Nazione Marcia
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Moro, storia da riscrivere: prigioniero in una casa dello Ior
Scritto il 17/3/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet
Tutto quello che abbiamo saputo fin qui (e sono passati quarant’anni anni) del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, è da riscrivere. Anzi, in gran parte è stato già riscritto dalla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni. La terza e ultima relazione, scrive Maria Antonietta Calabrò sull’“Huffington Post”, spiega come e perché Moro non è stato ucciso sul pianale della Renault 4 rossa parcheggiata nel garage di via Montalcini 8. In base alle nuove perizie espletate dal Ris dei carabinieri, quell’auto non avrebbe potuto neppure avere il cofano aperto, tanto ristretto era il box dove secondo la versione dei brigatisti sarebbe stata eseguita la condanna a morte dello statista. Il documento spiega che il presidente della Dc avrebbe avuto la possibilità di rimanere in vita: la segnalazione di un possibile attentato, giunta a Roma un mese prima del sequestro dalle fonti palestinesi del colonnello del Sismi Stefano Giovannone, vicinissimo a Moro, era assolutamente attendibile. A evitare la tragedia sarebbe bastata una macchina blindata e una scorta. La commissione Fioroni rivela inoltre che il prigioniero Moro, prima di essere ucciso, ebbe la possibilità di ricevere la visita di un prete e di confessarsi. Il che «dimostra che in un modo o nell’altro uomini del mondo vaticano sono stati centrali nella vicenda».
L’ombra del Vaticano spunta «a cominciare dall’individuazione, nella zona della Balduina, in via Massimi 91, di una palazzina di proprietà Ior, la cosiddetta banca vaticana, (posseduta attraverso la società Prato Verde srl, e gestita da Luigi Mennini), abitata (o frequentata) da cardinali (Vagnozzi e Ottaviani), da prelati e dallo stesso presidente dello Ior, Paul Marcinkus», scrive Maria Antonietta Calabrò. Nello stabile aveva sede una società americana che lavorava per la Nato, e vivevano in affitto esponenti tedeschi dell’Autonomia, finanzieri libici e due persone contigue alle Brigate Rosse. «Complesso edilizio che, anche alla luce della posizione, potrebbe essere stato utilizzato – si legge nel documento – per spostare Aldo Moro dalle auto utilizzate in via Fani a quelle con cui fu successivamente trasferito, oppure potrebbe aver addirittura svolto la funzione di prigione dello statista». La relazione, grazie a nuovi testimoni, dimostra addirittura che per alcuni mesi, nell’autunno del 1978, in quello stabile si sarebbe nascosto Prospero Gallinari (il britagatista carceriere di Moro) insieme alle armi usate dal commando che in via Fani sterminò la scorta di Moro. L’alloggio di via Massimi 91 è stato anche il covo-prigione in cui fu detenuto il presidente della Dc? E’ un’ipotesi che la commissione non scarta.
Soprattutto, sottolinea l’“Huffington”, grazie alla declassificazione di una grande quantità di atti dei servizi segreti e delle forze dell’ordine, «la commissione ha accertato che la “narrativa” ufficiale sul sequestro e la morte di Moro, contenuta nel cosiddetto memoriale Morucci-Faranda, altro non è che una “versione ufficiale e di Stato” del caso Moro, preparata a tavolino molti anni prima che essa approdasse sul tavolo di Francesco Cossiga». In altre parole, «l’unica verità “dicibile” per chiudere l’epoca del terrorismo». Una verità di comodo, «messa a punto da magistrati (Imposimato, Priore: citati con nome e cognome), esponenti delle forze dell’ordine e naturalmente dai brigatisti». Valerio Morucci divenne addirittura consulente del Sisde, il servizio segreto interno di allora. La stessa vicenda del suo arresto e di quello di Adriana Faranda in casa di Giuliana Conforto (figlia «del più importante agente del Kgb in Italia», come l’ha definito il professor Christopher Andrew nel suo libro “L’Archivio Mitrokhin”), per la commissione «è stata oggetto di una completa rilettura, che ha consentito di mettere finalmente alcuni punti fermi sulla scoperta del rifugio di viale Giulio Cesare 47, ma anche di evidenziare uno scenario più complesso, che chiama in causa la possibilità che l’arresto di Morucci e Faranda sia stato negoziato».
Alla luce delle indagini compiute, comunque, scrive Fioroni, «il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro non appaiono affatto come una pagina puramente interna dell’eversione di sinistra, ma acquisiscono una rilevante dimensione internazionale». Ancora: «Al di là dell’accertamento materiale dei nomi e dei ruoli dei brigatisti impegnati nell’azione di fuoco di via Fani e poi nel sequestro e nell’omicidio di Moro, emerge infatti un più vasto tessuto di forze che, a seconda dei casi, operarono per una conclusione felice o tragica del sequestro, talora interagendo direttamente con i brigatisti, più spesso condizionando la dinamica degli eventi, anche grazie alla presenza di molteplici aree grigie, permeabili alle influenze più diverse». Al riguardo, Fioroni parla di «martirio laico» di Moro, sacrificato sull’altare della guerra fredda: gli americani preoccupati dall’apertura al Pci, che avrebbe avvicinato l’Italia alla Jugoslavia di Tito, e i sovietici allarmati dall’eurocomunismo di Berlinguer, polemico con Mosca e virtualmente contagioso per gli altri partiti comunisti europei, a partire da quello francese.
Un capitolo particolare, aggiunge Maria Antonietta Calabrò, è dedicato alle “protezioni” che hanno messo al sicuro la latitanza di uno dei brigatisti presenti in via Fani, Alessio Casimirri. «La primula rossa delle Br, tuttora latitante, prima di giungere in Nicaragua, riuscì più volte, in maniera rocambolesca, a sfuggire alla cattura. Per l’ex brigatista, di cui anche nei mesi scorsi è stata sollecitata l’estradizione, ci fu però un momento in cui mancò veramente un nulla ad ammanettarlo. A riconoscerlo, proprio nei dintorni di San Pietro, fu il padre di Jovanotti, al secolo Lorenzo Cherubini, uno dei più noti cantautori italiani». Mario Cherubini, che era un gendarme vaticano, riconobbe Casimirri, già latitante, per strada, «Corse a denunciarlo, ma non si riuscì a fermarlo», racconta Vero Grassi, vicepresidente della commissione Fioroni. Il cantante toscano ha raccontato a “Vanity Fair” di quando la famiglia Casimirri, a metà degli anni ‘70, invitava i Cherubini nella casa di campagna a Monterotondo, dove Alessio (provetto sub) gli mostrava i suoi trofei di pesca. Il padre di Casimirri, Luciano, è a sua volta un personaggio leggendario: sopravvissuto allo sterminio nazista della Divisione Acqui a Cefalonia dopo l’8 settembre del ‘43 (come il protagonista del film “Il mandolino del capitano Corelli”, con Nichoals Cage e Penelope Cruz), era poi stato responsabile della sala stampa vaticana sotto tre Papi: Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, quello che rivolse lo storico appello agli “uomini delle Brigate Rosse” per la liberazione di Moro – sequestrato e trattenuto, si apprende ora, in un palazzo di proprietà del Vaticano.
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Moro, storia da riscrivere: prigioniero in una casa dello Ior
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Tutto quello che abbiamo saputo fin qui (e sono passati quarant’anni anni) del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, è da riscrivere. Anzi, in gran parte è stato già riscritto dalla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni. La terza e ultima relazione, scrive Maria Antonietta Calabrò sull’“Huffington Post”, spiega come e perché Moro non è stato ucciso sul pianale della Renault 4 rossa parcheggiata nel garage di via Montalcini 8. In base alle nuove perizie espletate dal Ris dei carabinieri, quell’auto non avrebbe potuto neppure avere il cofano aperto, tanto ristretto era il box dove secondo la versione dei brigatisti sarebbe stata eseguita la condanna a morte dello statista. Il documento spiega che il presidente della Dc avrebbe avuto la possibilità di rimanere in vita: la segnalazione di un possibile attentato, giunta a Roma un mese prima del sequestro dalle fonti palestinesi del colonnello del Sismi Stefano Giovannone, vicinissimo a Moro, era assolutamente attendibile. A evitare la tragedia sarebbe bastata una macchina blindata e una scorta. La commissione Fioroni rivela inoltre che il prigioniero Moro, prima di essere ucciso, ebbe la possibilità di ricevere la visita di un prete e di confessarsi. Il che «dimostra che in un modo o nell’altro uomini del mondo vaticano sono stati centrali nella vicenda».
L’ombra del Vaticano spunta «a cominciare dall’individuazione, nella zona della Balduina, in via Massimi 91, di una palazzina di proprietà Ior, la cosiddetta banca vaticana, (posseduta attraverso la società Prato Verde srl, e gestita da Luigi Mennini), abitata (o frequentata) da cardinali (Vagnozzi e Ottaviani), da prelati e dallo stesso presidente dello Ior, Paul Marcinkus», scrive Maria Antonietta Calabrò. Nello stabile aveva sede una società americana che lavorava per la Nato, e vivevano in affitto esponenti tedeschi dell’Autonomia, finanzieri libici e due persone contigue alle Brigate Rosse. «Complesso edilizio che, anche alla luce della posizione, potrebbe essere stato utilizzato – si legge nel documento – per spostare Aldo Moro dalle auto utilizzate in via Fani a quelle con cui fu successivamente trasferito, oppure potrebbe aver addirittura svolto la funzione di prigione dello statista». La relazione, grazie a nuovi testimoni, dimostra addirittura che per alcuni mesi, nell’autunno del 1978, in quello stabile si sarebbe nascosto Prospero Gallinari (il britagatista carceriere di Moro) insieme alle armi usate dal commando che in via Fani sterminò la scorta di Moro. L’alloggio di via Massimi 91 è stato anche il covo-prigione in cui fu detenuto il presidente della Dc? E’ un’ipotesi che la commissione non scarta.
Soprattutto, sottolinea l’“Huffington”, grazie alla declassificazione di una grande quantità di atti dei servizi segreti e delle forze dell’ordine, «la commissione ha accertato che la “narrativa” ufficiale sul sequestro e la morte di Moro, contenuta nel cosiddetto memoriale Morucci-Faranda, altro non è che una “versione ufficiale e di Stato” del caso Moro, preparata a tavolino molti anni prima che essa approdasse sul tavolo di Francesco Cossiga». In altre parole, «l’unica verità “dicibile” per chiudere l’epoca del terrorismo». Una verità di comodo, «messa a punto da magistrati (Imposimato, Priore: citati con nome e cognome), esponenti delle forze dell’ordine e naturalmente dai brigatisti». Valerio Morucci divenne addirittura consulente del Sisde, il servizio segreto interno di allora. La stessa vicenda del suo arresto e di quello di Adriana Faranda in casa di Giuliana Conforto (figlia «del più importante agente del Kgb in Italia», come l’ha definito il professor Christopher Andrew nel suo libro “L’Archivio Mitrokhin”), per la commissione «è stata oggetto di una completa rilettura, che ha consentito di mettere finalmente alcuni punti fermi sulla scoperta del rifugio di viale Giulio Cesare 47, ma anche di evidenziare uno scenario più complesso, che chiama in causa la possibilità che l’arresto di Morucci e Faranda sia stato negoziato».
