Dove va l'America?
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Re: Dove va l'America?
IL CARDINALE TRUMP, VISTO DA UN'ALTRA ANGOLAZIONE
Mondo
Donald Trump, l’uomo della Provvidenza. Una tragicommedia americana
di Massimo Cavallini | 22 gennaio 2017
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Massimo Cavallini
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“…La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. E Dio disse: ‘Sia la luce!’. E la luce fu…”
Non è dato sapere se proprio da qui, dal libro della Genesi, sia partito Donald J. Trump, 45esimo presidente degli Stati Uniti, per stilare il suo discorso inaugurale. Ma possibilissimo è che così sia. E va subito aggiunto che, se che così fosse, non si tratterebbe, per Trump, che d’un modestissimo upgrade in materia di megalomania narcisistica. Non fu lui, dopotutto, a definire senz’ombra d’ironia The Art of the Deal, la prima delle sue numerose e mitizzanti autobiografie, “il più grande libro mai scritto dopo la Bibbia”?
Quale che sia stata l’originaria ispirazione, un fatto è comunque certo. Come già aveva fatto a Cleveland nel suo “apocalittico” discorso d’accettazione della candidatura repubblicana – quello del “I alone can fix it”, io solo posso rimettere le cose a posto – Trump ha presentato se stesso al Paese come il più classico degli uomini della Provvidenza. Erano le tenebre e venne la luce. Tutto era, prima di lui, oscurità, dolore, paura e sangue. E tutto, con lui tornerà a rifulgere.
L’America che, con una eloquenza di grana assai grossa, Trump ha descritto nel suo discorso è, o meglio, era prima che lui calasse come un deus ex machina sulla scena, un Paese perduto; anzi, un paese mai nato, nel quale un popolo privato d’ogni voce da una élite avida e corrotta (quel mostruoso ma assai generico leviatano che, buono per tutti gli usi, viene chiamato establishment), va sopravvivendo, privato d’ogni sogno e d’ogni speranza, in panorami d’economica e umana devastazione. Fabbriche chiuse che s’ergono nel deserto come rugginose tombe, confini violati da masse di malintenzionati clandestini, città in preda alla violenza di gang e bande criminali, madri in lutto e figli morti. “Questa carneficina americana finisce qui – ha detto Trump in quello che molti hanno considerato l’arco di volta dell’intero discorso – e finisce adesso”.
Carneficina? Sebbene vi siano fette d’America dove davvero regna una notte non lontana da quella cupamente invocata dal neo-presidente – e sebbene davvero la democrazia americana sia (da tempo o, più probabilmente, da sempre) limitata e corrotta dallo strapotere di élite economiche e politiche – va da sé che tanto il “popolo” al quale Trump (il più impopolare neo-presidente della storia Usa) intende oggi riconsegnare il potere, quanto il paese in rovina che Trump s’appresta a redimere (come non si sa, ma si sa che sarà “qui e ora”), non sono che molto sbrindellate metafore, opache e assai mediocri invenzioni atte soltanto a far meglio rifulgere i bagliori d’una falsa redenzione.
Va da sé, anche, che del tutto menzognere o, nella più benevola delle ipotesi, fuorvianti, sono le millantate cause di tante macerie (secondo Trump l’America s’è svenata – senza nulla ricevere in cambio, anzi, ricevendo in cambio soltanto la pugnalata d’una concorrenza sleale – per difendere e far crescere alleati infidi ed ingrati). E va da sé, infine, che come tutti gli “uomini della Provvidenza” d’ogni colore e latitudine, il presidente Donald Trump coltiva con assoluta sfrontatezza, due essenziali e interconnesse virtù: la menzogna, per l’appunto, e il ridicolo, immancabili poli d’una tragicommedia che, nel mondo, già ha conosciuto e continua a conoscere orride rappresentazioni.
Per quanto sempre alfiere di più o meno immani catastrofi, ogni uomo della Provvidenza è infatti, proprio perché tale si dichiara, intrinsecamente ridicolo. E per la medesima ragione mente. Mente ed è condannato, per sostenere l’originale menzogna, a continuare a mentire. Di questa nefasta specie politica, Donald Trump è – come il suo discorso inaugurale e tutta la sua carriera politica dimostrano – una variante particolarmente prolifica. E particolarmente ridicola.
Basta, per questo, esaminare la composizione del governo da lui assemblato per “restituire il potere al popolo”: una combriccola di miliardari, generali e teorici della cosiddetta alt-right, la “destra alternativa” razzista e xenofoba, che riflette tutte le sfumature, non solo d’una parte, ma della parte peggiore dell’“establishment” di cui Trump pretende d’esser la nemesi.
E, non dovesse questo esser sufficiente, si potrebbero esaminare – a testimonianza di quanto la menzogna e il ridicolo siano elementi integranti e permanenti, quotidiani in pratica, del trumpismo – le rabbiose (e ridicolmente ovvie) menzogne con le quali il neo-presidente ha reagito ieri alle cronache che, in base a inequivocabili immagini, illustravano come la partecipazione popolare alla sua cerimonia inaugurale non fosse che una frazione di quella che aveva accompagnato Obama nel 2009.
Il punto è che, da venerdì scorso, queste menzogne e questo ridicolo siedono nell’Ufficio Ovale. Ma di questo – o di quella che, parafrasando Theodore Dreiser, possiamo chiamare “una tragicommedia americana” – scriverò più in dettaglio nel prossimo post.
di Massimo Cavallini | 22 gennaio 2017
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Donald Trump, l’uomo della Provvidenza. Una tragicommedia americana
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Non è dato sapere se proprio da qui, dal libro della Genesi, sia partito Donald J. Trump, 45esimo presidente degli Stati Uniti, per stilare il suo discorso inaugurale. Ma possibilissimo è che così sia. E va subito aggiunto che, se che così fosse, non si tratterebbe, per Trump, che d’un modestissimo upgrade in materia di megalomania narcisistica. Non fu lui, dopotutto, a definire senz’ombra d’ironia The Art of the Deal, la prima delle sue numerose e mitizzanti autobiografie, “il più grande libro mai scritto dopo la Bibbia”?
Quale che sia stata l’originaria ispirazione, un fatto è comunque certo. Come già aveva fatto a Cleveland nel suo “apocalittico” discorso d’accettazione della candidatura repubblicana – quello del “I alone can fix it”, io solo posso rimettere le cose a posto – Trump ha presentato se stesso al Paese come il più classico degli uomini della Provvidenza. Erano le tenebre e venne la luce. Tutto era, prima di lui, oscurità, dolore, paura e sangue. E tutto, con lui tornerà a rifulgere.
L’America che, con una eloquenza di grana assai grossa, Trump ha descritto nel suo discorso è, o meglio, era prima che lui calasse come un deus ex machina sulla scena, un Paese perduto; anzi, un paese mai nato, nel quale un popolo privato d’ogni voce da una élite avida e corrotta (quel mostruoso ma assai generico leviatano che, buono per tutti gli usi, viene chiamato establishment), va sopravvivendo, privato d’ogni sogno e d’ogni speranza, in panorami d’economica e umana devastazione. Fabbriche chiuse che s’ergono nel deserto come rugginose tombe, confini violati da masse di malintenzionati clandestini, città in preda alla violenza di gang e bande criminali, madri in lutto e figli morti. “Questa carneficina americana finisce qui – ha detto Trump in quello che molti hanno considerato l’arco di volta dell’intero discorso – e finisce adesso”.
