SOS ambiente-in Italia e nel mondo
Re: SOS ambiente-in Italia e nel mondo
Il Giappone spegne tutti i reattori
si rompe il tabù dell'"atomo buono"
Con la disattivazione dell'ultima centrale nucleare rimasta in funzione si avvia il processo di revisione e manutenzione imposto al governo in seguito alla catastrofe di Fukushima dopo lo tsunami. Un'occasione per affrontare un grande nodo mai risolto dopo la catastrofe di Hiroshima: la sicurezza del nucleare anche per fini civili
di RENATA PISU
Giappone, spento l'ultimo reattore
da oggi il paese senza nucleare
A poco più di un anno dalla catastrofe del terremoto e di Fukushima, oggi in Giappone è stato spento l'ultimo reattore in attività su 54 totali. Un sospiro di sollievo, una chiavetta che gira, dei pulsanti premuti in rapida successione, e il mostro è stato messo fuori combattimento. La data potrebbe entrare nella storia a segnare la rinuncia del Giappone al nucleare, come chiede un'opinione pubblica sempre più vigile che ha costretto il governo a rispettare lo svolgimento di lavori di manutenzione, obbligatori ogni tredici mesi, per ogni impianto. A questo il governo ha acconsentito e le centrali sono state disattivate una alla volta.
Per il momento sembra che nessuna riaprirà per sopperire alla scarsità di energia che già si fa sentire in un paese dove l'atomo contribuisce per un terzo al fabbisogno totale. E' assai improbabile infatti che gli impianti già revisionati possano tornare in funzione perché le autorità locali non intendono rilasciare le autorizzazioni, nemmeno in località come Fukui dove erano operanti 14 centrali, l'area più nuclearizzata al mondo. Anche lì la maggioranza della popolazione si è dichiarata contraria al loro ripristino, nonostante il fatto che l'industria atomica abbia riversato miliardi di yen e migliaia di posti di lavoro sul territorio.
Nessuno vuole più un lavoro del genere e nessuno si fida più di generiche garanzie di sicurezza
perché il governo dopo la catastrofe di Fukushima ha continuato a fornire risposte esitanti contribuendo a elevare la sensazione diffusa di allarme senza osare la strada di un referendum "all'italiana ", come ha auspicato il Premio Nobel per la letteratura Kenzaburo Oe. E a rendere sempre meno credibili le rassicurazioni della agenzie statali per l'energia, ha contribuito lo scandalo della compagnia elettrica Kyushu che nel luglio 2011, a quattro mesi dalla tragedia dello Tsunami, ha tentato di manipolare l'opinione pubblica avvalendosi di suoi impiegati che partecipavano a riunioni pubbliche fingendosi comuni cittadini favorevoli al nucleare. Che il governo magari potrebbe anche abbandonare, sostenevano, ma non così all'improvviso, gradualmente entro il 2030.
E' contro questo atteggiamento , "subdolo e tentennante", come ha detto la famosa scrittrice Harumi Setouchi, la novantenne monaca buddista nota in Italia per il suo romanzo "La virtù femminile", che centinaia e centinaia di persone, e lei è con loro, digiunano a Tokyo di fronte al Ministero del Commercio e dell'industria. Non vogliono che sia riattivata nemmeno una centrale, né oggi né in futuro. "Non ho mai visto il Giappone in condizioni peggiori" ha detto ieri Harumi Setouchi che ha conosciuto anche il Giappone del dopo Hiroshima e che quindi osa il raffronto tra catastrofi provocate dal nucleare che si è voluto ignorare: eppure, per forza, il nome Fukushima evoca quello di Hiroshima, ma è come se l'atomo "buono" , quello per uso civile, niente abbia a che fare con quello della bomba.
Da più parti in Giappone la gente comune chiede che il tabù che grava sulla catastrofe atomica venga finalmente rimosso: il paese è stato il primo a conoscere la morte per atomo "cattivo", come è stato il secondo, dopo Cernobyl, a subire le disastrose conseguenze dell'atomo "buono". Di Cernobyl in Giappone si parlò molto poco all'epoca, era un disastro dovuto alla pessima conduzione delle centrali sovietiche: da noi tutto è meglio, tutto è sicuro e perfetto, vantava il governo. Ora nessuno lo crede più, a Tokyo e in altre città sono in corso manifestazioni per dire un no definitivo al nucleare. Il Giappone si trova ad essere il primo e l'unico paese che potrebbe proporre con forza, purtroppo per diretta conoscenza, la messa al bando del nucleare. Sarebbe l'occasione per catapultare al primo posto della graduatoria della civiltà, quella vera e umana, non quella produttiva e tecnologica, un popolo che ha dato formidabili prove di resistenza e di coerenza ma che è sempre rimasto nell'ombra ogni qual volta si è trattato di far sentire la propria voce in difesa delle grandi cause, come se fosse ancora marchiato dalla colpa di una scelta sciagurata ( Pearl Harbour) e non osasse rialzare la testa. Il rifiuto dell'atomo, che è stato la sua disumana punizione, potrebbe oggi essere occasione di riscossa in nome di una umanità che forse, si spera, è cambiata: uscire dal nucleare in nome di Hiroshima e Fukushima. Sarebbe bello, sarebbe la fine di un cerchio vizioso..
(05 maggio 2012) © RIPRODUZIONE RISERVATA
si rompe il tabù dell'"atomo buono"
Con la disattivazione dell'ultima centrale nucleare rimasta in funzione si avvia il processo di revisione e manutenzione imposto al governo in seguito alla catastrofe di Fukushima dopo lo tsunami. Un'occasione per affrontare un grande nodo mai risolto dopo la catastrofe di Hiroshima: la sicurezza del nucleare anche per fini civili
di RENATA PISU
Giappone, spento l'ultimo reattore
da oggi il paese senza nucleare
A poco più di un anno dalla catastrofe del terremoto e di Fukushima, oggi in Giappone è stato spento l'ultimo reattore in attività su 54 totali. Un sospiro di sollievo, una chiavetta che gira, dei pulsanti premuti in rapida successione, e il mostro è stato messo fuori combattimento. La data potrebbe entrare nella storia a segnare la rinuncia del Giappone al nucleare, come chiede un'opinione pubblica sempre più vigile che ha costretto il governo a rispettare lo svolgimento di lavori di manutenzione, obbligatori ogni tredici mesi, per ogni impianto. A questo il governo ha acconsentito e le centrali sono state disattivate una alla volta.
Per il momento sembra che nessuna riaprirà per sopperire alla scarsità di energia che già si fa sentire in un paese dove l'atomo contribuisce per un terzo al fabbisogno totale. E' assai improbabile infatti che gli impianti già revisionati possano tornare in funzione perché le autorità locali non intendono rilasciare le autorizzazioni, nemmeno in località come Fukui dove erano operanti 14 centrali, l'area più nuclearizzata al mondo. Anche lì la maggioranza della popolazione si è dichiarata contraria al loro ripristino, nonostante il fatto che l'industria atomica abbia riversato miliardi di yen e migliaia di posti di lavoro sul territorio.
Nessuno vuole più un lavoro del genere e nessuno si fida più di generiche garanzie di sicurezza
perché il governo dopo la catastrofe di Fukushima ha continuato a fornire risposte esitanti contribuendo a elevare la sensazione diffusa di allarme senza osare la strada di un referendum "all'italiana ", come ha auspicato il Premio Nobel per la letteratura Kenzaburo Oe. E a rendere sempre meno credibili le rassicurazioni della agenzie statali per l'energia, ha contribuito lo scandalo della compagnia elettrica Kyushu che nel luglio 2011, a quattro mesi dalla tragedia dello Tsunami, ha tentato di manipolare l'opinione pubblica avvalendosi di suoi impiegati che partecipavano a riunioni pubbliche fingendosi comuni cittadini favorevoli al nucleare. Che il governo magari potrebbe anche abbandonare, sostenevano, ma non così all'improvviso, gradualmente entro il 2030.
