2 giugno: il senso di una festa.
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2 giugno: il senso di una festa.
Il 2 giugno che vorrei: la sfilata dell’Italia del lavoro
02 giugno 2012
Oggi 2 giugno è la festa della Repubblica. Io, come moltissimi altri italiani sono contrario alla parata. Non solo a causa del terribile terremoto che ha colpito alcuni territori dell’Emilia Romagna, ma sono in generale contrario a parate militari in occasione di ricorrenze fondatrici della nostra democrazia. Non sono tuttavia contrario ad una parata che esprima il senso di ciò che abbiamo scelto con il referendum che ha deciso la forma dello Stato italiano. Quel voto fu la premessa per la promulgazione della nostra Carta costituzionale. Cosa afferma solennemente il primo articolo della Costituzione?: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro…».
Io vorrei la sfilata per la ricorrenza del 2 giugno composta da tutte le forze del lavoro che hanno edificato questa nazione con la loro fatica, con le loro tasse, con i loro sacrifici, con le loro sofferenze. Vorrei vedere sfilare con le loro insegne e i loro sindacati gli operai e gli impiegati di ogni settore: metalmeccanici, chimici, tessili, elettrici edili, alimentaristi, poligrafici, cartai, vorrei vedere: contadini, agricoltori, braccianti regolari e clandestini, italiani e non ancora italiani, vorrei vedere artigiani, piccoli e medi imprenditori, vorrei vedere i lavoratori della scuola, custodi del nostro futuro, vorrei vedere i precari, i disoccupati, i cassintegrati, i terremotati.
Vorrei vedere sfilare i lavoratori del commercio, dei trasporti, gli sfruttati dei call center, vorrei vedere con loro le vittime degli incidenti sul lavoro, le vedove e i figli dei caduti sul lavoro, gli intossicati dall’amianto, dalla diossina. Con loro dovrebbero sfilare i nostri pompieri, i volontari della protezione civile, i magistrati che difendono la legalità, le forze dell’ordine che rischiano quotidinamente le loro vite nella lotta alle mafie.
Questa sfilata rappresenterebbe un’idea di patria condivisibile, la patria come la pensava Giuseppe Mazzini: «La patria è una comunione di liberi e d’uguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine… Non v’è patria dove l’uniformità del diritto è violata dall’esistenza di caste, di privilegi, d’ineguaglianze. In nome del vostro amore alla Patria, voi combatterete senza tregua l’esistenza di ogni privilegio, d’ogni ineguaglianza sul suolo che v’ha dato vita… Finché uno solo vegeta ineducato fra gli educati – finché uno solo, capace e voglioso di lavoro langue, per mancanza di lavoro, nella miseria – voi non avrete la Patria di tutti la Patria per tutti».
http://leparole-ipensieri.comunita.unit ... el-lavoro/
Una festa cosi avrebbe più senso sempre. Non offenderebbe nessuno ed esalterebbe i valori fondanti della repubblica,
nel rispetto di tutti ed in coerenza con la nostra costituzione.
Un saluto
02 giugno 2012
Oggi 2 giugno è la festa della Repubblica. Io, come moltissimi altri italiani sono contrario alla parata. Non solo a causa del terribile terremoto che ha colpito alcuni territori dell’Emilia Romagna, ma sono in generale contrario a parate militari in occasione di ricorrenze fondatrici della nostra democrazia. Non sono tuttavia contrario ad una parata che esprima il senso di ciò che abbiamo scelto con il referendum che ha deciso la forma dello Stato italiano. Quel voto fu la premessa per la promulgazione della nostra Carta costituzionale. Cosa afferma solennemente il primo articolo della Costituzione?: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro…».
Io vorrei la sfilata per la ricorrenza del 2 giugno composta da tutte le forze del lavoro che hanno edificato questa nazione con la loro fatica, con le loro tasse, con i loro sacrifici, con le loro sofferenze. Vorrei vedere sfilare con le loro insegne e i loro sindacati gli operai e gli impiegati di ogni settore: metalmeccanici, chimici, tessili, elettrici edili, alimentaristi, poligrafici, cartai, vorrei vedere: contadini, agricoltori, braccianti regolari e clandestini, italiani e non ancora italiani, vorrei vedere artigiani, piccoli e medi imprenditori, vorrei vedere i lavoratori della scuola, custodi del nostro futuro, vorrei vedere i precari, i disoccupati, i cassintegrati, i terremotati.
