ITALIA-EMERGENZA LAVORO
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
Il problema dei nuclei familiari che non percepiscono reddito è esploso su tutti i quotidiani di stamani.
Ha twittato qualcosa questa mattina presto il Bomba, circa queste famiglie senza reddito?
l’Unità 22.4.14
Boom delle famiglie di disoccupati: +18%
Sono oltre un milione i nuclei in cui nessuno dei componenti percepisce un reddito da lavoro
In metà dei casi si tratta di coppie con figli Aumento record solo nell’ultimo anno
di M. V.
La disoccupazione e le famiglie senza reddito da lavoro sono ovviamente due facce della stessa medaglia. Ed anche nel 2013 non si è trattato di un bel vedere, come ci ha ricordato ieri l’Istat relativamente al secondo aspetto, con una fotografia sociale drammatica. L’anno scorso, infatti, è aumentata ancora l’entità dei nuclei familiari dove tutti i componenti attivi sono «in cerca di lavoro», come li definisce l’Istituto di Statistica, o con più cruda terminologia, disoccupati. Ormai oltre un milione di famiglie risultano essere senza reddito da lavoro, con un incremento percentuale di ben il 18%. In particolare, se nel 2012 si contavano 955.000 nuclei in questa condizione, soltanto dodici mesi dopo risultano essere diventati 1.130.000, quindi con un incremento numerico pari a 175.000 unità. Tra questi quasi mezzo milione (491.000) è relativo a famiglie che sono composte da coppie con figli. Invece, sono 213.000 i nuclei privi di redditi con un monogenitore, 295.000 quelli con la presenza di single e 83.000 le famiglie composte da coppie senza figli. Altro dato statistico che indica la gravità della situazione è il raffronto fra il 2013 ed il 2011, con il rialzo delle famiglie in cerca di lavoro che nel biennio supera addirittura il 50%, attestandosi al 56,5%.
Ragionando in termini geografici, la maggiore situazione di difficoltà emerge ancora una volta nel Mezzogiorno, dove risultano 598mila famiglie con tutti i componenti attivi privi di un impiego. Seguono il Nord, che ha 343mila nuclei familiari in queste condizioni, e il Centro, con 189mila. Specchio fedele della situazione è la fotografia inversa, ovvero quella che riguarda le famiglie nelle quali tutti i componenti che partecipano al mercato del lavoro hanno un'occupazione. In questo caso il numero è pari a 13 milioni 691 mila, in calo di 281 mila unità (-2%). Per quanto attiene le situazioni più critiche nell’ambito delle famiglie prive di reddito, dovrebbero riguardare soprattutto le coppie con figli, quasi mezzo milione, a cui si aggiungono quelle dei nuclei monogenitore, dove nella gran parte dei casi il solo capofamiglia è una donna, o meglio una mamma. Va inoltre sottolineato che in tutte le case dove i membri attivi sul mercato del lavoro non hanno un impiego i “rimedi” per arrivare alla fine del mese possono essere di vario tipo. Ad esempio, in assenza di stipendi il supporto può arrivare dal componente, e può essere anche più di uno, che gode di un trattamento pensionistico. Un'altra ipotesi di sostegno potrebbe coincidere con il percepimento di un'indennità di disoccupazione; ed ancora con rendite da capitale, come può accadere a coloro che hanno delle abitazioni o dei locali in affitto.
IL BOOM DEI DISCOUNT
Il lunedì festivo ha registrato la diffusione di un altro dato significativo, relativo questa volta all’andamento dei consumi. L’inizio del 2014 conferma il diffondersi della spesa “low cost”. Ben 5 italiani su 7 hanno provato almeno una volta i discount nel primo trimestre di quest'anno, confermando una tendenza cresciuta con la recessione e consolidatasi nel 2013. A registrarlo è un rapporto del Centro studi Unimpresa, che ha condotto un'analisi a campione tra i 18mila esercizi commerciali associati. La recessione, secondo l'associazione, «ha ormai radicalmente alterato le abitudini al supermercato: il 71,5% degli italiani fa economia e così rispetto al primo trimestre dello scorso anno sono più che raddoppiati, tra gennaio e marzo, gli acquisti relativi a offerte speciali ».
Un impresa sottolinea che «dagli alimenti alle bevande, ma anche prodotti per la casa e abbigliamento, gli sconti fanno gola a tutti e sono la risposta fai-da-te delle persone alla crisi. Nel carrello della spesa degli italiani finiscono con sempre maggiore frequenza rispetto al passato prodotti offerti sugli scaffali con sconti, specie quelli con ribassi dei prezzi superiori anche oltre il 30% rispetto al listino ufficiale». Ed ancora, «gli acquisti low cost nel primo trimestre del 2014 sono cresciuti del 60%. L'attenzione alle offerte speciali porta i consumatori a fare una vera e propria incetta di beni a basso costo: i cittadini ormai puntano le promozioni e nelle buste della spesa finisce soltanto quanto è proposto in offerta, mentre restano sugli scaffali dei supermercati e dei piccoli negozi su strada tutti gli altri prodotti. Obiettivo che si raggiunge soprattutto con la lettura ormai quotidiana di volantini: gli italiani li consultano sempre di più alla ricerca di sconti e prezzi bassi».
Ha twittato qualcosa questa mattina presto il Bomba, circa queste famiglie senza reddito?
l’Unità 22.4.14
Boom delle famiglie di disoccupati: +18%
Sono oltre un milione i nuclei in cui nessuno dei componenti percepisce un reddito da lavoro
In metà dei casi si tratta di coppie con figli Aumento record solo nell’ultimo anno
di M. V.
La disoccupazione e le famiglie senza reddito da lavoro sono ovviamente due facce della stessa medaglia. Ed anche nel 2013 non si è trattato di un bel vedere, come ci ha ricordato ieri l’Istat relativamente al secondo aspetto, con una fotografia sociale drammatica. L’anno scorso, infatti, è aumentata ancora l’entità dei nuclei familiari dove tutti i componenti attivi sono «in cerca di lavoro», come li definisce l’Istituto di Statistica, o con più cruda terminologia, disoccupati. Ormai oltre un milione di famiglie risultano essere senza reddito da lavoro, con un incremento percentuale di ben il 18%. In particolare, se nel 2012 si contavano 955.000 nuclei in questa condizione, soltanto dodici mesi dopo risultano essere diventati 1.130.000, quindi con un incremento numerico pari a 175.000 unità. Tra questi quasi mezzo milione (491.000) è relativo a famiglie che sono composte da coppie con figli. Invece, sono 213.000 i nuclei privi di redditi con un monogenitore, 295.000 quelli con la presenza di single e 83.000 le famiglie composte da coppie senza figli. Altro dato statistico che indica la gravità della situazione è il raffronto fra il 2013 ed il 2011, con il rialzo delle famiglie in cerca di lavoro che nel biennio supera addirittura il 50%, attestandosi al 56,5%.
Ragionando in termini geografici, la maggiore situazione di difficoltà emerge ancora una volta nel Mezzogiorno, dove risultano 598mila famiglie con tutti i componenti attivi privi di un impiego. Seguono il Nord, che ha 343mila nuclei familiari in queste condizioni, e il Centro, con 189mila. Specchio fedele della situazione è la fotografia inversa, ovvero quella che riguarda le famiglie nelle quali tutti i componenti che partecipano al mercato del lavoro hanno un'occupazione. In questo caso il numero è pari a 13 milioni 691 mila, in calo di 281 mila unità (-2%). Per quanto attiene le situazioni più critiche nell’ambito delle famiglie prive di reddito, dovrebbero riguardare soprattutto le coppie con figli, quasi mezzo milione, a cui si aggiungono quelle dei nuclei monogenitore, dove nella gran parte dei casi il solo capofamiglia è una donna, o meglio una mamma. Va inoltre sottolineato che in tutte le case dove i membri attivi sul mercato del lavoro non hanno un impiego i “rimedi” per arrivare alla fine del mese possono essere di vario tipo. Ad esempio, in assenza di stipendi il supporto può arrivare dal componente, e può essere anche più di uno, che gode di un trattamento pensionistico. Un'altra ipotesi di sostegno potrebbe coincidere con il percepimento di un'indennità di disoccupazione; ed ancora con rendite da capitale, come può accadere a coloro che hanno delle abitazioni o dei locali in affitto.
