Francesco un papa ...Cristiano!
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Vaticano, l'accusa del cardinale: "Le persone sono confuse"
In Vaticano si continua a discutere di "Amoris Laetitia". Il cardinale olandese Eijk ha parlato di "confusione" e ha invitato Bergoglio alla "chiarezza"
Giuseppe Aloisi - Sab, 27/01/2018 - 15:42
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In Vaticano sembra persistere un clima poco incline alla pacificazione dottrinale.
Il cardinale olandese Willem Jacobus Eijk, infatti, che è l'arcivescovo di Utrecht, ha parlato di "confusione" in riferimento all'esortazione apostolica Amoris Laetitia. Il teso di Papa Francesco continua a far discutere tanto tra i fedeli quanto tra i membri del Conclave cardinalizio. Ai "dubia" dei cardinali Burke, Brandmueller, Caffarra e Meisner e alla "Correctio filialis" si sono aggiunte, così, anche le preoccupazioni del porporato olandese. L'oggetto dei rinnovati "dubia" di parte della Chiesa, manco a dirlo, è l'accesso ai sacramenti da parte dei "divorziati risposati", che l'esortazione apostolica del pontefice prevede nell'ottavo capitolo. In un’intervista rilasciata al quotidiano olandese Trouw, Eijk ha sottolineato l'esistenza di interpretazioni diverse: "Ciò che è vero in un posto" - ha detto il porporato - "non può essere sbagliato in un altro". Le conferenze episcopali, insomma, non avrebbero recepito mediante modalità unanimi le indicazioni di Bergoglio.
"Francesco non ha detto nulla che vada contro la dottrina della Chiesa - ha aggiunto il cardinale -. "Questo vale anche per la questione che ha dominato i sinodi dei vescovi sul matrimonio e sulla famiglia. Papa Francesco non ha mai detto che le persone divorziate e che non si sono risposate in chiesa perché il loro primo matrimonio non è stato ancora dichiarato nulla, possano ricevere l’assoluzione sacramentale e fare la comunione", ha specificato Willem Eijk. "Amoris Laetitia - ha aggiunto tuttavia il cardinale - ha causato dubbi. Può un uomo divorziato risposarsi o no? Una conferenza episcopale dice una cosa e un’altra sorella ne dice un’altra. Ma ciò che è vero nel posto A non può essere improvvisamente falso nel luogo B. In un dato momento, è necessaria chiarezza. Lo apprezzerei davvero. Le persone sono confuse e questo non è buono". Papa Francesco, quindi, è stato invitato nuovamente a fare "chiarezza" da un "principe della Chiesa". "Basta portare chiarezza, riguardo a questo punto, rimuovere i dubbi - ha dichiarato sempre Eijk -. "Nella forma di un documento, ad esempio…Certo, abbiamo le parole di Cristo stesso: il matrimonio è uno e indissolubile. Ci aggrappiamo a questo nell’Arcidiocesi. Se il tuo matrimonio è stato dichiarato nullo da un tribunale ecclesiastico, è stato ufficialmente confermato che non sei mai stato sposato, solo allora sarai libero di sposarti e ricevere la confessione e la comunione", ha chiosato il cardinale, così come ha riportato La Fede Quotidiana.
Bergoglio sui "dubia" ha già risposto: con la pubblicazione negli atti ufficiali del suo pontificato della lettera inviata alla conferenza episcopale argentina, il papa ha di fatto approvato l'interpretazione "estensiva" di Amoris Laetitia. In Vaticano, però, qualcuno continua a chiedere "chiarezza".
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 87544.html
In Vaticano si continua a discutere di "Amoris Laetitia". Il cardinale olandese Eijk ha parlato di "confusione" e ha invitato Bergoglio alla "chiarezza"
Giuseppe Aloisi - Sab, 27/01/2018 - 15:42
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In Vaticano sembra persistere un clima poco incline alla pacificazione dottrinale.
Il cardinale olandese Willem Jacobus Eijk, infatti, che è l'arcivescovo di Utrecht, ha parlato di "confusione" in riferimento all'esortazione apostolica Amoris Laetitia. Il teso di Papa Francesco continua a far discutere tanto tra i fedeli quanto tra i membri del Conclave cardinalizio. Ai "dubia" dei cardinali Burke, Brandmueller, Caffarra e Meisner e alla "Correctio filialis" si sono aggiunte, così, anche le preoccupazioni del porporato olandese. L'oggetto dei rinnovati "dubia" di parte della Chiesa, manco a dirlo, è l'accesso ai sacramenti da parte dei "divorziati risposati", che l'esortazione apostolica del pontefice prevede nell'ottavo capitolo. In un’intervista rilasciata al quotidiano olandese Trouw, Eijk ha sottolineato l'esistenza di interpretazioni diverse: "Ciò che è vero in un posto" - ha detto il porporato - "non può essere sbagliato in un altro". Le conferenze episcopali, insomma, non avrebbero recepito mediante modalità unanimi le indicazioni di Bergoglio.
"Francesco non ha detto nulla che vada contro la dottrina della Chiesa - ha aggiunto il cardinale -. "Questo vale anche per la questione che ha dominato i sinodi dei vescovi sul matrimonio e sulla famiglia. Papa Francesco non ha mai detto che le persone divorziate e che non si sono risposate in chiesa perché il loro primo matrimonio non è stato ancora dichiarato nulla, possano ricevere l’assoluzione sacramentale e fare la comunione", ha specificato Willem Eijk. "Amoris Laetitia - ha aggiunto tuttavia il cardinale - ha causato dubbi. Può un uomo divorziato risposarsi o no? Una conferenza episcopale dice una cosa e un’altra sorella ne dice un’altra. Ma ciò che è vero nel posto A non può essere improvvisamente falso nel luogo B. In un dato momento, è necessaria chiarezza. Lo apprezzerei davvero. Le persone sono confuse e questo non è buono". Papa Francesco, quindi, è stato invitato nuovamente a fare "chiarezza" da un "principe della Chiesa". "Basta portare chiarezza, riguardo a questo punto, rimuovere i dubbi - ha dichiarato sempre Eijk -. "Nella forma di un documento, ad esempio…Certo, abbiamo le parole di Cristo stesso: il matrimonio è uno e indissolubile. Ci aggrappiamo a questo nell’Arcidiocesi. Se il tuo matrimonio è stato dichiarato nullo da un tribunale ecclesiastico, è stato ufficialmente confermato che non sei mai stato sposato, solo allora sarai libero di sposarti e ricevere la confessione e la comunione", ha chiosato il cardinale, così come ha riportato La Fede Quotidiana.
Bergoglio sui "dubia" ha già risposto: con la pubblicazione negli atti ufficiali del suo pontificato della lettera inviata alla conferenza episcopale argentina, il papa ha di fatto approvato l'interpretazione "estensiva" di Amoris Laetitia. In Vaticano, però, qualcuno continua a chiedere "chiarezza".
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 87544.html
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
....TESTIMONI DELLA STORIA....
Siamo entrati in una fase in cui il mondo sta crollando.
Tutti i valori di mezzo secolo fa non esistono più superati dall'incalzare delrito della storia dell'uanità.
» Italia
mercoledì 21/02/2018
Sesso e Chiesa – “Sotto quel saio sei nudo?” Le chat segrete dei preti gay
Altro che celibato - Un dossier con migliaia di pagine raccoglie le comunicazioni di 50 sacerdoti che cercano sesso a pagamento e non solo
di Luigi Franco | 21 febbraio 2018
| 2
Nel suo profilo Facebook si presenta come prete ortodosso. “Sotto il saio sei nudo?”, chiede a un certo punto della chat. “Noooo, fa freddo”, risponde il frate cappuccino. “In estate?”, insiste il primo. “Pantaloncini”, la replica. “Pensavo senza mutande”. E siamo ancora alle battute più caste del dialogo, perché un po’ più in là arriva lo scambio di foto delle parti intime e la proposta di un incontro a tre. Meglio in un eremo nella foresta, spiega il cappuccino: “Le chiavi le ho solo io”. Sono conversazioni che rischiano di fare tremare diverse diocesi, quelle contenute nel dossier che Francesco Mangiacapra, l’escort napoletano che in passato ha denunciato il caso di “Don Euro” (vedi articolo qui sotto), ha intenzione di consegnare oggi alla Curia di Napoli chiedendo che ne informi anche le altre curie interessate. Oltre mille screenshot di chat su Facebook, Whatsapp, Telegram e immagini prese da Grindr, il social network utilizzato per incontri gay, raccolte negli ultimi mesi da Mangiacapra o da alcune sue fonti che hanno avuto a che fare con quella che definisce “una lobby gay” all’interno della Chiesa. Il tutto allegato a un elenco di oltre 50 tra preti, appartenenti a ordini religiosi e seminaristi, che secondo Mangiacapra portano avanti una vita sessualmente dissoluta. Non solo le chat erotiche, ma anche sesso a pagamento, frequentazioni di locali per omosessuali, incontri di gruppo, a volte in canonica.
C’è per esempio monsignor F. (riportiamo solo le iniziali per proteggere la privacy delle persone citate nel dossier) che, secondo quanto si legge nel documento, si spaccia per un facoltoso diplomatico, viaggia con un autista privato e incontra ragazzi gay conosciuti in chat proponendo contratti di lavoro come autista o ricaricando la loro carta Postepay. Oppure don M., parroco di un paesino della Basilicata, che ha diversi profili su Grindr e il sabato sera sale in auto per raggiungere la Calabria, dove frequenta discoteche gay ubriacandosi e facendo sesso anche non protetto con sconosciuti.
Ne esce l’immagine di una Chiesa dalla doppia morale. Quella predicata, che vede il sesso come un peccato e l’omosessualità da bandire. E quella della vita vissuta da diversi suoi ministri, con il sesso come abitudine quasi quotidiana. Da condividere spesso con altri uomini di Chiesa. E i social network a fare da occasioni di incontro, prima virtuali e poi reali. A volte senza prendere nemmeno troppe informazioni sull’identità dell’interlocutore, visto che bastano poche battute per passare dal “grazie” per l’amicizia concessa su Facebook al “cosa mi fai vedere?”. E poi via con le foto o il collegamento video in diretta grazie alla cam. Magari per masturbarsi insieme, come in una chat in cui R., un seminarista che vive a Roma, si riprende sdraiato a letto. E sullo sfondo ha un comò con sopra una croce e una statua della Madonna. Sacro e profano vanno spesso insieme, tanto che anche la Messa può essere un momento per far ballare l’occhio e, magari, cogliere un’occasione. Ecco alcuni dei dialoghi scelti tra i meno spinti.
Il confine tra sacro e profano
Lo stesso Mangiacapra è online con don M.
Mangiacapra: Un prete bono davanti a te seduto. Vicino a quello di colore.
Don M.: Ah ce ne stavano un paio. Uno mi guardava parecchio.
M.: E sì un paio. Davvero? Chi era?
Don M.: Era davanti a me un attimo a destra.
M.: Booo. Quello vicino al nero sta su fb (…)
Don M.: Lui mi ha fatto occhiolino al segno di pace.
M.: Mmmmmmm. Bono.
Agli esercizi
spirituali
Il tempo per una chat spesso si trova anche nei momenti di meditazione e preghiera. Come nel caso di M., che frequenta un seminario in Puglia, e di un ragazzo iscritto in un altro seminario.
Altro seminarista: E la sega? Quando la facciamo?
M.: Ora sono agli esercizi spirituali.
A.: E beh.
M.: Non posso.
A.: E quando?
M.: Poi vediamo un po’.
Oppure ecco il dialogo subito dopo uno scambio di foto tra don G., parroco in provincia di Matera che secondo il dossier ha la passione per i festini, e un seminarista della zona con cui aveva una relazione.
Don G. (dopo avere inviato una foto): Visto che bel regalo?
Seminarista: Il più bello. Mmmmm.
Don G.: Ci vorrebbe dal vivo.
S.: Ci vorrebbe proprio.
Don G.: Eh, se fossi solo. Ma un altro po’ di pazienza. Poi io avrò la stanza ai piani superiori, quindi puoi venire quando vuoi.
S.: Mmmmmmm. Siiiii.
Don G.: Per oggi non so come fare. Se vieni all’incontro col vescovo…
S.: Ma so’ agli esercizi.
Incontri
a tre
A volte don G. organizza incontri di gruppo. “Ho delle novità – dice al seminarista in una chat riportata nel dossier –. Giovedì pomeriggio te ne vieni con me per un’ordinazione diaconale e poi ce ne andiamo da amico prete cazzuto e porco lì vicino. E rientriamo la mattina in ora per la messa”.
Ed eccolo in un’altra conversazione.
Don G.: L’ultima volta davi segnali di piacere… mi facevi impazzire.
S.: Siiiiii.
Don G.: V. voleva scopare lunedì. Ma io sono impegnato.
S.: Lunedì. E dai rimanda.
Don G.: C’è festa in oratorio.
C’è anche spazio per dare qualche consiglio su come evitare che le tresche vengano scoperte, come quando don G. avverte: “So che in quella diocesi ci sono alcuni preti ‘pericolosi’, cioè che si sa in giro che scopano e sono ricchioni. Bisogna essere sempre prudenti”.
