La crisi dell'Europa

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camillobenso
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I riflessi del Brexit sull’Italia

GIU 16, 2016 17 COMMENTI PUNTI DI VISTA IL NODO DI GORDIO

Miracoli dei sondaggisti: sino alla scorsa settimana in Gran Bretagna prevaleva nettamente la voglia di rimanere nell’Unione Europea poi, misteriosamente, i favorevoli alla Brexit hanno quasi raggiunto i rivali, li hanno appaiati, superati e staccati di 10 punti. Senza che fosse successo alcunché per spiegare il ribaltamento delle posizioni.

Nel frattempo si sono scatenati, sull’isola e sul continente, i catastrofisti impegnati in un esercizio di terrorismo psicologico che nulla ha risparmiato. In caso di Brexit possiamo attenderci, noi e loro, lo scioglimento del Polo Nord e la desertificazione, l’invasione delle cavallette e la moria delle balene. Il tutto accompagnato dalla povertà assoluta per l’umanità intera, la disoccupazione generale, la fame nel mondo e, soprattutto, l’aumento dei costi dell’Erasmus.



Ovvio che, di fronte a questa ondata di terrorismo mediatico, le Borse siano crollate. E quella di Milano in particolare. Perché l’immancabile esperto ha spiegato che, per qualche ragione astrusa, il Paese al mondo che sarebbe maggiormente penalizzato dalla Brexit è proprio l’Italia. Si paventano espulsioni di massa dei camerieri italiani dai ristoranti e dalle pizzerie di Londra, l’aumento delle tasse e delle tariffe (in Italia, non oltre Manica), una concorrenza spietata da parte britannica nei confronti dei prodotti del Made in Italy. I produttori di Barolo e Brunello non sembrano così preoccupati, ma evidentemente si sbagliano. Ed il crollo della Borsa lo prova.

Per approfondire: Brexit, se anche Putin vota sì

Non solo Piazza Affari, comunque. Il panico, diffuso dai media, ha provocato gli effetti voluti. Perché il dubbio è che si tratti soprattutto di speculazione. D’altronde un altro esperto ha già dichiarato, a La Gabbia, che per le Borse non sarà un problema recuperare. Per le Borse e gli speculatori no, per i risparmiatori che si sono fatti travolgere dal panico e hanno venduto, i problemi non mancheranno. Perché, come accade sempre in questi casi, sono gli speculatori a vendere ai prezzi massimi, provocando il terrore nei piccoli investitori che vendono dopo, a prezzi più bassi. E saranno sempre gli speculatori a riacquistare ai minimi mentre il “parco buoi” comincerà a ricomprare quando i prezzi saranno saliti.



Intanto la Gran Bretagna avrà votato e avrà deciso il proprio futuro. Che, comunque vada, non sarà drammatico. Le economie sono connesse al di là dell’appartenenza o meno all’Unione europea. La Svizzera non ne fa parte, ma vende e compra senza alcun problema ed i lavoratori frontalieri si spostano da una parte all’altra del confine. Sopravviveremo alla Brexit o alla permanenza di Londra nella Ue. Il rischio, in quest’ultimo caso, è che altri Paesi, a partire dalla Danimarca, chiedano di ottenere gli stessi vantaggi concessi da Bruxelles a Londra proprio per evitare l’uscita dall’Ue. Sono queste differenze a minare, nel medio periodo, la solidità dell’Unione.
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16 GIU 2016 11:10
“BREXIT” CHE VIRUS!

- OLANDESI, AUSTRIACI E CECHI PRONTI A USCIRE DALL’UNIONE EUROPEA INSIEME AGLI INGLESI

- A CAUSA DELL’OTTUSITÀ DI BRUXELLES E DEI BUROCRATI, IL VAFFA-EURO E’ DILAGATO OVUNQUE: PERSINO LA SVIZZERA RITIRA LA SIMBOLICA ADESIONE ALL’UE


La perdita del Pil olandese entro il 2030, in caso di uscita britannica dall' Ue, potrebbe essere di 10 miliardi di euro - Il governo dell' Aja è preoccupato, anche perché a aprile un chiaro segnale di insofferenza anti-Ue si è avuto con il referendum che ha visto un 60% di no all' accordo di associazione dell' Ucraina con l'Ue...


Maurizio Stefanini per “Libero quotidiano”

Per ora la battaglia referendaria in corso nel Regno Unito non ha bloccato il processo di allargamento dell' Unione Europea. È vero che l' Islanda il 12 marzo 2015 ha ritirato la domanda di adesione che aveva presentato nel 2009, ma lì era stata più che altro la crisi a tentare l' isola a provare un percorso europeo di cui si è subito pentita non appena l' economia si è ristabilita.


