Uscire dall'Euro
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Uscire dall'Euro
Premetto: se Bersani dà del pazzo al caimano mi sta anche bene, lo è, ma non dia del pazzo anche a me. Non si permetta. Chiaro?
Allora, io mi sto convincendo sempre di più che forse sarebbe bene uscire fuori.
Vero, all'inizio sarebbe un trauma grosso. Passeremmo dei mesi difficili.
Però pian piano si potrebbe ripartire, intanto dalle esportazioni (svalutando, ovvio).
Tanto, parliamoci chiaro: ma secondo voi se non usciamo noi non ci sbatteranno fuori loro fra alcuni mesi?
I bocconiani l'Italia non la salvano. Stanno facendo gli interessi dei "soliti" sotto il ricatto della discarica, lo vediamo tutti su tanti aspetti.
Stiamo affondando e tanto vale rientrare in porto e ricostruire la nave. Prima di annegare.
Allora, io mi sto convincendo sempre di più che forse sarebbe bene uscire fuori.
Vero, all'inizio sarebbe un trauma grosso. Passeremmo dei mesi difficili.
Però pian piano si potrebbe ripartire, intanto dalle esportazioni (svalutando, ovvio).
Tanto, parliamoci chiaro: ma secondo voi se non usciamo noi non ci sbatteranno fuori loro fra alcuni mesi?
I bocconiani l'Italia non la salvano. Stanno facendo gli interessi dei "soliti" sotto il ricatto della discarica, lo vediamo tutti su tanti aspetti.
Stiamo affondando e tanto vale rientrare in porto e ricostruire la nave. Prima di annegare.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Uscire dall'Euro
Nessuno vuol discutere la cosa?
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Uscire dall'Euro
Le conseguenze del debito
di Giuliano Garavini
Il debito non è questione finanziaria ma politica: lo scontro sul debito coalizza oggi le forze della conservazione europee contro le forze del cambiamento quali Syriza in Grecia e, c’è da aspettarselo, anche contro una eventuale (quanto del tutto ipotetica allo stato dei fatti) coalizione di sinistra in Italia.
Qui metto in fila alcune osservazioni generali sul debito, per poi trarre delle considerazioni conclusive.
- Il problema non è la cifra assoluta del debito pubblico. Il Giappone ha un debito pubblico al 200 per cento del Pil ma non subisce attacchi speculativi. La Spagna aveva un debito pubblico molto basso prima della crisi finanziaria e subisce oggi attacchi durissimi. E’ evidente che il problema è la debolezza della forma istituzionale dell’euro, nonché le prospettive di crescita di ciascun Paese così come rappresentate sia dalla dimensione del mercato interno che dalla possibilità di esportare. Vengono penalizzati dai “mercati” quei Paesi con saldi commerciali in passivo, la cui crescita interna è stata drogata in passato mentre appare piatta o negativa per il futuro.
- I tassi di interesse sul debito pubblico non sono necessariamente un problema in sé. A lungo l’Italia ha dovuto pagare tassi di interesse molto alti: per esempio nel 1986 i tassi netti (depurati dall’inflazione) erano pari a circa il 9 per cento, cioè ben più alti di oggi. La differenza principale consiste nel fatto che i titoli di Stato erano prima in mano alla Banca d’Italia e poi, dopo il divorzio tra la Banca e il Tesoro, ancora in maggioranza in mano ai cittadini italiani. Con la privatizzazione di tutte le banche italiane i titoli di Stato sono divenuti patrimonio di banche e investitori privati in tutto il mondo. Questi hanno utilizzato le nuove rendite non tanto per alimentare l’economia italiana, quanto per speculare e fare shopping all’estero (le banche italiane sono divenute predatori internazionali specie nell’Europa dell’Est). In pratica gli Stati hanno beneficiato di prestiti a bassi tassi di interesse nel periodo delle vacche grasse ma allo stesso tempo, come apprendisti stregoni, si sono messi nelle mani di istituzioni sulle quali non avevano alcun controllo.
- Non è la Germania a pagare per i Paesi che hanno dovuto fare ricorso a presentiti dell’Europa e del Fmi: Irlanda, Portogallo, Grecia e oggi Spagna. Siamo tutti a pagare in base alle nostre dimensioni nell’Unione europea e alle nostre percentuali di voto nel Fmi. E comunque prestiamo quei soldi a tassi di interesse lucrativi e in cambio otteniamo privatizzazione di servizi pubblici e la garanzia che debito sia onorato. Dunque ogni lamentela tedesca sul fatto di essere i soli a pagare è sostanzialmente infondata e corrisponde ad una dichiarazione di guerra, seppure ancora fredda, nei confronti dei partner europei.
Cosa si deduce da queste brevi considerazioni?
La questione del debito è secondaria. Le questioni centrali sono invece altre: la bilancia commerciale e la forza produttiva dei sistemi economici nazionali; l’incompletezza istituzionale dell’euro che non permette alla Banca centrale europea di comprare debito pubblico; gli interessi di segmenti delle elite europee alla svendita di patrimonio pubblico e alla privatizzazione dei servizi nei paesi periferici dell’Europa; la necessità di rompere il ciclo recessivo acutizzato dalle devastanti manovre Berlusconi-Monti del 2012.
