IL LAVORO
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Re: IL LAVORO
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Amazon, Ikea, Fca: miliardari grazie al sangue degli schiavi
Scritto il 08/12/17 • nella Categoria: segnalazioni
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Jeff Bezos è l’uomo più ricco del mondo, l’ultimo rendiconto ufficiale sul suo patrimonio netto lo fa ammontare a 90 miliardi di euro, più o meno. Questa montagna di soldi l’ha accumulata con Amazon, di cui è fondatore e proprietario. Amazon si presenta con spot pubblicitari buoni e compassionevoli, verso i bambini, i disagiati, gli animali di casa; per tutti c’è un prodotto utile che può essere consegnato in poco tempo, a chi lo ha richiesto, al prezzo di una organizzazione del lavoro e di uno sfruttamento da schiavi. I 4.000 dipendenti del grande magazzino di Piacenza della multinazionale sono scesi in sciopero contro questa oppressione infame. Lo stesso hanno fatto i loro colleghi di Germania. In Gran Bretagna Alan Selby, giornalista del “Mirror”, ha lavorato in incognito nel più grande centro di Amazon in quel paese e ha raccontato la sua terribile esperienza. Salari di fame e 55 ore di lavoro a settimana, per turni devastanti dove si deve correre tra gli scaffali per trovare, confezionare, consegnare prodotti. Si sviene e arrivano le ambulanze, e se non si torna presto al lavoro con il rendimento giusto si viene licenziati. I lavoratori sono bestiame al servizio dei robot, ha sintetizzato Selby.
Il padrone e fondatore di Ikea si chiama Ingvar Kartman, in gioventù è stato nazista, ora ha superato i novant’anni e ha lasciato la gestione del gruppo ai figli. Assieme sono una delle famiglie più ricche del mondo, che ha abbandonato la Svezia per pagare meno tasse in Svizzera. Anche Ikea fa pubblicità simpatiche e progressiste, a favore di tutti i tipi di famiglie. Le sue dipendenti però la famiglia fanno fatica anche a vederla. Una madre di due figli, uno dei quali disabile, è stata licenziata a Milano perché non poteva far fronte a un cambio di turni che le rendeva impossibile occuparsi dei suoi figli. Questo atto feroce non è un caso isolato, ci ha pensato la stessa azienda a chiarire che esso è parte di un sistema organico di vessazione del lavoro. Infatti neanche una settimana dopo, a Bari, Ikea ha licenziato un dipendente per un ritardo di 5 minuti. E altri soprusi simili stanno finalmente venendo alla luce.
John Elkann è l’ultimo padrone della Fiat, ora Fca, erede e socio della grande e numerosa famiglia miliardaria, anch’essa indisponibile a pagare le tasse nel suo paese. La gestione concreta del gruppo come si sa è affidata a Marchionne, che ha aumentato enormemente i guadagni suoi e i profitti della famiglia. Nel 2019 l’amministratore delegato se ne andrà, ma la famiglia Agnelli continuerà ad accumulare miliardi. Lo ha sempre fatto, anche quando la Fiat non vendeva un’auto. I profitti di famiglia sono sempre stati la sola rigidità dell’impresa, tutto il resto è sempre stato flessibile, il lavoro prima di tutto. Oggi poi la flessibilità è in tempo reale. Così alla fine di ottobre la Fca di Cassino ha lasciato a casa 530 operai assunti a termine, con un semplice Sms. Perché sprecare un colloquio, una parola per delle merci sostituibili in qualsiasi momento? Questo sono e così vengono trattati i lavoratori di Fca. Questi supermiliardari sono vezzeggiati e incensati dai mass media e dagli intellettuali di regime. La politica si prostra i loro piedi. Così Bezos e compagnia controllano il mondo e le nostre vite. Sono straricchi perché in tanti sono poveri e sfruttati.
(Giorgio Cremaschi, “Bezos, Kartaman e Elkann: miliardari e schiavisti”, da “L’Antidipomatico” del 30 novembre 2017).
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Amazon, Ikea, Fca: miliardari grazie al sangue degli schiavi
Scritto il 08/12/17 • nella Categoria: segnalazioni
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Jeff Bezos è l’uomo più ricco del mondo, l’ultimo rendiconto ufficiale sul suo patrimonio netto lo fa ammontare a 90 miliardi di euro, più o meno. Questa montagna di soldi l’ha accumulata con Amazon, di cui è fondatore e proprietario. Amazon si presenta con spot pubblicitari buoni e compassionevoli, verso i bambini, i disagiati, gli animali di casa; per tutti c’è un prodotto utile che può essere consegnato in poco tempo, a chi lo ha richiesto, al prezzo di una organizzazione del lavoro e di uno sfruttamento da schiavi. I 4.000 dipendenti del grande magazzino di Piacenza della multinazionale sono scesi in sciopero contro questa oppressione infame. Lo stesso hanno fatto i loro colleghi di Germania. In Gran Bretagna Alan Selby, giornalista del “Mirror”, ha lavorato in incognito nel più grande centro di Amazon in quel paese e ha raccontato la sua terribile esperienza. Salari di fame e 55 ore di lavoro a settimana, per turni devastanti dove si deve correre tra gli scaffali per trovare, confezionare, consegnare prodotti. Si sviene e arrivano le ambulanze, e se non si torna presto al lavoro con il rendimento giusto si viene licenziati. I lavoratori sono bestiame al servizio dei robot, ha sintetizzato Selby.
Il padrone e fondatore di Ikea si chiama Ingvar Kartman, in gioventù è stato nazista, ora ha superato i novant’anni e ha lasciato la gestione del gruppo ai figli. Assieme sono una delle famiglie più ricche del mondo, che ha abbandonato la Svezia per pagare meno tasse in Svizzera. Anche Ikea fa pubblicità simpatiche e progressiste, a favore di tutti i tipi di famiglie. Le sue dipendenti però la famiglia fanno fatica anche a vederla. Una madre di due figli, uno dei quali disabile, è stata licenziata a Milano perché non poteva far fronte a un cambio di turni che le rendeva impossibile occuparsi dei suoi figli. Questo atto feroce non è un caso isolato, ci ha pensato la stessa azienda a chiarire che esso è parte di un sistema organico di vessazione del lavoro. Infatti neanche una settimana dopo, a Bari, Ikea ha licenziato un dipendente per un ritardo di 5 minuti. E altri soprusi simili stanno finalmente venendo alla luce.
John Elkann è l’ultimo padrone della Fiat, ora Fca, erede e socio della grande e numerosa famiglia miliardaria, anch’essa indisponibile a pagare le tasse nel suo paese. La gestione concreta del gruppo come si sa è affidata a Marchionne, che ha aumentato enormemente i guadagni suoi e i profitti della famiglia. Nel 2019 l’amministratore delegato se ne andrà, ma la famiglia Agnelli continuerà ad accumulare miliardi. Lo ha sempre fatto, anche quando la Fiat non vendeva un’auto. I profitti di famiglia sono sempre stati la sola rigidità dell’impresa, tutto il resto è sempre stato flessibile, il lavoro prima di tutto. Oggi poi la flessibilità è in tempo reale. Così alla fine di ottobre la Fca di Cassino ha lasciato a casa 530 operai assunti a termine, con un semplice Sms. Perché sprecare un colloquio, una parola per delle merci sostituibili in qualsiasi momento? Questo sono e così vengono trattati i lavoratori di Fca. Questi supermiliardari sono vezzeggiati e incensati dai mass media e dagli intellettuali di regime. La politica si prostra i loro piedi. Così Bezos e compagnia controllano il mondo e le nostre vite. Sono straricchi perché in tanti sono poveri e sfruttati.
(Giorgio Cremaschi, “Bezos, Kartaman e Elkann: miliardari e schiavisti”, da “L’Antidipomatico” del 30 novembre 2017).