Sono però in corso i negoziati di adesione di Turchia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Albania, anche se in particolare l' adesione di Ankara appare problematica. E si sa che spingono per essere ammessi al club anche Bosnia-Erzegovina e Kosovo: per non parlare dell' Ucraina, le cui possibilità sono però nulle fino a quando non sarà stata riportata la stabilità. Anche la Svizzera aveva però in corso una domanda formale di adesione. Non all'Unione Europea ma alla precedente Comunità Economica Europea, visto che risale a 22 anni fa.


Ma giusto ieri sull'impressione di quel che sta accadendo Oltremanica il Consiglio degli Stati, camera alta elvetica, ha deciso il ritiro ufficiale, con 27 voti contro 13 e 2 astensioni, e approvando una mozione che la destra dell' Udc-Svp aveva già fatto approvare alla camera bassa del Consiglio Nazionale, con 126 voti contro 46 e 18 astensioni. Un atto platonico e dunque secondo i suoi avversari inutile.

«Inutile gettare benzina sul fuoco in un momento in cui le nostre relazioni con Bruxelles sono tese», ha detto il socialista Didier Berberat. Ma i sostenitori hanno invece insistito sull' opportunità di inviare un segnale chiaro al popolo, nella sua maggioranza contrario ad un' adesione.


È possibile che da Londra e Berna inizi ora un effetto domino? È stato lo stesso ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble a paventarlo, in un' intervista allo Spiegel. E proprio lui si è chiesto: «come reagirebbero per esempio i Paesi Bassi, che sono tradizionalmente molto legati al Regno Unito»?

La perdita del Pil olandese entro il 2030, in caso di uscita britannica dall' Ue, potrebbe essere di 10 miliardi di euro. Il governo dell' Aja è preoccupato, anche perché a aprile un chiaro segnale di insofferenza anti-Ue si è avuto con il referendum che ha visto un 60% di no all' accordo di associazione dell' Ucraina con l' Ue. È vero che ha votato solo il 30%, ma comunque quella quota minima è bastata a rendere la consultazione valida.

Anche nella Repubblica Ceca il sentimento anti-Ue sta montando, e i primo ministro Bohuslav Sobotka ha avvertito che se i britannici se ne vanno è quasi sicuro entro qualche anno un referendum anche da loro. Il bello è che secondo un' analisi dell' Eurobarometro i britannici sono appena al settimo posto in questo momento nella classifica di ostilità all' Ue tra i cittadini europei: li precedono, nell' ordine, greci, ciprioti, austriaci, gli stesso cechi, i francesi e i tedeschi.

E già questa graduatoria dà l' idea di quelli che potrebbero essere le prossime carte del castello a cadere. Il Fronte Nazionale ha in effetti promesso un referendum in Francia se vince le presidenziali del 2017, la Fpö farebbe un passo del genere in Austria se vince le politiche del 2018, e c' è timore anche per quello che potrebbe succedere in Italia nel 2018 con il Movimento Cinque Stelle. Quanto alla Finlandia, in questo momento il dibattito non è sull' uscita dall' Ue, ma dall' euro.


Ma spesso nella storia le secessioni portano contro-secessioni. Avvenne ad esempio dopo l' elezione di Lincoln negli Stati Uniti, quando la Virginia aderì alla Confederazione sudista, e allora il West Virginia fece secessione dai secessionisti per restare con l' Unione. Vicende analoghe si sono viste anche dopo la dissoluzione dell' Unione Sovietica e della Yugoslavia.


E oggi l' uscita del Regno Unito dall' Unione Europea può essere per i nazionalisti scozzesi l' occasione di riprendere il discorso che con la sconfitta al referendum indipendentista del 2014 per loro non è stato abbandonato ma è solo sospeso. Anche perché in caso di Brexit in Scozia temono per il loro export di whisky (valutato in 5,2 miliardi di euro) nel mercato comune europeo.
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Gb, deputata laburista ferita con coltello e arma da fuoco
La Cox, deputata laburista di 41 anni, in passato si è occupata del conflitto siriano e della questione migranti. È in ospedale e versa in gravi condizioni. Arrestato un uomo


Luca Romano - Gio, 16/06/2016 - 16:09
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Una deputata laburista britannica è stata ferita in Inghilterra settentrionale, colpita in un incidente con armi da fuoco.


Lo riferisce la Bbc. Secondo le prime informazioni circolate sui media del Regno unito, si tratterebbe di Jo Cox, di 41 anni. È successo oggi a Birstall, vicino a Leeds, in circostanze non ancora chiare. Secondo la Bbc, è stata ferita con un coltello e anche con colpi d'arma da fuoco.

L'attacco è avvenuto vicino a una biblioteca della città. La Cox è stata trasportata in elicottero all'ospedale di Leeds e sarebbe in gravi condizioni. Un testimone ha dichiarato: "Tutto a un tratto abbiamo sentito urlare. Ho visto un fiume di persone correre giù per la collina. Una signora era sul pavimento sanguinante. Un uomo ha estratto una pistola e ha sparato due colpi".

