Domanda ed offerta, libero mercato, ma aumenta tutto.
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Domanda ed offerta, libero mercato, ma aumenta tutto.
Bollette, la stangata di luglio 2012: +2,36% per il gas, +0,2% per la luce.
In un anno 33 euro in più a famiglia
Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2012 alle ore 19:01.
Nuovo aumento per le bollette a partire dal primo luglio. Per il gas l'incremento deciso dall'Autorità dell'energia è del 2,6%, con un aggravio annuo di spesa di 32 euro per famiglia. Per la luce, dopo l'impennata del trimestre scorso, si annuncia un mini-rincaro dello 0,2%, pari ad 1 euro in più.
I prezzi del Gpl, invece, subiranno un calo del 5,1% per il mese di luglio, con una riduzione della spesa annua per l'utente tipo (286 mc/anno) pari a 62 euro.
Fonte : http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AbAWanzF
In un anno 33 euro in più a famiglia
Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2012 alle ore 19:01.
Nuovo aumento per le bollette a partire dal primo luglio. Per il gas l'incremento deciso dall'Autorità dell'energia è del 2,6%, con un aggravio annuo di spesa di 32 euro per famiglia. Per la luce, dopo l'impennata del trimestre scorso, si annuncia un mini-rincaro dello 0,2%, pari ad 1 euro in più.
I prezzi del Gpl, invece, subiranno un calo del 5,1% per il mese di luglio, con una riduzione della spesa annua per l'utente tipo (286 mc/anno) pari a 62 euro.
Fonte : http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AbAWanzF
Ultima modifica di Stratos58 il 29/06/2012, 9:51, modificato 1 volta in totale.
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Re: Domanda ed offerta, libero mercato, ma aumenta tutto.
Famiglie: la bolletta energetica è aumentata del +48,3%. Boom per quella del gas: + 58,8%.
Tra il 2001 ed il 2011, segnala la CGIA di Mestre, le bollette energetiche delle famiglie italiane sono aumentate del +48,3%. In termini assoluti, la maggiore spesa sostenuta in questo decennio dai nuclei familiari italiani è stata pari a 455 euro, così suddivisa: 141 euro in più per l’energia elettrica; 314 euro in più per il gas. La variazione percentuale, invece, ha visto aumentare la prima del +34,5% e la seconda del +58,8%. Sempre nello stesso arco temporale, l’inflazione è aumentata del 15,7%. Complessivamente il costo della bolletta energetica di una famiglia media italiana è stato, nel 2011, pari a 1.397 euro: quasi lo stipendio mensile medio di un impiegato.
“Per fortuna – sottolinea Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre – grazie alla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, gli aumenti sono stati in parte contenuti , anche se non dobbiamo dimenticare che i prezzi dei prodotti energetici sono fortemente condizionati dall’andamento dei costi delle materie prime e dal cambio euro/dollaro”.
Dalla CGIA ricordano che il settore del gas è stato liberalizzato nel 2003: da allora sino al 2011, le tariffe sono aumentate del +33,5%, contro un aumento medio dell’inflazione pari al +17,5%. Il settore dell’energia elettrica, invece, è stato “aperto” a partire dal 1° luglio 2007. Da quest’ultima data alla fine del 2011, a fronte di un aumento del prezzo medio della luce del +1,8%, l’inflazione è aumenta del +8,4%
Fonte : http://www.cgiamestre.com/2012/04/famig ... l-gas-588/
Tra il 2001 ed il 2011, segnala la CGIA di Mestre, le bollette energetiche delle famiglie italiane sono aumentate del +48,3%. In termini assoluti, la maggiore spesa sostenuta in questo decennio dai nuclei familiari italiani è stata pari a 455 euro, così suddivisa: 141 euro in più per l’energia elettrica; 314 euro in più per il gas. La variazione percentuale, invece, ha visto aumentare la prima del +34,5% e la seconda del +58,8%. Sempre nello stesso arco temporale, l’inflazione è aumentata del 15,7%. Complessivamente il costo della bolletta energetica di una famiglia media italiana è stato, nel 2011, pari a 1.397 euro: quasi lo stipendio mensile medio di un impiegato.
“Per fortuna – sottolinea Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre – grazie alla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, gli aumenti sono stati in parte contenuti , anche se non dobbiamo dimenticare che i prezzi dei prodotti energetici sono fortemente condizionati dall’andamento dei costi delle materie prime e dal cambio euro/dollaro”.
