] Fuggì quindi in Sudamerica, prima di costituirsi nel 1987. Lo scandalo nazionale conseguente alla scoperta delle liste fu quasi drammatico, dato che molte delle più delicate cariche della Repubblica Italiana erano occupate da affiliati all'organizzazione di Gelli. La corte centrale del Grande Oriente d'Italia, con una sentenza del 31 ottobre 1981, decretò l'espulsione del Gelli dall'Ordine massonico. Il Parlamento italiano approvò in tempi rapidi una legge per mettere al bando le associazioni segrete in Italia e contemporaneamente (dicembre 1981), venne creata una commissione parlamentare d'inchiesta, presieduta dalla deputata Tina Anselmi (della Democrazia Cristiana), che riferirà al parlamento dopo 2 anni e mezzo di lavori.
Nelle conclusioni della relazione di maggioranza di questa commissione sulla P2 e su Gelli si legge:
« L'esame degli avvenimenti ed i collegamenti che tra essi è possibile instaurare sulla scorta delle conoscenze in nostro possesso portano infatti a due conclusioni che la Commissione ritiene di poter sottoporre all'esame del Parlamento.
La prima è in ordine all'ampiezza ed alla gravità del fenomeno che coinvolge, ad ogni livello di responsabilità, gli aspetti più qualificati della vita nazionale. Abbiamo infatti riscontrato che la Loggia P2 entra come elemento di peso decisivo in vicende finanziarie, quella Sindona e quella Calvi, che hanno interessato il mondo economico italiano in modo determinante. [...] La seconda conclusione alla quale siamo pervenuti è che in questa vasta e complessa operazione può essere riconosciuto un disegno generale di innegabile valore politico; un disegno cioè che non solo ha in se stesso intrinsecamente valore politico - ed altrimenti non potrebbe essere, per il livello al quale si pone - ma risponde, nella sua genesi come nelle sue finalità ultime, a criteri obiettivamente politici.
Le due conclusioni alle quali siamo pervenuti ci pongono pertanto di fronte ad un ultimo concludente interrogativo: è ragionevole chiedersi se non esista sproporzione tra l'operazione complessiva ed il personaggio che di essa appare interprete principale. È questa una sorta di quadratura del cerchio tra l'uomo in sé considerato ed il frutto della sua attività, che ci mostra come la vera sproporzione stia non nel comparare il fenomeno della Loggia P2 a Licio Gelli, storicamente considerato, ma nel riportarlo ad un solo individuo, nell'interpretare il disegno che ad esso è sotteso, e la sua completa e dettagliata attuazione, ad una sola mente. Abbiamo visto come Licio Gelli si sia valso di una tecnica di approccio strumentale rispetto a tutto ciò che ha avvicinato nel corso della sua carriera. Strumentale è il suo rapporto con la massoneria, strumentale è il suo rapporto con gli ambienti militari, strumentale il suo rapporto con gli ambienti eversivi, strumentale insomma è il contatto che egli stabilisce con uomini ed istituzioni con i quali entra in contatto, perché strumentale al massimo è la filosofia di fondo che si cela al fondo della concezione politica del controllo, che tutto usa ed a nessuno risponde se non a se stesso, contrapposto al governo che esercita il potere, ma è al contempo al servizio di chi vi è sottoposto. Ma allora, se tutto ciò deve avere un rinvenibile significato, quest'altro non può essere che quello di riconoscere che chi tutto strumentalizza, in realtà è egli stesso strumento. Questa infatti è nella logica della sua concezione teorica e della sua pratica costruzione la Loggia Propaganda 2: uno strumento neutro di intervento per operazioni di controllo e di condizionamento. »
L'8 maggio 2010 Licio Gelli diede mandato al direttore del periodico Il Piave, Alessandro Biz, di contattare la Anselmi per organizzare un incontro al fine di "discutere in modo civile della loggia massonica P2" dopo quasi trent'anni, ma l'incontro non si rese possibile per le condizioni di salute dell'ex parlamentare dello Scudo Crociato[14].
CONTINUA
CONTINUA
Coinvolgimenti con Gladio
Lo stesso argomento in dettaglio: Organizzazione Gladio.
Con Stefano Delle Chiaie e Francesco Pazienza, è stato coinvolto nel processo per la Strage di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, nella quale furono uccise 85 persone e 200 rimasero ferite. Questo attentato terroristico era parte della strategia della tensione. Con la sentenza definitiva di Cassazione sulla strage di Bologna, il 23 novembre 1995, Gelli viene condannato per depistaggio.
In ogni caso, Licio Gelli fu condannato nel 1994 a 12 anni di carcere, dopo essere stato riconosciuto colpevole della frode riguardante la bancarotta del Banco Ambrosiano nel 1982 (vi era stato trovato un "buco" di 1,3 miliardi di dollari) che era collegato alla banca del Vaticano, l'Istituto per le Opere di Religione (IOR). Affrontò inoltre una sentenza di tre anni relativa alla loggia P2. Scomparve mentre era in libertà sulla parola, per essere infine arrestato sulla Riviera francese a Villefranche sur Mer. La polizia rinvenne nella sua villa oltre 2 milioni di dollari in lingotti d'oro[15][16].
È indiscutibile che la loggia P2 abbia avuto un certo potere in Italia, dato il "peso" pubblico dei suoi affiliati, e molti osservatori ritengono che ancora oggi esso sia forte. Numerosi personaggi ancora oggi famosi in Italia erano iscritti alla P2: tra questi, Silvio Berlusconi, Maurizio Costanzo, Vittorio Emanuele di Savoia, l'editore Angelo Rizzoli, il segretario del PSDI Pietro Longo ed altri esponenti della politica, della magistratura e della finanza.
Il 28 settembre 2003 il sito Repubblica.it pubblica un'intervista a Licio Gelli durante la quale egli afferma che «Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia, la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa. Tutto nel piano di Rinascita, che preveggenza, è finita proprio come dicevo io»[17].
Scandalo del Banco Ambrosiano
Uno degli affiliati della P2 era il finanziere Michele Sindona, il quale nel 1972 aveva acquistato il controllo della Franklin National Bank di Long Island. Nel 1977, in seguito alla bancarotta delle sue banche, Sindona si rivolse a Gelli per elaborare piani di salvataggio della Banca Privata Italiana, la principale del gruppo Sindona; Gelli stesso interessò Giulio Andreotti, il quale gli riferì che "la cosa andava positivamente" ed incaricò informalmente il senatore Gaetano Stammati (anch'egli affiliato alla loggia P2) e Franco Evangelisti di studiare il progetto di salvataggio della Banca Privata Italiana, il quale venne però rifiutato da Mario Sarcinelli, vice direttore generale della Banca d'Italia[18].
Nel 1979 Sindona attuò un tentativo estremo di salvataggio e si nascose in Sicilia, aiutato da esponenti massoni e mafiosi, simulando un rapimento: durante questo periodo mandò almeno due volte ad Arezzo il suo medico di fiducia Joseph Miceli Crimi (anch'egli affiliato alla P2) per convincere Gelli a continuare a fare pressioni ai suoi precedenti alleati politici, tra cui Giulio Andreotti, per portare a buon fine il salvataggio delle sue banche e recuperare il denaro sporco investito per conto dei boss mafiosi; in cambio Sindona avrebbe offerto a Gelli la cosiddetta "lista dei cinquecento", l'elenco di notabili che avevano esportato capitali illegalmente. Tuttavia tutti i tentativi di salvataggio fallirono[19][20]. Nel 1986 morì due giorni dopo una sentenza di condanna a vita, in circostanze non del tutto chiare, anche se l'ipotesi del suicidio è quella più plausibile[21][22].
Qualche anno dopo molti sospetti si sono concentrati su Gelli in relazione al fallimento finanziario del Banco Ambrosiano e al suo eventuale coinvolgimento nell'omicidio del banchiere milanese Roberto Calvi (affiliato pure alla P2), che era stato in carcere proprio per il crack dell'Ambrosiano e, dopo essere tornato in libertà, venne ritrovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge a Londra: infatti Gelli e Calvi avevano investito denaro sporco nello IOR e nel Banco Ambrosiano per conto del boss mafioso Giuseppe Calò, che curava gli interessi finanziari del clan dei Corleonesi[23][24]. A proposito, il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia ha dichiarato:
« Calvi si era impadronito di una grossa somma di danaro che apparteneva a Licio Gelli e a Pippo Calò. Prima di fare fuori Calvi, Calò e Gelli erano riusciti a recuperare decine di miliardi e, quel che più conta, Calò si era tolto una preoccupazione perché Calvi si era dimostrato inaffidabile[25] »
Il 19 luglio 2005, Gelli è stato formalmente indiziato dai magistrati romani per la morte di Calvi. Gelli, nel suo discorso di fronte ai giudici, incolpò personaggi connessi con i finanziamenti di Roberto Calvi al movimento polacco Solidarność, presumibilmente per conto del Vaticano.
Condanne
Licio Gelli è stato condannato con sentenza definitiva per i seguenti reati:
• Procacciamento di notizie contenenti segreti di Stato;
• Calunnia nei confronti dei magistrati milanesi Colombo, Turone e Viola;
• Calunnia aggravata dalla finalità di terrorismo per aver tentato di depistare le indagini sulla strage alla stazione di Bologna, vicenda per cui è stato condannato a 10 anni;
• Bancarotta fraudolenta (Banco Ambrosiano).
Nel 1993 venne indagato per offesa all'onore dell'allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per un articolo pubblicato sul mensile trevigiano Il Piave[26].
