Come se ne viene fuori ?
Re: Come se ne viene fuori ?
Probabilmente a livello "matematico" hanno degli indicatori ( una ventina di termini assurdi , inglesi e tecnici) che gli fanno vedere la situazione A anzichè la B. Monti non è tipo che dice cose tanto per aprire la bocca , è anche un modo per dare una certa visione a chi investe in roba italiana.
il punto è un altro
"quando le fabbriche chiuderanno " è diventato " abbiamo chiuso, rivolgersi commercialista liquidatore"
CONVINCERE gli imprenditori a tenere in piedi queste agonizzanti realtà , o foraggiarle con contributi o statalizzarle .... con quali soldi? non ce ne sono . e quand'anche... non riusciamo a mantenerci competitivi sui mercati , costo del lavoro, mafie, corruzioni ... non ci sono margini di miglioramento praticabili e gli imprenditori dicono : chi me lo fa fare ( non entro nel merito giusto o sbagliato)
il ministero delle attività produttive prima di diventare ministero delle insolvenze improduttive dovrebbe imprimere un indirizzo a questo paese .
tenere conto dei movimenti globali.
non da oggi si sa che l'europa mediterranea è destinata a diventare un luogo di villeggiature , un luogo turistico per eccellenza ma continuiamo a non crederci veramente , no piuttosto trivelliamo, buttiamo arsenico e diossina in mare , costruiamo infrastrutture solo a beneficio delle realtà industriali ( bisognerebbe dire POST industriali ) fottendocene del paesaggio e del turismo ecosostenibile .
il lavoratore vuole uno stipendio per camparci la famiglia, non è che ci tiene a crepare fra i veleni o a fare un lavoro usurante sennò non si sente abbastanza macho.
non c'è niente in questa direzione, niente.
sembriamo nel mezzo al deserto di atacama e invece siamo nel paese che ha più beni culturali al mondo e spiagge da far invidia alle barbados.
quale alternativa puoi dare a tutti quelli che si trovano senza lavoro? è questo che un ministero dovrebbe pensare .
e quale alternativa è possibile se non parti da quello che il territorio può offrire ?
l'alternativa finora se l'è trovata la gente in modo autonomo ma ora sono tanti, troppi, perfino per emigrare. qui bisogna reinventarsi un Paese e gli indirizzi , una spinta , una visione la deve dare il ministero.
fra avere una massa enorme di persone disperate e incentivare la microimprenditoria con provvedimenti anche a rientro zero per un pò di anni ma cosa aspettano? di trovarseli sotto le finestre?
il punto è un altro
"quando le fabbriche chiuderanno " è diventato " abbiamo chiuso, rivolgersi commercialista liquidatore"
CONVINCERE gli imprenditori a tenere in piedi queste agonizzanti realtà , o foraggiarle con contributi o statalizzarle .... con quali soldi? non ce ne sono . e quand'anche... non riusciamo a mantenerci competitivi sui mercati , costo del lavoro, mafie, corruzioni ... non ci sono margini di miglioramento praticabili e gli imprenditori dicono : chi me lo fa fare ( non entro nel merito giusto o sbagliato)
il ministero delle attività produttive prima di diventare ministero delle insolvenze improduttive dovrebbe imprimere un indirizzo a questo paese .
tenere conto dei movimenti globali.
non da oggi si sa che l'europa mediterranea è destinata a diventare un luogo di villeggiature , un luogo turistico per eccellenza ma continuiamo a non crederci veramente , no piuttosto trivelliamo, buttiamo arsenico e diossina in mare , costruiamo infrastrutture solo a beneficio delle realtà industriali ( bisognerebbe dire POST industriali ) fottendocene del paesaggio e del turismo ecosostenibile .
il lavoratore vuole uno stipendio per camparci la famiglia, non è che ci tiene a crepare fra i veleni o a fare un lavoro usurante sennò non si sente abbastanza macho.
non c'è niente in questa direzione, niente.
sembriamo nel mezzo al deserto di atacama e invece siamo nel paese che ha più beni culturali al mondo e spiagge da far invidia alle barbados.
quale alternativa puoi dare a tutti quelli che si trovano senza lavoro? è questo che un ministero dovrebbe pensare .
e quale alternativa è possibile se non parti da quello che il territorio può offrire ?
l'alternativa finora se l'è trovata la gente in modo autonomo ma ora sono tanti, troppi, perfino per emigrare. qui bisogna reinventarsi un Paese e gli indirizzi , una spinta , una visione la deve dare il ministero.
fra avere una massa enorme di persone disperate e incentivare la microimprenditoria con provvedimenti anche a rientro zero per un pò di anni ma cosa aspettano? di trovarseli sotto le finestre?
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Re: Come se ne viene fuori ?
Il punto al primo di settembre.
Con prosecuzione al 2 settembre
Continua-3
E’ un vero peccato che Il Fatto Quotidiano nella sua selezione degli articoli da mettere in archivio abbia evitato di mettere quello di Paola Zanca pubblicato ieri sul cartaceo:
VENDOLA GIURA :”MAI CON L’UDC”
E LA BASE DICE: “MEGLIO TONINO”
perché ci sono delle cosette interessanti che aiuterebbero a capire ulteriormente anche questo intervento di Casini, ..di nome e di fatto.
La prima è che l’assemblea nazionale di Sel ha votato praticamente all’unanimità (il contro-documento di Alfonso Gianni ha preso solo 8 voti) la linea Vendola. Ovvero nessuna alleanza con l’Udc, né prima né dopo il voto e accordo con il Pd, su programma preciso. Vendola avrebbe chiarito molti dei punti critici su cui ci si era arrovellati nelle ultime settimane.