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Re: IL LAVORO
IlFattoQuotidiano.it / BLOG di Manlio Lilli
Scuola, due milioni di domande per fare i bidelli. Basta la licenza media ma ci provano i laureati
Scuola | 10 dicembre 2017
59
Più informazioni su: Dipendenti Pubblici, Scuola Pubblica
Manlio Lilli
Archeologo e giornalista
Post | Articoli
Il 30 ottobre è scaduto il bando per per la presentazione delle domande per l’inserimento e l’aggiornamento delle graduatorie di circolo e di istituto di III fascia del personale ATA, relative alle supplenze nella scuola. Bando ATA 2017 che fa riferimento alle assunzioni per il triennio scolastico 2017-2220 ed è rivolto ai candidati che desiderano lavorare come dipendenti pubblici nelle scuole italiane svolgendo ruoli Ausiliari Tecnici Amministrativi. Requisito, la licenza di terza media. Chi pensa che si tratti di un concorso quindi per soli non laureati, insomma per persone che non potrebbero ambire a giusto titolo ad una occupazione di maggiore soddisfazione, sbaglia. Eccome se sbaglia. Numeri precisi sulle domande non ce ne sono. In compenso sembrano confermate le stime fatte da sindacati e Miur. A tentare la carta del concorso per bidello, segretario o assistente di laboratorio nelle scuole sarebbero 2 milioni di persone. Tanti davvero, soprattutto se in rapporto ai 20mila posti disponibili, peraltro diluiti in un triennio.
Motivi per i quali meravigliarsi ce ne sono in abbondanza. E riguardano non soltanto le condizioni del comparto, ma più generalmente la salute del Paese. I numeri innanzitutto. Come noto le graduatorie vengono ricostituite ogni tre anni. Nel 2014 le domande sono state circa 1 milione, insomma pressapoco la metà di quelle presentate ora. Indizio che sia nata una vera e propria passione per il ruolo di bidelli o segretari? Segnale che le condizioni economiche sono così vantaggiose da risultare impossibile resistere? Chi ha un minimo di dimestichezza con la scuola sa che non è così. I bidelli non sono diventati personaggi da copertina e il loro stipendio non è certo quello di una star del cinema oppure del calcio. Il punto è un altro.
Dopo i numeri, un’occhiata ai candidati, alla gran parte di essi. Moltissimi laureati, perfino potenziali professionisti, spaventati di non riuscire a farcela. Terrorizzati dalle troppe incertezze del futuro. Potenziali avvocati, architetti, archeologi, storici dell’arte e non solo. Speravano di arringare, progettare, dirigere indagini di scavo, fare ricerca. Nei prossimi mesi saranno chiamati ad altre funzioni nelle scuole. Naturalmente i più fortunati.
Beninteso niente di male a riordinare le classi dopo l’uscita, oppure a fare la guardia all’ingresso dei bagni per assicurarsi che gli alunni non facciano cose proibite. La stortura non è che lo possano fare persone con una formazione scolastica superiore. Ma piuttosto che in questo modo ad essere penalizzati saranno quelli che hanno solo la licenza media. In questo sembra proprio che ci sia qualcosa che non vada. In questo tritacarne sociale nel quale i laureati sono costretti a fare i bidelli, precludendone la possibilità a chi con la terza media ne avrebbe il requisito, nessuno si trova dove potrebbe. In non molti sono felici di quel che fanno.
La scuola continua ad essere un serbatoio di promesse mancate, di sogni svaniti. Finora molti insegnanti che avrebbero voluto essere scrittori, architetti, ingegneri, artisti e cantanti e compositori. Da ora anche bidelli che speravano in altro.
Qualcuno si ostina a chiamarla mobilità. Anche se definirla incapacità di rispondere alle giuste aspettative delle persone sembra più appropriato.
Scuola, due milioni di domande per fare i bidelli. Basta la licenza media ma ci provano i laureati
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Il 30 ottobre è scaduto il bando per per la presentazione delle domande per l’inserimento e l’aggiornamento delle graduatorie di circolo e di istituto di III fascia del personale ATA, relative alle supplenze nella scuola. Bando ATA 2017 che fa riferimento alle assunzioni per il triennio scolastico 2017-2220 ed è rivolto ai candidati che desiderano lavorare come dipendenti pubblici nelle scuole italiane svolgendo ruoli Ausiliari Tecnici Amministrativi. Requisito, la licenza di terza media. Chi pensa che si tratti di un concorso quindi per soli non laureati, insomma per persone che non potrebbero ambire a giusto titolo ad una occupazione di maggiore soddisfazione, sbaglia. Eccome se sbaglia. Numeri precisi sulle domande non ce ne sono. In compenso sembrano confermate le stime fatte da sindacati e Miur. A tentare la carta del concorso per bidello, segretario o assistente di laboratorio nelle scuole sarebbero 2 milioni di persone. Tanti davvero, soprattutto se in rapporto ai 20mila posti disponibili, peraltro diluiti in un triennio.
Motivi per i quali meravigliarsi ce ne sono in abbondanza. E riguardano non soltanto le condizioni del comparto, ma più generalmente la salute del Paese. I numeri innanzitutto. Come noto le graduatorie vengono ricostituite ogni tre anni. Nel 2014 le domande sono state circa 1 milione, insomma pressapoco la metà di quelle presentate ora. Indizio che sia nata una vera e propria passione per il ruolo di bidelli o segretari? Segnale che le condizioni economiche sono così vantaggiose da risultare impossibile resistere? Chi ha un minimo di dimestichezza con la scuola sa che non è così. I bidelli non sono diventati personaggi da copertina e il loro stipendio non è certo quello di una star del cinema oppure del calcio. Il punto è un altro.
Dopo i numeri, un’occhiata ai candidati, alla gran parte di essi. Moltissimi laureati, perfino potenziali professionisti, spaventati di non riuscire a farcela. Terrorizzati dalle troppe incertezze del futuro. Potenziali avvocati, architetti, archeologi, storici dell’arte e non solo. Speravano di arringare, progettare, dirigere indagini di scavo, fare ricerca. Nei prossimi mesi saranno chiamati ad altre funzioni nelle scuole. Naturalmente i più fortunati.
Beninteso niente di male a riordinare le classi dopo l’uscita, oppure a fare la guardia all’ingresso dei bagni per assicurarsi che gli alunni non facciano cose proibite. La stortura non è che lo possano fare persone con una formazione scolastica superiore. Ma piuttosto che in questo modo ad essere penalizzati saranno quelli che hanno solo la licenza media. In questo sembra proprio che ci sia qualcosa che non vada. In questo tritacarne sociale nel quale i laureati sono costretti a fare i bidelli, precludendone la possibilità a chi con la terza media ne avrebbe il requisito, nessuno si trova dove potrebbe. In non molti sono felici di quel che fanno.
La scuola continua ad essere un serbatoio di promesse mancate, di sogni svaniti. Finora molti insegnanti che avrebbero voluto essere scrittori, architetti, ingegneri, artisti e cantanti e compositori. Da ora anche bidelli che speravano in altro.
Qualcuno si ostina a chiamarla mobilità. Anche se definirla incapacità di rispondere alle giuste aspettative delle persone sembra più appropriato.
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Re: IL LAVORO
LA BANDA HACKER E' ENTRATA IN AZIONE. HA BLOCCATO IL COPIA INCOLLA DELLA PRIMA PARTE.
L'ARTICOLO LEGGETELO QUI
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... a/4087297/.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... -politici-
HANNO TAGLIATO ANCHE IL LINK DEL FATTO
L’Italia può (anzi deve) anticipare tutti avviando, per prima al mondo (grazie anche alla nostra Costituzione), un ciclo virtuoso di occupazione garantita per tutti. Inizialmente ci sarebbe un altissimo tasso BANDA di lavori pressoché inutili, ma è inevitabile (per esempio si potrebbero riattivare quei lavori in parte già rubati dalla robotizzazione, come i lavori dei cassieri dei supermercati, ecc. O altri come i controllori dei biglietti, le portinerie, i giardini pubblici, ecc. ecc.).
Chi paga? Lo Stato, ovviamente, in tutto o in parte. E non aumenta il debito, perché essendo un esborso che viene subito rimesso in circolazione da chi lo riceve (perché era povero e disoccupato), cambia di mano rapidamente ritornando però subito, sotto forma di tasse, all’emittente. Eventualmente si potrebbe creare a questo scopo una moneta dedicata, sul tipo dei buoni pasto.
Se tutti questi lavoratori “semi-inutili” spendono e pagano le tasse, in qualche modo si crea ricchezza, risparmio che viene investito, ecc. ecc.