E' contro questo atteggiamento , "subdolo e tentennante", come ha detto la famosa scrittrice Harumi Setouchi, la novantenne monaca buddista nota in Italia per il suo romanzo "La virtù femminile", che centinaia e centinaia di persone, e lei è con loro, digiunano a Tokyo di fronte al Ministero del Commercio e dell'industria. Non vogliono che sia riattivata nemmeno una centrale, né oggi né in futuro. "Non ho mai visto il Giappone in condizioni peggiori" ha detto ieri Harumi Setouchi che ha conosciuto anche il Giappone del dopo Hiroshima e che quindi osa il raffronto tra catastrofi provocate dal nucleare che si è voluto ignorare: eppure, per forza, il nome Fukushima evoca quello di Hiroshima, ma è come se l'atomo "buono" , quello per uso civile, niente abbia a che fare con quello della bomba.
Da più parti in Giappone la gente comune chiede che il tabù che grava sulla catastrofe atomica venga finalmente rimosso: il paese è stato il primo a conoscere la morte per atomo "cattivo", come è stato il secondo, dopo Cernobyl, a subire le disastrose conseguenze dell'atomo "buono". Di Cernobyl in Giappone si parlò molto poco all'epoca, era un disastro dovuto alla pessima conduzione delle centrali sovietiche: da noi tutto è meglio, tutto è sicuro e perfetto, vantava il governo. Ora nessuno lo crede più, a Tokyo e in altre città sono in corso manifestazioni per dire un no definitivo al nucleare. Il Giappone si trova ad essere il primo e l'unico paese che potrebbe proporre con forza, purtroppo per diretta conoscenza, la messa al bando del nucleare. Sarebbe l'occasione per catapultare al primo posto della graduatoria della civiltà, quella vera e umana, non quella produttiva e tecnologica, un popolo che ha dato formidabili prove di resistenza e di coerenza ma che è sempre rimasto nell'ombra ogni qual volta si è trattato di far sentire la propria voce in difesa delle grandi cause, come se fosse ancora marchiato dalla colpa di una scelta sciagurata ( Pearl Harbour) e non osasse rialzare la testa. Il rifiuto dell'atomo, che è stato la sua disumana punizione, potrebbe oggi essere occasione di riscossa in nome di una umanità che forse, si spera, è cambiata: uscire dal nucleare in nome di Hiroshima e Fukushima. Sarebbe bello, sarebbe la fine di un cerchio vizioso..
(05 maggio 2012) © RIPRODUZIONE RISERVATA
Re: SOS ambiente-in Italia e nel mondo
siccome si deve consumare frutta e verdura 5 volte al giorno, propongo insalata mista e macedonia made in fukushima per la salute dei professori e dei sostenitori del nucleare .
magari fra un mesetto gli spunta il terzo occhio e vedono meglio.
http://www.ilpost.it/2012/08/14/le-farf ... fukushima/
magari fra un mesetto gli spunta il terzo occhio e vedono meglio.
http://www.ilpost.it/2012/08/14/le-farf ... fukushima/
Re: SOS ambiente-in Italia e nel mondo
Maria Rita D’Orsogna, ricercatrice di origine abruzzese che vive in California e insegna fisica all’Università di Los Angeles, scrive indignata a Corrado Passera una lettera che molti di noi avrebbero voluto scrivergli. Una lettera lucida, realista e impietosa che vale bene 3 minuti del tempo di ognuno di noi. Da parte nostra la ringraziamo sentitamente.
Caro Signor Passera,
stavo per andare a dormire quando ho letto dei suoi folli deliri per l'Italia petrolizzata.
Ci sarebbe veramente da ridere al suo modo malato di pensare, ai suoi progetti stile anni '60 per aggiustare l'Italia, alla sua visione piccola piccola per il futuro.
Invece qui sono pianti amari, perche' non si tratta di un gioco o di un esperimento o di una scommessa.
Qui si tratta della vita delle persone, e del futuro di una nazione, o dovrei dire del suo regresso.
Lei non e' stato eletto da nessuno e non puo' pensare di "risanare" l'Italia trivellando il bel paese in lungo ed in largo.
Lei parla di questo paese come se qui non ci vivesse nessuno: metanodotti dall'Algeria, corridoio Sud dell'Adriatico, 4 rigassificatori, raddoppio delle estrazioni di idrocarburi.
E la gente dove deve andare a vivere di grazia?
Ci dica.
Dove e cosa vuole bucare?
Ci dica.
I campi di riso di Carpignano Sesia? I sassi di Matera? I vigneti del Montepulciano d'Abruzzo? Le riserve marine di Pantelleria? I frutteti di Arborea? La laguna di Venezia? Il parco del delta del Po? Gli ospedali? I parchi? La Majella? Le zone terremotate dell'Emilia? Il lago di Bomba? La riviera del Salento? Otranto? Le Tremiti?
Ci dica.
Oppure dobbiamo aspettare un terremoto come in Emilia, o l'esplosione di tumori come all'Ilva per non farle fare certe cose, tentando la sorte e dopo che decine e decine di persone sono morte?
Vorrei tanto sapere dove vive lei.
Vorrei tanto che fosse lei ad avere mercurio in corpo, vorrei tanto che fosse lei a respirare idrogeno solforato dalla mattina alla sera, vorrei tanto che fosse lei ad avere perso la casa nel terremoto, vorrei tanto che fosse sua moglie ad avere partorito bambini deformi, vorrei tanto che fosse lei a dover emigrare perche' la sua regione - quella che ci dara' questo 20% della produzione nazionale - e' la piu' povera d'Italia.
Ma io lo so che dove vive lei tutto questo non c'e'. Dove vive lei ci sono giardini fioriti, piscine, ville eleganti soldi e chissa', amici banchieri, petrolieri e lobbisti di ogni genere.
Lo so che e' facile far cassa sull'ambiente. I delfini e i fenicotteri non votano. Il cancro verra' domani, non oggi. I petrolieri sbavano per bucare, hanno soldi e l'Italia e' corrotta. E' facile, lo so.
Ma qui non parliamo di soldi, tasse e dei tartassamenti iniqui di questo governo, parliamo della vita della gente. Non e' etico, non e' morale pensare di sistemare le cose avvelenando acqua, aria e pace mentale della gente, dopo averli lasciati in mutande perche' non si aveva il coraggio di attaccare il vero marciume dell'Italia.
E no, non e' possibile trivellare in rispetto dell'ambiente. Non e' successo mai. Da nessuna parte del mondo. Mai.
Ma non vede cosa succede a Taranto?
Che dopo 50 anni di industrializzazione selvaggia - all'italiana, senza protezione ambientale, senza controlli, senza multe, senza amore, senza l'idea di lasciare qualcosa di buono alla comunita' - la gente muore, i tumori sono alle stelle, la gente tira fuori piombo nelle urine?
E adesso noialtri dobbiamo pure pagare il ripristino ambientale?
E lei pensa che questo e' il futuro?
Dalla mia adorata California vorrei ridere, invece mi si aggrovigliano le budella.
Qui il limite trivelle e' di 160 km da riva, come ripetuto ad infinitum caro "giornalista" Luca Iezzi. Ed e' dal 1969 che non ce le mettiamo piu' le trivelle in mare perche' non e' questo il futuro. Qui il futuro si chiama high tech, biotech, nanotech, si chiamano Google, Facebook, Intel, Tesla, e una miriade di startup che tappezzano tutta la California.
Il futuro si chiama uno stato di 37 milioni di ">persone che produce il 20% della sua energia da fonti rinnovabili adesso, ogni giorno, e che gli incentivi non li taglia a beneficio delle lobby dei petrolieri.
Il futuro si chiamano programmi universitari per formare chi lavorera' nell'industria verde, si chiamano 220,000 posti di lavoro verde, si chiama programmi ">per rendere facile l'uso degli incentivi.
Ma non hanno figli questi? E Clini, che razza di ministro dell'ambiente e'?
E gli italiani cosa faranno?
Non lo so.
So solo che occorre protestare, senza fine, ed esigere, esigere, ma esigere veramente e non su facebook che chiunque seguira' questo scandaloso personaggio e tutta la cricca che pensa che l'Italia sia una landa desolata si renda conto che queste sono le nostre vite e che le nostre vite sono sacre.