Diciamo che Vendola ha dato l’impressione negli ultimi due mesi di guidare il Sel in stato di ubriachezza. Procede a zig zag trovandosi spesso prima sul la sinistro della strada e poi sul lato destro a secondo di come tira l’aria. Prima si è presentato assieme a Di Pietro contrastando decisamente il Pd. Poi interviene Bersani e accetta l’alleanza con il Pd e molla Di Pietro dopo le insistenze del Nazareno. Successivamente si mostra disponibile ad alleanze con Casini. Adesso che ha sentito il maldipancia della base fa marcia indietro e sbarra la strada a Casini. Non solo, ma sempre su sollecitazione della base ripropone l’apertura con Di Pietro. “Si vede che ha le idee chiare nel suo procedere ondivago”.
Vendola al richiamo della foresta di Bersani ha agito per conto suo senza pensare cosa ne pensasse il partito e la base. Era evidente che nell’offerta “prendi tre e paghi due” ci stava incluso il pacchetto Udc, perché è da dopo lo schiaffone che la dirigenza del Pd ha dato a Bersani, per essersi presentato a Vasto senza il suo permesso, che il percorso prescelto dai democristiani non era quello indicato nella cittadina abruzzese, Pd+Idv+Sel, ma bensì il ricongiungimento dei cattolici nella nuova Dc che va prospettando Casini da due anni.
Casini lo dice chiaramente quali siano le sue intenzioni nell’articolo:
VENDOLA GIURA : “MAI CON L’UDC”
E LA BASE DICE: “MEGLIO TONINO “
“Se Matteo vincesse sarebbe inevitabile una scissione da sinistra nel Pd: e l’effetto paradossale sarebbe quello di rapporti ancor più stretti tra noi e il Pd targato Renzi. Ma io non me lo auguro, perché alzo lo sguardo oltre le faccende di partito e dico che rischiamo grosso”. Nel grande inganno, nella grande truffa che i democristiani di Casini e del Pd stanno perpretando ai danni degli ex elettori Pci del Pd, è quello di mascherare la nuova Dc, prima con Monti, di cui Casini è il più strenuo difensore e poi in una prossima nuova alleanza in cui oltre al Pd e all’Udc faccia parte anche l’ala che si dovrebbe staccare dal Pdl con a capo Pisanu.
Casini con la sua Udc vale poco o niente, poco più del 5 % da quando ha dichiarato di volersi alleare con il Pd. Pisanu non porterà via molto dal Pdl, perché essendo ancora più a destra di Casini, quell’elettorato non vede di buon occhio l’alleanza formale con il Pd, ritenuto erroneamente di sinistra.
A Casini, non interessa un gruppetto di ex Dc che si staccano dal Pd perché porterebbe con sé poco consenso, vista l’esperienza di Rutelli. Casini ha bisogno numericamente dell’apporto dell’intero Pd, ed è per questo che dichiara “Non me lo auguro”. A smentire Vendola ci ha pensato D’Alema al Tg3 delle 19,00 di venerdì scorso su una domanda precisa sulle alleanze da parte di bianca Berlinguer. D’Alema non disdegna l’alleanza con Vendola, ma ha precisato che nella prossima legislatura è necessario fare l’alleanza tra “progressisti” e “moderati”,…il solito pastone per merli giganti doc.
Quello che è interessante nell’articolo di Paola Zanda, è la consapevolezza della base del Sel che Di Pietro gli serve. A molti del Sel Di Pietro non piace ma lo ritengono necessario per una battaglia a sinistra. La terza cosa interessante dell’articolo della Zanda è la proposta di Di Pietro impegnato nell’operazione “impossibile” di convincere il fronte dei non allineati (Sel, Idv, Fiom) a confluire in un’unica lista abbandonando i simboli di partito, essendo convinto che questo è l’unico modo di costringere il Pd a girare le spalle a Casini. A mio avviso l’idea di Di Pietro è giusta ma è sbagliata l’ipotesi che il Pd faccia marcia indietro. La direzione del Pd ex sinistra da tempo ha abbandonato la sinistra ed aspira solo al grande partito di POLTRONE & FORCHETTE, di cui Casini è il massimo interprete. Riportare a sinistra la base del Pd, quello si.
Con prosecuzione al 2 settembre
Continua-3
E’ un vero peccato che Il Fatto Quotidiano nella sua selezione degli articoli da mettere in archivio abbia evitato di mettere quello di Paola Zanca pubblicato ieri sul cartaceo:
VENDOLA GIURA :”MAI CON L’UDC”
E LA BASE DICE: “MEGLIO TONINO”
perché ci sono delle cosette interessanti che aiuterebbero a capire ulteriormente anche questo intervento di Casini, ..di nome e di fatto.
La prima è che l’assemblea nazionale di Sel ha votato praticamente all’unanimità (il contro-documento di Alfonso Gianni ha preso solo 8 voti) la linea Vendola. Ovvero nessuna alleanza con l’Udc, né prima né dopo il voto e accordo con il Pd, su programma preciso. Vendola avrebbe chiarito molti dei punti critici su cui ci si era arrovellati nelle ultime settimane.
Diciamo che Vendola ha dato l’impressione negli ultimi due mesi di guidare il Sel in stato di ubriachezza. Procede a zig zag trovandosi spesso prima sul la sinistro della strada e poi sul lato destro a secondo di come tira l’aria. Prima si è presentato assieme a Di Pietro contrastando decisamente il Pd. Poi interviene Bersani e accetta l’alleanza con il Pd e molla Di Pietro dopo le insistenze del Nazareno. Successivamente si mostra disponibile ad alleanze con Casini. Adesso che ha sentito il maldipancia della base fa marcia indietro e sbarra la strada a Casini. Non solo, ma sempre su sollecitazione della base ripropone l’apertura con Di Pietro. “Si vede che ha le idee chiare nel suo procedere ondivago”.