Di sesso si parla tra una funzione religiosa e l’altra. Don C., parroco in un paese di meno di 2000 abitanti in Calabria, è in chat con un seminarista.
Don C.: Tu hai Skype?
Seminarista: Sì.
Don C.: Se vuoi ci facciamo sega in cam che poi devo scappare che ho un funerale.
S.: Adesso?
Don C.: Sì tra 5 minuti.
S.: Ok.
Meglio nell’eremo che in convento
Padre E. è frate cappuccino in un convento in Puglia. La chat con l’interlocutore che si presenta come sacerdote di una piccola Chiesa ortodossa era iniziata con la curiosità su cosa ci sia sotto il saio del frate. Quando il prete ortodosso invia una sua foto con pene in erezione, padre E. chiede: “Quando?”.
Altro: Stamattina.
Padre E.: Intendevo quando posso scoparti.
A.: Vieni al mio paese?
Padre E.: Potrei oppure vieni tu. (…) Vieni facciamo a tre ti va?
A.: Dove scopi?
Padre E.: Abbiamo una struttura privata.
A.: Dove?
Padre E.: Un eremo nella foresta.
A.: Ah ok. Scopi pure nel convento?
Padre E.: Se non c’è nessuno. Tu sei passivo?
A.: V (versatile, ndr).
Padre E.: Ti andrebbe a tre?
A.: Certo. Chi sarebbe il terzo? Hai foto?
Padre E.: Un altro frate.
A.: Lui è passivo?
Padre E.: Vers (versatile, ndr). Ma lo vuole soprattutto.
Tra una preghiera
e l’altra
Don A. è parroco vicino a Urbino. Anche lui non disdegna le conversazioni in chat, come in questa con un seminarista.
Don A.: Vieni a trovarmi.
Seminarista: Dove?
Don A.: Da me.
S.: E che facciamo?
Don A.: Preghiamo un po’.
S.: Sì?
Don A.: Non vuoi?
S.: Solo pregare?
Don A.: No.
S.: Poi?
Don A.: Si vedrà
S.: Cioè?
Don A.: Quello che ti va. Tutto.
E come nelle migliori chat erotiche non mancano i giochi di parole, le allusioni. Come quelle di Don F., responsabile di una parrocchia nell’arcidiocesi di Salerno, che stuzzica il suo interlocutore: “Un bicchiere di vino, magari qualcosa di dolce”.
Altro: Una banana magari o no?
Don F.: Un babbà.
A.: Con crema bianca.
Sul Fatto Quotidiano del 22 febbraio la seconda puntata
Siamo entrati in una fase in cui il mondo sta crollando.
Tutti i valori di mezzo secolo fa non esistono più superati dall'incalzare delrito della storia dell'uanità.
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Sesso e Chiesa – “Sotto quel saio sei nudo?” Le chat segrete dei preti gay
Altro che celibato - Un dossier con migliaia di pagine raccoglie le comunicazioni di 50 sacerdoti che cercano sesso a pagamento e non solo
di Luigi Franco | 21 febbraio 2018
| 2
Nel suo profilo Facebook si presenta come prete ortodosso. “Sotto il saio sei nudo?”, chiede a un certo punto della chat. “Noooo, fa freddo”, risponde il frate cappuccino. “In estate?”, insiste il primo. “Pantaloncini”, la replica. “Pensavo senza mutande”. E siamo ancora alle battute più caste del dialogo, perché un po’ più in là arriva lo scambio di foto delle parti intime e la proposta di un incontro a tre. Meglio in un eremo nella foresta, spiega il cappuccino: “Le chiavi le ho solo io”. Sono conversazioni che rischiano di fare tremare diverse diocesi, quelle contenute nel dossier che Francesco Mangiacapra, l’escort napoletano che in passato ha denunciato il caso di “Don Euro” (vedi articolo qui sotto), ha intenzione di consegnare oggi alla Curia di Napoli chiedendo che ne informi anche le altre curie interessate. Oltre mille screenshot di chat su Facebook, Whatsapp, Telegram e immagini prese da Grindr, il social network utilizzato per incontri gay, raccolte negli ultimi mesi da Mangiacapra o da alcune sue fonti che hanno avuto a che fare con quella che definisce “una lobby gay” all’interno della Chiesa. Il tutto allegato a un elenco di oltre 50 tra preti, appartenenti a ordini religiosi e seminaristi, che secondo Mangiacapra portano avanti una vita sessualmente dissoluta. Non solo le chat erotiche, ma anche sesso a pagamento, frequentazioni di locali per omosessuali, incontri di gruppo, a volte in canonica.
C’è per esempio monsignor F. (riportiamo solo le iniziali per proteggere la privacy delle persone citate nel dossier) che, secondo quanto si legge nel documento, si spaccia per un facoltoso diplomatico, viaggia con un autista privato e incontra ragazzi gay conosciuti in chat proponendo contratti di lavoro come autista o ricaricando la loro carta Postepay. Oppure don M., parroco di un paesino della Basilicata, che ha diversi profili su Grindr e il sabato sera sale in auto per raggiungere la Calabria, dove frequenta discoteche gay ubriacandosi e facendo sesso anche non protetto con sconosciuti.
Ne esce l’immagine di una Chiesa dalla doppia morale. Quella predicata, che vede il sesso come un peccato e l’omosessualità da bandire. E quella della vita vissuta da diversi suoi ministri, con il sesso come abitudine quasi quotidiana. Da condividere spesso con altri uomini di Chiesa. E i social network a fare da occasioni di incontro, prima virtuali e poi reali. A volte senza prendere nemmeno troppe informazioni sull’identità dell’interlocutore, visto che bastano poche battute per passare dal “grazie” per l’amicizia concessa su Facebook al “cosa mi fai vedere?”. E poi via con le foto o il collegamento video in diretta grazie alla cam. Magari per masturbarsi insieme, come in una chat in cui R., un seminarista che vive a Roma, si riprende sdraiato a letto. E sullo sfondo ha un comò con sopra una croce e una statua della Madonna. Sacro e profano vanno spesso insieme, tanto che anche la Messa può essere un momento per far ballare l’occhio e, magari, cogliere un’occasione. Ecco alcuni dei dialoghi scelti tra i meno spinti.
Il confine tra sacro e profano
Lo stesso Mangiacapra è online con don M.
Mangiacapra: Un prete bono davanti a te seduto. Vicino a quello di colore.
Don M.: Ah ce ne stavano un paio. Uno mi guardava parecchio.
M.: E sì un paio. Davvero? Chi era?
Don M.: Era davanti a me un attimo a destra.
M.: Booo. Quello vicino al nero sta su fb (…)
Don M.: Lui mi ha fatto occhiolino al segno di pace.
M.: Mmmmmmm. Bono.
Agli esercizi
spirituali
Il tempo per una chat spesso si trova anche nei momenti di meditazione e preghiera. Come nel caso di M., che frequenta un seminario in Puglia, e di un ragazzo iscritto in un altro seminario.
Altro seminarista: E la sega? Quando la facciamo?
M.: Ora sono agli esercizi spirituali.
A.: E beh.
M.: Non posso.
A.: E quando?
M.: Poi vediamo un po’.
Oppure ecco il dialogo subito dopo uno scambio di foto tra don G., parroco in provincia di Matera che secondo il dossier ha la passione per i festini, e un seminarista della zona con cui aveva una relazione.
Don G. (dopo avere inviato una foto): Visto che bel regalo?
Seminarista: Il più bello. Mmmmm.
Don G.: Ci vorrebbe dal vivo.
S.: Ci vorrebbe proprio.
Don G.: Eh, se fossi solo. Ma un altro po’ di pazienza. Poi io avrò la stanza ai piani superiori, quindi puoi venire quando vuoi.
S.: Mmmmmmm. Siiiii.
Don G.: Per oggi non so come fare. Se vieni all’incontro col vescovo…
S.: Ma so’ agli esercizi.
Incontri
a tre
A volte don G. organizza incontri di gruppo. “Ho delle novità – dice al seminarista in una chat riportata nel dossier –. Giovedì pomeriggio te ne vieni con me per un’ordinazione diaconale e poi ce ne andiamo da amico prete cazzuto e porco lì vicino. E rientriamo la mattina in ora per la messa”.
Ed eccolo in un’altra conversazione.
Don G.: L’ultima volta davi segnali di piacere… mi facevi impazzire.
S.: Siiiiii.
Don G.: V. voleva scopare lunedì. Ma io sono impegnato.
S.: Lunedì. E dai rimanda.
Don G.: C’è festa in oratorio.
C’è anche spazio per dare qualche consiglio su come evitare che le tresche vengano scoperte, come quando don G. avverte: “So che in quella diocesi ci sono alcuni preti ‘pericolosi’, cioè che si sa in giro che scopano e sono ricchioni. Bisogna essere sempre prudenti”.
Di sesso si parla tra una funzione religiosa e l’altra. Don C., parroco in un paese di meno di 2000 abitanti in Calabria, è in chat con un seminarista.
Don C.: Tu hai Skype?
Seminarista: Sì.
Don C.: Se vuoi ci facciamo sega in cam che poi devo scappare che ho un funerale.
S.: Adesso?
Don C.: Sì tra 5 minuti.
S.: Ok.
Meglio nell’eremo che in convento
Padre E. è frate cappuccino in un convento in Puglia. La chat con l’interlocutore che si presenta come sacerdote di una piccola Chiesa ortodossa era iniziata con la curiosità su cosa ci sia sotto il saio del frate. Quando il prete ortodosso invia una sua foto con pene in erezione, padre E. chiede: “Quando?”.
Altro: Stamattina.
Padre E.: Intendevo quando posso scoparti.
A.: Vieni al mio paese?
Padre E.: Potrei oppure vieni tu. (…) Vieni facciamo a tre ti va?
A.: Dove scopi?
Padre E.: Abbiamo una struttura privata.
A.: Dove?
Padre E.: Un eremo nella foresta.
A.: Ah ok. Scopi pure nel convento?
Padre E.: Se non c’è nessuno. Tu sei passivo?
A.: V (versatile, ndr).
Padre E.: Ti andrebbe a tre?
A.: Certo. Chi sarebbe il terzo? Hai foto?
Padre E.: Un altro frate.
A.: Lui è passivo?
Padre E.: Vers (versatile, ndr). Ma lo vuole soprattutto.
Tra una preghiera
e l’altra
Don A. è parroco vicino a Urbino. Anche lui non disdegna le conversazioni in chat, come in questa con un seminarista.
Don A.: Vieni a trovarmi.
Seminarista: Dove?
Don A.: Da me.
S.: E che facciamo?
Don A.: Preghiamo un po’.
S.: Sì?
Don A.: Non vuoi?
S.: Solo pregare?
Don A.: No.
S.: Poi?
Don A.: Si vedrà
S.: Cioè?
Don A.: Quello che ti va. Tutto.
E come nelle migliori chat erotiche non mancano i giochi di parole, le allusioni. Come quelle di Don F., responsabile di una parrocchia nell’arcidiocesi di Salerno, che stuzzica il suo interlocutore: “Un bicchiere di vino, magari qualcosa di dolce”.
Altro: Una banana magari o no?
Don F.: Un babbà.
A.: Con crema bianca.
Sul Fatto Quotidiano del 22 febbraio la seconda puntata
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
9 mar 2018 11:33
SCANDALO ALLA DIOCESI DI MILANO! - LA CURIA DISPONEVA DI FONDI RISERVATI PER AZZITTIRE LE VITTIME DEI PRETI PEDOFILI - E’ QUANTO EMERGE DAL PROCESSO A DON MAURO GALLI, IMPUTATO DI VIOLENZA SESSUALE AI DANNI DI UN GIOVANE PARROCCHIANO CHE HA RICEVUTO 150 MILA EURO PER RITIRARE LA QUERELA - IL RELIGIOSO VENNE LASCIATO A CONTATTO CON I BIMBI E A PRENDERE LA DECISIONE FU L'ATTUALE ARCIVESCOVO DELPINI
Luca Fazzo per www.ilgiornale.it
don Mauro Galli e Arcivescovo Delpini don Mauro Galli e Arcivescovo Delpini
Fondi riservati della Curia milanese per azzittire le vittime dei preti pedofili. È questa la cruda realtà che emerge dal processo a don Mauro Galli, il sacerdote imputato di violenza sessuale ai danni di un giovane parrocchiano.
Centocinquantamila euro di risarcimento sono stati versati alla vittima perché ritirasse la sua querela. Non certo da don Galli, che risulta nullatenente. A officiare l'accordo è stato Mario Zanchetti, difensore dell'Arcivescovado. Tra le clausole imposte alla famiglia: non rivelare la provenienza dei quattrini.
Don Mauro Galli Don Mauro Galli
Ieri, nella nuova udienza del processo al prete, appare con chiarezza - nel racconto di altri due sacerdoti - il motivo che avrebbe spinto la Curia all'esborso. Sia don Alberto Rivolta che don Carlo Mantegazza, entrambi in servizio nella parrocchia di Rozzano dove si svolsero i fatti, hanno raccontato di avere informato immediatamente il vicario episcopale dell'epoca, ovvero l'attuale arcivescovo Mario Delpini.
