La crisi dell'Europa

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camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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Confermato dal Fatto Quotidiano



Deutsche Bank, i rischi nascosti nel bilancio. Ecco perché il mercato scommette contro la prima banca tedesca

Lobby

Le azioni del maggior istituto di credito tedesco sono crollate del 30% in un mese mentre il prezzo dei credit default swap, un'assicurazione contro il rischio di default, è schizzato da 90 a 190 punti. Spaventano i 32 miliardi di derivati ad alto rischio e l'alta leva finanziaria: basterebbe un calo del 4% del valore degli attivi per azzerare il capitale

di Mauro Del Corno | 8 febbraio 2016
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Distratti dai problemi bancari di casa nostra, in Italia stiamo facendo passare inosservato quello che intanto accade nel settore in Germania.


Dove la situazione del gruppo Deutsche Bank inizia a destare qualche seria preoccupazione.



Gli indicatori di malessere sono innumerevoli ma il responso è sempre lo stesso: febbre alta.



Nell’ultimo mese il titolo della prima banca tedesca è sceso di oltre il 30%, a 15 euro per azione, meno di quanto valeva durante la crisi del 2008-2009.

Nell’ultimo anno il calo supera il 40%.

La banca vale in Borsa circa 20 miliardi di euro, la metà dell’italiana Intesa Sanpaolo.

Volendosi spingere ancora più indietro, il risultato di un investimento fatto nella banca nel 2009 avrebbe comportato una perdita del 76% dividendi inclusi.

Fin qui l’andamento in Borsa. Ma ci sono anche segnali più sinistri. In un mese il prezzo dei credit default swap su Deutsche Bank, una specie di assicurazione contro il rischio di default, è schizzato da 90 fino a 190 punti.

Per contro è crollato il valore dei cosiddetti “coco bond” (convertible contingent bond), obbligazioni che a determinate condizioni possono essere trasformate in azioni per rafforzare il capitale dell’emittente.

Nel 2014 Deutsche Bank ha emesso coco bond per un controvalore di circa 5 miliardi.


E sono titoli che, nell’ipotesi peggiore, entrano in prima linea sul fronte delle perdite in caso di salvataggio con le nuove regole europee del bail in. Titoli molto rischiosi per chi li compra, ma con rendimenti che in questi tempi di tassi zero fanno gola a molti, fondi pensione e assicurazioni in primis. A dicembre i coco bonds di Deutsche Bank venivano scambiati a circa il 95% del loro valore nominale, oggi siamo al 77%. Numeri che descrivono il clima di profonda sfiducia che specialmente nell’ultimo mese ha avvolto la banca.

Il gruppo ha annunciato di aver chiuso il 2015 con perdite per quasi 7 miliardi di euro e ricavi in flessione del 15% nel solo ultimo trimestre. Cifre importanti ma gestibili per un colosso con attivi per 1.700 miliardi di euro e ricavi su base annua 33 miliardi (+5% sul 2015). Nel 2013 la più piccola Unicredit chiuse l’anno con 14 miliardi di perdite e quasi a nessuno venne in mente di parlare di emergenza. Ma non è il rosso, dovuto soprattutto a spese legali e multe per lo scandalo della manipolazione del Libor, a preoccupare gli osservatori.
Il gruppo ha emesso derivati per 75mila miliardi di euro, 20 volte il Pil tedesco

Deutsche Bank è un gruppo molto attivo nel business dei derivati.



Da anni tiene a bilancio ingenti quantità di titoli tossici classificati di livello 3.

Ossia strumenti finanziari a cui non si riesce a dare un prezzo perché non trattati sui mercati e non equiparabili ad altri prodotti simili che invece lo sono.

A quel punto è la stessa banca a decidere, attraverso dei modelli interni e con ampio margine di discrezionalità, quale valore attribuire a questi titoli.

Stando ai dati di fine settembre il gruppo tedesco aveva in pancia titoli di questo tipo per 32 miliardi di euro. Nel 2014 erano 31 miliardi, nel 2013 29.

La banca insomma non riesce a disfarsi di questa montagna di carta di cattiva qualità che si trascina dietro anno dopo anno. Se si considera che il capitale della banca, prima barriera contro le perdite, vale circa 69 miliardi si fa presto a capire come l’incidenza di questi titoli sia potenzialmente destabilizzante. A titolo di paragone Intesa Sanpaolo con un capitale di 47 miliardi di euro ha a bilancio titoli di livello 3 per 6,7 miliardi di euro.

Un altro aspetto delicato della situazione finanziaria di Deutsche Bank è l’alto livello della sua leva finanziaria.

Ossia il rapporto tra il valore degli attivi e il patrimonio della banca.

