Il ricambio generazionale.
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Il ricambio generazionale.
L'articolo di Luca Ricolfi su La Stampa del 27 maggio 2012
I partiti bloccati
L'INCAPACITA' DI UN RICAMBIO DI LEADER
C'e' un pensiero, o meglio una domanda, che ultimamente mi perseguita, quando penso alla politica italiana. Con tutto quello che e' venuto fuori su Bossi, sua moglie, i suoi figli, compresa la laurea falsa del "trota" comprata in Albania, com'e' possibile che Bossi resti al comando? Come e' possibile che anche quanti si ripromettono di ripulire e rifondare la Lega prendano seriamente in considerazione l'ipotesi di un partito con un segretario diverso (Maroni) ma con Bossi presidente della "nuova Lega"?
Che cosa deve succedere perche' un capo-partito venga non dico cacciato, espulso, punito ma semplicemente archiviato?
Che cosa fa si' che non si possa mai assistere a una battaglia politica che porti alla sostituzione di un vecchio gruppo dirigente con uno nuovo e diverso?
Questo genere di domande me le ero gia' fatte molte volte a proposito di Berlusconi e del suo partito, ma li' avevo una risposta: Berlusconi ha i cordoni della borsa, e ha sempre fatto attenzione a non dare spazio a persone troppo capaci o indipendenti da lui.
Che il Pdl senza Berlusconi rischiasse di implodere (come ora sta succedendo) e' sempre stata per me una risposta soddisfacente alla mia istintiva e un po' moralistica domanda: visto che ne combina di tutti i colori, perche' i suoi non se ne liberano?
Ma con la Lega e' diverso. Bossi non ha risorse economiche proprie (tanto e' vero che usa quelle della Lega a beneficio dei suoi familiari), e inoltre non e' circondato da figure chiaramente minori rispetto a lui stesso. Se volessero, i suoi potrebbero benissimo dirgli: caro Umbero, hai abusato della tua posizione, hai 70 anni suonati, ora fatti da parte che la Lega la prendiamo in mano noi.
Mentre mi chiedevo perche' non succede, ha cominciato pero' a ronzarmi un pensiero piu' radicale, una sorta di sospetto piu' generale. Mi sono venute in mente decine e decine di situazioni, non solo nella politica, ma anche al di fuori di essa in cui succede la stessa cosa. La resistenza dei vecchi capi al cambiamento, e soprattutto la rinuncia dei giovani a dare battaglia, va molto al di la' del recinto del centrodestra. Anche nelle imprese, nelle universita', nelle fondazioni bancarie, l'eta' media dei capi e' prossima ai 60 anni, ma soprattutto - questo e' il fatto interessante - i quarantenni non danno battaglia. Aspettano. Attendono fatalisticamente che venga la loro ora. Una sorte di "sindrome di Carlo d'Inghilterra", che ormai 65enne non sa ancora se mai ascendera' al trono.
Con la differenza che una posizione dirigente nella politica, nell'economia, o nella societa' non si eredita come un trono, ma si dovrebbe conquistare in base ai meriti guadagnati sul campo.
Ecco, i meriti. Forse questo e' il punto. Forse la ragione per cui nessuno da' battaglia, anche quando avrebbe tutte le carte in regola per farlo, e' che in Italia i capi beneficiano di un sovrappiu' - di un anomalo e perverso sovrappiu' - di deferenza, di rispetto, di gratitudine. Una sorta di intangibiita', che fa apparire tradimento quella che altrove sarebbe giudicata una normale e fisiologica competizione fra gruppi e generazioni. Ma dove deriva tale sovrappiu'? Come siamo arrivati, un po' tutti, ad esitare di fronte all'eventualita' di intraprendere certe battaglie?
La risposta e' che in Italia si va avanti per cooptazione. Anche chi va avanti con pieno merito, in genere puo' farlo solo perche' qualcun'altro - il "capo" - a un certo punto ha dato disco verde. Ha chiamato. Ha promosso. Ha coinvolto. Ha incluso. Ha ammesso nel clan, nel gruppo, nella rete, nel "cerchio magico". A quel punto e' naturale per il cooptato maturare un senso di riconoscenza, di fedelta', di lealta', che gli fa percepire ogni possibile battaglia futura come un tradimento, una manifestazione di ingratitudine.