La Cox in passato si è occupata del conflitto siriano e della questione migranti. Cox si trovava nella sua circoscrizione per il consueto incontro con gli elettori.

Ha lottato con l'aggressore prima di crollare sanguinante per strada fra due automobili parcheggiate la deputata laburista britannica Jo Cox, ex attivista dell'ong Oxfam, ferita oggi vicino a Leeds. Lo ha raccontato un testimone oculare all'agenzia Pa, dicendo di aver individuato l'aggressore in un uomo con un cappello da baseball che a un certo punto, mentre la deputata cercava di tenerlo fermo, è riuscito a tirare fuori un'arma da una borsa e a sparare. Nello scontro il testimone, Hithem Ben Abdallah, ha visto coinvolto pure un altro uomo, che forse cercava di bloccare l'assalitore e che risulta pure essere stato ferito.

Secondo un testimone citato dal Telegraph, la Cox sarebbe rimasta colpita dopo essersi intromessa in una lite tra due uomini. Uno dei due avrebbe estratto una pistola dalla quale sarebbero partiti due colpi. La Cox, madre di due figli, è rimasta per alcuni minuti sanguinante a terra in attesa dell'ambulanza che l'ha poi trasportata in ospedale. L'aggressore, secondo un'altra testimonianza, sarebbe un uomo tra i 60 e i 70 anni, mentre i media britannici riportano che la polizia ha nel frattempo arrestato un uomo di 52 anni in relazione all'incidente. Un altro uomo, tra i 40 e i 50 anni di età, risulta lievemente ferito. La deputata, eletta nelle elezioni dello scorso anno nel collegio di Batley and Spen, si è schierata a favore dell'intervento militare britannico in Siria, in aperto dissenso con il leader del suo partito, Jeremy Corbyn. In passato ha lavorato per Oxfam e Save the Children.

Avrebbe gridato "Britain first" (la Gran Bretagna prima di tutto) l'uomo che oggi ha aggredito e ferito la deputata laburista Jo Cox, schierata contro la Brexit in vista del referendum britannico sull'Ue del 23 giugno e a favore dell'immigrazione. Lo riferisce l'Independent online citando un testimone.
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Siamo sicuri che la Brexit sia davvero una cattiva idea?
Gli inglesi votano contro l’Europa non per i motivi ideologici per cui i conservatori di Margaret Thatcher dicevano: no, no, no. Votano contro perché non serve. Tanto che la polemica, non solo britannica, non è sull’opportunità politica, ma sui possibili costi
Nicola Porro - Gio, 16/06/2016 - 12:36


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Nessuno può ragionevolmente sapere come andrà a finire il referendum inglese sulla permanenza nell’Unione Europea che si terrà il 23 giugno.


Ai mercati, che hanno fiuto, non è stato ancora attribuito il potere di decidere i risultati delle urne: ci dicono però che l’incertezza è massima. Gli analisti, buoni per tutte le stagioni e per tutte le opinioni, amplificano o sminuiscono i possibili effetti economici su una possibile rottura del patto a 28 Paesi, a seconda dei loro pregiudizi. I burocrati europei tremano, figli di una religione brussellese. I ministri straparlano, e in questo caso i più ciarlieri e scomposti sono i tedeschi. Eppure il fenomeno Brexit ci dice già oggi molto.

L’Europa dei Paesi continentali ha assunto negli anni una dimensione spirituale, etica: è stata inizialmente un modo per imbrigliare le pulsioni aggressive delle nazioni che la componevano. Ha avuto l’ambizione di essere una supernazione, che non è mai diventata; si è rivelata piuttosto un Superstato, con la sua burocrazia e le sue regole. L’approccio anglosassone è stato sempre pragmatico. Serve l’Europa? E a cosa? Davvero 28 Paesi stretti insieme rappresentano una potenza geopolitica in grado di contrastare Stati Uniti e Cina?

Tanto più le popolazioni europee vedono il fallimento della dimensione pratica dell’Europa (dalla gestione dell’immigrazione alla competitività del blocco economico) tanto più ne trovano insopportabili i costi. Che non sono solo di bilancio, ma anche di progressiva riduzione degli spazi di sovranità nazionale. Brexit è un favoloso esperimento, fatto nel laboratorio più concreto della nostra Comunità.

Gli inglesi votano contro l’Europa non per i motivi ideologici per cui i conservatori di Margaret Thatcher dicevano: no, no, no. Votano contro perché non serve. Tanto che la polemica, non solo britannica, non è sull’opportunità politica, ma sui possibili costi. Poca filosofia e molta ciccia. Il ministro delle Finanze tedesco ammonisce gli inglesi non già per la rottura di un patto, non cita i soliti Adenauer, Spinelli e via discorrendo, ma più prosaicamente minaccia il Regno Unito di farlo uscire dal mercato unico, dai commerci.