In questo momento è poco al di sotto di 1 a 25. In pratica con una diminuzione del 4% del valore dei suoi attivi il capitale della banca verrebbe azzerato. Il valore è sensibilmente ridotto rispetto a valori monstre di 1/50 del periodo prima della crisi ma comunque piuttosto elevato: Intesa Sanpaolo si ferma ad esempio a 1/14. Il valore della banca tedesca in borsa è oggi un terzo del suo capitale. Una rapporto particolarmente basso (0,3) se confrontato con quello degli altri colossi europei del credito. La francese Bnp Paribas è ad esempio allo 0,5 così come Credit Suisse mentre l’inglese Barclays si ferma allo 0,44 e le italiane Intesa Sanpaolo e Unicredit rispettivamente allo 0,8 e 0,4.

In questo quadro di forte sfiducia verso al banca tedesca c’è anche chi inizia a far notare come il gruppo abbia emesso derivati per 75mila miliardi di euro, ossia circa 20 volte il Pil tedesco, venduti a controparti in ogni angolo del globo.



La dimensione sistemica del colosso tedesco è quindi impressionante. Anche per questa ragione il nervosismo sulle prospettive dell’istituto risulta giustificato e le evoluzioni della situazione di Deutsche Bank merita di essere seguita con la massima attenzione.
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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Élite d’Europa
senza bussola


Luigi Vicinanza
Editoriale www.lespresso.it - @vicinanzal





Sempre più lontane dai popoli, le classi dirigenti
del vecchio continente non sanno trovare la rotta
tra disuguaglianze, antipolitica e globalizzazione

POPOLO E ÉLITE, mai così distanti.

Nell’Europa in cerca d’identità il solco
scavato tra governati e governanti non ha
precedenti dagli anni della ne della Seconda
guerra mondiale. Un contagio
politico senza conni, dalla Francia all’Italia,
dalla Spagna alla Grecia, dall’Est ex
comunista no alla Germania sempre più
al centro di una mappa geograca slabbrata.
I partiti storici della ricostruzione
post-bellica, i cattolici popolari e i socialisti
democratici, si stanno rivelando
culturalmente disarmati nel fronteggiare
una complessità di processi sociali impressionante:
la recessione perdurante,
l’impoverimento dei ceti medi, l’immigrazione
disperata, le tensioni etniche, la
paura del terrorismo dentro casa, l’espansione
del fanatismo islamico. Una concentrazione
di fattori critici che di fatto
chiude un’epoca durata settant’anni durante
i quali le sorti magniche e progressive
del Vecchio Continente ci hanno assicurato
sviluppo, benessere, welfare e
cooperazione; almeno per noi nati al di
qua della cortina di ferro.
LA GENERAZIONE dei baby boomer - la
mia generazione - è cresciuta con la convinzione
che democrazia e pace fossero
valori acquisiti per sempre in Europa,
ancor più con il consolidarsi delle istituzioni
comunitarie e l’introduzione della
valuta sovranazionale. Amara illusione.
La casa comune si sta sgretolando sotto il
peso della leggerezza delle risposte fornite
ai drammi di questi mesi, di questi anni sia
dai singoli Stati che dall’insieme dell’Unione
europea. «La ribellione contro le
élite è in pieno svolgimento. La questione
fondamentale è se (e come) le élite occidentali
possano essere avvicinate di più ai
cittadini», ha scritto sul “Financial Times”
Martin Wolf, voce ascoltata della comunità
nanziaria internazionale. Lo stesso
Wolf ha ricordato i dati Ocse (l’Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo
economico) secondo i quali tra il 1975 e
il 2012 il 47 per cento circa della crescita
totale dei redditi, al lordo delle imposte,
«è andato a benecio dell’1 per cento dei
più ricchi». Il populismo si alimenta di
questa vasta area di ingiustizia sociale. La
sintesi manichea è interpretata con efcacia
da Marine Le Pen: da un lato il popolo
vessato, dall’altro le élite privilegiate.
In uno scenario europeo di incertezze e
difcoltà «il vento dell’antipolitica sofa
sempre più forte. Le masse per secoli sottomesse
al potere delle élite, poi faticosamente
integrate attraverso i partiti, oggi -
scrive il politologo Mauro Calise nel suo
“La democrazia del leader” - si ribellano
a un sistema da cui si sentono sempre
meno rappresentate e protette. In bilico
tra le antiche identità nazionali e le paure
delle sde globali. Chiedono al leader di
turno molto più di quanto potrà fare».
E SE IL CAPO CARISMATICO non può,
ecco entrare in scena la “fata democratica”,
secondo la denizione di un altro
studioso, Raffaele Simone, nel suo “Come
la democrazia fallisce”. Una fata alla
quale si può chiedere tutto anche a costo
di sancarla. Così quando si ritorna alla
realtà si scopre che la democrazia nella
nostra vecchia Europa non è per sempre,
ma è esposta a rischi, se non a vere catastro
. Zygmunt Bauman, nell’intervista al
nostro Alessandro Gilioli (pagina 72),
esprime preoccupazione per possibili risposte
autoritarie. Salvare l’Europa dunque
per salvare le nostre fragili istituzioni
democratiche. Ma come?
È il cuore del problema, ma nessuno dei
leader nazionali sembra avere la forza di
intraprendere un’iniziativa politica capace
di riavvicinare governanti e governati.
Il nostro Matteo Renzi ha ipotizzato primarie
su scala continentale per selezionare
il prossimo presidente della Commissione
europea, carica oggi ricoperta dal
lussemburghese Jean-Claude Juncker.
Proposta caduta nel vuoto. Dell’istituzione
di un unico ministro del Tesoro Ue si
sono fatti promotori invece il presidente
della Bundesbank e il governatore della
Banca di Francia. Hanno così raccolto
un’intuizione di Eugenio Scalfari sostenitore
di questa nuova gura sovranazionale.
In vista di futuri Stati federali d’Europa.
A ROMA MARTEDÌ 9 FEBBRAIO si sono
riuniti i ministri degli Esteri dei sei paesi
fondatori (Francia, Germania, Italia, Belgio,
Olanda e Lussemburgo). C’è poco
tempo da perdere. Occorrono politiche
scali comuni (al tema dell’evasione, non
solo come male italiano, dedichiamo la
copertina di questo numero); un progetto
per il lavoro; grandi infrastrutture; difesa
dei conni e al tempo stesso accoglienza
dei migranti nel rispetto delle regole. Vasto
programma. Ma solo dando risposte
adeguate ai problemi del nostro tempo le
élite europee si confermeranno classe dirigente
legittimata dal consenso. In alternativa
ci sono oligarchie autoritarie o
populismi sfrenati.