IL BOOM DEI DISCOUNT
Il lunedì festivo ha registrato la diffusione di un altro dato significativo, relativo questa volta all’andamento dei consumi. L’inizio del 2014 conferma il diffondersi della spesa “low cost”. Ben 5 italiani su 7 hanno provato almeno una volta i discount nel primo trimestre di quest'anno, confermando una tendenza cresciuta con la recessione e consolidatasi nel 2013. A registrarlo è un rapporto del Centro studi Unimpresa, che ha condotto un'analisi a campione tra i 18mila esercizi commerciali associati. La recessione, secondo l'associazione, «ha ormai radicalmente alterato le abitudini al supermercato: il 71,5% degli italiani fa economia e così rispetto al primo trimestre dello scorso anno sono più che raddoppiati, tra gennaio e marzo, gli acquisti relativi a offerte speciali ».
Un impresa sottolinea che «dagli alimenti alle bevande, ma anche prodotti per la casa e abbigliamento, gli sconti fanno gola a tutti e sono la risposta fai-da-te delle persone alla crisi. Nel carrello della spesa degli italiani finiscono con sempre maggiore frequenza rispetto al passato prodotti offerti sugli scaffali con sconti, specie quelli con ribassi dei prezzi superiori anche oltre il 30% rispetto al listino ufficiale». Ed ancora, «gli acquisti low cost nel primo trimestre del 2014 sono cresciuti del 60%. L'attenzione alle offerte speciali porta i consumatori a fare una vera e propria incetta di beni a basso costo: i cittadini ormai puntano le promozioni e nelle buste della spesa finisce soltanto quanto è proposto in offerta, mentre restano sugli scaffali dei supermercati e dei piccoli negozi su strada tutti gli altri prodotti. Obiettivo che si raggiunge soprattutto con la lettura ormai quotidiana di volantini: gli italiani li consultano sempre di più alla ricerca di sconti e prezzi bassi».
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
l’Unità 22.4.14
Chiara Saraceno «Aumento drammatico, il tenore di vita è in picchiata»
«Anche nel caso di una ripresa dell’economia, per riparare i profondi danni sociali prodotti dalla crisi servirà molto tempo»
di Marco Ventimiglia
«Sì, ho letto questi ultimi dati diffusi dall’Istat. Si tratta, purtroppo, degli ennesimi numeri drammatici, anche se ho visto che l’enfasi maggiore viene posta sul numero di famiglie prive di reddito da lavoro che ha ormai superato il milione. Su questo occorre intendersi, poiché all’interno di questi nuclei possono anche esserci dei pensionati che in qualche modo alleviano la condizione di disagio. Piuttosto è l’aumento percentuale nell’ultimo anno a spaventare di più». Chiara Saraceno, sociologa ed esperta in problemi della famiglia, cerca subito di guardare oltre la crudezza dell’indagine statistica, peraltro ennesima fotografia di una crisi che non molla la presa.
Dunque è la crescita del 18% delle famiglie senza reddito a meritare maggiore attenzione?
«Sì, nel senso che rappresenta il numero che più degli altri segnala un deterioramento della situazione, una tendenza ancora molto forte nel 2013. Un dato che purtroppo non mi sorprende, e che anzi va di pari passo con il calo dei consumi e la continua crescita della disoccupazione, specie quella giovanile. In quest’ultimo caso, poi, siamo di fronte ad un’autentica emergenza generazionale che non riguarda soltanto la fascia degli under 24, dove c’è comunque una rilevante percentuale di studenti, ma soprattutto coloro che sono compresi fra i 25 ed i 34 anni d’età, per i quali spesso non esiste alcuna prospettiva occupazionale».
Ma qual è il costo sociale di questo incremento della povertà?
«Occorre distinguere, a cominciare da chi si trova nello stato di disoccupazione. Se a venir meno è un reddito secondario del nucleo familiare, in Italia spesso garantito dalle donne e in misura minore dai figli rimasti ancora a casa, l’impatto è talvolta più nei comportamenti delle persone che non sul tenore di vita vero e proprio. Se invece a perdere il lavoro è il principale percettore di reddito della famiglia, allora l’emergenza è innanzitutto economica, con la conseguente grande fatica ad affrontare i problemi della quotidianità, dal carrello della spesa al sostentamento scolastico dei figli. Per fortuna, a vari anni dall’inizio della crisi, ancora sono in atto dei fenomeni che danno un po’ di sollievo alle famiglie più in difficoltà»
A che cosa si riferisce?
«Penso al ruolo degli anziani nei nuclei familiari, che a volte può persino emergere in modo curioso a livello statistico. Mi riferisco, ad esempio, ai dati che hanno più volte segnalato una tenuta dei consumi da parte delle persone più avanti con gli anni a fronte del marcato calo complessivo. Salvo scoprire, andando nel dettaglio, alcuni acquisti singolari, come quello dei pannolini... Insomma, l’anziano si trova sempre più spesso a consumare per conto terzi».
Fenomeni che in qualche modo confermano una convinzione diffusa, quella delle famiglie italiane più capaci di altre nel fare quadrato di fronte alla crisi.
«Questo è vero fino a un certo punto. O meglio, lo abbiamo visto chiaramente nella prima fase della crisi mentre adesso la situazione è purtroppo diversa. Infatti, nei primi due/tre anni di difficoltà non si è assistito ad un aumento significativo della povertà, piuttosto a diminuire era la capacità di risparmio delle famiglie. Si metteva mano al salvadanaio nella convinzione che l’emergenza non sarebbe durata a lungo. Convinzione peraltro alimentata anche da chi governava il Paese».
Poi, che cosa è cambiato?
«È via via subentrata la consapevolezza dell’estensione temporale della crisi, mentre ad essere falcidiati sono stati sempre più i redditi principali delle famiglie piuttosto che i secondari, venuti meno nella fase iniziale. Da qui il balzo molto forte di tutti gli indicatori della povertà. Una fase che purtroppo è ancora in atto».
Se anche ritornasse improvvisamente il tempo sereno da un punto di vista economico, quanto tempo sarebbe necessario per riparare i danni sociali?
«Molto, molto di più. E questo essenzialmente per tre ragioni.
Intanto ricordiamoci che negli anni pre-crisi, prima del 2008, la crescita italiana era già asfittica, inferiore a quelle delle altre nazioni europee.
Poi, c’è un motivo strutturale: in questi anni sono state distrutte delle tipologie d’impiego che comunque non ritorneranno più, indipendentemente dall’andamento del Pil, con il materializzarsi di una crescita senza occupazione.
Infine, c’è un evidente problema generazionale. I giovani che così tanto stanno patendo, nel momento di una ripartenza economica rischiano di scoprirsi già vecchi, scavalcati dalle successive generazioni».
Chiara Saraceno «Aumento drammatico, il tenore di vita è in picchiata»
«Anche nel caso di una ripresa dell’economia, per riparare i profondi danni sociali prodotti dalla crisi servirà molto tempo»
di Marco Ventimiglia
«Sì, ho letto questi ultimi dati diffusi dall’Istat. Si tratta, purtroppo, degli ennesimi numeri drammatici, anche se ho visto che l’enfasi maggiore viene posta sul numero di famiglie prive di reddito da lavoro che ha ormai superato il milione. Su questo occorre intendersi, poiché all’interno di questi nuclei possono anche esserci dei pensionati che in qualche modo alleviano la condizione di disagio. Piuttosto è l’aumento percentuale nell’ultimo anno a spaventare di più». Chiara Saraceno, sociologa ed esperta in problemi della famiglia, cerca subito di guardare oltre la crudezza dell’indagine statistica, peraltro ennesima fotografia di una crisi che non molla la presa.
Dunque è la crescita del 18% delle famiglie senza reddito a meritare maggiore attenzione?
«Sì, nel senso che rappresenta il numero che più degli altri segnala un deterioramento della situazione, una tendenza ancora molto forte nel 2013. Un dato che purtroppo non mi sorprende, e che anzi va di pari passo con il calo dei consumi e la continua crescita della disoccupazione, specie quella giovanile. In quest’ultimo caso, poi, siamo di fronte ad un’autentica emergenza generazionale che non riguarda soltanto la fascia degli under 24, dove c’è comunque una rilevante percentuale di studenti, ma soprattutto coloro che sono compresi fra i 25 ed i 34 anni d’età, per i quali spesso non esiste alcuna prospettiva occupazionale».
