Nazione Marcia
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Re: Nazione Marcia
Le donne ... sempre le donne che vent'anni di berlusconismo le hanno trasformate in oggetti.
Posso capire il mondo dello spettacolo, ma quello istituzionale della Magistratura mi sconvolge!!!
dal www.huffingtonpost.it
"Il pm delle Pari Opportunità mi spingeva a inviare foto intime a Bellomo"
Parla la borsista della scuola privata per magistrati del Consigliere di Stato Francesco Bellomo, accusato di vessazioni sessuali dalle allieve
13/12/2017 10:06 CET | Aggiornato 28 minuti fa
Avrebbe obbligato le allieve della sua scuola privata di formazione per magistrati a presentarsi ai corsi in minigonna, tacchi a spillo e trucco marcato, pretendendo anche che non fossero sposate. A pochi giorni dalla diffusione dello scandalo che ha travolto il giudice del Consiglio di Stato Francesco Bellomo, il Corriere della Sera diffonde la testimonianza di una borsista, che mette nei guai anche il suo consigliere, il pm delle Pari Opportunità Davide Nalin.
"Ricordo una volta che Bellomo si è arrabbiato perché ho indugiato a inviargli una foto mia intima. Non era la prima volta che me la chiedeva. Gliene avevo inviate già altre. Subito dopo è intervenuto Nalin chiedendomi notizie del perché non volessi rispettare i patti con il consigliere".
Nalin, in particolare, aveva assunto il ruolo di mediatore nella relazione tra la ragazza e Bellomo, che con lei ha avuto una relazione basata sulla soggezione psicologica.
"Quando il nostro rapporto attraversava momenti critici, [Nalin] interveniva analizzando pacatamente le mie reazioni". Per lei non è un sostegno, ma un obbligo: "Quando mi è stato detto che avrei dovuto parlare di cose intime con Nalin ho provato un forte imbarazzo". Non accade una volta sola, ma "ogni volta che c'era un dissidio con il consigliere subito interveniva Nalin".
La borsista, del resto, veniva minacciata dal pm delle Pari Opportunità anche da un punto di vista legale.
"Aspiravo a superare il concorso in magistratura e non volevo la denuncia", dice la ragazza quando racconta perché rimane "terrorizzata" dall'arrivo dei carabinieri che, su pressione di Bellomo, le notificano l'avviso di conciliazione. Nalin fa leva su quel timore. Quando "alla richiesta di Bellomo di definire i giorni in cui trascorrere insieme le ferie, ho esitato perché sapevo che per ogni impegno preso con lui era derogabile solo per cause di impossibilità assoluta", riferisce, comincia "a contestarmi il reato di truffa" e a "spiegarmi che si trattava di un medesimo disegno criminoso".
Posso capire il mondo dello spettacolo, ma quello istituzionale della Magistratura mi sconvolge!!!
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"Il pm delle Pari Opportunità mi spingeva a inviare foto intime a Bellomo"
Parla la borsista della scuola privata per magistrati del Consigliere di Stato Francesco Bellomo, accusato di vessazioni sessuali dalle allieve
13/12/2017 10:06 CET | Aggiornato 28 minuti fa
Avrebbe obbligato le allieve della sua scuola privata di formazione per magistrati a presentarsi ai corsi in minigonna, tacchi a spillo e trucco marcato, pretendendo anche che non fossero sposate. A pochi giorni dalla diffusione dello scandalo che ha travolto il giudice del Consiglio di Stato Francesco Bellomo, il Corriere della Sera diffonde la testimonianza di una borsista, che mette nei guai anche il suo consigliere, il pm delle Pari Opportunità Davide Nalin.
"Ricordo una volta che Bellomo si è arrabbiato perché ho indugiato a inviargli una foto mia intima. Non era la prima volta che me la chiedeva. Gliene avevo inviate già altre. Subito dopo è intervenuto Nalin chiedendomi notizie del perché non volessi rispettare i patti con il consigliere".
Nalin, in particolare, aveva assunto il ruolo di mediatore nella relazione tra la ragazza e Bellomo, che con lei ha avuto una relazione basata sulla soggezione psicologica.
"Quando il nostro rapporto attraversava momenti critici, [Nalin] interveniva analizzando pacatamente le mie reazioni". Per lei non è un sostegno, ma un obbligo: "Quando mi è stato detto che avrei dovuto parlare di cose intime con Nalin ho provato un forte imbarazzo". Non accade una volta sola, ma "ogni volta che c'era un dissidio con il consigliere subito interveniva Nalin".
La borsista, del resto, veniva minacciata dal pm delle Pari Opportunità anche da un punto di vista legale.
"Aspiravo a superare il concorso in magistratura e non volevo la denuncia", dice la ragazza quando racconta perché rimane "terrorizzata" dall'arrivo dei carabinieri che, su pressione di Bellomo, le notificano l'avviso di conciliazione. Nalin fa leva su quel timore. Quando "alla richiesta di Bellomo di definire i giorni in cui trascorrere insieme le ferie, ho esitato perché sapevo che per ogni impegno preso con lui era derogabile solo per cause di impossibilità assoluta", riferisce, comincia "a contestarmi il reato di truffa" e a "spiegarmi che si trattava di un medesimo disegno criminoso".
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Re: Nazione Marcia
Ho perso le parole ...
da http://www.repubblica.it
Catania, l'"ambulanza della morte": uccise malati nel trasporto per "venderli" alle pompe funebri
Agli anziani veniva iniettata l'aria in vena. Accertati tre casi: indagini su altri 50. Arrestato un barelliere di 42 anni legato alla mafia. Ogni decesso rendeva 300 euro. L'inchiesta dopo le rivelazioni di un pentito a "Le Iene"
di NATALE BRUNO
21 dicembre 2017
Avrebbe iniettato dell'aria in vena ad almeno tre persone anziane e malate per poi vendere ai familiari i servizi di onoranze funebri a pagamento. Così "la gente non moriva per mano di Dio", ma per "guadagnare 300 euro, invece di 30 o 50". Grazie alle dichiarazioni di un pentito al programma tv "Le Iene", stamattina i carabinieri di Catania hanno arrestato un uomo di 42 anni, il barelliere Davide Garofalo, accusato di omicidio volontario. Un reato che gli viene contestato con l'aggravante di avere agevolato gli interessi di Cosa nostra. Le vittime sono una donna e un uomo molto anziani e un 55enne deceduto nel 2015. Nell'inchiesta ci sono altre due barellieri indagati per altri episodi simili, a cui sono contestati gli stessi reati avvenuti su altre ambulanze. La procura non ha voluto precisare la loro attuale posizione. Le indagini riguardano oltre 50 casi: secondo i carabinieri una decina di decessi ha "una maggiore pregnanza".