Vendola al richiamo della foresta di Bersani ha agito per conto suo senza pensare cosa ne pensasse il partito e la base. Era evidente che nell’offerta “prendi tre e paghi due” ci stava incluso il pacchetto Udc, perché è da dopo lo schiaffone che la dirigenza del Pd ha dato a Bersani, per essersi presentato a Vasto senza il suo permesso, che il percorso prescelto dai democristiani non era quello indicato nella cittadina abruzzese, Pd+Idv+Sel, ma bensì il ricongiungimento dei cattolici nella nuova Dc che va prospettando Casini da due anni.
Casini lo dice chiaramente quali siano le sue intenzioni nell’articolo:
VENDOLA GIURA : “MAI CON L’UDC”
E LA BASE DICE: “MEGLIO TONINO “
“Se Matteo vincesse sarebbe inevitabile una scissione da sinistra nel Pd: e l’effetto paradossale sarebbe quello di rapporti ancor più stretti tra noi e il Pd targato Renzi. Ma io non me lo auguro, perché alzo lo sguardo oltre le faccende di partito e dico che rischiamo grosso”. Nel grande inganno, nella grande truffa che i democristiani di Casini e del Pd stanno perpretando ai danni degli ex elettori Pci del Pd, è quello di mascherare la nuova Dc, prima con Monti, di cui Casini è il più strenuo difensore e poi in una prossima nuova alleanza in cui oltre al Pd e all’Udc faccia parte anche l’ala che si dovrebbe staccare dal Pdl con a capo Pisanu.
Casini con la sua Udc vale poco o niente, poco più del 5 % da quando ha dichiarato di volersi alleare con il Pd. Pisanu non porterà via molto dal Pdl, perché essendo ancora più a destra di Casini, quell’elettorato non vede di buon occhio l’alleanza formale con il Pd, ritenuto erroneamente di sinistra.
A Casini, non interessa un gruppetto di ex Dc che si staccano dal Pd perché porterebbe con sé poco consenso, vista l’esperienza di Rutelli. Casini ha bisogno numericamente dell’apporto dell’intero Pd, ed è per questo che dichiara “Non me lo auguro”. A smentire Vendola ci ha pensato D’Alema al Tg3 delle 19,00 di venerdì scorso su una domanda precisa sulle alleanze da parte di bianca Berlinguer. D’Alema non disdegna l’alleanza con Vendola, ma ha precisato che nella prossima legislatura è necessario fare l’alleanza tra “progressisti” e “moderati”,…il solito pastone per merli giganti doc.
Quello che è interessante nell’articolo di Paola Zanda, è la consapevolezza della base del Sel che Di Pietro gli serve. A molti del Sel Di Pietro non piace ma lo ritengono necessario per una battaglia a sinistra. La terza cosa interessante dell’articolo della Zanda è la proposta di Di Pietro impegnato nell’operazione “impossibile” di convincere il fronte dei non allineati (Sel, Idv, Fiom) a confluire in un’unica lista abbandonando i simboli di partito, essendo convinto che questo è l’unico modo di costringere il Pd a girare le spalle a Casini. A mio avviso l’idea di Di Pietro è giusta ma è sbagliata l’ipotesi che il Pd faccia marcia indietro. La direzione del Pd ex sinistra da tempo ha abbandonato la sinistra ed aspira solo al grande partito di POLTRONE & FORCHETTE, di cui Casini è il massimo interprete. Riportare a sinistra la base del Pd, quello si.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Padova TG3 Veneto molti negozi in centro hanno chiuso.Primo poco lavoro,secondo gli hanno aumentato in canone d'affitto quindi non ci stavano piu con le spese.
Ciao
Paolo11
Ciao
Paolo11
Re: Come se ne viene fuori ?
Quello che è certo è che è un grande casino. E che anche se il PD prenderà quel 26% al quale sembra puntare, avremo un governo nè carne nè pesce, inconcludente, diviso e dilaniato. L'unico a trarne vantaggio sarà ancora una volta il caimano, che intanto si allena anche a costo di lussarsi una spalla e un polso.
Re: Come se ne viene fuori ?
Beppe Grillo (FB)
Si parla di tutto per non parlar di niente, tipo: “Bersani piace di più con Vendola o con Casini?”. Quando un problema rimandato da anni, ormai incancrenito, marcio, come l’ILVA di Taranto o il Sulcis in Sardegna diventa emergenza nazionale scompare comunque nel nulla dopo poche settimane. I responsabili? Mai nessuno. È come lo schiaffo del soldato. L’italiano, notoriamente masochista, lo riceve con violenza sulla mano piegata all’indietro. Non riconosce mai lo schiaffeggiatore tra chi agita il dito (medio) per aria. E non si chiede mai perché debba essere sempre lui a “stare sotto
Si parla di tutto per non parlar di niente, tipo: “Bersani piace di più con Vendola o con Casini?”. Quando un problema rimandato da anni, ormai incancrenito, marcio, come l’ILVA di Taranto o il Sulcis in Sardegna diventa emergenza nazionale scompare comunque nel nulla dopo poche settimane. I responsabili? Mai nessuno. È come lo schiaffo del soldato. L’italiano, notoriamente masochista, lo riceve con violenza sulla mano piegata all’indietro. Non riconosce mai lo schiaffeggiatore tra chi agita il dito (medio) per aria. E non si chiede mai perché debba essere sempre lui a “stare sotto
Re: Come se ne viene fuori ?