L'Espresso del
18 febbraio 2016 - N.7
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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Achtung - Achtung



Bofinger: Btp a rischio, il piano-Schäuble devasterà l’Italia

Scritto il 17/2/16 • nella LIBRE Categoria: segnalazioni



Euro e Germania, ultimo capitolo della catastrofe: «Se fossi un politico italiano vorrei tornare alla mia moneta il più velocemente possibile: è questo l’unico modo per evitare la bancarotta».


Parola di Peter Bofinger, uno dei cinque “saggi” del supremo consiglio economico del governo tedesco, secondo cui il nuovo piano di Berlino sul taglio dei debiti “sovrani” nell’Eurozona, con la fine delle garanzie pubbliche sui titoli di Stato, innescherà l’inarrestabile crisi delle obbligazioni europee e potrebbe costringere l’Italia e la Spagna a ripristinare le loro valute.


«E’ il modo più veloce per porre fine all’Eurozona», dichiara al “Telegraph” il professor Bofinger, che spiega: «Potrebbe arrivare molto velocemente un attacco speculativo».





Per questo, aggiunge, l’unica via d’uscita è il ritorno alla moneta nazionale. Tutto questo, dopo che il “German Council of Econonomic Advisers” ha chiesto l’introduzione di uno specifico meccanismo da attivare per eventuali “insolvenze sovrane”, anche a costo di sovvertire i principi finanziari dell’“ordine del dopoguerra’ in Europa. Stop ai bail-out, i salvataggi statali, proprio come previsto dal Trattato di Maastricht.
Il piano tedesco ha il sostegno della Bundesbank e, più di recente, del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, «che di solito riesce a imporre la sua volontà, nell’Eurozona», scrive Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph”, in un articolo ripreso da “Come Don Chisciotte”. «Colloqui molto delicati sono attualmente in corso nelle principali capitali europee e stanno provocando dei forti brividi a Roma, Madrid e Lisbona». Secondo questo schema, riassume Pritchard, ad ogni futura crisi del “debito sovrano”, gli obbligazionisti (cioè i detentori dei titoli di Stato) dovranno subire delle perdite (“haircut”), prima che ci possa essere un salvataggio da parte dell’Esm, il Fondo Salva-Stati europeo. «Questo piano provocherà dei guai», ha dichiarato Lorenzo Codogno, già capo-economista del Tesoro italiano. Il bail-in sui debiti sovrani (salvataggio interno, anche con preliveo forzoso) corrisponde a quello entrato in vigore lo scorso gennaio nei riguardi degli obbligazionisti delle banche, che ha contribuito alla drastica svendita delle azioni bancarie dell’Eurozona.
In una nota, Bofinger avverte che il piano tedesco potrebbe auto-avverarsi molto in fretta, innescando «una corsa alla vendita delle obbligazioni da parte degli investitori, per liberarsi delle loro partecipazioni ed evitare l’’haircut». Italia, Portogallo e Spagna non potrebbero difendersi perché prive dei propri strumenti monetari: «Questi paesi rischierebbero di essere colpiti da una pericolosa crisi di fiducia», conclude. Il “German Council” ritiene che il primo passo sia quello di assegnare un più alto “rischio-ponderazione” al debito pubblico detenuto dalle banche, in termini di titoli di Stato, e anche un limite a quanto ne possono acquistare, «con l’esplicito obbiettivo di costringerle a cederne per 604 miliardi di euro: dovrebbero in alternativa raccogliere 35 miliardi di capitale fresco, perché la situazione possa essere ritenuta “gestibile”», scrive Evans-Pritchard. «Si tratta di un problema nevralgico, per l’Italia, dove le banche possiedono 400 miliardi di euro di debito pubblico e hanno effettivamente utilizzato i fondi della Banca Centrale Europea per sostenere il Tesoro italiano».
Per ora, Mario Draghi ha aggirato la questione: «E’ un problema con cui abbiamo a che fare: è necessario un approccio ponderato e graduale». Ma il Portogallo è già nell’occhio del ciclone, sottolinea Pritchard: Lisbona deve affrontare sia un rallentamento dell’economia che uno scontro con Bruxelles sull’austerità. Lo spread portoghese è salito a 410 punti-base rispetto a quello tedesco, spingendo gli oneri finanziari a livelli insostenibili. Il debito pubblico del Portogallo è al 132% del Pil, mentre l’indebitamento totale è al 341%, il più alto d’Europa. Il paese è caduto nella trappola del debito-deflazione e, per poterne sfuggire, avrebbe bisogno di anni e anni di forte crescita. Il paese «potrebbe perdere l’accesso al mercato finanziario», ha dichiarato Mark Dowding, della “Blue Bay”. «Abbiamo visto una situazione molto brutta, la scorsa settimana. I grandi Fondi statunitensi che avevano investito nei titoli di Stato portoghesi stanno cercando di uscire da quelle posizioni. Con i riscatti che sono in corso, si tratta di una vera e propria ‘tempesta perfetta’». Se la crisi dovesse perdurare, aggiunge Evans-Pritchard, le preoccupazioni per un nuovo salvataggio della Troika – e per le condizioni che sarebbero imposte – potrebbero rapidamente prendere piede.
