TEORIE
Joseph Stiglitz: "L'euro un errore, ma non si può tornare indietro"
Il premio Nobel ed ex capo dei consiglieri economici di Clinton detta condizioni radicali: per salvarsi, tutta la costruzione della moneta unica deve essere ribaltata. Con meno austerità per i ceti più deboli, Eurobond e una tassazione sulla ricchezza e sui capitali
di Roberta Carlini
Joseph Stiglitz: L'euro un errore, ma non si può tornare indietro
Idee sciocche, politiche stupide, leader da bocciare agli esami come studentelli svogliati. Più che una lezione è una frustata, quella che il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz riserva alla politica europea a poche settimane dal voto. Chiamato dall’università della Confindustria a una lezione sul tema “Si può salvare l’euro?”, l’ex capo dei consiglieri economici di Clinton detta condizioni radicali: per salvarsi, tutta la costruzione dell’euro deve essere ribaltata. Aula magna della Luiss affollata, come si conviene ormai agli economisti superstar: Stiglitz, tra Casa Bianca e Banca mondiale, movimento di Occupy Wall Street e Accademia dei Nobel, è tra questi.
Popolarissimo tra i no-euro – al punto che qualche giorno fa insieme a un altro Nobel, Amartya Sen, ha diramato una nota per precisare di non essere a favore della distruzione della moneta unica europea - anche davanti agli studenti della Luiss ha ribadito che se oggi l’Europa si trova qui, nelle condizioni drammatiche della disoccupazione e della crisi, è per colpa di “un unico grande errore: l’euro”. Ciò non vuol dire, ha subito precisato, che si possa tornare indietro: “Ci sono cose che non possono essere invertite”. Ma sapere che sono state fatte male, e perché, può aiutare a trovare una soluzione oggi. Subito, immediatamente, visto che l’Europa, dice il premio Nobel, ha buttato via cinque anni, che si stanno già allungando a un decennio, e che produrranno effetti negativi per un quarto di secolo, se si continua così.
Un guru troppo pessimista, che interviene sui drammi europei col senno di poi? Non proprio, visto che Stiglitz scodella, uno dopo l’altro, tutti i problemi che c’erano dalla costruzione dell’euro, che lui stesso ed altri economisti avevano illuminato fin dall’inizio. Se oggi il prodotto pro capite è inferiore ai livelli che aveva prima della crisi in tutti i paesi dell’eurozona tranne uno (la Germania, dove è cresciuto ma non di tanto), i motivi sono da ricercare nei “difetti di fabbrica” dell’euro: difetti che Stiglitz ricollega a un’ideologia sbagliata che ha portato a una moneta sbagliata, senza politica e senza Stato.
“Sono fallite le idee che a quell’epoca erano di moda, che i mercati funzionassero sempre e si aggiustassero da sé”. Solo che l’intero edificio europeo e i suoi amministratori non hanno preso atto dei fallimenti. Continuando a fare scelte che, viste dall’altro lato dell’oceano, appaiono insensate. Come tenere l’euro forte per combattere un inesistente pericolo di inflazione: “Grazie europei, per l’euro forte, gli americani vi ringraziano per queste politiche stupide”. Oppure punire le vittime della crisi (come la Grecia), invece di aiutarle a produrre e risollevarsi. O continuare a spingere sull’austerità, fingendo di credere all’idea “sciocca” che possa esserci una contrazione espansiva.
Chissà se di tutte queste cose ha parlato anche con Renzi, che ha visto ieri a pranzo. Certo il Nobel Stiglitz non ha molta fiducia, per la salvezza dell’euro e dell’Italia, nelle politiche che vanno per la maggiore: come le “riforme strutturali” che sempre si invocano, a partire da quelle dei mercati del lavoro. Spesso utili o anche sacrosante, dice Stiglitz: ma non è stata la loro assenza a produrre la crisi, e anzi alcune di esse possono essere oggi controproducenti, per esempio quelle che abbassano i salari dei ceti più deboli riducendo ancora di più i consumi e la domanda per l’economia. E allora, che fare?
Nel sentiero stretto che secondo Stiglitz può portare alla salvezza dell’euro e dell’Europa, il primo passo tocca alla virtuosa Germania: deve aumentare i salari, per riequilibrare i pesi nell’eurozona e trainare la crescita (Keynes, ricorda il professore della Columbia, voleva una tassazione sui paesi in avanzo commerciale). Il secondo tocca a tutti: “L’euro era un progetto collettivo e si chiede ora un’azione collettiva per salvarlo”. Con ricette già circolate molto negli ultimi mesi tra gli economisti progressisti e lontano dalla cancelleria tedesca: eurobond, quadro fiscale unico, unione bancaria, politica industriale, ristrutturazione dei debiti. E un fisco contro le diseguaglianze: in tutt’Europa, dice Stiglitz collegandosi al manifesto di Thomas Piketty e altri economisti francesi , deve crescere la tassazione sulla ricchezza e sui capitali. Se non è una patrimoniale per salvare l’euro, poco ci manca.
Evita di entrare nel dettaglio di queste proposte il presidente di Confindustria Squinzi, nel discorso di chiusura della cerimonia. Della lezione del Nobel, Squinzi prende le denunce sull’austerity che non funziona e l’afflato a salvare la moneta unica. E piazza lì un appello al voto che lui stesso definisce irrituale, chiedendo a tutti di andare alle urne contro i no-euro. “Confindustria non fa mai appelli elettorali, ma questa volta mi sento di rompere una tradizione”. Segno che il livello di allarme, nella base imprenditoriale, è salito molto e si prevede che salirà, di qui al 25 maggio.
06 maggio 2014© RIPRODUZIONE RISERVATA
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