Il sistema bancario europeo è stato privatizzato quasi interamente negli anni Ottanta. Alla luce dei risultati questo è stato un grande errore che ha privato i governi della possibilità di orientare il credito per finanziare i propri sistemi economici e li ha messi in condizione di dipendere in modo totale dai propri creditori. I governi europei sono oggi costretti concedere alle banche crediti a tassi di interesse negativi e a salvarle quando queste sono in crisi perché diventante troppo grandi per fallire. La nuova regolazione dei mercati finanziari deve passare necessariamente sia per controlli ai movimenti dei capitali, e in questo senso un piccolo contributo può essere dato dalla Tassa sulle transazioni finanziarie, ma anche per una nuova governance delle banche in cui si tenga conto degli interessi dei cittadini e delle imprese.
Fare leva sul debito è storicamente il modo in cui i Paesi forti si sono rapportati alle colonie o ai Paesi alla loro periferia economica. E’ successo tra le potenze imperiali europee e le regioni che orbitavano nell’Impero ottomano, tra Stati Uniti e l’America Latina, etc. E’ dunque un fatto che se la Germania fa leva sul debito per forzare le maglie di governi amici e costringere a modifiche costituzionali, quando si tenta apertamente di condizionare l’esito di elezioni nazionali in Grecia, questi sono atti che non si sposano con l’idea di una integrazione fra pari ma piuttosto con la pratica di relazioni di tipo coloniale.
Se il debito non è una questione finanziaria ma politica, la via di uscita dal debito non è una questione contabile di riduzione della spesa pubblica ma una questione tutta politica che pone di fronte a dilemmi che vanno sciolti: mantenere il rapporto perverso con le banche private nell’acquisto dei titoli o autorizzare la Banca centrale europea a comprare titoli pubblici illimitatamente? Accettare il pareggio di bilancio nelle Costituzioni nazionali o imporre ai Paesi in surplus commerciale politiche espansive? Continuare a subire condizionamenti a senso unico nella politica interna dei Paesi periferici o spostare a livello europeo alcune scelte di politica estera e di politica fiscale? Accettare una privatizzazione e svendita del patrimonio e dei servizi pubblici per ripagare il debito o far ripagare a chi ne ha maggiormente beneficiato?
Questi dilemmi che non hanno nulla di tecnico ed è oggi chiaro che il governo “tecnico” sta semplicemente sciogliendo i principali nodi con le politiche tradizionali della destra liberista. La priorità è oggi far cadere il governo Monti e affiancare un governo di sinistra in Italia a quello francese per ridare la speranza di una soluzione politica e solidale ai cittadini italiani ed europei.
Giuliano Garavini
( da SEL)
di Giuliano Garavini
Il debito non è questione finanziaria ma politica: lo scontro sul debito coalizza oggi le forze della conservazione europee contro le forze del cambiamento quali Syriza in Grecia e, c’è da aspettarselo, anche contro una eventuale (quanto del tutto ipotetica allo stato dei fatti) coalizione di sinistra in Italia.
Qui metto in fila alcune osservazioni generali sul debito, per poi trarre delle considerazioni conclusive.
- Il problema non è la cifra assoluta del debito pubblico. Il Giappone ha un debito pubblico al 200 per cento del Pil ma non subisce attacchi speculativi. La Spagna aveva un debito pubblico molto basso prima della crisi finanziaria e subisce oggi attacchi durissimi. E’ evidente che il problema è la debolezza della forma istituzionale dell’euro, nonché le prospettive di crescita di ciascun Paese così come rappresentate sia dalla dimensione del mercato interno che dalla possibilità di esportare. Vengono penalizzati dai “mercati” quei Paesi con saldi commerciali in passivo, la cui crescita interna è stata drogata in passato mentre appare piatta o negativa per il futuro.
- I tassi di interesse sul debito pubblico non sono necessariamente un problema in sé. A lungo l’Italia ha dovuto pagare tassi di interesse molto alti: per esempio nel 1986 i tassi netti (depurati dall’inflazione) erano pari a circa il 9 per cento, cioè ben più alti di oggi. La differenza principale consiste nel fatto che i titoli di Stato erano prima in mano alla Banca d’Italia e poi, dopo il divorzio tra la Banca e il Tesoro, ancora in maggioranza in mano ai cittadini italiani. Con la privatizzazione di tutte le banche italiane i titoli di Stato sono divenuti patrimonio di banche e investitori privati in tutto il mondo. Questi hanno utilizzato le nuove rendite non tanto per alimentare l’economia italiana, quanto per speculare e fare shopping all’estero (le banche italiane sono divenute predatori internazionali specie nell’Europa dell’Est). In pratica gli Stati hanno beneficiato di prestiti a bassi tassi di interesse nel periodo delle vacche grasse ma allo stesso tempo, come apprendisti stregoni, si sono messi nelle mani di istituzioni sulle quali non avevano alcun controllo.