Il “German Council” ritiene che lo speciale status normativo del “debito sovrano” posseduto dalle banche debba essere eliminato: chi detiene bond pubblici deve “rischiare” il proprio capitale. Peccato che – con l’euro – l’emissione di titoli è l’unico strumento di finanziamento dello Stato. Proprio la finanza pubblica, la sovranità nazionale democratica, è il grande obiettivo dell’operazione-Eurozona, che punta a demolire l’interesse pubblico sabotando la capacità finanziaria dello Stato per consegnare il sistema al pieno dominio dell’élite economico-finanziaria. Il piano-Schäuble vuole che i titoli di Stato non siano più “sicuri”, garantiti dal Tesoro, ma condizionati alle coperture bancarie, come qualsiasi obbligazione privata. Sicché, «i rischi maggiori sono per le banche di Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia». L’obiettivo dichiarato, naturalmente, è un altro: ridurre il legame fra “debito sovrano” e banche attraverso una separazione parziale, per prevenire che le crisi del debito pubblico possano diffondersi e “smontare” i sistemi bancari nazionali. Ma la verità è ben diversa: il piano mira proprio a indebolire i sistemi nazionali.
Per Bofinger, il vero problema è che la Germania e i paesi-creditori dell’Eurozona si rifiutano di accettare le implicazioni di una vera unione monetaria, cioè la condivisione del debito e l’unione fiscale. A suo parere, la nozione di “meccanismo d’insolvenza sovrana” è interpretata in modo sbagliato: «Perpetua la bufala che la radice della crisi sia negli abusi fiscali dei governi». In realtà, annota Evans-Pritchard, il debito pubblico è esploso nel 2008 perché i paesi in crisi hanno dovuto prendere misure d’emergenza per evitare il collasso delle loro economie, dopo il crack Lehman a Wall Street. Ma quello era solo l’ultimo capitolo. Il problema è a monte, come spiega l’economista democratico e sovranista Nino Galloni: il dramma, per l’Italia (crisi e declino, deindustrializzazione) cominciò nel lontano 1981, quando – ben prima dell’adozione dell’euro – il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e il governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi tagliarono il cordone ombelicale tra Banca d’Italia e bilancio: da quel momento, la banca centrale smise di essere il “bancomat del governo”, a costo zero, e lo Stato dovette affidarsi alla finanza privata, cui vendere titoli di Stato, a beneficio esclusivo degli “investitori” e dei loro interessi.
L’euro ha reso “sistemico” il quadro, sprofondando l’Europa in una crisi senza precedenti, con disoccupazione mai vista dal dopoguerra. Ora, il nuovo piano dei tedeschi consentirebbe inoltre agli investitori privati di agire come “giudici” della solvibilità degli Stati, sottolinea Evans-Pritchard. La pensa così anche Peter Bofinger, che avverte: «Non possiamo consentire un sistema in cui i mercati diventano padroni dei governi». Il “German Council” è «alquanto sprezzante nelle sue conclusioni», annota il giornalista economico inglese. «Ha schiacciato qualsiasi discorso relativo ad un Tesoro o ad un’Autorità Fiscale condivisa: l’unico modo per sostenere l’unione monetaria è di imporre un controllo rigoroso e di rafforzare le norme esistenti». Con buona pace dell’Europa che affonda, con il suo euro, e con politici che ancora evitano di denunciare apertamente la tragedia innescata dalla moneta europea a controllo tedesco.
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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Riprendendo dal 3D “Diario della caduta di un regime.”, per quanto riguarda Soros:

Secondo Soros, la minaccia per l’Europa è Putin, non l’Isis.
E quale sarebbe la ragione di un’affermazione tanto azzardata? Semplice, Putin starebbe orchestrando la distruzione dell’Europa attraverso la crisi dei migranti. Siccome “l’obiettivo di Putin è la disintegrazione dell’Unione Europea -scrive Soros- il modo migliore per realizzarla è quello di inondare l’Europa di profughi siriani”.