L'archivio di Gelli
L'11 febbraio 2006 Licio Gelli ha donato all'Archivio di Stato di Pistoia il proprio "archivio non segreto", nell'ambito di una cerimonia ufficiale, svolta sotto il patrocinio del Comune, ma alla quale gli amministratori comunali pistoiesi hanno preferito non prendere parte. [27][28][29][30] Restano tuttora segreti, e nella sola disponibilità del "Venerabile", i numerosi archivi distribuiti tra Montevideo, la Svizzera, Villa Wanda, Castiglion Fibocchi, l'Argentina e Montecarlo. Della cosiddetta "rubrica dei 500" (426 fascicoli da Gelli intestati a uomini d'affari, politici, società, banche, ecclesiastici ecc.) Guardia di Finanza ed inquirenti non sono mai riusciti a reperire il contenuto.[senza fonte]
Dittatura argentina
Licio Gelli aveva coltivato buoni rapporti con il generale e Presidente argentino Roberto Eduardo Viola e l'ammiraglio Emilio Massera, durante il periodo della dittatura. Durante questo periodo che va dal 1976 al 1983 ci furono 2.300 omicidi politici e tra le 10.000 e le 30.000 persone vennero uccise o "scomparvero" (desaparecidos) e molte altre migliaia vennero imprigionate e torturate. Gelli riceverà pure un passaporto diplomatico dell'Argentina.[31]
Massera[32] pochi giorni dopo il golpe, il 28 marzo 1976, scrisse a Gelli per esprimere "la sua sincera allegria per come tutto si fosse sviluppato secondo i piani prestabiliti" e augurargli "un governo forte e fermo sulle sue posizioni e nei suoi propositi che sappia soffocare l'insurrezione dei dilaganti movimenti di ispirazione marxista".[33]. I rapporti con i militari continueranno dopo il ritorno della democrazia in Argentina, nel 1983.
Nel 1987 la tomba di Juan Perón fu profanata e furono asportate le mani dal corpo. Una ricerca giornalistica ha sostenuto che la P2 di Licio Gelli è stata coinvolta nella dissacrazione del corpo di Perón.[34] Alcuni esponenti politici argentini sostennero che gli autori del gesto intendessero in tal modo prendere le impronte digitali di Perón, al fine di recuperare i valori depositati presso alcuni istituti bancari di Ginevra che il leader argentino avrebbe ottenuto dai militari nazisti in cambio di passaporti e visti.[35] Lo stesso Gelli fu accusato di aver rubato venti tonnellate d'oro nel 1942, durante l'occupazione fascista della Jugoslavia, e che Gelli avrebbe più tardi trasferito in Argentina[36].
Vecchiaia
« Il vero potere risiede nelle mani dei detentori dei Mass Media »
(Licio Gelli[37])
Dal 2001 fino alla morte, Licio Gelli è stato in detenzione domiciliare nella sua Villa Wanda di Arezzo, ubicata sulla collina di Santa Maria delle Grazie a ridosso del centro storico, dove sconta la pena di 12 anni per la bancarotta fraudolenta dell'Ambrosiano[38]. Di se stesso nel 2003 disse:
« Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia, la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa[17] »
In Arezzo il 2 agosto 2006 sposa in seconde nozze Gabriela Vasile, nata a Lupsa, in Romania, il 17 settembre 1958[6]. Nel 2008 ha partecipato al programma Venerabile Italia su Odeon TV intervistato dalla giornalista esperta di massoneria Lucia Leonessi. Villa Wanda è stata sequestrata dallo Stato ma, dopo varie aste andate deserte è stata affidata a Licio Gelli come custode giudiziario.[senza fonte] Il 10 ottobre 2013 viene sequestrata Villa Wanda poiché Gelli è indagato dalla procura di Arezzo insieme ad alcuni familiari per reati fiscali per 17 milioni di euro.[39]
Licio Gelli muore nella sua residenza all'età di 96 anni il 15 dicembre 2015.[40] Secondo quanto dichiarato dalla moglie poco dopo la sua scomparsa, le condizioni di salute sarebbero state precarie già da tempo. Il decesso è avvenuto dopo un netto peggioramento delle sue condizioni di salute registrate il 13 dicembre[41], data in cui la famiglia ha scelto di trasferirlo dall'ospedale San Donato di Arezzo a Villa Wanda, per fargli trascorrere gli ultimi momenti di vita circondato dai suoi cari e familiari.
Controversie
Gelli è stato uno dei personaggi più controversi del panorama politico-giudiziario italiano. Il dibattito intorno alla sua figura si è fatto ancor più arroventato in occasione di alcuni suoi articoli particolarmente pungenti pubblicati sul giornale mensile trevigiano Il Piave: uno sull'informazione in Italia[42], l'altro sulla democrazia italiana[43], un altro ancora sulla magistratura[44]. Da segnalare anche l'ultimo dove attacca Antonio Di Pietro[45], pur essendo questi l'unico pubblico ministero al quale abbia mai fatto ammissioni di responsabilità sul conto protezione[46].
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Re: Come se ne viene fuori ?
8 SETTEMBRE 1943--------------8 SETTEMBRE 2017
IL PD SI SFASCIA E I CINQUESTELLE NON SONO ALL'ALTEZZA DELLA SITUAZIONE
VIA LIBERA AL PARTITO VOLUTA DA GELLI.
E IL FANTASMA DEL CAV BANANA RICOMINCIA A DIRE LE PUTTANATE DI UN TEMPO
Berlusconi: "La vecchia politica ha distrutto la fiducia dei giovani nel futuro"
Berlusconi accusa i quattro governi non eletti dagli italiani: "Troppa disoccupazione". E ai giovani: "Non abbiate paura di sognare in grande"
Giovanni Neve - Ven, 01/09/2017 - 19:18
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"C'è un dato emblematico: l'Italia è fra i paesi nelle condizioni peggiori in Europa non soltanto per i giovani disoccupati - e già questo è un dato gravissimo - ma per i giovani che non studiano, non hanno un lavoro e non lo cercano più".
Quello lanciato da Silvio Berlusconi ai partecipanti alla manifestazione "Campus Everest", in corso da oggi a Giovinazzo, è un messaggio di speranza che, pur condannando i "gravissimi" errori fatti dalla sinistra al governo, vuole guardare al futuro. Per il leader di Forza Italia, infatti, non ci si può rassegnare a quello che definisce "il peggiore fallimento della vecchia politica" che, in questi anni, ha "distrutto la fiducia di troppi giovani nel futuro".
"Non è sempre stato così, per la verità". Durante la manifestazione "Campus Everest", Berlusconi ci tiene a ricordare com i governi da lui stesso presieduti abbiano "fatto molte cose per i giovani". "Quanti ricordano, per fare un esempio, che siamo stati noi a restituire ai ragazzi italiani un anno di vita, abolendo il servizio militare di leva? - chiede il Cavaliere - quanti ricordano le ottime riforme della scuola e dell'università realizzate dal ministro Gelmini, fatte per portare la preparazione dei ragazzi italiani al livello delle migliori eccellenze del mondo, senza disperdere il patrimonio di eccellenze culturali che il sistema scolastico italiano aveva nella sua tradizione? E ci sono molti altri provvedimenti ancora che dovremo meglio ricordare". Tutto questo, però, è stato dissipato negli anni seguenti dalla sinistra. Il leader di Forza Italia punta il dito contro gli ultimi quattro governi, tutti "non scelti dagli italiani", e li accusa apertamente di aver "smantellato i risultati del nostro lavoro, facendo schizzare per esempio la disoccupazione giovanile a livelli senza precedenti anche nel confronto con l'Europa".
Il discorso pronunciato ai giovani riuniti a Giovinazzo non vuole fermarsi a quello che è stato, ma è tutto teso al futuro. "Abbiamo di fronte mesi decisivi", mette in chiaro Berlusconi. Che, poi, rilancia: "Da voi ci aspettiamo un contributo importante, sul piano delle idee, della militanza, dell'impegno, della partecipazione. Ma da voi ci aspettiamo anche qualcosa in più - continua - che siate i protagonisti, in prima persona, della nuova stagione politica, occupando ruoli di responsabilità, anche in Parlamento, per chi di voi ha l'età, la preparazione e la disponibilità necessarie". "Ve lo dico - sottolinea ancora - dal profondo del cuore, siate ambiziosi, per voi stessi, per il vostro destino personale, per quello della vostra generazione, per il destino del vostro Paese, del paese che amiamo. Esiste un'ambizione sana e generosa, che non è egoismo: è la capacità di credere nei propri sogni e la volontà di realizzarli, con l'impegno, con la costanza, con la determinazione, anche con i sacrifici".
"Non abbiate paura - prosegue Berlusconi - di sognare in grande, anche al di là di quello che può sembrare attuabile. Molte persone, e molte nazioni, anche la nostra, hanno realizzato - io ho sempre fatto cosi - grandi cose quando hanno creduto in sè stesse fino in fondo e fino in fondo hanno lavorato per ottenerle. Il nostro sogno è quello di una rivoluzione, pacifica e serena nei modi, ma radicale nella sostanza. Una rivoluzione per i giovani, fatta dai giovani, che non sono solo un concetto anagrafico, sono un modo di pensare, di credere, di guardare alla politica, della quale continuiamo a sentirci parte". E conclude: "Una rivoluzione che vogliamo fare con voi, con il centrodestra di nuovo alla guida del paese".
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 36513.html
RIPETO LA DOMANDA INIZIALE:
COME SE NE VIENE FUORI????????
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VIA LIBERA AL PARTITO VOLUTA DA GELLI.
E IL FANTASMA DEL CAV BANANA RICOMINCIA A DIRE LE PUTTANATE DI UN TEMPO
Berlusconi: "La vecchia politica ha distrutto la fiducia dei giovani nel futuro"
Berlusconi accusa i quattro governi non eletti dagli italiani: "Troppa disoccupazione". E ai giovani: "Non abbiate paura di sognare in grande"
Giovanni Neve - Ven, 01/09/2017 - 19:18
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"C'è un dato emblematico: l'Italia è fra i paesi nelle condizioni peggiori in Europa non soltanto per i giovani disoccupati - e già questo è un dato gravissimo - ma per i giovani che non studiano, non hanno un lavoro e non lo cercano più".
Quello lanciato da Silvio Berlusconi ai partecipanti alla manifestazione "Campus Everest", in corso da oggi a Giovinazzo, è un messaggio di speranza che, pur condannando i "gravissimi" errori fatti dalla sinistra al governo, vuole guardare al futuro. Per il leader di Forza Italia, infatti, non ci si può rassegnare a quello che definisce "il peggiore fallimento della vecchia politica" che, in questi anni, ha "distrutto la fiducia di troppi giovani nel futuro".