Nel frattempo lo Stato, attraverso il sistema educativo e, dove possibile, con incentivi, crea le condizioni per creare lavoro “vero” (cioè richiesto dal mercato), rivolto soprattutto ai giovani, e non solo nelle aziende pubbliche ma ora anche in quelle private che, grazie alla florida condizione generale creatasi, ritroverebbero le condizioni per crescere con continuità, aumentando gli investimenti, le esportazioni e il Pil, e consentendo in definitiva anche la riduzione del debito pubblico.
pensano-alla-poltrona/4087297/
DEI VENDITORI DEL CACAO MERAVIGLIAO, NESSUNO SI INTERESSA A DARE RISPOSTE AGLI ITALIANI
L'ARTICOLO LEGGETELO QUI
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... a/4087297/.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... -politici-
HANNO TAGLIATO ANCHE IL LINK DEL FATTO
L’Italia può (anzi deve) anticipare tutti avviando, per prima al mondo (grazie anche alla nostra Costituzione), un ciclo virtuoso di occupazione garantita per tutti. Inizialmente ci sarebbe un altissimo tasso BANDA di lavori pressoché inutili, ma è inevitabile (per esempio si potrebbero riattivare quei lavori in parte già rubati dalla robotizzazione, come i lavori dei cassieri dei supermercati, ecc. O altri come i controllori dei biglietti, le portinerie, i giardini pubblici, ecc. ecc.).
Chi paga? Lo Stato, ovviamente, in tutto o in parte. E non aumenta il debito, perché essendo un esborso che viene subito rimesso in circolazione da chi lo riceve (perché era povero e disoccupato), cambia di mano rapidamente ritornando però subito, sotto forma di tasse, all’emittente. Eventualmente si potrebbe creare a questo scopo una moneta dedicata, sul tipo dei buoni pasto.
Se tutti questi lavoratori “semi-inutili” spendono e pagano le tasse, in qualche modo si crea ricchezza, risparmio che viene investito, ecc. ecc.
Nel frattempo lo Stato, attraverso il sistema educativo e, dove possibile, con incentivi, crea le condizioni per creare lavoro “vero” (cioè richiesto dal mercato), rivolto soprattutto ai giovani, e non solo nelle aziende pubbliche ma ora anche in quelle private che, grazie alla florida condizione generale creatasi, ritroverebbero le condizioni per crescere con continuità, aumentando gli investimenti, le esportazioni e il Pil, e consentendo in definitiva anche la riduzione del debito pubblico.
pensano-alla-poltrona/4087297/
DEI VENDITORI DEL CACAO MERAVIGLIAO, NESSUNO SI INTERESSA A DARE RISPOSTE AGLI ITALIANI
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Re: IL LAVORO
25 gen 2018 11:39
TOO BIG TO FAIL (FORSE)
- SE FOSSE UNA QUALSIASI AZIENDA L’INPS AVREBBE GIÀ PORTATO I LIBRI IN TRIBUNALE: IL BILANCIO 2017 SI CHIUDERA’ CON UN BUCO DI 6,3 MILIARDI
- MA QUEL CHE È PEGGIO È CHE DI NUOVO DOPO IL 2012, L’ANNO DELL’INCORPORAZIONE DELL’INPDAP, IL PATRIMONIO FINIRÀ IN NEGATIVO PER QUASI 8 MILIARDI
- E PER I GIOVANI SARA’ UN BAGNO DI SANGUE
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 165648.htm
TOO BIG TO FAIL (FORSE)
- SE FOSSE UNA QUALSIASI AZIENDA L’INPS AVREBBE GIÀ PORTATO I LIBRI IN TRIBUNALE: IL BILANCIO 2017 SI CHIUDERA’ CON UN BUCO DI 6,3 MILIARDI
- MA QUEL CHE È PEGGIO È CHE DI NUOVO DOPO IL 2012, L’ANNO DELL’INCORPORAZIONE DELL’INPDAP, IL PATRIMONIO FINIRÀ IN NEGATIVO PER QUASI 8 MILIARDI
- E PER I GIOVANI SARA’ UN BAGNO DI SANGUE
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 165648.htm
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Re: IL LAVORO
Amazon, il giuslavorista: “Jobs Act ha spianato la strada al bracciale elettronico. Ormai l’unica tutela è il codice privacy”
Vincenzo Martino, vicepresidente dell'associazione Agi: "Fino al 2015 questi strumenti da anni bui non sarebbero stati ammissibili. Ma lo Statuto dei lavoratori è stato modificato dal governo Renzi. E ora gli strumenti di lavoro possono essere usati anche per controllare i dipendenti senza necessità di un accordo sindacale né del via libera dell'Ispettorato". La sindacalista: "Già oggi i magazzinieri usano uno scanner e se si sloggano per andare in bagno ricevono lettere di contestazione"
di Chiara Brusini | 2 febbraio 2018
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... y/4133077/
Vincenzo Martino, vicepresidente dell'associazione Agi: "Fino al 2015 questi strumenti da anni bui non sarebbero stati ammissibili. Ma lo Statuto dei lavoratori è stato modificato dal governo Renzi. E ora gli strumenti di lavoro possono essere usati anche per controllare i dipendenti senza necessità di un accordo sindacale né del via libera dell'Ispettorato". La sindacalista: "Già oggi i magazzinieri usano uno scanner e se si sloggano per andare in bagno ricevono lettere di contestazione"
di Chiara Brusini | 2 febbraio 2018
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... y/4133077/
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Re: IL LAVORO
Germania, i metalmeccanici ottengono la settimana di 28 ore su base volontaria e aumenti di stipendio del 4,3%
OPERA DELLA BANDA HACKER
Da Il Fatto Quotidiano Premium
Politica | Di Laura Margottini
Anche gli economisti che in passato
l’hanno difesa ora sono contro la Madia
“Adesso è chiaro, ha copiato la tesi”
OPERA DELLA BANDA HACKER
•tesi di dottorato copiata: lo dice la perizia ufficiale. Che però assolve la madia: “In economia fanno tutti così”
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Altro no a scarcerazione, Dell’Utri resta
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Elezioni, Di Battista: "Italiani? Li vedo molto rincoglioniti. Faranno polemica ma è così"
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•2017 -Adan rifugiato malato di distrofia, ucciso dalle regole. “Legge applicata male” (di L. Gaita)
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Politica | Di F. Q.
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pento. Volevo colpire gli spacciatori neri”
•La condanna della Ue: “Alla base spregevole ideologia xenofoba”
•AVVOCATO TRAINI: “MI FERMANO PER ESPRIMERGLI SOLIDARIETÀ”
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Lavoro & Precari | Di Silvia De Santis
Castelfrigo, lavoratori bloccano le merci
Cgil: “Assunti altri 25 che non hanno
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Taiwan, sisma di magnitudo 6.4: 2 morti
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Cronaca Nera | Di F. Q.
Alessandria, donna muore di ipotermia
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•Ad Arquata – Trovata dal figlio, forse bloccata da rapinatori
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Da Il Fatto Quotidiano Premium
Cronisti finti lobbisti, politici ci cascano
Il tesoriere Fi: “Vi faccio incontrare B.”
Il nuovo numero di MillenniuM in edicola
•VIDEO – NOI, FINTI LOBBISTI. L’INCHIESTA IN PILLOLE
•VIDEO – “MAI PENSATO DI COMPRARVI UNA LEGGE? NOI LO ABBIAMO FATTO”. GOMEZ PRESENTA FQMILLENNIUM
•TESORIERE DI FORZA ITALIA CI SPIEGA COME AGGIRARE IL TETTO DEI 100MILA EURO (DI FRANCO E MACKINSON)
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Giustizia & Impunità | Di F. Q.
Pamela Mastropietro, escluso omicidio
Fermo per occultamento e vilipendio
“Lei in overdose e io sono scappato”
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Giustizia & Impunità | Di F. Q.
Csm, Saguto vuole la pensione: ‘Sto male’
Così evita la rimozione dalla magistratura
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Elezioni Politiche 2018 | Di F. Q.
Elezioni, “lotteria” di Salvini
In palio sua telefonata e foto
E anche incontro di persona
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21
Lavoro & Precari | Di F. Q.
Germania, i metalmeccanici ottengono
la settimana di 28 ore e aumenti del 4%
•Scioperi a singhiozzo nelle fabbriche tedesche. Sindacato chiede riduzione volontaria da 35 a 28 ore
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Re: IL LAVORO
IlFattoQuotidiano.it / BLOG di Area pro labour
Su quale ‘lavoro’ è fondata la nostra Repubblica?
Lavoro & Precari | 8 febbraio 2018
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di Aurora Notarianni *
Sul non lavoro di Becky Moses bruciata viva nella tendopoli di San Ferdinando dove sostano i nigeriani impegnati nella raccolta di arance per un euro a cassetta, mentre le commissioni ministeriali non decidono sulle domande di asilo e gli ispettori del lavoro e le forze dell’ordine non sono abbastanza per reprimere i reati che ogni giorni si consumano su quella terra, producendo profitto per le organizzazioni criminali che non negano a nessuno un tozzo di pane. Neanche ai pochi che hanno la dignità di scendere in piazza urlando “schiavi mai”.