Alla luce delle indagini compiute, comunque, scrive Fioroni, «il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro non appaiono affatto come una pagina puramente interna dell’eversione di sinistra, ma acquisiscono una rilevante dimensione internazionale». Ancora: «Al di là dell’accertamento materiale dei nomi e dei ruoli dei brigatisti impegnati nell’azione di fuoco di via Fani e poi nel sequestro e nell’omicidio di Moro, emerge infatti un più vasto tessuto di forze che, a seconda dei casi, operarono per una conclusione felice o tragica del sequestro, talora interagendo direttamente con i brigatisti, più spesso condizionando la dinamica degli eventi, anche grazie alla presenza di molteplici aree grigie, permeabili alle influenze più diverse». Al riguardo, Fioroni parla di «martirio laico» di Moro, sacrificato sull’altare della guerra fredda: gli americani preoccupati dall’apertura al Pci, che avrebbe avvicinato l’Italia alla Jugoslavia di Tito, e i sovietici allarmati dall’eurocomunismo di Berlinguer, polemico con Mosca e virtualmente contagioso per gli altri partiti comunisti europei, a partire da quello francese.
Un capitolo particolare, aggiunge Maria Antonietta Calabrò, è dedicato alle “protezioni” che hanno messo al sicuro la latitanza di uno dei brigatisti presenti in via Fani, Alessio Casimirri. «La primula rossa delle Br, tuttora latitante, prima di giungere in Nicaragua, riuscì più volte, in maniera rocambolesca, a sfuggire alla cattura. Per l’ex brigatista, di cui anche nei mesi scorsi è stata sollecitata l’estradizione, ci fu però un momento in cui mancò veramente un nulla ad ammanettarlo. A riconoscerlo, proprio nei dintorni di San Pietro, fu il padre di Jovanotti, al secolo Lorenzo Cherubini, uno dei più noti cantautori italiani». Mario Cherubini, che era un gendarme vaticano, riconobbe Casimirri, già latitante, per strada, «Corse a denunciarlo, ma non si riuscì a fermarlo», racconta Vero Grassi, vicepresidente della commissione Fioroni. Il cantante toscano ha raccontato a “Vanity Fair” di quando la famiglia Casimirri, a metà degli anni ‘70, invitava i Cherubini nella casa di campagna a Monterotondo, dove Alessio (provetto sub) gli mostrava i suoi trofei di pesca. Il padre di Casimirri, Luciano, è a sua volta un personaggio leggendario: sopravvissuto allo sterminio nazista della Divisione Acqui a Cefalonia dopo l’8 settembre del ‘43 (come il protagonista del film “Il mandolino del capitano Corelli”, con Nichoals Cage e Penelope Cruz), era poi stato responsabile della sala stampa vaticana sotto tre Papi: Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, quello che rivolse lo storico appello agli “uomini delle Brigate Rosse” per la liberazione di Moro – sequestrato e trattenuto, si apprende ora, in un palazzo di proprietà del Vaticano.
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Re: Nazione Marcia
19 mar 2018 12:27
1. L’INCREDIBILE STORIA DELLA RENAULT 4 ROSSA DOVE FU RITROVATO IL CADAVERE DI MORO
2. FU RUBATA ALLA FINE DI MARZO 1978 A FILIPPO BARTOLI, PICCOLO IMPRENDITORE - I SOSPETTI DELLA POLIZIA, LE BRAME DEI COLLEZIONISTI, LE OFFERTE DA CAPOGIRO E ALLA FINE…
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 169622.htm
1. L’INCREDIBILE STORIA DELLA RENAULT 4 ROSSA DOVE FU RITROVATO IL CADAVERE DI MORO
2. FU RUBATA ALLA FINE DI MARZO 1978 A FILIPPO BARTOLI, PICCOLO IMPRENDITORE - I SOSPETTI DELLA POLIZIA, LE BRAME DEI COLLEZIONISTI, LE OFFERTE DA CAPOGIRO E ALLA FINE…
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 169622.htm
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Re: Nazione Marcia
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Si fa presto a dire Cottarelli, un alibi per tagliare il welfare<<<<<<<<<< mancata colorrazione
Scritto il 20/3/18 • nella Categoria: idee Condividi Tweet
Non c’è dubbio che le politiche di austerity abbiano aggravato il tasso di disoccupazione e ridotto la sicurezza di spesa (e non solo) dei cittadini. Storicamente quando la disoccupazione è alta si crea una competizione al ribasso di diritti e salari, resa ancor più ingente in presenza di eccessiva immigrazione; e puntualmente in Italia un governo ha approvato il Jobs Act confermando quanto previsto da Gianni Agnelli (“la profezia del caro estinto”). In Italia infatti i sacrifici più controproducenti a livello socioeconomico li hanno imposti i governi di centro-sinistra rappresentati dal “combinato disposto” banche-apparato di partito, di cui il duo Matteo Renzi – Maria Elena Boschi è stato solo un esempio più eclatante rispetto ad altri meno appariscenti perché magari meglio protetti e ammanigliati (Ciampi, Prodi, D’Alema, Amato ecc). Prima della recessione, a riconsegnare al paese prezzi fuori misura furono le dinamiche eccessivamente inflazionistiche, mentre un po’ più recentemente fu il passaggio lira/euro gestito in modo scellerato dal governo Berlusconi che abolì il doppio prezzo nei negozi troppo frettolosamente (il modo più opportuno per evitare l’escalation non erano tanto i controlli, quanto il mantenere a lungo il doppio prezzo lira/euro).
In Italia quindi è ormai all’ordine del giorno una riflessione sull’inadeguatezza dei salari, ma la reazione “di pancia” ha messo il focus sugli sprechi che il sistema liberista spesso confonde appositamente con i servizi, cercando di fare di tutta un’erba un Carlo Cottarellifascio; la situazione è ben più complessa e per prima cosa andrebbe osservato il contesto mondiale. La globalizzazione, al di là della retorica del “mondo senza frontiere”, è un formidabile stratagemma per la mercificazione del lavoratore e per le privatizzazioni, ed è promossa dal Fondo Monetario Internazionale (che, come afferma il Nobel dell’Economia Stiglitz, è praticamente controllato dalla finanza internazionale). Grazie alla globalizzazione, al fine di ottenere maggiori profitti, i capitali intraprendono preferibilmente nei paesi dove la manodopera è sottopagata, e per questo motivo il lavoratore (come fosse merce) finisce per inseguire i capitali. Come intuirete, è questo il principale motivo per cui diverse parti di uno stesso prodotto vengono realizzate in nazioni diverse. Difficilmente riusciremo a difenderci da ulteriori smottamenti del benessere (detto anche “Benessere Interno Lordo”, dai teorici del superamento del Pil) se continuiamo a pensare che lo Stato vada smembrato in nome del liberismo; con parole meno “auliche” finiremo costantemente in altro “lacrime e sangue” se non volteremo le spalle a chi, in modo più o meno velato, ci propini questa versione.
Il concetto di mercificazione del lavoratore non si esaurisce in questi termini: quando un salariato viene assunto non è “proprietà del datore”, bensì presta le proprie competenze in cambio di uno stipendio di livello, di tutele e diritti che garantiscano dignità. Il rispetto di questi valori, tuttavia, è messo in seria discussione dalla competizione al ribasso tra Stati e Stati e tra Stati sociali e multinazionali (pronte a creare le condizioni per privatizzare comparti degli Stati sociali); a farne le spese sono i cittadini che si ritrovano con salari reali da fame e servizi essenziali privatizzati costosissimi. La stessa realizzazione di un Reddito Minimo Garantito di Cittadinanza è sotto certi aspetti auspicabile ma non deve essere il viatico per le privatizzazioni, e anche lo sbandierato Piano Cottarelli (Fmi) va maneggiato con cura, perché non è un dispositivo impeccabile ed esente da questi rischi. A incidere in modo negativo sul costo della vita in Italia, infatti, sono state senz’altro Renzi e Boschianche le liberalizzazioni e le conseguenti privatizzazioni – accompagnate, come se non bastasse, dai consueti aumenti di Iva e delle accise sui carburanti.
La quotazione in Borsa di Eni ed Enel, la privatizzazione delle forniture delle “utilities” (acqua, corrente e gas) hanno contribuito in modo consistente a indebolire i salari reali italiani, rendendoli molto più bassi se comparati a quelli degli altri paesi europei (la metà rispetto alla Germania). Come poc’anzi accennato, alcuni partiti politici hanno utilizzato il Piano Cottarelli come strumento per la campagna elettorale, spacciandolo nell’immaginario collettivo come la pozione magica che incide su questioni parassitarie e destina le risorse ai bisognosi. In realtà questo protocollo restituisce molto gradualmente (servono anni) l’intero ammontare di risparmio; soprattutto, è manifestamente opportuno nella componente riguardante l’abbattimento dei reali sprechi ma diviene una discutibile linea politico-ideologica quando in mezzo alle proprie disposizioni nasconde le privatizzazioni di alcuni servizi offerti dalle partecipate.
Il Piano Cottarelli contiene provvedimenti certamente auspicabili come il taglio del 50% sull’acquisto di caccia da combattimento, la riduzione degli stipendi dei dirigenti delle Pa (a mio avviso si potrebbe fare sensibilmente di più) e laMarco Gianninirazionalizzazione delle partecipate (da 8000 a 1000), tuttavia comprende pure strette sull’età pensionabile delle donne, sulle pensioni di reversibilità e di accompagnamento, tagli alla sanità, ai sostegni per i disabili e all’edilizia scolastica. Chi possiede uno spiccato senso della patria proverà sorpresa consultando la voce riguardante la vendita della portaerei Garibaldi; ciononostante, desta più concreta preoccupazione la riduzione degli elicotteri per il soccorso. E’ prospettata pure la riduzione dell’illuminazione pubblica, quando a livello locale sappiamo tutti quanto essa sia fondamentale per questioni di sicurezza. Da approfondire sarebbero anche la riduzione dei fondi a famiglie e imprese (in primis di autotrasporto) e al trasporto pubblico locale e ferroviario. Concludendo, un plauso al Movimento 5 Stelle che ha ricordato alle altre forze politiche che le campagne elettorali si fanno sui progetti ma una ferma critica per la deriva neoliberista (denunciata anche da Aldo Giannuli) su cui si è incamminato, non solo nelle politiche proposte (vedasi l’euroentusiasmo) ma in primis diffondendo un impeccabile marketing subliminale di stampo liberista, con gli stessi concetti “meno Stato = felicità” che ricordano tanto il primo Silvio Berlusconi.
(Marco Giannini, “Si fa presto a dire Cottarelli”, da “Libreidee” del 20 marzo 2018. Esperto in politica economica, Giannini è stato a lungo vicino al Movimento 5 Stelle fino alla sua svolta europeista).