"Non è sempre stato così, per la verità". Durante la manifestazione "Campus Everest", Berlusconi ci tiene a ricordare com i governi da lui stesso presieduti abbiano "fatto molte cose per i giovani". "Quanti ricordano, per fare un esempio, che siamo stati noi a restituire ai ragazzi italiani un anno di vita, abolendo il servizio militare di leva? - chiede il Cavaliere - quanti ricordano le ottime riforme della scuola e dell'università realizzate dal ministro Gelmini, fatte per portare la preparazione dei ragazzi italiani al livello delle migliori eccellenze del mondo, senza disperdere il patrimonio di eccellenze culturali che il sistema scolastico italiano aveva nella sua tradizione? E ci sono molti altri provvedimenti ancora che dovremo meglio ricordare". Tutto questo, però, è stato dissipato negli anni seguenti dalla sinistra. Il leader di Forza Italia punta il dito contro gli ultimi quattro governi, tutti "non scelti dagli italiani", e li accusa apertamente di aver "smantellato i risultati del nostro lavoro, facendo schizzare per esempio la disoccupazione giovanile a livelli senza precedenti anche nel confronto con l'Europa".
Il discorso pronunciato ai giovani riuniti a Giovinazzo non vuole fermarsi a quello che è stato, ma è tutto teso al futuro. "Abbiamo di fronte mesi decisivi", mette in chiaro Berlusconi. Che, poi, rilancia: "Da voi ci aspettiamo un contributo importante, sul piano delle idee, della militanza, dell'impegno, della partecipazione. Ma da voi ci aspettiamo anche qualcosa in più - continua - che siate i protagonisti, in prima persona, della nuova stagione politica, occupando ruoli di responsabilità, anche in Parlamento, per chi di voi ha l'età, la preparazione e la disponibilità necessarie". "Ve lo dico - sottolinea ancora - dal profondo del cuore, siate ambiziosi, per voi stessi, per il vostro destino personale, per quello della vostra generazione, per il destino del vostro Paese, del paese che amiamo. Esiste un'ambizione sana e generosa, che non è egoismo: è la capacità di credere nei propri sogni e la volontà di realizzarli, con l'impegno, con la costanza, con la determinazione, anche con i sacrifici".
"Non abbiate paura - prosegue Berlusconi - di sognare in grande, anche al di là di quello che può sembrare attuabile. Molte persone, e molte nazioni, anche la nostra, hanno realizzato - io ho sempre fatto cosi - grandi cose quando hanno creduto in sè stesse fino in fondo e fino in fondo hanno lavorato per ottenerle. Il nostro sogno è quello di una rivoluzione, pacifica e serena nei modi, ma radicale nella sostanza. Una rivoluzione per i giovani, fatta dai giovani, che non sono solo un concetto anagrafico, sono un modo di pensare, di credere, di guardare alla politica, della quale continuiamo a sentirci parte". E conclude: "Una rivoluzione che vogliamo fare con voi, con il centrodestra di nuovo alla guida del paese".
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 36513.html
RIPETO LA DOMANDA INIZIALE:
COME SE NE VIENE FUORI????????
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Re: Come se ne viene fuori ?
Domanda al Forum:
La situazione in Italia è questa, come la racconta Marco Damilano sull’Espresso di domenica scorsa dove in copertina spiccava:
I Grillopardi
Le elezioni siciliane sono la prova generale delle politiche del 2018.
Ma dieci anni dopo il V.Day, i partiti non si distinguono più nella caccia al potere.
Perché nulla cambi.
Elezioni
Vincere a Palermo per prendersi Roma: Renzi, Berlusconi e Grillo alla prova della Sicilia
Sull'isola l’ultimo test prima delle elezioni del 2018. Il voto siciliano segna la nascita e la consacrazione di una nuova specie politica, destinata ad attraversare lo stretto per dominare la penisola: quella in cui tutto si confonde e si mescola, fino a rendere impossibile ogni distinzione
di Marco Damilano
05 settembre 2017
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Chi vince in Sicilia vince in Italia, e chi perde nell’isola verrà sconfitto anche nel continente, si sente ripetere in questi giorni nel Palazzo della politica romana che riapre i battenti. È questo il ponte che unisce il Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale siciliana - quest’anno celebra i suoi 920 anni di storia (il primo Parlamento siciliano fu istituito da Ruggero II nel 1097) - dove i commessi ti accolgono con la stessa divisa in grande spolvero dei colleghi del Senato, l’unico ponte sullo Stretto davvero costruito, quello che collega i baroni delle preferenze siciliani con gli aspiranti capi nazionali.
Il 5 novembre 2017 come il 4 dicembre 2016, la domenica del referendum, la data che segna una stagione, alla vigilia delle elezioni generali del 2018, l’ultima occasione per misurare percentuali, sperimentare alleanze, rovesciare leadership. L’operazione Husky della politica italiana: come successe nel secondo conflitto mondiale agli anglo-americani, chi sbarca in Sicilia trova poi la strada per risalire fino alla Capitale. Oggi come nel 1943 con la mafia, per farlo bisogna stringere accordi e patti con tutti i poteri locali, anche quelli inconfessabili.
La Sicilia come metafora, teorizzava Leonardo Sciascia. Nell’isola in cui le carriere politiche sono come il duomo di Siracusa, procedono a stratificazioni: da tempio siculo a jonico a dorico a prima chiesa cristiana d’occidente, a moschea musulmana, fino a tornare duomo cattolico, ma rimanendo al fondo fedeli a una identità che precede culture e religioni e tutte le riassume. In queste settimane ancora di più.
È stata un’estate di ininterrotto su e giù tra Palermo, le Eolie, Roma, Firenze, Arcore. Tra Matteo Renzi e Leoluca Orlando, che fu sindaco di Palermo rottamatore della Dc all’inizio degli anni Novanta e oggi prova a ricucire l’armonia nel centrosinistra con l’invenzione come candidato-presidente del rettore Fabrizio Micari. O tra Luigi Di Maio e Giancarlo Cancelleri, il front runner del Movimento 5 Stelle. Oppure tra Silvio Berlusconi e il professor Gaetano Armao: docente, consigliere, consulente, commendatore al Merito Melitense, membro della Arciconfraternita di Santa Maria Odigitria dei Siciliani in Roma, snocciola il suo curriculum come i grani di un rosario, insieme alle 108 pubblicazioni da lui di persona personalmente censite (tra le ultime: “Il netto storico nella pianificazione urbanistica alla ricerca di una qualificazione legislativa” e “La prosopopea di rating antimafia e white list: il Ministero dell’interno, l’Antitrust ed i paradossi del professionismo dell’antimafia”). Cita don Luigi Sturzo, il prete fondatore dei popolari e democristiani nato a Caltagirone dopo l’unità nazionale, e guida l’Unione dei siciliani indignati che piace moltissimo all’ex Cavaliere di Forza Italia.
Ognuno con la sua partita: il Pd per non affondare e non dilaniarsi nella resa dei conti post-sconfitta con la segreteria di Renzi che entrerebbe in crisi, il centrodestra per fissare le quote tra i berlusconiani guidati da Gianfranco Micciché e i salviniani-meloniani (da Giorgia Meloni) rappresentati da Nello Musumeci, il Movimento 5 Stelle che si gioca la possibilità di conquistare per la prima volta una regione, Angelino Alfano per far contare al tavolo nazionale le truppe a lui fedeli nell’isola. E le divisioni, i giochi di specchio, le manovre degli ex presidenti Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, l’uscente Rosario Crocetta che seguendo i consigli del potente senatore Beppe Lumia tratta con il Pd un posto da senatore in cambio del ritiro silenzioso, ma che in caso contrario sarebbe pronto a ricandidarsi, spaccando il centrosinistra e restituendo a Micciché la cortesia che gli fece lui cinque anni fa dividendo la destra e regalando la vittoria al Pd. E il Campo di Giuliano Pisapia che all’esordio rischia di spaccarsi tra gli amici dell’ex sindaco di Milano come Orlando che si propongono come registi dell’accordo con il Pd e i dalemiani dell’isola che vogliono la sconfitta di Renzi e non si preoccupano di mettere in luce la difficoltà di guida di Pisapia, anzi.
Ma più che per gli scenari politici, e per le strategie nazionali, il voto siciliano interessa perché segna la nascita e la consacrazione di una nuova specie politica, destinata nel 2018 a traversare lo stretto per dominare la penisola. Non ci sono più solo gli ominicchi e i quaquaraquà e gli uomini d’onore e Cosa Nostra. E gli sciacalletti, le iene, i leoni e i gattopardi che continuano a credersi il sale della terra, di cui scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La nuova specie avanza al termine di un decennio di anti-politica in cui tutto ha finito per confondersi e mescolarsi, fino a rendere impossibile ogni distinzione: i rivoluzionari e i conservatori, i rottamatori e i neo-centristi, i profeti della democrazia diretta e gli oligarchi, la casta e l’anti-casta. E il risultato, alla fine, è una nuova creatura mitologica, che minaccia di durare a lungo. Il capovolgimento di una stagione. Il Grillopardo.
Sono passati giusto dieci anni dall’8 settembre 2007, data cruciale per la storia recente, il Vaffanculo Day, con il comizio di Beppe Grillo a Bologna, in piazza Maggiore stracolma come non si vedeva da tempo. Oltre trecentomila firme raccolte in poche ore per la legge di iniziativa popolare Parlamento pulito: impedire la candidatura in Parlamento a condannati in via definitiva, o in primo e secondo grado e in attesa di giudizio finale, limitare a due i mandati parlamentari, tornare alla preferenza per scegliere gli eletti. «Giulio Santagata, ministro del governo Prodi, ha detto che sto pensando di formare una lista per le elezioni europee del 2009. Non hanno capito niente», scriveva il comico sul suo blog all’indomani del V-Day. «I partiti sono incrostazioni della democrazia. Bisogna dare spazio ai cittadini. Alle liste civiche. Ai movimenti. Viviamo in partitocrazia, non in democrazia». Un anno dopo, il 4 settembre, tirava le somme: «Il Paese è in pieno delirio. Il delirio della democrazia si diffonde e trasforma in merda ciò che tocca…». Ma la soluzione, spiegava Grillo, Italy’s most popular comedian, lo definiva “The New Yorker”, non poteva essere un nuovo partito in Parlamento: «sarebbe un sano di mente in un manicomio criminale».
Si cominciava a parlare di antipolitica, cresciuta nelle democrazie moderne, nella «società della sfiducia generalizzata», scriveva il francese Pierre Rosanvallon. In Italia, un fossato gigantesco. Con la sua parola d’ordine – resettare, eliminare, cancellare con un clic «gli intermediari», i vecchi partiti e i vecchi giornali – Grillo era in ottima compagnia. «Il sistema dei partiti costa al contribuente 200 milioni di euro l’anno. Prevale l’occupazione della società: neo-interventismo pubblico, assoluta concordia bipartisan sull’uso privato delle risorse pubbliche…», aveva predicato tre mesi prima del V-Day l’allora presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo all’assemblea degli industriali. E aveva indicato la sua soluzione: «bonificare la crescente foresta generata soltanto per creare poltrone e affari».