«Noi pensavamo che don Mauro andasse spostato a livello prudenziale non in un contesto di pastorale giovanile», ha raccontato il parroco, don Mantegazza: l'importante era tenere il prete lontano dai bambini. Invece don Galli venne trasferito a Legnano, proprio alla pastorale giovanile. A deciderlo, emerge dagli atti, fu Delpini: «Questa decisione l'ho presa io», ammette il prelato in una conversazione.
Il caso di Don Mauro Galli Il caso di Don Mauro Galli
Ieri in aula, i due preti-testimoni raccontano di avere appreso subito quanto era accaduto la notte del 19 dicembre 2011: don Mauro che invita il ragazzo a dormire a casa sua con il consenso della famiglia, ma invece che nella camera degli ospiti lo fa dormire insieme a lui nel letto matrimoniale. E nel cuore della notte allunga le mani. «Quando chiedemmo spiegazioni, ci disse che il ragazzo aveva avuto un incubo e lui lo aveva afferrato per non farlo cadere dal letto».
MARIO DELPINI MARIO DELPINI
Solo più tardi, il ragazzo (allora quindicenne) aggiungerà di essere stato violentato dal prete. Ieri si apprende che comunque, fin dall'immediatezza dei fatti, Delpini aveva saputo che don Galli si era portato a letto il ragazzino. Ma si guardò bene dall'accogliere la richiesta dei suoi sottoposti di allontanare don Mauro da ulteriori tentazioni.
Anzi è lui stesso ad avvisare don Mauro dell'esistenza di una indagine a suo carico, e ad organizzargli la difesa. La prima circostanza è ammessa dallo stesso Delpini nel suo interrogatorio: «In quell'incontro dissi a don Mauro che c'era probabilmente un procedimento penale a suo carico»; e nelle intercettazioni don Galli parlando con un amico dice «ho ricevuto una mail da Delpini che diceva telefonami, scrivimi che ho bisogno di vederti".. l'ho chiamato subito e mi ha detto non è il caso che parliamo per telefono, vieni qui che poi ti spiego, poi dobbiamo stare molto attenti"».
Arcivescovo Delpini Arcivescovo Delpini
Anche della seconda circostanza ci sono tracce chiare nelle intercettazioni: il 4 settembre 2014 don Mauro chiama l'avvocato Zanchetti: «Mario Zanchetti si presenta a Mauro dicendo di essere l'avvocato, gli dice che monsignor Delpini gli ha scritto due righe dicendo che Mauro lo avrebbe chiamato, gli chiede se voleva vederlo per una cosa un po' delicata». Eppure un mese più tardi, interrogato dalla Mobile, Delpini dichiara: «L'avvocato Zanchetti non ha con me alcun tipo di contatto».
Cosa fosse accaduto davvero quella notte, lo racconta ieri in aula la ragazza della vittima: «A. era andato a casa di don Mauro, si era confessato, una confessione lunga e profonda. Si era esposto, era vulnerabile, avrebbe fatto qualunque cosa. Don Mauro l'ha fatto andare nel suo letto, sono andati a dormire e nella notte A. si è svegliato urlando. Lo aveva abbracciato da dietro»
SCANDALO ALLA DIOCESI DI MILANO! - LA CURIA DISPONEVA DI FONDI RISERVATI PER AZZITTIRE LE VITTIME DEI PRETI PEDOFILI - E’ QUANTO EMERGE DAL PROCESSO A DON MAURO GALLI, IMPUTATO DI VIOLENZA SESSUALE AI DANNI DI UN GIOVANE PARROCCHIANO CHE HA RICEVUTO 150 MILA EURO PER RITIRARE LA QUERELA - IL RELIGIOSO VENNE LASCIATO A CONTATTO CON I BIMBI E A PRENDERE LA DECISIONE FU L'ATTUALE ARCIVESCOVO DELPINI
Luca Fazzo per www.ilgiornale.it
don Mauro Galli e Arcivescovo Delpini don Mauro Galli e Arcivescovo Delpini
Fondi riservati della Curia milanese per azzittire le vittime dei preti pedofili. È questa la cruda realtà che emerge dal processo a don Mauro Galli, il sacerdote imputato di violenza sessuale ai danni di un giovane parrocchiano.
Centocinquantamila euro di risarcimento sono stati versati alla vittima perché ritirasse la sua querela. Non certo da don Galli, che risulta nullatenente. A officiare l'accordo è stato Mario Zanchetti, difensore dell'Arcivescovado. Tra le clausole imposte alla famiglia: non rivelare la provenienza dei quattrini.
Don Mauro Galli Don Mauro Galli
Ieri, nella nuova udienza del processo al prete, appare con chiarezza - nel racconto di altri due sacerdoti - il motivo che avrebbe spinto la Curia all'esborso. Sia don Alberto Rivolta che don Carlo Mantegazza, entrambi in servizio nella parrocchia di Rozzano dove si svolsero i fatti, hanno raccontato di avere informato immediatamente il vicario episcopale dell'epoca, ovvero l'attuale arcivescovo Mario Delpini.
«Noi pensavamo che don Mauro andasse spostato a livello prudenziale non in un contesto di pastorale giovanile», ha raccontato il parroco, don Mantegazza: l'importante era tenere il prete lontano dai bambini. Invece don Galli venne trasferito a Legnano, proprio alla pastorale giovanile. A deciderlo, emerge dagli atti, fu Delpini: «Questa decisione l'ho presa io», ammette il prelato in una conversazione.
Il caso di Don Mauro Galli Il caso di Don Mauro Galli
Ieri in aula, i due preti-testimoni raccontano di avere appreso subito quanto era accaduto la notte del 19 dicembre 2011: don Mauro che invita il ragazzo a dormire a casa sua con il consenso della famiglia, ma invece che nella camera degli ospiti lo fa dormire insieme a lui nel letto matrimoniale. E nel cuore della notte allunga le mani. «Quando chiedemmo spiegazioni, ci disse che il ragazzo aveva avuto un incubo e lui lo aveva afferrato per non farlo cadere dal letto».
MARIO DELPINI MARIO DELPINI
Solo più tardi, il ragazzo (allora quindicenne) aggiungerà di essere stato violentato dal prete. Ieri si apprende che comunque, fin dall'immediatezza dei fatti, Delpini aveva saputo che don Galli si era portato a letto il ragazzino. Ma si guardò bene dall'accogliere la richiesta dei suoi sottoposti di allontanare don Mauro da ulteriori tentazioni.
Anzi è lui stesso ad avvisare don Mauro dell'esistenza di una indagine a suo carico, e ad organizzargli la difesa. La prima circostanza è ammessa dallo stesso Delpini nel suo interrogatorio: «In quell'incontro dissi a don Mauro che c'era probabilmente un procedimento penale a suo carico»; e nelle intercettazioni don Galli parlando con un amico dice «ho ricevuto una mail da Delpini che diceva telefonami, scrivimi che ho bisogno di vederti".. l'ho chiamato subito e mi ha detto non è il caso che parliamo per telefono, vieni qui che poi ti spiego, poi dobbiamo stare molto attenti"».
Arcivescovo Delpini Arcivescovo Delpini
Anche della seconda circostanza ci sono tracce chiare nelle intercettazioni: il 4 settembre 2014 don Mauro chiama l'avvocato Zanchetti: «Mario Zanchetti si presenta a Mauro dicendo di essere l'avvocato, gli dice che monsignor Delpini gli ha scritto due righe dicendo che Mauro lo avrebbe chiamato, gli chiede se voleva vederlo per una cosa un po' delicata». Eppure un mese più tardi, interrogato dalla Mobile, Delpini dichiara: «L'avvocato Zanchetti non ha con me alcun tipo di contatto».
Cosa fosse accaduto davvero quella notte, lo racconta ieri in aula la ragazza della vittima: «A. era andato a casa di don Mauro, si era confessato, una confessione lunga e profonda. Si era esposto, era vulnerabile, avrebbe fatto qualunque cosa. Don Mauro l'ha fatto andare nel suo letto, sono andati a dormire e nella notte A. si è svegliato urlando. Lo aveva abbracciato da dietro»
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
La figura del papa nella Chiesa
PROFESSIONE TEOLOGO O PESCATORE?
Di Raniero La Valle
Per gli arruolati al partito antipapista la testimonianza dell’ex papa Benedetto XVI a sostegno di papa Francesco, a conferma della sua sapienza teologica e della continuità del suo pontificato con quello precedente, è arrivata come una sciagura. Così hanno cercato di azzerarla, svelando che nella lettera dell’ex papa c’era anche una riserva per uno dei teologi che aveva collaborato alla collana pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana per i primi cinque anni di pontificato. Ma per quanto la critica a uno degli autori della collana potesse essere fondata, ciò nulla toglie alla notizia principale, che sta nel rifiuto del precedente pontefice di prendere le parti o addirittura la guida della fazione anti-Bergoglio. La quale, dalla casamatta del blog dell’Espresso, annuncia ora per il 7 aprile a Roma una specie di Convenzione antagonista per pubblicare le Tesi di una nuova Protesta.
Tornando alla Chiesa, c’è da dire che questo strascico polemico seguito alla limpida presa di posizione dell’ex papa Benedetto, ha avuto il merito di portare alla ribalta, come oggetto di riflessione, la natura stessa del papato, anche al di là del giudizio sull’oggi. E ciò proprio perché è stato papa Benedetto a far cadere l’ostacolo che impediva un ripensamento della natura e del modo di esercizio del primato petrino, e perciò impediva la riforma del papato, condizione e volano della riforma della Chiesa.
L’ostacolo era che nel corso del secondo millennio cristiano il papato era stato fortemente mitizzato, quasi messo al posto di Dio. La manifestazione più vistosa nel Novecento se ne ebbe nella figura ieratica di Pio XII, il “Pastor Angelicus”; poi, dopo la parentesi di Giovanni XXIII, la mitizzazione giunse ai fasti di papa Wojtyla, che si disse avesse sconfitto da solo il comunismo e che le folle plaudenti volevano “santo subito!”.
Ma è in Paolo VI che il mito giunse alla sua massima crisi. Egli se ne era fatto custode, quando al Vaticano II aveva imposto (e aggiunto in via “previa”) una sua interpretazione restrittiva al documento conciliare sulla collegialità episcopale, per toglierne qualsiasi ombra che potesse offuscare la dottrina del primato e scolorire la figura del papa; e il 1 settembre 1966 in una sosta ad Anagni dove Bonifacio VIII aveva ricevuto il mitico schiaffo francese, rivendicò i meriti di quel ruvido papa “che più degli altri aveva affermato la più piena e solenne autorità pontificia” nel quadro concettuale “dei due poteri, uno spirituale l’altro temporale” disposti però su una “scala dei valori” per cui lo spirituale doveva prevalere sugli altri, e infiammò i fedeli così: “Questa comunità (la Chiesa) è organizzata e non può vivere senza l’innervazione di una organizzazione precisa e potente che si chiama la Gerarchia. Figlioli miei, è la Gerarchia che vi sta parlando, è il Vicario di Cristo che oggi è davanti a voi… Posso domandarvi, figlioli carissimi, questa grazia che voi certamente non mi rifiutate: amate il Papa, amate il Papa, perché senza alcun suo merito e senza certamente alcuna sua ricerca gli è capitata questa strana singolare vocazione di rappresentare Nostro Signore. Non guardate a noi, guardate il Signore di cui rappresentiamo…”, e la frase non finì per gli applausi. Ed è certamente per la forte coscienza di questa rappresentanza ricapitolata in lui che papa Montini compì i suoi gesti più estremi, come la Humanae Vitae, disattesa dalla Chiesa, o la decapitazione e riduzione al silenzio della Chiesa di Bologna.
Ma il mito si rovescia in tragedia quando Aldo Moro, nonostante la supplica montiniana alle Brigate Rosse che lo hanno rapito, viene ucciso. E nella preghiera agli agghiaccianti funerali di Stato che Moro aveva detto di non volere, Paolo VI si mostra sgomento perché lo scambio con Dio non ha funzionato, e lo interpella con un lamento che assomiglia più al “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” di Gesù, che alle rimostranze di Giona a Dio che si era pentito di voler distruggere NInive e non l’aveva distrutta. In tale lamento Paolo VI rompe nel grido e nel pianto la sua voce e si duole, quasi incredulo, con Dio: “Tu, o Dio della vita e della morte, Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, quest’uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico”; e tanto ne fu il dolore, che dopo pochi mesi Paolo VI morì.
E infine giunge Benedetto XVI, “il papa teologo”, che pone soavemente l’atto più eversivo del mito, con le sue dimissioni da papa, demitizzando in tal modo il papato. E proprio da lì comincia la riforma della Chiesa.