Così come l’establishment italiano ha sposato l’euro (che la Gran Bretagna ha rifiutato) sottovalutandone i costi, così oggi, al contrario, sottovalutiamo i costi del suo possibile abbandono. Questo è il dilemma che saranno chiamati a sciogliere gli inglesi: quanto costerà abbandonare l’Europa e, a fronte di ciò, quali benefici ne arriveranno?

A ciò si aggiunge un’ultima considerazione, questa volta solo politica. Brexit è per il Regno Unito ciò che i partiti di protesta sono diventati per l’Europa. Uno schiaffo all’establishment e a Londra che ne è la sua sublime culla. In modo trasversale la politica inglese votando «No» all’Europa, vota contro la politica laburista e conservatrice londinese dell’ultimo ventennio. Ha ragione Bastiat, dove non passano le merci passano i cannoni. Ma è anche vero che il governo dei burocrati non può essere la soluzione.
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La Bce in campo contro Brexit: "Rischio per crescita Eurozona"
Un'eventuale Brexit rappresenta un rischio per la crescita dell'Eurozona. Lo dice ripetutamente la Bce nel suo bollettino


Luca Romano - Gio, 16/06/2016 - 15:45
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Un'eventuale Brexit rappresenta un rischio per la crescita dell'Eurozona. Lo dice ripetutamente la Bce nel suo bollettino, secondo cui "i rischi al ribasso sono ancora connessi all'andamento dell'economia mondiale, all'imminente referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea e ad altri rischi geopolitici".


La stessa crescita inglese "è potenzialmente limitata dall'incertezza circa il referendum".

Le ultime stime della Bce danno una crescita dell'1,6% nel 2016 e dell'1,7% nel 2017 e nel 2018. Le proiezioni macroeconomiche per l'area dell'euro formulate nel giugno 2016 della Bce indicano un incremento annuo del Pil in termini reali pari all'1,6 per cento nel 2016 e all'1,7 per cento nel 2017 e nel 2018, ricorda l'Eurotower. Rispetto allo scorso marzo, le prospettive di crescita del Pil in termini reali sono state riviste al rialzo per il 2016 e mantenute sostanzialmente invariate per il 2017 e il 2018. Secondo la valutazione del Consiglio direttivo, i rischi per le prospettive di crescita dell'area dell'euro restano orientati verso il basso, ma risultano più equilibrati sulla scorta delle misure di politica monetaria attuate e dello stimolo che deve ancora manifestare i suoi effetti.

Il consiglio direttivo "seguirà con attenzione l’evoluzione delle prospettive per la stabilità dei prezzi e, se necessario per il conseguimento del suo obiettivo, agirà ricorrendo a tutti gli strumenti disponibili nell’ambito del suo mandato".

Brexit, Cameron invita a votare no
Il premier britannico, David Cameron, ha chiesto di "non mettere a rischio" il futuro e la stabilità economica del Regno Unito votando a favore del Brexit e ha accusato chi chiede di uscire dall'Ue di avere interessi politici. In un articolo pubblicato oggi sul giornale The Times, il capo del governo è tornato a concentrarsi sull'aspetto economico per convincere l'elettorato dell'importanza di votare per la permanenza di Londra nell'Unione europea nel referendum del 23 giugno. Nell'articolo, intitolato "Siamo più forti dentro e rischiamo tutto se votiamo per uscire", il leader conservatore afferma che il gruppo che appoggia il Brexit "è impegnato a tirare i dadi" per scommettere in un "gioco pericoloso" a fini politici."Io dico: non rischiamo. Non rischiare il tuo lavoro. Non rischiare il nostro livello di vita. Non rischiare il nostro futuro. Non prendere la mano e fare un salto nel vuoto. Pensa al neolaureato che affronta un decennio di incertezza", ha scritto Cameron. Nell'argomentare la sua posizione, il premier tory sottolinea che il mercato unico è una "fonte di forza", mentre il Regno Unito gode di una relazione speciale perché non ha l'euro come moneta ed è fuori dalla zona Schengen, senza controlli di confine. Avverte che uscire dal mercato unico colpirà gli scambi commerciali. "Quando le imprese vendono meno, impiegano meno gente. Quando gli ordini diminuiscono, la nostra economia si contrae", ha aggiunto. La pubblicazione dell'articolo giunge dopo che diversi sondaggi indicano che l'appoggio alla campagna pro Brexit è aumentato e supera chi preferisce la permanenza nell'Ue.