Fonte: http://dorsogna.blogspot.it/
Caro Signor Passera,
stavo per andare a dormire quando ho letto dei suoi folli deliri per l'Italia petrolizzata.
Ci sarebbe veramente da ridere al suo modo malato di pensare, ai suoi progetti stile anni '60 per aggiustare l'Italia, alla sua visione piccola piccola per il futuro.
Invece qui sono pianti amari, perche' non si tratta di un gioco o di un esperimento o di una scommessa.
Qui si tratta della vita delle persone, e del futuro di una nazione, o dovrei dire del suo regresso.
Lei non e' stato eletto da nessuno e non puo' pensare di "risanare" l'Italia trivellando il bel paese in lungo ed in largo.
Lei parla di questo paese come se qui non ci vivesse nessuno: metanodotti dall'Algeria, corridoio Sud dell'Adriatico, 4 rigassificatori, raddoppio delle estrazioni di idrocarburi.
E la gente dove deve andare a vivere di grazia?
Ci dica.
Dove e cosa vuole bucare?
Ci dica.
I campi di riso di Carpignano Sesia? I sassi di Matera? I vigneti del Montepulciano d'Abruzzo? Le riserve marine di Pantelleria? I frutteti di Arborea? La laguna di Venezia? Il parco del delta del Po? Gli ospedali? I parchi? La Majella? Le zone terremotate dell'Emilia? Il lago di Bomba? La riviera del Salento? Otranto? Le Tremiti?
Ci dica.
Oppure dobbiamo aspettare un terremoto come in Emilia, o l'esplosione di tumori come all'Ilva per non farle fare certe cose, tentando la sorte e dopo che decine e decine di persone sono morte?
Vorrei tanto sapere dove vive lei.
Vorrei tanto che fosse lei ad avere mercurio in corpo, vorrei tanto che fosse lei a respirare idrogeno solforato dalla mattina alla sera, vorrei tanto che fosse lei ad avere perso la casa nel terremoto, vorrei tanto che fosse sua moglie ad avere partorito bambini deformi, vorrei tanto che fosse lei a dover emigrare perche' la sua regione - quella che ci dara' questo 20% della produzione nazionale - e' la piu' povera d'Italia.
Ma io lo so che dove vive lei tutto questo non c'e'. Dove vive lei ci sono giardini fioriti, piscine, ville eleganti soldi e chissa', amici banchieri, petrolieri e lobbisti di ogni genere.
Lo so che e' facile far cassa sull'ambiente. I delfini e i fenicotteri non votano. Il cancro verra' domani, non oggi. I petrolieri sbavano per bucare, hanno soldi e l'Italia e' corrotta. E' facile, lo so.
Ma qui non parliamo di soldi, tasse e dei tartassamenti iniqui di questo governo, parliamo della vita della gente. Non e' etico, non e' morale pensare di sistemare le cose avvelenando acqua, aria e pace mentale della gente, dopo averli lasciati in mutande perche' non si aveva il coraggio di attaccare il vero marciume dell'Italia.
E no, non e' possibile trivellare in rispetto dell'ambiente. Non e' successo mai. Da nessuna parte del mondo. Mai.
Ma non vede cosa succede a Taranto?
Che dopo 50 anni di industrializzazione selvaggia - all'italiana, senza protezione ambientale, senza controlli, senza multe, senza amore, senza l'idea di lasciare qualcosa di buono alla comunita' - la gente muore, i tumori sono alle stelle, la gente tira fuori piombo nelle urine?
E adesso noialtri dobbiamo pure pagare il ripristino ambientale?
E lei pensa che questo e' il futuro?
Dalla mia adorata California vorrei ridere, invece mi si aggrovigliano le budella.
Qui il limite trivelle e' di 160 km da riva, come ripetuto ad infinitum caro "giornalista" Luca Iezzi. Ed e' dal 1969 che non ce le mettiamo piu' le trivelle in mare perche' non e' questo il futuro. Qui il futuro si chiama high tech, biotech, nanotech, si chiamano Google, Facebook, Intel, Tesla, e una miriade di startup che tappezzano tutta la California.
Il futuro si chiama uno stato di 37 milioni di ">persone che produce il 20% della sua energia da fonti rinnovabili adesso, ogni giorno, e che gli incentivi non li taglia a beneficio delle lobby dei petrolieri.
Il futuro si chiamano programmi universitari per formare chi lavorera' nell'industria verde, si chiamano 220,000 posti di lavoro verde, si chiama programmi ">per rendere facile l'uso degli incentivi.
Ma non hanno figli questi? E Clini, che razza di ministro dell'ambiente e'?
E gli italiani cosa faranno?
Non lo so.
So solo che occorre protestare, senza fine, ed esigere, esigere, ma esigere veramente e non su facebook che chiunque seguira' questo scandaloso personaggio e tutta la cricca che pensa che l'Italia sia una landa desolata si renda conto che queste sono le nostre vite e che le nostre vite sono sacre.
Fonte: http://dorsogna.blogspot.it/
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Re: SOS ambiente-in Italia e nel mondo
Non è un caso che Passera piace tanto a Casini.
Re: SOS ambiente-in Italia e nel mondo
Terra, consumate in otto mesi le risorse di un anno. Domani è l’Overshoot Day
Il 22 agosto è il giorno in cui il consumo di beni naturali nel mondo supera la quantità prodotta nell'intero 2012. Una data, calcolata dal Global Footprint Network di Londra, che ogni anno si sposta indietro: nel 1987 era il 19 dicembre. "Entro la metà del secolo ci serviranno due pianeti"
di Andrea Bertaglio | 21 agosto 2012
Vivere al di sopra dei propri mezzi? Si può fare: basta accumulare debiti, o dare fondo ai propri risparmi. Gli effetti, però, possono essere nefasti. L’economia globale non ha solo debiti finanziari, ma anche e soprattutto ambientali: oggi, a nemmeno due terzi del 2012, è già l’Overshoot Day, giorno in cui si sono esauriti i beni naturali che il pianeta è in grado di rigenerare in un anno. “Per sostenere i nostri elevati consumi, abbiamo liquidato le riserve di risorse e abbiamo permesso che la Co2 si accumulasse nell’atmosfera”, spiega il Global Footprint Network (Gfn), l’istituto di ricerca che da 25 anni calcola il deficit ecologico planetario.
Atteggiamento miope e pericoloso, avvertono gli scienziati, che non tiene conto di un aspetto fondamentale: “Mentre le economie, la popolazione e la domanda di risorse crescono, le dimensioni del nostro pianeta rimangono le stesse”. Urgono cambiamenti, dunque, perché “vivere in una situazione di Overshoot non è sostenibile nel lungo termine”. Scarsità idrica, desertificazione, ridotta produttività dei campi coltivati, collasso degli stock ittici e cambiamenti climatici: sono solo alcuni degli effetti del sovra-consumo di risorse che caratterizza gran parte delle economie globali. E che, dal 1961 a oggi, ha progressivamente aumentato, fino a raddoppiarlo, l’impatto delle attività umane sull’ambiente naturale.
Ma che cosa è l’Earth Overshoot Day? Concetto ideato dalla New economics foundation di Londra, si tratta in sostanza del rapporto fra la biocapacità globale (ossia l’ammontare di risorse naturali che la Terra è in grado di generare ogni anno) e l’impronta ecologica (la quantità di risorse e di servizi che richiede l’umanità); il tutto moltiplicato per il numero di giorni dell’anno (365). Il primo Overshoot Day dell’umanità è stato il 19 dicembre 1987, anche se i calcoli hanno stabilito che il “debito ecologico” è iniziato già negli anni ’70 dello scorso secolo. Tre anni dopo, nel 1990, il giorno del sovra-consumo era già passato al 7 dicembre, e dieci anni dopo (1997) al 26 ottobre. L’anno scorso il deficit ecologico è stato raggiunto il 27 settembre, ma quest’anno si è appunto riusciti a peggiorare ulteriormente: 22 agosto.