Ma in quale direzione? La disputa intorno alla lettera di Ratzinger su Bergoglio è stata su chi fosse il papa più teologo, o sul negare che Francesco fosse teologo. L’errore di questa disputa stava nel presupposto secondo cui il necessario predicato del papa è “professione teologo”. Certo deve saperne di teologia, però la professione di Pietro non era teologo, ma pescatore. Così lo prese Gesù, e con lui anche gli altri. Del resto anche come pescatori lasciavano a desiderare, e se non era per Gesù che faceva gettare le reti e distribuire i pesci, le folle restavano digiune.
Il papa non è lo scienziato di Dio, ma ne è il messaggero. Il termine stesso “teologia” del resto è esagerato. Non c’è una “scienza” di Dio, Dio non si può racchiudere nella nostra conoscenza, non sta lì, sta “in una brezza leggera”. Dice il vangelo di Giovanni: Dio nessuno l’ha mai visto, è il Figlio che lo svela, che lo racconta, che ne fa “l’esegesi”. Dunque a rigore c’è un solo teologo, che è Gesù, come un solo maestro, che è lui.
Perciò papa Francesco non deve passare al vaglio di un’accademia, e non sono su questo piano la continuità e le differenze col suo predecessore. Per questo è così affascinante la domanda su chi è veramente Francesco, e per quale forza sta cambiando, presso l’uomo moderno, l’idea stessa di religione e l’immaginario di Dio.
http://www.chiesadituttichiesadeipoveri ... pescatore/
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Di Raniero La Valle
Per gli arruolati al partito antipapista la testimonianza dell’ex papa Benedetto XVI a sostegno di papa Francesco, a conferma della sua sapienza teologica e della continuità del suo pontificato con quello precedente, è arrivata come una sciagura. Così hanno cercato di azzerarla, svelando che nella lettera dell’ex papa c’era anche una riserva per uno dei teologi che aveva collaborato alla collana pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana per i primi cinque anni di pontificato. Ma per quanto la critica a uno degli autori della collana potesse essere fondata, ciò nulla toglie alla notizia principale, che sta nel rifiuto del precedente pontefice di prendere le parti o addirittura la guida della fazione anti-Bergoglio. La quale, dalla casamatta del blog dell’Espresso, annuncia ora per il 7 aprile a Roma una specie di Convenzione antagonista per pubblicare le Tesi di una nuova Protesta.
Tornando alla Chiesa, c’è da dire che questo strascico polemico seguito alla limpida presa di posizione dell’ex papa Benedetto, ha avuto il merito di portare alla ribalta, come oggetto di riflessione, la natura stessa del papato, anche al di là del giudizio sull’oggi. E ciò proprio perché è stato papa Benedetto a far cadere l’ostacolo che impediva un ripensamento della natura e del modo di esercizio del primato petrino, e perciò impediva la riforma del papato, condizione e volano della riforma della Chiesa.
L’ostacolo era che nel corso del secondo millennio cristiano il papato era stato fortemente mitizzato, quasi messo al posto di Dio. La manifestazione più vistosa nel Novecento se ne ebbe nella figura ieratica di Pio XII, il “Pastor Angelicus”; poi, dopo la parentesi di Giovanni XXIII, la mitizzazione giunse ai fasti di papa Wojtyla, che si disse avesse sconfitto da solo il comunismo e che le folle plaudenti volevano “santo subito!”.
Ma è in Paolo VI che il mito giunse alla sua massima crisi. Egli se ne era fatto custode, quando al Vaticano II aveva imposto (e aggiunto in via “previa”) una sua interpretazione restrittiva al documento conciliare sulla collegialità episcopale, per toglierne qualsiasi ombra che potesse offuscare la dottrina del primato e scolorire la figura del papa; e il 1 settembre 1966 in una sosta ad Anagni dove Bonifacio VIII aveva ricevuto il mitico schiaffo francese, rivendicò i meriti di quel ruvido papa “che più degli altri aveva affermato la più piena e solenne autorità pontificia” nel quadro concettuale “dei due poteri, uno spirituale l’altro temporale” disposti però su una “scala dei valori” per cui lo spirituale doveva prevalere sugli altri, e infiammò i fedeli così: “Questa comunità (la Chiesa) è organizzata e non può vivere senza l’innervazione di una organizzazione precisa e potente che si chiama la Gerarchia. Figlioli miei, è la Gerarchia che vi sta parlando, è il Vicario di Cristo che oggi è davanti a voi… Posso domandarvi, figlioli carissimi, questa grazia che voi certamente non mi rifiutate: amate il Papa, amate il Papa, perché senza alcun suo merito e senza certamente alcuna sua ricerca gli è capitata questa strana singolare vocazione di rappresentare Nostro Signore. Non guardate a noi, guardate il Signore di cui rappresentiamo…”, e la frase non finì per gli applausi. Ed è certamente per la forte coscienza di questa rappresentanza ricapitolata in lui che papa Montini compì i suoi gesti più estremi, come la Humanae Vitae, disattesa dalla Chiesa, o la decapitazione e riduzione al silenzio della Chiesa di Bologna.
Ma il mito si rovescia in tragedia quando Aldo Moro, nonostante la supplica montiniana alle Brigate Rosse che lo hanno rapito, viene ucciso. E nella preghiera agli agghiaccianti funerali di Stato che Moro aveva detto di non volere, Paolo VI si mostra sgomento perché lo scambio con Dio non ha funzionato, e lo interpella con un lamento che assomiglia più al “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” di Gesù, che alle rimostranze di Giona a Dio che si era pentito di voler distruggere NInive e non l’aveva distrutta. In tale lamento Paolo VI rompe nel grido e nel pianto la sua voce e si duole, quasi incredulo, con Dio: “Tu, o Dio della vita e della morte, Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, quest’uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico”; e tanto ne fu il dolore, che dopo pochi mesi Paolo VI morì.
E infine giunge Benedetto XVI, “il papa teologo”, che pone soavemente l’atto più eversivo del mito, con le sue dimissioni da papa, demitizzando in tal modo il papato. E proprio da lì comincia la riforma della Chiesa.
Ma in quale direzione? La disputa intorno alla lettera di Ratzinger su Bergoglio è stata su chi fosse il papa più teologo, o sul negare che Francesco fosse teologo. L’errore di questa disputa stava nel presupposto secondo cui il necessario predicato del papa è “professione teologo”. Certo deve saperne di teologia, però la professione di Pietro non era teologo, ma pescatore. Così lo prese Gesù, e con lui anche gli altri. Del resto anche come pescatori lasciavano a desiderare, e se non era per Gesù che faceva gettare le reti e distribuire i pesci, le folle restavano digiune.
Il papa non è lo scienziato di Dio, ma ne è il messaggero. Il termine stesso “teologia” del resto è esagerato. Non c’è una “scienza” di Dio, Dio non si può racchiudere nella nostra conoscenza, non sta lì, sta “in una brezza leggera”. Dice il vangelo di Giovanni: Dio nessuno l’ha mai visto, è il Figlio che lo svela, che lo racconta, che ne fa “l’esegesi”. Dunque a rigore c’è un solo teologo, che è Gesù, come un solo maestro, che è lui.
Perciò papa Francesco non deve passare al vaglio di un’accademia, e non sono su questo piano la continuità e le differenze col suo predecessore. Per questo è così affascinante la domanda su chi è veramente Francesco, e per quale forza sta cambiando, presso l’uomo moderno, l’idea stessa di religione e l’immaginario di Dio.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Dal sito dell'Espresso:
Settimo Cielo di Sandro Magister
26 mar
Altro che continuità, qui c'è una voragine. La vera storia degli undici libretti
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*
A distanza di giorni è sempre più evidente che Francesco non ha affatto licenziato o punito monsignor Dario Edoardo Viganò, per come ha utilizzato la lettera che Benedetto XVI gli aveva scritto.
Al contrario, ne ha confermato e persino rafforzato i poteri, rinnovandogli esplicitamente il mandato di portare presto a termine l'accorpamento di tutti i media vaticani, compreso "L'Osservatore Romano", in un "unico sistema comunicativo" tutto controllato da lui, in filo diretto col papa e finalizzato a curarne l'immagine di pastore esemplare e ora anche di colto teologo.
L'operazione che ha fatto perno sulla lettera di Benedetto, infatti, è parte di questo disegno complessivo.
*
L'origine dell'operazione risale allo scorso autunno, quando Viganò porta alla testa della Libreria Editrice Vaticana un nuovo direttore, Giulio Cesareo, 39 anni, francescano, studi teologici a Friburgo, docente di teologia morale.
Il 12 ottobre 2017, giorno della nomina, i due sono alla Buchmesse di Francoforte. Viganò dichiara che il cambio di direttore della Libreria Editrice Vaticana "configura un nuovo tassello importante nel processo di riforma chiesto dal Santo Padre". Ed entrambi annunciano che il nuovo corso dell'editrice sarà inaugurato da una collana di undici volumetti di altrettanti autori, finalizzata a "mostrare la profondità delle radici teologiche del pensiero, dei gesti e del ministero di papa Francesco".
Nei giorni di Natale la collana esce nelle librerie di Roma. E tra gli autori compaiono nomi di spicco del campo teologico progressista, o comunque sostenitori del "cambio di paradigma" messo in moto da Francesco, come gli argentini Carlos Galli e Juan Carlos Scannone, i tedeschi Peter Hünermann e Jürgen Werbick, gli italiani Aristide Fumagalli, Piero Coda, Marinella Perroni e Roberto Repole, il gesuita sloveno Marko Ivan Rupnik, quest'ultimo apprezzato artista oltre che teologo, nonché da qualche tempo direttore spirituale dello stesso Viganò.
Nella scelta di questi autori, è particolarmente significativa quella di Hünermann. Ha due anni meno di Joseph Ratzinger e ne è stato per tutta la vita avversario irriducibile, tra l'altro sostenendo una strana tesi sulla natura del Concilio Vaticano II che lo stesso Ratzinger, divenuto papa col nome di Benedetto XVI, si sentì in dovere di citare e di confutare nel memorabile suo discorso del 22 dicembre di quello stesso anno, sulla retta interpretazione di quel Concilio.
Disse Benedetto, con un riferimento implicito a Hünermann che non sfuggì agli intenditori:
"[Da qualcuno] il Concilio viene considerato come una specie di costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore".
Quanto a Jorge Mario Bergoglio, Hünermann lo conosce fin dal lontano 1968, quando soggiornò per un periodo di studio a Buenos Aires nel collegio dei gesuiti. E con lui, divenuto papa, ha avuto un lungo colloquio a Santa Marta nel maggio del 2015, nell'intervallo tra i due sinodi su matrimonio e divorzio.
I particolari di questo colloquio Hünermann li ha riferiti in un'ampia intervista a "Commonweal" del 22 settembre 2016.
Sollecitato da amici latinoamericani di Bergoglio, Hünermann inviò al papa un rapporto scritto nel quale argomentava che nella teologia cattolica prima del Concilio di Trento, specie in Tommaso e Bonaventura, l'indissolubilità del matrimonio non fosse un assoluto, ma ne fosse ammessa la rottura. E così per l'assoluzione sacramentale dell'adulterio, anch'essa ammessa pur nel perdurare della relazione.
Nel successivo colloquio con papa Francesco i due parlarono di questo, in spagnolo, per un'ora. E poi venne, l'anno dopo, l'esortazione "Amoris laetitia", la quale, a detta di Hünermann, fece tesoro di questo suo contributo.
Ebbene, il 12 gennaio di quest'anno, appena passate le feste natalizie, Viganò invia a Benedetto XVI gli undici volumetti raccolti in un cofanetto, assieme a una lettera nella quale gli chiede di scrivere una presentazione degli stessi, elogiandone il contenuto e raccomandandone la lettura.
Di questa lettera di Viganò non si conosce il testo. Ma la sostanza di ciò che vi è scritto la si ricava dalla lettera di risposta di Benedetto XVI, in data 7 febbraio e questa, sì, divenuta successivamente nota.
È evidente l'intento della richiesta rivolta da Viganò al papa emerito. È quello di strappare al grande teologo Benedetto XVI la sua approvazione pubblica del "nuovo paradigma" del suo successore, così come illustrato, nei volumetti, da una schiera di teologi reclutati tra gli apologeti del nuovo corso.
Visti il contenuto e gli autori dei volumetti, l'improntitudine della richiesta fatta da Viganò a Benedetto XVI lascia allibiti.
È del tutto negativa, infatti, la risposta di Benedetto, nella lettera "personale riservata" da lui inviata a Viganò il 7 febbraio.
Il papa emerito rifiuta di scrivere sui volumetti la "breve e densa pagina teologica" che gli è stata richiesta. Dice che non li ha letti e che non li leggerà neanche in futuro. Esprime la sua "sorpresa" nel vedere tra gli autori prescelti "il professor Hünermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per aver capeggiato iniziative anti-papali".
Inoltre, nel rispondere a Viganò, Benedetto si sente in dovere di allontanare da sé lo "stolto pregiudizio" secondo cui egli sarebbe stato "unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi".
Così come è ingiusto, scrive, dire che "papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica e filosofica". Perché certamente, insiste, egli "è un uomo di profonda formazione teologica e filosofica".