Padoan, rischi per l'Italia
L'Italia, essendo in Europa, è "esposta" ai rischi derivanti da un'eventuale uscita della Gran Bretagna dall'Ue, come tutto il resto del continente. Lo dice il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, prima di partecipare all'Eurogruppo, a Lussemburgo. Il tema della Brexit, afferma il ministro, "non è all'ordine del giorno" dell'Eurogruppo. Potrebbe però essere affrontato in via informale: "Certamente la Brexit prende il pensiero di tutti noi in questi giorni, quindi...capita", replica. "La Brexit è un rischio anche economico, sicuramente, non c'è dubbio. In una situazione in cui l'economia globale continua ad avere elementi di incertezza, questa ne aggiunge un altro abbastanza importante", aggiunge. E l'Italia - aggiunge - "in quanto integrata nel sistema internazionale è esposta a questi rischi: non perché c'è un particolare rischio Italia a seguito della Brexit, ma perché fa parte dell'Europa, e quindi della zona immediatamente più esposta", conclude il ministro.
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-7 AL VOTO



ZONAEURO

Brexit, come sarebbe l’Europa del 2026
Zonaeuro
di Lavoce.info | 16 giugno 2016
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Cosa sarà dell’Europa se vince la Brexit? Le differenze culturali, politiche ed economiche tra i diversi paesi membri potrebbero accentuarsi ancora di più, fino ad arrivare al dissolvimento dell’Unione e alla formazione di due blocchi in contrasto fra loro. Uno scenario immaginario, ma non troppo.

di Gianni De Fraja * (fonte: lavoce.info)

23 giugno 2026

Ieri, 23 giugno 2026, era il decimo anniversario della vittoria a sorpresa del referendum per l’uscita dall’Unione Europea di quello che allora si chiamava Regno Unito. È quindi di profondo valore simbolico la data scelta dal primo ministro del Resto del Regno Unito, Boris Johnson, fiancheggiato dal suo ministro degli esteri Nigel Farage, per la firma dell’accordo per l’ingresso del Ruk nell’Associazione dell’Europa Baltica, presieduta da Angela Merkel. Il referendum confermativo dell’accordo, programmato per il mese prossimo, sarà una pura formalità: i sondaggi indicano una maggioranza a favore addirittura superiore a quel 68 per cento che in marzo portò la Scozia nell’Aeb.



Due Europe

Si chiude così in modo definitivo la scissione dell’Europa in due blocchi economicamente e culturalmente separati. Nonostante entrambi i blocchi avessero alacremente corteggiato l’Inghilterra, l’interesse dimostrato da Johnson per l’Unione del Mediterraneo del Nord si è rivelato spudoratamente tattico, volto a ottenere le migliori condizioni possibili nelle negoziazioni con Merkel. Da ieri, i due blocchi hanno esattamente lo stesso numero di membri e ciascuno la metà esatta dei 28 membri della vecchia Ue, che raggiunse la massima dimensione storica dopo l’adesione della Croazia nel 2013. Simbolico anche il fatto che ognuno dei due blocchi contiene tre dei sei membri fondatori dell’originale comunità del carbone e dell’acciaio; la simmetria è mantenuta anche dalle scelte delle quattro nazioni formatisi in seguito a secessioni da paesi membri, una tra le molte conseguenze dell’inaspettato voto del 2016.

La firma dell’accordo mette fine a un periodo della storia europea iniziato con le conversazioni, in tedesco, tra Robert Schuman, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer, che dettero il via all’unificazione l’Europa dopo i traumi delle guerre della prima metà del secolo scorso. Prima del referendum di dieci anni fa, c’erano stati segni premonitori, eventi che, con il senno del poi, erano chiari segnali che la fine del periodo di unità era un rischio presente e reale. La vecchia Unione si dimostrò infatti incapace di creare un piano coerente per gestire l’emergenza determinata dai profughi delle guerre civili nel medio oriente e nel corno d’Africa, il cui numero complessivo, pur grande in assoluto, era meno di un minuscolo 0,5 per cento della popolazione europea.

Prima ancora, l’Unione si era dimostrata incapace di proporre soluzioni sensate alla crisi economica della Grecia. Dopo la Brexit, la vecchia Unione Europea smise di attrarre nuovi membri, tutti si bloccarono in un gioco di attesa, nel sospetto, poi confermato dai fatti, che il continente si sarebbe diviso: i potenziali entranti attendevano la spaccatura, per decidere poi in quale blocco entrare, mentre ciascuno dei 28 membri aspettava che qualcun altro facesse la prima mossa. La morte dell’Ue fu davvero annunciata quando si rifiutò di appoggiare la feroce guerra all’Isis condotta da Hillary Clinton.

E ancor più due anni dopo, quando i suoi leader, intenti solo ad arruolare nel loro blocco i membri non ancora schierati, chiamarono “cassandre” i pochi che avevano intuito le intenzioni di Vladimir Putin e poi osservarono paralizzati l’esercito di Mosca annettere indisturbato le otto regioni orientali “dell’Ucraina russa”. L’inerzia fu un mortale dilemma del prigioniero, in cui la soluzione migliore per l’Europa era troppo costosa per ciascuno dei due blocchi preso a sé, nonostante fosse ovvio a tutti che le promesse dell’inesperta neo-presidente Sarah Palin di opporsi con fermezza al bullismo russo valessero meno di quelle di un marinaio ubriaco.

Davvero così separati?