“Questo giorno è inteso come una indicazione piuttosto che la data esatta”, puntualizzano gli scienziati del Gfn: “Ma mentre non possiamo determinare con esattezza il giorno in cui sorpassiamo la soglia, sappiamo che ci stiamo spostando su un livello di domanda di risorse non sostenibile, e molto prima che l’anno sia finito”. Di questo passo, infatti, entro la metà del secolo il mondo avrà bisogno di due pianeti per far fronte alla sua voracità di beni naturali. A meno che, nei prossimi anni, non sarà in grado di ripensare i modi e i tempi dei suoi consumi.
“Mantenere questo andamento implicherebbe una diminuzione del nostro spazio di manovra e metterebbe sempre più a rischio il benessere di molti abitanti del pianeta”, avvertono gli studiosi. Più che una scelta una necessità, dunque: “È come spendere il proprio salario annuale in otto mesi, consumando i risparmi anno dopo anno”, fa notare Mathis Wackernagel, presidente del Gfn: “Abbastanza in fretta finireste il vostro capitale. Varie nazioni del mondo hanno iniziato a sperimentare dolorosamente cosa significa spendere più di ciò che si guadagna”, aggiunge Wackernagel: “La pressione sulle risorse è simile a quell’eccesso di spesa finanziaria e può diventare devastante. Con il deficit di risorse che diventa grande e il loro prezzo che rimane alto, il costo per le nazioni diventa insopportabile.”
Un circolo vizioso, insomma, che rischia di intrappolare l’umanità in una spirale negativa da cui sarebbe quasi impossibile uscire. “Se la limitazione delle risorse si rafforza ancora, vivremo la situazione di quando si tenta di risalire su una scala mobile che scende”, ricordava Wackernagel già lo scorso anno. Ribadendo un concetto importante, ma a tutt’oggi ignorato: “Ora che tentiamo di ricostruire le nostre economie sane e robuste, è il momento di proporre delle modalità che siano valide e adatte per il futuro”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... se/330696/
Il 22 agosto è il giorno in cui il consumo di beni naturali nel mondo supera la quantità prodotta nell'intero 2012. Una data, calcolata dal Global Footprint Network di Londra, che ogni anno si sposta indietro: nel 1987 era il 19 dicembre. "Entro la metà del secolo ci serviranno due pianeti"
di Andrea Bertaglio | 21 agosto 2012
Vivere al di sopra dei propri mezzi? Si può fare: basta accumulare debiti, o dare fondo ai propri risparmi. Gli effetti, però, possono essere nefasti. L’economia globale non ha solo debiti finanziari, ma anche e soprattutto ambientali: oggi, a nemmeno due terzi del 2012, è già l’Overshoot Day, giorno in cui si sono esauriti i beni naturali che il pianeta è in grado di rigenerare in un anno. “Per sostenere i nostri elevati consumi, abbiamo liquidato le riserve di risorse e abbiamo permesso che la Co2 si accumulasse nell’atmosfera”, spiega il Global Footprint Network (Gfn), l’istituto di ricerca che da 25 anni calcola il deficit ecologico planetario.
Atteggiamento miope e pericoloso, avvertono gli scienziati, che non tiene conto di un aspetto fondamentale: “Mentre le economie, la popolazione e la domanda di risorse crescono, le dimensioni del nostro pianeta rimangono le stesse”. Urgono cambiamenti, dunque, perché “vivere in una situazione di Overshoot non è sostenibile nel lungo termine”. Scarsità idrica, desertificazione, ridotta produttività dei campi coltivati, collasso degli stock ittici e cambiamenti climatici: sono solo alcuni degli effetti del sovra-consumo di risorse che caratterizza gran parte delle economie globali. E che, dal 1961 a oggi, ha progressivamente aumentato, fino a raddoppiarlo, l’impatto delle attività umane sull’ambiente naturale.
Ma che cosa è l’Earth Overshoot Day? Concetto ideato dalla New economics foundation di Londra, si tratta in sostanza del rapporto fra la biocapacità globale (ossia l’ammontare di risorse naturali che la Terra è in grado di generare ogni anno) e l’impronta ecologica (la quantità di risorse e di servizi che richiede l’umanità); il tutto moltiplicato per il numero di giorni dell’anno (365). Il primo Overshoot Day dell’umanità è stato il 19 dicembre 1987, anche se i calcoli hanno stabilito che il “debito ecologico” è iniziato già negli anni ’70 dello scorso secolo. Tre anni dopo, nel 1990, il giorno del sovra-consumo era già passato al 7 dicembre, e dieci anni dopo (1997) al 26 ottobre. L’anno scorso il deficit ecologico è stato raggiunto il 27 settembre, ma quest’anno si è appunto riusciti a peggiorare ulteriormente: 22 agosto.
“Questo giorno è inteso come una indicazione piuttosto che la data esatta”, puntualizzano gli scienziati del Gfn: “Ma mentre non possiamo determinare con esattezza il giorno in cui sorpassiamo la soglia, sappiamo che ci stiamo spostando su un livello di domanda di risorse non sostenibile, e molto prima che l’anno sia finito”. Di questo passo, infatti, entro la metà del secolo il mondo avrà bisogno di due pianeti per far fronte alla sua voracità di beni naturali. A meno che, nei prossimi anni, non sarà in grado di ripensare i modi e i tempi dei suoi consumi.
“Mantenere questo andamento implicherebbe una diminuzione del nostro spazio di manovra e metterebbe sempre più a rischio il benessere di molti abitanti del pianeta”, avvertono gli studiosi. Più che una scelta una necessità, dunque: “È come spendere il proprio salario annuale in otto mesi, consumando i risparmi anno dopo anno”, fa notare Mathis Wackernagel, presidente del Gfn: “Abbastanza in fretta finireste il vostro capitale. Varie nazioni del mondo hanno iniziato a sperimentare dolorosamente cosa significa spendere più di ciò che si guadagna”, aggiunge Wackernagel: “La pressione sulle risorse è simile a quell’eccesso di spesa finanziaria e può diventare devastante. Con il deficit di risorse che diventa grande e il loro prezzo che rimane alto, il costo per le nazioni diventa insopportabile.”
Un circolo vizioso, insomma, che rischia di intrappolare l’umanità in una spirale negativa da cui sarebbe quasi impossibile uscire. “Se la limitazione delle risorse si rafforza ancora, vivremo la situazione di quando si tenta di risalire su una scala mobile che scende”, ricordava Wackernagel già lo scorso anno. Ribadendo un concetto importante, ma a tutt’oggi ignorato: “Ora che tentiamo di ricostruire le nostre economie sane e robuste, è il momento di proporre delle modalità che siano valide e adatte per il futuro”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... se/330696/
Re: SOS ambiente-in Italia e nel mondo
Monti, i petrolieri e il sole
di Jacopo Fo | 27 agosto 2012
Il governo sotto il ricatto delle lobbies dell’energia sporca?
Non so proprio cosa pensare di Monti. Sicuramente ha realizzato alcune iniziative necessarie ma su alcuni fronti non si capisce proprio quel che fa. Sull’energia, in particolare, sta portando avanti iniziative che vanno nella direzione opposta all’efficienza e alla crescita.
Pubblico qui il comunicato della Aspo Italia, l’associazione che studia il picco del petrolio e che protesta per la riduzione degli incentivi alle fonti rinnovabili e per il fantasioso piano petrolifero (estrattivo).
“Le scelte effettuate nel piano sono tecnicamente e strategicamente sbagliate. Il piano sostiene che lo sviluppo dello sfruttamento petrolifero porterà dal 7% al 20% il contributo delle risorse nazionali ai nostri consumi, trascurando tuttavia di specificare per quanti anni questo sarà possibile.
Secondo le nostre stime, date le riserve riportate da diverse fonti, un tale livello di produzione ci porterebbe a esaurirle interamente in 13 anni nelle condizioni più favorevoli; ma più realisticamente in 4-5 anni.
Il rapporto costi-benefici di questa strategia si rivelerà disastroso. Vanno infatti considerati gli immensi costi ambientali in un territorio già degradato e aggredito dagli usi distruttivi che ne facciamo (e che ci collocano fra i paesi a maggior consumo di suolo al mondo in termini di degradazione del territorio) e quelli relativi alle emissioni inquinanti e ai gas serra.