Se si vuole riconoscere una "continuità" tra il suo pontificato e quello di Francesco, Benedetto XVI specifica che tale continuità è da ritenersi "interiore".
*
Il seguito è noto. La sera del 12 marzo, alla vigilia del quinto compleanno dell'elezione di papa Francesco e in occasione di un rilancio in pompa magna in Vaticano – con primo relatore il cardinale Walter Kasper – degli undici volumetti, Viganò distribuisce un comunicato stampa nel quale, della lettera di Benedetto XVI, cita soltanto le poche righe relative alla "profonda formazione teologica" di Bergoglio e alla continuità tra i due pontificati.
E inizialmente Viganò ottiene in pieno ciò che si prefigge, cioè un compatto coro di osanna, nei media soprattutto italiani, per la presunta adesione pubblica di Benedetto XVI al nuovo corso di papa Francesco.
Senonché l'indomani, 13 marzo, Settimo Cielo pubblica anche l'altro paragrafo della lettera di Benedetto, quello col suo rifiuto di leggere e scrivere alcunché di quei libretti, paragrafo anch'esso frettolosamente letto in pubblico da Viganò la sera prima, ma del tutto ignorato dalle due dozzine di giornalisti presenti.
Ed è tempesta. Perché dai media di tutto il mondo si rovescia ora su Viganò l'accusa di aver costruito e diffuso una "fake news" di gravità inaudita, non solo col comunicato stampa, ma anche con la foto ufficiale della lettera di Benedetto XVI, oscurata nelle sue righe più scomode.
La tempesta raggiunge il suo acme la mattina del 17 marzo, quando di nuovo Settimo Cielo anticipa l'ultimo paragrafo della lettera, quello con il riferimento a Hünermann.
Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, Viganò è quindi costretto a rendere pubblico il testo completo della lettera di Benedetto XVI.
Due giorni dopo, il 19 marzo, egli chiede per iscritto a papa Francesco di accogliere le sue dimissioni da prefetto della segreteria per la comunicazione.
E il 21 marzo Francesco le accoglie, sia pure, scrive, "non senza qualche fatica".
Le loro due lettere, in realtà, entrambe rese note a mezzogiorno del 21 marzo, non denotano il minimo cenno di ravvedimento per l'inaudita macchinazione compiuta ai danni di Benedetto XVI, che neppure viene nominato.
Viganò, nella sua lettera al papa, lamenta unicamente le "molte polemiche circa il mio operato che, al di là delle intenzioni, destabilizza il complesso e grande lavoro di riforma che Lei mi ha affidato".
E Francesco, nella sua lettera di risposta, preceduta da colloqui ed incontri personali tra i due, non fa altro che coprire Viganò di elogi per l'opera di riforma da lui compiuta fin lì, e gli riconferma il mandato di portarla a compimento, nel nuovo ruolo di "assessore" creato apposta per lui nella segreteria per la comunicazione.
*
Ma tornando alla lettera di Benedetto XVI del 7 febbraio, è utile esaminare più da vicino il suo riferimento a Hünermann.
Di lui egli scrive che "partecipò in misura rilevante al rilascio della 'Kölner Erklärung', che, in relazione all'enciclica 'Veritatis splendor', attaccò in modo virulento l'autorità magisteriale del papa specialmente su questioni di teologia morale".
In effetti, la "Dichiarazione di Colonia" fu un attacco frontale sferrato nel 1989 da numerosi teologi in prevalenza tedeschi contro l'insegnamento di Giovanni Paolo II e del suo prefetto di dottrina Joseph Ratzinger, soprattutto in materia di teologia morale.
A far da detonatore di quella protesta fu la nomina ad arcivescovo di Colonia del cardinale Joachim Meisner, lo stesso che nel 2016 è stato tra i firmatari dei "dubia" sottoposti a papa Francesco riguardo ad "Amoris laetitia" e sul quale nel 2017, nel giorno della sua sepoltura, Benedetto XVI ha scritto parole profonde e toccanti.
Tra i firmatari della "Dichiarazione di Colonia" c'era il Gotha del progressismo teologico, da Hans Küng a Bernhard Häring, da Edward Schillebeeckx a Johann Baptist Metz. E c'erano due degli autori degli odierni undici volumetti sulla teologia di papa Francesco: Hünermann e Werbick.
Alle tesi della "Dichiarazione di Colonia" Giovanni Paolo II reagì nel 1993 con l'enciclica "Veritatis splendor".
La quale però non è mai citata da Francesco in "Amoris laetitia". Mentre viceversa "Amoris laetitia", nei paragrafi 303-305, riprende e fa proprie alcune tesi della "Dichiarazione di Colonia", specie là dove, nel suo terzo e ultimo punto, questa assegna il giudizio nelle scelte morali alla coscienza e alla responsabilità dei singoli.
In quel medesimo terzo punto la "Dichiarazione di Colonia" attacca frontalmente l'enciclica di Paolo VI "Humanae vitae" e rivendica la liceità dei contraccettivi. E anche su questo punto il pontificato di Bergoglio si sta muovendo nella stessa direzione.
Al contrario, nel testo forse più ampio e meditato finora pubblicato da Benedetto XVI dopo la sua rinuncia al papato, in un volume a più voci del 2014 su Giovanni Paolo II, il papa emerito non esita a indicare proprio nella "Veritatis splendor" l'enciclica più cruciale di quel pontificato per il tempo presente. "Studiare e assimilare questa enciclica – conclude – rimane un grande e importante dovere".
Non è un caso che tre dei cinque "dubia" sottoposti a Francesco da alcuni cardinali nel 2016 vertano proprio sul rischio di abbandono dei fondamenti della dottrina morale ribaditi da "Veritatis splendor".
E nemmeno è un caso che Ratzinger abbia richiamato, nella sua lettera a Viganò, proprio la contestazione dei principi di "Veritatis splendor" da parte dei teologi della "Dichiarazione di Colonia", oggi riportati clamorosamente in auge da Francesco.
Un papa la cui "continuità" col predecessore davvero può essere, a questo punto, tutta e solo "interiore".
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POST SCRIPTUM – Il 25 marzo, in piazza San Pietro, nell'omelia della messa della domenica delle Palme, papa Francesco ha impartito questa lezione a chi costruisce una falsa notizia "nel passaggio dal fatto al resoconto":
"È la voce di chi manipola la realtà e crea una versione a proprio vantaggio e non ha problemi a 'incastrare' altri per cavarsela. È il grido di chi non ha scrupoli a cercare i mezzi per rafforzare sé stesso e mettere a tacere le voci dissonanti. È il grido che nasce dal 'truccare' la realtà".
Il papa ha detto ciò senza arrossire, come dimentico di ciò che è stato fatto pochi giorni prima in casa sua, col "resoconto" della lettera di Benedetto XVI.
Settimo Cielo di Sandro Magister
26 mar
Altro che continuità, qui c'è una voragine. La vera storia degli undici libretti
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A distanza di giorni è sempre più evidente che Francesco non ha affatto licenziato o punito monsignor Dario Edoardo Viganò, per come ha utilizzato la lettera che Benedetto XVI gli aveva scritto.
Al contrario, ne ha confermato e persino rafforzato i poteri, rinnovandogli esplicitamente il mandato di portare presto a termine l'accorpamento di tutti i media vaticani, compreso "L'Osservatore Romano", in un "unico sistema comunicativo" tutto controllato da lui, in filo diretto col papa e finalizzato a curarne l'immagine di pastore esemplare e ora anche di colto teologo.
L'operazione che ha fatto perno sulla lettera di Benedetto, infatti, è parte di questo disegno complessivo.
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L'origine dell'operazione risale allo scorso autunno, quando Viganò porta alla testa della Libreria Editrice Vaticana un nuovo direttore, Giulio Cesareo, 39 anni, francescano, studi teologici a Friburgo, docente di teologia morale.
Il 12 ottobre 2017, giorno della nomina, i due sono alla Buchmesse di Francoforte. Viganò dichiara che il cambio di direttore della Libreria Editrice Vaticana "configura un nuovo tassello importante nel processo di riforma chiesto dal Santo Padre". Ed entrambi annunciano che il nuovo corso dell'editrice sarà inaugurato da una collana di undici volumetti di altrettanti autori, finalizzata a "mostrare la profondità delle radici teologiche del pensiero, dei gesti e del ministero di papa Francesco".
Nei giorni di Natale la collana esce nelle librerie di Roma. E tra gli autori compaiono nomi di spicco del campo teologico progressista, o comunque sostenitori del "cambio di paradigma" messo in moto da Francesco, come gli argentini Carlos Galli e Juan Carlos Scannone, i tedeschi Peter Hünermann e Jürgen Werbick, gli italiani Aristide Fumagalli, Piero Coda, Marinella Perroni e Roberto Repole, il gesuita sloveno Marko Ivan Rupnik, quest'ultimo apprezzato artista oltre che teologo, nonché da qualche tempo direttore spirituale dello stesso Viganò.
Nella scelta di questi autori, è particolarmente significativa quella di Hünermann. Ha due anni meno di Joseph Ratzinger e ne è stato per tutta la vita avversario irriducibile, tra l'altro sostenendo una strana tesi sulla natura del Concilio Vaticano II che lo stesso Ratzinger, divenuto papa col nome di Benedetto XVI, si sentì in dovere di citare e di confutare nel memorabile suo discorso del 22 dicembre di quello stesso anno, sulla retta interpretazione di quel Concilio.
Disse Benedetto, con un riferimento implicito a Hünermann che non sfuggì agli intenditori:
"[Da qualcuno] il Concilio viene considerato come una specie di costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore".
Quanto a Jorge Mario Bergoglio, Hünermann lo conosce fin dal lontano 1968, quando soggiornò per un periodo di studio a Buenos Aires nel collegio dei gesuiti. E con lui, divenuto papa, ha avuto un lungo colloquio a Santa Marta nel maggio del 2015, nell'intervallo tra i due sinodi su matrimonio e divorzio.
I particolari di questo colloquio Hünermann li ha riferiti in un'ampia intervista a "Commonweal" del 22 settembre 2016.
Sollecitato da amici latinoamericani di Bergoglio, Hünermann inviò al papa un rapporto scritto nel quale argomentava che nella teologia cattolica prima del Concilio di Trento, specie in Tommaso e Bonaventura, l'indissolubilità del matrimonio non fosse un assoluto, ma ne fosse ammessa la rottura. E così per l'assoluzione sacramentale dell'adulterio, anch'essa ammessa pur nel perdurare della relazione.
Nel successivo colloquio con papa Francesco i due parlarono di questo, in spagnolo, per un'ora. E poi venne, l'anno dopo, l'esortazione "Amoris laetitia", la quale, a detta di Hünermann, fece tesoro di questo suo contributo.
Ebbene, il 12 gennaio di quest'anno, appena passate le feste natalizie, Viganò invia a Benedetto XVI gli undici volumetti raccolti in un cofanetto, assieme a una lettera nella quale gli chiede di scrivere una presentazione degli stessi, elogiandone il contenuto e raccomandandone la lettura.
Di questa lettera di Viganò non si conosce il testo. Ma la sostanza di ciò che vi è scritto la si ricava dalla lettera di risposta di Benedetto XVI, in data 7 febbraio e questa, sì, divenuta successivamente nota.
È evidente l'intento della richiesta rivolta da Viganò al papa emerito. È quello di strappare al grande teologo Benedetto XVI la sua approvazione pubblica del "nuovo paradigma" del suo successore, così come illustrato, nei volumetti, da una schiera di teologi reclutati tra gli apologeti del nuovo corso.
Visti il contenuto e gli autori dei volumetti, l'improntitudine della richiesta fatta da Viganò a Benedetto XVI lascia allibiti.
È del tutto negativa, infatti, la risposta di Benedetto, nella lettera "personale riservata" da lui inviata a Viganò il 7 febbraio.
Il papa emerito rifiuta di scrivere sui volumetti la "breve e densa pagina teologica" che gli è stata richiesta. Dice che non li ha letti e che non li leggerà neanche in futuro. Esprime la sua "sorpresa" nel vedere tra gli autori prescelti "il professor Hünermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per aver capeggiato iniziative anti-papali".
Inoltre, nel rispondere a Viganò, Benedetto si sente in dovere di allontanare da sé lo "stolto pregiudizio" secondo cui egli sarebbe stato "unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi".
Così come è ingiusto, scrive, dire che "papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica e filosofica". Perché certamente, insiste, egli "è un uomo di profonda formazione teologica e filosofica".
Se si vuole riconoscere una "continuità" tra il suo pontificato e quello di Francesco, Benedetto XVI specifica che tale continuità è da ritenersi "interiore".
*
Il seguito è noto. La sera del 12 marzo, alla vigilia del quinto compleanno dell'elezione di papa Francesco e in occasione di un rilancio in pompa magna in Vaticano – con primo relatore il cardinale Walter Kasper – degli undici volumetti, Viganò distribuisce un comunicato stampa nel quale, della lettera di Benedetto XVI, cita soltanto le poche righe relative alla "profonda formazione teologica" di Bergoglio e alla continuità tra i due pontificati.