Dalla CGIA ricordano che il settore del gas è stato liberalizzato nel 2003: da allora sino al 2011, le tariffe sono aumentate del +33,5%, contro un aumento medio dell’inflazione pari al +17,5%. Il settore dell’energia elettrica, invece, è stato “aperto” a partire dal 1° luglio 2007. Da quest’ultima data alla fine del 2011, a fronte di un aumento del prezzo medio della luce del +1,8%, l’inflazione è aumenta del +8,4%
Fonte : http://www.cgiamestre.com/2012/04/famig ... l-gas-588/
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Re: Domanda ed offerta, libero mercato, ma aumenta tutto.
Tariffe: aumenti boom, soprattutto tra quelle amministrate dai comuni.
Tra il 2000 ed il 2011 le bollette dell’acqua potabile (+70,2%) e quelle dei rifiuti (+61%) sono aumentate più del doppio del costo della vita (+27,1%).
Le tariffe dei servizi pubblici, ad esclusione di quelle legate alla telefonia, hanno subito degli aumenti boom. Se in poco più di un decennio il costo della vita è aumentato del +27,1%, la tariffa dell’acqua potabile, ad esempio, è cresciuta del 70,2%, quella della raccolta rifiuti del 61%, mentre i biglietti dei trasporti ferroviari sono aumentati del + 53,2%. Di seguito troviamo i pedaggi autostradali, con un incremento del + 49,1%, il gas, con una crescita del +43,3% ed i trasporti urbani, con una variazione del +39,5%. Nella parte bassa di questa speciale graduatoria troviamo i servizi postali (+30,4%), l’energia elettrica (+26,2%) ed i servizi telefonici (-11%). Quest’ultima, è l’unica voce tariffaria che nel periodo preso in esame ha registrato una contrazione negativa.
E’ questo il risultato emerso da un’analisi effettuata dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre, che ha analizzato l’andamento dei prezzi delle tariffe dei servizi pubblici, avvenuto tra il 2000 ed i primi 10 mesi del 2011.
“Come emerge dalla nostra analisi, le tariffe amministrate dai Comuni – commenta Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre – sono quelle che hanno subito le impennate più consistenti. Purtroppo, a fronte degli aumenti delle bollette dell’acqua o dell’asporto rifiuti, non è seguito un corrispondente aumento della qualità del servizio offerto ai cittadini. Anzi, in molte parti del Paese è addirittura peggiorato. In pratica, il ritocco all’insù delle tariffe è servito agli Enti locali per far cassa, compensando, solo in parte, il taglio dei trasferimenti imposti in questi ultimi anni dallo Stato centrale”.
L’analisi della CGIA è proseguita facendo un approfondimento sul periodo 2000-2008 (arco temporale pre-crisi) e quello 2008-2011 (periodo di crisi economica).
Ebbene, nel periodo pre-crisi, a fronte di una crescita dell’inflazione del +21,1%, gli aumenti più consistenti sono avvenuti nei servizi di raccolta dei rifiuti (+42%), nelle tariffe del gas (+38,7%) ed in quelle dell’energia elettrica (+36%).
Nel quadriennio di crisi 2008-2011, invece, le impennate più decise le hanno subite le bollette dell’acqua (+25,5%), i biglietti dei trasporti ferroviari (+23,6%) ed i pedaggi autostradali (+16,6%). Sempre in questo periodo, invece, l’inflazione è aumentata “solo” del +4,9%.
Evoluzione delle principali tariffe dei servizi pubblici nell’ultimo decennio
2000/2011 (*)
Acqua potabile (**) +70,2
Rifiuti urbani +61,0
Trasporti ferroviari +53,2
Pedaggi autostradali (**) +49,1
Gas +43,3
Trasporti urbani (**) +39,5
Taxi +37,7
Servizi postali +30,4
Energia elettrica +26,2
Servizi telefonici -11,0
Inflazione +27,1
(*) Per il 2011 si considera la media degli indici relativi ai primi 10 mesi dell’anno (gen-ott 2011).
(**) Si fa presente che per le voci acqua potabile, pedaggi autostradali e trasporti urbani – causa dei cambiamenti nella rilevazione da parte dell’ISTAT (nel 2011) – le variazioni dei prezzi sono state calcolate riconducendo le voci in questione a quelle più direttamente confrontabili (rispettivamente fornitura acqua, pedaggi e parchimetri, trasporti urbani multimodali).