Sul lavoro a costo della vita dei dipendenti dell’Ilva dove, secondo un recente studio epidemiologico della Regione, si registra un aumento di mortalità degli operai del 107% per tumore alla pleura e del 151% al rene, mentre per gli altri lavoratori e gli abitanti dell’interland i casi di tumore allo stomaco, della pleura e del polmone registrano un aumento (rispettivamente +41%, +72%, +27%).
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Ed è ancora più allarmante la notizia che 25 giovani in buone condizioni di salute sono stati utilizzati da una famosa casa automobilistica come cavie umane, nei laboratori dell’Università di Aquisgrana, in Germania per testare un motore diesel e studiare gli effetti dei gas di scarico esaminando le conseguenze dell’inalazione di biossido di azoto in diverse concentrazioni e per diverse ore. Sul lavoro precario che pervade ogni tipologia di rapporto pubblico e privato nonostante la regola, principio generale, del contratto di lavoro a tempo indeterminato. La situazione non è migliorata, nonostante le attese, dopo il Jobs act che fa registrare a dicembre 516mila precari in più.
Sul lavoro nero di tre milioni e trecento mila persone ossia della metà dei disoccupati risucchiati dal mercato dell’illegalità soprattutto al Sud (Calabria e Campania), secondo il rapporto del Censis per Confcooperative, tanto che il ministro Orlando, agli Stati generali alla lotta alla mafia, dice “Attenti, la mafia è l’unico ascensore sociale“.
Sul lavoro protetto dei dipendenti di Amazon che brevetta braccialetti per controllare le mani dei lavoratori attraverso l’emissione di impulsi sonori ultrasonici e di trasmissioni radio captati da un sistema generale che verifica la corretta esecuzione della prestazione.
Sul lavoro delle donne che ancora devono colmare il gender pay gap ossia la differenza con il salario percepito dagli uomini in misura superiore al 15 per cento secondo i dati Eurostat che segnalano la media dei paesi europei. A 50 anni dalla rivoluzione femminista le donne sono sempre più schiacciate tra lavoro, genitori e figli e, senza un efficiente sistema sociale, faticano il doppio per mantenere livelli di produttività e carriera adeguati alle loro competenze ed al loro quotidiano impegno ed a fronteggiare la pervasiva concorrenza dei colleghi, tant’è che pochissime raggiungono il tetto di cristallo al vertice della carriera se solo si pensa al 7,9% delle AD nelle 227 imprese italiane quotate in borsa.
Ma possiamo essere fiduciosi, il domani sarà più roseo. Grazie alla tecnologia che ridisegna il futuro del lavoro ed ha già prodotto i primi risultati.
I robot in campo medico e per l’assistenza agli anziani sono già operativi ma importanti sono i progetti per le imprese e per la vita quotidiana. Come Goliath, artigiano itinerante di dieci chili che taglia e incide su legno, alluminio e materiali plastici, progettato dalla società trevigiana Companies Meet Talent (COMEETA), la cui produzione è stata avviata qualche mese fa grazie ad una raccolta fondi (centomila dollari in quattro ore) attraverso Kickstarter, una delle più importanti piattaforme internazionali per il crowdfunding.
Ma la vera rivoluzione nella nostra vita quotidiana arriverà con l’automa R1, progettato dall’Istituto Italiano di Tecnologia, un domestico prodotto in larga scala che sostituirà colf, badanti e tate ad un prezzo più alto all’inizio ma destinato a decresce fino a tremila euro, quindi, acquistabile da tutti anche a piccole rate mensili.
Il fenomeno è così importante che il Parlamento europeo ha approvato il 16 febbraio 2017 una risoluzione recante raccomandazioni alla commissione concernete norme di diritto civile sulla robotica con invito a valutare la possibilità di costituire una Agenzia per la robotica, in considerazione del fatto che l’umanità si trova sul punto di avviare una nuova rivoluzione industriale che già influenza anche il mondo del lavoro.
L’obiettivo di preservare la dignità degli individui, tenuto conto che l’autonomia dei robot implica la preventiva valutazione della questione fondamentale della loro natura, passa attraverso l’educazione ed il rafforzamento delle competenze dei lavoratori, il richiamo ai principi etici e di responsabilità e, soprattutto, all’osservanza delle tre leggi del visionario Isaac Asimov, prima fra tutte quella rivolta ai progettisti: il robot non può recare danno all’umanità.
Se la Repubblica di domani sarà fondata anche sul lavoro dei robot c’è una ragione in più per non cancellare la parola razza dall’art. 3 della Costituzione. Settant’anni fa serviva a dimostrare il ripudio della politica razziale che il fascismo aveva instaurato, adesso serve a richiamare le radici profonde della Repubblica fondata sul lavoro e sulla dignità dell’uomo.
La razza, insomma, distingue gli uomini dai robot e ci ricorda, come diceva Vittorio Arrigoni, di “Restare umani“.
* Avvocato giuslavorista, attenta al diritto euro-unitario ed alla giurisprudenza delle Alte Corti, non trascuro la difesa nelle connesse materie di diritto penale. Dedico il mio impegno negli organismi e nelle associazioni dell’avvocatura ed in altre non profit, per le azioni di genere e per la formazione e l’occupazione dei giovani e, più in generale, per la tutela dei diritti fondamentali. Negli ultimi anni ho affrontato il tema dell’immigrazione con la Scuola Superiore dell’Avvocatura partecipando, quale componente senior, al gruppo di studio sul Progetto Lampedusa. La mia terra di nascita è la Calabria, la Sicilia quella di adozione. Vivo e lavoro a Messina. Adoro viaggiare.
Lavoro & Precari | 8 febbraio 2018
Su quale ‘lavoro’ è fondata la nostra Repubblica?
Lavoro & Precari | 8 febbraio 2018
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di Aurora Notarianni *
Sul non lavoro di Becky Moses bruciata viva nella tendopoli di San Ferdinando dove sostano i nigeriani impegnati nella raccolta di arance per un euro a cassetta, mentre le commissioni ministeriali non decidono sulle domande di asilo e gli ispettori del lavoro e le forze dell’ordine non sono abbastanza per reprimere i reati che ogni giorni si consumano su quella terra, producendo profitto per le organizzazioni criminali che non negano a nessuno un tozzo di pane. Neanche ai pochi che hanno la dignità di scendere in piazza urlando “schiavi mai”.
Sul lavoro a costo della vita dei dipendenti dell’Ilva dove, secondo un recente studio epidemiologico della Regione, si registra un aumento di mortalità degli operai del 107% per tumore alla pleura e del 151% al rene, mentre per gli altri lavoratori e gli abitanti dell’interland i casi di tumore allo stomaco, della pleura e del polmone registrano un aumento (rispettivamente +41%, +72%, +27%).
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Ed è ancora più allarmante la notizia che 25 giovani in buone condizioni di salute sono stati utilizzati da una famosa casa automobilistica come cavie umane, nei laboratori dell’Università di Aquisgrana, in Germania per testare un motore diesel e studiare gli effetti dei gas di scarico esaminando le conseguenze dell’inalazione di biossido di azoto in diverse concentrazioni e per diverse ore. Sul lavoro precario che pervade ogni tipologia di rapporto pubblico e privato nonostante la regola, principio generale, del contratto di lavoro a tempo indeterminato. La situazione non è migliorata, nonostante le attese, dopo il Jobs act che fa registrare a dicembre 516mila precari in più.
Sul lavoro nero di tre milioni e trecento mila persone ossia della metà dei disoccupati risucchiati dal mercato dell’illegalità soprattutto al Sud (Calabria e Campania), secondo il rapporto del Censis per Confcooperative, tanto che il ministro Orlando, agli Stati generali alla lotta alla mafia, dice “Attenti, la mafia è l’unico ascensore sociale“.
Sul lavoro protetto dei dipendenti di Amazon che brevetta braccialetti per controllare le mani dei lavoratori attraverso l’emissione di impulsi sonori ultrasonici e di trasmissioni radio captati da un sistema generale che verifica la corretta esecuzione della prestazione.