Vorrei vedere sfilare i lavoratori del commercio, dei trasporti, gli sfruttati dei call center, vorrei vedere con loro le vittime degli incidenti sul lavoro, le vedove e i figli dei caduti sul lavoro, gli intossicati dall’amianto, dalla diossina. Con loro dovrebbero sfilare i nostri pompieri, i volontari della protezione civile, i magistrati che difendono la legalità, le forze dell’ordine che rischiano quotidinamente le loro vite nella lotta alle mafie.
Questa sfilata rappresenterebbe un’idea di patria condivisibile, la patria come la pensava Giuseppe Mazzini: «La patria è una comunione di liberi e d’uguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine… Non v’è patria dove l’uniformità del diritto è violata dall’esistenza di caste, di privilegi, d’ineguaglianze. In nome del vostro amore alla Patria, voi combatterete senza tregua l’esistenza di ogni privilegio, d’ogni ineguaglianza sul suolo che v’ha dato vita… Finché uno solo vegeta ineducato fra gli educati – finché uno solo, capace e voglioso di lavoro langue, per mancanza di lavoro, nella miseria – voi non avrete la Patria di tutti la Patria per tutti».
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Una festa cosi avrebbe più senso sempre. Non offenderebbe nessuno ed esalterebbe i valori fondanti della repubblica,
nel rispetto di tutti ed in coerenza con la nostra costituzione.
Un saluto
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Re: 2 giugno: il senso di una festa.
Ricordo male o negli Usa non ci sono parate militari in occasione delle feste nazionali?
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Re: 2 giugno: il senso di una festa.
La parata militare è stata un flop pazzesco – Guarda le foto
02/06/2012
By violapost
Le foto, scattate da una cittadina residente nella zona, ritraggono il passaggio della parata militare, oggi all’altezza del Colosseo, normalmente affollata di cittadini. Nemmeno l’ombra di un cittadino ad accompagnare la sfilata di uomini e mezzi. Soltanto sotto il palco una modesta presenza. Per il resto il deserto. Ovviamente in tv sono stati molto attenti a non fare vedere queste immagini di desolazione. Un flop di partecipazione che dovrebbe fare riflettere i politici.
http://violapost.it/?p=8702
RIFLETTERANNO???
02/06/2012
By violapost
Le foto, scattate da una cittadina residente nella zona, ritraggono il passaggio della parata militare, oggi all’altezza del Colosseo, normalmente affollata di cittadini. Nemmeno l’ombra di un cittadino ad accompagnare la sfilata di uomini e mezzi. Soltanto sotto il palco una modesta presenza. Per il resto il deserto. Ovviamente in tv sono stati molto attenti a non fare vedere queste immagini di desolazione. Un flop di partecipazione che dovrebbe fare riflettere i politici.
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RIFLETTERANNO???
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Re: 2 giugno: il senso di una festa.
Secondo me a inizio anno si dovevano annullare tutte queste cose per risparmiare, terremoto o no.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: 2 giugno: il senso di una festa.
Ah, ovviamente viva la Repubblica. Il problema è che questi politici e tecnici questa Repubblica la stanno distruggendo...
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
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Re: 2 giugno: il senso di una festa.
Per niente,......basta sentire i commenti rancorosi del solito Pierazzurro.....erding ha scritto:La parata militare è stata un flop pazzesco – Guarda le foto
02/06/2012
By violapost
Le foto, scattate da una cittadina residente nella zona, ritraggono il passaggio della parata militare, oggi all’altezza del Colosseo, normalmente affollata di cittadini. Nemmeno l’ombra di un cittadino ad accompagnare la sfilata di uomini e mezzi. Soltanto sotto il palco una modesta presenza. Per il resto il deserto. Ovviamente in tv sono stati molto attenti a non fare vedere queste immagini di desolazione. Un flop di partecipazione che dovrebbe fare riflettere i politici.
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RIFLETTERANNO???
Re: 2 giugno: il senso di una festa.
Questi se ne fottono!