Carneficina? Sebbene vi siano fette d’America dove davvero regna una notte non lontana da quella cupamente invocata dal neo-presidente – e sebbene davvero la democrazia americana sia (da tempo o, più probabilmente, da sempre) limitata e corrotta dallo strapotere di élite economiche e politiche – va da sé che tanto il “popolo” al quale Trump (il più impopolare neo-presidente della storia Usa) intende oggi riconsegnare il potere, quanto il paese in rovina che Trump s’appresta a redimere (come non si sa, ma si sa che sarà “qui e ora”), non sono che molto sbrindellate metafore, opache e assai mediocri invenzioni atte soltanto a far meglio rifulgere i bagliori d’una falsa redenzione.
Va da sé, anche, che del tutto menzognere o, nella più benevola delle ipotesi, fuorvianti, sono le millantate cause di tante macerie (secondo Trump l’America s’è svenata – senza nulla ricevere in cambio, anzi, ricevendo in cambio soltanto la pugnalata d’una concorrenza sleale – per difendere e far crescere alleati infidi ed ingrati). E va da sé, infine, che come tutti gli “uomini della Provvidenza” d’ogni colore e latitudine, il presidente Donald Trump coltiva con assoluta sfrontatezza, due essenziali e interconnesse virtù: la menzogna, per l’appunto, e il ridicolo, immancabili poli d’una tragicommedia che, nel mondo, già ha conosciuto e continua a conoscere orride rappresentazioni.
Per quanto sempre alfiere di più o meno immani catastrofi, ogni uomo della Provvidenza è infatti, proprio perché tale si dichiara, intrinsecamente ridicolo. E per la medesima ragione mente. Mente ed è condannato, per sostenere l’originale menzogna, a continuare a mentire. Di questa nefasta specie politica, Donald Trump è – come il suo discorso inaugurale e tutta la sua carriera politica dimostrano – una variante particolarmente prolifica. E particolarmente ridicola.
Basta, per questo, esaminare la composizione del governo da lui assemblato per “restituire il potere al popolo”: una combriccola di miliardari, generali e teorici della cosiddetta alt-right, la “destra alternativa” razzista e xenofoba, che riflette tutte le sfumature, non solo d’una parte, ma della parte peggiore dell’“establishment” di cui Trump pretende d’esser la nemesi.
E, non dovesse questo esser sufficiente, si potrebbero esaminare – a testimonianza di quanto la menzogna e il ridicolo siano elementi integranti e permanenti, quotidiani in pratica, del trumpismo – le rabbiose (e ridicolmente ovvie) menzogne con le quali il neo-presidente ha reagito ieri alle cronache che, in base a inequivocabili immagini, illustravano come la partecipazione popolare alla sua cerimonia inaugurale non fosse che una frazione di quella che aveva accompagnato Obama nel 2009.
Il punto è che, da venerdì scorso, queste menzogne e questo ridicolo siedono nell’Ufficio Ovale. Ma di questo – o di quella che, parafrasando Theodore Dreiser, possiamo chiamare “una tragicommedia americana” – scriverò più in dettaglio nel prossimo post.
di Massimo Cavallini | 22 gennaio 2017
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Re: Dove va l'America?
NOTIZIE DAI TRUMP OLINI DI CASA NOSTRA
Trump, Nyt: in arrivo nuova causa per pagamenti da governi stranieri
13/31
Tgcom24
Redazione Tgcom24
4 ore fa
CONDIVIDI
Nuova azione legale in vista contro il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Un gruppo di legali, fra i quali alcuni ex avvocati dell'etica della casa Bianca, starebbero per presentare una causa che accusa Trump di violare la Costituzione, consentendo ai suoi alberghi e alle sue altre attività di accettare pagamenti dai governi stranieri. Lo riporta il New York Times.
Trump, Nyt: in arrivo nuova causa per pagamenti da governi stranieri
13/31
Tgcom24
Redazione Tgcom24
4 ore fa
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Nuova azione legale in vista contro il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Un gruppo di legali, fra i quali alcuni ex avvocati dell'etica della casa Bianca, starebbero per presentare una causa che accusa Trump di violare la Costituzione, consentendo ai suoi alberghi e alle sue altre attività di accettare pagamenti dai governi stranieri. Lo riporta il New York Times.
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Re: Dove va l'America?
In arrivo anche lo smantellamento dell'Obama Care.Trump dà disposizione alle agenzie federali di agire liberamente.Più assicurazioni per tutti e chi non può permettersele si arrangi.Poi la possibilità per le assicurazioni di non stipularle se ci sono patologie costose frequenti e gravi.Lo sport preferito dai repubblicani è colpire le fasce sociali più deboli
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Re: Dove va l'America?
POTEVA SEMBRARE L'INIZIO DI UNA RIVOLUZIONE AMERICANA, OPPURE L'ENNESIMO TRUCCO BEN CONGEGNATO DEI POTERI FORTI CHE CONTROLLANO GLI USA A STELLE E STRISCIE.
DAGOSPIA INVECE CI DA QUESTA VERSIONE:
24 gen 2017 20:17
SOLO I PIU' RICCHI SOPRAVVIVERANNO: I MILIARDARI DELLA SILICON VALLEY SI PREPARANO ALL’APOCALISSE
- SEMBRA UNA BUFALA MA NON LO È: I REUCCI DELLA TECNOLOGIA COSTRUISCONO BUNKER E RIFUGI PER QUANDO IL ‘POPOLO’ GLI SI RIVOLTERÀ CONTRO PER AVER DISTRUTTO TROPPI POSTI DI LAVORO
- REID HOFFMAN (LINKEDIN) SI È FATTO L’OPERAZIONE LASER AGLI OCCHI PERCHÉ TEME CHE IN QUESTO FUTURO TROVARE LENTI E OCCHIALI SARÀ DIFFICILE, E LA VISIONE PERFETTA SARÀ NECESSARIA PER SALVARSI…
April Glaser per “Recode”
Uno dei passatempi più strani dell’élite della Silicon Valley ha a che fare con l’ossessione
a prepararsi per la fine del mondo. Chi aderisce viene chiamato generalmente ‘prepper’, ed è proprio questo gruppo al centro di un lungo articolo del ‘New Yorker’ intitolato ‘Survival of the Richest’, dove Evan Osnos spiega perché i miliardari del tech sono particolarmente attratti da questa idea.
Secondo Reid Hoffman, co-fondatore di ‘LinkedIn’ e ospite fisso al ‘Burning Man’, il movimento è alimentato dalla paura che l’intelligenza artificiale un giorno sostituisca così tanti lavori da portare gli uomini a ribellarsi contro la tecnologia. Lui ci crede, si è fatto un’operazione laser agli occhi perché, nel futuro che teme, trovare lenti e occhiali sarà complicato. La visione perfetta sarà necessaria.
Steve Huffman (CEO di Reddit), Sam Altman (Y Combinator), Peter Thiel e molti altri sono tutti ‘prepper’. Oltre il 50% dei miliardari della tecnologia hanno un rifugio verso cui scappare. L’istinto di fuggire, nascondersi e sopravvivere, è solo un modo per affrontare il futuro di caos totale, generato dall’estrema disuguaglianza. E la Silicon Valley è il luogo di maggior concentrazione di ricchezza in America, dopo il Connecticut.
Dice Max Levchin, fondatore di ‘PayPal’: «Una delle cose che disprezzo della Silicon Valley è questo ritenersi giganti superiori che muovono i fili e, anche se falliscono meritano di salvarsi». Questi guru hanno gruppi Facebook privati dove si scambiano consigli su bunker, maschere antigas e luoghi sicuri dagli effetti dei cambiamenti climatici.