Gli storici del futuro continueranno a immaginare scenari diversi, in cui il drammatico fallito attentato al principe Carlo due giorni prima del referendum non avviene, o in cui almeno 7.451 elettori non cambiano idea in conseguenza, e la Brexit è respinta. Per parte loro, i complottisti continueranno a insistere che qualcuno nei servizi segreti abbia scelto di non prevenire l’attentato nonostante le informazioni raccolte dagli infiltrati nel gruppo terrorista.

Certo, le differenze tra due visioni del mondo prevalenti nella popolazione e nelle élite politiche, culturali ed economiche delle nazioni d’Europa hanno sempre reso difficile formare politiche che accontentassero tutti, e le scelte radicalmente diverse fatte dai due blocchi in campi disparati, quali l’adesione al Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), l’atteggiamento verso i vaccini, il diritto di adottare per coppie gay e lesbiche, il commercio di cibi ogm, il peso relativo dei diritti individuali di fronte ai poteri statali, suggeriscono che una divisione della vecchia Ue sarebbe forse avvenuta comunque. Ma, è altrettanto possibile che un deciso voto britannico a favore dell’Ue avrebbe dimostrato al resto dell’Europa, e del mondo, che anche la nazione più euroscettica valutava i benefici di lungo periodo decisamente superiori ai costi e avrebbe riacceso l’entusiasmo nel resto del continente e cambiato così il corso della storia del XXI secolo.

*Ha conseguito il dottorato a Siena nel 1987 e il DPhil a Oxford nel 1990; è attualmente professore ordinario di Economia a tempo parziale presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e presso l’University of Nottingham ed è Research Fellow al Cepr. In passato è stato professore ordinario a York e a Leicester, e visiting scholar a Tokyo, Bonn, e Barcellona. La sua recente ricerca si è soffermata sulle aree dell’economia dell’istruzione, economia del lavoro, economia industriale, coprendo sia aspetti teorici, sia applicazioni empiriche. La sua attività di ricerca si è concentrata sulla pubblicazione di articoli accademici in riviste internazionali. È stato direttore di dipartimento a Leicester, e co-ordinatore del dottorato a York, Leicester e Nottingham, e membro del GEV13 per la VQR 2016.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... 6/2828799/
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Uk, uomo spara e accoltella deputata laburista Jo Cox: è grave. Sospese campagne su referendum Brexit
Mondo
La parlamentare attaccata in strada vicino a Leeds, intervenuta nel corso di una lite tra due uomini. Uno di loro ha estratto una pistola dalla borsa e l'ha colpita. Cameron: "Molto preoccupato". Il sindaco di Londra Khan: "Scioccato"
di F. Q. | 16 giugno 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... qus_thread
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Re: La crisi dell'Europa

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QUESTO PAZZO, PAZZO, PAZZO MONDO.

MANCAVA SOLO IL TRIBUTO DI SANGUE


16 GIU 2016 16:22
LA BREXIT SI TINGE DI SANGUE

- ACCOLTELLATA UNA DEPUTATA LABURISTA CHE FACEVA CAMPAGNA PER IL 'REMAIN', DA UN UOMO CHE GRIDAVA ''BRITAIN FIRST!'' (ARRESTATO)

- JO COX HA LOTTATO CON L'AGGRESSORE, ORA È IN FIN DI VITA

- SOSPESE LE DUE CAMPAGNE, JOHNSON ORRIPILATO, CORBYN SCIOCCATO, CAMERON 'PREOCCUPATO'


Avrebbe gridato "Britain first" (la Gran Bretagna prima di tutto) l'uomo che oggi ha aggredito e ferito la deputata laburista Jo Cox, schierata contro la Brexit in vista del referendum britannico sull'Ue del 23 giugno e a favore dell'immigrazione - L'ex sindaco di Londra: ''Un fatto assolutamente orribile''...

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 126912.htm
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Re: La crisi dell'Europa

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IL PUNTO DI VISTA DI LORETTA NAPOLEONI DI QUALCHE GIORNO FA:


Brexit, tutti pronti per la catastrofe. Ma non fate appelli al ‘buon senso’ degli inglesi


Economia Occulta
di Loretta Napoleoni | 12 giugno 2016
COMMENTI (100)

Loretta Napoleoni
Economista
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Chi ha paura della Brexit? Viene spontaneo rispondere: gli stessi che hanno paura di Virginia Woolf – la celeberrima rappresentazione teatrale riguardo alla fine del matrimonio di una coppia di mezza età – e cioè chi, semplicemente, temendo il cambiamento per motivi di conformità, sarebbe disposto a rimanere dentro un matrimonio che non funziona.

Certamente non gli inglesi che, nonostante i decenni di europeismo, mantengono la loro storica flemma anche di fronte ai crolli in borsa legati alle aspettative del divorzio da Bruxelles.

La notizia bomba, lanciata dall’Independent alla fine di questa settimana, secondo cui il fronte della Brexit è a 10 punti di vantaggio rispetto a quello europeista, ha fatto affondare le borse europee.