Questo meccanismo e' cosi' diffuso, cosi' endemico, quasi scolpito nel nostro modo di sentire, che finisce per coinvolgere anche chi
- in realta' - avrebbe tutti i numeri per dare battaglia, per promuovere il ricambio, per liberarci di personaggi che, con il passare degli anni, diventano un peso, se non altro perche' non possono piu' dare il meglio di se'. Una singolare incapacita' di "uccidere il padre", nel senso freudiano di diventare grandi e maturi, inquina e intorbida la vita del nostro Paese. Il padre non viene ucciso semplicemente perche' gli dobbiamo troppo, se non tutto; e chi ha grandi debiti non puo' essere libero, non solo in economia.
Piu' che i padri che non lasciano il comando, colpisce il fenomeno dei figli che nulla fanno per prenderlo. Come se ereditare fosse l'unica modalita' di successione che conoscono. E non si pensi che, in politica, il problema riguardi solo la destra. C'e' una controprova clamorosa che non e' cosi'. Tu apri Radio Radicale e immancabilmente, quotidianamente, incappi in una esternazione di Marco Pannella. Un fiume di parole disordinato e sostanzialmente incomprensibile, almeno per persone normali. Perche'? Perche' nessun politico radicale ha mai seriamente conteso la leadership all'ultra-ottantenne Pannella? Qui non c'entrano i soldi, non credo che Pannella finanzi il suo movimento politico. Non credo che i radicali abbiano fatto particolare attenzione a escludere persone capaci. Non credo che, ad esempio, a Emma Bonino manchino le qualita' per assumere la piena leadership dei radicali.
Eppure non e' mai successo. Non succede. Non succedera'. La deferenza verso i capi, la sottomissione all'autorita' dei cooptanti e' cosi' profonda, in Italia, da coinvolgere persino i radicali, ovvero il piu' anti-autoritario, il piu' libertario, il piu' laico fra i gruppi politici italiani.
Per non parlare del Pd, dove un gruppo di colonnelli 60enni controlla il partito da un quarto di secolo, i futuri premier vengono decisi a tavolino (ricordate le primarie finte per Prodi?), e i rarissimi casi anomali -come quello di Matteo Renzi, che ha sfidato apertamente il partito- sono visti con un misto di irritazione, insofferenza, fastidio. Ne', forse, e' solo un caso che le uniche novita' importanti e relativamente giovani del panorama politico italiano - il movimento Cinque Stelle e Italia Futura - abbiano avuto bisogno, per venire al mondo, di due levatrici non precisamente giovanissime, ovvero il 64enne Beppe Grillo e il 65enne Luca Cordero di Montezemolo.
Che cosa dobbiamo attenderci dunque? Forse quello che potrebbe succedere in Inghilterra, dove ormai e' piu' probabile che il trono della vecchissima regina Elisabetta (86 anni) passi al giovanissimo principe William (30) che non al vecchio Carlo (65), "principe del Galles". La generazione dei Fini, Casini, Maroni, Bonino ha atteso troppo a condurre le proprie battaglie. Quando ricambio ci sara', e' piu' facile che a imporlo siano i 30-40enni di oggi. Specie quelli che hanno meriti e capacita' proprie, e non debbono ai vecchi le posizioni che occupano.
La "risposta" di Marco Pannella a Luca Ricolfi in apertura della conversazione domenicale con Bordin del 27 maggio 2012.
http://www.radioradicale.it/scheda/353413
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L'INCAPACITA' DI UN RICAMBIO DI LEADER
C'e' un pensiero, o meglio una domanda, che ultimamente mi perseguita, quando penso alla politica italiana. Con tutto quello che e' venuto fuori su Bossi, sua moglie, i suoi figli, compresa la laurea falsa del "trota" comprata in Albania, com'e' possibile che Bossi resti al comando? Come e' possibile che anche quanti si ripromettono di ripulire e rifondare la Lega prendano seriamente in considerazione l'ipotesi di un partito con un segretario diverso (Maroni) ma con Bossi presidente della "nuova Lega"?