Marvin Liao, ex di Yahoo ora a capo di 500 startup, ha scorte di acqua e cibo e, invece delle armi da fuoco, ha scelto arco e frecce, così nessuno può rubarle e usarle contro la sua famiglia. L’apocalisse non contraddice la tecnologia, che anzi implica la capacità di immaginare futuri diversi, utopia e distopia, oscillando fra ottimismo e terrore.
Anche se gli eventi sono remoti, la gente del tech prevede matematicamente i rischi e intanto si organizza. Metà di loro hanno fatto una assicurazione in caso di Apocalisse. Molti manager della finanza stanno comprando fattorie e terreni in posti che considerano sicuri, tipo la Nuova Zelanda.
Nei pressi di Wichita, Kansas, c’è poi il ‘Survival Condo Project’, ex deposito di missili convertito in complesso di appartamenti lussuosi per gente in attesa dello scontro finale. E’ pattugliato da guardie armate, ideato e gestito da Larry Hall, anche lui mago del computer. Delle 12 unità, ognuna del costo di tre milioni di dollari, non ne è rimasta neppure una invenduta. Gli appartamenti sono superaccessoriati, il condominio ha anche la piscina e una zona ospedaliera, con sala odontoiatrica e chirurgica. E’ tutto pronto per la vita sottoterra.
DAGOSPIA INVECE CI DA QUESTA VERSIONE:
24 gen 2017 20:17
SOLO I PIU' RICCHI SOPRAVVIVERANNO: I MILIARDARI DELLA SILICON VALLEY SI PREPARANO ALL’APOCALISSE
- SEMBRA UNA BUFALA MA NON LO È: I REUCCI DELLA TECNOLOGIA COSTRUISCONO BUNKER E RIFUGI PER QUANDO IL ‘POPOLO’ GLI SI RIVOLTERÀ CONTRO PER AVER DISTRUTTO TROPPI POSTI DI LAVORO
- REID HOFFMAN (LINKEDIN) SI È FATTO L’OPERAZIONE LASER AGLI OCCHI PERCHÉ TEME CHE IN QUESTO FUTURO TROVARE LENTI E OCCHIALI SARÀ DIFFICILE, E LA VISIONE PERFETTA SARÀ NECESSARIA PER SALVARSI…
April Glaser per “Recode”
Uno dei passatempi più strani dell’élite della Silicon Valley ha a che fare con l’ossessione
a prepararsi per la fine del mondo. Chi aderisce viene chiamato generalmente ‘prepper’, ed è proprio questo gruppo al centro di un lungo articolo del ‘New Yorker’ intitolato ‘Survival of the Richest’, dove Evan Osnos spiega perché i miliardari del tech sono particolarmente attratti da questa idea.
Secondo Reid Hoffman, co-fondatore di ‘LinkedIn’ e ospite fisso al ‘Burning Man’, il movimento è alimentato dalla paura che l’intelligenza artificiale un giorno sostituisca così tanti lavori da portare gli uomini a ribellarsi contro la tecnologia. Lui ci crede, si è fatto un’operazione laser agli occhi perché, nel futuro che teme, trovare lenti e occhiali sarà complicato. La visione perfetta sarà necessaria.
Steve Huffman (CEO di Reddit), Sam Altman (Y Combinator), Peter Thiel e molti altri sono tutti ‘prepper’. Oltre il 50% dei miliardari della tecnologia hanno un rifugio verso cui scappare. L’istinto di fuggire, nascondersi e sopravvivere, è solo un modo per affrontare il futuro di caos totale, generato dall’estrema disuguaglianza. E la Silicon Valley è il luogo di maggior concentrazione di ricchezza in America, dopo il Connecticut.
Dice Max Levchin, fondatore di ‘PayPal’: «Una delle cose che disprezzo della Silicon Valley è questo ritenersi giganti superiori che muovono i fili e, anche se falliscono meritano di salvarsi». Questi guru hanno gruppi Facebook privati dove si scambiano consigli su bunker, maschere antigas e luoghi sicuri dagli effetti dei cambiamenti climatici.
Marvin Liao, ex di Yahoo ora a capo di 500 startup, ha scorte di acqua e cibo e, invece delle armi da fuoco, ha scelto arco e frecce, così nessuno può rubarle e usarle contro la sua famiglia. L’apocalisse non contraddice la tecnologia, che anzi implica la capacità di immaginare futuri diversi, utopia e distopia, oscillando fra ottimismo e terrore.
Anche se gli eventi sono remoti, la gente del tech prevede matematicamente i rischi e intanto si organizza. Metà di loro hanno fatto una assicurazione in caso di Apocalisse. Molti manager della finanza stanno comprando fattorie e terreni in posti che considerano sicuri, tipo la Nuova Zelanda.
Nei pressi di Wichita, Kansas, c’è poi il ‘Survival Condo Project’, ex deposito di missili convertito in complesso di appartamenti lussuosi per gente in attesa dello scontro finale. E’ pattugliato da guardie armate, ideato e gestito da Larry Hall, anche lui mago del computer. Delle 12 unità, ognuna del costo di tre milioni di dollari, non ne è rimasta neppure una invenduta. Gli appartamenti sono superaccessoriati, il condominio ha anche la piscina e una zona ospedaliera, con sala odontoiatrica e chirurgica. E’ tutto pronto per la vita sottoterra.
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Re: Dove va l'America?
I NON TRUMP OLINI TRICOLORI
Usa, Trump annuncia il via alla costruzione del Muro. Stop all'ingresso di rifugiati
1/33
La Repubblica
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
10 ore fa
CONDIVIDI
INSTANCABILE, Donald Trump continua a macinare decisioni che realizzano le sue promesse elettorali. E' la volta del Muro col Messico. Al terzo giorno di governo, arriva anche la sua promessa più simbolica e controversa, quella fortificazione di frontiera che fu il segno distintivo della sua campagna. E' annunciato per questo mercoledì l'ordine esecutivo - l'equivalente di un decreto presidenziale - in cui "orienterà fondi pubblici federali per l'edificazione di un muro al confine meridionale". Nella stessa occasione firmerà anche una direttiva per bloccare l'arrivo di profughi dalla Siria, oltre che da altre "nazioni esposte al terrorismo".
Prende corpo così la sua proclamata intenzione di svoltare rispetto a Barack Obama anche sul fronte dell'immigrazione: da un lato il giro di vite contro l'immigrazione "economica" che viene dal Sud, d'altro lato si tratta di sigillare i confini rispetto all'afflusso dai paesi islamici. E' quest'ultima la parte più controversa, perché in diverse occasioni durante la campagna elettorale Trump evocò degli "esami di religione" all'ingresso, che sarebbero contrari ai principi costituzionali. Lui stesso, allargando l'area di rischio a tutti i paesi "bersagli di attentati terroristici", più volte auspicò anche delle restrizioni sugli ingressi dall'Europa, che potrebbero cancellare il sistema Esta di visti online concessi anche ai turisti italiani. Sapremo fra poche ore se anche questa parte delle sue proposte sarà inclusa nei decreti anti-immigrati. In quanto al Muro, resta invece da verificare quanto sarà ampio: in realtà una barriera fortificata esiste già, al confine californiano tra San Diego e Tijuana, e fu costruita nientemeno che da Bill Clinton. Bisognerà vedere se Trump si limiterà ad un'operazione simbolica che allunghi la muraglia già esistente. Da verificare anche se riuscirà a "farlo pagare ai messicani", come promesso nei comizi elettorali.