Roma, 3 giorni di cerimonie. In auto blu
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/06/ ... to/198790/
Il 31 maggio, con i riflettori già puntati sul Quirinale, in pochi si sono accorti dello spettacolo andato in scena di fronte alla sede della Banca d’Italia, in occasione della relazione annuale del neo governatore Ignazio Visco. Via Nazionale, pieno centro di Roma, è stata trasformata in un parcheggio a cielo aperto di auto blu. I più fortunati, tra i rappresentanti dell’élite finanziaria, economia e industriale invitati alla cerimonia, hanno potuto aggirare il traffico impazzito e posteggiare l’auto di servizio (con tanto di lampeggiante) direttamente nel cortile interno di Palazzo Koch. Il secondo “sobrio” appuntamento della settimana è stato offerto il primo giugno dal presidente della Repubblica, come tradizione, nei giardini del Quirinale. A sfilare non sono state solo le auto blu, accorse in grande abbondanza sia all’entrata secondaria di Porta Dataria sia a quella principale, ma anche e soprattutto vip di ogni sorta. Invitati al ricevimento, sobriamente declassato a “rinfresco rinforzato”, non solo politici: dirigenti, giornalisti, attori e uomini dello spettacolo, accompagnati da compagni e compagne, spesso vestiti in maniera non particolarmente sobria. Infine la parata del 2 giugno, in versione sobria e ridotta, senza cavalli e frecce tricolore, per un costo complessivo, secondo le stime della Difesa, di quasi 3 milioni di euro di Tommaso Rodano
2 giugno 2012
Roma, 3 giorni di cerimonie. In auto blu
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/06/ ... to/198790/
Il 31 maggio, con i riflettori già puntati sul Quirinale, in pochi si sono accorti dello spettacolo andato in scena di fronte alla sede della Banca d’Italia, in occasione della relazione annuale del neo governatore Ignazio Visco. Via Nazionale, pieno centro di Roma, è stata trasformata in un parcheggio a cielo aperto di auto blu. I più fortunati, tra i rappresentanti dell’élite finanziaria, economia e industriale invitati alla cerimonia, hanno potuto aggirare il traffico impazzito e posteggiare l’auto di servizio (con tanto di lampeggiante) direttamente nel cortile interno di Palazzo Koch. Il secondo “sobrio” appuntamento della settimana è stato offerto il primo giugno dal presidente della Repubblica, come tradizione, nei giardini del Quirinale. A sfilare non sono state solo le auto blu, accorse in grande abbondanza sia all’entrata secondaria di Porta Dataria sia a quella principale, ma anche e soprattutto vip di ogni sorta. Invitati al ricevimento, sobriamente declassato a “rinfresco rinforzato”, non solo politici: dirigenti, giornalisti, attori e uomini dello spettacolo, accompagnati da compagni e compagne, spesso vestiti in maniera non particolarmente sobria. Infine la parata del 2 giugno, in versione sobria e ridotta, senza cavalli e frecce tricolore, per un costo complessivo, secondo le stime della Difesa, di quasi 3 milioni di euro di Tommaso Rodano
2 giugno 2012
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Re: 2 giugno: il senso di una festa.
Festa col morto
Non è nella nostra tradizione festeggiare qualsiasi avvenimento quando hai il morto in casa. Ma questo non vale per Napolitano, Veltroni, Dalemoni, Fini, Schifani e soprattutto per la Wandissima della politica italiana Pierazzurro Casini in Caltagirone.
Per fare il politico professionista devi frequentare anche un corso di recitazione dove impari a ridere e a piangere quando le circostanze non lo richiedono.
Così, tra due giorni i festaioli parteciperanno alla giornata di lutto nazionale per le vittime del terremoto.
Le solite facce di circostanza e le solite parole di dolore partecipato a cui non crede nessuno.
Fa parte dell’eterna commedia umana. Tal Dante Alighieri da Firenze sul finire del 1300, colpito da questa eterna commedia, mise nero su bianco una saggio inossidabile nei secoli a cui alla commedia umana gli attribuì l’aggettivo “Divina”
Non è nella nostra tradizione festeggiare qualsiasi avvenimento quando hai il morto in casa. Ma questo non vale per Napolitano, Veltroni, Dalemoni, Fini, Schifani e soprattutto per la Wandissima della politica italiana Pierazzurro Casini in Caltagirone.
Per fare il politico professionista devi frequentare anche un corso di recitazione dove impari a ridere e a piangere quando le circostanze non lo richiedono.
Così, tra due giorni i festaioli parteciperanno alla giornata di lutto nazionale per le vittime del terremoto.
Le solite facce di circostanza e le solite parole di dolore partecipato a cui non crede nessuno.
Fa parte dell’eterna commedia umana. Tal Dante Alighieri da Firenze sul finire del 1300, colpito da questa eterna commedia, mise nero su bianco una saggio inossidabile nei secoli a cui alla commedia umana gli attribuì l’aggettivo “Divina”
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Re: 2 giugno: il senso di una festa.