Sul lavoro delle donne che ancora devono colmare il gender pay gap ossia la differenza con il salario percepito dagli uomini in misura superiore al 15 per cento secondo i dati Eurostat che segnalano la media dei paesi europei. A 50 anni dalla rivoluzione femminista le donne sono sempre più schiacciate tra lavoro, genitori e figli e, senza un efficiente sistema sociale, faticano il doppio per mantenere livelli di produttività e carriera adeguati alle loro competenze ed al loro quotidiano impegno ed a fronteggiare la pervasiva concorrenza dei colleghi, tant’è che pochissime raggiungono il tetto di cristallo al vertice della carriera se solo si pensa al 7,9% delle AD nelle 227 imprese italiane quotate in borsa.
Ma possiamo essere fiduciosi, il domani sarà più roseo. Grazie alla tecnologia che ridisegna il futuro del lavoro ed ha già prodotto i primi risultati.
I robot in campo medico e per l’assistenza agli anziani sono già operativi ma importanti sono i progetti per le imprese e per la vita quotidiana. Come Goliath, artigiano itinerante di dieci chili che taglia e incide su legno, alluminio e materiali plastici, progettato dalla società trevigiana Companies Meet Talent (COMEETA), la cui produzione è stata avviata qualche mese fa grazie ad una raccolta fondi (centomila dollari in quattro ore) attraverso Kickstarter, una delle più importanti piattaforme internazionali per il crowdfunding.
Ma la vera rivoluzione nella nostra vita quotidiana arriverà con l’automa R1, progettato dall’Istituto Italiano di Tecnologia, un domestico prodotto in larga scala che sostituirà colf, badanti e tate ad un prezzo più alto all’inizio ma destinato a decresce fino a tremila euro, quindi, acquistabile da tutti anche a piccole rate mensili.
Il fenomeno è così importante che il Parlamento europeo ha approvato il 16 febbraio 2017 una risoluzione recante raccomandazioni alla commissione concernete norme di diritto civile sulla robotica con invito a valutare la possibilità di costituire una Agenzia per la robotica, in considerazione del fatto che l’umanità si trova sul punto di avviare una nuova rivoluzione industriale che già influenza anche il mondo del lavoro.
L’obiettivo di preservare la dignità degli individui, tenuto conto che l’autonomia dei robot implica la preventiva valutazione della questione fondamentale della loro natura, passa attraverso l’educazione ed il rafforzamento delle competenze dei lavoratori, il richiamo ai principi etici e di responsabilità e, soprattutto, all’osservanza delle tre leggi del visionario Isaac Asimov, prima fra tutte quella rivolta ai progettisti: il robot non può recare danno all’umanità.
Se la Repubblica di domani sarà fondata anche sul lavoro dei robot c’è una ragione in più per non cancellare la parola razza dall’art. 3 della Costituzione. Settant’anni fa serviva a dimostrare il ripudio della politica razziale che il fascismo aveva instaurato, adesso serve a richiamare le radici profonde della Repubblica fondata sul lavoro e sulla dignità dell’uomo.
La razza, insomma, distingue gli uomini dai robot e ci ricorda, come diceva Vittorio Arrigoni, di “Restare umani“.
* Avvocato giuslavorista, attenta al diritto euro-unitario ed alla giurisprudenza delle Alte Corti, non trascuro la difesa nelle connesse materie di diritto penale. Dedico il mio impegno negli organismi e nelle associazioni dell’avvocatura ed in altre non profit, per le azioni di genere e per la formazione e l’occupazione dei giovani e, più in generale, per la tutela dei diritti fondamentali. Negli ultimi anni ho affrontato il tema dell’immigrazione con la Scuola Superiore dell’Avvocatura partecipando, quale componente senior, al gruppo di studio sul Progetto Lampedusa. La mia terra di nascita è la Calabria, la Sicilia quella di adozione. Vivo e lavoro a Messina. Adoro viaggiare.
Lavoro & Precari | 8 febbraio 2018
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Re: IL LAVORO
Il fatto quotidiano
Temi del Giorno
Maria Elena Boschi • Nadia Toffa • Silvio Berlusconi • Sondaggi Elettorali
Lavoro, posti stabili giù di 117mila unità nel 2017
Boom di precari: +120% dei contratti a chiamata
I dati Inps: solo il 23,2% delle nuove assunzioni è a tempo indeterminato. 537mila gli occupati aggiuntivi
a termine. E i rapporti ex interinali, che nel 2016 erano stati 199mila, hanno toccato quota 438mila
Temi del Giorno
Maria Elena Boschi • Nadia Toffa • Silvio Berlusconi • Sondaggi Elettorali
Lavoro, posti stabili giù di 117mila unità nel 2017
Boom di precari: +120% dei contratti a chiamata
I dati Inps: solo il 23,2% delle nuove assunzioni è a tempo indeterminato. 537mila gli occupati aggiuntivi
a termine. E i rapporti ex interinali, che nel 2016 erano stati 199mila, hanno toccato quota 438mila
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Re: IL LAVORO
15 mar 2018 15:07
I NUOVI SCHIAVI
- PORTARE CIBO A DOMICILIO, PER 5 EURO L’ORA, E’ DIVENTATO UN LAVORO MORTALE
- I FATTORINI SONO COSTRETTI A SFRECCIARE IN BICICLETTA PER NON PERDERE TEMPO E SOLDI MA GLI INCIDENTI SONO IN AUMENTO (E CON LA NEVE LE AZIENDE NON HANNO SOSPESO IL SERVIZIO…)
- A VERONA CI SONO GIA’ DUE MORTI
Ihttp://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/nu ... 169402.htm
I NUOVI SCHIAVI
- PORTARE CIBO A DOMICILIO, PER 5 EURO L’ORA, E’ DIVENTATO UN LAVORO MORTALE
- I FATTORINI SONO COSTRETTI A SFRECCIARE IN BICICLETTA PER NON PERDERE TEMPO E SOLDI MA GLI INCIDENTI SONO IN AUMENTO (E CON LA NEVE LE AZIENDE NON HANNO SOSPESO IL SERVIZIO…)
- A VERONA CI SONO GIA’ DUE MORTI
Ihttp://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/nu ... 169402.htm
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Re: IL LAVORO
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Inchiesta
Lavoro, la strage silenziosa: ecco chi ci uccide
Gli infortuni mortali tornano ad aumentare. E crescono gli incidenti che non vengono neppure denunciati. Quali sono le cause. E i possibili rimedi
di Gloria Riva
04 aprile 2018
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Qualcuno grida «Attenti!», ma il palco viene giù in una frazione di secondo. Matteo Armellini, trent’anni, muore sul colpo. Schiacciato. Doveva montare le luci per illuminare il concerto di Laura Pausini a Reggio Calabria. Era il 5 marzo del 2012 e i giornali non parlarono d’altro: uscire di casa per lavorare e non fare ritorno. Assurdo. Passò qualche giorno, la polvere dell’indignazione si sedimentò e restò soltanto Paola Armellini, la mamma, che oggi ha 76 anni e ancora cerca giustizia. Il processo va per le lunghe, cambia il giudice, cambiano i pm, si riparte daccapo. Risultato: dopo sei anni, ancora non si sa di chi sia la responsabilità per quel palco non in regola. «Alle ultime udienze si gioca a scarica barile fra committenti», racconta Paola.
A processo, sul banco degli imputati, ci sono sette impresari che in quel cantiere avevano un appalto, in subappalto da un altro subappalto, e così via fino a costruire una matassa impossibile da districare: «Lo fanno apposta. Così quando succedono disgrazie il responsabile non è nessuno. Ma deve venire fuori», Paola non demorde. Eppure s’avvicina la prescrizione: e allora Matteo potrebbe non avere giustizia. «Servirebbe un processo esemplare, severo, in tempi giusti. Perché nel frattempo le morti sul lavoro non si sono fermate», e neppure il diabolico sistema del subappalto. Al contrario, le disgrazie hanno ripreso a correre e non è una fatalità. L’Espresso racconta cosa sta succedendo nelle aziende italiane e perché.
Precari più a rischio
Nel 2017 hanno perso la vita - ufficialmente - in 1.115 (più 1,1 per cento sul 2016). Una mattanza. E il 2018 è iniziato nel peggiore dei modi: il 16 gennaio a Milano quattro operai sono morti per asfissia alla Lamina, una piccola azienda metalmeccanica. Due giorni dopo a Brescia, un ragazzo di 19 anni è rimasto incastrato con la manica del maglione nel tornio, è successo sotto agli occhi del padre, titolare dell’azienda.