Che cosa deve succedere perche' un capo-partito venga non dico cacciato, espulso, punito ma semplicemente archiviato?
Che cosa fa si' che non si possa mai assistere a una battaglia politica che porti alla sostituzione di un vecchio gruppo dirigente con uno nuovo e diverso?
Questo genere di domande me le ero gia' fatte molte volte a proposito di Berlusconi e del suo partito, ma li' avevo una risposta: Berlusconi ha i cordoni della borsa, e ha sempre fatto attenzione a non dare spazio a persone troppo capaci o indipendenti da lui.
Che il Pdl senza Berlusconi rischiasse di implodere (come ora sta succedendo) e' sempre stata per me una risposta soddisfacente alla mia istintiva e un po' moralistica domanda: visto che ne combina di tutti i colori, perche' i suoi non se ne liberano?
Ma con la Lega e' diverso. Bossi non ha risorse economiche proprie (tanto e' vero che usa quelle della Lega a beneficio dei suoi familiari), e inoltre non e' circondato da figure chiaramente minori rispetto a lui stesso. Se volessero, i suoi potrebbero benissimo dirgli: caro Umbero, hai abusato della tua posizione, hai 70 anni suonati, ora fatti da parte che la Lega la prendiamo in mano noi.
Mentre mi chiedevo perche' non succede, ha cominciato pero' a ronzarmi un pensiero piu' radicale, una sorta di sospetto piu' generale. Mi sono venute in mente decine e decine di situazioni, non solo nella politica, ma anche al di fuori di essa in cui succede la stessa cosa. La resistenza dei vecchi capi al cambiamento, e soprattutto la rinuncia dei giovani a dare battaglia, va molto al di la' del recinto del centrodestra. Anche nelle imprese, nelle universita', nelle fondazioni bancarie, l'eta' media dei capi e' prossima ai 60 anni, ma soprattutto - questo e' il fatto interessante - i quarantenni non danno battaglia. Aspettano. Attendono fatalisticamente che venga la loro ora. Una sorte di "sindrome di Carlo d'Inghilterra", che ormai 65enne non sa ancora se mai ascendera' al trono.
Con la differenza che una posizione dirigente nella politica, nell'economia, o nella societa' non si eredita come un trono, ma si dovrebbe conquistare in base ai meriti guadagnati sul campo.
Ecco, i meriti. Forse questo e' il punto. Forse la ragione per cui nessuno da' battaglia, anche quando avrebbe tutte le carte in regola per farlo, e' che in Italia i capi beneficiano di un sovrappiu' - di un anomalo e perverso sovrappiu' - di deferenza, di rispetto, di gratitudine. Una sorta di intangibiita', che fa apparire tradimento quella che altrove sarebbe giudicata una normale e fisiologica competizione fra gruppi e generazioni. Ma dove deriva tale sovrappiu'? Come siamo arrivati, un po' tutti, ad esitare di fronte all'eventualita' di intraprendere certe battaglie?
La risposta e' che in Italia si va avanti per cooptazione. Anche chi va avanti con pieno merito, in genere puo' farlo solo perche' qualcun'altro - il "capo" - a un certo punto ha dato disco verde. Ha chiamato. Ha promosso. Ha coinvolto. Ha incluso. Ha ammesso nel clan, nel gruppo, nella rete, nel "cerchio magico". A quel punto e' naturale per il cooptato maturare un senso di riconoscenza, di fedelta', di lealta', che gli fa percepire ogni possibile battaglia futura come un tradimento, una manifestazione di ingratitudine.