Iban, buffet e Pci: sobriamente Quirinale
di Luca Telese | 2 giugno 2012
Commenti (22)
Se per esempio lo raccontassi con una ripresa aerea, come nei film americani in cui il volo panoramico si chiude in un vorticoso piano sequenza che atterra sul volto del protagonista. Se lo raccontassi con una sequenza che parte dall’alto e atterra sull’incarnato regale di Giorgio Napolitano, questo pomeriggio al Quirinale sarebbe tutto più chiaro e semplice, perché in fondo la notizia è semplice: nell’architettura simbolica delle istituzioni nazionali un centro geometrico non c’è più. Roma, 2 giugno, festa nazionale a mezz’asta, cartellino con codice Iban per sollecitare donazioni ai terremotatiall’ingresso, l’ultima festa della Repubblica di Napolitano, l’ultimo cerimoniale – comunque vada – della Seconda Repubblica. Se la telecamera atterrasse su questi giardini lieve, non troverebbe il vortice dello scorso anno, quando turbinava lo spettro centripeto del berlusconismo: agonizzante, certo, ma ancora in grado di catalizzare ogni cosa. Esattamente un anno fa, c’era ancora Berlusconi – ieri assente così come Bersani – che con una mano si teneva a un lampioncino, mentre arringava il plotone dei giornalisti, i curiosi, gli astanti. C’era ancora il Berlusconi che attirava a se i suoi ministri e le sue ministre, i suoi portavoce, la sua gens azzurra, rompendo ogni protocollo. Se invece aveste potuto vedere dall’alto quello che ora io mi sforzo di raccontare dal basso, a piano zero della cronaca, avreste visto solo un grande caos policentrico: piccoli capannelli e vecchie glorie, il sorriso smagliante di Pier Ferdinando Casini, i ministri tecnici quasi digeriti dagli spiriti antichi del Palazzo: ecco, quella piccoletta è la Fornero, ma senza telecamere quasi non te ne accorgi. Ecco, quella di spalle è la ministra Severino, vestito volutamente anonimo, chiacchiera amabilmente e non cerca nessuno. È bello vedere che Clio Napolitano porta i sandali, che Concita De Gregorio arriva scortata dal figlio Pietro, adolescente con barba cheguevarista e vestito blu austero. Forse è lei la novità della festa: ancora un anno fa veniva qui come giornalista-direttrice, adesso tutti si chiedono dopo che passa: “Sarà lei il nome forte della lista Saviano”?
Pulviscolo decentrato
Uno che ne è convinto è Eugenio Scalfari, elegantissima silhouette, con il suo bastone da passeggio giolittiano, una giacca azzurro carta da zucchero, e la moglie Serena a cui non sfugge nulla. Dandosi il braccio ti fanno venire in mente un verso di Montale. Quello con la pochette è Giulio Napolitano, secondogenito dell’inquilino del Colle, quello che si anima intorno a Paolo Garimberti è il tavolino della Rai, di fronte al produttore Bassetti c’è Giancarlo Leone, l’unico che in questi giardini ci ha vissuto due vite, una da adolescente, quando al Quirinale c’era suo padre assediato da Camilla Cederna, e un’altra da ineffabile Mandarino di viale Mazzini. Leone mi regala un’immagine folgorante che ti racconta il passato e ti spiega il presente: “Fino a dieci anni fa il rituale era liturgico, il presidente partiva dal fondo del giardino e disegnava una ‘elle’ nei sentieri di ghiaia, i convitati si pietrificavano, i capannelli si ammutolivano, e il rompete le righe arrivava progressivamente, solo dopo il suo passaggio e le strette di mano”. Essere importanti voleva dire essere chiusi dentro questo tragitto di ottocento metri, due linee intersecate e un sistema di potere, una stratigrafia in diretta delle gerarchie di Palazzo che intrigarono il Pasolini di Petrolio: un ordine comunque, una geometria. Ma comunque, se fossi stato a bordo dell’aviocar del Luce, tutto sarebbe stato intelleggibile, come le piste di Nazca nel Perù meridionale.Eppure c’è qualcosa di decadente anche in questo pulviscolo decentrato, nei capannelli delle piccole reti relazionali della gerontocrazia italiana. Paolo Villaggio ha avuto la geniale sfrontatezza di venire in caftano: “Come facevo a mettermi una giacca?”.