Ma qual è il costo sociale di questo incremento della povertà?
«Occorre distinguere, a cominciare da chi si trova nello stato di disoccupazione. Se a venir meno è un reddito secondario del nucleo familiare, in Italia spesso garantito dalle donne e in misura minore dai figli rimasti ancora a casa, l’impatto è talvolta più nei comportamenti delle persone che non sul tenore di vita vero e proprio. Se invece a perdere il lavoro è il principale percettore di reddito della famiglia, allora l’emergenza è innanzitutto economica, con la conseguente grande fatica ad affrontare i problemi della quotidianità, dal carrello della spesa al sostentamento scolastico dei figli. Per fortuna, a vari anni dall’inizio della crisi, ancora sono in atto dei fenomeni che danno un po’ di sollievo alle famiglie più in difficoltà»
A che cosa si riferisce?
«Penso al ruolo degli anziani nei nuclei familiari, che a volte può persino emergere in modo curioso a livello statistico. Mi riferisco, ad esempio, ai dati che hanno più volte segnalato una tenuta dei consumi da parte delle persone più avanti con gli anni a fronte del marcato calo complessivo. Salvo scoprire, andando nel dettaglio, alcuni acquisti singolari, come quello dei pannolini... Insomma, l’anziano si trova sempre più spesso a consumare per conto terzi».
Fenomeni che in qualche modo confermano una convinzione diffusa, quella delle famiglie italiane più capaci di altre nel fare quadrato di fronte alla crisi.
«Questo è vero fino a un certo punto. O meglio, lo abbiamo visto chiaramente nella prima fase della crisi mentre adesso la situazione è purtroppo diversa. Infatti, nei primi due/tre anni di difficoltà non si è assistito ad un aumento significativo della povertà, piuttosto a diminuire era la capacità di risparmio delle famiglie. Si metteva mano al salvadanaio nella convinzione che l’emergenza non sarebbe durata a lungo. Convinzione peraltro alimentata anche da chi governava il Paese».
Poi, che cosa è cambiato?
«È via via subentrata la consapevolezza dell’estensione temporale della crisi, mentre ad essere falcidiati sono stati sempre più i redditi principali delle famiglie piuttosto che i secondari, venuti meno nella fase iniziale. Da qui il balzo molto forte di tutti gli indicatori della povertà. Una fase che purtroppo è ancora in atto».
Se anche ritornasse improvvisamente il tempo sereno da un punto di vista economico, quanto tempo sarebbe necessario per riparare i danni sociali?
«Molto, molto di più. E questo essenzialmente per tre ragioni.
Intanto ricordiamoci che negli anni pre-crisi, prima del 2008, la crescita italiana era già asfittica, inferiore a quelle delle altre nazioni europee.
Poi, c’è un motivo strutturale: in questi anni sono state distrutte delle tipologie d’impiego che comunque non ritorneranno più, indipendentemente dall’andamento del Pil, con il materializzarsi di una crescita senza occupazione.
Infine, c’è un evidente problema generazionale. I giovani che così tanto stanno patendo, nel momento di una ripartenza economica rischiano di scoprirsi già vecchi, scavalcati dalle successive generazioni».
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
Fino a 10 anni fa da queste parte era durissimo scontrarsi con Lega e Farsa Italia.
Poi sono arrivate le Olgettine e tutto il resto delle puttanate di Silvio Bellico. Sul lato Lega le vicende del cerchietto magico di Bossi, hanno dato vita insieme a FI, ad un disarmo unilaterale. Quando incroci per strada gli amici legaioli e Forzaitalioti, solo un ciao e tirano diritto. Non hanno più voglia di parlare di politica. Eppure dall'anno 1994 sembrava di partecipare ad una guerriglia contro i Tupamaros.
Adesso dopo tre anni di "pace" la guerriglia è ricominciata con i renzini, o i grullini per chi piace di più.
I renzini della ex sinistra hanno perfettamente sostituito i berluscones.
Della realtà economica non ne vogliono sapere. Oltre alla crisi economica sono in corso gli effetti della terza rivoluzione industriale, e bisogna tenerne conto per quanto riguarda l'occupazione. Ma i renzuscones non ne vogliono sapere.
LA RIVOLUZIONE
Le banche rottamano gli sportelli, verso il taglio di 1.500 filiali
22 aprile 2014
Le banche rottamano gli sportelli, verso il taglio di 1.500 filiali
Cambia tutto. Comincia la rivoluzione delle banche. Gli istituti dicono addio agli sportelli e puntano tutto sull'home banking, ovvero le operazioni a portata di click. La rottamazione è iniziata già da qualche anno sotto la spinta della crisi: dopo i circa 800 sportelli persi dal 2007, nei prossimi anni è prevista la chiusura di circa altri 1.500, considerando solo i grandi istituti. La chiusura degli sportelli per il momento ha riguardato di più gli istituti che hanno le agenzie nei centri urbani, mentre resistono le agenzie delle banche di credito cooperativo o popolari presenti soprattutto nei piccoli centri rurali. Da qui al 2017 così Intesa Sanpaolo prevede di passare da 4100 a 3300 sportelli (erano 6100 nel 2007), Unicredit di ridurre 500 sportelli da qui al 2018 sulle attuali 4100 e Mps 200 degli attuali 2300. La crisi economica, il crollo del mercato immobiliare e l’introduzione delle nuove tecnologie hanno reso gli sportelli superflui lasciando spazio a quelli online.
Addio agli sportelli - Dando uno sguardo ai piani industriali delle grandi (Unicredit, Intesa, Mps), insomma, le filiali faranno sempre meno cassa e sempre più consulenza, che resta indispensabile per siglare un mutuo o stipulare un finanziamento per un’impresa. "I clienti per le operazioni giornaliere come bonifici, estratto conto o pagamento bollette non sono più disposti a fare file e operano da casa o dall’ufficio con pc e smartphone o anche dall’Atm ma per accendere un mutuo o realizzare operazioni complesse o percepite tali vogliono ancora parlare con qualcuno", spiega un banchiere. Insomma la rottamazione è cominciata e nel corso dei prossimi anni gli sportelli sono destinati a scomparire del tutto.
http://www.liberoquotidiano.it/news/eco ... elli-.html
Poi sono arrivate le Olgettine e tutto il resto delle puttanate di Silvio Bellico. Sul lato Lega le vicende del cerchietto magico di Bossi, hanno dato vita insieme a FI, ad un disarmo unilaterale. Quando incroci per strada gli amici legaioli e Forzaitalioti, solo un ciao e tirano diritto. Non hanno più voglia di parlare di politica. Eppure dall'anno 1994 sembrava di partecipare ad una guerriglia contro i Tupamaros.
Adesso dopo tre anni di "pace" la guerriglia è ricominciata con i renzini, o i grullini per chi piace di più.
I renzini della ex sinistra hanno perfettamente sostituito i berluscones.
Della realtà economica non ne vogliono sapere. Oltre alla crisi economica sono in corso gli effetti della terza rivoluzione industriale, e bisogna tenerne conto per quanto riguarda l'occupazione. Ma i renzuscones non ne vogliono sapere.
LA RIVOLUZIONE
Le banche rottamano gli sportelli, verso il taglio di 1.500 filiali
22 aprile 2014
Le banche rottamano gli sportelli, verso il taglio di 1.500 filiali
Cambia tutto. Comincia la rivoluzione delle banche. Gli istituti dicono addio agli sportelli e puntano tutto sull'home banking, ovvero le operazioni a portata di click. La rottamazione è iniziata già da qualche anno sotto la spinta della crisi: dopo i circa 800 sportelli persi dal 2007, nei prossimi anni è prevista la chiusura di circa altri 1.500, considerando solo i grandi istituti. La chiusura degli sportelli per il momento ha riguardato di più gli istituti che hanno le agenzie nei centri urbani, mentre resistono le agenzie delle banche di credito cooperativo o popolari presenti soprattutto nei piccoli centri rurali. Da qui al 2017 così Intesa Sanpaolo prevede di passare da 4100 a 3300 sportelli (erano 6100 nel 2007), Unicredit di ridurre 500 sportelli da qui al 2018 sulle attuali 4100 e Mps 200 degli attuali 2300. La crisi economica, il crollo del mercato immobiliare e l’introduzione delle nuove tecnologie hanno reso gli sportelli superflui lasciando spazio a quelli online.