Questo meccanismo e' cosi' diffuso, cosi' endemico, quasi scolpito nel nostro modo di sentire, che finisce per coinvolgere anche chi
- in realta' - avrebbe tutti i numeri per dare battaglia, per promuovere il ricambio, per liberarci di personaggi che, con il passare degli anni, diventano un peso, se non altro perche' non possono piu' dare il meglio di se'. Una singolare incapacita' di "uccidere il padre", nel senso freudiano di diventare grandi e maturi, inquina e intorbida la vita del nostro Paese. Il padre non viene ucciso semplicemente perche' gli dobbiamo troppo, se non tutto; e chi ha grandi debiti non puo' essere libero, non solo in economia.
Piu' che i padri che non lasciano il comando, colpisce il fenomeno dei figli che nulla fanno per prenderlo. Come se ereditare fosse l'unica modalita' di successione che conoscono. E non si pensi che, in politica, il problema riguardi solo la destra. C'e' una controprova clamorosa che non e' cosi'. Tu apri Radio Radicale e immancabilmente, quotidianamente, incappi in una esternazione di Marco Pannella. Un fiume di parole disordinato e sostanzialmente incomprensibile, almeno per persone normali. Perche'? Perche' nessun politico radicale ha mai seriamente conteso la leadership all'ultra-ottantenne Pannella? Qui non c'entrano i soldi, non credo che Pannella finanzi il suo movimento politico. Non credo che i radicali abbiano fatto particolare attenzione a escludere persone capaci. Non credo che, ad esempio, a Emma Bonino manchino le qualita' per assumere la piena leadership dei radicali.
Eppure non e' mai successo. Non succede. Non succedera'. La deferenza verso i capi, la sottomissione all'autorita' dei cooptanti e' cosi' profonda, in Italia, da coinvolgere persino i radicali, ovvero il piu' anti-autoritario, il piu' libertario, il piu' laico fra i gruppi politici italiani.
Per non parlare del Pd, dove un gruppo di colonnelli 60enni controlla il partito da un quarto di secolo, i futuri premier vengono decisi a tavolino (ricordate le primarie finte per Prodi?), e i rarissimi casi anomali -come quello di Matteo Renzi, che ha sfidato apertamente il partito- sono visti con un misto di irritazione, insofferenza, fastidio. Ne', forse, e' solo un caso che le uniche novita' importanti e relativamente giovani del panorama politico italiano - il movimento Cinque Stelle e Italia Futura - abbiano avuto bisogno, per venire al mondo, di due levatrici non precisamente giovanissime, ovvero il 64enne Beppe Grillo e il 65enne Luca Cordero di Montezemolo.
Che cosa dobbiamo attenderci dunque? Forse quello che potrebbe succedere in Inghilterra, dove ormai e' piu' probabile che il trono della vecchissima regina Elisabetta (86 anni) passi al giovanissimo principe William (30) che non al vecchio Carlo (65), "principe del Galles". La generazione dei Fini, Casini, Maroni, Bonino ha atteso troppo a condurre le proprie battaglie. Quando ricambio ci sara', e' piu' facile che a imporlo siano i 30-40enni di oggi. Specie quelli che hanno meriti e capacita' proprie, e non debbono ai vecchi le posizioni che occupano.
La "risposta" di Marco Pannella a Luca Ricolfi in apertura della conversazione domenicale con Bordin del 27 maggio 2012.
http://www.radioradicale.it/scheda/353413
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Re: Il ricambio generazionale.
Analisi del giovane Giacinto detto Marco Pannella, del tutto condivisibile.
un saluto
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Toro Seduto (Ta-Tanka I-Yo-Tanka)
‘‘Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo’’. C.L. Montesquieu
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Re: Il ricambio generazionale.
Un saluto anche a te joblack! :-)Joblack ha scritto:Analisi del giovane Giacinto detto Marco Pannella, del tutto condivisibile.
un saluto
Re: Il ricambio generazionale.
A me non sembra che l'analisi sia tanto condivisibile. Almeno per quanto mi è dato di capire dalle argomentazioni sempre "larghe" di Pannella.
Mi sembra che Ricolfi parli del meccanismo della "cooptazione" in atto in tutte le organizzazioni, persino in quella del "più anti-autoritario, il piu' libertario, il piu' laico fra i gruppi politici italiani".