Il Governo intende inoltre ridurre gli incentivi per la nascente industria delle rinnovabili i cui effetti positivi sono evidenti e molto più duraturi. Abbiamo raggiunto risultati di tutto rilievo con 20 TWh di produzione elettrica da eolico e fotovoltaico nel 2011, anche se siamo stati costretti a usare materiali e tecnologie non nazionali in un paese che aveva iniziato prima di altri a occuparsi di questo tema, e che al tempo non ha saputo perseguire l’obiettivo per mancanza di strategia e di capacità di visione.
Ci rendiamo conto dell’estrema drammaticità della situazione economica e della necessità di trovare, strategie in grado di produrre anche risultati immediati, ma ora il rischio è di tornare indietro regalando alle prossime generazioni un autentico incubo energetico. Come scienziati e tecnici non legati ad alcuna organizzazione politica, siamo obbligati a constatare che l’azione del Governo non è sufficientemente lungimirante. Ci troviamo di fronte a una drammatica situazione che vede l’aggravarsi dei problemi climatici e un plateau della produzione petrolifera non superabile tramite il petrolio da scisti o il fracking. Occorre spostarsi verso una quota crescente di rinnovabili per mitigare l’azione distruttiva che i nostri consumi di fossili hanno sul pianeta, e mirare ad uno sviluppo che, se condotto correttamente, è l’unico compatibile con la sopravvivenza di un sistema economico evoluto e, in ultima istanza, della nostra società.”
Luca Pardi, Presidente di Aspo Italia
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... le/334692/
di Jacopo Fo | 27 agosto 2012
Il governo sotto il ricatto delle lobbies dell’energia sporca?
Non so proprio cosa pensare di Monti. Sicuramente ha realizzato alcune iniziative necessarie ma su alcuni fronti non si capisce proprio quel che fa. Sull’energia, in particolare, sta portando avanti iniziative che vanno nella direzione opposta all’efficienza e alla crescita.
Pubblico qui il comunicato della Aspo Italia, l’associazione che studia il picco del petrolio e che protesta per la riduzione degli incentivi alle fonti rinnovabili e per il fantasioso piano petrolifero (estrattivo).
“Le scelte effettuate nel piano sono tecnicamente e strategicamente sbagliate. Il piano sostiene che lo sviluppo dello sfruttamento petrolifero porterà dal 7% al 20% il contributo delle risorse nazionali ai nostri consumi, trascurando tuttavia di specificare per quanti anni questo sarà possibile.
Secondo le nostre stime, date le riserve riportate da diverse fonti, un tale livello di produzione ci porterebbe a esaurirle interamente in 13 anni nelle condizioni più favorevoli; ma più realisticamente in 4-5 anni.
Il rapporto costi-benefici di questa strategia si rivelerà disastroso. Vanno infatti considerati gli immensi costi ambientali in un territorio già degradato e aggredito dagli usi distruttivi che ne facciamo (e che ci collocano fra i paesi a maggior consumo di suolo al mondo in termini di degradazione del territorio) e quelli relativi alle emissioni inquinanti e ai gas serra.
Il Governo intende inoltre ridurre gli incentivi per la nascente industria delle rinnovabili i cui effetti positivi sono evidenti e molto più duraturi. Abbiamo raggiunto risultati di tutto rilievo con 20 TWh di produzione elettrica da eolico e fotovoltaico nel 2011, anche se siamo stati costretti a usare materiali e tecnologie non nazionali in un paese che aveva iniziato prima di altri a occuparsi di questo tema, e che al tempo non ha saputo perseguire l’obiettivo per mancanza di strategia e di capacità di visione.
Ci rendiamo conto dell’estrema drammaticità della situazione economica e della necessità di trovare, strategie in grado di produrre anche risultati immediati, ma ora il rischio è di tornare indietro regalando alle prossime generazioni un autentico incubo energetico. Come scienziati e tecnici non legati ad alcuna organizzazione politica, siamo obbligati a constatare che l’azione del Governo non è sufficientemente lungimirante. Ci troviamo di fronte a una drammatica situazione che vede l’aggravarsi dei problemi climatici e un plateau della produzione petrolifera non superabile tramite il petrolio da scisti o il fracking. Occorre spostarsi verso una quota crescente di rinnovabili per mitigare l’azione distruttiva che i nostri consumi di fossili hanno sul pianeta, e mirare ad uno sviluppo che, se condotto correttamente, è l’unico compatibile con la sopravvivenza di un sistema economico evoluto e, in ultima istanza, della nostra società.”
Luca Pardi, Presidente di Aspo Italia
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... le/334692/
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Re: SOS ambiente-in Italia e nel mondo
..............Amadeus ha scritto:siccome si deve consumare frutta e verdura 5 volte al giorno, propongo insalata mista e macedonia made in fukushima per la salute dei professori e dei sostenitori del nucleare .
magari fra un mesetto gli spunta il terzo occhio e vedono meglio.
http://www.ilpost.it/2012/08/14/le-farf ... fukushima/
Caro Amadeus.Pensi che noi non abbiamo mangiato il grano di Cernobil?Io penso di si.
Lo si rimandava in dietro e ritornava tramite altro paese.E vista la classe diregente che abiamo avuto corrotta Tipo L'Ilva che taroccavano i valori, ormai a questi con credo piu.Altro argomento incendi,avete sentito cosa ci costano i cabader.Ai piromani dovrebbero dargli dai 15 ai 20 anni di galera.Oltre a distruggere i boschi che fermano frane, distruggono pure la fauna.
Ciao
Paolo11
Re: SOS ambiente-in Italia e nel mondo
Interessante
Il prototipo irlandese con tre alberi da 50 metri che usa biogas
I mercantili con le vele
per ridurre l’inquinamento
I nuovi vascelli risparmieranno il 35% di carburante
WASHINGTON — Per ora si tratta solo di progetti o di prototipi. A uno stadio avanzato ma pur sempre progetti. Però nulla vieta di sognare: navi cargo che filano in mare spinte anche dalle vele. Per risparmiare e inquinare meno. Diversi centri di ricerche — dall’Asia all’Europa — ci stanno lavorando con impegno, suggerendo soluzioni interessanti che devono però trovare chi ci crede e che ci mette il denaro. Servono finanziamenti e interesse concreto. Come in ogni innovazione che comporta una scommessa. L’idea base è quella di dotare alcune categorie di mercantili — una fascia compresa tra le 3 mila e le 10 mila tonnellate — di vele che aiutino i sistemi propulsivi tradizionali. Una sorta di ritorno a metodi «antichi» dove alla potenza del vento viene affiancata quella dei motori. L’Università di Tokio ha di recente presentato un modello di nave dotata di nove «alberi» che «tengono» vele realizzate in alluminio e plastica.
Non meno interessante — come sottolinea il New York Times in un articolo sul tema — il piano della B9 Shipping nordirlandese. È un mercantile di 3 mila tonnellate, lungo 100 metri, dotato di tre alberi alti 50 metri circa. Il progetto prevede che il motore sia a biogas in modo da ridurre l’impatto ambientale. I tecnici della B9, dopo aver eseguito prove in mare con una versione ridotta, si dicono ottimisti e incoraggiati dall’esperimento. Del resto devono esserlo se vogliono convincere qualcuno a metterci del denaro per andare avanti. Gli ingegneri nordirlandesi precisano che la costruzione del primo cargo potrebbe costare circa 40 milioni di euro e richiederebbe tre anni di lavoro. Ma ci sono uomini d’affari o società pronte a farlo? Gli esperti rispondono con prudenza. I cantieri navali hanno un interesse limitato: loro costruiscono le navi ma sono altri che si accollano i costi del carburante. Dunque è a questi ultimi che deve arrivare il messaggio. Loro sanno come la spesa per il «pieno» sia sempre più elevata. Il New York Times scrive che il prezzo del carburante è cresciuto, in dieci anni, del 600 per cento. E allora questo può essere un incentivo a trovare il modo per «tagliare» introducendo le vele. E si ricorda l’apparato SkySails, realizzato circa dieci anni fa in Germania, che prevede l’applicazione di una gigantesca vela.