Elaborazione Ufficio Studi CGIA di Mestre su dati Istat
Evoluzione delle principali tariffe nel periodo pre-crisi (2000-2008)
Variazione % dell’indice NIC dei prezzi al consumo
Var. % 2000/2008 Var. % media annua
(2000-2008) Differenza con Inflazione
(punti % di distanza su media annua)
Raccolta rifiuti +42,0 +5,2 +2,6
Gas +38,7 +4,8 +2,2
Energia elettrica +36,0 +4,5 +1,9
Acqua potabile +35,5 +4,4 +1,8
Taxi +30,7 +3,8 +1,2
Pedaggi autostradali +27,9 +3,5 +0,9
Trasporti urbani +26,8 +3,4 +0,7
Trasporti ferroviari +24,0 +3,0 +0,4
Servizi postali +16,1 +2,0 -0,6
Servizi di telefonia -12,3 -1,5 -4,2
Inflazione +21,1 +2,6 +0,0
Elaborazione Ufficio Studi CGIA di Mestre su dati Istat
Evoluzione delle principali tariffe nel periodo di crisi (2008-2011)
Variazione % dell’indice NIC dei prezzi al consumo
Var. % 2008/2011 (*) Var. % media annua
(2008-2011) Differenza con Inflazione
(punti % di distanza su media annua)
Acqua potabile (**) +25,5 +8,5 +6,9
Trasporti ferroviari +23,6 +7,9 +6,2
Pedaggi autostradali (**) +16,6 +5,5 +3,9
Raccolta rifiuti +13,4 +4,5 +2,8
Servizi postali +12,4 +4,1 +2,5
Trasporti urbani (**) +10,0 +3,3 +1,7
Taxi +5,3 +1,8 +0,1
Gas +3,3 +1,1 -0,5
Servizi telefonici +1,5 +0,5 -1,1
Energia elettrica -7,2 -2,4 -4,0
Inflazione +4,9 +1,6 +0,0
(*) Per il 2011 si considera la media degli indici relativi ai primi 10 mesi dell’anno (gen-ott 2011).
(**) Si fa presente che per le voci acqua potabile, pedaggi autostradali e trasporti urbani – causa dei cambiamenti nella rilevazione da parte dell’ISTAT (nel 2011) – le variazioni dei prezzi sono state calcolate riconducendo le voci in questione a quelle più direttamente confrontabili (rispettivamente fornitura acqua, pedaggi e parchimetri, trasporti urbani multimodali).
Elaborazione Ufficio Studi CGIA di Mestre su dati Istat.
Tra il 2000 ed il 2011 le bollette dell’acqua potabile (+70,2%) e quelle dei rifiuti (+61%) sono aumentate più del doppio del costo della vita (+27,1%).
Le tariffe dei servizi pubblici, ad esclusione di quelle legate alla telefonia, hanno subito degli aumenti boom. Se in poco più di un decennio il costo della vita è aumentato del +27,1%, la tariffa dell’acqua potabile, ad esempio, è cresciuta del 70,2%, quella della raccolta rifiuti del 61%, mentre i biglietti dei trasporti ferroviari sono aumentati del + 53,2%. Di seguito troviamo i pedaggi autostradali, con un incremento del + 49,1%, il gas, con una crescita del +43,3% ed i trasporti urbani, con una variazione del +39,5%. Nella parte bassa di questa speciale graduatoria troviamo i servizi postali (+30,4%), l’energia elettrica (+26,2%) ed i servizi telefonici (-11%). Quest’ultima, è l’unica voce tariffaria che nel periodo preso in esame ha registrato una contrazione negativa.
E’ questo il risultato emerso da un’analisi effettuata dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre, che ha analizzato l’andamento dei prezzi delle tariffe dei servizi pubblici, avvenuto tra il 2000 ed i primi 10 mesi del 2011.
“Come emerge dalla nostra analisi, le tariffe amministrate dai Comuni – commenta Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre – sono quelle che hanno subito le impennate più consistenti. Purtroppo, a fronte degli aumenti delle bollette dell’acqua o dell’asporto rifiuti, non è seguito un corrispondente aumento della qualità del servizio offerto ai cittadini. Anzi, in molte parti del Paese è addirittura peggiorato. In pratica, il ritocco all’insù delle tariffe è servito agli Enti locali per far cassa, compensando, solo in parte, il taglio dei trasferimenti imposti in questi ultimi anni dallo Stato centrale”.
L’analisi della CGIA è proseguita facendo un approfondimento sul periodo 2000-2008 (arco temporale pre-crisi) e quello 2008-2011 (periodo di crisi economica).
Ebbene, nel periodo pre-crisi, a fronte di una crescita dell’inflazione del +21,1%, gli aumenti più consistenti sono avvenuti nei servizi di raccolta dei rifiuti (+42%), nelle tariffe del gas (+38,7%) ed in quelle dell’energia elettrica (+36%).