Il bonificare montezemoliano assomigliava da vicino al grillesco resettare, ma in questo caso l’invettiva arrivava dal vertice dell’imprenditoria italiana. Infine, all’indomani del V-day, Silvio Berlusconi aveva rivendicato la paternità del fenomeno: «Sono io il primo antipolitico, essendo un imprenditore prestato alla politica». E non aveva tutti i torti. Renzi, in quel momento, aveva 32 anni e faceva il presidente della provincia di Firenze. E cominciava a pensare alla rottamazione: un altro modo di dire Vaffa. In apparenza più gentile, in realtà più crudele.
Dieci anni dopo, la V del V-day sventola nel simbolo del Movimento 5 Stelle. Ma nel frattempo quella lista che Grillo giurava di non voler mai fare si è candidata in tutte le elezioni, è diventata un partito, il più partito di tutti, con regole ferree di inclusione nel gruppo ristretto di comando e di esclusione con ignominia per chi dissente: aveva ragione il povero Santagata. M5S si prepara alla conquista della Sicilia, predicando il cambio degli eletti e la conservazione degli elettori, delle loro cattive abitudini: abusivismo, clientelismo, spreco di risorse pubbliche. Il solito cambiare tutto per non cambiare niente. Oppure, come aveva previsto Sciascia osservando negli anni Settanta un manifesto del Pci siciliano, la nascita di un nuovo verbo, il “lottagovernare”: «In politica sembrava ovvio che una parte volesse diventare maggioranza; che si volesse, insomma, vincere. Ma lentamente ci accorgeremo che l’arte della politica consisterà nel trovare gli accorgimenti più acuti e più nascosti per non prevalere, per non vincere».
I Grillopardi cercano il potere, non il governo. In Sicilia e in Italia. A Roma la specie si capovolge. La V più gettonata è quella di vitalizio. Il nuovo V-day andrà in scena quando nell’aula del Senato arriverà la riforma che introduce il metodo contributivo per i vitalizi degli ex parlamentari. La vuole il Pd renziano con il deputato Matteo Richetti, è già stata votata dalla Camera con il voto di M5S. Nell’attesa sta avvenendo l’inaudito, la rivolta dei senatori democratici contro le indicazioni del partito. Il Vaffa alla rovescia, l’orgoglio degli eletti e della casta, ha trovato il suo campione, il suo Grillo nel senatore Ugo Sposetti, già tesoriere dei Ds, custode del patrimonio ideale (e materiale) del Pci: «Io non c’entro nulla. Il vaffa al vaffa è arrivato dal popolo, con il voto del 4 dicembre. Renzi voleva vincere tagliando i senatori e togliendo loro l’indennità e l’elettorato ha detto no. Dovremmo parlare di lavoro e invece continuiamo a inseguire Grillo...».
Delle tre riforme del V-Day di dieci anni fa la prima, quella sui politici condannati pesa oggi come un incubo sulla sindaca di Roma Virginia Raggi, la seconda, il limite dei mandati, sarà cavalcata da Renzi nel Pd per far ruotare i parlamentari delle precedenti stagioni. Infine, le preferenze ci saranno, ma appaiono ai più esperti come un’istigazione a delinquere per i futuri candidati in Parlamento che in assenza di una nuova legge elettorale si ritroveranno a gareggiare in collegi sconfinati (al Senato coincidono con le regioni) per prendere i voti, con la necessità di procurarsi fondi senza il finanziamento pubblico dei partiti e con il reato di traffico illecito di influenze che può essere contestato dalla magistratura.
La Sicilia anticipa la campagna elettorale dei Grillopardi. Gli anti-casta di ieri hanno una sola ambizione, diventare la casta di domani. Chi governava il Paese da Palazzo Chigi ha cavalcato il vaffa smarrendo il senso delle istituzioni e perdendo. E chi punta ad approfittarne, come sempre, è Berlusconi, moderato a Roma e indignato a Palermo. Avviene qui l’incontro tra le due razze, E forse, dopo dieci anni, come diceva Grillo, è venuto il momento di resettare una politica travestita da anti-politica, un incrocio che alla fine lascia i siciliani e gli italiani di fronte all’impossibilità di cambiare.
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http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
La situazione in Italia è questa, come la racconta Marco Damilano sull’Espresso di domenica scorsa dove in copertina spiccava:
I Grillopardi
Le elezioni siciliane sono la prova generale delle politiche del 2018.
Ma dieci anni dopo il V.Day, i partiti non si distinguono più nella caccia al potere.
Perché nulla cambi.
Elezioni
Vincere a Palermo per prendersi Roma: Renzi, Berlusconi e Grillo alla prova della Sicilia
Sull'isola l’ultimo test prima delle elezioni del 2018. Il voto siciliano segna la nascita e la consacrazione di una nuova specie politica, destinata ad attraversare lo stretto per dominare la penisola: quella in cui tutto si confonde e si mescola, fino a rendere impossibile ogni distinzione
di Marco Damilano
05 settembre 2017
10
Chi vince in Sicilia vince in Italia, e chi perde nell’isola verrà sconfitto anche nel continente, si sente ripetere in questi giorni nel Palazzo della politica romana che riapre i battenti. È questo il ponte che unisce il Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale siciliana - quest’anno celebra i suoi 920 anni di storia (il primo Parlamento siciliano fu istituito da Ruggero II nel 1097) - dove i commessi ti accolgono con la stessa divisa in grande spolvero dei colleghi del Senato, l’unico ponte sullo Stretto davvero costruito, quello che collega i baroni delle preferenze siciliani con gli aspiranti capi nazionali.
Il 5 novembre 2017 come il 4 dicembre 2016, la domenica del referendum, la data che segna una stagione, alla vigilia delle elezioni generali del 2018, l’ultima occasione per misurare percentuali, sperimentare alleanze, rovesciare leadership. L’operazione Husky della politica italiana: come successe nel secondo conflitto mondiale agli anglo-americani, chi sbarca in Sicilia trova poi la strada per risalire fino alla Capitale. Oggi come nel 1943 con la mafia, per farlo bisogna stringere accordi e patti con tutti i poteri locali, anche quelli inconfessabili.
La Sicilia come metafora, teorizzava Leonardo Sciascia. Nell’isola in cui le carriere politiche sono come il duomo di Siracusa, procedono a stratificazioni: da tempio siculo a jonico a dorico a prima chiesa cristiana d’occidente, a moschea musulmana, fino a tornare duomo cattolico, ma rimanendo al fondo fedeli a una identità che precede culture e religioni e tutte le riassume. In queste settimane ancora di più.
È stata un’estate di ininterrotto su e giù tra Palermo, le Eolie, Roma, Firenze, Arcore. Tra Matteo Renzi e Leoluca Orlando, che fu sindaco di Palermo rottamatore della Dc all’inizio degli anni Novanta e oggi prova a ricucire l’armonia nel centrosinistra con l’invenzione come candidato-presidente del rettore Fabrizio Micari. O tra Luigi Di Maio e Giancarlo Cancelleri, il front runner del Movimento 5 Stelle. Oppure tra Silvio Berlusconi e il professor Gaetano Armao: docente, consigliere, consulente, commendatore al Merito Melitense, membro della Arciconfraternita di Santa Maria Odigitria dei Siciliani in Roma, snocciola il suo curriculum come i grani di un rosario, insieme alle 108 pubblicazioni da lui di persona personalmente censite (tra le ultime: “Il netto storico nella pianificazione urbanistica alla ricerca di una qualificazione legislativa” e “La prosopopea di rating antimafia e white list: il Ministero dell’interno, l’Antitrust ed i paradossi del professionismo dell’antimafia”). Cita don Luigi Sturzo, il prete fondatore dei popolari e democristiani nato a Caltagirone dopo l’unità nazionale, e guida l’Unione dei siciliani indignati che piace moltissimo all’ex Cavaliere di Forza Italia.
Ognuno con la sua partita: il Pd per non affondare e non dilaniarsi nella resa dei conti post-sconfitta con la segreteria di Renzi che entrerebbe in crisi, il centrodestra per fissare le quote tra i berlusconiani guidati da Gianfranco Micciché e i salviniani-meloniani (da Giorgia Meloni) rappresentati da Nello Musumeci, il Movimento 5 Stelle che si gioca la possibilità di conquistare per la prima volta una regione, Angelino Alfano per far contare al tavolo nazionale le truppe a lui fedeli nell’isola. E le divisioni, i giochi di specchio, le manovre degli ex presidenti Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, l’uscente Rosario Crocetta che seguendo i consigli del potente senatore Beppe Lumia tratta con il Pd un posto da senatore in cambio del ritiro silenzioso, ma che in caso contrario sarebbe pronto a ricandidarsi, spaccando il centrosinistra e restituendo a Micciché la cortesia che gli fece lui cinque anni fa dividendo la destra e regalando la vittoria al Pd. E il Campo di Giuliano Pisapia che all’esordio rischia di spaccarsi tra gli amici dell’ex sindaco di Milano come Orlando che si propongono come registi dell’accordo con il Pd e i dalemiani dell’isola che vogliono la sconfitta di Renzi e non si preoccupano di mettere in luce la difficoltà di guida di Pisapia, anzi.
Ma più che per gli scenari politici, e per le strategie nazionali, il voto siciliano interessa perché segna la nascita e la consacrazione di una nuova specie politica, destinata nel 2018 a traversare lo stretto per dominare la penisola. Non ci sono più solo gli ominicchi e i quaquaraquà e gli uomini d’onore e Cosa Nostra. E gli sciacalletti, le iene, i leoni e i gattopardi che continuano a credersi il sale della terra, di cui scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La nuova specie avanza al termine di un decennio di anti-politica in cui tutto ha finito per confondersi e mescolarsi, fino a rendere impossibile ogni distinzione: i rivoluzionari e i conservatori, i rottamatori e i neo-centristi, i profeti della democrazia diretta e gli oligarchi, la casta e l’anti-casta. E il risultato, alla fine, è una nuova creatura mitologica, che minaccia di durare a lungo. Il capovolgimento di una stagione. Il Grillopardo.
