IN MEZZO A TANTE LODI, UNA PECCA:
IL RICORDO DI ROSSANA ROSSANDA: "DOMENICA AVEVA VOTATO ALLE PRIMARIE PD? NON LO SAPEVO. SPERO NON ABBIA VOTATO RENZI...
3 mag 2017 15:36
"LA RIVOLUZIONE NON RUSSA"
- CECCARELLI IN GLORIA DI VALENTINO PARLATO: I SUOI TITOLI AL 'MANIFESTO' ERANO CAPOLAVORI DI SARCASMO E POESIA
- IL RICORDO DI ROSSANA ROSSANDA: "DOMENICA AVEVA VOTATO ALLE PRIMARIE PD? NON LO SAPEVO. SPERO NON ABBIA VOTATO RENZI… FARE PER TANTI ANNI UN GIORNALE SENZA UN EDITORE E UN PARTITO ALLE SPALLE, È STATA UN' IMPRESA PAZZESCA"
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Filippo Ceccarelli per la Repubblica
È già difficile guadagnarsi il titolo di Maestro, ma nel caso del giornalismo, entità quant' altre mai opinabile e relativa, è quasi impossibile. Sennonché, per qualche misteriosa legge dei simili si può pensare - forse! - che solo un giornalista tanto più appassionato quanto più scettico potrebbe meritarsi tale dignità. Ebbene: a sentirselo tributare, per prima cosa si sarebbe acceso una sigaretta, in silenzio. Fumava sempre, infatti, e non solo a getto continuo, ma con mite allegria qualche anno fa aveva addirittura pubblicato per i libri del Manifesto una guida, Segnali di fumo appunto, sui locali di Roma e Milano in cui era ancora consentito spipacchiare in libertà.
Quindi, aggiustandosi gli occhiali sulla fronte, da dietro la sua monumentale Olivetti 98, Valentino Parlato, Maestro di Giornalismo con doppia maiuscola, avrebbe probabilmente accolto l' onore con un sorriso dei suoi, tipici di chi considera un dovere morale non prendersi mai troppo sul serio.
Ieri se n' è andato, a 86 anni, fra gli ultimi della vecchia guardia del manifesto, "quotidiano comunista". Il 9 aprile scorso, nel suo estremo articolo, ancora una volta aveva scritto che bisognava sforzarsi di capire questo tempo: «Sarà un lungo lavoro e non mancheranno gli errori, ma alla fine un qualche Carlo Marx arriverà». Domenica aveva votato alle primarie del Pd.
Ma nel novero delle sue numerose virtù si fatica a collocare Parlato nell' ambito dell' impegno politico o dell' ideologia. O meglio. Più che come coscienza critica della sinistra o eretico del comunismo vale oggi ricordarlo per le sorprendenti argomentazioni, il dono magico della sintesi e le risorse del secco periodare, il ritmo e la chiarezza del linguaggio, la cultura mai esibita e il guizzo fantastico che spesso faceva dei titoli di prima pagina piccoli, grandi capolavori di spirito polemico, elegante sarcasmo e perfino poesia.
Si può aggiungere un' inguaribile curiosità, anche a livello umano, e quel tratto di garbato distacco dalle mode che riportano più alla persona che al mestiere. Ma in lui l' intreccio appariva in realtà indissolubile: nei commenti calibrati, nella memoria, nei ricordi dispensati dietro il tavolo di qualche convegno come nelle chiacchiere davanti al bancone del Caffè delle Antille, al di là di via Tomacelli, la prima e indimenticata sede del quotidiano.
Una «bella e lunga vita», parole sue, «una storia difficile e faticosa». Valentino era nato in Libia, da genitori siciliani, e laggiù, nell' adolescenza, aveva aperto lo sguardo, generosamente, sulla miseria e le ingiustizie del colonialismo. Fino a farsi comunista e a lottare per l' indipendenza di quella gente; fino a quando, appena ventenne, nel 1951, l' amministrazione britannica non lo aveva caricato a forza su una nave e rispedito in Italia. Qui, come pure succedeva, fu "adottato" dal Pci, debitamente istruito e indirizzato verso studi economici.
Per un po' lavorò in Puglia con Alfredo Reichlin; quindi a Botteghe Oscure, nella Sezione Economia, allora dominata dalla tonitruante figura di "Giorgione" Amendola, forse l' unico esponente del Pci, antenato della futura destra migliorista, capace di seminare dubbi e polemiche nel campo avversario.
Per sua natura indipendente, e anzi a suo modo incline agli ossimori, in tarda età si riconobbe nella definizione (datagli da Paolo Franchi) di "amendoliano di sinistra". Ma l' ardua collocazione non dispensò il giovane Valentino dall' aderire alla corrente o frazione di sinistra che, inizialmente con l' avallo di Ingrao, diede vita al Manifesto- rivista; né poi, nel 1969, si salvò dal conseguente repulisti che lo costrinse ad abbandonare la redazione di Rinascita - «anche se - ricordava in lieta serenità - mi diedero anche la liquidazione ».
Dopo di che, insieme con Pintor, Rossanda e Castellina, divenne uno dei motori del nuovo, austero, elegante, elitario e "solitario", come preferiva lui, quotidiano. Inutile dire che furono anni di straordinaria intensità, non solo professionale.
Idee, articoli, amori, rivalità professionali, scontri generazionali, infinite discussioni, ma pure inusitati, apparentemente, pellegrinaggi in redazione, da Jane Fonda a Ciriaco De Mita.
Molti in effetti apprezzavano la libertà di giudizio di quelle pagine quasi sempre estranee ai giochi del potere e alle scorribande della finanza, animate com' erano da una passione insieme infuocata e rarefatta. Ma c' è da dire che pochi altri giornalisti, per giunta tra quanti si ostinavano a dirsi comunisti, riuscirono come Parlato a ottenere la stima e in certi casi l' amicizia di figure assai diverse fra loro e comunque ben lontane dal mondo e dai precetti del Manifesto: Cesare Romiti, il cardinal Silvestrini, Guido Rossi, Enrico Cuccia, Cesare Geronzi, senza dimenticare il Colonnello Gheddafi che, da nativo libico, Valentino sempre volle considerare - e ha fatto in tempo ad aver ragione - una soluzione di necessaria stabilità.
Inutile anche ricordare che dalla seconda metà degli anni 80 la vita del Manifesto, modello pressoché unico di giornale senza padrone e/o padroni, cominciò a farsi difficile, ma che poi continuamente, disperatamente, tra una sottoscrizione e l' altra, entrò in gioco la sua stessa sopravvivenza.
E qui Valentino, per l' assenza di pregiudizi vissuto come una sorta di ambasciatore in partibus infidelium, dovette dare fondo ai suoi rapporti, da Grauso a Tanzi, da Craxi a Capitalia. In buona sostanza si trattava di prestiti, fideiussioni, finanziamenti e altre trovate finanziarie; quanto insomma era indispensabile per scongiurare la chiusura definitiva di un' esperienza che aveva occupato l' intera sua vita e per la quale, sempre con quella grazia intelligente e quell' onesta simpatia che tutti gli riconoscevano, non esitò a spendersi nelle forme più discrete e laboriose, senza che mai facesse capolino un qualche tornaconto, meno che meno di natura personale.
Perché tanti sono i modi di essere maestri, ma al dunque i migliori sono sempre quelli che pensano agli altri.
La camera ardente sarà allestita a Roma nella Protomoteca del Campidoglio alle ore 15. Mentre la cerimonia funebre si svolgerà alle 18