Eppure li paghiamo noi
di Antonio Padellaro | 2 settembre 2012
Forse davvero alla Convention repubblicana Clint Eastwood ha parlato da “vecchio pazzo” (Michael Moore), ma una cosa vera l’ha detta: “Noi siamo i proprietari di questo Paese e i politici sono i nostri dipendenti”.
Un concetto elementare per qualsiasi democrazia rispettosa dei propri cittadini. Non certo per i poveri sudditi italiani, costretti a foraggiare una classe dirigente che non dirige più niente se non la bancarotta a cui ha ridotto lo Stato. Basta osservarli, politici falliti e tecnici impantanati, mentre con le faccette abbronzate e i vezzosi pulloverini transumano da una festa di partito all’altra, blindati da plotoni di agenti sottratti alla pubblica sicurezza.
Basta ascoltarli mentre, impalcati e microfonati, dispensano perle di buon governo. Si limitassero all’inettitudine, pace. No, annunciano al vento fantasmagorici patti per la crescita o immaginarie leggi anticorruzione, quando sanno benissimo che a crescere rigogliosamente sono soltanto la disoccupazione, i precari (3 milioni), i giovani a caccia del primo impiego (618mila), i furti e gli sprechi, le mazzette pagate per avvelenare impunemente gli abitanti di Taranto e non solo loro.
Invece di nascondersi per la vergogna, si muovono compatti come falange (non ingannino le finte dispute da pollaio), convinti di potersi permettere di tutto, visto che giornali e giornalisti cresciuti alla scuola del servo encomio tengono loro bordone, alcuni per chiara vocazione, altri per non farsi chiudere i rubinetti delle provvidenze. Esemplare il caso delle telefonate tra il Capo dello Stato e un ex alto dignitario coinvolto nell’indagine sulla trattativa Stato-mafia e provvisto di robusta coda di paglia.
Appena si fa l’ipotesi che quelle conversazioni possano essere rese pubbliche per dovere di trasparenza, è subito tutto un arrampicarsi trafelato sul Colle di premier, ministri e segretari di partito, tutto uno stracciar di vesti, un gridare al complotto ordito certamente da menti raffinatissime determinate a impedire il cambiamento. In realtà, tutto quel solidarizzare e stringersi a coorte mira a conservare l’esistente, con annesse poltrone e pennacchi. Esistente che in Italia, caro ispettore Callaghan, significa che i proprietari del Paese sono i politici e noi i loro dipendenti (che a volte, per farsi ascoltare da una miniera, si legano a una carica di tritolo).
Il Fatto Quotidiano, 2 Settembre 2012
di Antonio Padellaro | 2 settembre 2012
Forse davvero alla Convention repubblicana Clint Eastwood ha parlato da “vecchio pazzo” (Michael Moore), ma una cosa vera l’ha detta: “Noi siamo i proprietari di questo Paese e i politici sono i nostri dipendenti”.
Un concetto elementare per qualsiasi democrazia rispettosa dei propri cittadini. Non certo per i poveri sudditi italiani, costretti a foraggiare una classe dirigente che non dirige più niente se non la bancarotta a cui ha ridotto lo Stato. Basta osservarli, politici falliti e tecnici impantanati, mentre con le faccette abbronzate e i vezzosi pulloverini transumano da una festa di partito all’altra, blindati da plotoni di agenti sottratti alla pubblica sicurezza.
Basta ascoltarli mentre, impalcati e microfonati, dispensano perle di buon governo. Si limitassero all’inettitudine, pace. No, annunciano al vento fantasmagorici patti per la crescita o immaginarie leggi anticorruzione, quando sanno benissimo che a crescere rigogliosamente sono soltanto la disoccupazione, i precari (3 milioni), i giovani a caccia del primo impiego (618mila), i furti e gli sprechi, le mazzette pagate per avvelenare impunemente gli abitanti di Taranto e non solo loro.
Invece di nascondersi per la vergogna, si muovono compatti come falange (non ingannino le finte dispute da pollaio), convinti di potersi permettere di tutto, visto che giornali e giornalisti cresciuti alla scuola del servo encomio tengono loro bordone, alcuni per chiara vocazione, altri per non farsi chiudere i rubinetti delle provvidenze. Esemplare il caso delle telefonate tra il Capo dello Stato e un ex alto dignitario coinvolto nell’indagine sulla trattativa Stato-mafia e provvisto di robusta coda di paglia.
Appena si fa l’ipotesi che quelle conversazioni possano essere rese pubbliche per dovere di trasparenza, è subito tutto un arrampicarsi trafelato sul Colle di premier, ministri e segretari di partito, tutto uno stracciar di vesti, un gridare al complotto ordito certamente da menti raffinatissime determinate a impedire il cambiamento. In realtà, tutto quel solidarizzare e stringersi a coorte mira a conservare l’esistente, con annesse poltrone e pennacchi. Esistente che in Italia, caro ispettore Callaghan, significa che i proprietari del Paese sono i politici e noi i loro dipendenti (che a volte, per farsi ascoltare da una miniera, si legano a una carica di tritolo).
Il Fatto Quotidiano, 2 Settembre 2012
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Re: Come se ne viene fuori ?
Monti osannato da tutti all'inizio e dai partiti che lo sostengono.
Da vikipedia.
Mario Monti (Varese, 19 marzo 1943) è un economista, accademico e politico italiano.
VI sembra che stia facendo le cose giuste da economista?Oppure tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Tanta teoria (la pratica?)ora ci ritroviamo ancora peggio.
Ciao
Paolo11
Da vikipedia.
Mario Monti (Varese, 19 marzo 1943) è un economista, accademico e politico italiano.