Se tutto va bene — affermano i costruttori — si riduce il consumo di carburante tra il 10 e il 35 per cento. Quanti seguono il mondo della navigazione aggiungono che l’adozione di propellente verde non è comunque solo una scelta. Le unità che entrano nelle acque statunitensi devono usare un tipo di carburante meno inquinante che costa circa il 60 per cento in più di quello tradizionale. Ed è possibile che anche le Nazioni Unite decidano delle restrizioni nella battaglia contro l’effetto serra. Quindi è necessario trovare risposte alternative. L’innovazione potrebbe riguardare una classe di mercantili particolare, quella che comprende cargo fino a 10 mila tonnellate. Il quotidiano americano, facendo due calcoli, parla di circa 10 mila unità, circa un quinto della flotta mondiale. Una fetta di mercato comunque importante che dovrebbe affrontare una trasformazione tutta da elaborare. Nessuno ha fretta. Si vuole capire quali siano i margini di manovra, valutare i vantaggi del cambio e le eventuali controindicazioni. Chi osserva da vicino il settore avverte: «Non aspettatevi scelte rapide. C’è sempre paura di compiere passi sbagliati». Ma negli studi di ricerca sono convinti che il vento, prima o poi, spingerà quelle vele.
Guido Olimpio
30 agosto 2012 | 10:16
corrieredellasera.it
Il prototipo irlandese con tre alberi da 50 metri che usa biogas
I mercantili con le vele
per ridurre l’inquinamento
I nuovi vascelli risparmieranno il 35% di carburante
WASHINGTON — Per ora si tratta solo di progetti o di prototipi. A uno stadio avanzato ma pur sempre progetti. Però nulla vieta di sognare: navi cargo che filano in mare spinte anche dalle vele. Per risparmiare e inquinare meno. Diversi centri di ricerche — dall’Asia all’Europa — ci stanno lavorando con impegno, suggerendo soluzioni interessanti che devono però trovare chi ci crede e che ci mette il denaro. Servono finanziamenti e interesse concreto. Come in ogni innovazione che comporta una scommessa. L’idea base è quella di dotare alcune categorie di mercantili — una fascia compresa tra le 3 mila e le 10 mila tonnellate — di vele che aiutino i sistemi propulsivi tradizionali. Una sorta di ritorno a metodi «antichi» dove alla potenza del vento viene affiancata quella dei motori. L’Università di Tokio ha di recente presentato un modello di nave dotata di nove «alberi» che «tengono» vele realizzate in alluminio e plastica.
Non meno interessante — come sottolinea il New York Times in un articolo sul tema — il piano della B9 Shipping nordirlandese. È un mercantile di 3 mila tonnellate, lungo 100 metri, dotato di tre alberi alti 50 metri circa. Il progetto prevede che il motore sia a biogas in modo da ridurre l’impatto ambientale. I tecnici della B9, dopo aver eseguito prove in mare con una versione ridotta, si dicono ottimisti e incoraggiati dall’esperimento. Del resto devono esserlo se vogliono convincere qualcuno a metterci del denaro per andare avanti. Gli ingegneri nordirlandesi precisano che la costruzione del primo cargo potrebbe costare circa 40 milioni di euro e richiederebbe tre anni di lavoro. Ma ci sono uomini d’affari o società pronte a farlo? Gli esperti rispondono con prudenza. I cantieri navali hanno un interesse limitato: loro costruiscono le navi ma sono altri che si accollano i costi del carburante. Dunque è a questi ultimi che deve arrivare il messaggio. Loro sanno come la spesa per il «pieno» sia sempre più elevata. Il New York Times scrive che il prezzo del carburante è cresciuto, in dieci anni, del 600 per cento. E allora questo può essere un incentivo a trovare il modo per «tagliare» introducendo le vele. E si ricorda l’apparato SkySails, realizzato circa dieci anni fa in Germania, che prevede l’applicazione di una gigantesca vela.
Se tutto va bene — affermano i costruttori — si riduce il consumo di carburante tra il 10 e il 35 per cento. Quanti seguono il mondo della navigazione aggiungono che l’adozione di propellente verde non è comunque solo una scelta. Le unità che entrano nelle acque statunitensi devono usare un tipo di carburante meno inquinante che costa circa il 60 per cento in più di quello tradizionale. Ed è possibile che anche le Nazioni Unite decidano delle restrizioni nella battaglia contro l’effetto serra. Quindi è necessario trovare risposte alternative. L’innovazione potrebbe riguardare una classe di mercantili particolare, quella che comprende cargo fino a 10 mila tonnellate. Il quotidiano americano, facendo due calcoli, parla di circa 10 mila unità, circa un quinto della flotta mondiale. Una fetta di mercato comunque importante che dovrebbe affrontare una trasformazione tutta da elaborare. Nessuno ha fretta. Si vuole capire quali siano i margini di manovra, valutare i vantaggi del cambio e le eventuali controindicazioni. Chi osserva da vicino il settore avverte: «Non aspettatevi scelte rapide. C’è sempre paura di compiere passi sbagliati». Ma negli studi di ricerca sono convinti che il vento, prima o poi, spingerà quelle vele.
Guido Olimpio
30 agosto 2012 | 10:16
corrieredellasera.it
Re: SOS ambiente-in Italia e nel mondo
“Il mais Ogm è veleno”. Studio choc in Francia, allarme del governo e della Ue
Per la prima volta una ricerca scientifica indipendente ha analizzato gli effetti nel lungo periodo degli organismi geneticamente modificati. Sotto accusa la variante Nk603 prodotta dalla Monsanto, che in Europa può essere solo importata ed è destinata prevalentemente all'alimentazione del bestiame. La commissione europea chiede all'Efsa analizzare i dati. Mentre Parigi medita di richiedere il blocco delle importazioni
di Leonardo Martinelli | 20 settembre 2012
Da anni infuriano le polemiche sugli Ogm. Sono nocivi alla salute? Devono essere proibiti? Ma finora nessun studio davvero serio sulla materia era stato realizzato. Soprattutto un’inchiesta scientifica accurata su un periodo relativamente lungo (solo inchieste fino a un massimo di 90 giorni). Adesso, invece, dalla Francia sembrano arrivare le risposte tanto attese. E il verdetto è di quelli senza appello. Per il professor Gilles-Eric Séralini, che ha studiato gli effetti di un mais transgenico, “il suo assorbimento sul lungo periodo agisce come un potente veleno”.
Séralini, docente di biologia molecolare e ricercatore presso l’università di Caen, in Normandia, ha portato avanti il suo studio per due anni, nella più completa riservatezza, per evitare pressioni e boicottaggi. La ricerca ha valutato gli effetti del mais Nk 603 (che nell’Unione europea non può essere coltivato, ma sì importato) e di un erbicida, il Roundup, il cui utilizzo è in genere associato a quel mais transgenico. Entrambi i prodotti sono fabbricati dalla multinazionale americana Monsanto. E, va sottolineato, il Roundup è ormai l’erbicida più venduto al mondo. Séralini e la sua équipe hanno utilizzato 200 ratti, divisi in tre gruppi: quelli alimentati con il Nk 603, prodotto con il Roundup. Oppure senza fare ricorso a questo erbicida. Mentre un gruppo di animali ha mangiato solo mais non geneticamente modificato, ma trattato con il Roundup.
Ebbene, il confronto è allarmante. «La mortalità è molto più rapida e forte nel caso del consumo di entrambi i prodotti di Monsanto», ha sottolineato Séralini al Nouvel Observateur, che pubblica oggi, giovedì, un lungo dossier sull’argomento. Rispetto a un altro gruppo di ratti, non alimentato con l’Ogm e il pesticida, il primo fra i 200 è morto a un anno di età (almeno un anno prima di quelli non «contaminati» dagli Ogm): aveva mangiato il mais transgenico, trattato con il Roundup. E al diciassettesimo mese dell’esperimento si è osservato che i ratti alimentati con gli Ogm avevano una mortalità di cinque volte superiore rispetto agli altri. In generale gli animali che hanno consumato Ogm hanno riportato tumori alla mammella e danni gravi al fegato e ai reni.