Addio agli sportelli - Dando uno sguardo ai piani industriali delle grandi (Unicredit, Intesa, Mps), insomma, le filiali faranno sempre meno cassa e sempre più consulenza, che resta indispensabile per siglare un mutuo o stipulare un finanziamento per un’impresa. "I clienti per le operazioni giornaliere come bonifici, estratto conto o pagamento bollette non sono più disposti a fare file e operano da casa o dall’ufficio con pc e smartphone o anche dall’Atm ma per accendere un mutuo o realizzare operazioni complesse o percepite tali vogliono ancora parlare con qualcuno", spiega un banchiere. Insomma la rottamazione è cominciata e nel corso dei prossimi anni gli sportelli sono destinati a scomparire del tutto.
http://www.liberoquotidiano.it/news/eco ... elli-.html
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
ECCOLO IL CAMERIERE :
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Padoan: “Ho opinione positiva di quanto fatto in questi anni da Marchionne”
Il modello di contrattazione aziendale della Fiat è da seguire secondo il ministro dell'Economia. "C'è la necessità di esplicitare la necessità di rendere meno complicato per le aziende la possibilità di derogare con più facilità ai contratti nazionali, sul modello del governo Schroder del 2003"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 25 aprile
Padoan: “Ho opinione positiva di quanto fatto in questi anni da Marchionne”
Più informazioni su: FCA, Fiat, Pier Carlo Padoan, Sergio Marchionne.
“Ho un’opinione tutt’altro che negativa rispetto a quanto fatto in questi anni da Marchionne“. Parola di Pier Carlo Padoan che ha esternato il suo giudizio sul numero uno della Fiat nel corso di un’intervista a Il Foglio. Secondo il ministro dell’Economia quella del leader della Fiat è una “storia positivaconsiderando anche il ciclo economico avverso a livello europeo per le aziende che producono auto”. E positivo, sempre nel Padoan – pensiero è anche il suo percorso industriale sia dal punto di vista culturale che politico.
In particolare per l’ex capo economista dell’Ocse la strategia portata avanti da Fiat negli ultimi anni, che ha portato all’apertura di impianti produttivi all’estero, dismettendo parzialmente gli stabilimenti italiani, con la perdita di oltre 20mila posti di lavoro non può considerarsi una delocalizzazione, “ma una magnifica trasformazione industriale”. Quello di Marchionne, ha detto, “credo sia un successo di cui il nostro Paese deve essere orgoglioso”.
Si potrebbe obiettare “che spostare la sede legale in Olanda e trasferire la residenza nel Regno Unito per questioni fiscali possa essere un atto opportunistico – ha poi aggiunto a proposito della nascita a gennaio della holding FCA, Fiat Chrysler Automobiles -, ma non mi sembra l’elemento più significativo della storia di Marchionne”. Dovrebbe essere l’Italia, spiega il ministro, “a muoversi per far sì che nel futuro per gli imprenditori possa essere conveniente rimanere“, un concetto più volte ribadito dal leader del Lingotto.
Riguardo al tentativo di Marchionne di introdurre un regime di contrattazione aziendale che scavalchi quello nazionale, poi, per Padoan si tratta di uno “choc positivo“. Quell’esempio “credo sia da seguire”, ha aggiunto, spiegando di essere convinto che “sul tema lavoro il nostro governo farà passi in avanti importanti. Penso alla riforma del contratto di lavoro – ha detto -, che io mi auguro possa avere come obiettivo finale, quello di offrire al nostro paese un contratto unico a tutele crescenti”.
L’Italia deve abituarsi, ha spiegato ancora il ministro, “a legare progressivamente le remunerazioni all’espressione produttività” e serve esplicitare “se fosse possibile, anche all’interno del disegno di legge delega sul lavoro, la necessità di rendere meno complicata per le aziende la possibilità di derogare con più facilità ai contratti nazionali. Esattamente sul modello del governo Schroder del 2003. La logica è sempre quella più si semplifica, più si de-burocratizza, e meglio è”.
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Padoan: “Ho opinione positiva di quanto fatto in questi anni da Marchionne”
Il modello di contrattazione aziendale della Fiat è da seguire secondo il ministro dell'Economia. "C'è la necessità di esplicitare la necessità di rendere meno complicato per le aziende la possibilità di derogare con più facilità ai contratti nazionali, sul modello del governo Schroder del 2003"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 25 aprile
Padoan: “Ho opinione positiva di quanto fatto in questi anni da Marchionne”
Più informazioni su: FCA, Fiat, Pier Carlo Padoan, Sergio Marchionne.
“Ho un’opinione tutt’altro che negativa rispetto a quanto fatto in questi anni da Marchionne“. Parola di Pier Carlo Padoan che ha esternato il suo giudizio sul numero uno della Fiat nel corso di un’intervista a Il Foglio. Secondo il ministro dell’Economia quella del leader della Fiat è una “storia positivaconsiderando anche il ciclo economico avverso a livello europeo per le aziende che producono auto”. E positivo, sempre nel Padoan – pensiero è anche il suo percorso industriale sia dal punto di vista culturale che politico.
In particolare per l’ex capo economista dell’Ocse la strategia portata avanti da Fiat negli ultimi anni, che ha portato all’apertura di impianti produttivi all’estero, dismettendo parzialmente gli stabilimenti italiani, con la perdita di oltre 20mila posti di lavoro non può considerarsi una delocalizzazione, “ma una magnifica trasformazione industriale”. Quello di Marchionne, ha detto, “credo sia un successo di cui il nostro Paese deve essere orgoglioso”.
Si potrebbe obiettare “che spostare la sede legale in Olanda e trasferire la residenza nel Regno Unito per questioni fiscali possa essere un atto opportunistico – ha poi aggiunto a proposito della nascita a gennaio della holding FCA, Fiat Chrysler Automobiles -, ma non mi sembra l’elemento più significativo della storia di Marchionne”. Dovrebbe essere l’Italia, spiega il ministro, “a muoversi per far sì che nel futuro per gli imprenditori possa essere conveniente rimanere“, un concetto più volte ribadito dal leader del Lingotto.
Riguardo al tentativo di Marchionne di introdurre un regime di contrattazione aziendale che scavalchi quello nazionale, poi, per Padoan si tratta di uno “choc positivo“. Quell’esempio “credo sia da seguire”, ha aggiunto, spiegando di essere convinto che “sul tema lavoro il nostro governo farà passi in avanti importanti. Penso alla riforma del contratto di lavoro – ha detto -, che io mi auguro possa avere come obiettivo finale, quello di offrire al nostro paese un contratto unico a tutele crescenti”.
L’Italia deve abituarsi, ha spiegato ancora il ministro, “a legare progressivamente le remunerazioni all’espressione produttività” e serve esplicitare “se fosse possibile, anche all’interno del disegno di legge delega sul lavoro, la necessità di rendere meno complicata per le aziende la possibilità di derogare con più facilità ai contratti nazionali. Esattamente sul modello del governo Schroder del 2003. La logica è sempre quella più si semplifica, più si de-burocratizza, e meglio è”.
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
Da queste parti sono rimasto l’ultimo masochista che si sorbisce tutti i talk a carattere politico.
- Piazzapulita
- Ballarò
- La Gabbia
- Servizio Pubblico
- Omnibus
- Agorà
Non è certo né un divertimento né un piacere, anche perché anch’io come tutti ne ho piene le scuffie di sentire da vent’anni sempre, sempre, sempre le stesse cose, in un’atmosfera paralizzante come se gli italiani fossero tutti quanti eterni merli scemi.
Lo faccio invece di controvoglia perché sto cercando di capire se le cose migliorano o stiamo andando verso il crack finale.
Lo faccio anche per l’impegno verso il forum che ha bisogno di notizie aggiornate.
Ma tutte le persone con cui cerco di scambiare pareri dopo la visione di una puntata di un talk, rispondono negativamente.