L'indagine era in corso da poco meno di un anno. In tv, un pentito aveva ricostruito il caso: secondo il collaboratore di giustizia, le morti avvenivano durante il trasporto dall'ospedale di Biancavilla a casa dei pazienti, dimessi perché in fin di vita. I casi sarebbero iniziati nel 2012, all'insaputa dei vertici dell'ospedale e dei medici. I carabinieri hanno acquisito anche le cartelle cliniche delle vittime.
Appunto: "La gente non moriva per mano di Dio". Secondo il collaboratore di giustizia, quando il malato terminale tornava a casa, "siccome era in agonia e sarebbe deceduto lo stesso, gli iniettavano dell'aria con l'agocannula nel sangue, e il malato moriva per embolia". In questo modo i familiari non se ne accorgevano, e approfittando del momento di grande dolore veniva proposto l'intervento di un'agenzia di onoranze funebri. Poi, secondo il testimone, "gli facevano un regalino": 300 euro a salma appunto per la "vestizione del defunto". Il pentito sostiene che "erano i boss a mettere gli uomini sull'ambulanza" e che i "soldi andavano all'organizzazione".
Così in questa storia entra anche Cosa nostra. Le "ambulanze della morte", secondo l'accusa, agivano infatti negli interessi del clan Mazzaglia-Toscano-Tomasello e del clan Santangelo di Adrano. L’indagine è infatti una prosecuzione dell'inchiesta della procura di Catania e dei carabinieri di Paternò sul clan mafioso di Biancavilla, una propaggine della famiglia catanese Santapaola-Ercolano scardinata esattamente un anno fa con le operazioni "Onda d'urto" e "Reset". "I testimoni - sostiene il procuratore aggiunto Francesco Puleio, che ha condotto le indagini con il procuratore Carmelo Zuccaro e il sostituto Andrea Bonomo - hanno visto molte delle persone coinvolte erano in carcere e hanno avuto meno paura".
da http://www.repubblica.it
Catania, l'"ambulanza della morte": uccise malati nel trasporto per "venderli" alle pompe funebri
Agli anziani veniva iniettata l'aria in vena. Accertati tre casi: indagini su altri 50. Arrestato un barelliere di 42 anni legato alla mafia. Ogni decesso rendeva 300 euro. L'inchiesta dopo le rivelazioni di un pentito a "Le Iene"
di NATALE BRUNO
21 dicembre 2017
Avrebbe iniettato dell'aria in vena ad almeno tre persone anziane e malate per poi vendere ai familiari i servizi di onoranze funebri a pagamento. Così "la gente non moriva per mano di Dio", ma per "guadagnare 300 euro, invece di 30 o 50". Grazie alle dichiarazioni di un pentito al programma tv "Le Iene", stamattina i carabinieri di Catania hanno arrestato un uomo di 42 anni, il barelliere Davide Garofalo, accusato di omicidio volontario. Un reato che gli viene contestato con l'aggravante di avere agevolato gli interessi di Cosa nostra. Le vittime sono una donna e un uomo molto anziani e un 55enne deceduto nel 2015. Nell'inchiesta ci sono altre due barellieri indagati per altri episodi simili, a cui sono contestati gli stessi reati avvenuti su altre ambulanze. La procura non ha voluto precisare la loro attuale posizione. Le indagini riguardano oltre 50 casi: secondo i carabinieri una decina di decessi ha "una maggiore pregnanza".
L'indagine era in corso da poco meno di un anno. In tv, un pentito aveva ricostruito il caso: secondo il collaboratore di giustizia, le morti avvenivano durante il trasporto dall'ospedale di Biancavilla a casa dei pazienti, dimessi perché in fin di vita. I casi sarebbero iniziati nel 2012, all'insaputa dei vertici dell'ospedale e dei medici. I carabinieri hanno acquisito anche le cartelle cliniche delle vittime.
Appunto: "La gente non moriva per mano di Dio". Secondo il collaboratore di giustizia, quando il malato terminale tornava a casa, "siccome era in agonia e sarebbe deceduto lo stesso, gli iniettavano dell'aria con l'agocannula nel sangue, e il malato moriva per embolia". In questo modo i familiari non se ne accorgevano, e approfittando del momento di grande dolore veniva proposto l'intervento di un'agenzia di onoranze funebri. Poi, secondo il testimone, "gli facevano un regalino": 300 euro a salma appunto per la "vestizione del defunto". Il pentito sostiene che "erano i boss a mettere gli uomini sull'ambulanza" e che i "soldi andavano all'organizzazione".
Così in questa storia entra anche Cosa nostra. Le "ambulanze della morte", secondo l'accusa, agivano infatti negli interessi del clan Mazzaglia-Toscano-Tomasello e del clan Santangelo di Adrano. L’indagine è infatti una prosecuzione dell'inchiesta della procura di Catania e dei carabinieri di Paternò sul clan mafioso di Biancavilla, una propaggine della famiglia catanese Santapaola-Ercolano scardinata esattamente un anno fa con le operazioni "Onda d'urto" e "Reset". "I testimoni - sostiene il procuratore aggiunto Francesco Puleio, che ha condotto le indagini con il procuratore Carmelo Zuccaro e il sostituto Andrea Bonomo - hanno visto molte delle persone coinvolte erano in carcere e hanno avuto meno paura".