Sono passati giusto dieci anni dall’8 settembre 2007, data cruciale per la storia recente, il Vaffanculo Day, con il comizio di Beppe Grillo a Bologna, in piazza Maggiore stracolma come non si vedeva da tempo. Oltre trecentomila firme raccolte in poche ore per la legge di iniziativa popolare Parlamento pulito: impedire la candidatura in Parlamento a condannati in via definitiva, o in primo e secondo grado e in attesa di giudizio finale, limitare a due i mandati parlamentari, tornare alla preferenza per scegliere gli eletti. «Giulio Santagata, ministro del governo Prodi, ha detto che sto pensando di formare una lista per le elezioni europee del 2009. Non hanno capito niente», scriveva il comico sul suo blog all’indomani del V-Day. «I partiti sono incrostazioni della democrazia. Bisogna dare spazio ai cittadini. Alle liste civiche. Ai movimenti. Viviamo in partitocrazia, non in democrazia». Un anno dopo, il 4 settembre, tirava le somme: «Il Paese è in pieno delirio. Il delirio della democrazia si diffonde e trasforma in merda ciò che tocca…». Ma la soluzione, spiegava Grillo, Italy’s most popular comedian, lo definiva “The New Yorker”, non poteva essere un nuovo partito in Parlamento: «sarebbe un sano di mente in un manicomio criminale».
Si cominciava a parlare di antipolitica, cresciuta nelle democrazie moderne, nella «società della sfiducia generalizzata», scriveva il francese Pierre Rosanvallon. In Italia, un fossato gigantesco. Con la sua parola d’ordine – resettare, eliminare, cancellare con un clic «gli intermediari», i vecchi partiti e i vecchi giornali – Grillo era in ottima compagnia. «Il sistema dei partiti costa al contribuente 200 milioni di euro l’anno. Prevale l’occupazione della società: neo-interventismo pubblico, assoluta concordia bipartisan sull’uso privato delle risorse pubbliche…», aveva predicato tre mesi prima del V-Day l’allora presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo all’assemblea degli industriali. E aveva indicato la sua soluzione: «bonificare la crescente foresta generata soltanto per creare poltrone e affari».
Il bonificare montezemoliano assomigliava da vicino al grillesco resettare, ma in questo caso l’invettiva arrivava dal vertice dell’imprenditoria italiana. Infine, all’indomani del V-day, Silvio Berlusconi aveva rivendicato la paternità del fenomeno: «Sono io il primo antipolitico, essendo un imprenditore prestato alla politica». E non aveva tutti i torti. Renzi, in quel momento, aveva 32 anni e faceva il presidente della provincia di Firenze. E cominciava a pensare alla rottamazione: un altro modo di dire Vaffa. In apparenza più gentile, in realtà più crudele.
Dieci anni dopo, la V del V-day sventola nel simbolo del Movimento 5 Stelle. Ma nel frattempo quella lista che Grillo giurava di non voler mai fare si è candidata in tutte le elezioni, è diventata un partito, il più partito di tutti, con regole ferree di inclusione nel gruppo ristretto di comando e di esclusione con ignominia per chi dissente: aveva ragione il povero Santagata. M5S si prepara alla conquista della Sicilia, predicando il cambio degli eletti e la conservazione degli elettori, delle loro cattive abitudini: abusivismo, clientelismo, spreco di risorse pubbliche. Il solito cambiare tutto per non cambiare niente. Oppure, come aveva previsto Sciascia osservando negli anni Settanta un manifesto del Pci siciliano, la nascita di un nuovo verbo, il “lottagovernare”: «In politica sembrava ovvio che una parte volesse diventare maggioranza; che si volesse, insomma, vincere. Ma lentamente ci accorgeremo che l’arte della politica consisterà nel trovare gli accorgimenti più acuti e più nascosti per non prevalere, per non vincere».
I Grillopardi cercano il potere, non il governo. In Sicilia e in Italia. A Roma la specie si capovolge. La V più gettonata è quella di vitalizio. Il nuovo V-day andrà in scena quando nell’aula del Senato arriverà la riforma che introduce il metodo contributivo per i vitalizi degli ex parlamentari. La vuole il Pd renziano con il deputato Matteo Richetti, è già stata votata dalla Camera con il voto di M5S. Nell’attesa sta avvenendo l’inaudito, la rivolta dei senatori democratici contro le indicazioni del partito. Il Vaffa alla rovescia, l’orgoglio degli eletti e della casta, ha trovato il suo campione, il suo Grillo nel senatore Ugo Sposetti, già tesoriere dei Ds, custode del patrimonio ideale (e materiale) del Pci: «Io non c’entro nulla. Il vaffa al vaffa è arrivato dal popolo, con il voto del 4 dicembre. Renzi voleva vincere tagliando i senatori e togliendo loro l’indennità e l’elettorato ha detto no. Dovremmo parlare di lavoro e invece continuiamo a inseguire Grillo...».
Delle tre riforme del V-Day di dieci anni fa la prima, quella sui politici condannati pesa oggi come un incubo sulla sindaca di Roma Virginia Raggi, la seconda, il limite dei mandati, sarà cavalcata da Renzi nel Pd per far ruotare i parlamentari delle precedenti stagioni. Infine, le preferenze ci saranno, ma appaiono ai più esperti come un’istigazione a delinquere per i futuri candidati in Parlamento che in assenza di una nuova legge elettorale si ritroveranno a gareggiare in collegi sconfinati (al Senato coincidono con le regioni) per prendere i voti, con la necessità di procurarsi fondi senza il finanziamento pubblico dei partiti e con il reato di traffico illecito di influenze che può essere contestato dalla magistratura.
La Sicilia anticipa la campagna elettorale dei Grillopardi. Gli anti-casta di ieri hanno una sola ambizione, diventare la casta di domani. Chi governava il Paese da Palazzo Chigi ha cavalcato il vaffa smarrendo il senso delle istituzioni e perdendo. E chi punta ad approfittarne, come sempre, è Berlusconi, moderato a Roma e indignato a Palermo. Avviene qui l’incontro tra le due razze, E forse, dopo dieci anni, come diceva Grillo, è venuto il momento di resettare una politica travestita da anti-politica, un incrocio che alla fine lascia i siciliani e gli italiani di fronte all’impossibilità di cambiare.
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Re: Come se ne viene fuori ?
LA REPUBBLICA DEI BROCCHI BROCCOLONI
Definizione di Democrazia, dalla rete:
democrazia
de•mo•cra•zì•a/
sostantivo femminile
1. 1.
Forma di governo in cui il potere viene esercitato dal popolo, tramite rappresentanti liberamente eletti ( d. indiretta o rappresentativa ).
Ma vi sembra che questa possa essere ancora definita una Repubblica democratica?
I brocchi broccoloni ci stanno letteralmente prendendo per il culo.
E come dice Davigo, questi non si vergognano neppure più.
Nel modo più assoluto “il popolo” non esercita anche minimamente il suo potere tramite rappresentanti eletti.
I cittadini sono chiamati a decidere chi li frega di più e meglio.
Sono solo chiamati ad esprimere chi gli sta più simpatico, ma che con la politica non centra niente.
Se così non fosse, non assisteremmo a questo deprimente spettacolo:
Sicilia, ecco il laboratorio del centrosinistra
Pisapia contro Mdp. Crocetta accusa. Ap si sfalda
Il governatore abdica dopo l’incontro con Renzi. Campo Progressista attacca gli ex dem sulla candidatura
di Claudio Fava e chiede dialogo con Micari (video), il cui nome agita gli alfaniani: fronda verso Musumeci
Politica
Doveva essere il laboratorio in vista delle elezioni nazionali. Per adesso, invece, in Sicilia le coalizioni invece di nascere sembrano dissolversi. A cominciare dall’intesa tra Pisapia e i bersaniani che tramonta a ore alterne: prima Pisapia critica la candidatura di Claudio Fava. Poi una nota di Campo progressista invita al dialogo con Fabrizio Micari, uomo del Pd e di Alfano. Infine lo stesso Pisapia insieme a Speranza conferma l’unità di intenti. Ma solo a livello nazionale. Il tutto mentre Alfano perde pezzi. Chi ride è Crocetta rinuncia alla ricandidatura. Lo attende, con ogni probabilità, un posto da deputato
di F. Q.
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democrazia
de•mo•cra•zì•a/
sostantivo femminile
1. 1.
Forma di governo in cui il potere viene esercitato dal popolo, tramite rappresentanti liberamente eletti ( d. indiretta o rappresentativa ).
Ma vi sembra che questa possa essere ancora definita una Repubblica democratica?
I brocchi broccoloni ci stanno letteralmente prendendo per il culo.
E come dice Davigo, questi non si vergognano neppure più.
Nel modo più assoluto “il popolo” non esercita anche minimamente il suo potere tramite rappresentanti eletti.
I cittadini sono chiamati a decidere chi li frega di più e meglio.
Sono solo chiamati ad esprimere chi gli sta più simpatico, ma che con la politica non centra niente.
Se così non fosse, non assisteremmo a questo deprimente spettacolo:
Sicilia, ecco il laboratorio del centrosinistra
Pisapia contro Mdp. Crocetta accusa. Ap si sfalda
Il governatore abdica dopo l’incontro con Renzi. Campo Progressista attacca gli ex dem sulla candidatura
di Claudio Fava e chiede dialogo con Micari (video), il cui nome agita gli alfaniani: fronda verso Musumeci
Politica
Doveva essere il laboratorio in vista delle elezioni nazionali. Per adesso, invece, in Sicilia le coalizioni invece di nascere sembrano dissolversi. A cominciare dall’intesa tra Pisapia e i bersaniani che tramonta a ore alterne: prima Pisapia critica la candidatura di Claudio Fava. Poi una nota di Campo progressista invita al dialogo con Fabrizio Micari, uomo del Pd e di Alfano. Infine lo stesso Pisapia insieme a Speranza conferma l’unità di intenti. Ma solo a livello nazionale. Il tutto mentre Alfano perde pezzi. Chi ride è Crocetta rinuncia alla ricandidatura. Lo attende, con ogni probabilità, un posto da deputato
di F. Q.
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Re: Come se ne viene fuori ?