<<Non l’ho vista, non mi interessa, sono stufo/a di sentire sempre le stesse cose inconcludenti. …..Non guardo più nulla e mi sento anche meglio…..>>
Tutto poi si appesantisce quando prendono la parola i fans di Renzi, che hanno sostituito interamente i berluscones di vecchia memoria.
E dire che sono tutte persone di sinistra che vanno dai 56 agli 80 anni. Hanno smesso completamente di ragionare come facevano a suo tempo gli invasati berluscones.
In modo particolare su di una materia delicata come quella dell’economia.
I dati economici di questi ultimi mesi e settimane non possono che fare incazzare, di fronte alle priorità che la casta riserva per sé stessa e non per il Paese.
La riforma elettorale come è stata impostata serve solo ai politici e non all’elettorato. Senza contare che Silvietto si è deciso solo ora a rendere noto che l'Italicum è incostituzionale. Quando lo dicevano altri, affermavano il contrario, berluscones e grullini.
Lo stesso dicasi della riforma del Senato.
Prima il Bomba per colpire la fantasia degli italiani racconta che la riforma consente un risparmio di 1 miliardo di euro.
Falso.
Poi raccontano che si tratta di velocizzare l’iter delle leggi.
Nuovamente falso, perché quando i politici hanno premura per leggi che gli interessano particolarmente impiegano tempi normali intorno ai 20 giorni. (20 giorni per il Lodo Alfano e 18 giorni per la Fornero)
Mentre per leggi, che intendono bloccare vanno intorno ai 1400 giorni.
E' una mera questione di uomini e della volontà di legiferare non dell'impiccio del Senato.
Senza poi contare csa ha affermato Franco Bechis di Libero.
<<Nella mia vita di cronista parlamentare mi è capitato parecchie volte di assistere la correzione del Senato alle porcate fatte dalla Camera>>
La qualità dei legislatori è sempre più scadente che diventano a maggior ragione prioritarie le preoccupazioni dei padri Costituenti. (Di cui occorre tenere conto che non esiste nessun termine di paragone con quei parlamentari e questi maniscalchi improvvisati legislatori solo perché lo stipendio di parlamentare è parecchio interessante)
La maggior parte degli italiani non legge e non s’informa è quindi crede alle cretinate che gli propinano i politici.
L’articolo di Guido Viale postato da iospero questa settimana, riporta tutte preoccupazioni verso i media che stanno preparando una stagione fondata sull’autoritarismo.
Personalmente non posso che condividere, anche perché il 4 di marzo di quest’anno ho aperto un 3d dal titolo: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
Ma le preoccupazioni nascono ancora molto, molto, molto tempo prima..
Oggi abbiamo a disposizione questa nuova bella notizia:
Artigianato, 75.500 imprese cancellate dalla crisi
La crisi ha cancellato 75.500 imprese artigiane che sonostate costrette a chiudere negli ultimi cinque anni per la pesantissima situazione di recessione economica che ha determinato una situazione drammatica per l’artigianato, tra i comparti più penalizzati. Di queste, poco meno di 12 mila operavano nel Triveneto. Nel Veneto la situazione ha assunto i toni di una vera debacle. Tra il 2009 e il 2013 hanno chiuso 9.800 imprese artigiane, con una perdita di occupati stimata intorno a 28 mila unità, secondo le cifre elaborate dalla Cgia che fotografano una situazione pesantissima: le costruzioni, i trasporti e il manifatturiero (metalmeccanica, tessile, abbigliamento e calzature) sono stati i settori che hanno segnato le performance più negative. “La drastica riduzione dei consumi delle famiglie, forte aumento sia delle tasse sia del peso della burocrazia e la restrizione del credito sono tra le cause che hanno costretto moltissimi artigiani a gettare la spugna”, ha sostenuto Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia, “non potendo contare su nessun ammortizzatore sociale, dopo la chiusura dell'attività moltissimi artigiani non hanno trovato nessun altro impiego e sono andati ad ingrossare il numero dei senza lavoro, portandosi appresso i debiti accumulati in questi anni e un futuro tutto da inventare”.
http://www.italiaoggi.it/news/dettaglio ... la%20crisi
- Piazzapulita
- Ballarò
- La Gabbia
- Servizio Pubblico
- Omnibus
- Agorà
Non è certo né un divertimento né un piacere, anche perché anch’io come tutti ne ho piene le scuffie di sentire da vent’anni sempre, sempre, sempre le stesse cose, in un’atmosfera paralizzante come se gli italiani fossero tutti quanti eterni merli scemi.
Lo faccio invece di controvoglia perché sto cercando di capire se le cose migliorano o stiamo andando verso il crack finale.
Lo faccio anche per l’impegno verso il forum che ha bisogno di notizie aggiornate.
Ma tutte le persone con cui cerco di scambiare pareri dopo la visione di una puntata di un talk, rispondono negativamente.
<<Non l’ho vista, non mi interessa, sono stufo/a di sentire sempre le stesse cose inconcludenti. …..Non guardo più nulla e mi sento anche meglio…..>>
Tutto poi si appesantisce quando prendono la parola i fans di Renzi, che hanno sostituito interamente i berluscones di vecchia memoria.
E dire che sono tutte persone di sinistra che vanno dai 56 agli 80 anni. Hanno smesso completamente di ragionare come facevano a suo tempo gli invasati berluscones.
In modo particolare su di una materia delicata come quella dell’economia.
I dati economici di questi ultimi mesi e settimane non possono che fare incazzare, di fronte alle priorità che la casta riserva per sé stessa e non per il Paese.
La riforma elettorale come è stata impostata serve solo ai politici e non all’elettorato. Senza contare che Silvietto si è deciso solo ora a rendere noto che l'Italicum è incostituzionale. Quando lo dicevano altri, affermavano il contrario, berluscones e grullini.
Lo stesso dicasi della riforma del Senato.
Prima il Bomba per colpire la fantasia degli italiani racconta che la riforma consente un risparmio di 1 miliardo di euro.
Falso.
Poi raccontano che si tratta di velocizzare l’iter delle leggi.
Nuovamente falso, perché quando i politici hanno premura per leggi che gli interessano particolarmente impiegano tempi normali intorno ai 20 giorni. (20 giorni per il Lodo Alfano e 18 giorni per la Fornero)
Mentre per leggi, che intendono bloccare vanno intorno ai 1400 giorni.
E' una mera questione di uomini e della volontà di legiferare non dell'impiccio del Senato.
Senza poi contare csa ha affermato Franco Bechis di Libero.
<<Nella mia vita di cronista parlamentare mi è capitato parecchie volte di assistere la correzione del Senato alle porcate fatte dalla Camera>>
La qualità dei legislatori è sempre più scadente che diventano a maggior ragione prioritarie le preoccupazioni dei padri Costituenti. (Di cui occorre tenere conto che non esiste nessun termine di paragone con quei parlamentari e questi maniscalchi improvvisati legislatori solo perché lo stipendio di parlamentare è parecchio interessante)
La maggior parte degli italiani non legge e non s’informa è quindi crede alle cretinate che gli propinano i politici.
L’articolo di Guido Viale postato da iospero questa settimana, riporta tutte preoccupazioni verso i media che stanno preparando una stagione fondata sull’autoritarismo.
Personalmente non posso che condividere, anche perché il 4 di marzo di quest’anno ho aperto un 3d dal titolo: I paraguru sfascisti ci stanno portando al fascismo
Ma le preoccupazioni nascono ancora molto, molto, molto tempo prima..