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Re: Nazione Marcia
Ancora marciume ... ormai non ci facciamo più caso
da www.ilfattoquotidiano.it
Corruzione, 15 arresti: ci sono il pm Longo, l’avvocato di Eni Amara e Bigotti, imprenditore del caso Consip
Una rosa di nomi eccellenti e frequentatori assidui delle cronache giudiziarie, quelli finiti nell'inchiesta delle Procure di Roma e Messina, protagonisti di due associazioni a delinquere. Spicca il suolo dell'ex pubblico ministero di Siracusa, il quale in cambio di soldi e vacanze avrebbe aperto procedimenti giudiziari fittizi per venire a conoscenza del contenuto di indagini di altri colleghi e di tentare di inquinare importanti inchieste
di F. Q. | 6 febbraio 2018
Quindici arresti. Una rosa di nomi eccellenti e frequentatori assidui delle cronache giudiziarie, quelli finiti nel mirino di un’operazione messa a segno dalla Guardia di Finanza su ordine delle Procure di Roma e Messina, protagonisti di due associazioni a delinquere dedite alla frode fiscale, reati contro la P.A. e corruzione in atti giudiziari.
Ci sono Giancarlo Longo, ex pm della Procura di Siracusa, l’avvocato Piero Amara (legale di Eni) e gli imprenditori Fabrizio Centofanti e Enzo Bigotti, e il docente della Sapienza Vincenzo Naso. I nomi di Amara e Bigotti erano emersi negli atti dell’inchiesta sul caso Consip. Quello di Centofanti, invece, era legato all’inchiesta su Maurizio Venafro, l’ex capo di gabinetto del governatore Nicola Zingaretti, poi assolto in uno dei vari stralci del processo Mafia Capitale. Nell’inchiesta risulta indagato anche l’ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio (oggi in pensione). Nei suoi confronti si contesta il reato di corruzione in atti giudiziari in concorso con l’avvocato Piero Amara e Giuseppe Calafiore. Nei confronti di Virgilio era stata chiesta una misura “non detentiva” ma è stata respinta dal gip per assenza di ragioni cautelari.
“Le indagini hanno preso le mosse da distinti input investigativi, convergendo sull’operatività dei due sodalizi criminali, (individuati dagli inquirenti come “mondo Centofanti” e “mondo Amara“, ndr) consentendo altresì la ricostruzione di ipotesi di bancarotta fraudolenta da parte di soggetti non riconducibili alla struttura delle organizzazioni”, ricostruiscono gli inquirenti. Nelle carte dell’inchiesta i pm tratteggiano il ruolo del giudice Longo, il quale “in qualità di pubblico ufficiale svendeva la propria funzione” e “ha dimostrato di possedere una personalità incline al delitto, perpetrato attraverso la strumentalizzazione non solo della funzione ricoperta, ma anche dei rapporti personali e professionali”.
In particolare, nella sua veste di pubblico ministero a Siracusa – prima di essere trasferito su sua richiesta al Tribunale civile di Napoli – Longo avrebbe messo a disposizione la sua funzione giudiziale per aiutare i clienti di Amara e Calafiore, dai quali avrebbe intascato 88mila euro, vacanze offerte con la famiglia a Dubai e un capodanno al Grand Hotel Vanvitelli di Caserta. In cambio dei quali si era messo a loro servizio “a partire dal 2013 e sino ai primi mesi del 2017“. Una “mercificazione della funzione giudiziaria” nell’ambito della quale Longo avrebbe aperto procedimenti giudiziari fittizi allo scopo di venire a conoscenza del contenuto di indagini di altri colleghi e di tentare di inquinare importanti inchieste. Tra queste l’indagine aperta presso la Procura di Milano in cui figurava tra gli indagati l’ad di Eni Claudio Descalzi, rinviato a giudizio per una tangente da 1,3 miliardi per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero in Nigeria.
I metodi usati da Longo erano tre: creazione di fascicoli “specchio”, che il magistrato “si auto-assegnava – spiegano i pm che hanno condotto l’inchiesta – al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi (e di potenziale interesse per alcuni clienti rilevanti degli avvocati Calafiore e Amara), legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti; fascicoli “minaccia”, in cui “finivano per essere iscritti – con chiara finalità concussiva – soggetti ‘ostili’ agli interessi di alcuni clienti di Calafiore; e fascicoli “sponda”, che venivano tenuti in vita “al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara”.
“La gravità delle condotte da lui poste in essere in qualità di pubblico ufficiale che – prosegue l’ordinanza riguardo a Longo – concorreva alla redazione di atti pubblici ideologicamente falsi, si faceva corruttore di altri pubblici ufficiali, con piena accettazione da parte degli stessi, che venivano per giunta da lui remunerati con soldi pubblici, intratteneva una rete di rapporti dall’origine oscura e privi di apparente ragion di essere oltre che, in certi casi, contraria ai più elementari principi di opportunità, depone nel senso della assoluta insufficienza a contenere il pericolo di reiterazioni criminosa attraverso misure diverse e meno afflittive della custodia cautelare in carcere”.
L’inchiesta coinvolge anche un noto giornalista siracusano, Giuseppe Guastella, finito ai domiciliari. Secondo l’accusa, in cambio di soldi, ricevuti da Amara, che è anche legale esterno dell’Eni, Guastella avrebbe divulgato sul “Diario” “reiterate affermazioni di natura diffamatoria in danno dei magistrati Marco Bisogni e Tommaso Pagano, incaricati di valutare i fascicoli iscritti nei confronti di clienti degli avvocati Amara e Calafiore”, scrive, nel capo d’imputazione, la Procura di Messina che ha condotto l’indagine.
L’inchiesta è nata da una denuncia firmata da otto pubblici ministeri di Siracusa, colleghi di Longo. Un esposto del 24 settembre del 2016 denunciava il sospetto di rapporti illeciti tra l’ex pm, nel frattempo trasferito al tribunale civile di Napoli, e Calafiore e Amara. Rapporti, che, scrivevano i magistrati, sarebbero stati una sorta di “prosecuzione sottotraccia” delle relazioni illegali che un altro pm siracusano aveva con i due difensori. Si tratta di Maurizio Musco, che è stato condannato con sentenza definitiva per abuso d’ufficio insieme all’allora capo della Procura Ugo Rossi.