E inizialmente Viganò ottiene in pieno ciò che si prefigge, cioè un compatto coro di osanna, nei media soprattutto italiani, per la presunta adesione pubblica di Benedetto XVI al nuovo corso di papa Francesco.
Senonché l'indomani, 13 marzo, Settimo Cielo pubblica anche l'altro paragrafo della lettera di Benedetto, quello col suo rifiuto di leggere e scrivere alcunché di quei libretti, paragrafo anch'esso frettolosamente letto in pubblico da Viganò la sera prima, ma del tutto ignorato dalle due dozzine di giornalisti presenti.
Ed è tempesta. Perché dai media di tutto il mondo si rovescia ora su Viganò l'accusa di aver costruito e diffuso una "fake news" di gravità inaudita, non solo col comunicato stampa, ma anche con la foto ufficiale della lettera di Benedetto XVI, oscurata nelle sue righe più scomode.
La tempesta raggiunge il suo acme la mattina del 17 marzo, quando di nuovo Settimo Cielo anticipa l'ultimo paragrafo della lettera, quello con il riferimento a Hünermann.
Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno, Viganò è quindi costretto a rendere pubblico il testo completo della lettera di Benedetto XVI.
Due giorni dopo, il 19 marzo, egli chiede per iscritto a papa Francesco di accogliere le sue dimissioni da prefetto della segreteria per la comunicazione.
E il 21 marzo Francesco le accoglie, sia pure, scrive, "non senza qualche fatica".
Le loro due lettere, in realtà, entrambe rese note a mezzogiorno del 21 marzo, non denotano il minimo cenno di ravvedimento per l'inaudita macchinazione compiuta ai danni di Benedetto XVI, che neppure viene nominato.
Viganò, nella sua lettera al papa, lamenta unicamente le "molte polemiche circa il mio operato che, al di là delle intenzioni, destabilizza il complesso e grande lavoro di riforma che Lei mi ha affidato".
E Francesco, nella sua lettera di risposta, preceduta da colloqui ed incontri personali tra i due, non fa altro che coprire Viganò di elogi per l'opera di riforma da lui compiuta fin lì, e gli riconferma il mandato di portarla a compimento, nel nuovo ruolo di "assessore" creato apposta per lui nella segreteria per la comunicazione.
*
Ma tornando alla lettera di Benedetto XVI del 7 febbraio, è utile esaminare più da vicino il suo riferimento a Hünermann.
Di lui egli scrive che "partecipò in misura rilevante al rilascio della 'Kölner Erklärung', che, in relazione all'enciclica 'Veritatis splendor', attaccò in modo virulento l'autorità magisteriale del papa specialmente su questioni di teologia morale".
In effetti, la "Dichiarazione di Colonia" fu un attacco frontale sferrato nel 1989 da numerosi teologi in prevalenza tedeschi contro l'insegnamento di Giovanni Paolo II e del suo prefetto di dottrina Joseph Ratzinger, soprattutto in materia di teologia morale.
A far da detonatore di quella protesta fu la nomina ad arcivescovo di Colonia del cardinale Joachim Meisner, lo stesso che nel 2016 è stato tra i firmatari dei "dubia" sottoposti a papa Francesco riguardo ad "Amoris laetitia" e sul quale nel 2017, nel giorno della sua sepoltura, Benedetto XVI ha scritto parole profonde e toccanti.
Tra i firmatari della "Dichiarazione di Colonia" c'era il Gotha del progressismo teologico, da Hans Küng a Bernhard Häring, da Edward Schillebeeckx a Johann Baptist Metz. E c'erano due degli autori degli odierni undici volumetti sulla teologia di papa Francesco: Hünermann e Werbick.
Alle tesi della "Dichiarazione di Colonia" Giovanni Paolo II reagì nel 1993 con l'enciclica "Veritatis splendor".
La quale però non è mai citata da Francesco in "Amoris laetitia". Mentre viceversa "Amoris laetitia", nei paragrafi 303-305, riprende e fa proprie alcune tesi della "Dichiarazione di Colonia", specie là dove, nel suo terzo e ultimo punto, questa assegna il giudizio nelle scelte morali alla coscienza e alla responsabilità dei singoli.
In quel medesimo terzo punto la "Dichiarazione di Colonia" attacca frontalmente l'enciclica di Paolo VI "Humanae vitae" e rivendica la liceità dei contraccettivi. E anche su questo punto il pontificato di Bergoglio si sta muovendo nella stessa direzione.
Al contrario, nel testo forse più ampio e meditato finora pubblicato da Benedetto XVI dopo la sua rinuncia al papato, in un volume a più voci del 2014 su Giovanni Paolo II, il papa emerito non esita a indicare proprio nella "Veritatis splendor" l'enciclica più cruciale di quel pontificato per il tempo presente. "Studiare e assimilare questa enciclica – conclude – rimane un grande e importante dovere".
Non è un caso che tre dei cinque "dubia" sottoposti a Francesco da alcuni cardinali nel 2016 vertano proprio sul rischio di abbandono dei fondamenti della dottrina morale ribaditi da "Veritatis splendor".
E nemmeno è un caso che Ratzinger abbia richiamato, nella sua lettera a Viganò, proprio la contestazione dei principi di "Veritatis splendor" da parte dei teologi della "Dichiarazione di Colonia", oggi riportati clamorosamente in auge da Francesco.
Un papa la cui "continuità" col predecessore davvero può essere, a questo punto, tutta e solo "interiore".
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POST SCRIPTUM – Il 25 marzo, in piazza San Pietro, nell'omelia della messa della domenica delle Palme, papa Francesco ha impartito questa lezione a chi costruisce una falsa notizia "nel passaggio dal fatto al resoconto":
"È la voce di chi manipola la realtà e crea una versione a proprio vantaggio e non ha problemi a 'incastrare' altri per cavarsela. È il grido di chi non ha scrupoli a cercare i mezzi per rafforzare sé stesso e mettere a tacere le voci dissonanti. È il grido che nasce dal 'truccare' la realtà".
Il papa ha detto ciò senza arrossire, come dimentico di ciò che è stato fatto pochi giorni prima in casa sua, col "resoconto" della lettera di Benedetto XVI.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
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Odifreddi: Scalfari e il Papa, Repubblica stampa fake news
Scritto il 03/4/18 • nella Categoria: idee Condividi Tweet
Oggi è la Giornata Mondiale del Fact Checking, e vale la pena soffermarsi su una straordinaria serie di fake news diffuse da Eugenio Scalfari negli anni scorsi a proposito di papa Francesco, l’ultima delle quali risale a pochi giorni fa. Com’è ormai noto urbi et orbi, Scalfari ha ricevuto nel settembre 2013 una lettera dal nuovo papa. Fino a quel momento, per chi avesse seguito anche solo di lontano la cronaca argentina, Bergoglio era un conservatore medievale, che nel 2010 aveva scandalizzato il proprio paese con le proprie anacronistiche prese di posizione contro la proposta di legge sui matrimoni omosessuali, riuscendo nell’ardua (e meritoria) impresa di coalizzare contro di sé un fronte moderato che fece approvare in Argentina quella legge, ben più avanzata delle timidi disposizioni sulle unioni civili approvate nel 2016 in Italia. Dopo la sua lettera a Scalfari, papa Francesco si è trasformato per lui, e di riflesso anche per “Repubblica”, in un progressista rivoluzionario, che costituirebbe l’unico punto di riferimento non solo religioso, ma anche politico, degli uomini di buona volontà del mondo intero, oltre che il papa più avanzato che si sia mai seduto sul trono di Pietro dopo il fondatore stesso.
Fin qui tutto bene, o quasi: in fondo, chiunque ha diritto di abiurare il proprio passato di “uomo che non credeva in Dio” e diventare “l’uomo che adorava il papa”, andando a ingrossare le nutrite fila degli atei devoti, o in ginocchio, del nostro paese. Il fatto è che Scalfari non si è limitato alle proprie abiure personali, ma ha incominciato a inventare notizie su papa Francesco, facendole passare per fatti: a produrre, cioè, appunto delle fake news. In particolare, l’ha fatto in tre “interviste” pubblicate su “Repubblica” il 1° ottobre 2013, il 13 luglio 2014 e il 27 marzo 2018, costringendo altrettante volte il portavoce del papa a smentire ufficialmente che i virgolettati del giornalista corrispondessero a cose dette da Bergoglio. Addirittura, la prima intervista è stata rimossa dal sito del Vaticano, dove inizialmente era stata apposta quando si pensava fosse autentica. Le interviste iniziano pretendendo che gli incontri con Scalfari siano sempre scaturiti da improbabili inviti di Bergoglio. E continuano attribuendo al papa impossibili affermazioni, dalla descrizione della meditazione del neo-eletto Francesco nell’inesistente «stanza accanto a quella con il balcone che dà su Piazza San Pietro» (una scena probabilmente mutuata da “Habemus Papam” di Moretti), all’ultima novità che secondo il papa l’Inferno non esiste.
Quando, travolto dallo scandalo internazionale seguìto alla prima intervista, Scalfari ha dovuto fare ammenda il 21 novembre 2013 in un incontro con la stampa estera, ha soltanto peggiorato le cose. Ha infatti sostenuto che in tutte le sue interviste lui si presenta senza taccuini o registratori, e in seguito riporta la conversazione non letteralmente, ma con parole sue. In particolare, ha confessato, «alcune delle cose che il papa ha detto non le ho riferite, e alcune di quelle che ho riferite non le ha dette». Ma se le fake news sono appunto opinioni riportate come fatti, o falsità riportate come verità, Scalfari le diffonde dunque sistematicamente. Il che solleva due problemi al riguardo, riguardanti il primo Bergoglio, e il secondo “Repubblica”. Il primo problema è perché mai il papa continui a incontrare Scalfari, che non solo diffonde pubblicamente i loro colloqui privati, ma li travisa sistematicamente attribuendogli affermazioni che, facendo scandalo, devono poi essere ufficialmente ritrattate. Sicuramente Bergoglio non è un intellettuale raffinato: l’operazione (fallita) di pochi giorni fa, di cercare di farlo passare ufficialmente per un gran pensatore, suona appunto come un’excusatio non petita al proposito, e non avrebbe avuto senso per il ben più attrezzato Ratzinger (il quale tra l’altro se n’è dissociato, con le note conseguenze).
L’avventatezza di papa Francesco l’ha portato a circondarsi autolesionisticamente di una variopinta corte dei miracoli, dal cardinal Pell alla signora Chaouqui, e Scalfari è forse soltanto l’ennesimo errore di valutazione caratteriale da parte di un papa che non si è rivelato più adeguato del suo predecessore ai compiti amministrativi. Non bisogna però dimenticare che Bergoglio è comunque un gesuita, che potrebbe nascondere parecchia furbizia dietro la propria apparente banalità. In fondo, un minimo di blandizia esercitato nei confronti di un ego ipertrofico gli ha procurato e gli mantiene l’aperto supporto di uno dei due maggiori quotidiani italiani, che è passato da una posizione sostanzialmente laica a una palesemente filovaticana. Se da un lato Bergoglio può ridersela sotto i baffi dell’ingenuità di uno Scalfari, che gli propone di beatificare uno sbeffeggiatore dei gesuiti come Pascal, dall’altro lato può incassare le omelie di un Alberto Melloni, che dal 2016 ha trovato in “Repubblica” un pulpito dal quale appoggiare le politiche papali con ben maggior raffinatezza, anche se non con minore eccesso di entusiasmo. A little goes a long way, si direbbe nel latino moderno.
Rimane il secondo problema, che è perché mai “Repubblica” non metta un freno alle fake news di Scalfari, e finga anzi addirittura di non accorgersene, quando tutto il resto del mondo ne parla e se ne scandalizza. In fondo, si tratta di un giornale che recentemente, e inusitatamente, ha preso per ben due volte in prima pagina le distanze dalle opinioni soggettive del proprio ex editore-proprietario ma che non dice una parola sulle ben più gravi e ripetute scivolate oggettive del proprio fondatore. Io capisco di giornalismo meno ancora che di religione, ma la mia impressione è che in fondo ai giornali della verità non importi nulla. La maggior parte delle notizie che si stampano, o che si leggono sui siti, sono ovviamente delle fake news: non solo quelle sulla religione e sulla politica, che sono ambiti nei quali impera il detto di Nietzsche «non ci sono fatti, solo interpretazioni», ma anche quelle sulla scienza, dove ad attrarre l’attenzione sono quasi sempre e quasi solo le bufale.
Alla maggior parte dei giornalisti e dei giornali non interessano le verità, ma gli scoop: cioè, le notizie che facciano parlare la maggior parte degli altri giornalisti e degli altri giornali. E se una notizia falsa fa parlare più di una vera, allora serve più quella di questa. Dire che il papa crede all’esistenza dell’Inferno è ovviamente una notizia vera, ma sbattuta in prima pagina lascerebbe indifferenti la maggior parte dei giornalisti e dei giornali. Per questo Scalfari scrive, e Repubblica pubblica, che il papa non crede all’Inferno: perché altri giornalisti e altri giornali lo rimbalzino per l’intero mondo. Il vero problema è perché mai certe cose dovrebbero leggerle i lettori. Che infatti spesso non leggono le fake news, e a volte alla fine smettono di leggere anche il giornale intero. Forse la meditazione sul perché i giornali perdono copie potrebbe anche partite da qui, nella Giornata Mondiale del Fact Checking.