Oggi abbiamo a disposizione questa nuova bella notizia:
Artigianato, 75.500 imprese cancellate dalla crisi
La crisi ha cancellato 75.500 imprese artigiane che sonostate costrette a chiudere negli ultimi cinque anni per la pesantissima situazione di recessione economica che ha determinato una situazione drammatica per l’artigianato, tra i comparti più penalizzati. Di queste, poco meno di 12 mila operavano nel Triveneto. Nel Veneto la situazione ha assunto i toni di una vera debacle. Tra il 2009 e il 2013 hanno chiuso 9.800 imprese artigiane, con una perdita di occupati stimata intorno a 28 mila unità, secondo le cifre elaborate dalla Cgia che fotografano una situazione pesantissima: le costruzioni, i trasporti e il manifatturiero (metalmeccanica, tessile, abbigliamento e calzature) sono stati i settori che hanno segnato le performance più negative. “La drastica riduzione dei consumi delle famiglie, forte aumento sia delle tasse sia del peso della burocrazia e la restrizione del credito sono tra le cause che hanno costretto moltissimi artigiani a gettare la spugna”, ha sostenuto Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia, “non potendo contare su nessun ammortizzatore sociale, dopo la chiusura dell'attività moltissimi artigiani non hanno trovato nessun altro impiego e sono andati ad ingrossare il numero dei senza lavoro, portandosi appresso i debiti accumulati in questi anni e un futuro tutto da inventare”.
http://www.italiaoggi.it/news/dettaglio ... la%20crisi
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
aaaa42 ha scritto:ECCOLO IL CAMERIERE :
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Padoan: “Ho opinione positiva di quanto fatto in questi anni da Marchionne”
Il modello di contrattazione aziendale della Fiat è da seguire secondo il ministro dell'Economia. "C'è la necessità di esplicitare la necessità di rendere meno complicato per le aziende la possibilità di derogare con più facilità ai contratti nazionali, sul modello del governo Schroder del 2003"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 25 aprile
Padoan: “Ho opinione positiva di quanto fatto in questi anni da Marchionne”
Più informazioni su: FCA, Fiat, Pier Carlo Padoan, Sergio Marchionne.
“Ho un’opinione tutt’altro che negativa rispetto a quanto fatto in questi anni da Marchionne“. Parola di Pier Carlo Padoan che ha esternato il suo giudizio sul numero uno della Fiat nel corso di un’intervista a Il Foglio. Secondo il ministro dell’Economia quella del leader della Fiat è una “storia positivaconsiderando anche il ciclo economico avverso a livello europeo per le aziende che producono auto”. E positivo, sempre nel Padoan – pensiero è anche il suo percorso industriale sia dal punto di vista culturale che politico.
In particolare per l’ex capo economista dell’Ocse la strategia portata avanti da Fiat negli ultimi anni, che ha portato all’apertura di impianti produttivi all’estero, dismettendo parzialmente gli stabilimenti italiani, con la perdita di oltre 20mila posti di lavoro non può considerarsi una delocalizzazione, “ma una magnifica trasformazione industriale”. Quello di Marchionne, ha detto, “credo sia un successo di cui il nostro Paese deve essere orgoglioso”.
Si potrebbe obiettare “che spostare la sede legale in Olanda e trasferire la residenza nel Regno Unito per questioni fiscali possa essere un atto opportunistico – ha poi aggiunto a proposito della nascita a gennaio della holding FCA, Fiat Chrysler Automobiles -, ma non mi sembra l’elemento più significativo della storia di Marchionne”. Dovrebbe essere l’Italia, spiega il ministro, “a muoversi per far sì che nel futuro per gli imprenditori possa essere conveniente rimanere“, un concetto più volte ribadito dal leader del Lingotto.
Riguardo al tentativo di Marchionne di introdurre un regime di contrattazione aziendale che scavalchi quello nazionale, poi, per Padoan si tratta di uno “choc positivo“. Quell’esempio “credo sia da seguire”, ha aggiunto, spiegando di essere convinto che “sul tema lavoro il nostro governo farà passi in avanti importanti. Penso alla riforma del contratto di lavoro – ha detto -, che io mi auguro possa avere come obiettivo finale, quello di offrire al nostro paese un contratto unico a tutele crescenti”.
L’Italia deve abituarsi, ha spiegato ancora il ministro, “a legare progressivamente le remunerazioni all’espressione produttività” e serve esplicitare “se fosse possibile, anche all’interno del disegno di legge delega sul lavoro, la necessità di rendere meno complicata per le aziende la possibilità di derogare con più facilità ai contratti nazionali. Esattamente sul modello del governo Schroder del 2003. La logica è sempre quella più si semplifica, più si de-burocratizza, e meglio è”.
Ad alcuni giornalisti ed economisti bisognerebbe applicare il metodo Marchionne.
Ma come sempre certi metodi devono essere applicati solo agli altri,.......mai a sè stessi.
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
Fallimenti in Italia, 3600 nei primi tre mesi del 2014. Ogni mezz'ora addio a un'impresa
Ansa, L'Huffington Post | Pubblicato: 26/04/2014 19:24 CEST | Aggiornato: 26/04/2014 19:24 CEST
Economia, Primo Trimestre 2014 Dati Fallimenti, Notizie
Più di 3.600 fallimenti in soli tre mesi; circa 40 al giorno, quasi due all'ora: sono i dati di Unioncamere sulle imprese fallite nel primo trimestre 2014, il 22% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Salgono anche le procedure di concordato, 577 (+34,7%). L' aumento riguarda sia le società di capitali (+22,6%), che le società di persone (+23,5%) e le imprese individuali (+25%).Tra le regioni gli aumenti più consistenti in Abruzzo, Liguria, Puglia, Umbria e Marche.
In lieve controtendenza appaiono, secondo i dati Unioncamere, le aperture di procedimenti fallimentari per le imprese costituite come consorzi o cooperative, che hanno mostrato un calo di circa il 2%.
Una procedura fallimentare su 4, aperta tra l'inizio di gennaio e la fine di marzo, ha riguardato aziende che operano nel commercio (+ 24% rispetto allo stesso periodo del 2013). In crescita anche i fallimenti nell'industria manifatturiera, un comparto in cui il fenomeno era in calo nel 2013: nel primo trimestre del 2014 si contano 763 fallimenti di imprese industriali, il 22,5% in più dell'anno precedente. Allo stesso modo, anche l'edilizia ha fatto registrare un incremento rispetto al dato 2013: +20,1% corrispondenti a 771 nuove procedure avviate.
Dal punto di vista geografico, l'aumento dei default riguarda tutte le aree del Paese: in misura maggiore, rispetto alla media nazionale, nel Nord Ovest (+22,8%), nel Centro (+23,0%) e nel Mezzogiorno (+27,8%); sotto la media nel solo Nord-Est (+12,5). Il dettaglio dei dati regionali ci consegna la Lombardia, in termini assoluti, come la regione con il maggior numero di procedure fallimentari aperte (808), seguita a distanza da Lazio (364) e Toscana (293).
Le uniche regioni in cui i fallimenti appaiono in diminuzione sono la Basilicata (-17,6%), il Molise (-9,1%) e la Calabria (-2,4%).
Il saldo delle imprese migliore del 2013. E se i dati sui fallimenti, ultimo atto di lunghe procedure avviate molto tempo prima, restituiscono uno scenario allarmante, nello stesso periodo il saldo delle imprese - la differenza tra i dati di aperture e cessazioni di attività - vede sì un segno meno (-24.490), ma inferiore rispetto allo scorso anno quando all’appello mancarono oltre 31mila imprese.
http://www.huffingtonpost.it/2014/04/26 ... y&ir=Italy
Ansa, L'Huffington Post | Pubblicato: 26/04/2014 19:24 CEST | Aggiornato: 26/04/2014 19:24 CEST
Economia, Primo Trimestre 2014 Dati Fallimenti, Notizie
Più di 3.600 fallimenti in soli tre mesi; circa 40 al giorno, quasi due all'ora: sono i dati di Unioncamere sulle imprese fallite nel primo trimestre 2014, il 22% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Salgono anche le procedure di concordato, 577 (+34,7%). L' aumento riguarda sia le società di capitali (+22,6%), che le società di persone (+23,5%) e le imprese individuali (+25%).Tra le regioni gli aumenti più consistenti in Abruzzo, Liguria, Puglia, Umbria e Marche.
In lieve controtendenza appaiono, secondo i dati Unioncamere, le aperture di procedimenti fallimentari per le imprese costituite come consorzi o cooperative, che hanno mostrato un calo di circa il 2%.
Una procedura fallimentare su 4, aperta tra l'inizio di gennaio e la fine di marzo, ha riguardato aziende che operano nel commercio (+ 24% rispetto allo stesso periodo del 2013). In crescita anche i fallimenti nell'industria manifatturiera, un comparto in cui il fenomeno era in calo nel 2013: nel primo trimestre del 2014 si contano 763 fallimenti di imprese industriali, il 22,5% in più dell'anno precedente. Allo stesso modo, anche l'edilizia ha fatto registrare un incremento rispetto al dato 2013: +20,1% corrispondenti a 771 nuove procedure avviate.