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Si fa presto a dire Cottarelli, un alibi per tagliare il welfare<<<<<<<<<< mancata colorrazione
Scritto il 20/3/18 • nella Categoria: idee Condividi Tweet
Non c’è dubbio che le politiche di austerity abbiano aggravato il tasso di disoccupazione e ridotto la sicurezza di spesa (e non solo) dei cittadini. Storicamente quando la disoccupazione è alta si crea una competizione al ribasso di diritti e salari, resa ancor più ingente in presenza di eccessiva immigrazione; e puntualmente in Italia un governo ha approvato il Jobs Act confermando quanto previsto da Gianni Agnelli (“la profezia del caro estinto”). In Italia infatti i sacrifici più controproducenti a livello socioeconomico li hanno imposti i governi di centro-sinistra rappresentati dal “combinato disposto” banche-apparato di partito, di cui il duo Matteo Renzi – Maria Elena Boschi è stato solo un esempio più eclatante rispetto ad altri meno appariscenti perché magari meglio protetti e ammanigliati (Ciampi, Prodi, D’Alema, Amato ecc). Prima della recessione, a riconsegnare al paese prezzi fuori misura furono le dinamiche eccessivamente inflazionistiche, mentre un po’ più recentemente fu il passaggio lira/euro gestito in modo scellerato dal governo Berlusconi che abolì il doppio prezzo nei negozi troppo frettolosamente (il modo più opportuno per evitare l’escalation non erano tanto i controlli, quanto il mantenere a lungo il doppio prezzo lira/euro).
In Italia quindi è ormai all’ordine del giorno una riflessione sull’inadeguatezza dei salari, ma la reazione “di pancia” ha messo il focus sugli sprechi che il sistema liberista spesso confonde appositamente con i servizi, cercando di fare di tutta un’erba un Carlo Cottarellifascio; la situazione è ben più complessa e per prima cosa andrebbe osservato il contesto mondiale. La globalizzazione, al di là della retorica del “mondo senza frontiere”, è un formidabile stratagemma per la mercificazione del lavoratore e per le privatizzazioni, ed è promossa dal Fondo Monetario Internazionale (che, come afferma il Nobel dell’Economia Stiglitz, è praticamente controllato dalla finanza internazionale). Grazie alla globalizzazione, al fine di ottenere maggiori profitti, i capitali intraprendono preferibilmente nei paesi dove la manodopera è sottopagata, e per questo motivo il lavoratore (come fosse merce) finisce per inseguire i capitali. Come intuirete, è questo il principale motivo per cui diverse parti di uno stesso prodotto vengono realizzate in nazioni diverse. Difficilmente riusciremo a difenderci da ulteriori smottamenti del benessere (detto anche “Benessere Interno Lordo”, dai teorici del superamento del Pil) se continuiamo a pensare che lo Stato vada smembrato in nome del liberismo; con parole meno “auliche” finiremo costantemente in altro “lacrime e sangue” se non volteremo le spalle a chi, in modo più o meno velato, ci propini questa versione.
Il concetto di mercificazione del lavoratore non si esaurisce in questi termini: quando un salariato viene assunto non è “proprietà del datore”, bensì presta le proprie competenze in cambio di uno stipendio di livello, di tutele e diritti che garantiscano dignità. Il rispetto di questi valori, tuttavia, è messo in seria discussione dalla competizione al ribasso tra Stati e Stati e tra Stati sociali e multinazionali (pronte a creare le condizioni per privatizzare comparti degli Stati sociali); a farne le spese sono i cittadini che si ritrovano con salari reali da fame e servizi essenziali privatizzati costosissimi. La stessa realizzazione di un Reddito Minimo Garantito di Cittadinanza è sotto certi aspetti auspicabile ma non deve essere il viatico per le privatizzazioni, e anche lo sbandierato Piano Cottarelli (Fmi) va maneggiato con cura, perché non è un dispositivo impeccabile ed esente da questi rischi. A incidere in modo negativo sul costo della vita in Italia, infatti, sono state senz’altro Renzi e Boschianche le liberalizzazioni e le conseguenti privatizzazioni – accompagnate, come se non bastasse, dai consueti aumenti di Iva e delle accise sui carburanti.
La quotazione in Borsa di Eni ed Enel, la privatizzazione delle forniture delle “utilities” (acqua, corrente e gas) hanno contribuito in modo consistente a indebolire i salari reali italiani, rendendoli molto più bassi se comparati a quelli degli altri paesi europei (la metà rispetto alla Germania). Come poc’anzi accennato, alcuni partiti politici hanno utilizzato il Piano Cottarelli come strumento per la campagna elettorale, spacciandolo nell’immaginario collettivo come la pozione magica che incide su questioni parassitarie e destina le risorse ai bisognosi. In realtà questo protocollo restituisce molto gradualmente (servono anni) l’intero ammontare di risparmio; soprattutto, è manifestamente opportuno nella componente riguardante l’abbattimento dei reali sprechi ma diviene una discutibile linea politico-ideologica quando in mezzo alle proprie disposizioni nasconde le privatizzazioni di alcuni servizi offerti dalle partecipate.
Il Piano Cottarelli contiene provvedimenti certamente auspicabili come il taglio del 50% sull’acquisto di caccia da combattimento, la riduzione degli stipendi dei dirigenti delle Pa (a mio avviso si potrebbe fare sensibilmente di più) e laMarco Gianninirazionalizzazione delle partecipate (da 8000 a 1000), tuttavia comprende pure strette sull’età pensionabile delle donne, sulle pensioni di reversibilità e di accompagnamento, tagli alla sanità, ai sostegni per i disabili e all’edilizia scolastica. Chi possiede uno spiccato senso della patria proverà sorpresa consultando la voce riguardante la vendita della portaerei Garibaldi; ciononostante, desta più concreta preoccupazione la riduzione degli elicotteri per il soccorso. E’ prospettata pure la riduzione dell’illuminazione pubblica, quando a livello locale sappiamo tutti quanto essa sia fondamentale per questioni di sicurezza. Da approfondire sarebbero anche la riduzione dei fondi a famiglie e imprese (in primis di autotrasporto) e al trasporto pubblico locale e ferroviario. Concludendo, un plauso al Movimento 5 Stelle che ha ricordato alle altre forze politiche che le campagne elettorali si fanno sui progetti ma una ferma critica per la deriva neoliberista (denunciata anche da Aldo Giannuli) su cui si è incamminato, non solo nelle politiche proposte (vedasi l’euroentusiasmo) ma in primis diffondendo un impeccabile marketing subliminale di stampo liberista, con gli stessi concetti “meno Stato = felicità” che ricordano tanto il primo Silvio Berlusconi.
(Marco Giannini, “Si fa presto a dire Cottarelli”, da “Libreidee” del 20 marzo 2018. Esperto in politica economica, Giannini è stato a lungo vicino al Movimento 5 Stelle fino alla sua svolta europeista).
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Rosa Rossa: quei simboli svelano la verità indicibile su Moro
Scritto il 21/3/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet
Da via Fani a via Caetani, passando per via Montalcini. Nomi e date, segni e simboli a cui pochissimi hanno fatto caso. Racconterebbero l’atroce “operazione Moro” – italiana e internazionale, politica e geopolitica – riletta secondo il codice segreto di un disegno meno evidente, ma forse decisivo: capace di cioè di “firmare”, in modo occulto, il sanguinoso sequestro e poi il calvario del presidente “eretico” della Dc, fino alla sua spietata uccisione. Messaggio: quell’assassinio è stato l’atto d’inizio di una nuova epoca di dominazione mondializzata. Ne parlò la giornalista Gabriella Carlizzi, indagatrice atipica e indipendente dei misteri italiani, così come Solange Manfredi, avvocato e saggista. Ne accenna lo storico Giuseppe De Lutiis nel libro “Il lato oscuro del potere” (Editori Riuniti). Ne parla diffusamente Sergio Flamigni nel romanzo “La tela del ragno” (Kaos). L’argomento lo sfiora lo stesso Giovanni Fasanella, autore di bestseller come “Il golpe inglese”, che nel recentissimo libro-indagine “Il puzzle Moro” (Chiarelettere) ricostruisce il ruolo di Londra nella strategia della tensione in Italia, mettendo anche l’accento sul Vaticano, dopo le dirompenti conclusioni della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni: per il blitz di via Fani sarebbe stata usata una palazzina di via Massimi di proprietà dello Ior, la banca vaticana.
Nel saggio “Il misterioso intermediario”, scritto per Einaudi nel 2003 con Giuseppe Rocca, sempre Fasanella mette a fuoco la figura del musicista russo Igor Markevic in relazione al caso Moro. Fasanella fa notare che il nome “Gradoli”, spezzato in Aldo Moro“Grado-Li” e riletto in caratteri latini (maiuscoli), nasconderebbe il numero 51, ipotetico “grado segreto” di certa massoneria super-esclusiva, ignota ai massoni ordinari. Lo ricorda Stefania Nicoletti, che a “Forme d’Onda” (format web-radio) dedica un’intera puntata al caso Moro: i servizi “deviati”, la presenza di Gladio e della ‘ndrangheta in via Fani, il ritrovamento del cadavere di Moro a metà strada fra la sede del Pci di Berlinguer e piazza del Gesù, sede della Dc nonché della chiesa dei geusiti. Ma Stefania Nicoletti mette l’accento anche su quei “segni” sempre trascurati, analizzati già nel 2011 da Paolo Franceschetti e ora riproposti nel blog “Petali di Loto”. Già avvocato e docente di materie giuridiche, Franceschetti ha condotto ricerche assolutamente inedite sui maggiori gialli italiani, dalle Bestie di Satana al Mostro di Firenze, giungendo a una sua conclusione: molti efferati omicidi, considerati inspiegabili perché privi di un vero movente, sarebbero in realtà delitti rituali condotti anche a scopo magico-propiziatorio da un’organizzazione segreta. Franceschetti la chiama Rosa Rossa e sostiene che recluterebbe affiliati insospettabili, anche tra gli esponenti del massimo potere.
Un massone di alto grado come Gianfranco Carpeoro, autorevole simbologo e grande studioso dei Rosacroce, esclude che esista un “vertice nero” che pianifichi omicidi più o meno seriali: molti casi di cronaca più che sospetti, “firmati” in modo inequivocabile (come nel caso dello strano sfregio rinvenuto sulla schiena di Yara Gambirasio), secondo Carpeoro sono il frutto di criminali che agiscono in modo isolato – ma poi, una volta in pericolo, “firmano” in modo simbolico i loro misfatti, sperando che qualcuno, nelle istituzioni, “colga il messaggio” (che rivelerebbe l’identità degli autori) e provveda a dirottare le indagini su un binario morto, lasciando che in manette finisca il capro espiatorio di turno. L’intuizione di Franceschetti però è corretta, precisa Carpeoro: dalla fine dell’800, spiega, il pensiero rosacrociano (un mondo migliore e senza più frontiere, retto da un governo ispirato dalla giustizia) è stato corrotto e deviato da potenti associazioni come la Golden Dawn e l’Oto, l’Ordo CrowleyTempli Orientis del “mago nero” Aleister Crowley. Organizzazioni degenerate nell’occultismo, di cui la Rosa Rossa di cui parla Franceschetti sarebbe l’ultima, tragica incarnazione: responsabile anche del delitto Moro?