1) Non c’è assolutamente bisogno che l’Europa venga distrutta dallo zar Wladimir. Sta già lavorando molto bene da anni per conto suo per arrivare all’obiettivo finale dell’autodistruzione, che non ha assolutamente bisogno di spinte dell'orso russo.
Basta vedere come si sta sgretolando Schengen in queste ore.


2) Dalla lettura dei quotidiani in genere, e da quanto pubblicato da LIBRE associazione di idee, che si occupa di selezionare gli articoli, nei loro contenuti ritenuti degni di evidenza, senza preclusione di una parte politica, scopriamo che esiste una corrente di pensiero che associa Soros alla CIA, come autore del progetto di provocare un’emigrazione di massa sia dal Continente africano che dal Medio Oriente, verso l’Europa, al fine di destabilizzarla e di farne un colonia a stelle e striscie.

Pertanto non mi stupisce che Soros(Budapest, 12 agosto 1930), ancora in pista a 86 anni a rompere i maroni, invece di ritirarsi a giocare alle bocce, non eviti di spargere il veleno come un cobra egiziano, nel momento dell’abbandono della vita terrestre, ma continui con soddisfazione a produrre il suo veleno per appestare il pianeta.

Nel mondo cattolico il “bene” viene rappresentato dalle azioni dei santi, mentre il male è relegato in un personaggio astratto come il diavolo (Belzebù).

Se dovessimo rappresentare il diavolo fatto uomo potremmo indicare Soros. Ovvio, invece,che negli ambienti della CIA venga rappresentato come un “santo”, degno degli altari, ed esposto in una teca come padre Pio, per l’adorazione del liberismo rivoluzionario.

Questa sua predisposizione a mentire facile come bere un bicchiere di acqua fresca, e continuamente depistare, infastidisce chi vorrebbe un mondo migliore anche se non propriamente popolato da cherubini e serafini.

Con questi diavoli si assaggia un’anticipazione dell’inferno già ai tempi della vita.

La solita corrente di pensiero, attribuisce a Soros di essersi recato in Ucraina per dare la sua collaborazione a creare una situazione d’instabilità di quel Paese in funzione anti Putin.

Non stupisce affatto che in questi anni in Ucraina siano ricomparse formazioni naziste.

E che anche ragazzi soddisfatti siano di quel che facevano, sono sfilati in divisa e con i simboli del nuovo nazismo risorgente.

Abbiamo visto in azione la settimana scorsa alla Zanzara di Cruciani, l’altro uomo CIA, Luttwak, attivo nella sua opera di depistaggio nel caso Regeni.

Quando ha sostenuto che l’omicidio di Regeni può essere avvenuto ad opera di un’amante, ha raggiunto il massimo della cretineria, anche per un uomo CIA impegnato a depistare cosa era accaduto in Egitto.

Quando si depista ci vogliono persone intelligenti ed abili come il vecchio Giulio. Quando si esagera pacchianamente come in questo caso, si entra nella zona grigia della scemenza.

Quindi, anche Soros, che alcuni ritengono l’autore del piano congiunto con la CIA per destabilizzare l’Europa, attribuendo a Putin di voler destabilizzare l’Europa, in pratica scarica sullo zar Wladimir, quanto lui ha già messo in pratica da qualche anno e che si sta realizzando con molta efficacia.

L’Europa sta per essere messa in ginocchio da una strana invasione Afro, Medio Orientale, che viene definita da molti epocale, che l’intellighentia europea è sì in grado di prevenire, ma viene fermata da una “strana” e misteriosa volontà di non andare al sodo del problema.
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da camillobenso »

Mentana in apertura del Tg7 delle 20,00


Mai come questo incontro europeo è stato così diviso negli ultimi anni


Il titolo
EUROPA A PEZZI EVITA IL BREXIT



Altro titolo

RENZI : IL PATTO DI DUBLINO E' FALLITO

Lo sappiamo già da ieri dalla Stampa
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Re: La crisi dell'Europa

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Brexit, un accordo vergognoso che anticipa i danni del Ttip