Dal punto di vista geografico, l'aumento dei default riguarda tutte le aree del Paese: in misura maggiore, rispetto alla media nazionale, nel Nord Ovest (+22,8%), nel Centro (+23,0%) e nel Mezzogiorno (+27,8%); sotto la media nel solo Nord-Est (+12,5). Il dettaglio dei dati regionali ci consegna la Lombardia, in termini assoluti, come la regione con il maggior numero di procedure fallimentari aperte (808), seguita a distanza da Lazio (364) e Toscana (293).
Le uniche regioni in cui i fallimenti appaiono in diminuzione sono la Basilicata (-17,6%), il Molise (-9,1%) e la Calabria (-2,4%).
Il saldo delle imprese migliore del 2013. E se i dati sui fallimenti, ultimo atto di lunghe procedure avviate molto tempo prima, restituiscono uno scenario allarmante, nello stesso periodo il saldo delle imprese - la differenza tra i dati di aperture e cessazioni di attività - vede sì un segno meno (-24.490), ma inferiore rispetto allo scorso anno quando all’appello mancarono oltre 31mila imprese.
http://www.huffingtonpost.it/2014/04/26 ... y&ir=Italy
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
http://www.beppegrillo.it/la_cosa/2014/ ... eneritori/
Ecco l’agghiacciante Renzi e il pensiero sugli inceneritori…
Ciao
Paolo11
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
Corriere 1.5.14
«La fine del posto fisso, il ceto medio ora conta meno»
De Rita: è una battaglia antica, cominciò Craxi
Ma non si governa senza l’amministrazione
intervista di Paolo Conti
L’unica fetta della pubblica amministrazione che interessa sono gli alti dirigenti, per via dei compensi. Tutto il resto no, non importa proprio niente».
Non c’è nemmeno un sentimento di inimicizia?
«In piccola parte. Ma se per trent’anni gli italiani si sono sentiti ripetere che i dipendenti pubblici sono lenti e corrotti, il sentimento prevalente diventa il disinteresse. Perché contano poco. Ma tanto, viste le circostanze attuali in cui viviamo, contiamo tutti un po’ meno che in passato. Figuriamoci la macchina amministrativa pubblica».
Quanto pesa la vittoria delle nuove tecnologie, ovvero il fatto che molti certificati ormai si ottengono online rendendo così poco rilevante la figura dell’impiegato?
«Conta anche questo, certamente. Ma il vero punto è nella crisi dell’apparato intermedio. Lo si vede anche nelle grandi aziende. Conosciamo solo i volti e i nomi dei grandi leader. Tutto il resto è sparito. È una crisi generalizzata, trasversale».
Cosa potrebbe fare il corpo dell’amministrazione pubblica, cioè la massa dei suoi dipendenti, per riscattare questa immagine assimilata dalla collettività?
«Oggettivamente ben poco. Un tempo la mano pubblica aveva una certa importanza, nella vita quotidiana di tutti noi. Assicurava un certificato scolastico, seguiva le pratiche catastali, trovava un certificato penale. E non sempre lavorando male, sia ben chiaro. Ma adesso?».
Renzi sta avviando una grande riforma. Cosa ne pensa?
«Renzi è l’ultimo anello di una catena cominciata con Craxi e proseguita con Berlusconi. Bisogna pensare alla vecchia piramide sociale in cui c’era un vertice, una base e un corpo intermedio, appunto l’amministrazione. Craxi per primo cambiò tutto e disse, non lo dimenticherò mai: per uscire dalla mediazione democristiana ci vuole decisionismo, bisogna verticalizzare il potere. Lo stesso discorso che ha fatto Berlusconi per vent’anni. Adesso tocca a Renzi. Al posto della piramide da diverso tempo, non solo da oggi, c’è una colonna. E sulla colonna c’è l’uomo solo al comando di turno. Inevitabile che quell’uomo pensi unicamente alla base che lo sorregge e veda il corpo intermedio come qualcosa di estraneo, come una realtà che non gli appartiene. Ecco la tentazione di eliminarlo. Ed è altrettanto evidente che l’opinione pubblica, vedendo che quel corpo intermedio è giudicato sempre meno utile e meno potente da chi ci governa, è pronta a ghigliottinarlo. Metaforicamente, intendo. In fondo abbiamo già visto altre scene del genere».
A cosa si riferisce, professor De Rita?
«Tutti gli altri corpi intermedi sono entrati in profondissima crisi. Penso ai partiti, ai sindacati. Con quali risultati, poi?»
E invece, sembra di capire dalla sua analisi, un corpo intermedio amministrativo è comunque utile a una società organizzata...
«Ma certo che è utile. Direi di più: è necessario. Cosa mai sarebbe un capo della polizia senza i commissariati, o un ministro degli Interni senza le prefetture? Per governare bene occorre una macchina intermedia che naturalmente funzioni. Per questo sarebbe un clamoroso errore immaginare di spazzarla via. Anche perché, distrutta la vecchia, entro poco tempo bisognerebbe costruirne un’altra».
Pensa che Matteo Renzi ragionerà in questi termini?
«Me lo auguro per lui. Perché non si può governare da soli guardandosi allo specchio. Purtroppo le figure di alcuni ministri confermano la mia ipotesi. La loro relativa debolezza lascia credere che siano lì per assicurare che venga eseguito ciò che è stato deciso da altri. Cioè da Renzi».
«La fine del posto fisso, il ceto medio ora conta meno»
De Rita: è una battaglia antica, cominciò Craxi
Ma non si governa senza l’amministrazione
intervista di Paolo Conti
L’unica fetta della pubblica amministrazione che interessa sono gli alti dirigenti, per via dei compensi. Tutto il resto no, non importa proprio niente».
Non c’è nemmeno un sentimento di inimicizia?
«In piccola parte. Ma se per trent’anni gli italiani si sono sentiti ripetere che i dipendenti pubblici sono lenti e corrotti, il sentimento prevalente diventa il disinteresse. Perché contano poco. Ma tanto, viste le circostanze attuali in cui viviamo, contiamo tutti un po’ meno che in passato. Figuriamoci la macchina amministrativa pubblica».
Quanto pesa la vittoria delle nuove tecnologie, ovvero il fatto che molti certificati ormai si ottengono online rendendo così poco rilevante la figura dell’impiegato?
«Conta anche questo, certamente. Ma il vero punto è nella crisi dell’apparato intermedio. Lo si vede anche nelle grandi aziende. Conosciamo solo i volti e i nomi dei grandi leader. Tutto il resto è sparito. È una crisi generalizzata, trasversale».
Cosa potrebbe fare il corpo dell’amministrazione pubblica, cioè la massa dei suoi dipendenti, per riscattare questa immagine assimilata dalla collettività?
«Oggettivamente ben poco. Un tempo la mano pubblica aveva una certa importanza, nella vita quotidiana di tutti noi. Assicurava un certificato scolastico, seguiva le pratiche catastali, trovava un certificato penale. E non sempre lavorando male, sia ben chiaro. Ma adesso?».
Renzi sta avviando una grande riforma. Cosa ne pensa?
«Renzi è l’ultimo anello di una catena cominciata con Craxi e proseguita con Berlusconi. Bisogna pensare alla vecchia piramide sociale in cui c’era un vertice, una base e un corpo intermedio, appunto l’amministrazione. Craxi per primo cambiò tutto e disse, non lo dimenticherò mai: per uscire dalla mediazione democristiana ci vuole decisionismo, bisogna verticalizzare il potere. Lo stesso discorso che ha fatto Berlusconi per vent’anni. Adesso tocca a Renzi. Al posto della piramide da diverso tempo, non solo da oggi, c’è una colonna. E sulla colonna c’è l’uomo solo al comando di turno. Inevitabile che quell’uomo pensi unicamente alla base che lo sorregge e veda il corpo intermedio come qualcosa di estraneo, come una realtà che non gli appartiene. Ecco la tentazione di eliminarlo. Ed è altrettanto evidente che l’opinione pubblica, vedendo che quel corpo intermedio è giudicato sempre meno utile e meno potente da chi ci governa, è pronta a ghigliottinarlo. Metaforicamente, intendo. In fondo abbiamo già visto altre scene del genere».