VI sembra che stia facendo le cose giuste da economista?Oppure tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Tanta teoria (la pratica?)ora ci ritroviamo ancora peggio.
Ciao
Paolo11
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Re: Come se ne viene fuori ?
Il punto al primo di settembre.
Con prosecuzione al 2 settembre
Continua-3
Con l’uscita di ieri di Casini:
- Impossibili accordi con chi si oppone a Monti e al suo governo”.
- Nessuna alleanza con Vendola.
si chiude il primo ciclo di schermaglie elettorali dell’ultimo mese.
Tirando le somme, potremmo dire che Udc, Pd, e Vendola (la base del Sel non la pensa come il segretario e lo ha obbligato a fare marcia indietro) hanno scherzato.
Tutto torna sulle posizioni di un mese fa ad eccezione dell’alleanza-ruota di scorta-specchietto per le allodole merlo di Vendola con il Pd.
Rimane però un’alleanza fasulla, un’alleanza farsa che non sta in piedi, che fa acqua da tutte le parti se le dichiarazioni d’intenti hanno ancore un valore o sono le solite berlusconate in libertà dove ognuno ha la facoltà di ritrattarle sostenendo di essere stato frainteso.
La trappola preparata da Peppone e compagnucci della parrocchietta nei confronti del Sel non ha funzionato.
- Vendola, ripreso dalla base è stato costretto ad una veloce svolta a U, ritrattando in radice la possibilità di governare con Casini. “ Noi mai con Casini”
- D’Alema al Tg3 delle 19,00 di venerdì scorso rispondendo a domande precise sulle alleanze da parte di Bianca Berlinguer, risponde con la solita monotonia che Vendola ci può stare ma che l’obiettivo del Pd per la prossima legislatura rimane l’alleanza tra “””progressisti””” e “”””moderati”””.
Naturalmente Vendola dopo le parole di D’Alema che lo smentiscono in pieno tace per convenienza ed imbarazzo, preferendo continuare nell’equivoco evidente. Anche in questo caso la base del Sel è spaccata, non tutti intendono procedere con l’alleanza con il Pd.
Che il trappolone sia stato messo in atto congiuntamente dai pepponi, ce lo dimostra Lettino nipote questa settimana quando se ne esce sostenendo che nella vituperata foto di Vasto Di Pietro deve essere sostituito con De Magistris. L’intenzione è quella di isolare ancora di più Di Pietro costringendolo a non entrare in Parlamento e quindi ad entrare in difficoltà economiche per una legislatura.
Antonio Di Pietro non è mai stato uno di loro, uno della casta ricostituita dopo Mani pulite. Di Pietro rimane per loro sempre il magistrato che ha contribuito ad abbattere la casta della prima Repubblica. Quello che con altri gli ha rovinato il giocattolo per fare soldi senza faticare. Entrato in politica ADP non si presta al gioco della casta. A sinistra è sempre stato tollerato perché serviva a dare un’immagine di legalità.
Adesso però i giochi si fanno con Casini, e quindi la musica cambia. La pregiudiziale per un accordo Udc – Pd è sempre stata da parte di Pierazzurro l’eliminazione di Di Pietro. La legalità non fa parte del dna dei democristiani. Basta pensare ad Andreotti due anni subito dopo la guerra, nel 1947, quando fa sparire i fondi che il Tesoro statunitense invia al Tesoro italiano, relativi all’ultima tranche delle paghe dei soldati italiani prigionieri negli Usa che hanno lavorato per il Governo. Di quei soldi non se ne è mai più saputo nulla e dopo 65 anni nessun militare o erede ha mai visto una lira. Oppure l’Andreotti uomo di Stato colluso con la mafia. Tutta la storia della Dc, ad esclusione di De Gasperi, dimostra l’avversione per la legalità. E’ passato un anno da quando la magistratura ha scoperto i finanziamenti di Finmeccanica-Enav ai politici italiani. Per 14 volte i Re magi di Finmeccanica-Enav si sono recati presso la sede dell’Udc in Via dei Due Macelli 66 a Roma, certamente non per portare l’incenso e la mirra.
Scriveva così il Post del 22 novembre 2011
Tutti i partiti partecipavano alla spartizione delle nomine in Enav e Finmeccanica. Anche i Comunisti italiani sono riusciti a ottenere un consigliere. Ma quando si è trattato di distribuire affari e favori, la parte del leone l’avrebbero fatta Udc, An e Forza Italia. Gli imprenditori che volevano ottenere i lavori consegnavano i soldi ai manager e questi li giravano ai politici, talvolta riuscendo a ottenere una robusta «cresta». Ma nei verbali di interrogatorio e negli altri atti processuali dell’inchiesta che ha portato agli arresti l’amministratore delegato Guido Pugliesi e due manager ci sono pure i finanziamenti non dichiarati, le società segnalate dai parlamentari e agevolate per ottenere l’assegnazione delle commesse, i ministri che avrebbero ottenuto il via libera nell’assegnare i posti di dirigenza. Sono le rivelazioni di chi, dopo essere finito in carcere, ha deciso di collaborare con la magistratura e ha coinvolto il leader udc Pier Ferdinando Casini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, l’ex titolare dei Trasporti Altero Matteoli, il parlamentare Marco Follini, quando era vicepresidente del Consiglio.
Sono stati colpiti solo quelli della Lega, non si capisce perché il partito di Casini riesca a rimanerne fuori.
Queste sono cose che Di Pietro dice di combattere. E quindi è evidente che è uno che non può far parte del gioco. Negli ultimi due mesi, richiamandosi sempre alla legalità e alla Costituzione, è entrato nuovamente in urto con la casta e con Peppone e i compagnucci della parrocchietta.