Scritto il 24/2/16 • nella Categoria: idee



L’accordo anti-Brexit dimostra che l’Unione Europea trova l’unità solo quando si tratta di togliere diritti sociali a qualcuno, solo quando si possono stabilire gerarchie di potere e diseguaglianze. Si sta nella Unione Europea per colpire i diritti dei popoli e per creare gerarchie di privilegi tra Stati e favorire i gruppi più potenti del capitalismo finanziario. Per tenere unita l’Unione Europea alla Grecia è stato imposto il memorandum che sta portando le condizioni sociali di quel popolo indietro di cento anni. La Gran Bretagna è infinitamente più potente della Grecia, e quindi per restare nella Unione ha ottenuto misure di segno opposto, cioè la possibilità per le sue grandi imprese di godere tutti i vantaggi finanziari della Unione – ricordiamo che la Fca Fiat ha stabilito lì la sede fiscale per pagare meno tasse – senza pagare alcun prezzo. L’accordo per evitare la Brexit prevede misure liberiste a favore delle imprese e del mercato globale di tutti i tipi, in questo senso diventa il cavallo di Troia per la sottoscrizione da parte della Ue del famigerato Ttip con gli Usa, anticipandone contenuti e principi. Ma soprattutto l’accordo è una infame intesa per il super-sfruttamento del lavoro dei migranti.
La malafede di Cameron e del capitalismo britannico, che hanno bisogno dei migranti ma vogliono pagarli il meno possibile per ricattare così anche i lavoratori nativi, è stata formalizzata nell’accordo. I lavoratori regolari provenienti dai paesi Ue per 7 anni avranno meno diritti e garanzie sociali degli altri. Si torna così al peggio della condizione della immigrazione europea, che l’Italia ha vissuto dalla strage di Marcinelle in Belgio ai gastarbeiter in Germania negli anni ‘50. Emerge tutta la truffa della cosiddetta cittadinanza europea. Essa vale solo per i ricchi e per gli Stati più potenti, mentre gli italiani che andranno a lavorare in Gran Bretagna, e son già decine di migliaia, saranno cittadini europei di serie B. Ad essi si aggiungeranno i migranti regolarizzati extracomunitari, che saranno europei di serie C e sotto di essi tutti gli irregolari che sono e saranno fuori classifica, esposti al più turpe commercio delle vite. Intanto ogni paese europeo costruisce i suoi muri contro i migranti, e i paesi più ricchi scaricano sui più poveri il compito di costruire lager e fili spinati per fermare i profughi.
Con questo accordo l’Unione Europea rinuncia a qualsiasi finta utopia democratica e si riconosce come un’associazione brutale di interessi economici di poteri forti, con precise aree di influenza e affari. L’euro rinuncia a diventare quella moneta europea di cui cianciano i suoi sostenitori, e si consolida come moneta tedesca allargata. Il solo terreno che unifica i paesi europei resta quello, come dichiara l’accordo, dello sviluppo della competitività, cioè di quella concorrenza al ribasso sui salari e sui diritti sociali che è alla base delle politiche di austerità di ogni Stato. Cameron, Hollande, Merkel hanno mostrato che la classe politica dei governi europei che decidono in Europa, al di là di distinzioni di facciata, è fatta tutta della stessa pasta e agisce per rispondere agli stessi interessi e poteri economici e finanziari. Renzi e Tsipras si sono mostrati i soliti ridicoli servi. Rappresentano i paesi i cui popoli più pagheranno questa intesa e l’hanno approvata. A Renzi è bastata la bacchettata di Monti (e Napolitano), immagino che Tsipras sarà stato come al solito messo a posto da Merkel. Penosi. Essere contro la Ue si dimostra sempre di più una scelta morale e politica per la democrazia, contro quella che sempre più si rivela una costruzione reazionaria e autoritaria, coperta dall’ipocrisia. Mi auguro che i cittadini britannici votino No a questa porcheria.
(Giorgio Cremaschi, “Brexit, un accordo vergognoso che anticipa i danni del Ttip”, da “Huffington Post” del 20 febbraio 2016).

L’accordo anti-Brexit dimostra che l’Unione Europea trova l’unità solo quando si tratta di togliere diritti sociali a qualcuno, solo quando si possono stabilire gerarchie di potere e diseguaglianze. Si sta nella Unione Europea per colpire i diritti dei popoli e per creare gerarchie di privilegi tra Stati e favorire i gruppi più potenti del capitalismo finanziario. Per tenere unita l’Unione Europea alla Grecia è stato imposto il memorandum che sta portando le condizioni sociali di quel popolo indietro di cento anni. La Gran Bretagna è infinitamente più potente della Grecia, e quindi per restare nella Unione ha ottenuto misure di segno opposto, cioè la possibilità per le sue grandi imprese di godere tutti i vantaggi finanziari della Unione – ricordiamo che la Fca Fiat ha stabilito lì la sede fiscale per pagare meno tasse – senza pagare alcun prezzo. L’accordo per evitare la Brexit prevede misure liberiste a favore delle imprese e del mercato globale di tutti i tipi, in questo senso diventa il cavallo di Troia per la sottoscrizione da parte della Ue del famigerato Ttip con gli Usa, anticipandone contenuti e principi. Ma soprattutto l’accordo è una infame intesa per il super-sfruttamento del lavoro dei migranti.