Mentre tutti parlano dei robot pronti a soppiantare gli operai, si continua a morire in fabbrica. Perché il lavoro è diventato precario e sui precari non si fa formazione. Perché anche quando si fa, la formazione troppo spesso resta sulla carta e corsi veri non ci sono. Perché le aziende, dopo anni di crisi, hanno ricominciato a produrre su macchine e impianti vecchi e non hanno soldi da investire nella sicurezza. Perché gli ispettori sono pochi e la probabilità per un’impresa di essere controllata è infinitesimale.
L’effetto collaterale della ripresa
L’Espresso anticipa i risultati del rapporto annuale Anmil, l’associazione degli invalidi del lavoro, che lancia l’allarme sugli effetti collaterali della ripresa economica: il Pil, il prodotto interno lordo che misura la ricchezza del paese, è cresciuto dell’1,5 per cento nel 2017 e il numero di occupati ha superato 23 milioni di unità, soglia sorpassata solo nel 2008, «ma la manodopera è diventata precaria e quindi non adeguatamente formata», spiega Franco Bettoni, presidente dell’associazione, che aggiunge: «La crescita occupazionale, infatti, si è avuta sui lavoratori a termine, più 605 mila unità, a scapito del lavoro a tempo indeterminato, che cala di 117 mila. La formazione è l’unica arma per far arretrare le stragi in fabbrica, ma il mercato del lavoro è diventato instabile e quindi i giovani non vengono adeguatamente formati. Sono loro i più a rischio ed è per questo che la sicurezza dovrebbe essere insegnata nelle scuole».
vedi anche:
ponteggio-jpg
Sul ponteggio a 60 anni
La fascia più a rischio è quella dei senior, "allontanati dalla pensione
Poi c’è l’invecchiamento delle macchine, segnalato dall’Ucimu, l’associazione dei costruttori di macchinari, alla Camera dei Deputati nel 2016 con un report sull’età degli impianti installati nelle aziende italiane: «Il parco macchine è molto più vecchio di quello di dieci anni fa e l’età media è la più alta mai registrata da 40 anni a questa parte», avvertiva il report. In risposta il governo ha avviato un piano di incentivi per la sostituzione dei macchinari obsoleti, come Industry 4.0, mentre l’Inail ha messo sul piatto 250 milioni per la sostituzione di macchine e trattori agricoli, che sono causa di molti incidenti nei campi. Sembra che l’arma degli incentivi stia funzionando, perché l’Ucimu afferma che nel 2017 gli ordini di nuovi macchinari da parte degli imprenditori italiani sono aumentati del 46 per cento.
Due aziende su tre irregolari
A controllare 4,4 milioni di imprese italiane ci sono 3.500 persone, di cui 2.800 ispettori delle Asl, più 300 funzionari del ministero del Lavoro che intervengono per lo più nel settore edile, e altri 400 carabinieri. Il 97 per cento delle aziende ha quindi la ragionevole speranza di non essere mai visitata. Ecco perché per l’imprenditore è più importante riempire qualche modulo - per essere in ordine con la burocrazia -, anziché verificare la presenza di sistemi di protezione contro le cadute. Ed è più utile spendere un po’ di quattrini in formazione, magari da fare online o da falsificare, anziché organizzare veri corsi fra le catene di montaggio o nei cantieri. Perché non solo la probabilità di un controllo è remota, ma il sistema italiano di prevenzione è talmente frammentato da rendere complessa qualsiasi verifica: il ponteggio è collaudato dall’ispettore del lavoro, i montacarichi dall’Ispels, istituto per la prevenzione, mentre l’Asl si occupa della verifica dell’ascensore dell’ufficio e il ministero dello Sviluppo economico verifica la regolarità delle miniere, mentre le Regioni entrano in scena nel settore dell’industria estrattiva di seconda categoria. Poi ci sono i vigili del fuoco con l’occhio puntato sulle norme anti-incendio. Detto questo, gli esiti dei controlli sono sconfortanti: l’ispettorato del lavoro nel 2017 ha effettuato 190 mila controlli e due aziende su tre sono risultate irregolari.
Pochissimi i casi che vanno a processo
Quando in azienda qualcuno perde la vita o subisce lesioni gravi, cioè nel dieci per cento dei casi di infortunio, allora la procura apre un procedimento. Tuttavia si arriva a processo solo tra il 2 e il 3 per cento dei casi, spiega Beniamino Deidda, ex procuratore generale del Tribunale di Firenze, da sempre in prima linea nelle inchieste sulle morti bianche. Racconta Deidda che in molti casi la notizia di reato non viene neppure comunicata alle procure e che le indagini «dovrebbero essere svolte dalla polizia giudiziaria preposta, cioè dagli stessi ispettori delle Asl, che sono pochi e hanno già molti compiti da svolgere. C’è un’enorme sproporzione fra quello che lo Stato investe per combattere gli infortuni sul lavoro rispetto alla reale necessità. A questo si aggiunge l’assenza di cultura della sicurezza», dice Deidda.
Anche quando i processi arrivano a termine, non sempre offrono giustizia. Graziella Marota è la madre di Andrea Gagliardoni, un ragazzo di 23 anni, morto nel 2006 in un’azienda di Ortezzano. Lavorava su un macchinario che imprimeva l’inchiostro sui frontali degli elettrodomestici. Alle sei di mattina del 20 giugno Andrea ferma la macchina perché dava problemi e, per ripararla, infila parte del proprio corpo al di sotto della pressa. Proprio in quel momento la pressa, da sola, rientra in funzione. «Quel macchinario doveva avere tre sistemi di sicurezza, ma per velocizzare la procedura ne era stato installato solo uno», racconta Graziella. Dopo un processo durato anni, i due imputati, l’amministratore dell’azienda di Ortezzano e l’impresario della ditta che costruiva la macchina su cui lavorava Andrea, hanno patteggiato una pena di otto mesi con la condizionale. «A loro neanche un giorno di carcere, a me un ergastolo», si sfoga Graziella.
Prevenzione zero
Lo Stato investe sempre meno in controlli e prevenzione e, a causa del blocco delle assunzioni, gli ispettori delle Asl sono passati da cinquemila nel 2008 a meno della metà. Inoltre quasi nessuna Regione raggiunge la quota del cinque per cento di spesa che per legge dovrebbe essere destinata alla prevenzione negli ambienti di vita e lavoro. In Lombardia, ad esempio, si spende circa il 3,7 per cento. Dopo il grave incidente alla Lamina di Milano, che ha provocato la morte per asfissia di quattro persone, l’allora governatore Roberto Maroni ha annunciato lo stanziamento una tantum di sette milioni per incrementare l’attività di prevenzione e vigilanza delle Asl, «una modesta cifra rispetto a quella che avrebbe dovuto essere impegnata per rispettare il coefficiente del cinque per cento della spesa sanitaria. Tanto più esigua se si considera che per legge i soldi delle sanzioni, provenienti dall’attività ispettiva, dovrebbero essere reinvestiti in attività di prevenzione nei luoghi di lavoro, cosa che in Lombardia non succede», dice Susanna Cantoni, medico, già responsabile del dipartimento sicurezza sul lavoro nella Asl di Milano e oggi presidente del Ciip, la Consulta italiana per la prevenzione.
Se la formazione è finta
Sempre Cantoni ha avviato una vera battaglia contro i finti corsi di formazione: «Le norme ci sono, ma purtroppo la sicurezza dei lavoratori, la prevenzione, il rispetto delle norme vengono visti come un orpello cui dedicare il minimo possibile di attenzione, tempo e risorse, assolvendo solo formalmente agli obblighi di legge per essere a posto in caso di ispezione». Cantoni racconta che l’Asl di Milano ha segnalato alla Procura una decina di società indagate per contraffazione, truffa e associazione a delinquere. Succede perché il business della formazione fa gola a molti: nella sola Lombardia vale quasi un miliardo e mezzo di euro se si considera che ci sono 4 milioni di dipendenti che devono fare corsi formativi del costo di 400 euro lordi a testa. Però l’imprenditore può risparmiare scegliendo un corso fittizio: «Ci sono società che, con la complicità di un ente paritetico (cioè di un sindacato o di un’associazione dei datori di lavoro), falsificano gli attestati di formazione e addirittura non svolgono neppure i corsi, ma si limitano a rilasciare dei patentini contraffatti», sostiene Cantoni. Il rischio per l’imprenditore è una semplice multa, «ma i dipendenti rischiano la vita. Perché quei finti corsi, alle volte mai fatti, altre volte realizzati online, interessano anche attività di cantiere, come il montaggio dei ponteggi e delle impalcature», spiega il presidente della Consulta. Conferma il presidente degli edili della Confartigianato lombarda, Virgilio Fagioli: «Anche noi in associazione riceviamo segnalazioni da parte di imprenditori che ci fanno notare come alcuni colleghi prendano sotto gamba la formazione del personale, affidandosi a falsi formatori. È concorrenza sleale e un danno per l’intera categoria».