(Piergiorgio Odifreddi, “Le fake news di Scalfari su papa Francesco”, dal blog di Odifreddi su “Repubblica” del 2 aprile 2018).
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Odifreddi: Scalfari e il Papa, Repubblica stampa fake news
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Oggi è la Giornata Mondiale del Fact Checking, e vale la pena soffermarsi su una straordinaria serie di fake news diffuse da Eugenio Scalfari negli anni scorsi a proposito di papa Francesco, l’ultima delle quali risale a pochi giorni fa. Com’è ormai noto urbi et orbi, Scalfari ha ricevuto nel settembre 2013 una lettera dal nuovo papa. Fino a quel momento, per chi avesse seguito anche solo di lontano la cronaca argentina, Bergoglio era un conservatore medievale, che nel 2010 aveva scandalizzato il proprio paese con le proprie anacronistiche prese di posizione contro la proposta di legge sui matrimoni omosessuali, riuscendo nell’ardua (e meritoria) impresa di coalizzare contro di sé un fronte moderato che fece approvare in Argentina quella legge, ben più avanzata delle timidi disposizioni sulle unioni civili approvate nel 2016 in Italia. Dopo la sua lettera a Scalfari, papa Francesco si è trasformato per lui, e di riflesso anche per “Repubblica”, in un progressista rivoluzionario, che costituirebbe l’unico punto di riferimento non solo religioso, ma anche politico, degli uomini di buona volontà del mondo intero, oltre che il papa più avanzato che si sia mai seduto sul trono di Pietro dopo il fondatore stesso.
Fin qui tutto bene, o quasi: in fondo, chiunque ha diritto di abiurare il proprio passato di “uomo che non credeva in Dio” e diventare “l’uomo che adorava il papa”, andando a ingrossare le nutrite fila degli atei devoti, o in ginocchio, del nostro paese. Il fatto è che Scalfari non si è limitato alle proprie abiure personali, ma ha incominciato a inventare notizie su papa Francesco, facendole passare per fatti: a produrre, cioè, appunto delle fake news. In particolare, l’ha fatto in tre “interviste” pubblicate su “Repubblica” il 1° ottobre 2013, il 13 luglio 2014 e il 27 marzo 2018, costringendo altrettante volte il portavoce del papa a smentire ufficialmente che i virgolettati del giornalista corrispondessero a cose dette da Bergoglio. Addirittura, la prima intervista è stata rimossa dal sito del Vaticano, dove inizialmente era stata apposta quando si pensava fosse autentica. Le interviste iniziano pretendendo che gli incontri con Scalfari siano sempre scaturiti da improbabili inviti di Bergoglio. E continuano attribuendo al papa impossibili affermazioni, dalla descrizione della meditazione del neo-eletto Francesco nell’inesistente «stanza accanto a quella con il balcone che dà su Piazza San Pietro» (una scena probabilmente mutuata da “Habemus Papam” di Moretti), all’ultima novità che secondo il papa l’Inferno non esiste.
Quando, travolto dallo scandalo internazionale seguìto alla prima intervista, Scalfari ha dovuto fare ammenda il 21 novembre 2013 in un incontro con la stampa estera, ha soltanto peggiorato le cose. Ha infatti sostenuto che in tutte le sue interviste lui si presenta senza taccuini o registratori, e in seguito riporta la conversazione non letteralmente, ma con parole sue. In particolare, ha confessato, «alcune delle cose che il papa ha detto non le ho riferite, e alcune di quelle che ho riferite non le ha dette». Ma se le fake news sono appunto opinioni riportate come fatti, o falsità riportate come verità, Scalfari le diffonde dunque sistematicamente. Il che solleva due problemi al riguardo, riguardanti il primo Bergoglio, e il secondo “Repubblica”. Il primo problema è perché mai il papa continui a incontrare Scalfari, che non solo diffonde pubblicamente i loro colloqui privati, ma li travisa sistematicamente attribuendogli affermazioni che, facendo scandalo, devono poi essere ufficialmente ritrattate. Sicuramente Bergoglio non è un intellettuale raffinato: l’operazione (fallita) di pochi giorni fa, di cercare di farlo passare ufficialmente per un gran pensatore, suona appunto come un’excusatio non petita al proposito, e non avrebbe avuto senso per il ben più attrezzato Ratzinger (il quale tra l’altro se n’è dissociato, con le note conseguenze).
L’avventatezza di papa Francesco l’ha portato a circondarsi autolesionisticamente di una variopinta corte dei miracoli, dal cardinal Pell alla signora Chaouqui, e Scalfari è forse soltanto l’ennesimo errore di valutazione caratteriale da parte di un papa che non si è rivelato più adeguato del suo predecessore ai compiti amministrativi. Non bisogna però dimenticare che Bergoglio è comunque un gesuita, che potrebbe nascondere parecchia furbizia dietro la propria apparente banalità. In fondo, un minimo di blandizia esercitato nei confronti di un ego ipertrofico gli ha procurato e gli mantiene l’aperto supporto di uno dei due maggiori quotidiani italiani, che è passato da una posizione sostanzialmente laica a una palesemente filovaticana. Se da un lato Bergoglio può ridersela sotto i baffi dell’ingenuità di uno Scalfari, che gli propone di beatificare uno sbeffeggiatore dei gesuiti come Pascal, dall’altro lato può incassare le omelie di un Alberto Melloni, che dal 2016 ha trovato in “Repubblica” un pulpito dal quale appoggiare le politiche papali con ben maggior raffinatezza, anche se non con minore eccesso di entusiasmo. A little goes a long way, si direbbe nel latino moderno.
Rimane il secondo problema, che è perché mai “Repubblica” non metta un freno alle fake news di Scalfari, e finga anzi addirittura di non accorgersene, quando tutto il resto del mondo ne parla e se ne scandalizza. In fondo, si tratta di un giornale che recentemente, e inusitatamente, ha preso per ben due volte in prima pagina le distanze dalle opinioni soggettive del proprio ex editore-proprietario ma che non dice una parola sulle ben più gravi e ripetute scivolate oggettive del proprio fondatore. Io capisco di giornalismo meno ancora che di religione, ma la mia impressione è che in fondo ai giornali della verità non importi nulla. La maggior parte delle notizie che si stampano, o che si leggono sui siti, sono ovviamente delle fake news: non solo quelle sulla religione e sulla politica, che sono ambiti nei quali impera il detto di Nietzsche «non ci sono fatti, solo interpretazioni», ma anche quelle sulla scienza, dove ad attrarre l’attenzione sono quasi sempre e quasi solo le bufale.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
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9 apr 2018 16:58
BERGOGLIO RISPONDE A CHI LO ACCUSA DI ESSERE UN PAPA MARXISTA PER LA SUA ATTENZIONE A POVERI E MIGRANTI: “L’ATTEGGIAMENTO CHE SI ADDICE A UN CRISTIANO E’ QUELLO DI METTERSI NEI PANNI DI UN FRATELLO CHE RISCHIA LA VITA PER DARE UN FUTURO AI SUOI FIGLI”
- “E’ NOCIVO DIFFIDARE DALL’IMPEGNO SOCIALE DEGLI ALTRI CONSIDERANDOLO COMUNISTA O POPULISTA” -
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 171120.htm
Francesco Antonio Grana per https://www.ilfattoquotidiano.it
bergoglio bergoglio
“Nocivo e ideologico è anche l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una ragione che essi difendono”. Papa Francesco risponde così, nella sua esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, intitolata Gaudete et exsultate, a chi lo accusa di essere comunista per il suo costante impegno in favore dei profughi.
Un impegno che, secondo i suoi critici più accesi nel mondo cattolico, andrebbe a discapito dei cosiddetti “valori non negoziabili”, ovvero quelli che riguardano la sfera bioetica.
PAPA BERGOGLIO E LA LAVANDA DEI PIEDI NEL CARCERE DI REGINA COELI PAPA BERGOGLIO E LA LAVANDA DEI PIEDI NEL CARCERE DI REGINA COELI
“Spesso – scrive il Papa – si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi ‘seri’ della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli”. “Non si tratta – precisa Francesco – dell’invenzione di un Papa o di un delirio passeggero”.
Nella sua esortazione Bergoglio spiega con chiarezza che la difesa della vita in tutte le sue forme, ovvero il contrasto all’aborto e all’eutanasia, va di pari passi con l’attenzione ai poveri, a coloro che egli definisce “gli scartatati della società”. Una risposta netta al mondo pro life che in questi primi cinque anni di pontificato ha ripetutamente preso di mira Francesco reo di aver cancellato la battaglia sui “valori non negoziabili” condotta da Benedetto XVI e dagli ex presidenti della Cei, i cardinali Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.
PAPA BERGOGLIO E LA LAVANDA DEI PIEDI NEL CARCERE DI REGINA COELI PAPA BERGOGLIO E LA LAVANDA DEI PIEDI NEL CARCERE DI REGINA COELI
“La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, – scrive Bergoglio – deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto.
Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo, dove alcuni festeggiano, spendono allegramente e riducono la propria vita alle novità del consumo, mentre altri guardano solo da fuori e intanto la loro vita passa e finisce miseramente”.
PAPA BERGOGLIO CON IL CAPPELLO ANDINO PAPA BERGOGLIO CON IL CAPPELLO ANDINO
Il Papa propone un vero e proprio esame di coscienza: “Quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda, posso sentire che questo fagotto è un imprevisto che mi intralcia, un delinquente ozioso, un ostacolo sul mio cammino, un pungiglione molesto per la mia coscienza, un problema che devono risolvere i politici, e forse anche un’immondizia che sporca lo spazio pubblico.
Oppure posso reagire a partire dalla fede e dalla carità e riconoscere in lui un essere umano con la mia stessa dignità, una creatura infinitamente amata dal Padre, un’immagine di Dio, un fratello redento da Cristo. Questo è essere cristiani! O si può forse intendere la santità prescindendo da questo riconoscimento vivo della dignità di ogni essere umano?”.
PAPA BERGOGLIO IN CILE PAPA BERGOGLIO IN CILE
Dopo le encicliche Lumen fidei, scritta a quattro mani con Benedetto XVI, e Laudato si’ e le esortazioni apostoliche Evangelii gaudium e Amoris laetitia, Gaudete et exsultate viene pubblicata all’inizio del sesto anno di pontificato di Francesco. Un anno che è iniziato con grandi difficoltà dopo le dimissioni dell’ex prefetto della Segreteria per la comunicazione, monsignor Dario Edoardo Viganò, reo di aver taroccato una lettera di Benedetto XVI; il processo per pedofilia a cui è sottoposto in Australia il prefetto della Segreteria per l’economia, il cardinale George Pell; e il procedimento contro monsignor Carlo Alberto Capella, ex consigliere della nunziatura della Santa Sede negli Usa, indagato per pedopornografia e attualmente detenuto in una cella in Vaticano.
papa bergoglio in bangladesh 8 papa bergoglio in bangladesh 8
Forse non è un caso che Francesco sottolinea che “per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi”, precisando che “non tutto quello che dice un santo è pienamente fedele al Vangelo, non tutto quello che fa è autentico e perfetto. Ciò che bisogna contemplare è l’insieme della sua vita, il suo intero cammino di santificazione”.
Il Papa non nasconde che “ci sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore.
papa bergoglio in bangladesh 11 papa bergoglio in bangladesh 11
Si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale.
In questo alcuni cristiani spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo Spirito sulla via dell’amore, invece di appassionarsi per comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo e di cercare i lontani nelle immense moltitudini assetate di Cristo”.
papa bergoglio al centro profughi di bologna papa bergoglio al centro profughi di bologna
Bergoglio non nasconde che “molte volte, contro l’impulso dello Spirito, la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi. Questo accade quando alcuni gruppi cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme proprie, di costumi o stili. In questo modo, spesso si riduce e si reprime il Vangelo, togliendogli la sua affascinante semplicità e il suo sapore. È forse una forma sottile di pelagianesimo, perché sembra sottomettere la vita della grazia a certe strutture umane. Questo riguarda gruppi, movimenti e comunità, ed è ciò che spiega perché tante volte iniziano con un’intensa vita nello Spirito, ma poi finiscono fossilizzati o corrotti”.
Per il Papa, infatti, “la giustizia che propone Gesù non è come quella che cerca il mondo, molte volte macchiata da interessi meschini, manipolata da un lato o dall’altro. La realtà ci mostra quanto sia facile entrare nelle combriccole della corruzione, far parte di quella politica quotidiana del ‘do perché mi diano’, in cui tutto è commercio.
papa bergoglio al centro profughi di bologna 6 papa bergoglio al centro profughi di bologna 6
E quanta gente soffre per le ingiustizie, quanti restano ad osservare impotenti come gli altri si danno il cambio a spartirsi la torta della vita. Alcuni rinunciano a lottare per la vera giustizia e scelgono di salire sul carro del vincitore. Questo non ha nulla a che vedere con la fame e la sete di giustizia che Gesù elogia”.