Nel quadriennio di crisi 2008-2011, invece, le impennate più decise le hanno subite le bollette dell’acqua (+25,5%), i biglietti dei trasporti ferroviari (+23,6%) ed i pedaggi autostradali (+16,6%). Sempre in questo periodo, invece, l’inflazione è aumentata “solo” del +4,9%.
Evoluzione delle principali tariffe dei servizi pubblici nell’ultimo decennio
2000/2011 (*)
Acqua potabile (**) +70,2
Rifiuti urbani +61,0
Trasporti ferroviari +53,2
Pedaggi autostradali (**) +49,1
Gas +43,3
Trasporti urbani (**) +39,5
Taxi +37,7
Servizi postali +30,4
Energia elettrica +26,2
Servizi telefonici -11,0
Inflazione +27,1
(*) Per il 2011 si considera la media degli indici relativi ai primi 10 mesi dell’anno (gen-ott 2011).
(**) Si fa presente che per le voci acqua potabile, pedaggi autostradali e trasporti urbani – causa dei cambiamenti nella rilevazione da parte dell’ISTAT (nel 2011) – le variazioni dei prezzi sono state calcolate riconducendo le voci in questione a quelle più direttamente confrontabili (rispettivamente fornitura acqua, pedaggi e parchimetri, trasporti urbani multimodali).
Elaborazione Ufficio Studi CGIA di Mestre su dati Istat
Evoluzione delle principali tariffe nel periodo pre-crisi (2000-2008)
Variazione % dell’indice NIC dei prezzi al consumo
Var. % 2000/2008 Var. % media annua
(2000-2008) Differenza con Inflazione
(punti % di distanza su media annua)
Raccolta rifiuti +42,0 +5,2 +2,6
Gas +38,7 +4,8 +2,2
Energia elettrica +36,0 +4,5 +1,9
Acqua potabile +35,5 +4,4 +1,8
Taxi +30,7 +3,8 +1,2
Pedaggi autostradali +27,9 +3,5 +0,9
Trasporti urbani +26,8 +3,4 +0,7
Trasporti ferroviari +24,0 +3,0 +0,4
Servizi postali +16,1 +2,0 -0,6
Servizi di telefonia -12,3 -1,5 -4,2
Inflazione +21,1 +2,6 +0,0
Elaborazione Ufficio Studi CGIA di Mestre su dati Istat
Evoluzione delle principali tariffe nel periodo di crisi (2008-2011)
Variazione % dell’indice NIC dei prezzi al consumo
Var. % 2008/2011 (*) Var. % media annua
(2008-2011) Differenza con Inflazione
(punti % di distanza su media annua)
Acqua potabile (**) +25,5 +8,5 +6,9
Trasporti ferroviari +23,6 +7,9 +6,2
Pedaggi autostradali (**) +16,6 +5,5 +3,9
Raccolta rifiuti +13,4 +4,5 +2,8
Servizi postali +12,4 +4,1 +2,5
Trasporti urbani (**) +10,0 +3,3 +1,7
Taxi +5,3 +1,8 +0,1
Gas +3,3 +1,1 -0,5
Servizi telefonici +1,5 +0,5 -1,1
Energia elettrica -7,2 -2,4 -4,0
Inflazione +4,9 +1,6 +0,0
(*) Per il 2011 si considera la media degli indici relativi ai primi 10 mesi dell’anno (gen-ott 2011).
(**) Si fa presente che per le voci acqua potabile, pedaggi autostradali e trasporti urbani – causa dei cambiamenti nella rilevazione da parte dell’ISTAT (nel 2011) – le variazioni dei prezzi sono state calcolate riconducendo le voci in questione a quelle più direttamente confrontabili (rispettivamente fornitura acqua, pedaggi e parchimetri, trasporti urbani multimodali).
Elaborazione Ufficio Studi CGIA di Mestre su dati Istat.
Re: Domanda ed offerta, libero mercato, ma aumenta tutto.
I mercati siamo noi? Una risposta a Pietro Ichino
Pubblicato il 24 giugno 2012 da Giacomo Bottos
Pietro Ichino cerca di rispondere sul suo sito (http://www.pietroichino.it/?p=21949), ad articoli di vari personaggi che di recente hanno criticato la situazione che si è venuta a creare nel nostro rapporto coi mercati, più simili a un dio geloso e insaziabile che non a semplici mezzi.
L’articolo è accattivante, come tante altre presentazioni del libero mercato (ad esempio quella in cui Friedman spiega quante migliaia di persone siano state necessarie, con il loro lavoro, per creare una sola, singola matita, tutte tenute insieme da una forza armoniosa e pacifica…) ma, come queste ultime, finisce per essere una bella favola, un mito, piuttosto che una descrizione realistica della realtà e delle sue contraddizioni.