La malafede di Cameron e del capitalismo britannico, che hanno bisogno dei migranti ma vogliono pagarli il meno possibile per ricattare così anche i lavoratori nativi, è stata formalizzata nell’accordo. I lavoratori regolari provenienti dai paesi Ue per 7 David Cameronanni avranno meno diritti e garanzie sociali degli altri. Si torna così al peggio della condizione della immigrazione europea, che l’Italia ha vissuto dalla strage di Marcinelle in Belgio ai gastarbeiter in Germania negli anni ‘50. Emerge tutta la truffa della cosiddetta cittadinanza europea. Essa vale solo per i ricchi e per gli Stati più potenti, mentre gli italiani che andranno a lavorare in Gran Bretagna, e son già decine di migliaia, saranno cittadini europei di serie B. Ad essi si aggiungeranno i migranti regolarizzati extracomunitari, che saranno europei di serie C e sotto di essi tutti gli irregolari che sono e saranno fuori classifica, esposti al più turpe commercio delle vite. Intanto ogni paese europeo costruisce i suoi muri contro i migranti, e i paesi più ricchi scaricano sui più poveri il compito di costruire lager e fili spinati per fermare i profughi.

Con questo accordo l’Unione Europea rinuncia a qualsiasi finta utopia democratica e si riconosce come un’associazione brutale di interessi economici di poteri forti, con precise aree di influenza e affari. L’euro rinuncia a diventare quella moneta europea di Cameron e Merkelcui cianciano i suoi sostenitori, e si consolida come moneta tedesca allargata. Il solo terreno che unifica i paesi europei resta quello, come dichiara l’accordo, dello sviluppo della competitività, cioè di quella concorrenza al ribasso sui salari e sui diritti sociali che è alla base delle politiche di austerità di ogni Stato. Cameron, Hollande, Merkel hanno mostrato che la classe politica dei governi europei che decidono in Europa, al di là di distinzioni di facciata, è fatta tutta della stessa pasta e agisce per rispondere agli stessi interessi e poteri economici e finanziari. Renzi e Tsipras si sono mostrati i soliti ridicoli servi. Rappresentano i paesi i cui popoli più pagheranno questa intesa e l’hanno approvata. A Renzi è bastata la bacchettata di Monti (e Napolitano), immagino che Tsipras sarà stato come al solito messo a posto da Merkel. Penosi. Essere contro la Ue si dimostra sempre di più una scelta morale e politica per la democrazia, contro quella che sempre più si rivela una costruzione reazionaria e autoritaria, coperta dall’ipocrisia. Mi auguro che i cittadini britannici votino No a questa porcheria.

(Giorgio Cremaschi, “Brexit, un accordo vergognoso che anticipa i danni del Ttip”, da “Huffington Post” del 20 febbraio 2016)
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da camillobenso »


Lacrime e sangue? Certo, un’altra Europa è impossibile


Scritto il 18/3/16 • nella Categoria: idee


La maggioranza della “sinistra” si crogiola nell’illusione che l’Europa possa mutare pelle sotto la spinta della solidarietà fra i popoli europei.


Da dove scaturisca tale speranza non è dato capire.


Il problema europeo è legato alla crisi della democrazia, all’anti-politica, alla diffusa disaffezione, se non aperta ostilità di gran parte della popolazione ai meccanismi della rappresentanza e della mediazione politica.


In termini più accademici questa è definita la crisi della democrazia.




Questa disaffezione si traduce nell’idea che la politica sia tutta uguale, destra e sinistra, e che i politici siano tutti disonesti.




Alla base di questa disaffezione, e in fondo anche alla base della pochezza progettuale ed etica dei politici, v’è la sostanziale impotenza della politica nazionale ad affrontare piccoli e grandi problemi, una volta privata delle leve della politica economica, e in particolare della sovranità monetaria, improvvidamente cedute a istanze sovranazionali dominate dalle potenze europee più forti.


Questo spiega dunque molte cose.



Spiega la disaffezione come dovuta all’incapacità dei politici di risolvere i problemi, la disoccupazione in primis, mentre tutti si riempiono la bocca del medesimo mantra delle riforme (operando delle feroci contro-riforme).



Spiega la sostanziale somiglianza fra destra e sinistra che agli occhi del comune cittadino è giustamente scomparsa.


Qual’è la differenza fra Berlusconi e Prodi? Fra Monti e Bersani? Fra Renzi e Tsipras?


La politica è (nei tratti di fondo) la medesima ed è quella dettata da Bruxelles, Francoforte o Berlino.



E spiega anche il drammatico scadimento della politica, screditata agli occhi delle persone capaci, per cui chi vale fa altro, e monopolio di personaggi che non hanno altro da occuparsi se non di conservare le poltrone per sé e per le proprie consorterie.


Detto in termini un poco più nobili, una volta esautorato e reso impotente lo Stato nazionale, che è il terreno primario in cui si svolge il conflitto sulla distribuzione del reddito, viene a mancare il sale della democrazia.