La società di consulenza di Amara e Calafiore, ha rapporti economici, tra l’altro, con gli imprenditori siracusani del “gruppo Frontino”, che sarebbero, secondo l’accusa, tra i soggetti avvantaggiati da Longo.
da www.ilfattoquotidiano.it
Corruzione, 15 arresti: ci sono il pm Longo, l’avvocato di Eni Amara e Bigotti, imprenditore del caso Consip
Una rosa di nomi eccellenti e frequentatori assidui delle cronache giudiziarie, quelli finiti nell'inchiesta delle Procure di Roma e Messina, protagonisti di due associazioni a delinquere. Spicca il suolo dell'ex pubblico ministero di Siracusa, il quale in cambio di soldi e vacanze avrebbe aperto procedimenti giudiziari fittizi per venire a conoscenza del contenuto di indagini di altri colleghi e di tentare di inquinare importanti inchieste
di F. Q. | 6 febbraio 2018
Quindici arresti. Una rosa di nomi eccellenti e frequentatori assidui delle cronache giudiziarie, quelli finiti nel mirino di un’operazione messa a segno dalla Guardia di Finanza su ordine delle Procure di Roma e Messina, protagonisti di due associazioni a delinquere dedite alla frode fiscale, reati contro la P.A. e corruzione in atti giudiziari.
Ci sono Giancarlo Longo, ex pm della Procura di Siracusa, l’avvocato Piero Amara (legale di Eni) e gli imprenditori Fabrizio Centofanti e Enzo Bigotti, e il docente della Sapienza Vincenzo Naso. I nomi di Amara e Bigotti erano emersi negli atti dell’inchiesta sul caso Consip. Quello di Centofanti, invece, era legato all’inchiesta su Maurizio Venafro, l’ex capo di gabinetto del governatore Nicola Zingaretti, poi assolto in uno dei vari stralci del processo Mafia Capitale. Nell’inchiesta risulta indagato anche l’ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio (oggi in pensione). Nei suoi confronti si contesta il reato di corruzione in atti giudiziari in concorso con l’avvocato Piero Amara e Giuseppe Calafiore. Nei confronti di Virgilio era stata chiesta una misura “non detentiva” ma è stata respinta dal gip per assenza di ragioni cautelari.
“Le indagini hanno preso le mosse da distinti input investigativi, convergendo sull’operatività dei due sodalizi criminali, (individuati dagli inquirenti come “mondo Centofanti” e “mondo Amara“, ndr) consentendo altresì la ricostruzione di ipotesi di bancarotta fraudolenta da parte di soggetti non riconducibili alla struttura delle organizzazioni”, ricostruiscono gli inquirenti. Nelle carte dell’inchiesta i pm tratteggiano il ruolo del giudice Longo, il quale “in qualità di pubblico ufficiale svendeva la propria funzione” e “ha dimostrato di possedere una personalità incline al delitto, perpetrato attraverso la strumentalizzazione non solo della funzione ricoperta, ma anche dei rapporti personali e professionali”.
In particolare, nella sua veste di pubblico ministero a Siracusa – prima di essere trasferito su sua richiesta al Tribunale civile di Napoli – Longo avrebbe messo a disposizione la sua funzione giudiziale per aiutare i clienti di Amara e Calafiore, dai quali avrebbe intascato 88mila euro, vacanze offerte con la famiglia a Dubai e un capodanno al Grand Hotel Vanvitelli di Caserta. In cambio dei quali si era messo a loro servizio “a partire dal 2013 e sino ai primi mesi del 2017“. Una “mercificazione della funzione giudiziaria” nell’ambito della quale Longo avrebbe aperto procedimenti giudiziari fittizi allo scopo di venire a conoscenza del contenuto di indagini di altri colleghi e di tentare di inquinare importanti inchieste. Tra queste l’indagine aperta presso la Procura di Milano in cui figurava tra gli indagati l’ad di Eni Claudio Descalzi, rinviato a giudizio per una tangente da 1,3 miliardi per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero in Nigeria.
I metodi usati da Longo erano tre: creazione di fascicoli “specchio”, che il magistrato “si auto-assegnava – spiegano i pm che hanno condotto l’inchiesta – al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi (e di potenziale interesse per alcuni clienti rilevanti degli avvocati Calafiore e Amara), legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti; fascicoli “minaccia”, in cui “finivano per essere iscritti – con chiara finalità concussiva – soggetti ‘ostili’ agli interessi di alcuni clienti di Calafiore; e fascicoli “sponda”, che venivano tenuti in vita “al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara”.
“La gravità delle condotte da lui poste in essere in qualità di pubblico ufficiale che – prosegue l’ordinanza riguardo a Longo – concorreva alla redazione di atti pubblici ideologicamente falsi, si faceva corruttore di altri pubblici ufficiali, con piena accettazione da parte degli stessi, che venivano per giunta da lui remunerati con soldi pubblici, intratteneva una rete di rapporti dall’origine oscura e privi di apparente ragion di essere oltre che, in certi casi, contraria ai più elementari principi di opportunità, depone nel senso della assoluta insufficienza a contenere il pericolo di reiterazioni criminosa attraverso misure diverse e meno afflittive della custodia cautelare in carcere”.
L’inchiesta coinvolge anche un noto giornalista siracusano, Giuseppe Guastella, finito ai domiciliari. Secondo l’accusa, in cambio di soldi, ricevuti da Amara, che è anche legale esterno dell’Eni, Guastella avrebbe divulgato sul “Diario” “reiterate affermazioni di natura diffamatoria in danno dei magistrati Marco Bisogni e Tommaso Pagano, incaricati di valutare i fascicoli iscritti nei confronti di clienti degli avvocati Amara e Calafiore”, scrive, nel capo d’imputazione, la Procura di Messina che ha condotto l’indagine.