L’assunto centrale dell’argomentazione di Ichino è uno: i mercati siamo noi. Nel momento in cui ognuno di noi pretende per i propri risparmi il massimo rendimento (compatibile con il livello di rischio che ha deciso di accettare) questi si sta unendo a quel popolo invisibile e sterminato che, come risultante dell’infinità delle proprie scelte individuali determina l’andamento del mercato.
E’ un argomento di indubbia suggestione. Ma che trascura di dire molte cose. Ad esempio che noi, ammesso che siamo il mercato, siamo anche lo Stato. Ed è curioso che nel mercato venga applicato, in genere, esattamente lo stesso principio di delega che in questo momento è sotto accusa nella politica. Come Ichino giustamente nota, spesso “la casalinga di Voghera o l’artigiano di Sao Paulo” non effettuano in proprio le decisioni di investimento (perché i mercati, così come la politica, sono una cosa complicata…) ma delegano tali decisioni a fondi pensione, fondi comuni, intermediari bancari ecc.
Ora, curiosamente, nella finanza avviene proprio ciò che a volte avviene in politica e che è oggetto di continua e ossessiva critica: gli intermediari, coloro che sono delegati a gestire il denaro formano una casta che si appropria di privilegi crescenti (basti pensare ai bonus stellari di trader, analisi, dirigenti e del loro vertiginoso aumento a partire dagli anni Ottanta). E i privilegi della finanza, sarà pronto ad ammetterlo chiunque, fanno impallidire quelli della politica.
Ma, si risponderà, i bonus e gli stipendi sono assegnati su base meritocratica. Anche ammettendo questo la quota totale dei bonus, ovvero la parte dei profitti che si decide di destinare ai bonus non ha nessun fondamento necessario. Basti pensare che nel 1985 il bonus medio a Wall Street era pari a circa il 60% di un reddito medio di New York. Nel 2006 questa percentuale era balzata a quasi il 400% per scendere nel 2010 al 260%. Non risulta che nel frattempo la casalinga di Voghera o l’artigiano di Sao Paulo abbiano registrato un incremento paragonabile nei rendimenti dei loro fondi pensione.
Ma anche ipotizzando fosse questo il caso ci sono altre, e più gravi, questioni. Ichino elude l’accusa di mancanza di responsabilità e democraticità dei mercati dicendo che i gestori incapaci si dimettono. L’unica cosa di cui questi gestori devono rispondere è il rendimento dei capitali che gli sono assegnati. Per chi possiede grandi capitali questa è certamente la cosa più importante, che fa passare in secondo piano ogni altro fattore. Se un risparmiatore guadagna, poniamo, il 5% (una percentuale ottimistica, di questi tempi) su 100.000 euro di risparmi, a parte il recupero dell’inflazione avrà un guadagno reale, poniamo, di 3000 euro. Se invece un grande investitore guadagna il 5% su 1 miliardo di euro avrà un guadagno reale di 30 milioni. E’ chiaro che per il grande investitore ogni piccola variazione percentuale è estremamente significativa e ha senso perseguirla ad ogni costo. Poniamo ora invece che quei 100.000 euro siano i risparmi di una vita di un lavoratore. Il suo fondo pensione detiene il pacchetto di controllo di una finanziaria che, tra le sue molte partecipazioni detiene anche l’impresa dove lui lavora. Il gestore, che ci tiene a non essere licenziato, fa pressione in assemblea: i rendimenti debbono crescere perché non sono in linea con gli standard del mercato. Gli amministratori della finanziaria per perseguire questo obiettivo decidono, tra le tante cose, di avviare piani di ristrutturazione che prevedono tagli all’occupazione.
Il nostro lavoratore riceve una lettera che gli comunica che dovrà andare in cassa integrazione. Dunque l’operazione effettuata dal gestore del fondo pensione per aumentare il rendimento del suo capitale (dunque, apparentemente, nel suo pieno interesse) alla fine si ritorce contro di lui, che ne riceve un danno netto. Non solo, anche nel caso in cui il nostro lavoratore non fosse personalmente licenziato, le “operazioni di ristrutturazione” effettuate su grande scala non solo dal nostro gestore, ma anche dai suoi concorrenti, finiranno per aumentare la disoccupazione, diffondere nuovi lavori flessibili e non garantiti, esercitando un effetto deterrente nei confronti delle rivendicazioni salariali che il suo sindacato potrebbe avanzare e quindi, ancora una volta, causando un danno economico per il nostro lavoratore. Tutto questo invece non vale per il nostro investitore da un miliardo di euro che naturalmente ha pieno interesse in tutto questo.