Quello che sorprende è che anche alcuni militanti a Reggio Emilia ripetano come pappagalli le false notizie emesse dalla direzione del Nazareno. E’ Di Pietro che si è autoescluso. E’ un falso clamoroso, perché da fesso, Di Pietro sta tentando ancora di promuovere un’alleanza a sinistra per portare il Pd nel Cs originario escludendo Casini. Solo che quello che può offrire Casini non può offrirlo Di Pietro.
Continua - 3
Con prosecuzione al 2 settembre
Continua-3
Con l’uscita di ieri di Casini:
- Impossibili accordi con chi si oppone a Monti e al suo governo”.
- Nessuna alleanza con Vendola.
si chiude il primo ciclo di schermaglie elettorali dell’ultimo mese.
Tirando le somme, potremmo dire che Udc, Pd, e Vendola (la base del Sel non la pensa come il segretario e lo ha obbligato a fare marcia indietro) hanno scherzato.
Tutto torna sulle posizioni di un mese fa ad eccezione dell’alleanza-ruota di scorta-specchietto per le allodole merlo di Vendola con il Pd.
Rimane però un’alleanza fasulla, un’alleanza farsa che non sta in piedi, che fa acqua da tutte le parti se le dichiarazioni d’intenti hanno ancore un valore o sono le solite berlusconate in libertà dove ognuno ha la facoltà di ritrattarle sostenendo di essere stato frainteso.
La trappola preparata da Peppone e compagnucci della parrocchietta nei confronti del Sel non ha funzionato.
- Vendola, ripreso dalla base è stato costretto ad una veloce svolta a U, ritrattando in radice la possibilità di governare con Casini. “ Noi mai con Casini”
- D’Alema al Tg3 delle 19,00 di venerdì scorso rispondendo a domande precise sulle alleanze da parte di Bianca Berlinguer, risponde con la solita monotonia che Vendola ci può stare ma che l’obiettivo del Pd per la prossima legislatura rimane l’alleanza tra “””progressisti””” e “”””moderati”””.
Naturalmente Vendola dopo le parole di D’Alema che lo smentiscono in pieno tace per convenienza ed imbarazzo, preferendo continuare nell’equivoco evidente. Anche in questo caso la base del Sel è spaccata, non tutti intendono procedere con l’alleanza con il Pd.
Che il trappolone sia stato messo in atto congiuntamente dai pepponi, ce lo dimostra Lettino nipote questa settimana quando se ne esce sostenendo che nella vituperata foto di Vasto Di Pietro deve essere sostituito con De Magistris. L’intenzione è quella di isolare ancora di più Di Pietro costringendolo a non entrare in Parlamento e quindi ad entrare in difficoltà economiche per una legislatura.
Antonio Di Pietro non è mai stato uno di loro, uno della casta ricostituita dopo Mani pulite. Di Pietro rimane per loro sempre il magistrato che ha contribuito ad abbattere la casta della prima Repubblica. Quello che con altri gli ha rovinato il giocattolo per fare soldi senza faticare. Entrato in politica ADP non si presta al gioco della casta. A sinistra è sempre stato tollerato perché serviva a dare un’immagine di legalità.
Adesso però i giochi si fanno con Casini, e quindi la musica cambia. La pregiudiziale per un accordo Udc – Pd è sempre stata da parte di Pierazzurro l’eliminazione di Di Pietro. La legalità non fa parte del dna dei democristiani. Basta pensare ad Andreotti due anni subito dopo la guerra, nel 1947, quando fa sparire i fondi che il Tesoro statunitense invia al Tesoro italiano, relativi all’ultima tranche delle paghe dei soldati italiani prigionieri negli Usa che hanno lavorato per il Governo. Di quei soldi non se ne è mai più saputo nulla e dopo 65 anni nessun militare o erede ha mai visto una lira. Oppure l’Andreotti uomo di Stato colluso con la mafia. Tutta la storia della Dc, ad esclusione di De Gasperi, dimostra l’avversione per la legalità. E’ passato un anno da quando la magistratura ha scoperto i finanziamenti di Finmeccanica-Enav ai politici italiani. Per 14 volte i Re magi di Finmeccanica-Enav si sono recati presso la sede dell’Udc in Via dei Due Macelli 66 a Roma, certamente non per portare l’incenso e la mirra.
Scriveva così il Post del 22 novembre 2011
Tutti i partiti partecipavano alla spartizione delle nomine in Enav e Finmeccanica. Anche i Comunisti italiani sono riusciti a ottenere un consigliere. Ma quando si è trattato di distribuire affari e favori, la parte del leone l’avrebbero fatta Udc, An e Forza Italia. Gli imprenditori che volevano ottenere i lavori consegnavano i soldi ai manager e questi li giravano ai politici, talvolta riuscendo a ottenere una robusta «cresta». Ma nei verbali di interrogatorio e negli altri atti processuali dell’inchiesta che ha portato agli arresti l’amministratore delegato Guido Pugliesi e due manager ci sono pure i finanziamenti non dichiarati, le società segnalate dai parlamentari e agevolate per ottenere l’assegnazione delle commesse, i ministri che avrebbero ottenuto il via libera nell’assegnare i posti di dirigenza. Sono le rivelazioni di chi, dopo essere finito in carcere, ha deciso di collaborare con la magistratura e ha coinvolto il leader udc Pier Ferdinando Casini, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, l’ex titolare dei Trasporti Altero Matteoli, il parlamentare Marco Follini, quando era vicepresidente del Consiglio.
Sono stati colpiti solo quelli della Lega, non si capisce perché il partito di Casini riesca a rimanerne fuori.