L’inchiesta è nata da una denuncia firmata da otto pubblici ministeri di Siracusa, colleghi di Longo. Un esposto del 24 settembre del 2016 denunciava il sospetto di rapporti illeciti tra l’ex pm, nel frattempo trasferito al tribunale civile di Napoli, e Calafiore e Amara. Rapporti, che, scrivevano i magistrati, sarebbero stati una sorta di “prosecuzione sottotraccia” delle relazioni illegali che un altro pm siracusano aveva con i due difensori. Si tratta di Maurizio Musco, che è stato condannato con sentenza definitiva per abuso d’ufficio insieme all’allora capo della Procura Ugo Rossi.
La società di consulenza di Amara e Calafiore, ha rapporti economici, tra l’altro, con gli imprenditori siracusani del “gruppo Frontino”, che sarebbero, secondo l’accusa, tra i soggetti avvantaggiati da Longo.
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Re: Nazione Marcia
lucfig ha scritto:Ancora marciume ... ormai non ci facciamo più caso
da http://www.ilfattoquotidiano.it
Corruzione, 15 arresti: ci sono il pm Longo, l’avvocato di Eni Amara e Bigotti, imprenditore del caso Consip
Una rosa di nomi eccellenti e frequentatori assidui delle cronache giudiziarie, quelli finiti nell'inchiesta delle Procure di Roma e Messina, protagonisti di due associazioni a delinquere. Spicca il suolo dell'ex pubblico ministero di Siracusa, il quale in cambio di soldi e vacanze avrebbe aperto procedimenti giudiziari fittizi per venire a conoscenza del contenuto di indagini di altri colleghi e di tentare di inquinare importanti inchieste
di F. Q. | 6 febbraio 2018
Quindici arresti. Una rosa di nomi eccellenti e frequentatori assidui delle cronache giudiziarie, quelli finiti nel mirino di un’operazione messa a segno dalla Guardia di Finanza su ordine delle Procure di Roma e Messina, protagonisti di due associazioni a delinquere dedite alla frode fiscale, reati contro la P.A. e corruzione in atti giudiziari.
Ci sono Giancarlo Longo, ex pm della Procura di Siracusa, l’avvocato Piero Amara (legale di Eni) e gli imprenditori Fabrizio Centofanti e Enzo Bigotti, e il docente della Sapienza Vincenzo Naso. I nomi di Amara e Bigotti erano emersi negli atti dell’inchiesta sul caso Consip. Quello di Centofanti, invece, era legato all’inchiesta su Maurizio Venafro, l’ex capo di gabinetto del governatore Nicola Zingaretti, poi assolto in uno dei vari stralci del processo Mafia Capitale. Nell’inchiesta risulta indagato anche l’ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio (oggi in pensione). Nei suoi confronti si contesta il reato di corruzione in atti giudiziari in concorso con l’avvocato Piero Amara e Giuseppe Calafiore. Nei confronti di Virgilio era stata chiesta una misura “non detentiva” ma è stata respinta dal gip per assenza di ragioni cautelari.
“Le indagini hanno preso le mosse da distinti input investigativi, convergendo sull’operatività dei due sodalizi criminali, (individuati dagli inquirenti come “mondo Centofanti” e “mondo Amara“, ndr) consentendo altresì la ricostruzione di ipotesi di bancarotta fraudolenta da parte di soggetti non riconducibili alla struttura delle organizzazioni”, ricostruiscono gli inquirenti. Nelle carte dell’inchiesta i pm tratteggiano il ruolo del giudice Longo, il quale “in qualità di pubblico ufficiale svendeva la propria funzione” e “ha dimostrato di possedere una personalità incline al delitto, perpetrato attraverso la strumentalizzazione non solo della funzione ricoperta, ma anche dei rapporti personali e professionali”.
In particolare, nella sua veste di pubblico ministero a Siracusa – prima di essere trasferito su sua richiesta al Tribunale civile di Napoli – Longo avrebbe messo a disposizione la sua funzione giudiziale per aiutare i clienti di Amara e Calafiore, dai quali avrebbe intascato 88mila euro, vacanze offerte con la famiglia a Dubai e un capodanno al Grand Hotel Vanvitelli di Caserta. In cambio dei quali si era messo a loro servizio “a partire dal 2013 e sino ai primi mesi del 2017“. Una “mercificazione della funzione giudiziaria” nell’ambito della quale Longo avrebbe aperto procedimenti giudiziari fittizi allo scopo di venire a conoscenza del contenuto di indagini di altri colleghi e di tentare di inquinare importanti inchieste. Tra queste l’indagine aperta presso la Procura di Milano in cui figurava tra gli indagati l’ad di Eni Claudio Descalzi, rinviato a giudizio per una tangente da 1,3 miliardi per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero in Nigeria.
I metodi usati da Longo erano tre: creazione di fascicoli “specchio”, che il magistrato “si auto-assegnava – spiegano i pm che hanno condotto l’inchiesta – al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi (e di potenziale interesse per alcuni clienti rilevanti degli avvocati Calafiore e Amara), legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti; fascicoli “minaccia”, in cui “finivano per essere iscritti – con chiara finalità concussiva – soggetti ‘ostili’ agli interessi di alcuni clienti di Calafiore; e fascicoli “sponda”, che venivano tenuti in vita “al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara”.
“La gravità delle condotte da lui poste in essere in qualità di pubblico ufficiale che – prosegue l’ordinanza riguardo a Longo – concorreva alla redazione di atti pubblici ideologicamente falsi, si faceva corruttore di altri pubblici ufficiali, con piena accettazione da parte degli stessi, che venivano per giunta da lui remunerati con soldi pubblici, intratteneva una rete di rapporti dall’origine oscura e privi di apparente ragion di essere oltre che, in certi casi, contraria ai più elementari principi di opportunità, depone nel senso della assoluta insufficienza a contenere il pericolo di reiterazioni criminosa attraverso misure diverse e meno afflittive della custodia cautelare in carcere”.
L’inchiesta coinvolge anche un noto giornalista siracusano, Giuseppe Guastella, finito ai domiciliari. Secondo l’accusa, in cambio di soldi, ricevuti da Amara, che è anche legale esterno dell’Eni, Guastella avrebbe divulgato sul “Diario” “reiterate affermazioni di natura diffamatoria in danno dei magistrati Marco Bisogni e Tommaso Pagano, incaricati di valutare i fascicoli iscritti nei confronti di clienti degli avvocati Amara e Calafiore”, scrive, nel capo d’imputazione, la Procura di Messina che ha condotto l’indagine.