Di certo il ritmo con cui legifera il neo-presidente è sostenuto. Venerdì sera, poche ore dopo la cerimonia dell'Inauguration Day, aveva firmato un primo decreto per intaccare la riforma sanitaria Obamacare. Poi lunedì mattina ha cancellato il trattato di libero scambio con l'Asia-Pacifico (Tpp). Martedì è stata la volta dell'ambiente, con la decisione di autorizzare gli oleodotti Keystone XL e quello del Dakota, rovesciando le ultime decisioni di Obama. L'annuncio sul Muro arriva al termine di una giornata densa di polemiche. Trump infatti martedì pomeriggio nel corso di un incontro coi parlamentari ha ribadito la sua accusa - palesemente falsa - su "tre o cinque milioni di immigrati clandestini che hanno votato per Hillary". Le smentite dei media lo lasciano indifferente. Così come le critiche che vengono dal suo stesso partito: il senatore repubblicano Lindsay Graham è stato uno dei più autorevoli, nell'accusare il presidente di screditare la democrazia americana con la menzogna sui brogli.
Usa, Trump annuncia il via alla costruzione del Muro. Stop all'ingresso di rifugiati
1/33
La Repubblica
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
10 ore fa
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INSTANCABILE, Donald Trump continua a macinare decisioni che realizzano le sue promesse elettorali. E' la volta del Muro col Messico. Al terzo giorno di governo, arriva anche la sua promessa più simbolica e controversa, quella fortificazione di frontiera che fu il segno distintivo della sua campagna. E' annunciato per questo mercoledì l'ordine esecutivo - l'equivalente di un decreto presidenziale - in cui "orienterà fondi pubblici federali per l'edificazione di un muro al confine meridionale". Nella stessa occasione firmerà anche una direttiva per bloccare l'arrivo di profughi dalla Siria, oltre che da altre "nazioni esposte al terrorismo".
Prende corpo così la sua proclamata intenzione di svoltare rispetto a Barack Obama anche sul fronte dell'immigrazione: da un lato il giro di vite contro l'immigrazione "economica" che viene dal Sud, d'altro lato si tratta di sigillare i confini rispetto all'afflusso dai paesi islamici. E' quest'ultima la parte più controversa, perché in diverse occasioni durante la campagna elettorale Trump evocò degli "esami di religione" all'ingresso, che sarebbero contrari ai principi costituzionali. Lui stesso, allargando l'area di rischio a tutti i paesi "bersagli di attentati terroristici", più volte auspicò anche delle restrizioni sugli ingressi dall'Europa, che potrebbero cancellare il sistema Esta di visti online concessi anche ai turisti italiani. Sapremo fra poche ore se anche questa parte delle sue proposte sarà inclusa nei decreti anti-immigrati. In quanto al Muro, resta invece da verificare quanto sarà ampio: in realtà una barriera fortificata esiste già, al confine californiano tra San Diego e Tijuana, e fu costruita nientemeno che da Bill Clinton. Bisognerà vedere se Trump si limiterà ad un'operazione simbolica che allunghi la muraglia già esistente. Da verificare anche se riuscirà a "farlo pagare ai messicani", come promesso nei comizi elettorali.
Di certo il ritmo con cui legifera il neo-presidente è sostenuto. Venerdì sera, poche ore dopo la cerimonia dell'Inauguration Day, aveva firmato un primo decreto per intaccare la riforma sanitaria Obamacare. Poi lunedì mattina ha cancellato il trattato di libero scambio con l'Asia-Pacifico (Tpp). Martedì è stata la volta dell'ambiente, con la decisione di autorizzare gli oleodotti Keystone XL e quello del Dakota, rovesciando le ultime decisioni di Obama. L'annuncio sul Muro arriva al termine di una giornata densa di polemiche. Trump infatti martedì pomeriggio nel corso di un incontro coi parlamentari ha ribadito la sua accusa - palesemente falsa - su "tre o cinque milioni di immigrati clandestini che hanno votato per Hillary". Le smentite dei media lo lasciano indifferente. Così come le critiche che vengono dal suo stesso partito: il senatore repubblicano Lindsay Graham è stato uno dei più autorevoli, nell'accusare il presidente di screditare la democrazia americana con la menzogna sui brogli.
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Re: Dove va l'America?
IL PROFETA AMMERRECANO DEL BUNGA-BUNGA
UN'ALTRO GIORNO DIFFICILE
26 gen 2017 19:52
ANOTHER BRICK IN THE WALL
- IL PRESIDENTE MESSICANO ENRIQUE COSTRETTO AD ANNULLARE L’INCONTRO CON TRUMP, DOPO CHE ‘THE DONALD’ AVEVA TWITTATO: ‘SE NON VOLETE PAGARE VOI, ALLORA CANCELLIAMO L’INCONTRO’
- PENA NIETO È STATO SOMMERSO DI CRITICHE IN PATRIA PER IL SUO ESSERE DISPOSTO A TRATTARE CON TRUMP
Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) - Sale la tensione tra il Messico e gli Stati Uniti. Il presidente messicano Enrique Pena Nieto ha annunciato di avere cancellato il suo viaggio in Usa. Il leader messicano avrebbe dovuto incontrare martedi' prossimo il presidente Usa Donald Trump, che ieri ha firmato un ordine esecutivo per la costruzione 'immediata' di un muro lungo il confine tra le due nazioni.
Questa mattina era stato l'inquilino della Casa Bianca a minacciare in un tweet il meeting insistendo che Citta' del Messico deve pagare per la 'grande barriera fisica'. Il testo del cinguettio era il seguente: 'Gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale di 60 miliardi di dollari con il Messico. Fin dall'inizio, il Nafta e' stato un accordo a senso unico, con un numero incredibile di aziende e posti di lavoro persi.
Se il Messico non vuole pagare per il tanto necessario muro, sarebbe meglio allora cancellare l'imminente incontro'. Gia' ieri Pena Nieto aveva ribadito di non credere nel muro, per il quale non avrebbe versato alcun peso. Su di lui era montata la pressione affinche' non si recasse in Usa.
UN'ALTRO GIORNO DIFFICILE
26 gen 2017 19:52
ANOTHER BRICK IN THE WALL
- IL PRESIDENTE MESSICANO ENRIQUE COSTRETTO AD ANNULLARE L’INCONTRO CON TRUMP, DOPO CHE ‘THE DONALD’ AVEVA TWITTATO: ‘SE NON VOLETE PAGARE VOI, ALLORA CANCELLIAMO L’INCONTRO’
- PENA NIETO È STATO SOMMERSO DI CRITICHE IN PATRIA PER IL SUO ESSERE DISPOSTO A TRATTARE CON TRUMP
Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) - Sale la tensione tra il Messico e gli Stati Uniti. Il presidente messicano Enrique Pena Nieto ha annunciato di avere cancellato il suo viaggio in Usa. Il leader messicano avrebbe dovuto incontrare martedi' prossimo il presidente Usa Donald Trump, che ieri ha firmato un ordine esecutivo per la costruzione 'immediata' di un muro lungo il confine tra le due nazioni.
Questa mattina era stato l'inquilino della Casa Bianca a minacciare in un tweet il meeting insistendo che Citta' del Messico deve pagare per la 'grande barriera fisica'. Il testo del cinguettio era il seguente: 'Gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale di 60 miliardi di dollari con il Messico. Fin dall'inizio, il Nafta e' stato un accordo a senso unico, con un numero incredibile di aziende e posti di lavoro persi.
Se il Messico non vuole pagare per il tanto necessario muro, sarebbe meglio allora cancellare l'imminente incontro'. Gia' ieri Pena Nieto aveva ribadito di non credere nel muro, per il quale non avrebbe versato alcun peso. Su di lui era montata la pressione affinche' non si recasse in Usa.