L'OVRA NON VUOLE CHE VENGANO PUBBLICATI QUESTI ARTICOLI ED HA CERCATO IN TUTTI I MODI DI IMPEDIRLO
IlFattoQuotidiano.it / Politica
Sicilia, l’isola laboratorio produce spaccature: Pisapia contro Mdp. Alfano perde pezzi. Crocetta si ritira e accusa
di F. Q. | 5 settembre 2017
Politica
In vista delle elezioni regionali il centrosinistra in frantumi. Il leader di Capo progressista non approva la candidatura di Fava ma chiede ai bersaniani di dialogare con Micari, candidato dei dem e di Alfano. Gli replica Bersani: "Io voglio fare il centrosinistra: vogliamo recuperare voti proponendo Alfano?". Proprio il ministro degli Esteri mentre il governatore uscente non si ricandida e lancia bordate agli alleati
di F. Q. | 5 settembre 2017
78
• 583
•
•
Più informazioni su: Angelino Alfano, Giuliano Pisapia, Matteo Renzi, Rosario Crocetta, Sicilia
Doveva essere l’isola laboratorio dove sperimentare alleanze e coalizioni in vista delle elezioni politiche nazionali. Soprattutto per il centrosinistra. Per adesso, invece, in Sicilia le coalizioni invece di nascere sembrano dissolversi. A cominciare dall’intesa tra Giuliano Pisapia e i bersaniani, che tramonta a ore alterni: prima l’ex sindaco di Milano ha criticato la candidatura di Claudio Fava, poi una nota di Campo progressista invita candidato di Mdp a dialogare con Fabrizio Micari, l’uomo del Pd e di Angelino Alfano. Quindi lo stesso Pisapia ha firmato un comunicato insieme a Roberto Speranza per rivendicare unità d’intenti ma solo a livello nazionale: insomma un triplo cortocircuito. Al quale in serata risponde Pierluigi Bersani. “Ognuno faccia il suo mestiere – dice l’ex segretario del Pd – io ho voglia di fare il centrosinistra. Pensiamo di recuperare voti proponendo Alfano? Dobbiamo costruire una forza che con la destra non ci sta”. Intanto lo stesso ministro degli Esteri rischia di perdere pezzi pur di appoggiare il rettore di Palermo di comune accordo con gli uomini di Matteo Renzi: i suoi, infatti, vorrebbero tornare a destra e appoggiare Nello Musumeci.
Crocetta non si ricandida – L’unica buona notizia per il Pd – almeno in teoria – è quella che arriva dalla conferenza stampa di Rosario Crocetta: il governatore, infatti, ha formalizzato l’intenzione di non volersi ricandidare alla guida della Regione Siciliana, senza però risparmiare bordate velenose nei confronti degli alleati. “Per me è un giorno di liberazione personale. Ho vissuto cinque anni di violenze”, ha detto il presidente che la settimana scorsa aveva spaccato l’intesa tra Alfano e Renzi, mettendosi di traverso alla candidatura del rettore di Micari.
Le liste del governatore con Micari – L’incontro di ieri al Nazareno con Renzi, però, ha ristabilito l’ordine: a Crocetta – rivelano fonti siciliane – è stato garantito un seggio in vista delle prossime politiche. “Renzi ha riconosciuto la dignità politica del movimento del Megafono come costola del Pd. Questo dovrà tradursi in modo visibile, qualcuno non pensi di creare ostacoli altrimenti l’accordo salta”, ha minacciato Crocetta, spiegando che si candiderà come capolista in tre collegi – quelli di Palermo, Messina e Catania – alle prossime regionali. “Presenteremo le liste del Megafono alle regionali e alle politiche e ci misureremo auto-candidandoci – aggiunge – Non ho chiesto altro se non il riconoscimento politico del Megafono”, ha annunciato il governatore, che incontrando i giornalisti non ha risparmiato attacchi al vetriolo alla sua stessa coalizione. “Quattro anni fa – ha raccontato – al primo rimpasto pensai di dimettermi e di ricandidarmi da solo. Un pensiero che ho fatto altre due volte. A Roma mi chiedono perché abbia cambiato 57 assessori, ma se me lo chiedete voi giornalisti siciliani non ci sto perché sapete bene che io non avrei mai cambiato nessuno e che tutto è dipeso dai partiti”.
VIDEO:
01:13
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09 ... a/3838621/
I veleni di Crocetta – Uno è il bersaglio preferito dall’ex sindaco di Gela: Leoluca Orlando, regista della candidatura di Micari. “Il sindaco a Palermo lo fa Orlando ab aeterno. Quando esce fuori dalla città però ha difficoltà, come quando si candidò con la sua lista e non raggiunse il 5%. Pensa di vincere nella sua città come sindaco e pensa di vincere le regionali, è una bella ossessione“. Secondo Crocetta, la sua possibile candidatura in solitaria era data “dal 22 al 24% ma non sarei stato abbastanza forte per vincere insieme e non sufficientemente forte per vincere da solo”. Acqua passata, però. Adesso il governatore uscente appoggia l’uomo di Renzi e Alfano: “È chiaro che senza di noi era un candidato perdente, per essere chiari. Adesso, con noi dentro, ce la può fare”.
Caos Pisapia – Nella stessa giornata in cui il dem recuperano Crocetta, però, ecco che i bersaniani di Mdp e Sinistra Italiana – che sostengono la candidatura di Claudio Fava – rischiano definitivamente di veder andare in frantumi l’asse con Pisapia in vista delle nazionali. “In Sicilia Mdp ha fatto scelte che non condividiamo”, ha detto il leader di Campo progressista al fattoquotidiano.it. Poco dopo, però, il suo stesso movimento ha diffuso una nota per chiedere “ai candidati in campo Micari e Fava di aprire fin da subito un dialogo per costruire una piattaforma programmatica unitaria non inquinata da ambiguità che nulla hanno a che fare con la storia del centrosinistra, che risponda alle esigenze dei cittadini della Sicilia e non a schematismi nazionali”. Un messaggio che evoca gli uomini di Alfano quando fa cenno alle “ambiguità” aliene alla storia del centrosinistra. Passa qualche minuto e l’ex sindaco di Milano firma una nota insieme a Speranza per spiegare che “le attuali diverse valutazioni sulle elezioni in Sicilia non incidono sulla prosecuzione del percorso unitario nazionale per la costruzione di un nuovo centrosinistra in discontinuità con le attuali politiche del Pd. Continuerà ancora l’impegno comune non solo a livello nazionale, ma anche in tutte le altre regioni che andranno al voto nel 2018″. Insomma per Pisapia e i Bersaniani più che un laboratorio la Sicilia è un sottoscala da separare dalle intese nazionali.
Alfaniani in fuga – Intanto non ride neanche Alfano: il ministri degli Esteri rischia di pagare l’appoggio al rettore di Palermo con la perdita di alcuni suoi fedelissimi, come Pietro Alongi, consigliere regionale di Ap che già domani potrebbe confermare il suo passaggio nella coalizione di centrodestra per andare a sostenere Nello Musumeci. A confermarlo è il braccio destro di Alfano, Giuseppe Castiglione.”Paradossalmente – dice il sottosegretario – in alcune province, dove ci potrebbe essere la perdita di qualche esponente di spicco, si apre una contendibilità che di fatto rafforza altre opportunità, perché la lista diventa aperta alla società civile“. In quel caso, con gli Alfaniani che aprono alla società civile, la Sicilia sarebbe una volta di più laboratorio politico nazionale. Resta da capire il risultato di tali sperimentazioni.
di F. Q. | 5 settembre 2017
IlFattoQuotidiano.it / Politica
Sicilia, l’isola laboratorio produce spaccature: Pisapia contro Mdp. Alfano perde pezzi. Crocetta si ritira e accusa
di F. Q. | 5 settembre 2017
Politica
In vista delle elezioni regionali il centrosinistra in frantumi. Il leader di Capo progressista non approva la candidatura di Fava ma chiede ai bersaniani di dialogare con Micari, candidato dei dem e di Alfano. Gli replica Bersani: "Io voglio fare il centrosinistra: vogliamo recuperare voti proponendo Alfano?". Proprio il ministro degli Esteri mentre il governatore uscente non si ricandida e lancia bordate agli alleati
di F. Q. | 5 settembre 2017
78
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Più informazioni su: Angelino Alfano, Giuliano Pisapia, Matteo Renzi, Rosario Crocetta, Sicilia
Doveva essere l’isola laboratorio dove sperimentare alleanze e coalizioni in vista delle elezioni politiche nazionali. Soprattutto per il centrosinistra. Per adesso, invece, in Sicilia le coalizioni invece di nascere sembrano dissolversi. A cominciare dall’intesa tra Giuliano Pisapia e i bersaniani, che tramonta a ore alterni: prima l’ex sindaco di Milano ha criticato la candidatura di Claudio Fava, poi una nota di Campo progressista invita candidato di Mdp a dialogare con Fabrizio Micari, l’uomo del Pd e di Angelino Alfano. Quindi lo stesso Pisapia ha firmato un comunicato insieme a Roberto Speranza per rivendicare unità d’intenti ma solo a livello nazionale: insomma un triplo cortocircuito. Al quale in serata risponde Pierluigi Bersani. “Ognuno faccia il suo mestiere – dice l’ex segretario del Pd – io ho voglia di fare il centrosinistra. Pensiamo di recuperare voti proponendo Alfano? Dobbiamo costruire una forza che con la destra non ci sta”. Intanto lo stesso ministro degli Esteri rischia di perdere pezzi pur di appoggiare il rettore di Palermo di comune accordo con gli uomini di Matteo Renzi: i suoi, infatti, vorrebbero tornare a destra e appoggiare Nello Musumeci.
Crocetta non si ricandida – L’unica buona notizia per il Pd – almeno in teoria – è quella che arriva dalla conferenza stampa di Rosario Crocetta: il governatore, infatti, ha formalizzato l’intenzione di non volersi ricandidare alla guida della Regione Siciliana, senza però risparmiare bordate velenose nei confronti degli alleati. “Per me è un giorno di liberazione personale. Ho vissuto cinque anni di violenze”, ha detto il presidente che la settimana scorsa aveva spaccato l’intesa tra Alfano e Renzi, mettendosi di traverso alla candidatura del rettore di Micari.