L’inchiesta è nata da una denuncia firmata da otto pubblici ministeri di Siracusa, colleghi di Longo. Un esposto del 24 settembre del 2016 denunciava il sospetto di rapporti illeciti tra l’ex pm, nel frattempo trasferito al tribunale civile di Napoli, e Calafiore e Amara. Rapporti, che, scrivevano i magistrati, sarebbero stati una sorta di “prosecuzione sottotraccia” delle relazioni illegali che un altro pm siracusano aveva con i due difensori. Si tratta di Maurizio Musco, che è stato condannato con sentenza definitiva per abuso d’ufficio insieme all’allora capo della Procura Ugo Rossi.
La società di consulenza di Amara e Calafiore, ha rapporti economici, tra l’altro, con gli imprenditori siracusani del “gruppo Frontino”, che sarebbero, secondo l’accusa, tra i soggetti avvantaggiati da Longo.
Ancora marciume ... ormai non ci facciamo più caso
La situazione è questa.
Ma il Paese si chiede. Come si ripristina un minimo di legalità???????
Non che 50 anni fa eravamo nell'optimun. Anche allora il marcio funzionava egregiamente. Ma certamente non eravamo a questi livelli di cancro senza ritorno.
Come se ne esce???????????????????????????????????????????????????????????????'
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Re: Nazione Marcia
RIPETO LA DOMANDA:
COME SI RIPRISTINA UN MINIMO DI LEGALITÀ
Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano di oggi:
LA RETATA Arrestato un pm e l'avvocato del gruppo, perseguito il top manager
Caso Eni, la Cupola comprava
sentenze e depistava indagini
Tre procure smontano
la rete che ha provato a
fermare l'inchiesta contro
l'ad Descalzi per corruzio-
ne. A Roma sentenze del
Consiglio di Stato truccate
sugli appalti Consip.
BARBACETTO, FELTRI, LILLO
MASSARI,MELETTI E PACELLI
A PAG 2-4
ROMA
[size=150]L'inchiesta Ai domiciliari il manager Bigotti, vicino a Verdini
Magistrati e avvocati accusati di corruzione in atti giudiziari[/size]
Mercato delle sentenze
al Consiglio di Stato
COME SI RIPRISTINA UN MINIMO DI LEGALITÀ
Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano di oggi:
LA RETATA Arrestato un pm e l'avvocato del gruppo, perseguito il top manager
Caso Eni, la Cupola comprava
sentenze e depistava indagini
Tre procure smontano
la rete che ha provato a
fermare l'inchiesta contro
l'ad Descalzi per corruzio-
ne. A Roma sentenze del
Consiglio di Stato truccate
sugli appalti Consip.
BARBACETTO, FELTRI, LILLO
MASSARI,MELETTI E PACELLI
A PAG 2-4
ROMA
[size=150]L'inchiesta Ai domiciliari il manager Bigotti, vicino a Verdini
Magistrati e avvocati accusati di corruzione in atti giudiziari[/size]
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Re: Nazione Marcia
UncleTom ha scritto:RIPETO LA DOMANDA:
COME SI RIPRISTINA UN MINIMO DI LEGALITÀ
Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano di oggi:
LA RETATA Arrestato un pm e l'avvocato del gruppo, perseguito il top manager
Caso Eni, la Cupola comprava
sentenze e depistava indagini
Tre procure smontano
la rete che ha provato a
fermare l'inchiesta contro
l'ad Descalzi per corruzio-
ne. A Roma sentenze del
Consiglio di Stato truccate
sugli appalti Consip.
BARBACETTO, FELTRI, LILLO
MASSARI,MELETTI E PACELLI
A PAG 2-4
ROMA
[size=150]L'inchiesta Ai domiciliari il manager Bigotti, vicino a Verdini
Magistrati e avvocati accusati di corruzione in atti giudiziari[/size]
Mercato delle sentenze
al Consiglio di Stato
Sul Bufaliere e sul vice Bufaliere questa notizia non è riportata.
Il Bufaliere preferisce aprire con:
FOLLIE GIUDIZIARIE
Stai a vedere che alla fine
il Nigeriano la fa franca
Ha fatto a pezzi Pamela ma per i giudici non l'ha uccisa
Così il pusher rischia di non fare nemmeno un giorno di galera
Ma Dell'Utri resta in carcere malato di tumore
Il Sole 24 ore mette la notizia in settima pagina in formato ridotto.
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Re: Nazione Marcia
Ieri, sulla prima pagina de "il Fatto Quotidiano" veniva riportata questa notizia:
LA CUPOLA Depistaggio sulle inchieste
Zingales: "Lo scandalo
più grave di sempre,Eni da commissariare"
FELTRI, MASSARI. MELETTI E PACELLI[/b]
Il Bufaliere e il vice Bufaliere tacciono completamente da tre giorni. Appena verificato.
SECONDO VOI PERCHE'
LA CUPOLA Depistaggio sulle inchieste
Zingales: "Lo scandalo
più grave di sempre,Eni da commissariare"
FELTRI, MASSARI. MELETTI E PACELLI[/b]
Il Bufaliere e il vice Bufaliere tacciono completamente da tre giorni. Appena verificato.
SECONDO VOI PERCHE'
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Re: Nazione Marcia
LIBRE news
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Logge e potere: perché l’Espresso non intervista Scalfari?
Scritto il 13/2/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet
Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i veri terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».
Autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia delle Ur-Lodges nel back-office del potere mondiale, Magaldi prende nota: la sua denuncia, clamorosa, resta tuttora sepolta dal silenzio dei grandi media. «Nessuna reazione, nemmeno di fronte a precise interrogazioni parlamentari». Di massoneria si parla spesso a vanvera, per fini strumentali e magari elettoralistici come ha fatto Di Maio, garantendo l’assenza di massoni tra i candidati 5 Stelle. Lo smentisce Catello Vitiello, detto Lello, candidato dai grillini in Campania e iniziato alla loggia “La Sfinge”, del Grande Oriente d’Italia: notizia del “Mattino”, rilanciata dal “Giornale”. Di Maio? «Spara sulla massoneria, dopo aver bussato (inutilmente) alle porte dei peggiori circoli supermassonici reazionari di Washington», dice Magaldi, che a “La Gabbia”, trasmissione televisiva de “La7” condotta da Paragone, ha dichiarato l’appartenenza massonica di Pietro Grasso e Laura Boldrini. Ora “L’Espresso” rilancia la sua piccola crociata pre-elettorale contro le logge meridionali del Grande Oriente? Quella del reportage di Turano, «poco serio, sensazionalista e mistificatorio», a Magaldi sembra «un’operazione di bassissimo livello, che va a pescare nella diatriba miserevole sollevata dalla commissione parlamentare antimafia presieduta da due tangheri con pulsioni liberticide e antidemocratiche come Rosy Bindi e Claudio Fava».
La Bindi («non ricandidata, per fortuna») ha condotto una sorta di crociata personale contro il Goi, mentre Fava è giunto a proporre una legge per chiudere ai massoni le porte della politica. «La massoneria è stata resa illegale solo dai regimi fascisti e comunisti (con l’eccezione di Cuba) e con la perversione che questi regimi erano composti da massoni, i quali mettevano fuorilegge le massonerie liberali e democratiche e si costituivano in massoneria segreta di governo, con piglio dispotico», ricorda Magaldi, a “Colors Radio”. Quella presieduta dalla Bindi? «E’ la peggior commissione antimafia della storia: non avendo di meglio da fare, ha preso di petto la massoneria regionale ma non i terminali italiani della massoneria che conta, nel bene e nel male (soprattutto nel male), collegata ai circuiti massonici neo-aristocratici che hanno fatto un golpe silenzioso insediando Mario Monti con la regia di Draghi e Napolitano». Personaggi che «hanno operato e operano tuttora a maleficio del popolo italiano», ma nessuna commissione parlamentare se n’è occupata. La Bindi invece ha preso di mira «comunioni massoniche in stato di decadenza, prive di incisività sul piano sociale, meta-politico, civico e culturale».
Eppure, proprio dalle Ur-Lodges reazionarie sono venute «le ideologie neoliberiste e neo-aristocratiche che hanno pervaso la globalizzazione, la stessa Europa “matrigna” e anche la pessima governance dell’Italia negli ultimi decenni, la Seconda Repubblica, in modo accelerato con la devastazione sociale ed economica avviata nel 2011». Per questo, aggiunge Magaldi, «suona scandaloso che sedicenti giornalisti come Turano vadano a fare servizi apparentemente sontuosi, scandalistici e di grande richiamo, mettendo il dito su dei “peones” della massoneria e tacendo del tutto sulle domande che un vero giornalismo dovrebbe porsi: ovvero, chi è davvero inserito nelle leve del potere più importante?». Silenzi, omissioni, ipocrisie. «C’è chi sa benissimo che i momenti più alti della storia dell’Italia contemporanea sono dovuti all’opera meritoria di alcuni massoni. Ma tace per interesse, magari appartenendo a circuiti massonici neo-aristocratici». E poi, aggiunge Magaldi, «c’è una pletora di ignoranti, insipienti esecutori collocati in vari strati del mondo mediatico, politico, istituzionale e sociale, i quali si beano di questa loro pseudo-conoscenza: per costoro, “massoneria” sarebbe qualunque gruppo che, in modo indebito, opera per fini segreti e inconfessabili a favore dei propri aderenti».
Che c’entra, la massoneria, con a gestione opaca del potere? «In Italia non serve essere massoni per esser stati corrotti e corruttori e aver mal gestito il denaro pubblico». Ci sono mille correnti e provenienze: culturali, spirituali, religiose, filosofiche e sapienziali. «Chi si distingue nel bene e chi nel male, a prescindere dal retroterra da cui proviene». Quanto alla massoneria, insiste Magaldi, «se si vuol parlare davvero di legami col potere bisogna alzare lo sguardo verso il cielo delle superlogge sovranazionali. Dopodiché, anche lì, si tratta di capire chi ha fatto cosa, e perché». Solo che non avviene: nessuno li alza, gli occhi al “cielo”. «Quindi siamo in una narrazione assolutamente irrisoria, fuorviante e, credo, anche strumentale: serve, è utile ai manovratori, ai padroni del vapore, che il sospetto, l’eventuale avversione rispetto alle logge, venga scaricata verso gruppi massonici che sono innocui sotto ogni punto di vista». E a chi si riempie la bocca con la difesa della Costituzione, Magaldi ricorda che il presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigere il testo costituzionale era Meuccio Ruini, notorio massone, il cui capo di gabinetto era Federico Caffè, eminente economista: il maggior keynesiano italiano (e del resto era massone lo stesso Keynes). «Se i padri della patria e della Costituzione del ‘48 (Ruini e non solo) erano massoni, non ho capito qual è il problema», conclude Magaldi. «Dopodiché vi sono le mele marce, e io nel mio libro ne ho indicate tante». I giornali come “L’Espresso”, però, hanno evitato accuratamente di raccontarlo ai lettori: perché?
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Logge e potere: perché l’Espresso non intervista Scalfari?
Scritto il 13/2/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet
Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i veri terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».
Autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia delle Ur-Lodges nel back-office del potere mondiale, Magaldi prende nota: la sua denuncia, clamorosa, resta tuttora sepolta dal silenzio dei grandi media. «Nessuna reazione, nemmeno di fronte a precise interrogazioni parlamentari». Di massoneria si parla spesso a vanvera, per fini strumentali e magari elettoralistici come ha fatto Di Maio, garantendo l’assenza di massoni tra i candidati 5 Stelle. Lo smentisce Catello Vitiello, detto Lello, candidato dai grillini in Campania e iniziato alla loggia “La Sfinge”, del Grande Oriente d’Italia: notizia del “Mattino”, rilanciata dal “Giornale”. Di Maio? «Spara sulla massoneria, dopo aver bussato (inutilmente) alle porte dei peggiori circoli supermassonici reazionari di Washington», dice Magaldi, che a “La Gabbia”, trasmissione televisiva de “La7” condotta da Paragone, ha dichiarato l’appartenenza massonica di Pietro Grasso e Laura Boldrini. Ora “L’Espresso” rilancia la sua piccola crociata pre-elettorale contro le logge meridionali del Grande Oriente? Quella del reportage di Turano, «poco serio, sensazionalista e mistificatorio», a Magaldi sembra «un’operazione di bassissimo livello, che va a pescare nella diatriba miserevole sollevata dalla commissione parlamentare antimafia presieduta da due tangheri con pulsioni liberticide e antidemocratiche come Rosy Bindi e Claudio Fava».