E fin qui non c’è nulla da dire, tutti sanno che l’uscita della seconda economia dell’Unione Europea – poiché ormai il Regno Unito de facto ha superato la Francia di Hollande – avrà ripercussioni disastrose sugli equilibri finanziari dell’Ue.

Ma un’attenta analisi degli indici di borsa ci dice che la piazza affari che è scesa meno delle altre è proprio quella di Londra.

Ed ecco i dati: Londra, – 1,7 per cento; Madrid – 2,6 per cento, Francoforte – 2,3 per cento; Parigi – 2 per cento; e come al solito il crollo massimo si è registrato a Milano – 3,6 per cento.


I blog finanziari londinesi, quelli riservati ai pochi eletti, come pure le riunioni a porte chiuse dei big della finanza britannica, anche loro sempre a porte chiuse, sono da mesi concentrati sugli effetti della Brexit, e tutti concordano che la catastrofe finanziaria, seguita a ruota da quella economica, sarà maggiore nel “continente” che nelle isole britanniche.

E questo spiega il coro internazionale di voci “che contano” che si è levato a favore della permanenzanell’Unione.

Mai nella storia contemporanea ci eravamo trovati di fronte ad una gamma così vasta di opinioni identiche: il Regno Unito deve rimanere nell’Unione a tutti i costi, anche contro la volontà dei propri cittadini, per il bene del mondo intero, dell’economia mondiale ecc. ecc.

Certo, nella City, pochi auspicano l’avvento di uno scenario apocalittico à la Brexit; i mercati e chi li governa vogliono la stabilità, ma pochi ormai considerano quella attuale una situazione stabile, un sentimento, questo, che è condiviso dalla maggior parte della popolazione britannica.

L’opinione dominante è infatti che nei prossimi anni l’Unione si spaccherà, imploderà, perché è ormai un’istituzione anacronistica.

Quindi, istintivamente il popolo inglese vuole uscirne.

Non è poi detto che la Brexit si riveli una catastrofe.
Potrebbe invece mettere in moto unmeccanismo di revisione dell’Ue, benefico nel lungo periodo, e salvare l’Europa ed il mondo dall’implosione ‘naturale’ di questa istituzione nei prossimi anni.

Ma agli inglesi tutto ciò importa poco, il popolo di sua maestà è solo concentrato sul futuro del proprio paese.

E’ possibile, anzi è probabile, che il 23 giugno la maggioranza degli inglesi voterà con il cuore, ascoltando il proprio istinto, invece che usando la testa.

Matteo Renzi, che parla l’inglese come Alberto Sordi nel celeberrimo film Un Americano a Roma, pensa il contrario: “Alla fine prevarrà il buon senso”.

Una frase che conferma la sua scarsa conoscenza del popolo britannico.

Il buon senso britannico, infatti, non ha nulla a che vedere con quello europeo ed in particolare con quello italiano.

Lo spirito indipendentista, isolazionista e nazionalista britannico non ha nulla di razionale, e certamente non può essere definito un esempio di buon senso, al contrario il concetto di “non mi piego finché non mi spezzo”, sul quale Churchill costruì tutta la sua retorica bellica, rasenta l’assurdo.

L’interazione con l’Unione Europea non ha tanto fiaccato questo spirito, anche se nei giovani è meno forte.

Ed infatti le proiezioni mostrano che man mano che sale l’età, aumenta l’appoggio alla Brexit.

Il divario generazionale ha ben poco a che vedere con la campagna elettorale a favore o contro la Brexit, anche perché è condotta male, con grande dispiego di bugie propagandistiche e dati inventati.

Alla radice delle due visioni c’è un’opinione costruita negli ultimi decenni, non in base alle parole dei politici o alle previsioni di mercato, ma dei fatti.

E questi ultimi non sono a favore di un’Unione forte e duratura.

Sulla base di queste caratteristiche sui generis della popolazione britannica, pochi vorranno restare in Europa, perché temono la catastrofe.

Ciò che gli europei non comprendono è che questo tipo di slogan ha l’effetto opposto.

Se infatti fosse vero che l’uscita danneggerebbe l’Ue ed il Regno Unito, allora per molti inglesi l’Unione è stata un errore, perché le condizioni secondo le quali la nazione vi è entrata erano ben diverse, e cioè movimento libero di merci e personee nulla più, e vorrebbe dire che non sono state rispettate.

Il consiglio, di chi vive da più di quaranta anni nel Regno Unito, ai vari politici e burocrati internazionali è il seguente: non vi preoccupate del Regno Unito, il popolo di sua maestà sa badare a se stesso, piuttosto preoccupatevi dei vostri cittadini e della catastrofe che si potrebbe abbattere sulle vostre finanze.