Poi c’è il discorso del presidente nei giardini. Nell’anno di supernapolitano, nell’anno di gloria del gollismo migliorista penso che potrebbe essere quello il punto di precipitazione della storia, l’acuto squillante del dramma. “Sono entrato per la prima volta nel 1953, appena eletto deputato…”. Giorgio primo ha già difeso la sua scelta strategica, già spiegato l’ossimoro dolente della “parata sobria”, già dettato l’agenda politica. È la prima volta che Napolitano parla in quel giardino. Pensi che adesso potrebbe chiudere il cerchio con un momento-verità, o con un discorso per gli storici. E invece chiude un lessico privato con eleganza e understatement, celebra un appello all’unità. Per fortuna c’è il ministro tecnico Giarda che alleggerisce il clima con una battuta salace: “Presidente, pensi! Potevamo mettere il ticket agli invitati, stasera”. E Napolitano: “Ci ho riflettuto: ma visto il rapporto fra domanda e offerta ho capito che non era il caso”. Arriva l’eco delle battute di Silvio Berlusconi sulla necessità di stampare moneta, ma è come l’eco di un discorso radio del ventennio (breve) disperso nello spazio. Nessuno gli vuole rispondere, tranne un ministro anonimo che dice alla Tm news: “L’unico pericolo sarebbe se qualcuno all’estero lo prendesse sul serio”. E poi Mario Monti. Scompare pure lui, poveretto, fagocitato in un colloquio con Renato Schifani.
Terna da Comitato Centrale
Eppure, proprio nel finale, il pulviscolo trova per un attimo una sua forma. Clio e Giorgio ritirandosi corrono verso il balcone panoramico mozzafiato, che incornicia un tramonto virato di sfumature di rosa, viola, e porpora. Ci vorrebbe il pennello di Carlo Levi per raccontare gli ultimi quattro folgoranti fotogrammi della scena. Massimo D’Alema si inchioda per aspettare il presidente. Il ministro Fabrizio Barca, che ha appena rilasciato dichiarazioni significative sulla parata (“Io non l’avrei fatta, e avrei mandato i soldati a fare cose in giro per le macerie”) converge sulla rotta con la moglie. Barca, D’Alema, Napolitano. A parte che il grande Luciano Barca (dirigente storico del Pci) è stato sostituito dal figlio, è una terna da Comitato centrale. Questo crepuscolo degli dei, questo taglio di tramonto della Repubblica, non finisce sotto il segno dei tecnici. Ma in quel che resta di Botteghe Oscure.
IFQ
di Luca Telese | 2 giugno 2012
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Se per esempio lo raccontassi con una ripresa aerea, come nei film americani in cui il volo panoramico si chiude in un vorticoso piano sequenza che atterra sul volto del protagonista. Se lo raccontassi con una sequenza che parte dall’alto e atterra sull’incarnato regale di Giorgio Napolitano, questo pomeriggio al Quirinale sarebbe tutto più chiaro e semplice, perché in fondo la notizia è semplice: nell’architettura simbolica delle istituzioni nazionali un centro geometrico non c’è più. Roma, 2 giugno, festa nazionale a mezz’asta, cartellino con codice Iban per sollecitare donazioni ai terremotatiall’ingresso, l’ultima festa della Repubblica di Napolitano, l’ultimo cerimoniale – comunque vada – della Seconda Repubblica. Se la telecamera atterrasse su questi giardini lieve, non troverebbe il vortice dello scorso anno, quando turbinava lo spettro centripeto del berlusconismo: agonizzante, certo, ma ancora in grado di catalizzare ogni cosa. Esattamente un anno fa, c’era ancora Berlusconi – ieri assente così come Bersani – che con una mano si teneva a un lampioncino, mentre arringava il plotone dei giornalisti, i curiosi, gli astanti. C’era ancora il Berlusconi che attirava a se i suoi ministri e le sue ministre, i suoi portavoce, la sua gens azzurra, rompendo ogni protocollo. Se invece aveste potuto vedere dall’alto quello che ora io mi sforzo di raccontare dal basso, a piano zero della cronaca, avreste visto solo un grande caos policentrico: piccoli capannelli e vecchie glorie, il sorriso smagliante di Pier Ferdinando Casini, i ministri tecnici quasi digeriti dagli spiriti antichi del Palazzo: ecco, quella piccoletta è la Fornero, ma senza telecamere quasi non te ne accorgi. Ecco, quella di spalle è la ministra Severino, vestito volutamente anonimo, chiacchiera amabilmente e non cerca nessuno. È bello vedere che Clio Napolitano porta i sandali, che Concita De Gregorio arriva scortata dal figlio Pietro, adolescente con barba cheguevarista e vestito blu austero. Forse è lei la novità della festa: ancora un anno fa veniva qui come giornalista-direttrice, adesso tutti si chiedono dopo che passa: “Sarà lei il nome forte della lista Saviano”?