La Bindi («non ricandidata, per fortuna») ha condotto una sorta di crociata personale contro il Goi, mentre Fava è giunto a proporre una legge per chiudere ai massoni le porte della politica. «La massoneria è stata resa illegale solo dai regimi fascisti e comunisti (con l’eccezione di Cuba) e con la perversione che questi regimi erano composti da massoni, i quali mettevano fuorilegge le massonerie liberali e democratiche e si costituivano in massoneria segreta di governo, con piglio dispotico», ricorda Magaldi, a “Colors Radio”. Quella presieduta dalla Bindi? «E’ la peggior commissione antimafia della storia: non avendo di meglio da fare, ha preso di petto la massoneria regionale ma non i terminali italiani della massoneria che conta, nel bene e nel male (soprattutto nel male), collegata ai circuiti massonici neo-aristocratici che hanno fatto un golpe silenzioso insediando Mario Monti con la regia di Draghi e Napolitano». Personaggi che «hanno operato e operano tuttora a maleficio del popolo italiano», ma nessuna commissione parlamentare se n’è occupata. La Bindi invece ha preso di mira «comunioni massoniche in stato di decadenza, prive di incisività sul piano sociale, meta-politico, civico e culturale».
Eppure, proprio dalle Ur-Lodges reazionarie sono venute «le ideologie neoliberiste e neo-aristocratiche che hanno pervaso la globalizzazione, la stessa Europa “matrigna” e anche la pessima governance dell’Italia negli ultimi decenni, la Seconda Repubblica, in modo accelerato con la devastazione sociale ed economica avviata nel 2011». Per questo, aggiunge Magaldi, «suona scandaloso che sedicenti giornalisti come Turano vadano a fare servizi apparentemente sontuosi, scandalistici e di grande richiamo, mettendo il dito su dei “peones” della massoneria e tacendo del tutto sulle domande che un vero giornalismo dovrebbe porsi: ovvero, chi è davvero inserito nelle leve del potere più importante?». Silenzi, omissioni, ipocrisie. «C’è chi sa benissimo che i momenti più alti della storia dell’Italia contemporanea sono dovuti all’opera meritoria di alcuni massoni. Ma tace per interesse, magari appartenendo a circuiti massonici neo-aristocratici». E poi, aggiunge Magaldi, «c’è una pletora di ignoranti, insipienti esecutori collocati in vari strati del mondo mediatico, politico, istituzionale e sociale, i quali si beano di questa loro pseudo-conoscenza: per costoro, “massoneria” sarebbe qualunque gruppo che, in modo indebito, opera per fini segreti e inconfessabili a favore dei propri aderenti».
Che c’entra, la massoneria, con a gestione opaca del potere? «In Italia non serve essere massoni per esser stati corrotti e corruttori e aver mal gestito il denaro pubblico». Ci sono mille correnti e provenienze: culturali, spirituali, religiose, filosofiche e sapienziali. «Chi si distingue nel bene e chi nel male, a prescindere dal retroterra da cui proviene». Quanto alla massoneria, insiste Magaldi, «se si vuol parlare davvero di legami col potere bisogna alzare lo sguardo verso il cielo delle superlogge sovranazionali. Dopodiché, anche lì, si tratta di capire chi ha fatto cosa, e perché». Solo che non avviene: nessuno li alza, gli occhi al “cielo”. «Quindi siamo in una narrazione assolutamente irrisoria, fuorviante e, credo, anche strumentale: serve, è utile ai manovratori, ai padroni del vapore, che il sospetto, l’eventuale avversione rispetto alle logge, venga scaricata verso gruppi massonici che sono innocui sotto ogni punto di vista». E a chi si riempie la bocca con la difesa della Costituzione, Magaldi ricorda che il presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigere il testo costituzionale era Meuccio Ruini, notorio massone, il cui capo di gabinetto era Federico Caffè, eminente economista: il maggior keynesiano italiano (e del resto era massone lo stesso Keynes). «Se i padri della patria e della Costituzione del ‘48 (Ruini e non solo) erano massoni, non ho capito qual è il problema», conclude Magaldi. «Dopodiché vi sono le mele marce, e io nel mio libro ne ho indicate tante». I giornali come “L’Espresso”, però, hanno evitato accuratamente di raccontarlo ai lettori: perché?
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Re: Nazione Marcia
Salerno, Roberto De Luca si dimette da assessore al Bilancio durante la convention Pd
Roberto De Luca è salito sul palco e ha dichiarato di rimettere il mandato di assessore “nelle mani del primo cittadino”, il sindaco Pd Vincenzo Napoli, già vice sindaco del padre
di Vincenzo Iurillo | 18 febbraio 2018
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... d/4168371/
Roberto De Luca è salito sul palco e ha dichiarato di rimettere il mandato di assessore “nelle mani del primo cittadino”, il sindaco Pd Vincenzo Napoli, già vice sindaco del padre
di Vincenzo Iurillo | 18 febbraio 2018
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... d/4168371/
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Re: Nazione Marcia
ezioni Politiche 2018 | Di F. Q.
Berlusconi: “Sì a Salvini ministro Interno”
La replica: “No, io premier, lui ministro
Noi prenderemo più voti di Forza Italia”
Berlusconi: “Sì a Salvini ministro Interno”
La replica: “No, io premier, lui ministro
Noi prenderemo più voti di Forza Italia”
Chi c’è in linea
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