«La lettura di eventi di questo genere non può essere unica e riduttiva», premette Stefania Nicoletti. «Molti esperti, inclusi quelli della commissione Fioroni e lo stesso Fasanella, hanno ben evidenziato la complessità delle implicazioni e l’intreccio italiano e internazionale degli interessi coinvolti. Ma questo – aggiunge – non esclude affatto che, alle motivazioni storiche e di potere, si possa sovrapporre una lettura simbolica degli eventi. Anzi: l’analisi dei simboli permette di scoprire che molti aspetti combaciano, in modo sconcertante». Corollario: i veri mandanti non erano a loro agio solo nel mondo della politica e dell’intelligence. Probabilmente conoscevano benissimo – e utilizzavano con sapienza, a modo loro – anche il codice segreto dei simboli. Obiettivo: inviare messaggi criptati ma perfettamente chiari e precisi alla ristrettissima élite mondiale che avrebbe potuto decifrarli con sicurezza. «Ricorrere ad un sequestro di 55 giorni, per poi commettere un omicidio – riassume Franceschetti – significa richiamare l’attenzione di tutto il mondo sulla vicenda, e usare un metodo quantomeno dispendioso e rischioso». Tradotto: «Vuol dire che quell’evento ha un’importanza internazionale: il destinatario del messaggio era tutto il mondo. E il sequestro Moro, infatti, annunciava una svolta epocale nei destini del pianeta».
L’ipotetica “firma” della Rosa Rossa, scrive Franceschetti, inizia con il luogo del sequestro e finisce con quello del ritrovamento. La scorta di Moro fu trucidata in via Fani: e Mario Fani era un viterbese, fondatore del “Circolo di Santa Rosa” (la patrona della città). Ma Fani fondò anche un’associazione di ispirazione religiosa, aggiunge Stefania Nicoletti: un sodalizio da cui discese poi l’Azione Cattolica in cui si era formato Moro. Il corpo fu invece rinvenuto al numero 9 di via Caetani. «A quel numero c’è il “Conservatorio di Santa Caterina della Rosa” e l’auto in cui fu trovato Moro era una Renault rossa (RR)». Per Franceschetti, «inizio e fine dell’operazione Moro portano la rosa come simbolo». Quanto a Michelangelo Caetani, non era una personalità qualsiasi: Caetani era un dantista, e come tale si occupò anche del linguaggio segreto di Dante e dei “Fidelis in Amore”. Dietro ai poeti del “dolce stil novo”, ricorda Franceschetti, si celava «una organizzazione segreta di matrice templare e rosacrociana». Attenzione: la Divina Commedia è centrale, per Franceschetti, nei crimini della Rosa Rossa, così spesso basati Jacques de Molaysulla pena del contrappasso. E la simbologia dantesca, aggiunge, è indispensabile anche per leggere il profilo più nascosto del caso Moro, che rivela un collegamento esplicito con la vicenda dei Templari.
Le profezie presenti nella Divina Commedia, rileva Franceschetti, sono sempre poste a una distanza di 666 versi o 515 l’una dall’altra. «Si deve considerare che il sequestro Moro avviene a 666 anni di distanza dal processo ai Templari (che risale al 1312). L’inizio della persecuzione templare avviene infatti nel 1307, ma la data della loro soppressione ufficiale è il 1312, con la bolla “Vox in eccelso”». Jacques de Molay fu l’ultimo gran maestro dell’Ordine del Tempio. Quando salì sul rogo «giurò vendetta al Re e al Papa», ricorda Franceschetti. «E la vendetta templare, nei secoli, si è consumata con la progressiva e lenta distruzione della Chiesa e delle monarchie; un processo che vede il punto di svolta decisivo con la Rivoluzione Francese», ispirata dalla massoneria così come l’Unità d’Italia. Secondo Franceschetti, poi, c’è da notare «una coincidenza (che coincidenza non è)». Ovvero: «La vicenda Moro può essere letta, sì, come un sequestro, ma anche come un processo, effettuato dalle Br». Un tragico processo, a Moro e a tutta la Dc. «Nei famosi comunicati (9 in tutto) della Br, apparentemente deliranti, i sequestratori processarono Moro e tutto il sistema politico di allora». Qui ricorrerebbe la legge del contrappasso dantesca: 666 anni dopo il processo ai Templari storici, i nuovi presunti “templari” processano a loro volta il sistema.
Non casuale, sempre secondo Franceschetti, neppure la durata della prigionia di Moro: 55 giorni. In realtà, sostiene, è come se fossero 515 (l’intervallo delle profezie dantesche), tenuto che la cifra mancante – il numero 1 – non viene mai considerata, da chi usa codici esoterici, dal momento che indicherebbe la divinità. Quel fatidico 55, conclude Franceschetti, sembra segnalare «il compimento di una profezia». Ma, a parte i rebus simbologici, perché mai colpire proprio Aldo Moro? Perché voleva il compromesso storico con il Pci (che allarmava sia gli Usa che l’Urss) e inoltre – riassume Fasanella – dopo Mattei stava usando la sovranità nazionale per ridare autorevolezza all’Italia nello scenario geopolitico europeo e mediterraneo, inquietando inglesi e francesi. Battendo in solitaria la pista simbolico-esoterica, Franceschetti guarda altrove. Pensa al bestseller “Zanoni” di Edward George Bulwer-Lytton, romanzo sul mistero dei Rosacroce. Pensa agli scritti di Comenio e a pagine singolari come quelle di “Atalanta Fugiens”, scritte e illustrate dal medico tedesco Michael Maier, sodale di Giordano CampanellaBruno. «Tutte le maggiori opere dei pensatori e filosofi rosacrociani – ricorda Franceschetti – indicano la necessità di andare verso una società ideale, fatta degli uomini migliori; una società unita, armonica, senza divisioni di razze e paesi».
Uno dei motivi per cui i Templari furono distrutti, aggiunge, è probabilmente il fatto che avessero costituito una sorta di “sovrastato” indipendente dagli altri poteri, che abbracciava tutta l’Europa e andava fino alla Terrasanta. Nei secoli, gli epigoni dei Templari di allora «hanno cercato di ricostruire questo “sovrastato”», e il progetto «ha il suo culmine attuale nell’Unione Europea e nell’Onu». Sembra un futuro già scritto: non nella direzione umanistica e proto-socialista auspicata dalla “fraternitas” seicentesca dei Rosacroce, ma in quella (di segno opposto) dell’oligarchia mondialista più autoritaria. Nell’opera filosofica “La Città del Sole” del grande Tommaso Campanella, rosacrociano e neoplatonico, si delinea chiaramente una società ideale. L’opera, spiega Franceschetti, si svolge secondo un dialogo ispirato al modello della “Repubblica” di Platone. A parlare sono due personaggi, un Cavaliere di Malta e un ammiraglio, e la loro conversazione delinea i presupposti di una comunità perfettamente armonica. Dettaglio: «Il principe che presiede alla generazione della città, e che ne fissa le regole, è il principe Mor (Amore)». Un nome molto simile al cognome dello statista democristano assassinato nel 1978. Ma una città ideale è descritta anche nell’opera “Utopia”, di Tommaso Moro, altro pensatore rosacrociano.
Anche Thomas More sogna una città perfetta, ideale: forse il presidente della Dc non aveva in animo esattamente la “Repubblica” platonica, ma sicuramente un’Italia più giusta, con un governo aperto alle classi popolari. Il parallelo diventa suggestivo se si osservano le rispettive biografie, avverte Franceschetti: «Tommaso Moro morirà in carcere, dove scriverà delle lettere indirizzate alla figlia: episodio che ha una straordinaria somiglianza con la vicenda di Aldo Moro», che scrisse strazianti lettere alla moglie. Somiglianza sconcertante, annota Franceschetti, secondo cui Aldo Moro può esser stato “scelto” (dai mandanti occulti dei suoi assassini) perché il suo cognome «si ricollegava simbolicamente al Principe che doveva presiedere alle regole della generazione della società ideale». Una logica allucinante, capovolta: se sparo al “principe” vero, quello della politica del ‘900, è come se uccidessi simbolicamente, in modo reatroattivo, anche il Principe ideale (buono) del rosacrociano Campanella. Un tenebroso avvertimento, rivolto al mondo: scordatevela, la società giusta. Quelli come Moro devono Tommaso Morosoccombere, per cedere il passo alla nuova élite dominatrice: finanza, multinazionali, austerity, guerra e terrorismo opaco come quello targato Al-Qaeda e Isis.
«Da notare che anche la città scelta per l’operazione non è casuale», aggiunge Franceschetti. «Roma infatti può essere letta come “Amor”, al contrario». Traduzione simbolica: nella città di Amor si sacrifica Moro, per dare inizio alla costruzione di un’altra civilità ideale, diametralmente opposta a quella rinascimentale vagheggiata dai veri Rosacroce. Il sequestro Moro suona quindi come il segno dell’inizio di una svolta epocale: quella che stiamo scontando attualmente, basata sulla gestione elitaria e reazionaria della dissoluzione degli Stati: la globalizzazione senza diritti, imposta con inaudite sofferenze sociali. Date non casuali: il tragico 1978 è anche l’anno in cui parte lo Sme, il processo per la moneta unica, che è la tappa più importante del processo che porterà all’Unione Europea. «Il sequestro Moro segna, insomma, una tappa fondamentale di portata storica: indica lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo ordine mondiale». Se gli storici e i crimonologi conoscessero il sistema di funzionamento delle società segrete, dice Franceschetti, capirebbero che nessun simbolo è mai casuale. Nelle drammatiche foto della prigionia, sopra la testa dell’ostaggio campeggia la stella a 5 punte: «Delle Br, sì, ma anche della massoneria. Lo stesso stemma – guarda caso – della Repubblica Italiana». Moro è costretto a mostrare un quotidiano: “La Repubblica”. Una catena di segni: «Moro, Stella massonica, quotidiano “La Repubblica”, “La Repubblica di FranceschettiPlatone”, “La Città del Sole”, il Principe Mor».
Anni fa, sulla rivista esoterica “Hera” diretta da Carpeoro, venne citato il nome di Franceschetti, indicando i suoi studi sulla Rosa Rossa come interessanti e condotti con rigore. «Come dissi a Carpeoro – ammette Franceschetti – la cosa mi ha fatto piacere: l’ho considerato un attestato di correttezza». Ma al tempo stesso, quell’incoraggiamento l’ha messo a disagio: «Trovo triste che ad occuparsi di queste cose sia io, che fino a poco tempo fa non sapevo neanche cosa significasse la parola “esoterismo” e consideravo il simbolismo materia da sciroccati fuori di testa». Chiarisce Carpeoro, rivolto a Franceschetti: «Se certe cose le dice un massone non è credibile, perché lo si accuserebbe di faziosità e di chissà quali interessi; le persone razionali e scientifiche non si possono approcciare al problema; tu invece sei nel mezzo, che è la posizione migliore». Per Franceschetti «è auspicabile, in futuro, che menti raffinate, intelligenti e intellettualmente oneste come De Lutiis, Flamigni e tanti altri, indaghino anche il lato esoterico delle vicende mondiali, per comprendere così le parti ancora inspiegate, ma spiegabilissime». Franceschetti auspica anche la collaborazione tra i due mondi, esoterico e razionale. «Solo così si darà luce a quel “lato oscuro del potere”, che oscuro non è». Persino il caso Moro – mistero capitale della storia italiana recente – risulta meno buio, se riletto decifrando i simboli che lo costellano.