Dieci milioni di persone senza Inail
L’83 per cento degli incidenti si verifica in piccole e medie aziende, dove si investe meno sulla prevenzione. «Manca la cultura», Luca Nieri della Fim Cisl di Bergamo racconta che i piccoli imprenditori sono convinti di risparmiare rimandando la manutenzione sulle macchine: «Senza pensare che un infortunio equivale alla chiusura dell’azienda. Inoltre investire in innovazione significa facilitare la produzione e rendere la fabbrica e i processi più sicuri».
Colpa anche dei costi burocratici, che sottraggono risorse altrimenti utilizzabili per la formazione, come spiega Ferruccio Righetto della Confartigianato veneta che snocciola cifre: «Nel primo anno di attività un’azienda di 10 dipendenti, che fattura circa tre milioni di euro, deve accollarsi 14 mila euro di costi per le certificazioni sulla sicurezza previste per legge, negli anni successivi la spesa si assesta attorno ai 2.200 euro». In Veneto l’associazione degli artigiani si è alleata ai sindacati per creare corsi di formazione specifici, sostenendone anche i costi: «I risultati ci sono, gli incidenti stanno diminuendo», racconta Righetto. Un caso unico, perché nelle altre regioni d’Italia si continua a morire, qualche volta in silenzio, perché non sempre l’Inail, l’ente nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, tiene il conto. «Gli assicurati Inail sono quasi 16 milioni, le posizioni Inps indicano 23 milioni di occupati», spiega Sebastiano Calleri della Cgil, preoccupato per la piega che sta prendendo il fenomeno. E racconta che lo scarto comprende alcune categorie professionali che non versano contributi all’ente assicurativo, come i vigili del fuoco, le forze di polizia, i commercianti titolari, le partite Iva, parte dei lavoratori agricoli. E poi, ovviamente, nel conto non ci sono i lavoratori in nero e i precari. In tutto mancano all’appello 10 milioni di persone, che non vengono considerate. Poi c’è una novità, «una nuova moda», la definisce con asprezza Calleri della Cgil: «Consiste nel non denunciare gli infortuni avvenuti sul posto di lavoro». Il motivo? «Per non far aumentare i premi assicurativi che l’imprenditore deve pagare all’Inail», spiega il sindacalista. Si torna sempre lì, a quell’orpello, a quel costo in più, che è la sicurezza. Del resto, quanto può valere una vita umana? A Paola Armellini è stato offerto un risarcimento da 350 mila euro per la morte di Matteo. Ha rifiutato: «Nessuna cifra potrà ridarmi mio figlio».
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04 aprile 2018
Inchiesta
Lavoro, la strage silenziosa: ecco chi ci uccide
Gli infortuni mortali tornano ad aumentare. E crescono gli incidenti che non vengono neppure denunciati. Quali sono le cause. E i possibili rimedi
di Gloria Riva
04 aprile 2018
7
Qualcuno grida «Attenti!», ma il palco viene giù in una frazione di secondo. Matteo Armellini, trent’anni, muore sul colpo. Schiacciato. Doveva montare le luci per illuminare il concerto di Laura Pausini a Reggio Calabria. Era il 5 marzo del 2012 e i giornali non parlarono d’altro: uscire di casa per lavorare e non fare ritorno. Assurdo. Passò qualche giorno, la polvere dell’indignazione si sedimentò e restò soltanto Paola Armellini, la mamma, che oggi ha 76 anni e ancora cerca giustizia. Il processo va per le lunghe, cambia il giudice, cambiano i pm, si riparte daccapo. Risultato: dopo sei anni, ancora non si sa di chi sia la responsabilità per quel palco non in regola. «Alle ultime udienze si gioca a scarica barile fra committenti», racconta Paola.
A processo, sul banco degli imputati, ci sono sette impresari che in quel cantiere avevano un appalto, in subappalto da un altro subappalto, e così via fino a costruire una matassa impossibile da districare: «Lo fanno apposta. Così quando succedono disgrazie il responsabile non è nessuno. Ma deve venire fuori», Paola non demorde. Eppure s’avvicina la prescrizione: e allora Matteo potrebbe non avere giustizia. «Servirebbe un processo esemplare, severo, in tempi giusti. Perché nel frattempo le morti sul lavoro non si sono fermate», e neppure il diabolico sistema del subappalto. Al contrario, le disgrazie hanno ripreso a correre e non è una fatalità. L’Espresso racconta cosa sta succedendo nelle aziende italiane e perché.
Precari più a rischio
Nel 2017 hanno perso la vita - ufficialmente - in 1.115 (più 1,1 per cento sul 2016). Una mattanza. E il 2018 è iniziato nel peggiore dei modi: il 16 gennaio a Milano quattro operai sono morti per asfissia alla Lamina, una piccola azienda metalmeccanica. Due giorni dopo a Brescia, un ragazzo di 19 anni è rimasto incastrato con la manica del maglione nel tornio, è successo sotto agli occhi del padre, titolare dell’azienda.
Mentre tutti parlano dei robot pronti a soppiantare gli operai, si continua a morire in fabbrica. Perché il lavoro è diventato precario e sui precari non si fa formazione. Perché anche quando si fa, la formazione troppo spesso resta sulla carta e corsi veri non ci sono. Perché le aziende, dopo anni di crisi, hanno ricominciato a produrre su macchine e impianti vecchi e non hanno soldi da investire nella sicurezza. Perché gli ispettori sono pochi e la probabilità per un’impresa di essere controllata è infinitesimale.
L’effetto collaterale della ripresa
L’Espresso anticipa i risultati del rapporto annuale Anmil, l’associazione degli invalidi del lavoro, che lancia l’allarme sugli effetti collaterali della ripresa economica: il Pil, il prodotto interno lordo che misura la ricchezza del paese, è cresciuto dell’1,5 per cento nel 2017 e il numero di occupati ha superato 23 milioni di unità, soglia sorpassata solo nel 2008, «ma la manodopera è diventata precaria e quindi non adeguatamente formata», spiega Franco Bettoni, presidente dell’associazione, che aggiunge: «La crescita occupazionale, infatti, si è avuta sui lavoratori a termine, più 605 mila unità, a scapito del lavoro a tempo indeterminato, che cala di 117 mila. La formazione è l’unica arma per far arretrare le stragi in fabbrica, ma il mercato del lavoro è diventato instabile e quindi i giovani non vengono adeguatamente formati. Sono loro i più a rischio ed è per questo che la sicurezza dovrebbe essere insegnata nelle scuole».
vedi anche:
ponteggio-jpg
Sul ponteggio a 60 anni
La fascia più a rischio è quella dei senior, "allontanati dalla pensione
Poi c’è l’invecchiamento delle macchine, segnalato dall’Ucimu, l’associazione dei costruttori di macchinari, alla Camera dei Deputati nel 2016 con un report sull’età degli impianti installati nelle aziende italiane: «Il parco macchine è molto più vecchio di quello di dieci anni fa e l’età media è la più alta mai registrata da 40 anni a questa parte», avvertiva il report. In risposta il governo ha avviato un piano di incentivi per la sostituzione dei macchinari obsoleti, come Industry 4.0, mentre l’Inail ha messo sul piatto 250 milioni per la sostituzione di macchine e trattori agricoli, che sono causa di molti incidenti nei campi. Sembra che l’arma degli incentivi stia funzionando, perché l’Ucimu afferma che nel 2017 gli ordini di nuovi macchinari da parte degli imprenditori italiani sono aumentati del 46 per cento.