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Re: Dove va l'America?
TRUMPATE DOC—COLLEZIONE INVERNO/PRIMAVERA 2017
Muro Usa-Messico, il presidente Peña Nieto annulla incontro con Trump: ‘Pretendiamo rispetto. E non pagheremo’
di F. Q. | 26 gennaio 2017
Mondo
Prima crisi diplomatica per il nuovo inquilino della Casa Bianca. La decisione è arrivata dopo che il nuovo leader della Casa Bianca ha anticipato la possibilità di cancellare il meeting se la controparte avesse rifiutato di farsi carico di una parte delle spese per realizzare la barriera: almeno 12 miliardi di dollari. In più il neo presidente ha firmato l'ordine esecutivo proprio mentre si trovavano a Washington due ministri messicani
di F. Q. | 26 gennaio 2017
26
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Più informazioni su: Donald Trump, Messico, Usa
Prima crisi diplomatica per Donald Trump. Non sono passate neanche 24 ore dalla firma dell’ordine esecutivo che impone alle agenzie federali di cominciare a costruire un muro al confine con il Messico e tra il nuovo inquilino della Casa Bianca il presidente Enrique Peña Nieto è rottura. L’omologo messicano di Trump ha annullato la visita a Washington prevista per martedì prossimo, quando avrebbe dovuto partire anche la rinegoziazione dell’accordo commerciale nord americano (Nafta) che il presidente Usa considera “il peggiore mai firmato da questo Paese”. Peña Nieto di fatto ha anticipato Trump, che lo aveva ammonito a non venire “se il Messico non è disposto a pagare per il muro di cui c’è disperato bisogno“.
Dietro la decisione c’è non tanto e non solo la recinzione anti immigrati, quanto la questione di chi ne sosterrà i costi, stimati in almeno 12 miliardi di dollari: come è noto il tycoon in campagna elettorale ha promesso che sarà a carico del Paese confinante. E l’ha ribadito ieri: il suo portavoce ha fatto sapere che per coprire la spesa è allo studio una tassa del 20% sulle importazioni dal Messico. “Pretendiamo il rispetto dovuto come nazione sovrana, e comunque non saremo noi a pagare“, ha risposto a muso duro Peña Nieto durante un discorso in tv. “Il Messico non crede nei muri e non pagherà alcun muro”. Poi, via Twitter, l’annuncio: “Questa mattina ho informato la Casa Bianca che non parteciperò all’incontro fissato il prossimo martedì con Trump” il cinguettio del presidente del messicano.
A rendere agli occhi dei messicani ancora più offensivo il comportamento del presidente americano è stato il fatto che gli ordini esecutivi sulla costruzione del muro siano stati firmati proprio mentre si trovavano a Washington i ministri degli Esteri e dell’Economia, Luis Videgaray e Ildefonso Guajardo, per preparare appunto l’incontro tra i due presidenti. Trump ha sostenuto che la cancellazione è stata “concordata“, perché l’incontro “sarebbe stato sterile” e non avrà luogo fino a quando il Messico non tratterà gli Usa “con rispetto”.
Ma la traduzione in ordine esecutivo della promessa elettorale ha già avuto conseguenze anche sul fronte interno: il capo della polizia di frontiera Usa Mark Morgan è stato costretto a lasciare. Secondo l’Ap ha riferito di aver ricevuto la richiesta di dimettersi e di aver preferito lasciare piuttosto che opporsi. Morgan era stato nominato alla guida dell’agenzia, che ha all’attivo 20mila agenti, lo scorso giugno. Intanto lo speaker della Camera Paul Ryan ha quantificato in 12-15 miliardi di dollari il costo del muro, prevedendo che il Congresso approvi i fondi entro fine settembre. “All’inizio pagheremo noi, anticiperemo noi gli stanziamenti”, ha spiegato in un’intervista televisiva. Poi ci saranno “diversi modi per spingere il Messico a contribuire” alle spese.
E la difficoltà di ottenere i finanziamenti, o a maggior ragione di ipotetici rimborsi da un Paese come il Messico, non è la sola che l’amministrazione di Trump dovrà affrontare per passare dalle parole ai fatti. L’amministrazione non solo dovrà affrontare i ricorsi delle organizzazioni dei diritti civili ma anche quelle dei privati, agricoltori e allevatori, che possiedono terreni lungo il confine di 2mila miglia, solo un terzo delle quali sono federali o di proprietà di tribù. Già per la costruzione dell’attuale barriera, che copre 650 miglia ed è costata in tutto 7 miliardi di dollari, quasi 5 milioni a miglio, vi erano state dispute con i proprietari, specialmente in Texas, cosa che ha ritardato la realizzazione della recinzione votata nel 2006 dal Congresso.
Muro Usa-Messico, il presidente Peña Nieto annulla incontro con Trump: ‘Pretendiamo rispetto. E non pagheremo’
di F. Q. | 26 gennaio 2017
Mondo
Prima crisi diplomatica per il nuovo inquilino della Casa Bianca. La decisione è arrivata dopo che il nuovo leader della Casa Bianca ha anticipato la possibilità di cancellare il meeting se la controparte avesse rifiutato di farsi carico di una parte delle spese per realizzare la barriera: almeno 12 miliardi di dollari. In più il neo presidente ha firmato l'ordine esecutivo proprio mentre si trovavano a Washington due ministri messicani
di F. Q. | 26 gennaio 2017
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Prima crisi diplomatica per Donald Trump. Non sono passate neanche 24 ore dalla firma dell’ordine esecutivo che impone alle agenzie federali di cominciare a costruire un muro al confine con il Messico e tra il nuovo inquilino della Casa Bianca il presidente Enrique Peña Nieto è rottura. L’omologo messicano di Trump ha annullato la visita a Washington prevista per martedì prossimo, quando avrebbe dovuto partire anche la rinegoziazione dell’accordo commerciale nord americano (Nafta) che il presidente Usa considera “il peggiore mai firmato da questo Paese”. Peña Nieto di fatto ha anticipato Trump, che lo aveva ammonito a non venire “se il Messico non è disposto a pagare per il muro di cui c’è disperato bisogno“.
Dietro la decisione c’è non tanto e non solo la recinzione anti immigrati, quanto la questione di chi ne sosterrà i costi, stimati in almeno 12 miliardi di dollari: come è noto il tycoon in campagna elettorale ha promesso che sarà a carico del Paese confinante. E l’ha ribadito ieri: il suo portavoce ha fatto sapere che per coprire la spesa è allo studio una tassa del 20% sulle importazioni dal Messico. “Pretendiamo il rispetto dovuto come nazione sovrana, e comunque non saremo noi a pagare“, ha risposto a muso duro Peña Nieto durante un discorso in tv. “Il Messico non crede nei muri e non pagherà alcun muro”. Poi, via Twitter, l’annuncio: “Questa mattina ho informato la Casa Bianca che non parteciperò all’incontro fissato il prossimo martedì con Trump” il cinguettio del presidente del messicano.
A rendere agli occhi dei messicani ancora più offensivo il comportamento del presidente americano è stato il fatto che gli ordini esecutivi sulla costruzione del muro siano stati firmati proprio mentre si trovavano a Washington i ministri degli Esteri e dell’Economia, Luis Videgaray e Ildefonso Guajardo, per preparare appunto l’incontro tra i due presidenti. Trump ha sostenuto che la cancellazione è stata “concordata“, perché l’incontro “sarebbe stato sterile” e non avrà luogo fino a quando il Messico non tratterà gli Usa “con rispetto”.