L'interpretazione di tipo "generazionale" che ne da Pannella mi sembra una sua forzatura dialettica.
La realtà è che anche nel partito radicale, al di là delle "cariche ufficiali", chiunque voglia svolgere un ruolo, persino personalità spiccate come quella della Bonino, ha bisogno del benestare del "capo".
Tutta la narrazione, come al solito lunghissima, che fa Pannella del "ricambio" generazionale e di genere nel partito radicale, dimostra al più che la sua è stata una "monarchia illuminata" ma sempre una monarchia.
La peculiarità del partito radicale, rappresentato come un "autobus" in cui si sale e si scende liberamente senza compromettere la "linea" del partito, dimostra paradossalmente che l'iscritto in sostanza non conta niente nella determinazione delle scelte politiche.
L'elenco di chi è salito e sceso potrebbe essere infatti non a caso molto lungo, ma il partito radicale è rimasto sostanzialmente coerente con se stesso. Ciò dimostra appunto che chi conta è "il capo" e che gli altri possono esserci o non esserci indifferentemente.
Mi sembra che Ricolfi parli del meccanismo della "cooptazione" in atto in tutte le organizzazioni, persino in quella del "più anti-autoritario, il piu' libertario, il piu' laico fra i gruppi politici italiani".
L'interpretazione di tipo "generazionale" che ne da Pannella mi sembra una sua forzatura dialettica.
La realtà è che anche nel partito radicale, al di là delle "cariche ufficiali", chiunque voglia svolgere un ruolo, persino personalità spiccate come quella della Bonino, ha bisogno del benestare del "capo".
Tutta la narrazione, come al solito lunghissima, che fa Pannella del "ricambio" generazionale e di genere nel partito radicale, dimostra al più che la sua è stata una "monarchia illuminata" ma sempre una monarchia.
La peculiarità del partito radicale, rappresentato come un "autobus" in cui si sale e si scende liberamente senza compromettere la "linea" del partito, dimostra paradossalmente che l'iscritto in sostanza non conta niente nella determinazione delle scelte politiche.
L'elenco di chi è salito e sceso potrebbe essere infatti non a caso molto lungo, ma il partito radicale è rimasto sostanzialmente coerente con se stesso. Ciò dimostra appunto che chi conta è "il capo" e che gli altri possono esserci o non esserci indifferentemente.
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Re: Il ricambio generazionale.
Ciao mariok. Ci sono sempre stati dei Congressi e sono "contate" e "contano" votazioni su mozioni ecc... Evidentemente Pannella ha con-vinto gli iscritti radicali perche' di "opposizioni" al leader ce ne sono state, eccome.mariok ha scritto:A me non sembra che l'analisi sia tanto condivisibile. Almeno per quanto mi è dato di capire dalle argomentazioni sempre "larghe" di Pannella.
Mi sembra che Ricolfi parli del meccanismo della "cooptazione" in atto in tutte le organizzazioni, persino in quella del "più anti-autoritario, il piu' libertario, il piu' laico fra i gruppi politici italiani".
L'interpretazione di tipo "generazionale" che ne da Pannella mi sembra una sua forzatura dialettica.
La realtà è che anche nel partito radicale, al di là delle "cariche ufficiali", chiunque voglia svolgere un ruolo, persino personalità spiccate come quella della Bonino, ha bisogno del benestare del "capo".
Tutta la narrazione, come al solito lunghissima, che fa Pannella del "ricambio" generazionale e di genere nel partito radicale, dimostra al più che la sua è stata una "monarchia illuminata" ma sempre una monarchia.
La peculiarità del partito radicale, rappresentato come un "autobus" in cui si sale e si scende liberamente senza compromettere la "linea" del partito, dimostra paradossalmente che l'iscritto in sostanza non conta niente nella determinazione delle scelte politiche.
L'elenco di chi è salito e sceso potrebbe essere infatti non a caso molto lungo, ma il partito radicale è rimasto sostanzialmente coerente con se stesso. Ciò dimostra appunto che chi conta è "il capo" e che gli altri possono esserci o non esserci indifferentemente.