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Rosa Rossa: quei simboli svelano la verità indicibile su Moro
Scritto il 21/3/18 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet
Da via Fani a via Caetani, passando per via Montalcini. Nomi e date, segni e simboli a cui pochissimi hanno fatto caso. Racconterebbero l’atroce “operazione Moro” – italiana e internazionale, politica e geopolitica – riletta secondo il codice segreto di un disegno meno evidente, ma forse decisivo: capace di cioè di “firmare”, in modo occulto, il sanguinoso sequestro e poi il calvario del presidente “eretico” della Dc, fino alla sua spietata uccisione. Messaggio: quell’assassinio è stato l’atto d’inizio di una nuova epoca di dominazione mondializzata. Ne parlò la giornalista Gabriella Carlizzi, indagatrice atipica e indipendente dei misteri italiani, così come Solange Manfredi, avvocato e saggista. Ne accenna lo storico Giuseppe De Lutiis nel libro “Il lato oscuro del potere” (Editori Riuniti). Ne parla diffusamente Sergio Flamigni nel romanzo “La tela del ragno” (Kaos). L’argomento lo sfiora lo stesso Giovanni Fasanella, autore di bestseller come “Il golpe inglese”, che nel recentissimo libro-indagine “Il puzzle Moro” (Chiarelettere) ricostruisce il ruolo di Londra nella strategia della tensione in Italia, mettendo anche l’accento sul Vaticano, dopo le dirompenti conclusioni della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni: per il blitz di via Fani sarebbe stata usata una palazzina di via Massimi di proprietà dello Ior, la banca vaticana.
Nel saggio “Il misterioso intermediario”, scritto per Einaudi nel 2003 con Giuseppe Rocca, sempre Fasanella mette a fuoco la figura del musicista russo Igor Markevic in relazione al caso Moro. Fasanella fa notare che il nome “Gradoli”, spezzato in Aldo Moro“Grado-Li” e riletto in caratteri latini (maiuscoli), nasconderebbe il numero 51, ipotetico “grado segreto” di certa massoneria super-esclusiva, ignota ai massoni ordinari. Lo ricorda Stefania Nicoletti, che a “Forme d’Onda” (format web-radio) dedica un’intera puntata al caso Moro: i servizi “deviati”, la presenza di Gladio e della ‘ndrangheta in via Fani, il ritrovamento del cadavere di Moro a metà strada fra la sede del Pci di Berlinguer e piazza del Gesù, sede della Dc nonché della chiesa dei geusiti. Ma Stefania Nicoletti mette l’accento anche su quei “segni” sempre trascurati, analizzati già nel 2011 da Paolo Franceschetti e ora riproposti nel blog “Petali di Loto”. Già avvocato e docente di materie giuridiche, Franceschetti ha condotto ricerche assolutamente inedite sui maggiori gialli italiani, dalle Bestie di Satana al Mostro di Firenze, giungendo a una sua conclusione: molti efferati omicidi, considerati inspiegabili perché privi di un vero movente, sarebbero in realtà delitti rituali condotti anche a scopo magico-propiziatorio da un’organizzazione segreta. Franceschetti la chiama Rosa Rossa e sostiene che recluterebbe affiliati insospettabili, anche tra gli esponenti del massimo potere.
Un massone di alto grado come Gianfranco Carpeoro, autorevole simbologo e grande studioso dei Rosacroce, esclude che esista un “vertice nero” che pianifichi omicidi più o meno seriali: molti casi di cronaca più che sospetti, “firmati” in modo inequivocabile (come nel caso dello strano sfregio rinvenuto sulla schiena di Yara Gambirasio), secondo Carpeoro sono il frutto di criminali che agiscono in modo isolato – ma poi, una volta in pericolo, “firmano” in modo simbolico i loro misfatti, sperando che qualcuno, nelle istituzioni, “colga il messaggio” (che rivelerebbe l’identità degli autori) e provveda a dirottare le indagini su un binario morto, lasciando che in manette finisca il capro espiatorio di turno. L’intuizione di Franceschetti però è corretta, precisa Carpeoro: dalla fine dell’800, spiega, il pensiero rosacrociano (un mondo migliore e senza più frontiere, retto da un governo ispirato dalla giustizia) è stato corrotto e deviato da potenti associazioni come la Golden Dawn e l’Oto, l’Ordo CrowleyTempli Orientis del “mago nero” Aleister Crowley. Organizzazioni degenerate nell’occultismo, di cui la Rosa Rossa di cui parla Franceschetti sarebbe l’ultima, tragica incarnazione: responsabile anche del delitto Moro?
«La lettura di eventi di questo genere non può essere unica e riduttiva», premette Stefania Nicoletti. «Molti esperti, inclusi quelli della commissione Fioroni e lo stesso Fasanella, hanno ben evidenziato la complessità delle implicazioni e l’intreccio italiano e internazionale degli interessi coinvolti. Ma questo – aggiunge – non esclude affatto che, alle motivazioni storiche e di potere, si possa sovrapporre una lettura simbolica degli eventi. Anzi: l’analisi dei simboli permette di scoprire che molti aspetti combaciano, in modo sconcertante». Corollario: i veri mandanti non erano a loro agio solo nel mondo della politica e dell’intelligence. Probabilmente conoscevano benissimo – e utilizzavano con sapienza, a modo loro – anche il codice segreto dei simboli. Obiettivo: inviare messaggi criptati ma perfettamente chiari e precisi alla ristrettissima élite mondiale che avrebbe potuto decifrarli con sicurezza. «Ricorrere ad un sequestro di 55 giorni, per poi commettere un omicidio – riassume Franceschetti – significa richiamare l’attenzione di tutto il mondo sulla vicenda, e usare un metodo quantomeno dispendioso e rischioso». Tradotto: «Vuol dire che quell’evento ha un’importanza internazionale: il destinatario del messaggio era tutto il mondo. E il sequestro Moro, infatti, annunciava una svolta epocale nei destini del pianeta».
L’ipotetica “firma” della Rosa Rossa, scrive Franceschetti, inizia con il luogo del sequestro e finisce con quello del ritrovamento. La scorta di Moro fu trucidata in via Fani: e Mario Fani era un viterbese, fondatore del “Circolo di Santa Rosa” (la patrona della città). Ma Fani fondò anche un’associazione di ispirazione religiosa, aggiunge Stefania Nicoletti: un sodalizio da cui discese poi l’Azione Cattolica in cui si era formato Moro. Il corpo fu invece rinvenuto al numero 9 di via Caetani. «A quel numero c’è il “Conservatorio di Santa Caterina della Rosa” e l’auto in cui fu trovato Moro era una Renault rossa (RR)». Per Franceschetti, «inizio e fine dell’operazione Moro portano la rosa come simbolo». Quanto a Michelangelo Caetani, non era una personalità qualsiasi: Caetani era un dantista, e come tale si occupò anche del linguaggio segreto di Dante e dei “Fidelis in Amore”. Dietro ai poeti del “dolce stil novo”, ricorda Franceschetti, si celava «una organizzazione segreta di matrice templare e rosacrociana». Attenzione: la Divina Commedia è centrale, per Franceschetti, nei crimini della Rosa Rossa, così spesso basati Jacques de Molaysulla pena del contrappasso. E la simbologia dantesca, aggiunge, è indispensabile anche per leggere il profilo più nascosto del caso Moro, che rivela un collegamento esplicito con la vicenda dei Templari.
Le profezie presenti nella Divina Commedia, rileva Franceschetti, sono sempre poste a una distanza di 666 versi o 515 l’una dall’altra. «Si deve considerare che il sequestro Moro avviene a 666 anni di distanza dal processo ai Templari (che risale al 1312). L’inizio della persecuzione templare avviene infatti nel 1307, ma la data della loro soppressione ufficiale è il 1312, con la bolla “Vox in eccelso”». Jacques de Molay fu l’ultimo gran maestro dell’Ordine del Tempio. Quando salì sul rogo «giurò vendetta al Re e al Papa», ricorda Franceschetti. «E la vendetta templare, nei secoli, si è consumata con la progressiva e lenta distruzione della Chiesa e delle monarchie; un processo che vede il punto di svolta decisivo con la Rivoluzione Francese», ispirata dalla massoneria così come l’Unità d’Italia. Secondo Franceschetti, poi, c’è da notare «una coincidenza (che coincidenza non è)». Ovvero: «La vicenda Moro può essere letta, sì, come un sequestro, ma anche come un processo, effettuato dalle Br». Un tragico processo, a Moro e a tutta la Dc. «Nei famosi comunicati (9 in tutto) della Br, apparentemente deliranti, i sequestratori processarono Moro e tutto il sistema politico di allora». Qui ricorrerebbe la legge del contrappasso dantesca: 666 anni dopo il processo ai Templari storici, i nuovi presunti “templari” processano a loro volta il sistema.
Non casuale, sempre secondo Franceschetti, neppure la durata della prigionia di Moro: 55 giorni. In realtà, sostiene, è come se fossero 515 (l’intervallo delle profezie dantesche), tenuto che la cifra mancante – il numero 1 – non viene mai considerata, da chi usa codici esoterici, dal momento che indicherebbe la divinità. Quel fatidico 55, conclude Franceschetti, sembra segnalare «il compimento di una profezia». Ma, a parte i rebus simbologici, perché mai colpire proprio Aldo Moro? Perché voleva il compromesso storico con il Pci (che allarmava sia gli Usa che l’Urss) e inoltre – riassume Fasanella – dopo Mattei stava usando la sovranità nazionale per ridare autorevolezza all’Italia nello scenario geopolitico europeo e mediterraneo, inquietando inglesi e francesi. Battendo in solitaria la pista simbolico-esoterica, Franceschetti guarda altrove. Pensa al bestseller “Zanoni” di Edward George Bulwer-Lytton, romanzo sul mistero dei Rosacroce. Pensa agli scritti di Comenio e a pagine singolari come quelle di “Atalanta Fugiens”, scritte e illustrate dal medico tedesco Michael Maier, sodale di Giordano CampanellaBruno. «Tutte le maggiori opere dei pensatori e filosofi rosacrociani – ricorda Franceschetti – indicano la necessità di andare verso una società ideale, fatta degli uomini migliori; una società unita, armonica, senza divisioni di razze e paesi».