Fossi in Renzi, invece di fare comizi anti Brexit, lavorerei alacremente al piano B di salvataggio delle banche italiane, non dimentichiamoci che la Banca d’Inghilterra è uno degli azionisti di maggioranza della Bce.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... i/2819895/
iospero
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da iospero »

verso IL REFERENDUM
Brexit, Osborne: «Il conto di uscita
sarebbe da 30 miliardi di sterline»


Il cancelliere dello Scacchiere presenta ai Comuni una prospettiva choc in caso di uscita
Ma la fronda dei conservatori favorevoli al «Leave» minaccia di boicottare il suo piano
di Paola De Carolis - corriere.it



LONDRA - Un bilancio d’emergenza per far fronte alla Brexit. Il cancelliere dello scacchiere George Osborne, braccio destro di David Cameron non solo nel governo ma anche nel referendum, ha presentato ai Comuni il piano che, sostiene, sarà costretto a implementare per far fronte al buco da 30 miliardi di sterline che creerebbe l’uscita dall’Unione Europea. Un incremento delle imposte del 2 o 3% a seconda del reddito, un aumento delle tasse di successione e tagli nella spesa pubblica: «Lasciare l’Ue – ha detto – significherebbe in termini molto semplici meno soldi».
L’ala dei conservatori pro Brexit
Doveva essere un messaggio per quel 9% degli elettori ancora indecisi, ma l’efficacia delle proiezioni del cancelliere, per quanto dolorose, è stata smontata già in mattinata da una lettera firmata da 59 deputati conservatori, ai quali nel pomeriggio se ne sono aggiunti altri dieci. Una misura del genere non passerebbe ai Comuni. Loro voterebbero contro. «È irresponsabile mandare un messaggio simile ai cittadini e ai mercati», ha accusato il conservatore Ian Duncan Smith, sino a poche settimane fa ministro per il lavoro e le pensioni.
Il tiepido sostegno di Corbyn
Osborne non si è lasciato intimorire. «L’unica cosa peggiore di una misura d’emergenza sarebbe non introdurne una», ha risposto. «L’impatto economico di un’uscita dall’Ue si farà sentire». Non è un caso, dopotutto, che gli economisti si augurino quasi all’unanimità che vinca il Remain. I conti di Osborne, però, hanno trovato pochi consensi. Lo stesso Jeremy Corbyn, che dovrebbe essere un alleato nella campagna sul referendum, ha detto che il Labour voterebbe contro un bilancio per l’austerity. Dall’altra parte dell’Atlantico il governatore della Federal Reserve, Janet Yellen, ha detto che tra i motivi della decisione di non alzare i tassi c’è anche quello di aspettare l’esito del referendum britannico. Il Fondo Monetario Internazionale ha invece iniziato a prospettare i grandi rischi per i mercati finanziari in caso di Brexit.LONDRA - Un bilancio d’emergenza per far fronte alla Brexit. Il cancelliere dello scacchiere George Osborne, braccio destro di David Cameron non solo nel governo ma anche nel referendum, ha presentato ai Comuni il piano che, sostiene, sarà costretto a implementare per far fronte al buco da 30 miliardi di sterline che creerebbe l’uscita dall’Unione Europea. Un incremento delle imposte del 2 o 3% a seconda del reddito, un aumento delle tasse di successione e tagli nella spesa pubblica: «Lasciare l’Ue – ha detto – significherebbe in termini molto semplici meno soldi».
L’ala dei conservatori pro Brexit
Doveva essere un messaggio per quel 9% degli elettori ancora indecisi, ma l’efficacia delle proiezioni del cancelliere, per quanto dolorose, è stata smontata già in mattinata da una lettera firmata da 59 deputati conservatori, ai quali nel pomeriggio se ne sono aggiunti altri dieci. Una misura del genere non passerebbe ai Comuni. Loro voterebbero contro. «È irresponsabile mandare un messaggio simile ai cittadini e ai mercati», ha accusato il conservatore Ian Duncan Smith, sino a poche settimane fa ministro per il lavoro e le pensioni.
Il tiepido sostegno di Corbyn
Osborne non si è lasciato intimorire. «L’unica cosa peggiore di una misura d’emergenza sarebbe non introdurne una», ha risposto. «L’impatto economico di un’uscita dall’Ue si farà sentire». Non è un caso, dopotutto, che gli economisti si augurino quasi all’unanimità che vinca il Remain. I conti di Osborne, però, hanno trovato pochi consensi. Lo stesso Jeremy Corbyn, che dovrebbe essere un alleato nella campagna sul referendum, ha detto che il Labour voterebbe contro un bilancio per l’austerity. Dall’altra parte dell’Atlantico il governatore della Federal Reserve, Janet Yellen, ha detto che tra i motivi della decisione di non alzare i tassi c’è anche quello di aspettare l’esito del referendum britannico. Il Fondo Monetario Internazionale ha invece iniziato a prospettare i grandi rischi per i mercati finanziari in caso di Brexit.


Non so se gli inglesi resteranno indifferenti a fronte di un aumento delle tasse e a un calo del livello di vita
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