La speranza di vita di un ratto è di due anni, due anni e mezzo. Permettono di verificare con largo anticipo quello che potrà avvenire a un uomo. “Riteniamo che le sostanze analizzate – ha precisato il riceratore – siano tossiche anche per gli uomini. Diversi test che abbiamo effettuato su cellule umane vanno nella stessa direzione”. “Sono almeno quindici anni che gli Ogm vengono commercializzati. E’ davvero un crimine che finora nessuna autorità sanitaria abbia imposto la realizzazione di studi di lunga durata”. Mercoledì prossimo in Francia uscirà, edito da Flammarion, Tutti cavie (Tous cobayes), un libro nel quale Séralini illustra la sua ricerca. Ma soprattutto una sintesi dello studio sarà pubblicata nel prossimo numero di una prestigiosa rivista, Food and chemical Toxicology. I ricercatori di Caen non sono degli improvvisati.
A livello dell’Unione europea solo due varietà transgeniche sono autorizzate per la coltivazione, il mais Mon 810, ancora di Monsanto, e la patata Amflora di Basf. Ma in realtà molti Paesi hanno applicato il divieto mediante una moratoria (fra quelli la Francia e anche l’Italia). Solo il Mon 810 è davvero coltivato nella Ue, anche se soprattutto in Spagna (l’80% della superficie totale). Altri 44 prodotti Ogm sono stati autorizzati da Bruxelles per la commercializzazione, come il mais Nk 603, al centro dello studio. Sono importati e perlopiù utilizzati per alimentare il bestiame. Come ha spiegato al Nouvel Observateur Joel Spiroux, collaboratore di Séralini, «i bovini sono abbattuti troppo presto perché si possano riscontrare gli effetti negativi degli alimenti transgenici sul lungo periodo. La speranza di vita di questi animali è compresa fra i 15 e i 20 anni, ma ormai vengono abbattuti a cinque, tre anni , 18 mesi o anche in precedenza».
Intanto, intorno allo studio sta scoppiando un vero putiferio. Il Governo francese ha già chiesto a Bruxelles “misure che potrebbero portare alla sospensione d’urgenza dell’autorizzazione a importare il mais Nk 603″. I Verdi francesi, alleati dei socialisti nell’attuale Esecutivo, chiedono di andare oltre e di “sospendere tutte le importazioni di Ogm nella Ue”. La Commissione europea, per voce del commissario alla Salute John Dalli ha chiesto all’Agenzia per la sicurezza alimentare (Efsa) di analizzare lo studio di Séralini, le cui posizioni anti-Ogm sono state spesso criticate in passato dalla comunità scientifica con l’accusa di un approccio troppo “libero” alla statistica. In ogni caso l’authority alimentare prenderà in mano i dati dello studio, con la promessa “di trarne le dovute conseguenze”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09 ... ue/357857/
Aggiornato da Redazione web alle 11.09 del 20 settembre 2012
Per la prima volta una ricerca scientifica indipendente ha analizzato gli effetti nel lungo periodo degli organismi geneticamente modificati. Sotto accusa la variante Nk603 prodotta dalla Monsanto, che in Europa può essere solo importata ed è destinata prevalentemente all'alimentazione del bestiame. La commissione europea chiede all'Efsa analizzare i dati. Mentre Parigi medita di richiedere il blocco delle importazioni
di Leonardo Martinelli | 20 settembre 2012
Da anni infuriano le polemiche sugli Ogm. Sono nocivi alla salute? Devono essere proibiti? Ma finora nessun studio davvero serio sulla materia era stato realizzato. Soprattutto un’inchiesta scientifica accurata su un periodo relativamente lungo (solo inchieste fino a un massimo di 90 giorni). Adesso, invece, dalla Francia sembrano arrivare le risposte tanto attese. E il verdetto è di quelli senza appello. Per il professor Gilles-Eric Séralini, che ha studiato gli effetti di un mais transgenico, “il suo assorbimento sul lungo periodo agisce come un potente veleno”.
Séralini, docente di biologia molecolare e ricercatore presso l’università di Caen, in Normandia, ha portato avanti il suo studio per due anni, nella più completa riservatezza, per evitare pressioni e boicottaggi. La ricerca ha valutato gli effetti del mais Nk 603 (che nell’Unione europea non può essere coltivato, ma sì importato) e di un erbicida, il Roundup, il cui utilizzo è in genere associato a quel mais transgenico. Entrambi i prodotti sono fabbricati dalla multinazionale americana Monsanto. E, va sottolineato, il Roundup è ormai l’erbicida più venduto al mondo. Séralini e la sua équipe hanno utilizzato 200 ratti, divisi in tre gruppi: quelli alimentati con il Nk 603, prodotto con il Roundup. Oppure senza fare ricorso a questo erbicida. Mentre un gruppo di animali ha mangiato solo mais non geneticamente modificato, ma trattato con il Roundup.
Ebbene, il confronto è allarmante. «La mortalità è molto più rapida e forte nel caso del consumo di entrambi i prodotti di Monsanto», ha sottolineato Séralini al Nouvel Observateur, che pubblica oggi, giovedì, un lungo dossier sull’argomento. Rispetto a un altro gruppo di ratti, non alimentato con l’Ogm e il pesticida, il primo fra i 200 è morto a un anno di età (almeno un anno prima di quelli non «contaminati» dagli Ogm): aveva mangiato il mais transgenico, trattato con il Roundup. E al diciassettesimo mese dell’esperimento si è osservato che i ratti alimentati con gli Ogm avevano una mortalità di cinque volte superiore rispetto agli altri. In generale gli animali che hanno consumato Ogm hanno riportato tumori alla mammella e danni gravi al fegato e ai reni.
La speranza di vita di un ratto è di due anni, due anni e mezzo. Permettono di verificare con largo anticipo quello che potrà avvenire a un uomo. “Riteniamo che le sostanze analizzate – ha precisato il riceratore – siano tossiche anche per gli uomini. Diversi test che abbiamo effettuato su cellule umane vanno nella stessa direzione”. “Sono almeno quindici anni che gli Ogm vengono commercializzati. E’ davvero un crimine che finora nessuna autorità sanitaria abbia imposto la realizzazione di studi di lunga durata”. Mercoledì prossimo in Francia uscirà, edito da Flammarion, Tutti cavie (Tous cobayes), un libro nel quale Séralini illustra la sua ricerca. Ma soprattutto una sintesi dello studio sarà pubblicata nel prossimo numero di una prestigiosa rivista, Food and chemical Toxicology. I ricercatori di Caen non sono degli improvvisati.
A livello dell’Unione europea solo due varietà transgeniche sono autorizzate per la coltivazione, il mais Mon 810, ancora di Monsanto, e la patata Amflora di Basf. Ma in realtà molti Paesi hanno applicato il divieto mediante una moratoria (fra quelli la Francia e anche l’Italia). Solo il Mon 810 è davvero coltivato nella Ue, anche se soprattutto in Spagna (l’80% della superficie totale). Altri 44 prodotti Ogm sono stati autorizzati da Bruxelles per la commercializzazione, come il mais Nk 603, al centro dello studio. Sono importati e perlopiù utilizzati per alimentare il bestiame. Come ha spiegato al Nouvel Observateur Joel Spiroux, collaboratore di Séralini, «i bovini sono abbattuti troppo presto perché si possano riscontrare gli effetti negativi degli alimenti transgenici sul lungo periodo. La speranza di vita di questi animali è compresa fra i 15 e i 20 anni, ma ormai vengono abbattuti a cinque, tre anni , 18 mesi o anche in precedenza».