Personalmente concordo in pieno nell'analisi di decenni fa di Critica Liberale cioe' a dire che credo profondamente "all'unita' di generazioni di padre in figli, perche' e' la durata dell'idee e la differenza non di eta' ma delle scelte che possono trasmettersi" (testuale da Pannella).
"Oggi viene fuori - dice Pannella - questa lettura pseudo freudiana, pseudo adleriana con le generazioni e i padri che non vogliono essere divorati dai figli ma e' sempre problema di potere. Devo dire che questo mi ha proprio sorpreso, perche' la ritengo una visone banale che non ha nulla a che vedere con la realta' italiana e europea.
Vorrei spiegare a Ricolfi. Uno, e' accaduto per esempio che messo sull'avviso - soprattutto con l'incoraggiamento di Angelo Panebianco, a riflettere su Max Webber - dichiarai ufficialmente che una cosa mi pareva di comprendere, che sarebbe gravissimo e forse questo era accaduto nei decenni precedenti in tempi infausti, fascisti e nazisti, quando al carisma si congiunge anche il potere, quello e' qualcosa che e' contrario alla vita quale dei liberali e dei democratici possono augurarsela. Infatti io accettai nel 1982 per la prima volta di candidarmi con una motivazione alla segreteria del Partito. Ho sempre ritenuto che la congiunzione dell'elemento carismatico, del prestigio, con quello dei poteri statuari e' pericolosa. A questo punto mi accorgo pero' che non essendo mai capolista alle elezioni, non essendo ne' segretario ne' tesoriere di partito, avendo LASCIATO GIA' ALLORA IL MIO POSTO DI PARLAMENTARE CON UNA REGOLA DI TURNOVER CHE CI ERAVAMO DATI SPONTANEAMENTE, a questo punto mi resi conto che tutto cio' rischiava di tramutarsi in aumento di prestigio. Quindi, con questa motivazione mi candidai e in quella occasione scelsi quattro vicesegretari; era una novita', e se non erano tutti minorenni lo erano quasi, Francesco Rutelli, Maria Teresa Di Lascia, Giovanni Negri e Gaetano Quagliariello. Allora, con le "stigmate pannelliane", abbiamo dei minorenni quasi a livello giuridico che hanno le massime responsabilita' e un tipo di giovani che ancora adesso molto numerosi - dopo 30 40 anni - sono con funzioni di Casta nella realta' politica del nostro Paese.
C'era una sola donna su quattro, ma volevo dirlo perche' Ricolfi comprenda bene perche' era invece gia' accaduto che nelle elezioni del '76 capolista fossero ovunque delle donne,capoliste elette: Bonino era iscritta da un anno al Partito Radicale, poi Adele Faccio e dalle dimissioni subentrarono anche Suor Marisa Galli e Adelaide Aglietta".
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Re: Il ricambio generazionale.
L’AMACA di Michele Serra
È solo un dettaglio. Ma vedere e sentire il redivivo Capezzone sbucare in un tigì per dire che «la vera grande opera è mettere in sicurezza tutto il Paese» desta totale sbalordimento. Neanche rabbia: puro sbalordimento. Ma come? Non era e non è, Capezzone, portavoce del partito di Berlusconi o di quel poco che ne rimane? E quando mai, nei lunghi anni di potere dell’uomo del ponte sullo Stretto, della New Aquila, della cementificazione allegra, la messa in sicurezza di qualcosa è stata una priorità, o anche semplicemente un’urgenza? Non erano forse gli ambientalisti menagramo e nemici dello sviluppo a sostenere che bisognava usare tutti i quattrini a disposizione per aggiustare l’esistente, piuttosto che speculare sull’inesistente? Non erano forse gli intellettuali rompiballe, i geologi squattrinati, i vetero di ogni risma, quelli che remavano contro, a ripetere che è assurdo vaneggiare di grandi opere straordinarie in un Paese che, ordinariamente, si sgretola e cigola in ogni sua giuntura, strutturale e infrastrutturale? E adesso sbuca questo qui, verso l’ora di pranzo, a spiegarci che «la vera grande opera» è aggiustare quello che è rotto? Ma con che faccia? Con che coerenza? Con che curriculum? Con quali parole e quali atti alle spalle, che lo autorizzino a qualcosa di diverso da un doveroso silenzio?
http://giacomosalerno.wordpress.com/201 ... di-bronzo/
Anagraficamente non sarebbe... vecchio, eppure... il suo dire è cosi stantio!