Ma la traduzione in ordine esecutivo della promessa elettorale ha già avuto conseguenze anche sul fronte interno: il capo della polizia di frontiera Usa Mark Morgan è stato costretto a lasciare. Secondo l’Ap ha riferito di aver ricevuto la richiesta di dimettersi e di aver preferito lasciare piuttosto che opporsi. Morgan era stato nominato alla guida dell’agenzia, che ha all’attivo 20mila agenti, lo scorso giugno. Intanto lo speaker della Camera Paul Ryan ha quantificato in 12-15 miliardi di dollari il costo del muro, prevedendo che il Congresso approvi i fondi entro fine settembre. “All’inizio pagheremo noi, anticiperemo noi gli stanziamenti”, ha spiegato in un’intervista televisiva. Poi ci saranno “diversi modi per spingere il Messico a contribuire” alle spese.
E la difficoltà di ottenere i finanziamenti, o a maggior ragione di ipotetici rimborsi da un Paese come il Messico, non è la sola che l’amministrazione di Trump dovrà affrontare per passare dalle parole ai fatti. L’amministrazione non solo dovrà affrontare i ricorsi delle organizzazioni dei diritti civili ma anche quelle dei privati, agricoltori e allevatori, che possiedono terreni lungo il confine di 2mila miglia, solo un terzo delle quali sono federali o di proprietà di tribù. Già per la costruzione dell’attuale barriera, che copre 650 miglia ed è costata in tutto 7 miliardi di dollari, quasi 5 milioni a miglio, vi erano state dispute con i proprietari, specialmente in Texas, cosa che ha ritardato la realizzazione della recinzione votata nel 2006 dal Congresso.
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Re: Dove va l'America?
A VEDERE TROPPI FILM DI COW BOYS DA PICCOLI FA MALE.
A QUANDO L'INIZIO DELLA TERZA GUERRA MONDIALE ??????
Usa, Trump chiude le frontiere ai musulmani
Negli aeroporti è caos: “Centinaia di arresti”
Vietato ingresso a migranti e cittadini di 7 Paesi islamici. Iran risponde: “Stop all’arrivo degli americani”
Ong: “Fermate persone con visti validi e status di rifugiati”. Misure simili neanche dopo l’11 settembre
Mondo
Trump firma altri due ordini esecutivi e sospende per 120 giorni il programma di ammissione di tutti i rifugiati varato da Obama. Sospeso a tempo indeterminato l’ingresso dei rifugiati provenienti dalla Siria perché è “dannoso per gli interessi del Paese”, ha scritto il presidente. Stop per tre mesi anche all’ingresso dei cittadini di sette paesi musulmani: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen (leggi). Esaminato caso per caso anche chi, provenendo da questi Stati, ha la “green card”. Teheran risponde: “Politiche ostili del governo Usa” (leggi). Arrivano i primi contraccolpi, con due iracheni fermati allo scalo di New York. E l’Austria annulla i visti per gli iraniani diretti negli Stati Uniti, inclusi ebrei e cristiani
di Roberto Festa
A QUANDO L'INIZIO DELLA TERZA GUERRA MONDIALE ??????
Usa, Trump chiude le frontiere ai musulmani
Negli aeroporti è caos: “Centinaia di arresti”
Vietato ingresso a migranti e cittadini di 7 Paesi islamici. Iran risponde: “Stop all’arrivo degli americani”
Ong: “Fermate persone con visti validi e status di rifugiati”. Misure simili neanche dopo l’11 settembre
Mondo
Trump firma altri due ordini esecutivi e sospende per 120 giorni il programma di ammissione di tutti i rifugiati varato da Obama. Sospeso a tempo indeterminato l’ingresso dei rifugiati provenienti dalla Siria perché è “dannoso per gli interessi del Paese”, ha scritto il presidente. Stop per tre mesi anche all’ingresso dei cittadini di sette paesi musulmani: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen (leggi). Esaminato caso per caso anche chi, provenendo da questi Stati, ha la “green card”. Teheran risponde: “Politiche ostili del governo Usa” (leggi). Arrivano i primi contraccolpi, con due iracheni fermati allo scalo di New York. E l’Austria annulla i visti per gli iraniani diretti negli Stati Uniti, inclusi ebrei e cristiani
di Roberto Festa
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Re: Dove va l'America?
Usa, porte chiuse agli islamici L'Iran: "Da noi niente americani"
Definendo "ingiurioso" l’ordine esecutivo firmato ieri da Donald Trump, l'Iran risponde alle decisioni di Washington
Franco Grilli - Sab, 28/01/2017 - 18:01
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Definendo "ingiurioso" l’ordine esecutivo firmato ieri da Donald Trump che congela l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini di sette Paesi a maggioranza islamica e a rischio di terrorismo, tra cui l’ Iran, le autorità della Repubblica Islamica hanno reagito avvertendo che risponderanno a tono, e che dunque vieteranno l’accesso sul proprio territorio nazionale agli americani.
Il Presidente dell'Iran Hassan Rouhani in visita al Colosseo
"La Repubblica Islamica dell’ Iran ha deciso di replicare nello stesso modo, dopo l’oltraggiosa decisione degli Stati Uniti riguardante i nostri connazionali", recita un comunicato ufficiale diffuso dal ministero degli Esteri di Teheran e ripreso dalla televisione di Stato. Il provvedimento, si precisa, rimarrà in vigore finchè le restrizioni previste dall’ordine esecutivo di Trump non saranno state revocate.
Intanto è già attivo nei fatti il divieto di ingresso negli stati Uniti deciso dal presidente per quanti provengano da 7 paesi a maggioranza islamica: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. A Il Cairo a una famiglia di iracheni è stato impedito di salire a bordo di un volo EgyptAir per New York. A marito moglie e due figli, già in possesso del visto, sono stati informati che le nuove regole non potevano consentire l’imbarco. Situazione analoga ai banchi delle compagnie internazionali a Teheran, dove la carta d’imbarco non viene rilasciata ai cittadini iraniani da compagnie come Etihad Airways, Emirates e Turkish Airlines. Da parte sua la Iran Aviation Organisation ha affermato di non aver rilasciato nuove direttive in merito alle compagnie del paese, che comunque non hanno voli diretti con gli Usa. Negli Stati Uniti vivono almeno un milione di cittadini di origine iraniana, che rischiano di non potere rivedere presto i loro familiari. Una delle più note attrici iraniane, Taraneh Alidoosti, nominata per gli Oscar per il film "The Salesman", ha parlato di "bando razzista" da parte di Trump e sta valutando il boicottaggio della cerimonia degli Academy Awards a Los Angeles
Definendo "ingiurioso" l’ordine esecutivo firmato ieri da Donald Trump, l'Iran risponde alle decisioni di Washington
Franco Grilli - Sab, 28/01/2017 - 18:01
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Definendo "ingiurioso" l’ordine esecutivo firmato ieri da Donald Trump che congela l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini di sette Paesi a maggioranza islamica e a rischio di terrorismo, tra cui l’ Iran, le autorità della Repubblica Islamica hanno reagito avvertendo che risponderanno a tono, e che dunque vieteranno l’accesso sul proprio territorio nazionale agli americani.
Il Presidente dell'Iran Hassan Rouhani in visita al Colosseo
"La Repubblica Islamica dell’ Iran ha deciso di replicare nello stesso modo, dopo l’oltraggiosa decisione degli Stati Uniti riguardante i nostri connazionali", recita un comunicato ufficiale diffuso dal ministero degli Esteri di Teheran e ripreso dalla televisione di Stato. Il provvedimento, si precisa, rimarrà in vigore finchè le restrizioni previste dall’ordine esecutivo di Trump non saranno state revocate.