Le liste del governatore con Micari – L’incontro di ieri al Nazareno con Renzi, però, ha ristabilito l’ordine: a Crocetta – rivelano fonti siciliane – è stato garantito un seggio in vista delle prossime politiche. “Renzi ha riconosciuto la dignità politica del movimento del Megafono come costola del Pd. Questo dovrà tradursi in modo visibile, qualcuno non pensi di creare ostacoli altrimenti l’accordo salta”, ha minacciato Crocetta, spiegando che si candiderà come capolista in tre collegi – quelli di Palermo, Messina e Catania – alle prossime regionali. “Presenteremo le liste del Megafono alle regionali e alle politiche e ci misureremo auto-candidandoci – aggiunge – Non ho chiesto altro se non il riconoscimento politico del Megafono”, ha annunciato il governatore, che incontrando i giornalisti non ha risparmiato attacchi al vetriolo alla sua stessa coalizione. “Quattro anni fa – ha raccontato – al primo rimpasto pensai di dimettermi e di ricandidarmi da solo. Un pensiero che ho fatto altre due volte. A Roma mi chiedono perché abbia cambiato 57 assessori, ma se me lo chiedete voi giornalisti siciliani non ci sto perché sapete bene che io non avrei mai cambiato nessuno e che tutto è dipeso dai partiti”.
VIDEO:
01:13
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09 ... a/3838621/
I veleni di Crocetta – Uno è il bersaglio preferito dall’ex sindaco di Gela: Leoluca Orlando, regista della candidatura di Micari. “Il sindaco a Palermo lo fa Orlando ab aeterno. Quando esce fuori dalla città però ha difficoltà, come quando si candidò con la sua lista e non raggiunse il 5%. Pensa di vincere nella sua città come sindaco e pensa di vincere le regionali, è una bella ossessione“. Secondo Crocetta, la sua possibile candidatura in solitaria era data “dal 22 al 24% ma non sarei stato abbastanza forte per vincere insieme e non sufficientemente forte per vincere da solo”. Acqua passata, però. Adesso il governatore uscente appoggia l’uomo di Renzi e Alfano: “È chiaro che senza di noi era un candidato perdente, per essere chiari. Adesso, con noi dentro, ce la può fare”.
Caos Pisapia – Nella stessa giornata in cui il dem recuperano Crocetta, però, ecco che i bersaniani di Mdp e Sinistra Italiana – che sostengono la candidatura di Claudio Fava – rischiano definitivamente di veder andare in frantumi l’asse con Pisapia in vista delle nazionali. “In Sicilia Mdp ha fatto scelte che non condividiamo”, ha detto il leader di Campo progressista al fattoquotidiano.it. Poco dopo, però, il suo stesso movimento ha diffuso una nota per chiedere “ai candidati in campo Micari e Fava di aprire fin da subito un dialogo per costruire una piattaforma programmatica unitaria non inquinata da ambiguità che nulla hanno a che fare con la storia del centrosinistra, che risponda alle esigenze dei cittadini della Sicilia e non a schematismi nazionali”. Un messaggio che evoca gli uomini di Alfano quando fa cenno alle “ambiguità” aliene alla storia del centrosinistra. Passa qualche minuto e l’ex sindaco di Milano firma una nota insieme a Speranza per spiegare che “le attuali diverse valutazioni sulle elezioni in Sicilia non incidono sulla prosecuzione del percorso unitario nazionale per la costruzione di un nuovo centrosinistra in discontinuità con le attuali politiche del Pd. Continuerà ancora l’impegno comune non solo a livello nazionale, ma anche in tutte le altre regioni che andranno al voto nel 2018″. Insomma per Pisapia e i Bersaniani più che un laboratorio la Sicilia è un sottoscala da separare dalle intese nazionali.
Alfaniani in fuga – Intanto non ride neanche Alfano: il ministri degli Esteri rischia di pagare l’appoggio al rettore di Palermo con la perdita di alcuni suoi fedelissimi, come Pietro Alongi, consigliere regionale di Ap che già domani potrebbe confermare il suo passaggio nella coalizione di centrodestra per andare a sostenere Nello Musumeci. A confermarlo è il braccio destro di Alfano, Giuseppe Castiglione.”Paradossalmente – dice il sottosegretario – in alcune province, dove ci potrebbe essere la perdita di qualche esponente di spicco, si apre una contendibilità che di fatto rafforza altre opportunità, perché la lista diventa aperta alla società civile“. In quel caso, con gli Alfaniani che aprono alla società civile, la Sicilia sarebbe una volta di più laboratorio politico nazionale. Resta da capire il risultato di tali sperimentazioni.
di F. Q. | 5 settembre 2017
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Re: Come se ne viene fuori ?
UncleTom ha scritto:Domanda al Forum:
La situazione in Italia è questa, come la racconta Marco Damilano sull’Espresso di domenica scorsa dove in copertina spiccava:
Credo di no, altrimenti tutto è inutile.
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Re: Come se ne viene fuori ?
lucfig ha scritto:UncleTom ha scritto:Domanda al Forum:
La situazione in Italia è questa, come la racconta Marco Damilano sull’Espresso di domenica scorsa dove in copertina spiccava:
Credo di no, altrimenti tutto è inutile.
Caro lucfig, cosa intendi con "altrimenti tutto è inutile"
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Re: Come se ne viene fuori ?
UN PROBLEMA GROSSO COME UN CASA
Potremmo perdere anche quel poco di libertà vigilata "rimanente" a cui siamo stati abituati negli anni precedenti.
Perchè "un poco di libertà" vigilata.
Perchè come fa rilevare Fausto Carotenuto, ex agente dei servizi segreti, nell'articolo scelto da LIBRE Associazione di idee ieri mattina, Solange Manfredi, sfidando il sistema, ha pubblicato il libro PSYOPS, dove descrive come ci hanno manipolato e ingannato per 70 anni.
E la disparità del tipo d'informazione tra i quotiani "semiliberi" e il foglio della propaganda dei camerati STRUMPTPRUPPEN, evidenziano la sorte nostra futura se questo centrodestra dovesse vincere le prossime elezioni.
Dal sitp mss.com:
«Auto di servizio e relazione, così i due carabinieri hanno mentito quella notte»
2/28
Corriere della Sera
fsarzanini@corriere.it 7 ore fa
CONDIVIDI
ROMA I due carabinieri di Firenze accusati di aver stuprato le studentesse statunitensi non avevano comunicato alla sala operativa che le avrebbero fatte salire sull’auto di servizio, come invece prevedono le regole. E questo smentisce la versione fornita dall’appuntato scelto Marco Camuffo che ai pm coordinati dal procuratore Giuseppe Creazzo ha giurato di «non sapere che cosa mi sia successo quella sera». Il sospetto è che avessero deciso di aggredirle dopo averle agganciate presso la discoteca Flo e per questo le avrebbero accompagnate a casa. Ne risponderanno in sede penale, ma non solo. La Procura militare li accusa di violata consegna e peculato proprio per il loro comportamento di quella sera. Reati gravissimi che potrebbero accelerare la «cacciata» dall’Arma. Anche perché è lungo l’elenco delle norme che hanno infranto, compresa quella che li obbligava a compilare la relazione di servizio. E invece nessun documento sull’intervento di quella notte è mai arrivato ai superiori.
Questa mattina arriverà in procura, il secondo carabiniere accusato di violenza sessuale. Dopo i tentennamenti di questi giorni, ha fatto sapere di voler rispondere alle domande dei pubblici ministeri. Il suo collega sostiene di aver visto che entrava con la giovane in ascensore ma di non sapere che cosa sia successo. La studentessa invece non ha dubbi: mi ha violentata. Di certo c’è che nessuno dei due aveva fatto cenno con i superiori a quanto accaduto quella sera e quando è stata resa nota la denuncia delle ragazze, hanno continuato a tacere. Ecco perché, già nei prossimi giorni saranno interrogati anche dal procuratore militare Marco De Paolis e dal sostituto Antonella Masala, titolare del fascicolo.
© Fornito da RCS MediaGroup S.p.A.
Gli interrogativi ai quali dovranno rispondere sono numerosi. Sul tavolo dei magistrati c’è la prima informativa che ricostruisce quanto accaduto nella notte ed evidenzia tutte le violazioni e le omissioni commesse dai due appuntati. La prima, più evidente, riguarda la decisone di entrare nella discoteca e fermarsi al bar, nonostante fossero in servizio. Poi c’è la scelta di farle salire in auto. Le regole su questo non lasciano margini: è consentito soltanto in casi eccezionali (ad esempio il trasporto urgente di un ferito) e sempre informando la centrale operativa. Ancor più grave è la decisione di entrare nel palazzo dove le giovani abitavano, lasciando peraltro l’auto di servizio parcheggiata fuori. Anche tenendo conto — e su questo sono in corso accertamenti ulteriori — che la zona potesse non essere quella di loro competenza.
La spregiudicatezza di entrambi convince i magistrati della procura militare ad ampliare gli accertamenti. Secondo le prime informazioni trasmesse da Firenze, mercoledì era la seconda volta che i due carabinieri uscivano insieme in pattuglia. Eppure si sono fidati l’uno dell’altro, hanno violato tutte le regole evidentemente consapevoli che non sarebbero stati traditi. Ecco perché si ipotizza che il loro comportamento possa non essere isolato e dunque si vuole accertare se ci sia una rete di complicità che «copre» eventuali abusi. Proprio come accaduto in Lunigiana dove un’inchiesta della Procura di Massa Carrara ha portato agli arresti otto carabinieri di caserme diverse per aver abusato sessualmente di almeno una donna e aver picchiato numerosi stranieri. Per questo nell’elenco dei testimoni da convocare ci sono gli altri quattro carabinieri intervenuti mercoledì sera alla discoteca Flo, senza escludere di poter interrogare anche altri colleghi e superiori.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alla stessa ora dal sito dei camerati STRUMPTRUPPEN, notizia di testa:
Finlandese abusata e rapinata
Bengalese in manette a Roma
Orrore in pieno centro. La giovane pestata con una grossa pietra e poi stuprata. Prima di andarsene il furto di 40 euro
di Sergio Rame
7 ore fa
4266
Roma, lo stupratore è rifugiato:
permesso per motivi umanitari
Dopo Butungu un altro violento "regolare"
Sergio Rame /news/politica/roma-stupratore-bengalese-butungu-ha-permesso-motivi-1440525.
6 ore fa
603 ,
ancora adesso alle 04.45, mentre sto scrivendo questo post, la notizia di Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, nemmeno l'ombra.
Il fatto dei due carabinieri deve essere trattato con equilibrio, senza spunti propagandistici in qualsiasi direzione si voglia.