È solo un dettaglio. Ma vedere e sentire il redivivo Capezzone sbucare in un tigì per dire che «la vera grande opera è mettere in sicurezza tutto il Paese» desta totale sbalordimento. Neanche rabbia: puro sbalordimento. Ma come? Non era e non è, Capezzone, portavoce del partito di Berlusconi o di quel poco che ne rimane? E quando mai, nei lunghi anni di potere dell’uomo del ponte sullo Stretto, della New Aquila, della cementificazione allegra, la messa in sicurezza di qualcosa è stata una priorità, o anche semplicemente un’urgenza? Non erano forse gli ambientalisti menagramo e nemici dello sviluppo a sostenere che bisognava usare tutti i quattrini a disposizione per aggiustare l’esistente, piuttosto che speculare sull’inesistente? Non erano forse gli intellettuali rompiballe, i geologi squattrinati, i vetero di ogni risma, quelli che remavano contro, a ripetere che è assurdo vaneggiare di grandi opere straordinarie in un Paese che, ordinariamente, si sgretola e cigola in ogni sua giuntura, strutturale e infrastrutturale? E adesso sbuca questo qui, verso l’ora di pranzo, a spiegarci che «la vera grande opera» è aggiustare quello che è rotto? Ma con che faccia? Con che coerenza? Con che curriculum? Con quali parole e quali atti alle spalle, che lo autorizzino a qualcosa di diverso da un doveroso silenzio?
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Anagraficamente non sarebbe... vecchio, eppure... il suo dire è cosi stantio!
Ultima modifica di erding il 30/05/2012, 17:33, modificato 1 volta in totale.
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Re: Il ricambio generazionale.
Ma con che faccia? Con che coerenza? Con che curriculum?erding ha scritto:L’AMACA di Michele Serra
È solo un dettaglio. Ma vedere e sentire il redivivo Capezzone sbucare in un tigì per dire che «la vera grande opera è mettere in sicurezza tutto il Paese» desta totale sbalordimento. Neanche rabbia: puro sbalordimento. Ma come? Non era e non è, Capezzone, portavoce del partito di Berlusconi o di quel poco che ne rimane? E quando mai, nei lunghi anni di potere dell’uomo del ponte sullo Stretto, della New Aquila, della cementificazione allegra, la messa in sicurezza di qualcosa è stata una priorità, o anche semplicemente un’urgenza? Non erano forse gli ambientalisti menagramo e nemici dello sviluppo a sostenere che bisognava usare tutti i quattrini a disposizione per aggiustare l’esistente, piuttosto che speculare sull’inesistente? Non erano forse gli intellettuali rompiballe, i geologi squattrinati, i vetero di ogni risma, quelli che remavano contro, a ripetere che è assurdo vaneggiare di grandi opere straordinarie in un Paese che, ordinariamente, si sgretola e cigola in ogni sua giuntura, strutturale e infrastrutturale? E adesso sbuca questo qui, verso l’ora di pranzo, a spiegarci che «la vera grande opera» è aggiustare quello che è rotto? Ma con che faccia? Con che coerenza? Con che curriculum? Con quali parole e quali atti alle spalle, che lo autorizzino a qualcosa di diverso da un doveroso silenzio?
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Queste cose si dicono quando si ha l'assoluta certezza che gli italiani siano tutti scemi, e che gli si possa dire tutto e il contrario di tutto perché questi non capiscono, ...ma soprattutto non reagiscono.
Fino a quando gli italiani non li inseguiranno vino al Polo Sud tra i pinguini con i forconi, questi furbastri continueranno a sparare scemenze prendendoli in giro.
Chi c’è in linea
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