Intanto è già attivo nei fatti il divieto di ingresso negli stati Uniti deciso dal presidente per quanti provengano da 7 paesi a maggioranza islamica: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. A Il Cairo a una famiglia di iracheni è stato impedito di salire a bordo di un volo EgyptAir per New York. A marito moglie e due figli, già in possesso del visto, sono stati informati che le nuove regole non potevano consentire l’imbarco. Situazione analoga ai banchi delle compagnie internazionali a Teheran, dove la carta d’imbarco non viene rilasciata ai cittadini iraniani da compagnie come Etihad Airways, Emirates e Turkish Airlines. Da parte sua la Iran Aviation Organisation ha affermato di non aver rilasciato nuove direttive in merito alle compagnie del paese, che comunque non hanno voli diretti con gli Usa. Negli Stati Uniti vivono almeno un milione di cittadini di origine iraniana, che rischiano di non potere rivedere presto i loro familiari. Una delle più note attrici iraniane, Taraneh Alidoosti, nominata per gli Oscar per il film "The Salesman", ha parlato di "bando razzista" da parte di Trump e sta valutando il boicottaggio della cerimonia degli Academy Awards a Los Angeles
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Re: Dove va l'America?
A VEDERE TROPPI FILM DI COW BOYS DA PICCOLI FA MALE.
A QUANDO L'INIZIO DELLA TERZA GUERRA MONDIALE ??????
Trump, caos dopo stretta su immigrati: “Centinaia di arresti in tutto il Paese”. Misure simili neanche dopo 11 settembre
Mondo
"Centinaia di persone detenute sono negli aeroporti - ha fatto sapere Marielena Hincapie, direttore del "National Immigration Law Center" - l’ordine è stato diramato venerdì sera e il personale del Border Patrol è rimasto senza direttive". "Questa è gente in possesso di visti validi e con uno status legittimo di rifugiati", ha detto Mark Doss dell'"International Refugee Assistance Project". E il bando si estende anche ai possessori di "green card"
di Roberto Festa | 28 gennaio 2017
commenti (5)
1,7 mila
Più informazioni su: Donald Trump, Immigrazione, Iraq, Usa
L’ordine esecutivo che chiude i confini americani agli immigrati è entrato in vigore venerdì sera.
I rifugiati che erano già sugli aerei, diretti negli Stati Uniti con documenti validi, sono improvvisamente diventati illegali. Arrivati sul suolo americano, sono stati arrestati. I gruppi per i diritti civili parlano di centinaia di persone detenute.
Uno tra questi è stato comunque rilasciato dopo l’intervento di due deputati democratici.
Negli Stati Uniti si apre dunque un periodo di stretta sull’immigrazione – anche quella legale – assolutamente senza precedenti: nemmeno dopo l’11 settembre erano state prese misure di questo tipo.
Nelle ultime ore si è aggiunto un ulteriore particolare preoccupante: il bando ai cittadini di sette Stati giudicati a rischio terrorismo è allargato anche a chi è in possesso di una “green card”.
Le due persone arrestate al Kennedy Airport di New York sono cittadini iracheni. Hameed Khalid Darweesh, 53 anni, ha lavorato dieci anni per il governo e l’esercito americano in Iraq come interprete e ingegnere elettronico. E’ stato rilasciato dopo l’intervento dei deputati democratici Nydia Velazquez e Jerrold Nadler. Non si hanno comunque dettagli sul suo futuro; se potrà o meno restare sul suolo americano. L’altro iracheno arrestato è Haider Sameer Abdulkhaleq Alshawi, 33 anni, che stava raggiungendo moglie e figlio negli Stati Uniti. Anche la moglie di Alshawi ha lavorato per il governo Usa nel paese d’origine.
Con l’arrivo della notizia degli arresti, è iniziata un’escalation di eventi sempre più convulsi. All’aeroporto newyorkese sono immediatamente arrivati alcuni avvocati. Hanno presentato un decreto di habeas corpus per i loro clienti e una richiesta di rappresentanza legale collettiva per tutti gli altri rifugiati detenuti. Non si sa infatti quante persone erano dirette negli Stati Uniti con la qualifica di rifugiato, nel momento in cui l’ordine esecutivo di Trump è entrato in vigore.
In una dichiarazione, Marielena Hincapie, direttore esecutivo del National Immigration Law Center, chiarisce il dettaglio: “Ci stanno parlando di centinaia di persone detenute agli areoporti. L’ordine esecutivo è stato diramato venerdì sera, per alcune ore non se ne sono conosciuti davvero le clausole. Il personale del Border Patrol è rimasto senza una vera direttiva”.
Agli avvocati, per ore, non è stato permesso di incontrare i clienti, che si trovano ora in una sorta di limbo legale. Uno dei legali, Mark Doss dell’International Refugee Assistance Project ha anche chiesto a un agente dell’immigrazione a chi rivolgersi per risolvere la situazione dei suoi assistiti. “Al presidente. Chiama Mr. Trump”, gli ha risposto l’agente, che non è stato identificato.
“Non abbiamo mai avuto problemi all’immigrazione con nessuno dei rifugiati”, ha anche detto l’avvocato Doss. “Vedere della gente arrestata indefinitamente, in un Paese che avrebbe dovuto dargli il benvenuto, è davvero qualcosa di scioccante. Questa è gente in possesso di visti validi e con uno status legittimo di rifugiati già determinato dal Dipartimento di Stato e dal Dipartimento alla Sicurezza Nazionale”.
L’American Civil Liberties Union ha intentato causa al governo americano a nome dei due cittadini iracheni. “La guerra del presidente Trump all’eguaglianza sta già avendo costi umani terribili. Non gli si può consentire di andare avanti”, ha detto il presidente Omar Jadwat. Tra l’altro, l’ordine esecutivo di Trump prevede alcune esenzioni a discrezione delle autorità aereoportuali, compreso “quando la persona è già in transito e il negargli l’ammissione costituirebbe una forma di avversità non dovuta”. Ma la direttiva sarebbe appunto stata comunicata male ai funzionari dell’immigrazione, creando confusione e portando agli arresti di queste ore.
Nel frattempo, una serie di gruppi e organizzazioni – ancora l’American Civil Liberties Union, insieme all’International Refugee Assistance Project at the Urban Justice Center, il National Immigration Law Center, la Yale Law School’s Jerome N. Frank Legal Services Organization, con uno studio privato di avvocati, il Kilpatrick Townsend & Stockton – stanno valutando azioni legali contro l’ordine esecutivo di Trump che sospende i visti ai cittadini di sei Paesi: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen.
I gruppi parlano di un ordine che violerebbe una legge di più di cinquant’anni fa, che mette al bando ogni discriminazione per gli immigrati sulla base delle origini nazionali. Trump ha fondto in realtà il suo ordine esecutivo su un’altra legge, del 1952, che dà al presidente l’autorità di “sospendere l’entrata a ogni classe di stranieri che egli trovi di detrimento agli interessi degli Stati Uniti”. Ma il Congresso, nel 1965, ha di nuovo riaffermato che nessuno può essere “discriminato in termini di emissione di un visto sulla base della sua razza, sesso, nazionalità, luogo di nascita e residenza”.
La stretta sull’immigrazione, e la battaglia legale che ne segue, è davvero qualcosa di mai visto nella storia americana recente. Nemmeno dopo l’11 settembre, dopo gli attentati sul suolo americano, erano state poste restrizioni all’arrivo dei rifugiati. La preoccupazione nei confronti di provvedimenti che prendono di mira certe nazionalità e fedi si è fatta nelle ultime ore, se possibile, ancora più forte.