Due aziende su tre irregolari
A controllare 4,4 milioni di imprese italiane ci sono 3.500 persone, di cui 2.800 ispettori delle Asl, più 300 funzionari del ministero del Lavoro che intervengono per lo più nel settore edile, e altri 400 carabinieri. Il 97 per cento delle aziende ha quindi la ragionevole speranza di non essere mai visitata. Ecco perché per l’imprenditore è più importante riempire qualche modulo - per essere in ordine con la burocrazia -, anziché verificare la presenza di sistemi di protezione contro le cadute. Ed è più utile spendere un po’ di quattrini in formazione, magari da fare online o da falsificare, anziché organizzare veri corsi fra le catene di montaggio o nei cantieri. Perché non solo la probabilità di un controllo è remota, ma il sistema italiano di prevenzione è talmente frammentato da rendere complessa qualsiasi verifica: il ponteggio è collaudato dall’ispettore del lavoro, i montacarichi dall’Ispels, istituto per la prevenzione, mentre l’Asl si occupa della verifica dell’ascensore dell’ufficio e il ministero dello Sviluppo economico verifica la regolarità delle miniere, mentre le Regioni entrano in scena nel settore dell’industria estrattiva di seconda categoria. Poi ci sono i vigili del fuoco con l’occhio puntato sulle norme anti-incendio. Detto questo, gli esiti dei controlli sono sconfortanti: l’ispettorato del lavoro nel 2017 ha effettuato 190 mila controlli e due aziende su tre sono risultate irregolari.
Pochissimi i casi che vanno a processo
Quando in azienda qualcuno perde la vita o subisce lesioni gravi, cioè nel dieci per cento dei casi di infortunio, allora la procura apre un procedimento. Tuttavia si arriva a processo solo tra il 2 e il 3 per cento dei casi, spiega Beniamino Deidda, ex procuratore generale del Tribunale di Firenze, da sempre in prima linea nelle inchieste sulle morti bianche. Racconta Deidda che in molti casi la notizia di reato non viene neppure comunicata alle procure e che le indagini «dovrebbero essere svolte dalla polizia giudiziaria preposta, cioè dagli stessi ispettori delle Asl, che sono pochi e hanno già molti compiti da svolgere. C’è un’enorme sproporzione fra quello che lo Stato investe per combattere gli infortuni sul lavoro rispetto alla reale necessità. A questo si aggiunge l’assenza di cultura della sicurezza», dice Deidda.
Anche quando i processi arrivano a termine, non sempre offrono giustizia. Graziella Marota è la madre di Andrea Gagliardoni, un ragazzo di 23 anni, morto nel 2006 in un’azienda di Ortezzano. Lavorava su un macchinario che imprimeva l’inchiostro sui frontali degli elettrodomestici. Alle sei di mattina del 20 giugno Andrea ferma la macchina perché dava problemi e, per ripararla, infila parte del proprio corpo al di sotto della pressa. Proprio in quel momento la pressa, da sola, rientra in funzione. «Quel macchinario doveva avere tre sistemi di sicurezza, ma per velocizzare la procedura ne era stato installato solo uno», racconta Graziella. Dopo un processo durato anni, i due imputati, l’amministratore dell’azienda di Ortezzano e l’impresario della ditta che costruiva la macchina su cui lavorava Andrea, hanno patteggiato una pena di otto mesi con la condizionale. «A loro neanche un giorno di carcere, a me un ergastolo», si sfoga Graziella.
Prevenzione zero
Lo Stato investe sempre meno in controlli e prevenzione e, a causa del blocco delle assunzioni, gli ispettori delle Asl sono passati da cinquemila nel 2008 a meno della metà. Inoltre quasi nessuna Regione raggiunge la quota del cinque per cento di spesa che per legge dovrebbe essere destinata alla prevenzione negli ambienti di vita e lavoro. In Lombardia, ad esempio, si spende circa il 3,7 per cento. Dopo il grave incidente alla Lamina di Milano, che ha provocato la morte per asfissia di quattro persone, l’allora governatore Roberto Maroni ha annunciato lo stanziamento una tantum di sette milioni per incrementare l’attività di prevenzione e vigilanza delle Asl, «una modesta cifra rispetto a quella che avrebbe dovuto essere impegnata per rispettare il coefficiente del cinque per cento della spesa sanitaria. Tanto più esigua se si considera che per legge i soldi delle sanzioni, provenienti dall’attività ispettiva, dovrebbero essere reinvestiti in attività di prevenzione nei luoghi di lavoro, cosa che in Lombardia non succede», dice Susanna Cantoni, medico, già responsabile del dipartimento sicurezza sul lavoro nella Asl di Milano e oggi presidente del Ciip, la Consulta italiana per la prevenzione.
Se la formazione è finta
Sempre Cantoni ha avviato una vera battaglia contro i finti corsi di formazione: «Le norme ci sono, ma purtroppo la sicurezza dei lavoratori, la prevenzione, il rispetto delle norme vengono visti come un orpello cui dedicare il minimo possibile di attenzione, tempo e risorse, assolvendo solo formalmente agli obblighi di legge per essere a posto in caso di ispezione». Cantoni racconta che l’Asl di Milano ha segnalato alla Procura una decina di società indagate per contraffazione, truffa e associazione a delinquere. Succede perché il business della formazione fa gola a molti: nella sola Lombardia vale quasi un miliardo e mezzo di euro se si considera che ci sono 4 milioni di dipendenti che devono fare corsi formativi del costo di 400 euro lordi a testa. Però l’imprenditore può risparmiare scegliendo un corso fittizio: «Ci sono società che, con la complicità di un ente paritetico (cioè di un sindacato o di un’associazione dei datori di lavoro), falsificano gli attestati di formazione e addirittura non svolgono neppure i corsi, ma si limitano a rilasciare dei patentini contraffatti», sostiene Cantoni. Il rischio per l’imprenditore è una semplice multa, «ma i dipendenti rischiano la vita. Perché quei finti corsi, alle volte mai fatti, altre volte realizzati online, interessano anche attività di cantiere, come il montaggio dei ponteggi e delle impalcature», spiega il presidente della Consulta. Conferma il presidente degli edili della Confartigianato lombarda, Virgilio Fagioli: «Anche noi in associazione riceviamo segnalazioni da parte di imprenditori che ci fanno notare come alcuni colleghi prendano sotto gamba la formazione del personale, affidandosi a falsi formatori. È concorrenza sleale e un danno per l’intera categoria».
Dieci milioni di persone senza Inail
L’83 per cento degli incidenti si verifica in piccole e medie aziende, dove si investe meno sulla prevenzione. «Manca la cultura», Luca Nieri della Fim Cisl di Bergamo racconta che i piccoli imprenditori sono convinti di risparmiare rimandando la manutenzione sulle macchine: «Senza pensare che un infortunio equivale alla chiusura dell’azienda. Inoltre investire in innovazione significa facilitare la produzione e rendere la fabbrica e i processi più sicuri».
Colpa anche dei costi burocratici, che sottraggono risorse altrimenti utilizzabili per la formazione, come spiega Ferruccio Righetto della Confartigianato veneta che snocciola cifre: «Nel primo anno di attività un’azienda di 10 dipendenti, che fattura circa tre milioni di euro, deve accollarsi 14 mila euro di costi per le certificazioni sulla sicurezza previste per legge, negli anni successivi la spesa si assesta attorno ai 2.200 euro». In Veneto l’associazione degli artigiani si è alleata ai sindacati per creare corsi di formazione specifici, sostenendone anche i costi: «I risultati ci sono, gli incidenti stanno diminuendo», racconta Righetto. Un caso unico, perché nelle altre regioni d’Italia si continua a morire, qualche volta in silenzio, perché non sempre l’Inail, l’ente nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, tiene il conto. «Gli assicurati Inail sono quasi 16 milioni, le posizioni Inps indicano 23 milioni di occupati», spiega Sebastiano Calleri della Cgil, preoccupato per la piega che sta prendendo il fenomeno. E racconta che lo scarto comprende alcune categorie professionali che non versano contributi all’ente assicurativo, come i vigili del fuoco, le forze di polizia, i commercianti titolari, le partite Iva, parte dei lavoratori agricoli. E poi, ovviamente, nel conto non ci sono i lavoratori in nero e i precari. In tutto mancano all’appello 10 milioni di persone, che non vengono considerate. Poi c’è una novità, «una nuova moda», la definisce con asprezza Calleri della Cgil: «Consiste nel non denunciare gli infortuni avvenuti sul posto di lavoro». Il motivo? «Per non far aumentare i premi assicurativi che l’imprenditore deve pagare all’Inail», spiega il sindacalista. Si torna sempre lì, a quell’orpello, a quel costo in più, che è la sicurezza. Del resto, quanto può valere una vita umana? A Paola Armellini è stato offerto un risarcimento da 350 mila euro per la morte di Matteo. Ha rifiutato: «Nessuna cifra potrà ridarmi mio figlio».
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04 aprile 2018
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