Questo esempio rende chiaro il perché la finanziarizzazione dell’economia dagli anni ’80 ad oggi sia stata accompagnata da un massiccio aumento delle disuguaglianze e dunque, in definitiva, abbia avuto un effetto redistributivo al contrario. E’ intuitivo che chi più ha beneficia maggiormente di elevati rendimenti sul capitale. Non solo: abbiamo fin qui considerato unicamente l’aspetto economico, trascurando gli aspetti umani e sociali che vengono totalmente espunti da questo calcolo. I mercati siamo noi (dove alcuni, come abbiamo visto, pesano molto più di altri in questo noi) ma solo in quanto hominem economici. Si dà per scontato che l’interesse al massimo rendimento del capitale debba sovrastare ed eliminare qualunque altra valutazione. Certo, in teoria lo Stato ha la possibilità di regolare (anche se questo è deprecato dall’estremismo liberista), ma di fatto l’intera architettura è congegnata in maniera da porre lo stato in una posizione subalterna e priva dei reali strumenti per influire.
Per tornare alla questione della crisi del debito, non è il debito in quanto tale a fare la differenza. Basta citare il caso del Giappone, dove un debito superiore al 200% del PIL risulta sostenibile. Sono gli interessi elevati da pagare sul debito che lo portano su una traiettoria potenzialmente esplosiva. Questo è successo negli anni ’80 e rischia di succedere ora. Questo avviene perché alla mano pubblica sono stati scientemente sottratti tutti gli strumenti per intervenire e calmierare questi interessi. Perché si riteneva che il fatto che lo Stato fosse sottoposto al giudizio dei mercati fosse cosa giusta e benefica. Anche questo va ricordato, è una decisione politica che ci ha portato a questa condizione, non una condizione naturale e inevitabile. Così come non è un fato ineluttabile il potere dei fondi pensione. E’ una decisione politica quella di mettere le persone nella condizione di doversi fare una pensione privata.
Certo, lo Stato e la politica hanno talvolta mostrato di non saper svolgere il loro ruolo nella maniera migliore. Ma, concettualmente, rimane il fatto che in un sistema democratico, pur con tutti i suoi difetti, tutto può essere sottoposto a discussione pubblica e il cittadino insoddisfatto può, oltre che a votare, contando come tutti gli altri, impegnarsi in politica per cercare di cambiare le cose.
Invece dare il potere di ultima istanza ai mercati finanziari significa lasciare determinare il nostro destino a un mondo dove il principio che vale è: un dollaro un voto. Non era esattamente questo il sogno di emancipazione della modernità.
http://www.termometropolitico.it/18071_ ... chino.html
Pubblicato il 24 giugno 2012 da Giacomo Bottos
Pietro Ichino cerca di rispondere sul suo sito (http://www.pietroichino.it/?p=21949), ad articoli di vari personaggi che di recente hanno criticato la situazione che si è venuta a creare nel nostro rapporto coi mercati, più simili a un dio geloso e insaziabile che non a semplici mezzi.
L’articolo è accattivante, come tante altre presentazioni del libero mercato (ad esempio quella in cui Friedman spiega quante migliaia di persone siano state necessarie, con il loro lavoro, per creare una sola, singola matita, tutte tenute insieme da una forza armoniosa e pacifica…) ma, come queste ultime, finisce per essere una bella favola, un mito, piuttosto che una descrizione realistica della realtà e delle sue contraddizioni.
L’assunto centrale dell’argomentazione di Ichino è uno: i mercati siamo noi. Nel momento in cui ognuno di noi pretende per i propri risparmi il massimo rendimento (compatibile con il livello di rischio che ha deciso di accettare) questi si sta unendo a quel popolo invisibile e sterminato che, come risultante dell’infinità delle proprie scelte individuali determina l’andamento del mercato.
E’ un argomento di indubbia suggestione. Ma che trascura di dire molte cose. Ad esempio che noi, ammesso che siamo il mercato, siamo anche lo Stato. Ed è curioso che nel mercato venga applicato, in genere, esattamente lo stesso principio di delega che in questo momento è sotto accusa nella politica. Come Ichino giustamente nota, spesso “la casalinga di Voghera o l’artigiano di Sao Paulo” non effettuano in proprio le decisioni di investimento (perché i mercati, così come la politica, sono una cosa complicata…) ma delegano tali decisioni a fondi pensione, fondi comuni, intermediari bancari ecc.