Il Dipartimento alla Sicurezza Nazionale ha precisato che il bando ai cittadini provenienti da sette Stati a maggioranza musulmana si estende anche ai possessori di una “green card”. La “green card” è ciò che prova la residenza legale e permanente di uno straniero negli Stati Uniti. Ci sono migliaia di persone che lavorano in organismi internazionali che risiedono negli Stati Uniti grazie a questo documento; per esempio all’Onu, al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale. Anche in questo caso, non è chiaro cosa sarà di questa gente; se saranno costretti a tornare nei Paesi di provenienza o se verranno sottoposti a forme di verifica ulteriore dei loro documenti.
A QUANDO L'INIZIO DELLA TERZA GUERRA MONDIALE ??????
Trump, caos dopo stretta su immigrati: “Centinaia di arresti in tutto il Paese”. Misure simili neanche dopo 11 settembre
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"Centinaia di persone detenute sono negli aeroporti - ha fatto sapere Marielena Hincapie, direttore del "National Immigration Law Center" - l’ordine è stato diramato venerdì sera e il personale del Border Patrol è rimasto senza direttive". "Questa è gente in possesso di visti validi e con uno status legittimo di rifugiati", ha detto Mark Doss dell'"International Refugee Assistance Project". E il bando si estende anche ai possessori di "green card"
di Roberto Festa | 28 gennaio 2017
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L’ordine esecutivo che chiude i confini americani agli immigrati è entrato in vigore venerdì sera.
I rifugiati che erano già sugli aerei, diretti negli Stati Uniti con documenti validi, sono improvvisamente diventati illegali. Arrivati sul suolo americano, sono stati arrestati. I gruppi per i diritti civili parlano di centinaia di persone detenute.
Uno tra questi è stato comunque rilasciato dopo l’intervento di due deputati democratici.
Negli Stati Uniti si apre dunque un periodo di stretta sull’immigrazione – anche quella legale – assolutamente senza precedenti: nemmeno dopo l’11 settembre erano state prese misure di questo tipo.
Nelle ultime ore si è aggiunto un ulteriore particolare preoccupante: il bando ai cittadini di sette Stati giudicati a rischio terrorismo è allargato anche a chi è in possesso di una “green card”.
Le due persone arrestate al Kennedy Airport di New York sono cittadini iracheni. Hameed Khalid Darweesh, 53 anni, ha lavorato dieci anni per il governo e l’esercito americano in Iraq come interprete e ingegnere elettronico. E’ stato rilasciato dopo l’intervento dei deputati democratici Nydia Velazquez e Jerrold Nadler. Non si hanno comunque dettagli sul suo futuro; se potrà o meno restare sul suolo americano. L’altro iracheno arrestato è Haider Sameer Abdulkhaleq Alshawi, 33 anni, che stava raggiungendo moglie e figlio negli Stati Uniti. Anche la moglie di Alshawi ha lavorato per il governo Usa nel paese d’origine.
Con l’arrivo della notizia degli arresti, è iniziata un’escalation di eventi sempre più convulsi. All’aeroporto newyorkese sono immediatamente arrivati alcuni avvocati. Hanno presentato un decreto di habeas corpus per i loro clienti e una richiesta di rappresentanza legale collettiva per tutti gli altri rifugiati detenuti. Non si sa infatti quante persone erano dirette negli Stati Uniti con la qualifica di rifugiato, nel momento in cui l’ordine esecutivo di Trump è entrato in vigore.
In una dichiarazione, Marielena Hincapie, direttore esecutivo del National Immigration Law Center, chiarisce il dettaglio: “Ci stanno parlando di centinaia di persone detenute agli areoporti. L’ordine esecutivo è stato diramato venerdì sera, per alcune ore non se ne sono conosciuti davvero le clausole. Il personale del Border Patrol è rimasto senza una vera direttiva”.
Agli avvocati, per ore, non è stato permesso di incontrare i clienti, che si trovano ora in una sorta di limbo legale. Uno dei legali, Mark Doss dell’International Refugee Assistance Project ha anche chiesto a un agente dell’immigrazione a chi rivolgersi per risolvere la situazione dei suoi assistiti. “Al presidente. Chiama Mr. Trump”, gli ha risposto l’agente, che non è stato identificato.
“Non abbiamo mai avuto problemi all’immigrazione con nessuno dei rifugiati”, ha anche detto l’avvocato Doss. “Vedere della gente arrestata indefinitamente, in un Paese che avrebbe dovuto dargli il benvenuto, è davvero qualcosa di scioccante. Questa è gente in possesso di visti validi e con uno status legittimo di rifugiati già determinato dal Dipartimento di Stato e dal Dipartimento alla Sicurezza Nazionale”.
L’American Civil Liberties Union ha intentato causa al governo americano a nome dei due cittadini iracheni. “La guerra del presidente Trump all’eguaglianza sta già avendo costi umani terribili. Non gli si può consentire di andare avanti”, ha detto il presidente Omar Jadwat. Tra l’altro, l’ordine esecutivo di Trump prevede alcune esenzioni a discrezione delle autorità aereoportuali, compreso “quando la persona è già in transito e il negargli l’ammissione costituirebbe una forma di avversità non dovuta”. Ma la direttiva sarebbe appunto stata comunicata male ai funzionari dell’immigrazione, creando confusione e portando agli arresti di queste ore.
Nel frattempo, una serie di gruppi e organizzazioni – ancora l’American Civil Liberties Union, insieme all’International Refugee Assistance Project at the Urban Justice Center, il National Immigration Law Center, la Yale Law School’s Jerome N. Frank Legal Services Organization, con uno studio privato di avvocati, il Kilpatrick Townsend & Stockton – stanno valutando azioni legali contro l’ordine esecutivo di Trump che sospende i visti ai cittadini di sei Paesi: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen.
I gruppi parlano di un ordine che violerebbe una legge di più di cinquant’anni fa, che mette al bando ogni discriminazione per gli immigrati sulla base delle origini nazionali. Trump ha fondto in realtà il suo ordine esecutivo su un’altra legge, del 1952, che dà al presidente l’autorità di “sospendere l’entrata a ogni classe di stranieri che egli trovi di detrimento agli interessi degli Stati Uniti”. Ma il Congresso, nel 1965, ha di nuovo riaffermato che nessuno può essere “discriminato in termini di emissione di un visto sulla base della sua razza, sesso, nazionalità, luogo di nascita e residenza”.
La stretta sull’immigrazione, e la battaglia legale che ne segue, è davvero qualcosa di mai visto nella storia americana recente. Nemmeno dopo l’11 settembre, dopo gli attentati sul suolo americano, erano state poste restrizioni all’arrivo dei rifugiati. La preoccupazione nei confronti di provvedimenti che prendono di mira certe nazionalità e fedi si è fatta nelle ultime ore, se possibile, ancora più forte.
Il Dipartimento alla Sicurezza Nazionale ha precisato che il bando ai cittadini provenienti da sette Stati a maggioranza musulmana si estende anche ai possessori di una “green card”. La “green card” è ciò che prova la residenza legale e permanente di uno straniero negli Stati Uniti. Ci sono migliaia di persone che lavorano in organismi internazionali che risiedono negli Stati Uniti grazie a questo documento; per esempio all’Onu, al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale. Anche in questo caso, non è chiaro cosa sarà di questa gente; se saranno costretti a tornare nei Paesi di provenienza o se verranno sottoposti a forme di verifica ulteriore dei loro documenti.
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