Francesco mette in guardia anche da un altro pericolo: “Il consumismo edonista può giocarci un brutto tiro, perché nell’ossessione di divertirsi finiamo con l’essere eccessivamente concentrati su noi stessi, sui nostri diritti e nell’esasperazione di avere tempo libero per godersi la vita.
papa bergoglio al centro profughi di bologna 4 papa bergoglio al centro profughi di bologna 4
Sarà difficile che ci impegniamo e dedichiamo energie a dare una mano a chi sta male se non coltiviamo una certa austerità, se non lottiamo contro questa febbre che ci impone la società dei consumi per venderci cose, e che alla fine ci trasforma in poveri insoddisfatti che vogliono avere tutto e provare tutto.
Anche il consumo di informazione superficiale e le forme di comunicazione rapida e virtuale possono essere un fattore di stordimento che si porta via tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli”. Da qui la denuncia del Papa che “anche i cristiani possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale.
papa bergoglio al centro profughi di bologna 5 papa bergoglio al centro profughi di bologna 5
Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia, e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui. Così si verifica un pericoloso dualismo, perché in queste reti si dicono cose che non sarebbero tollerabili nella vita pubblica, e si cerca di compensare le proprie insoddisfazioni scaricando con rabbia i desideri di vendetta”.
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9 apr 2018 16:58
BERGOGLIO RISPONDE A CHI LO ACCUSA DI ESSERE UN PAPA MARXISTA PER LA SUA ATTENZIONE A POVERI E MIGRANTI: “L’ATTEGGIAMENTO CHE SI ADDICE A UN CRISTIANO E’ QUELLO DI METTERSI NEI PANNI DI UN FRATELLO CHE RISCHIA LA VITA PER DARE UN FUTURO AI SUOI FIGLI”
- “E’ NOCIVO DIFFIDARE DALL’IMPEGNO SOCIALE DEGLI ALTRI CONSIDERANDOLO COMUNISTA O POPULISTA” -
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 171120.htm
Francesco Antonio Grana per https://www.ilfattoquotidiano.it
bergoglio bergoglio
“Nocivo e ideologico è anche l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una ragione che essi difendono”. Papa Francesco risponde così, nella sua esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, intitolata Gaudete et exsultate, a chi lo accusa di essere comunista per il suo costante impegno in favore dei profughi.
Un impegno che, secondo i suoi critici più accesi nel mondo cattolico, andrebbe a discapito dei cosiddetti “valori non negoziabili”, ovvero quelli che riguardano la sfera bioetica.
PAPA BERGOGLIO E LA LAVANDA DEI PIEDI NEL CARCERE DI REGINA COELI PAPA BERGOGLIO E LA LAVANDA DEI PIEDI NEL CARCERE DI REGINA COELI
“Spesso – scrive il Papa – si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi ‘seri’ della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli”. “Non si tratta – precisa Francesco – dell’invenzione di un Papa o di un delirio passeggero”.
Nella sua esortazione Bergoglio spiega con chiarezza che la difesa della vita in tutte le sue forme, ovvero il contrasto all’aborto e all’eutanasia, va di pari passi con l’attenzione ai poveri, a coloro che egli definisce “gli scartatati della società”. Una risposta netta al mondo pro life che in questi primi cinque anni di pontificato ha ripetutamente preso di mira Francesco reo di aver cancellato la battaglia sui “valori non negoziabili” condotta da Benedetto XVI e dagli ex presidenti della Cei, i cardinali Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.
PAPA BERGOGLIO E LA LAVANDA DEI PIEDI NEL CARCERE DI REGINA COELI PAPA BERGOGLIO E LA LAVANDA DEI PIEDI NEL CARCERE DI REGINA COELI
“La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, – scrive Bergoglio – deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto.
Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo, dove alcuni festeggiano, spendono allegramente e riducono la propria vita alle novità del consumo, mentre altri guardano solo da fuori e intanto la loro vita passa e finisce miseramente”.
PAPA BERGOGLIO CON IL CAPPELLO ANDINO PAPA BERGOGLIO CON IL CAPPELLO ANDINO
Il Papa propone un vero e proprio esame di coscienza: “Quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda, posso sentire che questo fagotto è un imprevisto che mi intralcia, un delinquente ozioso, un ostacolo sul mio cammino, un pungiglione molesto per la mia coscienza, un problema che devono risolvere i politici, e forse anche un’immondizia che sporca lo spazio pubblico.
Oppure posso reagire a partire dalla fede e dalla carità e riconoscere in lui un essere umano con la mia stessa dignità, una creatura infinitamente amata dal Padre, un’immagine di Dio, un fratello redento da Cristo. Questo è essere cristiani! O si può forse intendere la santità prescindendo da questo riconoscimento vivo della dignità di ogni essere umano?”.
PAPA BERGOGLIO IN CILE PAPA BERGOGLIO IN CILE
Dopo le encicliche Lumen fidei, scritta a quattro mani con Benedetto XVI, e Laudato si’ e le esortazioni apostoliche Evangelii gaudium e Amoris laetitia, Gaudete et exsultate viene pubblicata all’inizio del sesto anno di pontificato di Francesco. Un anno che è iniziato con grandi difficoltà dopo le dimissioni dell’ex prefetto della Segreteria per la comunicazione, monsignor Dario Edoardo Viganò, reo di aver taroccato una lettera di Benedetto XVI; il processo per pedofilia a cui è sottoposto in Australia il prefetto della Segreteria per l’economia, il cardinale George Pell; e il procedimento contro monsignor Carlo Alberto Capella, ex consigliere della nunziatura della Santa Sede negli Usa, indagato per pedopornografia e attualmente detenuto in una cella in Vaticano.
papa bergoglio in bangladesh 8 papa bergoglio in bangladesh 8
Forse non è un caso che Francesco sottolinea che “per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi”, precisando che “non tutto quello che dice un santo è pienamente fedele al Vangelo, non tutto quello che fa è autentico e perfetto. Ciò che bisogna contemplare è l’insieme della sua vita, il suo intero cammino di santificazione”.
Il Papa non nasconde che “ci sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore.
papa bergoglio in bangladesh 11 papa bergoglio in bangladesh 11
Si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale.
In questo alcuni cristiani spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo Spirito sulla via dell’amore, invece di appassionarsi per comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo e di cercare i lontani nelle immense moltitudini assetate di Cristo”.
papa bergoglio al centro profughi di bologna papa bergoglio al centro profughi di bologna
Bergoglio non nasconde che “molte volte, contro l’impulso dello Spirito, la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi. Questo accade quando alcuni gruppi cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme proprie, di costumi o stili. In questo modo, spesso si riduce e si reprime il Vangelo, togliendogli la sua affascinante semplicità e il suo sapore. È forse una forma sottile di pelagianesimo, perché sembra sottomettere la vita della grazia a certe strutture umane. Questo riguarda gruppi, movimenti e comunità, ed è ciò che spiega perché tante volte iniziano con un’intensa vita nello Spirito, ma poi finiscono fossilizzati o corrotti”.
Per il Papa, infatti, “la giustizia che propone Gesù non è come quella che cerca il mondo, molte volte macchiata da interessi meschini, manipolata da un lato o dall’altro. La realtà ci mostra quanto sia facile entrare nelle combriccole della corruzione, far parte di quella politica quotidiana del ‘do perché mi diano’, in cui tutto è commercio.
papa bergoglio al centro profughi di bologna 6 papa bergoglio al centro profughi di bologna 6
E quanta gente soffre per le ingiustizie, quanti restano ad osservare impotenti come gli altri si danno il cambio a spartirsi la torta della vita. Alcuni rinunciano a lottare per la vera giustizia e scelgono di salire sul carro del vincitore. Questo non ha nulla a che vedere con la fame e la sete di giustizia che Gesù elogia”.
Francesco mette in guardia anche da un altro pericolo: “Il consumismo edonista può giocarci un brutto tiro, perché nell’ossessione di divertirsi finiamo con l’essere eccessivamente concentrati su noi stessi, sui nostri diritti e nell’esasperazione di avere tempo libero per godersi la vita.
papa bergoglio al centro profughi di bologna 4 papa bergoglio al centro profughi di bologna 4
Sarà difficile che ci impegniamo e dedichiamo energie a dare una mano a chi sta male se non coltiviamo una certa austerità, se non lottiamo contro questa febbre che ci impone la società dei consumi per venderci cose, e che alla fine ci trasforma in poveri insoddisfatti che vogliono avere tutto e provare tutto.
Anche il consumo di informazione superficiale e le forme di comunicazione rapida e virtuale possono essere un fattore di stordimento che si porta via tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli”. Da qui la denuncia del Papa che “anche i cristiani possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale.
papa bergoglio al centro profughi di bologna 5 papa bergoglio al centro profughi di bologna 5
Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia, e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui. Così si verifica un pericoloso dualismo, perché in queste reti si dicono cose che non sarebbero tollerabili nella vita pubblica, e si cerca di compensare le proprie insoddisfazioni scaricando con rabbia i desideri di vendetta”.
papa bergoglio al centro profughi di bologna papa bergoglio al centro profughi di bologna
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
......I MALDIPANCIA DEL VATICANO
NON MERAVIGLIA AFFATTO CHE IL VICEBUFALIERE SI DEDICHI A QUESTE NOTIZIE
17 apr 2018 12:28
"E’ L’ANTICRISTO!", LA CURIA MASSACRA BERGOGLIO
– IL VESCOVO BURKE PARAGONA IL VATICANO DI OGGI ALLA PROFEZIA DI LEONE XIII: "VIDE SATANA E LEGIONI DI DEMONI ABBATTERSI SULLA CATTEDRA DELLA VERITÀ”
– LA CROCIATA ANTI-FRANCESCO DI SOCCI: BENEDETTO E’ L’ULTIMO PAPA. RATZINGER: “PUO’ ESSERE”…
Da Libero Quotidiano
Compie 91 anni Joseph Ratzinger. Nel 2013 quando rinunciò al trono di Pietro ne aveva 85. E da allora è Papa emerito, una anomalia assoluta nella Chiesa che si ritrova con due papi. Una sorta di diarchia che rappresenta benissimo nella sostanza le tensioni della Chiesa di Bergoglio.
bergoglio
D'altra parte Benedetto XVI non è certamente sparito. Ma è diventato, sottolinea il Fatto Quotidiano, il punto di riferimento dall'ala clericale e tradizionalista che combatte il riformismo di Bergoglio. E ora il nome di Ratzinger viene usato anche quando si ricorre alle profezie e all'Apocalisse da chi vuole affermarne il primato.
antonio socci
Per esempio, Antonio Socci ha rinnovato quella medievale di Malachia su Benedetto XVI "ultimo papa" vero della Chiesa e ha ricordato la risposta che lo stesso Ratzinger diede in merito al suo intervistatore teutonico Peter Seewald: "Tutto può essere".
ANTICRISTO
Infine ci sono gli attacchi a Papa Francesco da parte dei ribelli del 7 aprile a Roma quando il vescovo kazako di Astana, Athanasius Schneider, ha detto che questi tempi richiamano la visione e l'esorcismo di Leone XIII nel 1884, quando l'allora pontefice "vide Satana e legioni di demoni abbattersi sulla Cattedra della verità del beatissimo Pietro". Uno scenario apocalittico provocato dalle aperture di Francesco, che per i clericali di destra è un eretico, un luterano, addirittura l'Anticristo come lo ha definito il cardinale americano Burke.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 171719.htm
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17 apr 2018 12:28
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– IL VESCOVO BURKE PARAGONA IL VATICANO DI OGGI ALLA PROFEZIA DI LEONE XIII: "VIDE SATANA E LEGIONI DI DEMONI ABBATTERSI SULLA CATTEDRA DELLA VERITÀ”
– LA CROCIATA ANTI-FRANCESCO DI SOCCI: BENEDETTO E’ L’ULTIMO PAPA. RATZINGER: “PUO’ ESSERE”…
Da Libero Quotidiano
Compie 91 anni Joseph Ratzinger. Nel 2013 quando rinunciò al trono di Pietro ne aveva 85. E da allora è Papa emerito, una anomalia assoluta nella Chiesa che si ritrova con due papi. Una sorta di diarchia che rappresenta benissimo nella sostanza le tensioni della Chiesa di Bergoglio.
bergoglio
D'altra parte Benedetto XVI non è certamente sparito. Ma è diventato, sottolinea il Fatto Quotidiano, il punto di riferimento dall'ala clericale e tradizionalista che combatte il riformismo di Bergoglio. E ora il nome di Ratzinger viene usato anche quando si ricorre alle profezie e all'Apocalisse da chi vuole affermarne il primato.
antonio socci
Per esempio, Antonio Socci ha rinnovato quella medievale di Malachia su Benedetto XVI "ultimo papa" vero della Chiesa e ha ricordato la risposta che lo stesso Ratzinger diede in merito al suo intervistatore teutonico Peter Seewald: "Tutto può essere".
ANTICRISTO
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
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