Uno dei motivi per cui i Templari furono distrutti, aggiunge, è probabilmente il fatto che avessero costituito una sorta di “sovrastato” indipendente dagli altri poteri, che abbracciava tutta l’Europa e andava fino alla Terrasanta. Nei secoli, gli epigoni dei Templari di allora «hanno cercato di ricostruire questo “sovrastato”», e il progetto «ha il suo culmine attuale nell’Unione Europea e nell’Onu». Sembra un futuro già scritto: non nella direzione umanistica e proto-socialista auspicata dalla “fraternitas” seicentesca dei Rosacroce, ma in quella (di segno opposto) dell’oligarchia mondialista più autoritaria. Nell’opera filosofica “La Città del Sole” del grande Tommaso Campanella, rosacrociano e neoplatonico, si delinea chiaramente una società ideale. L’opera, spiega Franceschetti, si svolge secondo un dialogo ispirato al modello della “Repubblica” di Platone. A parlare sono due personaggi, un Cavaliere di Malta e un ammiraglio, e la loro conversazione delinea i presupposti di una comunità perfettamente armonica. Dettaglio: «Il principe che presiede alla generazione della città, e che ne fissa le regole, è il principe Mor (Amore)». Un nome molto simile al cognome dello statista democristano assassinato nel 1978. Ma una città ideale è descritta anche nell’opera “Utopia”, di Tommaso Moro, altro pensatore rosacrociano.
Anche Thomas More sogna una città perfetta, ideale: forse il presidente della Dc non aveva in animo esattamente la “Repubblica” platonica, ma sicuramente un’Italia più giusta, con un governo aperto alle classi popolari. Il parallelo diventa suggestivo se si osservano le rispettive biografie, avverte Franceschetti: «Tommaso Moro morirà in carcere, dove scriverà delle lettere indirizzate alla figlia: episodio che ha una straordinaria somiglianza con la vicenda di Aldo Moro», che scrisse strazianti lettere alla moglie. Somiglianza sconcertante, annota Franceschetti, secondo cui Aldo Moro può esser stato “scelto” (dai mandanti occulti dei suoi assassini) perché il suo cognome «si ricollegava simbolicamente al Principe che doveva presiedere alle regole della generazione della società ideale». Una logica allucinante, capovolta: se sparo al “principe” vero, quello della politica del ‘900, è come se uccidessi simbolicamente, in modo reatroattivo, anche il Principe ideale (buono) del rosacrociano Campanella. Un tenebroso avvertimento, rivolto al mondo: scordatevela, la società giusta. Quelli come Moro devono Tommaso Morosoccombere, per cedere il passo alla nuova élite dominatrice: finanza, multinazionali, austerity, guerra e terrorismo opaco come quello targato Al-Qaeda e Isis.
«Da notare che anche la città scelta per l’operazione non è casuale», aggiunge Franceschetti. «Roma infatti può essere letta come “Amor”, al contrario». Traduzione simbolica: nella città di Amor si sacrifica Moro, per dare inizio alla costruzione di un’altra civilità ideale, diametralmente opposta a quella rinascimentale vagheggiata dai veri Rosacroce. Il sequestro Moro suona quindi come il segno dell’inizio di una svolta epocale: quella che stiamo scontando attualmente, basata sulla gestione elitaria e reazionaria della dissoluzione degli Stati: la globalizzazione senza diritti, imposta con inaudite sofferenze sociali. Date non casuali: il tragico 1978 è anche l’anno in cui parte lo Sme, il processo per la moneta unica, che è la tappa più importante del processo che porterà all’Unione Europea. «Il sequestro Moro segna, insomma, una tappa fondamentale di portata storica: indica lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo ordine mondiale». Se gli storici e i crimonologi conoscessero il sistema di funzionamento delle società segrete, dice Franceschetti, capirebbero che nessun simbolo è mai casuale. Nelle drammatiche foto della prigionia, sopra la testa dell’ostaggio campeggia la stella a 5 punte: «Delle Br, sì, ma anche della massoneria. Lo stesso stemma – guarda caso – della Repubblica Italiana». Moro è costretto a mostrare un quotidiano: “La Repubblica”. Una catena di segni: «Moro, Stella massonica, quotidiano “La Repubblica”, “La Repubblica di FranceschettiPlatone”, “La Città del Sole”, il Principe Mor».
Anni fa, sulla rivista esoterica “Hera” diretta da Carpeoro, venne citato il nome di Franceschetti, indicando i suoi studi sulla Rosa Rossa come interessanti e condotti con rigore. «Come dissi a Carpeoro – ammette Franceschetti – la cosa mi ha fatto piacere: l’ho considerato un attestato di correttezza». Ma al tempo stesso, quell’incoraggiamento l’ha messo a disagio: «Trovo triste che ad occuparsi di queste cose sia io, che fino a poco tempo fa non sapevo neanche cosa significasse la parola “esoterismo” e consideravo il simbolismo materia da sciroccati fuori di testa». Chiarisce Carpeoro, rivolto a Franceschetti: «Se certe cose le dice un massone non è credibile, perché lo si accuserebbe di faziosità e di chissà quali interessi; le persone razionali e scientifiche non si possono approcciare al problema; tu invece sei nel mezzo, che è la posizione migliore». Per Franceschetti «è auspicabile, in futuro, che menti raffinate, intelligenti e intellettualmente oneste come De Lutiis, Flamigni e tanti altri, indaghino anche il lato esoterico delle vicende mondiali, per comprendere così le parti ancora inspiegate, ma spiegabilissime». Franceschetti auspica anche la collaborazione tra i due mondi, esoterico e razionale. «Solo così si darà luce a quel “lato oscuro del potere”, che oscuro non è». Persino il caso Moro – mistero capitale della storia italiana recente – risulta meno buio, se riletto decifrando i simboli che lo costellano.
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Re: Nazione Marcia
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Terzo parricidio all’italiana, con Moro finì l’era di Bisanzio
Scritto il 24/3/18 • nella Categoria: idee Condividi Tweet
Ma cosa è stato Aldo Moro nella storia d’Italia? A quarant’anni da quel terribile 16 marzo proviamo a dirlo in breve, in quattro punti, uscendo dalle stucchevoli e rituali celebrazioni. In primo luogo, rispetto alla storia precedente, l’assassinio di Moro fu il terzo parricidio d’Italia compiuto nell’arco del Novecento. Con l’uccisione di Re Umberto I si aprì il Novecento e si chiuse l’epoca che portava la sua paternità nel nome, l’età umbertina, cioè il regno dei notabili, la belle époque, la borghesia liberale. Con la mattanza di Mussolini si chiuse nel sangue il fascismo e fu fondata la repubblica antifascista. Con l’assassinio di Moro finì l’Italia del compromesso storico e cominciò il lento declino della prima repubblica incentrata sulla Dc. Tre Italie furono liquidate in tre parricidi rituali, compiuti da un anarchico, dai partigiani rossi, dalle Brigate Rosse. Tre passaggi cruenti per un paese pur ritenuto mite, accomodante. In secondo luogo, Moro fu la sfinge bizantina di un disegno politico: il tentativo di arginare la crescita del Pci non più opponendosi in modo frontale ma consociandosi in modo avvolgente. Quando leggo, anche da parte del figlio Giovanni, che Moro voleva fondare la democrazia dell’alternanza per rendere cioè possibile che la Dc andasse all’opposizione e il Pci al governo, vedo confuso un desiderio di tanti e una favola con un processo politico reale.
Ma davvero pensate che il disegno di Moro fosse finalizzato a portare all’opposizione la Dc e al governo il Pci nel nome di una formula politica, l’alternanza? Suvvia, è una fiaba masochista, la stessa che fece erigere a Maglie il monumento a Moro con in mano “l’Unità”. Moro pensava che l’unico modo per garantire ancora altri anni di Dc al potere fosse quello di proseguire l’integrazione avviata nei primi anni ’60 coi socialisti, estendendo il condominio ai comunisti, che al potere avrebbero perso il crisma della diversità. In lui la ragion di partito prevaleva sulla ragion di Stato, conservare al potere la Dc era priorità assoluta, come mostrò nel processo Lockeed. Poi la prospettiva dichiarata era quella, ma intanto garantiva alla Dc di continuare a governare, inglobando un’opposizione cresciuta oltre il 30%. Per far questo, qualcun altro (De Mita) pensò poi di varare la formula dell’arco costituzionale in modo da usare l’antifascismo come collante e alibi. La conventio ad excludendum dei missini era un rito d’esclusione che serviva in realtà a un’inclusione, del Pci nell’area del governo.
In terzo luogo, chi avversava quel progetto? A livello internazionale gli americani e i sovietici, per ragioni complementari, riconducibili a Yalta. A livello nazionale, i comunisti duri e puri e l’ultrasinistra vedevano in Moro il Corruttore del comunismo in un governo catto-borghese, filo-atlantico, filo-capitalistico. E lo avversavano i socialisti di Craxi che restavano soffocati dall’abbraccio tra Dc e Pci; e le destre, missini in testa. Via libera invece dal capitalismo nostrano e dalle sue mosche cocchiere repubblicane (l’alleanza dei produttori). Se si chiede “cui profuit”, a chi giovò, l’assassinio di Moro, si deve dire: a tutti loro. Ma Craxi cercò di salvarlo. E la destra avrebbe capitalizzato il dissenso di chi non ci stava col compromesso storico, passando da piccolo partito marginale a grande forza di opposizione. Il consociativismo era un’occasione di crescita per la destra nazionale.
A destra Moro non piaceva non solo per l’apertura a sinistra, ma per la sua politica estera, soprattutto su due questioni: la sua reazione debole alla Libia di Gheddafi che espropriò e cacciò gli italiani e il trattato sulla zona B a Trieste che segnava ancora una certa sudditanza a Tito, un tradimento e una cessione di sovranità. In quarto e ultimo luogo, cosa ha lasciato Moro in eredità politica? Poco o nulla del suo stile e della sua teoria che divenne prassi con l’altra sfinge Dc, Andreotti, salvo sterzare verso altre strategie (il Caf) liquidando il compromesso storico. Sul piano civile, col delitto Moro finì l’onda rivoluzionaria e panpolitica del ’68, s’impose il Riflusso, il Privato, l’Oblio, l’edonismo, la tv… Dopo Moro tramontò la politica come primato e militanza, tramontò il Partito, si appiattirono le ideologie, si perse l’afflato popolare. Poi ci sono le leggende morotee, gli occultismi e gli spiritismi intorno alla sua prigionia e alle sue (non) belle lettere; la storia delle tangenti e il ruolo del suo segretario Freato; le dicerie – come quella che Moro avrebbe chiesto ad Almirante di candidare nel Msi Miceli, già capo del Sid, accusato del tentato golpe – e perfino i gossip (come la presunta love story, lui sobrio e compassato, con una cantante pugliese).