Ma in verità il “sogno europeo”, è precisamente questo: un disegno liberista volto a esautorare i popoli nazionali dal potere di incidere sulle scelte dei propri governi nazionali, resi impotenti se non come strumenti d’ordine (vedi le riforme costituzionali in questa direzione).




Stati nazionali filiali regionali dell’ordine ordo-liberista che “trasforma le leggi del mercato in leggi dello Stato” (Alessandro Somma), e ben individuato dai tedeschi nel Ministro unico dell’economia.




Questa espropriazione dello Stato nazionale perfeziona lo svuotamento del terreno del conflitto sociale, dunque della democrazia, già mortificato dalla globalizzazione del capitale, lasciato libero di collocarsi dove più gli aggrada.



E non ci si dica, per favore, che piccoli stati sovrani avrebbero vita dura nell’”economia globalizzata”, come si sente spesso.



Polonia e Corea del Sud se la passano meglio dell’Italia, per fare qualche esempio.




Ma perché, mi si obietta, non lottare per un’Europa diversa?



L’analisi economica – a cui invito a prestar fede non in nome della fiducia in una scienza discutibile, ma in nome del realismo politico a cui ci invitava un grande intellettuale, Danilo Zolo – ha da tempo indicato che un’unione monetaria fra paesi a diverso grado di sviluppo può reggere solo con un cospicuo bilancio federale a scopo perequativo, precisamente la “tax-transfer union” tanto temuta dai tedeschi.



Di che parliamo allora? Di utopie da cui Danilo Zolo ci suggeriva di sfuggire come la peste? Hayek lo disse chiaramente in un saggio del 1939: uno Stato federale fra paesi culturalmente ed economicamente diversi e dotato di un cospicuo bilancio perequativo non sarebbe destinato a durare, e si lacererebbe presto sulla destinazione delle risorse (Jugoslavia docet).




L’unico Stato federale possibile è quello con uno Stato minimo, uno Stato ordo-liberista che detti le sole regole di mercato.



Ma questo è lo Stato europeo che già abbiamo, e che la potenza dominante di cui parliamo oggi intende rafforzare.




Quella che abbiamo è la sola Europa possibile, anzi potrebbe andar peggio.



La “sinistra” è responsabile di cotanto disastro continentale.



In Inghilterra e negli Stati Uniti, la Thatcher e Reagan si sono resi responsabili di sconfiggere Keynesismo e Stato Sociale.




In Europa l’ha in gran parte fatto la sinistra, in nome dell’Europa.



Le responsabilità dell’Ulivo devono essere ancora conteggiate – ma c’è chi ha cominciato a farlo, come Giulio Sapelli.




Ma forse non c’è n’è bisogno.



La sinistra italiana sta finendo da sola nella spazzatura del 3%.



Abbiamo invece bisogno di una sinistra italiana che della battaglia per il ripristino dell’autonomia della politica economica nazionale faccia il proprio vessillo.




Siccome la sinistra è più sensibile all’orecchio della difesa della Costituzione, bene faremmo ad affiancare questa battaglia a quella della difesa dei valori costituzionali.



Ma attenzione, se la sinistra ufficiale e intellettuale è sensibile ai valori costituzionali, la gente normale vede questi temi come estranei, lontani.




Guarda con favore, per esempio, alla semplificazione dei processi politici.



Quindi anche la battaglia per la difesa della Costituzione se ne gioverebbe, se da astratta difesa di principi si mostrasse come strumento di avanzamento sociale su temi concreti come piena occupazione, difesa di salari e Stato Sociale.


Un’ultima precisazione.


Personalmente non credo che lo slogan “fuori dall’euro” sia oggi popolare.



Tuttavia un sentimento anti-Europeo sta montando.


L’euro crollerà se e quando diventerà politicamente insostenibile, e quest’esito va perseguito e preparato, progettando il dopo, una nuova Europa di Stati indipendenti e cooperativi.



Purtroppo la sinistra italiana, nella sua maggioranza, va nella direzione opposta di coltivare il “sogno europeo”, predisponendosi all’oblio della storia.





(Sergio Cesaratto, “Sveglia, un’altra Europa è impossibile”, da “Sollevazione” del 12 marzo 2016).
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da camillobenso »

Horvat: «Perché dobbiamo recuperare urgentemente la democrazia in Europa»
Il filosofo croato ritiene che ci siano già i sintomi di un collasso della Ue, a causa di una crisi senza precedenti e per cui, purtroppo, l'attuale leadership non ha risposte. Ecco come “Democracy in Europe”, il movimento di Yanis Varoufakis pianifica di salvare l'Unione


http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da camillobenso »

L'appello di Orban all'"Europa dei Popoli"

In un discorso pubblico il premier magiaro si è rivolto a tutti i popoli europei. Invitandoli ad essere uniti per fare fronte all'odierna Unione Europea
Luca Steinmann - Lun, 21/03/2016 - 13:57


http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lap ... 37650.html
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