Queste sono cose che Di Pietro dice di combattere. E quindi è evidente che è uno che non può far parte del gioco. Negli ultimi due mesi, richiamandosi sempre alla legalità e alla Costituzione, è entrato nuovamente in urto con la casta e con Peppone e i compagnucci della parrocchietta.
Quello che sorprende è che anche alcuni militanti a Reggio Emilia ripetano come pappagalli le false notizie emesse dalla direzione del Nazareno. E’ Di Pietro che si è autoescluso. E’ un falso clamoroso, perché da fesso, Di Pietro sta tentando ancora di promuovere un’alleanza a sinistra per portare il Pd nel Cs originario escludendo Casini. Solo che quello che può offrire Casini non può offrirlo Di Pietro.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Il punto al primo di settembre.
Con prosecuzione al 3 settembre
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Nel gioco dell’Oca della politica italiana il Pd e il Sel tornano quindi alla casella di partenza, in attesa di chiarimenti da entrambe le parti.
Lettino nipote aveva dichiarato il 23 agosto che entro il 29 ci sarebbe stato l’accordo ufficiale sulla legge elettorale. Il 29 agosto è stato regolarmente smentito dai fatti e incolpa la salma, ma in realtà i giochi sono saltati in casa democristiana a causa del dietro front di Vendola con Casini. La legge elettorale è calibrata esattamente sui numeri per poter vincere. Quando mancano gli accordi salta tutto.
Legge elettorale, melina Pdl
Berlusconi teme il voto anticipato.
LETTA SMENTITO. L'accordo che era stato annunciato da Enrico Letta del Partito democratico è ormai chiaro che sia stato poi smentito dai 'fatti'.
(Fonte . lettera 43)
Il problema più grosso del partito dei defunti in questo momento riguarda la Sicilia, dove l’accordo U dc-Pd viene bocciato con un crollo del Pd all’8 %. E non si tratta solo di Crocetta. Chi vuole il ricambio non può accettare l’accordo con il partito di don Totò Cuffaro, vasa, vasa.
Ha scritto così di Claudio Fava ieri il “destro” Travaglio nel suo editoriale “Buone notizie”:
E c’è motivo di sorridere persino dalle cronache politiche della Sicilia. Nella terra delle trattative Stato-mafia seguite a mezzo secolo di convivenze e connivenze, nella terra che 11 anni fa tributava 61 collegi su 61 al partito di Dell’Utri, nella terra governata a lungo da Totò Cuffaro con la sinistra e con la destra e ultimamente da Lombardo alleato di pezzi di sinistra e pezzi di destra, i sondaggi danno in vantaggio la faccia pulita di Claudio Fava. Non è un personaggio facile: la sua intransigenza, ereditata dal padre Pippo e scambiata da alcuni per alterigia, gli ha alienato fin dai tempi della Rete le simpatie di molti, che lo trovano troppo poco piacione e troppo allergico ai compromessi. Si diceva che Fava “non porta voti”, fin da quando perse di misura le comunali a Catania contro Enzo Bianco e poi, osteggiatissimo segretario regionale Ds, raccolse scarsi consensi elettorali. Ora però, visti i risultati degli (e i prezzi pagati dagli) “uomini del consenso”, c’è chi guarda a lui come a quello che è: una persona seria, colta e onesta, un giornalista-politico-sceneggiatore (I cento passi di Giordana era anche suo) che tre anni fa l’Economist elesse “eurodeputato dell’anno” come relatore della commissione d’inchiesta sulle “extraordinary rendition” (i sequestri illegali di presunti terroristi) della Cia, mentre il suo partito, i Ds, si voltava dall’altra parte, anzi salvava dall’arresto gli agenti Cia e copriva col segreto di Stato gli spioni italiani loro complici. Infatti Claudio passò a Sel. Ora, dopo lo sfacelo di destra e sinistra anche a livello locale, il candidato post-ideologico di due piccoli partiti come Sel e Idv potrebbe ripetere il successo riscosso a Palermo da un personaggio molto più mediatico di lui come Luca Orlando, ma anche a Napoli da De Magistris, a Milano da Pisapia, a Genova da Doria. Tantopiù che in Sicilia il Pd ha tradito il suo statuto designando il pittoresco Crocetta senza passare per le primarie, in nome dell’inciucio con l’Udc, che in Sicilia ha tuttoggi un solo capo: Totò.
Per il momento il Pd è nuovamente battuto dopo Milano, Napoli, Genova, Palermo. Solo che questa volta il crollo è clamoroso e se dovesse essere confermato gli accordi a livello nazionale non possono non saltare con tutte le conseguenze del caso.
Ovviamente anche in questo caso Peppone e i pepponi militanti di Reggio Emilia si guardano bene dal discuterne ufficialmente. Siamo tornati al clima di oltre cinquant'anni fa con la riedizione di Peppone e Don Camillo.
A Padova alla festa dei democrat è stata contestata la Bindi. A Bologna, nella festa poco democrat, spintoni alla Peppone e Don Camillo con i grillini. A Torino nuova contestazione. Due consiglieri M5S consegnano una lettera con 18 domande a Bersani ma vengono bloccati dal servizio d’ordine dei pepponi. Una delle domande riguardava i soldi versati dal Gruppo Ilva a Bersani. Figuriamoci se i pepponi potevano permettersi di divulgare la notizia.
La Pravdona continua a nascondere la notizia perché teme il peggio.
Clima surriscaldato quindi in casa democristiana.
Sull’altro fronte domina la disperazione, anche se molto ben celata come nello stile della casa. Non sanno che pesci prendere e si ritrovano sempre tra i piedi un segretario precario voluto dal duce, con la salma che sfoglia la margherita, mi candido, non mi candido,….. mi candido, non mi candido,….. mi candido, non mi candido,…..