Lasciamo da parte pure le congetture sulla sua morte, le romanzate, pirotecniche e fumose dietrologie sul suo assassinio, che reca sicura la firma comunista delle Brigate Rosse, anche se sono verosimili le reti di complicità istituzionali e internazionali e le ombre che si allungarono sulle trattative. Infine un’impressione personale. Quand’ero ragazzo vedevo Moro, mio conterraneo, come un vetusto leader al potere dall’antichità; lento, affaticato, emaciato, dalla voce flebile, la parola paludata e la frezza bianca che ormai aveva la maggioranza assoluta della sua chioma. E invece quando morì Moro aveva solo 61 anni. Gli anni del potere, un tempo, si contavano in ere geologiche. Si dirà che un tempo era così, si diventava vecchi molto prima. Ma è pure vero che il potere conservava una sua solennità che intrecciava gerarchia e gerontocrazia, anche nei leader meno carismatici come lui. Di Moro non restarono grandi opere, grandi tracce. Solo il fumo di un lessico e lo stile felpato e cattolico di un potere e del suo logorio. Finì con Moro l’era di Bisanzio.
(Marcello Veneziani, “La verità politica sul caso Moro”, da “Il Tempo” del 15 marzo 2018; articolo ripreso dal blog di Veneziani).
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Terzo parricidio all’italiana, con Moro finì l’era di Bisanzio
Scritto il 24/3/18 • nella Categoria: idee Condividi Tweet
Ma cosa è stato Aldo Moro nella storia d’Italia? A quarant’anni da quel terribile 16 marzo proviamo a dirlo in breve, in quattro punti, uscendo dalle stucchevoli e rituali celebrazioni. In primo luogo, rispetto alla storia precedente, l’assassinio di Moro fu il terzo parricidio d’Italia compiuto nell’arco del Novecento. Con l’uccisione di Re Umberto I si aprì il Novecento e si chiuse l’epoca che portava la sua paternità nel nome, l’età umbertina, cioè il regno dei notabili, la belle époque, la borghesia liberale. Con la mattanza di Mussolini si chiuse nel sangue il fascismo e fu fondata la repubblica antifascista. Con l’assassinio di Moro finì l’Italia del compromesso storico e cominciò il lento declino della prima repubblica incentrata sulla Dc. Tre Italie furono liquidate in tre parricidi rituali, compiuti da un anarchico, dai partigiani rossi, dalle Brigate Rosse. Tre passaggi cruenti per un paese pur ritenuto mite, accomodante. In secondo luogo, Moro fu la sfinge bizantina di un disegno politico: il tentativo di arginare la crescita del Pci non più opponendosi in modo frontale ma consociandosi in modo avvolgente. Quando leggo, anche da parte del figlio Giovanni, che Moro voleva fondare la democrazia dell’alternanza per rendere cioè possibile che la Dc andasse all’opposizione e il Pci al governo, vedo confuso un desiderio di tanti e una favola con un processo politico reale.
Ma davvero pensate che il disegno di Moro fosse finalizzato a portare all’opposizione la Dc e al governo il Pci nel nome di una formula politica, l’alternanza? Suvvia, è una fiaba masochista, la stessa che fece erigere a Maglie il monumento a Moro con in mano “l’Unità”. Moro pensava che l’unico modo per garantire ancora altri anni di Dc al potere fosse quello di proseguire l’integrazione avviata nei primi anni ’60 coi socialisti, estendendo il condominio ai comunisti, che al potere avrebbero perso il crisma della diversità. In lui la ragion di partito prevaleva sulla ragion di Stato, conservare al potere la Dc era priorità assoluta, come mostrò nel processo Lockeed. Poi la prospettiva dichiarata era quella, ma intanto garantiva alla Dc di continuare a governare, inglobando un’opposizione cresciuta oltre il 30%. Per far questo, qualcun altro (De Mita) pensò poi di varare la formula dell’arco costituzionale in modo da usare l’antifascismo come collante e alibi. La conventio ad excludendum dei missini era un rito d’esclusione che serviva in realtà a un’inclusione, del Pci nell’area del governo.
In terzo luogo, chi avversava quel progetto? A livello internazionale gli americani e i sovietici, per ragioni complementari, riconducibili a Yalta. A livello nazionale, i comunisti duri e puri e l’ultrasinistra vedevano in Moro il Corruttore del comunismo in un governo catto-borghese, filo-atlantico, filo-capitalistico. E lo avversavano i socialisti di Craxi che restavano soffocati dall’abbraccio tra Dc e Pci; e le destre, missini in testa. Via libera invece dal capitalismo nostrano e dalle sue mosche cocchiere repubblicane (l’alleanza dei produttori). Se si chiede “cui profuit”, a chi giovò, l’assassinio di Moro, si deve dire: a tutti loro. Ma Craxi cercò di salvarlo. E la destra avrebbe capitalizzato il dissenso di chi non ci stava col compromesso storico, passando da piccolo partito marginale a grande forza di opposizione. Il consociativismo era un’occasione di crescita per la destra nazionale.
A destra Moro non piaceva non solo per l’apertura a sinistra, ma per la sua politica estera, soprattutto su due questioni: la sua reazione debole alla Libia di Gheddafi che espropriò e cacciò gli italiani e il trattato sulla zona B a Trieste che segnava ancora una certa sudditanza a Tito, un tradimento e una cessione di sovranità. In quarto e ultimo luogo, cosa ha lasciato Moro in eredità politica? Poco o nulla del suo stile e della sua teoria che divenne prassi con l’altra sfinge Dc, Andreotti, salvo sterzare verso altre strategie (il Caf) liquidando il compromesso storico. Sul piano civile, col delitto Moro finì l’onda rivoluzionaria e panpolitica del ’68, s’impose il Riflusso, il Privato, l’Oblio, l’edonismo, la tv… Dopo Moro tramontò la politica come primato e militanza, tramontò il Partito, si appiattirono le ideologie, si perse l’afflato popolare. Poi ci sono le leggende morotee, gli occultismi e gli spiritismi intorno alla sua prigionia e alle sue (non) belle lettere; la storia delle tangenti e il ruolo del suo segretario Freato; le dicerie – come quella che Moro avrebbe chiesto ad Almirante di candidare nel Msi Miceli, già capo del Sid, accusato del tentato golpe – e perfino i gossip (come la presunta love story, lui sobrio e compassato, con una cantante pugliese).
Lasciamo da parte pure le congetture sulla sua morte, le romanzate, pirotecniche e fumose dietrologie sul suo assassinio, che reca sicura la firma comunista delle Brigate Rosse, anche se sono verosimili le reti di complicità istituzionali e internazionali e le ombre che si allungarono sulle trattative. Infine un’impressione personale. Quand’ero ragazzo vedevo Moro, mio conterraneo, come un vetusto leader al potere dall’antichità; lento, affaticato, emaciato, dalla voce flebile, la parola paludata e la frezza bianca che ormai aveva la maggioranza assoluta della sua chioma. E invece quando morì Moro aveva solo 61 anni. Gli anni del potere, un tempo, si contavano in ere geologiche. Si dirà che un tempo era così, si diventava vecchi molto prima. Ma è pure vero che il potere conservava una sua solennità che intrecciava gerarchia e gerontocrazia, anche nei leader meno carismatici come lui. Di Moro non restarono grandi opere, grandi tracce. Solo il fumo di un lessico e lo stile felpato e cattolico di un potere e del suo logorio. Finì con Moro l’era di Bisanzio.
(Marcello Veneziani, “La verità politica sul caso Moro”, da “Il Tempo” del 15 marzo 2018; articolo ripreso dal blog di Veneziani).
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Re: Nazione Marcia
Dal vice Bufaliere:
.....LA PARTITA DELLE CAMERE
CAVALIERE FURIOSO
<<Matteo traditore, coalizione buttata nel cesso>>
Berlusconi accusa l'alleato: <<Vuol fare la stampella agli analfabeti grillini>>. Vertice a Palazzo Grazioli:spunta l'ipotesi Casellati
^^^^^^
CACCIATO DALL'AULA
Provocazione Sgarbi
Si schiera con il M5S
e vota l'onorevole Fica
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Re: Nazione Marcia
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Pd e Forza Italia sono finiti: i loro elettori non torneranno
Scritto il 28/3/18 • nella Categoria: idee Condividi
Berlusconi è tecnicamente finito: incassato il “no” dei 5 Stelle, sperava di far eleggere Romani al Senato con l’aiuto di Renzi, per poi varare un governo Salvini protetto dall’astensione del Pd. «Un esito del genere della battaglia dei presidenti di Camera e Senato non era lontanamente prevedibile, e il Cavaliere ha fatto di tutto per aggravare la sua posizione», riassume Aldo Giannuli. Salvini e Di Maio «avevano già un accordo alle spalle e hanno reagito alla melina del Cavaliere con brutalità», Salvini votando in prima battuta la Bernini (e con essa, l’illusione del Cavaliere di essere ancora lui il “regista del centrodestra”). «Berlusconi ha perso la testa dichiarando rotta la coalizione, ma ci son volute poche ore per spiegargli che non era cosa che potesse permettersi, perché avrebbe accelerato le nuove elezioni che l’avrebbero visto (e lo vedranno) fatto a pezzi», aggiunge Giannuli. Salvini è comunque quello con più voti, ha più probabilità di tirare dalla sua “Fratelli d’Italia” ed essere il rivale dei 5 Stelle in caso di elezioni, «ma soprattutto ha un vantaggio di 40 anni su Berlusconi e può anche aspettare 4-5 anni per una rivincita, Berlusconi no». Il Cavaliere può “suicidarsi” correndo da solo o in tandem con l’altro sconfitto, Renzi. Invece, 5 Stelle e Lega «andranno avanti come carri armati verso il loro governo di scopo per una nuova legge elettorale e nuove elezioni-plebiscito in autunno».
Nonno Silvio resterà solo, profetizza Giannuli: ha continuato a muoversi come se fosse ancora lui il condottiero del centrodestra, «mentre i suoi alleati semplicemente lo ignorano e pochissimi cortigiani continuano ad attorniarlo confermandogli tutte le illusioni: ormai sembra la caricatura di Hitler nel bunker che dà ordini a divisioni inesistenti». Non sta meglio il suo dirimpettaio Renzi, «che continua a sognare improbabili rivincite», cominciando con l’idea di «liberarsi delle sue minoranze». In caso contrario, cioè col Pd unito, nuove elezioni – secondo Giannuli – potrebbero far crollare il partito sotto il 12%. Ma nessuno sembra rendersene conto: «A volte le illusioni sono indistruttibili», scrive Giannuli, ricordando – da storico – che i nostalgici della monarchia italiana fecero un partito che, dopo un momentaneo e modesto successo nel 1953 (40 deputati) finì con appena 6 seggi nel giro di dieci anni. E’ la stessa fine che rischiano di fare Forza Italia e il Pd. «Non riescono ad accettare di non essere più partiti “sovrani” (cioè capi di coalizione) e di essere diventati partiti “cadetti” (cioè “cespugli” minori di fiancheggiamento) e sognano una cosa che non esiste: che gli elettori che li hanno “traditi” tornino, dopo questa momentanea “scappatella”. Non hanno capito niente».