Ora, curiosamente, nella finanza avviene proprio ciò che a volte avviene in politica e che è oggetto di continua e ossessiva critica: gli intermediari, coloro che sono delegati a gestire il denaro formano una casta che si appropria di privilegi crescenti (basti pensare ai bonus stellari di trader, analisi, dirigenti e del loro vertiginoso aumento a partire dagli anni Ottanta). E i privilegi della finanza, sarà pronto ad ammetterlo chiunque, fanno impallidire quelli della politica.
Ma, si risponderà, i bonus e gli stipendi sono assegnati su base meritocratica. Anche ammettendo questo la quota totale dei bonus, ovvero la parte dei profitti che si decide di destinare ai bonus non ha nessun fondamento necessario. Basti pensare che nel 1985 il bonus medio a Wall Street era pari a circa il 60% di un reddito medio di New York. Nel 2006 questa percentuale era balzata a quasi il 400% per scendere nel 2010 al 260%. Non risulta che nel frattempo la casalinga di Voghera o l’artigiano di Sao Paulo abbiano registrato un incremento paragonabile nei rendimenti dei loro fondi pensione.
Ma anche ipotizzando fosse questo il caso ci sono altre, e più gravi, questioni. Ichino elude l’accusa di mancanza di responsabilità e democraticità dei mercati dicendo che i gestori incapaci si dimettono. L’unica cosa di cui questi gestori devono rispondere è il rendimento dei capitali che gli sono assegnati. Per chi possiede grandi capitali questa è certamente la cosa più importante, che fa passare in secondo piano ogni altro fattore. Se un risparmiatore guadagna, poniamo, il 5% (una percentuale ottimistica, di questi tempi) su 100.000 euro di risparmi, a parte il recupero dell’inflazione avrà un guadagno reale, poniamo, di 3000 euro. Se invece un grande investitore guadagna il 5% su 1 miliardo di euro avrà un guadagno reale di 30 milioni. E’ chiaro che per il grande investitore ogni piccola variazione percentuale è estremamente significativa e ha senso perseguirla ad ogni costo. Poniamo ora invece che quei 100.000 euro siano i risparmi di una vita di un lavoratore. Il suo fondo pensione detiene il pacchetto di controllo di una finanziaria che, tra le sue molte partecipazioni detiene anche l’impresa dove lui lavora. Il gestore, che ci tiene a non essere licenziato, fa pressione in assemblea: i rendimenti debbono crescere perché non sono in linea con gli standard del mercato. Gli amministratori della finanziaria per perseguire questo obiettivo decidono, tra le tante cose, di avviare piani di ristrutturazione che prevedono tagli all’occupazione.
Il nostro lavoratore riceve una lettera che gli comunica che dovrà andare in cassa integrazione. Dunque l’operazione effettuata dal gestore del fondo pensione per aumentare il rendimento del suo capitale (dunque, apparentemente, nel suo pieno interesse) alla fine si ritorce contro di lui, che ne riceve un danno netto. Non solo, anche nel caso in cui il nostro lavoratore non fosse personalmente licenziato, le “operazioni di ristrutturazione” effettuate su grande scala non solo dal nostro gestore, ma anche dai suoi concorrenti, finiranno per aumentare la disoccupazione, diffondere nuovi lavori flessibili e non garantiti, esercitando un effetto deterrente nei confronti delle rivendicazioni salariali che il suo sindacato potrebbe avanzare e quindi, ancora una volta, causando un danno economico per il nostro lavoratore. Tutto questo invece non vale per il nostro investitore da un miliardo di euro che naturalmente ha pieno interesse in tutto questo.
Questo esempio rende chiaro il perché la finanziarizzazione dell’economia dagli anni ’80 ad oggi sia stata accompagnata da un massiccio aumento delle disuguaglianze e dunque, in definitiva, abbia avuto un effetto redistributivo al contrario. E’ intuitivo che chi più ha beneficia maggiormente di elevati rendimenti sul capitale. Non solo: abbiamo fin qui considerato unicamente l’aspetto economico, trascurando gli aspetti umani e sociali che vengono totalmente espunti da questo calcolo. I mercati siamo noi (dove alcuni, come abbiamo visto, pesano molto più di altri in questo noi) ma solo in quanto hominem economici. Si dà per scontato che l’interesse al massimo rendimento del capitale debba sovrastare ed eliminare qualunque altra valutazione. Certo, in teoria lo Stato ha la possibilità di regolare (anche se questo è deprecato dall’estremismo liberista), ma di fatto l’intera architettura è congegnata in maniera da porre lo stato in una posizione subalterna e priva dei reali strumenti per influire.