Pierazzurro per il momento è in surplace la sua Dc che sembrava a portata di mano subisce uno stop a causa di Vendola e Peppone. Sembra la sora Camilla, che tutti la vogliono e nessuno la piglia.
Con prosecuzione al 3 settembre
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Nel gioco dell’Oca della politica italiana il Pd e il Sel tornano quindi alla casella di partenza, in attesa di chiarimenti da entrambe le parti.
Lettino nipote aveva dichiarato il 23 agosto che entro il 29 ci sarebbe stato l’accordo ufficiale sulla legge elettorale. Il 29 agosto è stato regolarmente smentito dai fatti e incolpa la salma, ma in realtà i giochi sono saltati in casa democristiana a causa del dietro front di Vendola con Casini. La legge elettorale è calibrata esattamente sui numeri per poter vincere. Quando mancano gli accordi salta tutto.
Legge elettorale, melina Pdl
Berlusconi teme il voto anticipato.
LETTA SMENTITO. L'accordo che era stato annunciato da Enrico Letta del Partito democratico è ormai chiaro che sia stato poi smentito dai 'fatti'.
(Fonte . lettera 43)
Il problema più grosso del partito dei defunti in questo momento riguarda la Sicilia, dove l’accordo U dc-Pd viene bocciato con un crollo del Pd all’8 %. E non si tratta solo di Crocetta. Chi vuole il ricambio non può accettare l’accordo con il partito di don Totò Cuffaro, vasa, vasa.
Ha scritto così di Claudio Fava ieri il “destro” Travaglio nel suo editoriale “Buone notizie”:
E c’è motivo di sorridere persino dalle cronache politiche della Sicilia. Nella terra delle trattative Stato-mafia seguite a mezzo secolo di convivenze e connivenze, nella terra che 11 anni fa tributava 61 collegi su 61 al partito di Dell’Utri, nella terra governata a lungo da Totò Cuffaro con la sinistra e con la destra e ultimamente da Lombardo alleato di pezzi di sinistra e pezzi di destra, i sondaggi danno in vantaggio la faccia pulita di Claudio Fava. Non è un personaggio facile: la sua intransigenza, ereditata dal padre Pippo e scambiata da alcuni per alterigia, gli ha alienato fin dai tempi della Rete le simpatie di molti, che lo trovano troppo poco piacione e troppo allergico ai compromessi. Si diceva che Fava “non porta voti”, fin da quando perse di misura le comunali a Catania contro Enzo Bianco e poi, osteggiatissimo segretario regionale Ds, raccolse scarsi consensi elettorali. Ora però, visti i risultati degli (e i prezzi pagati dagli) “uomini del consenso”, c’è chi guarda a lui come a quello che è: una persona seria, colta e onesta, un giornalista-politico-sceneggiatore (I cento passi di Giordana era anche suo) che tre anni fa l’Economist elesse “eurodeputato dell’anno” come relatore della commissione d’inchiesta sulle “extraordinary rendition” (i sequestri illegali di presunti terroristi) della Cia, mentre il suo partito, i Ds, si voltava dall’altra parte, anzi salvava dall’arresto gli agenti Cia e copriva col segreto di Stato gli spioni italiani loro complici. Infatti Claudio passò a Sel. Ora, dopo lo sfacelo di destra e sinistra anche a livello locale, il candidato post-ideologico di due piccoli partiti come Sel e Idv potrebbe ripetere il successo riscosso a Palermo da un personaggio molto più mediatico di lui come Luca Orlando, ma anche a Napoli da De Magistris, a Milano da Pisapia, a Genova da Doria. Tantopiù che in Sicilia il Pd ha tradito il suo statuto designando il pittoresco Crocetta senza passare per le primarie, in nome dell’inciucio con l’Udc, che in Sicilia ha tuttoggi un solo capo: Totò.
Per il momento il Pd è nuovamente battuto dopo Milano, Napoli, Genova, Palermo. Solo che questa volta il crollo è clamoroso e se dovesse essere confermato gli accordi a livello nazionale non possono non saltare con tutte le conseguenze del caso.
Ovviamente anche in questo caso Peppone e i pepponi militanti di Reggio Emilia si guardano bene dal discuterne ufficialmente. Siamo tornati al clima di oltre cinquant'anni fa con la riedizione di Peppone e Don Camillo.
A Padova alla festa dei democrat è stata contestata la Bindi. A Bologna, nella festa poco democrat, spintoni alla Peppone e Don Camillo con i grillini. A Torino nuova contestazione. Due consiglieri M5S consegnano una lettera con 18 domande a Bersani ma vengono bloccati dal servizio d’ordine dei pepponi. Una delle domande riguardava i soldi versati dal Gruppo Ilva a Bersani. Figuriamoci se i pepponi potevano permettersi di divulgare la notizia.
La Pravdona continua a nascondere la notizia perché teme il peggio.
Clima surriscaldato quindi in casa democristiana.
Sull’altro fronte domina la disperazione, anche se molto ben celata come nello stile della casa. Non sanno che pesci prendere e si ritrovano sempre tra i piedi un segretario precario voluto dal duce, con la salma che sfoglia la margherita, mi candido, non mi candido,….. mi candido, non mi candido,….. mi candido, non mi candido,…..
Pierazzurro per il momento è in surplace la sua Dc che sembrava a portata di mano subisce uno stop a causa di Vendola e Peppone. Sembra la sora Camilla, che tutti la vogliono e nessuno la piglia.
Re: Come se ne viene fuori ?
in attesa di Pagnoncelli a Ballarò , i sondaggi che dicono?
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