Intanto, intorno allo studio sta scoppiando un vero putiferio. Il Governo francese ha già chiesto a Bruxelles “misure che potrebbero portare alla sospensione d’urgenza dell’autorizzazione a importare il mais Nk 603″. I Verdi francesi, alleati dei socialisti nell’attuale Esecutivo, chiedono di andare oltre e di “sospendere tutte le importazioni di Ogm nella Ue”. La Commissione europea, per voce del commissario alla Salute John Dalli ha chiesto all’Agenzia per la sicurezza alimentare (Efsa) di analizzare lo studio di Séralini, le cui posizioni anti-Ogm sono state spesso criticate in passato dalla comunità scientifica con l’accusa di un approccio troppo “libero” alla statistica. In ogni caso l’authority alimentare prenderà in mano i dati dello studio, con la promessa “di trarne le dovute conseguenze”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09 ... ue/357857/
Aggiornato da Redazione web alle 11.09 del 20 settembre 2012
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Re: SOS ambiente-in Italia e nel mondo
Artico: riduzione record dei ghiacci.
La riduzione record dei ghiacci marini in Artico documentata in questi giorni dall’autorevole Snow and Ice Data Centre, richiama l’urgente necessità di azioni globali e locali per contrastare il cambiamento climatico.
Stando al monitoraggio dei satelliti, i ghiacci hanno raggiunto il livello minimo mai registrato da quando esiste il rilevamento satellitare:
3,41 milioni di chilometri quadrati, per una perdita di ghiaccio pari a quasi il doppio dell’Alaska rispetto ai livelli minimi medi tra il 1979 e il 2000.
(Altri dati recenti su Groenlandia, ghiacciai e cambiamenti climatici )
http://www.wwf.it/client/ricerca.aspx?r ... &content=1
“Si tratta di un segnale gravissimo, che documenta ulteriormente il cambiamento climatico dovuto all’intervento umano e che produce effetti drammatici sull’ecosistema artico, sconvolgendo gli equilibri dinamici dell’area e comportando perdita di habitat per gli ambienti, gli animali e le complesse reti alimentari che dipendono dai ghiacci marini – ha detto Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia – Il trend dei ghiacci marini artici è da decenni in continuo declino.
Ma è scioccante vedere quanto questo trend sia rapido.
Arrivati a questo punto dobbiamo iniziare a pianificare considerando un Artico privo di ghiacci durante l’estate, perché presto la situazione sarà davvero questa. Dobbiamo agire subito per preservare l’habitat cruciale che ci rimane e per prevenire cambiamenti ancor più catastrofici del clima globale.”
“La perdita di ghiacci marini deve diventare una sonora chiamata all’azione globale contro il cambiamento climatico – ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Policy Clima ed Energia del WWF Italia – Al circolo polare artico il cambiamento climatico non si fermerà.
Gli scienziati ci dicono che la rapida perdita di ghiacci marini è legata alle estati umide, agli inverni intensi e agli eventi meteorologici estremi nell’emisfero settentrionale.
E altri impatti climatici globali che si stanno verificando sono altrettanto seri, a partire dalle siccità record di quest’estate, in Italia e in altre regioni del mondo (USA, Russia, Ucraina, ecc), con i loro impatti sulla produzione alimentare, sui prezzi del cibo e sull’emergenza alimentare nelle zone più povere.”
LEGGI QUI LO STUDIO "Arctic sea ice extent settles at record seasonal minimum"
http://nsidc.org/arcticseaicenews/2012/ ... l-minimum/
Le recenti novità sulle esplorazioni petrolifere in Artico sono allarmanti.
“E’ il colmo che l’area che sta sperimentando i cambiamenti climatici più rapidi si appresti a diventare l’origine del problema – ha detto Mariagrazia Midulla del WWF Italia – Non possiamo più ignorare l’emergenza climatica globale.
Insieme a comunità mondiali sempre più preoccupate, dobbiamo dimostrare come raggiungere il 100% di energie rinnovabili sia possibile, efficace e fondamentale se vogliamo avere un futuro più sicuro e più pulito.”
Proprio per questo, giovedì 27 settembre il WWF presenterà alla stampa e consegnerà al ministro dell’Ambiente Corrado Clini il rapporto “Obiettivo 2050”, una roadmap energetica per l’Italia con le linee guida per raggiungere la decarbonizzazione attraverso efficienza energetica e 100% energie rinnovabili nel settore elettrico.
Uno specifico piano di lungo termine è infatti strumento indispensabile per avviare una transizione che attenui i problemi ambientali, energetici, industriali del nostro Paese garantendo una migliore prospettiva sociale ed economica e dando il contributo alla lotta al cambiamento climatico che la drammatica situazione mondiale e l’Unione Europea ci richiedono.
http://www.wwf.it/client/ricerca.aspx?r ... &content=1
La riduzione record dei ghiacci marini in Artico documentata in questi giorni dall’autorevole Snow and Ice Data Centre, richiama l’urgente necessità di azioni globali e locali per contrastare il cambiamento climatico.
Stando al monitoraggio dei satelliti, i ghiacci hanno raggiunto il livello minimo mai registrato da quando esiste il rilevamento satellitare:
3,41 milioni di chilometri quadrati, per una perdita di ghiaccio pari a quasi il doppio dell’Alaska rispetto ai livelli minimi medi tra il 1979 e il 2000.
(Altri dati recenti su Groenlandia, ghiacciai e cambiamenti climatici )
http://www.wwf.it/client/ricerca.aspx?r ... &content=1
“Si tratta di un segnale gravissimo, che documenta ulteriormente il cambiamento climatico dovuto all’intervento umano e che produce effetti drammatici sull’ecosistema artico, sconvolgendo gli equilibri dinamici dell’area e comportando perdita di habitat per gli ambienti, gli animali e le complesse reti alimentari che dipendono dai ghiacci marini – ha detto Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia – Il trend dei ghiacci marini artici è da decenni in continuo declino.
Ma è scioccante vedere quanto questo trend sia rapido.
Arrivati a questo punto dobbiamo iniziare a pianificare considerando un Artico privo di ghiacci durante l’estate, perché presto la situazione sarà davvero questa. Dobbiamo agire subito per preservare l’habitat cruciale che ci rimane e per prevenire cambiamenti ancor più catastrofici del clima globale.”
“La perdita di ghiacci marini deve diventare una sonora chiamata all’azione globale contro il cambiamento climatico – ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Policy Clima ed Energia del WWF Italia – Al circolo polare artico il cambiamento climatico non si fermerà.
Gli scienziati ci dicono che la rapida perdita di ghiacci marini è legata alle estati umide, agli inverni intensi e agli eventi meteorologici estremi nell’emisfero settentrionale.
E altri impatti climatici globali che si stanno verificando sono altrettanto seri, a partire dalle siccità record di quest’estate, in Italia e in altre regioni del mondo (USA, Russia, Ucraina, ecc), con i loro impatti sulla produzione alimentare, sui prezzi del cibo e sull’emergenza alimentare nelle zone più povere.”
LEGGI QUI LO STUDIO "Arctic sea ice extent settles at record seasonal minimum"
http://nsidc.org/arcticseaicenews/2012/ ... l-minimum/
Le recenti novità sulle esplorazioni petrolifere in Artico sono allarmanti.
“E’ il colmo che l’area che sta sperimentando i cambiamenti climatici più rapidi si appresti a diventare l’origine del problema – ha detto Mariagrazia Midulla del WWF Italia – Non possiamo più ignorare l’emergenza climatica globale.
Insieme a comunità mondiali sempre più preoccupate, dobbiamo dimostrare come raggiungere il 100% di energie rinnovabili sia possibile, efficace e fondamentale se vogliamo avere un futuro più sicuro e più pulito.”
Proprio per questo, giovedì 27 settembre il WWF presenterà alla stampa e consegnerà al ministro dell’Ambiente Corrado Clini il rapporto “Obiettivo 2050”, una roadmap energetica per l’Italia con le linee guida per raggiungere la decarbonizzazione attraverso efficienza energetica e 100% energie rinnovabili nel settore elettrico.
Uno specifico piano di lungo termine è infatti strumento indispensabile per avviare una transizione che attenui i problemi ambientali, energetici, industriali del nostro Paese garantendo una migliore prospettiva sociale ed economica e dando il contributo alla lotta al cambiamento climatico che la drammatica situazione mondiale e l’Unione Europea ci richiedono.
http://www.wwf.it/client/ricerca.aspx?r ... &content=1
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