Per tornare alla questione della crisi del debito, non è il debito in quanto tale a fare la differenza. Basta citare il caso del Giappone, dove un debito superiore al 200% del PIL risulta sostenibile. Sono gli interessi elevati da pagare sul debito che lo portano su una traiettoria potenzialmente esplosiva. Questo è successo negli anni ’80 e rischia di succedere ora. Questo avviene perché alla mano pubblica sono stati scientemente sottratti tutti gli strumenti per intervenire e calmierare questi interessi. Perché si riteneva che il fatto che lo Stato fosse sottoposto al giudizio dei mercati fosse cosa giusta e benefica. Anche questo va ricordato, è una decisione politica che ci ha portato a questa condizione, non una condizione naturale e inevitabile. Così come non è un fato ineluttabile il potere dei fondi pensione. E’ una decisione politica quella di mettere le persone nella condizione di doversi fare una pensione privata.
Certo, lo Stato e la politica hanno talvolta mostrato di non saper svolgere il loro ruolo nella maniera migliore. Ma, concettualmente, rimane il fatto che in un sistema democratico, pur con tutti i suoi difetti, tutto può essere sottoposto a discussione pubblica e il cittadino insoddisfatto può, oltre che a votare, contando come tutti gli altri, impegnarsi in politica per cercare di cambiare le cose.
Invece dare il potere di ultima istanza ai mercati finanziari significa lasciare determinare il nostro destino a un mondo dove il principio che vale è: un dollaro un voto. Non era esattamente questo il sogno di emancipazione della modernità.
http://www.termometropolitico.it/18071_ ... chino.html
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Re: Domanda ed offerta, libero mercato, ma aumenta tutto.
L’articolo è accattivante, come tante altre presentazioni del libero mercato (ad esempio quella in cui Friedman spiega quante migliaia di persone siano state necessarie, con il loro lavoro, per creare una sola, singola matita, tutte tenute insieme da una forza armoniosa e pacifica…) ma, come queste ultime, finisce per essere una bella favola, un mito, piuttosto che una descrizione realistica della realtà e delle sue contraddizioni.
Per la miseria,.....ma quanto costa quella matita.......
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Re: Domanda ed offerta, libero mercato, ma aumenta tutto.
Vorrei sapere se siete d'accordo su una cosa che penso.
Per quanto riguarda luce, gas, acqua, assicurazioni, benzina e simili, telefonia eccetera deve esserci una unica strada: LA FINE DELLA LIBERA CONCORRENZA.
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"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Domanda ed offerta, libero mercato, ma aumenta tutto.
Beh?
Mica è una idea tanto scema.
Così nessuno si ingozzerà truffandoci e i soldi andranno tutti allo stato (con manager eletti dalle associazioni).
Mica è una idea tanto scema.
Così nessuno si ingozzerà truffandoci e i soldi andranno tutti allo stato (con manager eletti dalle associazioni).
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Re: Domanda ed offerta, libero mercato, ma aumenta tutto.
Il fatto che nessuno risponda mi fa preoccupare.
Non è un obbligo, certo, però l'argomento è importante.
Non vorreste vedere i beni essenziali e cose come le assicurazioni strappate a chi da anni ci TRUFFA?
Non è un obbligo, certo, però l'argomento è importante.
Non vorreste vedere i beni essenziali e cose come le assicurazioni strappate a chi da anni ci TRUFFA?
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Robert Harris, "Archangel"
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Re: Domanda ed offerta, libero mercato, ma aumenta tutto.
Forse nessuno risponde perché la domanda è solo teorica.
In pratica, se si vuole rimanere nella legalità, nazionalizzare un'azienda costa soldi. E da dove si prendono?
Per favore non rispondermi con la patrimoniale
In pratica, se si vuole rimanere nella legalità, nazionalizzare un'azienda costa soldi. E da dove si prendono?
Per favore non rispondermi con la patrimoniale
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Re: Domanda ed offerta, libero mercato, ma aumenta tutto.
Soldi? Non mi sono spiegato.
Lo stato si riprende tutto ciò che è stato svenduto a 2 euro (da Prodi compreso) per legge. Si fa una legge che lo preveda.
Se all'Europa non sta bene, esci dall'euro. Chi se ne frega, tanto peggio di così...
Insomma, i beni primari vanno nazionalizzati ma "assorbiti", non gli diamo mezzo centesimo a questi truffatori.
Lo stato si riprende tutto ciò che è stato svenduto a 2 euro (da Prodi compreso) per legge. Si fa una legge che lo preveda.
Se all'Europa non sta bene, esci dall'euro. Chi se ne frega, tanto peggio di così...
Insomma, i beni primari vanno nazionalizzati ma "assorbiti", non gli diamo mezzo centesimo a questi truffatori.
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