- Non è la Germania a pagare per i Paesi che hanno dovuto fare ricorso a presentiti dell’Europa e del Fmi: Irlanda, Portogallo, Grecia e oggi Spagna. Siamo tutti a pagare in base alle nostre dimensioni nell’Unione europea e alle nostre percentuali di voto nel Fmi. E comunque prestiamo quei soldi a tassi di interesse lucrativi e in cambio otteniamo privatizzazione di servizi pubblici e la garanzia che debito sia onorato. Dunque ogni lamentela tedesca sul fatto di essere i soli a pagare è sostanzialmente infondata e corrisponde ad una dichiarazione di guerra, seppure ancora fredda, nei confronti dei partner europei.
Cosa si deduce da queste brevi considerazioni?
La questione del debito è secondaria. Le questioni centrali sono invece altre: la bilancia commerciale e la forza produttiva dei sistemi economici nazionali; l’incompletezza istituzionale dell’euro che non permette alla Banca centrale europea di comprare debito pubblico; gli interessi di segmenti delle elite europee alla svendita di patrimonio pubblico e alla privatizzazione dei servizi nei paesi periferici dell’Europa; la necessità di rompere il ciclo recessivo acutizzato dalle devastanti manovre Berlusconi-Monti del 2012.
Il sistema bancario europeo è stato privatizzato quasi interamente negli anni Ottanta. Alla luce dei risultati questo è stato un grande errore che ha privato i governi della possibilità di orientare il credito per finanziare i propri sistemi economici e li ha messi in condizione di dipendere in modo totale dai propri creditori. I governi europei sono oggi costretti concedere alle banche crediti a tassi di interesse negativi e a salvarle quando queste sono in crisi perché diventante troppo grandi per fallire. La nuova regolazione dei mercati finanziari deve passare necessariamente sia per controlli ai movimenti dei capitali, e in questo senso un piccolo contributo può essere dato dalla Tassa sulle transazioni finanziarie, ma anche per una nuova governance delle banche in cui si tenga conto degli interessi dei cittadini e delle imprese.
Fare leva sul debito è storicamente il modo in cui i Paesi forti si sono rapportati alle colonie o ai Paesi alla loro periferia economica. E’ successo tra le potenze imperiali europee e le regioni che orbitavano nell’Impero ottomano, tra Stati Uniti e l’America Latina, etc. E’ dunque un fatto che se la Germania fa leva sul debito per forzare le maglie di governi amici e costringere a modifiche costituzionali, quando si tenta apertamente di condizionare l’esito di elezioni nazionali in Grecia, questi sono atti che non si sposano con l’idea di una integrazione fra pari ma piuttosto con la pratica di relazioni di tipo coloniale.
Se il debito non è una questione finanziaria ma politica, la via di uscita dal debito non è una questione contabile di riduzione della spesa pubblica ma una questione tutta politica che pone di fronte a dilemmi che vanno sciolti: mantenere il rapporto perverso con le banche private nell’acquisto dei titoli o autorizzare la Banca centrale europea a comprare titoli pubblici illimitatamente? Accettare il pareggio di bilancio nelle Costituzioni nazionali o imporre ai Paesi in surplus commerciale politiche espansive? Continuare a subire condizionamenti a senso unico nella politica interna dei Paesi periferici o spostare a livello europeo alcune scelte di politica estera e di politica fiscale? Accettare una privatizzazione e svendita del patrimonio e dei servizi pubblici per ripagare il debito o far ripagare a chi ne ha maggiormente beneficiato?
Questi dilemmi che non hanno nulla di tecnico ed è oggi chiaro che il governo “tecnico” sta semplicemente sciogliendo i principali nodi con le politiche tradizionali della destra liberista. La priorità è oggi far cadere il governo Monti e affiancare un governo di sinistra in Italia a quello francese per ridare la speranza di una soluzione politica e solidale ai cittadini italiani ed europei.
Giuliano Garavini
( da SEL)
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- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Uscire dall'Euro
Qualche mese addietro avevo pubblicato una diagramma di flusso su cosa sarebbe successo alla Grecia in caso di svalutazione.peanuts ha scritto:Nessuno vuol discutere la cosa?
Io faccio i conti della signora Pina, la mitica casalinga di Voghera che da 4 anni riesce a sopravvivere in questa italietta tremebonda.
Silvietto si può permettere di urlare "usciamo dall'euro" perché malgrado la svalutazione immediata del 40 % che colpisce certamente il suo patrimonio da Paperone tricolore, si può ancora permettere di mantenere il suo esercito di escort.
Io invece mi chiedo cosa succede ai lavoratori e ai pensionati che non percepiscono pensioni d'oro o come Giuliano Amato da 40 mila euro mese, come possono campare con una svalutazione del 40 %.
Anche Grillo, è miliardario anche se non come Berlusconi.
Sarebbe importante pensare al mondo del lavoro, e a cosa metterà in tavola ai loro figli.
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Re: Uscire dall'Euro
Trascurate un particolare: in che modo possiamo restarci senza che ci buttino fuori?
Con monti?
Dai, su...
Con monti?
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"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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