«Può darsi che i 5 Stelle e la Lega deludano e perdano i consensi appena presi – e ci sono ottime ragioni per pensare che questo possa accadere – ma gli elettori che li hanno abbandonati probabilmente voterebbero nuovi partiti, forse sceglierebbero quelli più estremi ora esistenti, forse si asterrebbero o preferirebbero il suicidio: tutto, ma non il ritorno alle basi di partenza». Pd e Forza Italia si mettano l’anima in pace, insiste Giannuli: sono defunti. «Il problema è che ogni partito ha una sua “formula base”, che include l’area sociale di riferimento e il suo ordinamento, la soluzione organizzativa e la catena di comando, la cultura politica, l’area di possibili alleanze più o meno allargata, i punti di forza, l’insediamento territoriale». Quando questa formula crolla, «la crisi investe contemporaneamente diversi suoi componenti, non c’è niente da fare: il partito è da buttare via». Per assurdo, aritmetica alla mano, a Pd e Forza Italia converrebbe (si fa per dire) fondersi in un nuovo “partito della “nazione”. «Potrebbero chiamarlo Als, Alleanza Limoni Spremuti». E’ davvero la fine, il capolinea: signori, si scende.
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Pd e Forza Italia sono finiti: i loro elettori non torneranno
Scritto il 28/3/18 • nella Categoria: idee Condividi
Berlusconi è tecnicamente finito: incassato il “no” dei 5 Stelle, sperava di far eleggere Romani al Senato con l’aiuto di Renzi, per poi varare un governo Salvini protetto dall’astensione del Pd. «Un esito del genere della battaglia dei presidenti di Camera e Senato non era lontanamente prevedibile, e il Cavaliere ha fatto di tutto per aggravare la sua posizione», riassume Aldo Giannuli. Salvini e Di Maio «avevano già un accordo alle spalle e hanno reagito alla melina del Cavaliere con brutalità», Salvini votando in prima battuta la Bernini (e con essa, l’illusione del Cavaliere di essere ancora lui il “regista del centrodestra”). «Berlusconi ha perso la testa dichiarando rotta la coalizione, ma ci son volute poche ore per spiegargli che non era cosa che potesse permettersi, perché avrebbe accelerato le nuove elezioni che l’avrebbero visto (e lo vedranno) fatto a pezzi», aggiunge Giannuli. Salvini è comunque quello con più voti, ha più probabilità di tirare dalla sua “Fratelli d’Italia” ed essere il rivale dei 5 Stelle in caso di elezioni, «ma soprattutto ha un vantaggio di 40 anni su Berlusconi e può anche aspettare 4-5 anni per una rivincita, Berlusconi no». Il Cavaliere può “suicidarsi” correndo da solo o in tandem con l’altro sconfitto, Renzi. Invece, 5 Stelle e Lega «andranno avanti come carri armati verso il loro governo di scopo per una nuova legge elettorale e nuove elezioni-plebiscito in autunno».
Nonno Silvio resterà solo, profetizza Giannuli: ha continuato a muoversi come se fosse ancora lui il condottiero del centrodestra, «mentre i suoi alleati semplicemente lo ignorano e pochissimi cortigiani continuano ad attorniarlo confermandogli tutte le illusioni: ormai sembra la caricatura di Hitler nel bunker che dà ordini a divisioni inesistenti». Non sta meglio il suo dirimpettaio Renzi, «che continua a sognare improbabili rivincite», cominciando con l’idea di «liberarsi delle sue minoranze». In caso contrario, cioè col Pd unito, nuove elezioni – secondo Giannuli – potrebbero far crollare il partito sotto il 12%. Ma nessuno sembra rendersene conto: «A volte le illusioni sono indistruttibili», scrive Giannuli, ricordando – da storico – che i nostalgici della monarchia italiana fecero un partito che, dopo un momentaneo e modesto successo nel 1953 (40 deputati) finì con appena 6 seggi nel giro di dieci anni. E’ la stessa fine che rischiano di fare Forza Italia e il Pd. «Non riescono ad accettare di non essere più partiti “sovrani” (cioè capi di coalizione) e di essere diventati partiti “cadetti” (cioè “cespugli” minori di fiancheggiamento) e sognano una cosa che non esiste: che gli elettori che li hanno “traditi” tornino, dopo questa momentanea “scappatella”. Non hanno capito niente».
«Può darsi che i 5 Stelle e la Lega deludano e perdano i consensi appena presi – e ci sono ottime ragioni per pensare che questo possa accadere – ma gli elettori che li hanno abbandonati probabilmente voterebbero nuovi partiti, forse sceglierebbero quelli più estremi ora esistenti, forse si asterrebbero o preferirebbero il suicidio: tutto, ma non il ritorno alle basi di partenza». Pd e Forza Italia si mettano l’anima in pace, insiste Giannuli: sono defunti. «Il problema è che ogni partito ha una sua “formula base”, che include l’area sociale di riferimento e il suo ordinamento, la soluzione organizzativa e la catena di comando, la cultura politica, l’area di possibili alleanze più o meno allargata, i punti di forza, l’insediamento territoriale». Quando questa formula crolla, «la crisi investe contemporaneamente diversi suoi componenti, non c’è niente da fare: il partito è da buttare via». Per assurdo, aritmetica alla mano, a Pd e Forza Italia converrebbe (si fa per dire) fondersi in un nuovo “partito della “nazione”. «Potrebbero chiamarlo Als, Alleanza Limoni Spremuti». E’ davvero la fine, il capolinea: signori, si scende.
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Re: Nazione Marcia
La penso pure io cosiUncleTom ha scritto:LIBRE
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Pd e Forza Italia sono finiti: i loro elettori non torneranno
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Berlusconi è tecnicamente finito: incassato il “no” dei 5 Stelle, sperava di far eleggere Romani al Senato con l’aiuto di Renzi, per poi varare un governo Salvini protetto dall’astensione del Pd. «Un esito del genere della battaglia dei presidenti di Camera e Senato non era lontanamente prevedibile, e il Cavaliere ha fatto di tutto per aggravare la sua posizione», riassume Aldo Giannuli. Salvini e Di Maio «avevano già un accordo alle spalle e hanno reagito alla melina del Cavaliere con brutalità», Salvini votando in prima battuta la Bernini (e con essa, l’illusione del Cavaliere di essere ancora lui il “regista del centrodestra”). «Berlusconi ha perso la testa dichiarando rotta la coalizione, ma ci son volute poche ore per spiegargli che non era cosa che potesse permettersi, perché avrebbe accelerato le nuove elezioni che l’avrebbero visto (e lo vedranno) fatto a pezzi», aggiunge Giannuli. Salvini è comunque quello con più voti, ha più probabilità di tirare dalla sua “Fratelli d’Italia” ed essere il rivale dei 5 Stelle in caso di elezioni, «ma soprattutto ha un vantaggio di 40 anni su Berlusconi e può anche aspettare 4-5 anni per una rivincita, Berlusconi no». Il Cavaliere può “suicidarsi” correndo da solo o in tandem con l’altro sconfitto, Renzi. Invece, 5 Stelle e Lega «andranno avanti come carri armati verso il loro governo di scopo per una nuova legge elettorale e nuove elezioni-plebiscito in autunno».
Nonno Silvio resterà solo, profetizza Giannuli: ha continuato a muoversi come se fosse ancora lui il condottiero del centrodestra, «mentre i suoi alleati semplicemente lo ignorano e pochissimi cortigiani continuano ad attorniarlo confermandogli tutte le illusioni: ormai sembra la caricatura di Hitler nel bunker che dà ordini a divisioni inesistenti». Non sta meglio il suo dirimpettaio Renzi, «che continua a sognare improbabili rivincite», cominciando con l’idea di «liberarsi delle sue minoranze». In caso contrario, cioè col Pd unito, nuove elezioni – secondo Giannuli – potrebbero far crollare il partito sotto il 12%. Ma nessuno sembra rendersene conto: «A volte le illusioni sono indistruttibili», scrive Giannuli, ricordando – da storico – che i nostalgici della monarchia italiana fecero un partito che, dopo un momentaneo e modesto successo nel 1953 (40 deputati) finì con appena 6 seggi nel giro di dieci anni. E’ la stessa fine che rischiano di fare Forza Italia e il Pd. «Non riescono ad accettare di non essere più partiti “sovrani” (cioè capi di coalizione) e di essere diventati partiti “cadetti” (cioè “cespugli” minori di fiancheggiamento) e sognano una cosa che non esiste: che gli elettori che li hanno “traditi” tornino, dopo questa momentanea “scappatella”. Non hanno capito niente».
«Può darsi che i 5 Stelle e la Lega deludano e perdano i consensi appena presi – e ci sono ottime ragioni per pensare che questo possa accadere – ma gli elettori che li hanno abbandonati probabilmente voterebbero nuovi partiti, forse sceglierebbero quelli più estremi ora esistenti, forse si asterrebbero o preferirebbero il suicidio: tutto, ma non il ritorno alle basi di partenza». Pd e Forza Italia si mettano l’anima in pace, insiste Giannuli: sono defunti. «Il problema è che ogni partito ha una sua “formula base”, che include l’area sociale di riferimento e il suo ordinamento, la soluzione organizzativa e la catena di comando, la cultura politica, l’area di possibili alleanze più o meno allargata, i punti di forza, l’insediamento territoriale». Quando questa formula crolla, «la crisi investe contemporaneamente diversi suoi componenti, non c’è niente da fare: il partito è da buttare via». Per assurdo, aritmetica alla mano, a Pd e Forza Italia converrebbe (si fa per dire) fondersi in un nuovo “partito della “nazione”. «Potrebbero chiamarlo Als, Alleanza Limoni Spremuti». E’ davvero la fine, il capolinea: signori, si scende.
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Nazione Marcia
durante i periodi di crisi le ali intermedie si riducono se veramente si vuole sopravvivere bisogna insediarsi nelle periferie nelle aree di disagio altrimenti si perde il contatto con la realtà.Il fatto per il PD di aver chiuso molte federazioni in periferia spiega la sua contrazione.Per porre rimedio alla crisi serve la democrazia interna,la riforma dei partiti
Interessante riforma per il csx cosa ne pensate?Il labour party è a democrazia interna e prevede che la leadership sia eletta in modo federale per un terzo dalle trade unions per un terzo da affiliati al partito per un terzo da semplici elettori
http://www.pandorarivista.it/articoli/l ... originale/
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Re: Nazione Marcia
Dovro' leggerlo attentamente ma di primo acchito l'ho sempre pensata cosi sostanzialmente. Ho dei dubbi abbastanza seri per quanto riguarda i semplicvi elettori.lilly ha scritto:durante i periodi di crisi le ali intermedie si riducono se veramente si vuole sopravvivere bisogna insediarsi nelle periferie nelle aree di disagio altrimenti si perde il contatto con la realtà.Il fatto per il PD di aver chiuso molte federazioni in periferia spiega la sua contrazione.Per porre rimedio alla crisi serve la democrazia interna,la riforma dei partiti
Interessante riforma per il csx cosa ne pensate?Il labour party è a democrazia interna e prevede che la leadership sia eletta in modo federale per un terzo dalle trade unions per un terzo da affiliati al partito per un terzo da semplici elettori
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Qui da noi le primarie ai non iscritti han sempre generato casini a non finire.
Son sempre dell'opinione che se vuoi contar, dire e far pesare la tua opinione, ti devi iscrivere al partito
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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