Ma l'occultamento della notizia ci anticipa la nostra sorte futura se vincerà, e vincerà, il centrodestra
Non vengano ad accampare inutili scuse i camerati, perché l'informazione in possesso della Sarzanini doveva essere anche a loro disposizione.
Ma l'impostazione del sito è netta e non lascia dubbi.
Potremmo perdere anche quel poco di libertà vigilata "rimanente" a cui siamo stati abituati negli anni precedenti.
Perchè "un poco di libertà" vigilata.
Perchè come fa rilevare Fausto Carotenuto, ex agente dei servizi segreti, nell'articolo scelto da LIBRE Associazione di idee ieri mattina, Solange Manfredi, sfidando il sistema, ha pubblicato il libro PSYOPS, dove descrive come ci hanno manipolato e ingannato per 70 anni.
E la disparità del tipo d'informazione tra i quotiani "semiliberi" e il foglio della propaganda dei camerati STRUMPTPRUPPEN, evidenziano la sorte nostra futura se questo centrodestra dovesse vincere le prossime elezioni.
Dal sitp mss.com:
«Auto di servizio e relazione, così i due carabinieri hanno mentito quella notte»
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Corriere della Sera
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ROMA I due carabinieri di Firenze accusati di aver stuprato le studentesse statunitensi non avevano comunicato alla sala operativa che le avrebbero fatte salire sull’auto di servizio, come invece prevedono le regole. E questo smentisce la versione fornita dall’appuntato scelto Marco Camuffo che ai pm coordinati dal procuratore Giuseppe Creazzo ha giurato di «non sapere che cosa mi sia successo quella sera». Il sospetto è che avessero deciso di aggredirle dopo averle agganciate presso la discoteca Flo e per questo le avrebbero accompagnate a casa. Ne risponderanno in sede penale, ma non solo. La Procura militare li accusa di violata consegna e peculato proprio per il loro comportamento di quella sera. Reati gravissimi che potrebbero accelerare la «cacciata» dall’Arma. Anche perché è lungo l’elenco delle norme che hanno infranto, compresa quella che li obbligava a compilare la relazione di servizio. E invece nessun documento sull’intervento di quella notte è mai arrivato ai superiori.
Questa mattina arriverà in procura, il secondo carabiniere accusato di violenza sessuale. Dopo i tentennamenti di questi giorni, ha fatto sapere di voler rispondere alle domande dei pubblici ministeri. Il suo collega sostiene di aver visto che entrava con la giovane in ascensore ma di non sapere che cosa sia successo. La studentessa invece non ha dubbi: mi ha violentata. Di certo c’è che nessuno dei due aveva fatto cenno con i superiori a quanto accaduto quella sera e quando è stata resa nota la denuncia delle ragazze, hanno continuato a tacere. Ecco perché, già nei prossimi giorni saranno interrogati anche dal procuratore militare Marco De Paolis e dal sostituto Antonella Masala, titolare del fascicolo.
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Gli interrogativi ai quali dovranno rispondere sono numerosi. Sul tavolo dei magistrati c’è la prima informativa che ricostruisce quanto accaduto nella notte ed evidenzia tutte le violazioni e le omissioni commesse dai due appuntati. La prima, più evidente, riguarda la decisone di entrare nella discoteca e fermarsi al bar, nonostante fossero in servizio. Poi c’è la scelta di farle salire in auto. Le regole su questo non lasciano margini: è consentito soltanto in casi eccezionali (ad esempio il trasporto urgente di un ferito) e sempre informando la centrale operativa. Ancor più grave è la decisione di entrare nel palazzo dove le giovani abitavano, lasciando peraltro l’auto di servizio parcheggiata fuori. Anche tenendo conto — e su questo sono in corso accertamenti ulteriori — che la zona potesse non essere quella di loro competenza.
La spregiudicatezza di entrambi convince i magistrati della procura militare ad ampliare gli accertamenti. Secondo le prime informazioni trasmesse da Firenze, mercoledì era la seconda volta che i due carabinieri uscivano insieme in pattuglia. Eppure si sono fidati l’uno dell’altro, hanno violato tutte le regole evidentemente consapevoli che non sarebbero stati traditi. Ecco perché si ipotizza che il loro comportamento possa non essere isolato e dunque si vuole accertare se ci sia una rete di complicità che «copre» eventuali abusi. Proprio come accaduto in Lunigiana dove un’inchiesta della Procura di Massa Carrara ha portato agli arresti otto carabinieri di caserme diverse per aver abusato sessualmente di almeno una donna e aver picchiato numerosi stranieri. Per questo nell’elenco dei testimoni da convocare ci sono gli altri quattro carabinieri intervenuti mercoledì sera alla discoteca Flo, senza escludere di poter interrogare anche altri colleghi e superiori.
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Finlandese abusata e rapinata
Bengalese in manette a Roma
Orrore in pieno centro. La giovane pestata con una grossa pietra e poi stuprata. Prima di andarsene il furto di 40 euro
di Sergio Rame
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Roma, lo stupratore è rifugiato:
permesso per motivi umanitari
Dopo Butungu un altro violento "regolare"
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ancora adesso alle 04.45, mentre sto scrivendo questo post, la notizia di Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, nemmeno l'ombra.
Il fatto dei due carabinieri deve essere trattato con equilibrio, senza spunti propagandistici in qualsiasi direzione si voglia.
Ma l'occultamento della notizia ci anticipa la nostra sorte futura se vincerà, e vincerà, il centrodestra
Non vengano ad accampare inutili scuse i camerati, perché l'informazione in possesso della Sarzanini doveva essere anche a loro disposizione.
Ma l'impostazione del sito è netta e non lascia dubbi.
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Re: Come se ne viene fuori ?
UncleTom ha scritto:UN PROBLEMA GROSSO COME UN CASA
Potremmo perdere anche quel poco di libertà vigilata "rimanente" a cui siamo stati abituati negli anni precedenti.
Perchè "un poco di libertà" vigilata.
Perchè come fa rilevare Fausto Carotenuto, ex agente dei servizi segreti, nell'articolo scelto da LIBRE Associazione di idee ieri mattina, Solange Manfredi, sfidando il sistema, ha pubblicato il libro PSYOPS, dove descrive come ci hanno manipolato e ingannato per 70 anni.
E la disparità del tipo d'informazione tra i quotiani "semiliberi" e il foglio della propaganda dei camerati STRUMPTRUPPEN, evidenziano la sorte nostra futura se questo centrodestra dovesse vincere le prossime elezioni.
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ROMA I due carabinieri di Firenze accusati di aver stuprato le studentesse statunitensi non avevano comunicato alla sala operativa che le avrebbero fatte salire sull’auto di servizio, come invece prevedono le regole. E questo smentisce la versione fornita dall’appuntato scelto Marco Camuffo che ai pm coordinati dal procuratore Giuseppe Creazzo ha giurato di «non sapere che cosa mi sia successo quella sera». Il sospetto è che avessero deciso di aggredirle dopo averle agganciate presso la discoteca Flo e per questo le avrebbero accompagnate a casa. Ne risponderanno in sede penale, ma non solo. La Procura militare li accusa di violata consegna e peculato proprio per il loro comportamento di quella sera. Reati gravissimi che potrebbero accelerare la «cacciata» dall’Arma. Anche perché è lungo l’elenco delle norme che hanno infranto, compresa quella che li obbligava a compilare la relazione di servizio. E invece nessun documento sull’intervento di quella notte è mai arrivato ai superiori.
Questa mattina arriverà in procura, il secondo carabiniere accusato di violenza sessuale. Dopo i tentennamenti di questi giorni, ha fatto sapere di voler rispondere alle domande dei pubblici ministeri. Il suo collega sostiene di aver visto che entrava con la giovane in ascensore ma di non sapere che cosa sia successo. La studentessa invece non ha dubbi: mi ha violentata. Di certo c’è che nessuno dei due aveva fatto cenno con i superiori a quanto accaduto quella sera e quando è stata resa nota la denuncia delle ragazze, hanno continuato a tacere. Ecco perché, già nei prossimi giorni saranno interrogati anche dal procuratore militare Marco De Paolis e dal sostituto Antonella Masala, titolare del fascicolo.
© Fornito da RCS MediaGroup S.p.A.
Gli interrogativi ai quali dovranno rispondere sono numerosi. Sul tavolo dei magistrati c’è la prima informativa che ricostruisce quanto accaduto nella notte ed evidenzia tutte le violazioni e le omissioni commesse dai due appuntati. La prima, più evidente, riguarda la decisone di entrare nella discoteca e fermarsi al bar, nonostante fossero in servizio. Poi c’è la scelta di farle salire in auto. Le regole su questo non lasciano margini: è consentito soltanto in casi eccezionali (ad esempio il trasporto urgente di un ferito) e sempre informando la centrale operativa. Ancor più grave è la decisione di entrare nel palazzo dove le giovani abitavano, lasciando peraltro l’auto di servizio parcheggiata fuori. Anche tenendo conto — e su questo sono in corso accertamenti ulteriori — che la zona potesse non essere quella di loro competenza.
La spregiudicatezza di entrambi convince i magistrati della procura militare ad ampliare gli accertamenti. Secondo le prime informazioni trasmesse da Firenze, mercoledì era la seconda volta che i due carabinieri uscivano insieme in pattuglia. Eppure si sono fidati l’uno dell’altro, hanno violato tutte le regole evidentemente consapevoli che non sarebbero stati traditi. Ecco perché si ipotizza che il loro comportamento possa non essere isolato e dunque si vuole accertare se ci sia una rete di complicità che «copre» eventuali abusi. Proprio come accaduto in Lunigiana dove un’inchiesta della Procura di Massa Carrara ha portato agli arresti otto carabinieri di caserme diverse per aver abusato sessualmente di almeno una donna e aver picchiato numerosi stranieri. Per questo nell’elenco dei testimoni da convocare ci sono gli altri quattro carabinieri intervenuti mercoledì sera alla discoteca Flo, senza escludere di poter interrogare anche altri colleghi e superiori.
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Roma, lo stupratore è rifugiato:
permesso per motivi umanitari
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Il fatto dei due carabinieri deve essere trattato con equilibrio, senza spunti propagandistici in qualsiasi direzione si voglia.
Ma l'occultamento della notizia ci anticipa la nostra sorte futura se vincerà, e vincerà, il centrodestra
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