Pulviscolo decentrato
Uno che ne è convinto è Eugenio Scalfari, elegantissima silhouette, con il suo bastone da passeggio giolittiano, una giacca azzurro carta da zucchero, e la moglie Serena a cui non sfugge nulla. Dandosi il braccio ti fanno venire in mente un verso di Montale. Quello con la pochette è Giulio Napolitano, secondogenito dell’inquilino del Colle, quello che si anima intorno a Paolo Garimberti è il tavolino della Rai, di fronte al produttore Bassetti c’è Giancarlo Leone, l’unico che in questi giardini ci ha vissuto due vite, una da adolescente, quando al Quirinale c’era suo padre assediato da Camilla Cederna, e un’altra da ineffabile Mandarino di viale Mazzini. Leone mi regala un’immagine folgorante che ti racconta il passato e ti spiega il presente: “Fino a dieci anni fa il rituale era liturgico, il presidente partiva dal fondo del giardino e disegnava una ‘elle’ nei sentieri di ghiaia, i convitati si pietrificavano, i capannelli si ammutolivano, e il rompete le righe arrivava progressivamente, solo dopo il suo passaggio e le strette di mano”. Essere importanti voleva dire essere chiusi dentro questo tragitto di ottocento metri, due linee intersecate e un sistema di potere, una stratigrafia in diretta delle gerarchie di Palazzo che intrigarono il Pasolini di Petrolio: un ordine comunque, una geometria. Ma comunque, se fossi stato a bordo dell’aviocar del Luce, tutto sarebbe stato intelleggibile, come le piste di Nazca nel Perù meridionale.Eppure c’è qualcosa di decadente anche in questo pulviscolo decentrato, nei capannelli delle piccole reti relazionali della gerontocrazia italiana. Paolo Villaggio ha avuto la geniale sfrontatezza di venire in caftano: “Come facevo a mettermi una giacca?”.
Poi c’è il discorso del presidente nei giardini. Nell’anno di supernapolitano, nell’anno di gloria del gollismo migliorista penso che potrebbe essere quello il punto di precipitazione della storia, l’acuto squillante del dramma. “Sono entrato per la prima volta nel 1953, appena eletto deputato…”. Giorgio primo ha già difeso la sua scelta strategica, già spiegato l’ossimoro dolente della “parata sobria”, già dettato l’agenda politica. È la prima volta che Napolitano parla in quel giardino. Pensi che adesso potrebbe chiudere il cerchio con un momento-verità, o con un discorso per gli storici. E invece chiude un lessico privato con eleganza e understatement, celebra un appello all’unità. Per fortuna c’è il ministro tecnico Giarda che alleggerisce il clima con una battuta salace: “Presidente, pensi! Potevamo mettere il ticket agli invitati, stasera”. E Napolitano: “Ci ho riflettuto: ma visto il rapporto fra domanda e offerta ho capito che non era il caso”. Arriva l’eco delle battute di Silvio Berlusconi sulla necessità di stampare moneta, ma è come l’eco di un discorso radio del ventennio (breve) disperso nello spazio. Nessuno gli vuole rispondere, tranne un ministro anonimo che dice alla Tm news: “L’unico pericolo sarebbe se qualcuno all’estero lo prendesse sul serio”. E poi Mario Monti. Scompare pure lui, poveretto, fagocitato in un colloquio con Renato Schifani.
Terna da Comitato Centrale
Eppure, proprio nel finale, il pulviscolo trova per un attimo una sua forma. Clio e Giorgio ritirandosi corrono verso il balcone panoramico mozzafiato, che incornicia un tramonto virato di sfumature di rosa, viola, e porpora. Ci vorrebbe il pennello di Carlo Levi per raccontare gli ultimi quattro folgoranti fotogrammi della scena. Massimo D’Alema si inchioda per aspettare il presidente. Il ministro Fabrizio Barca, che ha appena rilasciato dichiarazioni significative sulla parata (“Io non l’avrei fatta, e avrei mandato i soldati a fare cose in giro per le macerie”) converge sulla rotta con la moglie. Barca, D’Alema, Napolitano. A parte che il grande Luciano Barca (dirigente storico del Pci) è stato sostituito dal figlio, è una terna da Comitato centrale. Questo crepuscolo degli dei, questo taglio di tramonto della Repubblica, non finisce sotto il segno dei tecnici. Ma in quel che resta di Botteghe Oscure.
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