A cosa si riferisce, professor De Rita?
«Tutti gli altri corpi intermedi sono entrati in profondissima crisi. Penso ai partiti, ai sindacati. Con quali risultati, poi?»
E invece, sembra di capire dalla sua analisi, un corpo intermedio amministrativo è comunque utile a una società organizzata...
«Ma certo che è utile. Direi di più: è necessario. Cosa mai sarebbe un capo della polizia senza i commissariati, o un ministro degli Interni senza le prefetture? Per governare bene occorre una macchina intermedia che naturalmente funzioni. Per questo sarebbe un clamoroso errore immaginare di spazzarla via. Anche perché, distrutta la vecchia, entro poco tempo bisognerebbe costruirne un’altra».
Pensa che Matteo Renzi ragionerà in questi termini?
«Me lo auguro per lui. Perché non si può governare da soli guardandosi allo specchio. Purtroppo le figure di alcuni ministri confermano la mia ipotesi. La loro relativa debolezza lascia credere che siano lì per assicurare che venga eseguito ciò che è stato deciso da altri. Cioè da Renzi».
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Re: ITALIA-EMERGENZA LAVORO
MAG
02
Quelle 40 aziende rilevate (e salvate) dai dipendenti
Il tempo stimato per la lettura di questo post è di 5 minuto\i.
di Dario Di Vico
È stato un Primo Maggio ancora all’insegna della crisi del lavoro quello che si è festeggiato ieri. Lo scorso anno ci fu qualche esperimento di portare sui palchi delle manifestazioni insieme ai rappresentantidi Cgil-Cisl-Uil anche quelli delle organizzazioni imprenditoriali ma stavolta l’idea è stata derubricata.
La manifestazione con i tre segretari generali si è tenuta a Pordenone perché la vertenza Electrolux viene considerata «altamente simbolica».
Altri cortei e comizi si sono tenuti quasi ovunque e anche alla Malpensa, a dimostrazione dei timori che i sindacati hanno sul futuro dello scalo lombardo.
Non c’è stato nemmeno nel 2014 un Primo Maggio delle partite Iva, la riunificazione del lavoro è ancora lontana. Di positivo c’è l’aumento dei casi di«workers buy out», aziende ricomprate e salvate dai dipendenti.
Una speranza, infine, viene dai cinesi di seconda generazione: il futuro diPrato può dipendere anche da loro. A l corteo di Pordenone hanno partecipato oggi anche i lavoratori della Ideal Standard, un grande marchio della ceramica italiana la cui crisi non ha trovato ancora sbocchi.
Anche loro hanno cominciato a ragionare su un progetto di workers buy out (Wbo), disalvataggio dell’azienda grazie al riacquisto da parte dei dipendenti riuniti in cooperativa. Se l’operazione dovesse andare si salvaguarderebbero almeno metà dei 400 postidi lavoro a rischio.
Il movimento dei Wbo si sta allargando in tutta Italia e sono già una quarantina i casi di aziende salvate e rimesse in carreggiata in Toscana e in Emilia ma anche in Veneto e in Lazio.
L’ultimo esempio diWbo andato in porto è quello della Raviplast di Ravenna (gomma-plastica) che ha rilevato uno dei quattro siti produttivi del gruppo Pansac di proprietà della famiglia Lori, azionista a suo tempo del Mantova Calcio.
La Raviplast produce sacchi per usi industriali ed è stata acquistata da 25 dipendenti dopo una dichiarazione di insolvenza e la gestione commissariale. Però, a dimostrazione che un Wbo è tutt’altro che una passeggiata, un’altra quindicina di dipendenti non se l’è sentita didiventare azionista e ha preferito restare in cassa integrazione.
L’azienda è ripartita, infatti, grazie a una ristrutturazione dei costi che il neo-amministratore delegato Carlo Occhiali definisce «drastica e poi ancora drastica».
Il primo passo è stato, in accordo con i sindacati, l’azzeramento della contrattazione disecondo livello che può essere stimato in un taglio del 20% della busta paga.
Subito dopo, la cura dimagrante ha riguardato la gestione amministrativa e l’organizzazione aziendale. Chiamatela polivalenza o job rotation la sostanza è che quasi nessuno copre una sola mansione ma si divide tra più compiti o funzioni.
Per la parte finanziaria è stato necessario immettere nell’azienda denaro fresco. La somma di 450 mila euro è arrivata dalle indennità di mobilità che l’Inps scongela a condizione che siano investite in operazioni diauto-imprenditorialità, mentre altri 450 mila euro sono stati versati a titolo di prestito da Coopfond, il fondo mutualistico della Lega delle Cooperative specializzato in operazionidi questo tipo.
Ma non è finita. Il nuovo management guidato da Occhiali, unico a non provenire dalla Pansac ma direttamente dalla Lega Coop, ha anche ricostruito la rete di vendita decisiva per piazzare un prodotto tecnico come i sacchi.
«Tutte queste mosse si sarebbero rivelate inutili – dice Occhiali – se non fossimo riusciti a coinvolgere i lavoratori con maggiori competenze e a dare quindi continuità alla cultura aziendale». E ad adottare un credo estremamente pragmatico: guai a fare a botte con il mercato.
twitter@dariodivico
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Tags: aziende, cooperative, crisi, disoccupazione, Electrolux, lavoro, primo maggio, Raviplast, sindacati, workers buy out
MAG
02
Quelle 40 aziende rilevate (e salvate) dai dipendenti
Il tempo stimato per la lettura di questo post è di 5 minuto\i.
di Dario Di Vico
È stato un Primo Maggio ancora all’insegna della crisi del lavoro quello che si è festeggiato ieri. Lo scorso anno ci fu qualche esperimento di portare sui palchi delle manifestazioni insieme ai rappresentantidi Cgil-Cisl-Uil anche quelli delle organizzazioni imprenditoriali ma stavolta l’idea è stata derubricata.
La manifestazione con i tre segretari generali si è tenuta a Pordenone perché la vertenza Electrolux viene considerata «altamente simbolica».
Altri cortei e comizi si sono tenuti quasi ovunque e anche alla Malpensa, a dimostrazione dei timori che i sindacati hanno sul futuro dello scalo lombardo.
Non c’è stato nemmeno nel 2014 un Primo Maggio delle partite Iva, la riunificazione del lavoro è ancora lontana. Di positivo c’è l’aumento dei casi di«workers buy out», aziende ricomprate e salvate dai dipendenti.
Una speranza, infine, viene dai cinesi di seconda generazione: il futuro diPrato può dipendere anche da loro. A l corteo di Pordenone hanno partecipato oggi anche i lavoratori della Ideal Standard, un grande marchio della ceramica italiana la cui crisi non ha trovato ancora sbocchi.
Anche loro hanno cominciato a ragionare su un progetto di workers buy out (Wbo), disalvataggio dell’azienda grazie al riacquisto da parte dei dipendenti riuniti in cooperativa. Se l’operazione dovesse andare si salvaguarderebbero almeno metà dei 400 postidi lavoro a rischio.
Il movimento dei Wbo si sta allargando in tutta Italia e sono già una quarantina i casi di aziende salvate e rimesse in carreggiata in Toscana e in Emilia ma anche in Veneto e in Lazio.
L’ultimo esempio diWbo andato in porto è quello della Raviplast di Ravenna (gomma-plastica) che ha rilevato uno dei quattro siti produttivi del gruppo Pansac di proprietà della famiglia Lori, azionista a suo tempo del Mantova Calcio.
La Raviplast produce sacchi per usi industriali ed è stata acquistata da 25 dipendenti dopo una dichiarazione di insolvenza e la gestione commissariale. Però, a dimostrazione che un Wbo è tutt’altro che una passeggiata, un’altra quindicina di dipendenti non se l’è sentita didiventare azionista e ha preferito restare in cassa integrazione.
L’azienda è ripartita, infatti, grazie a una ristrutturazione dei costi che il neo-amministratore delegato Carlo Occhiali definisce «drastica e poi ancora drastica».
Il primo passo è stato, in accordo con i sindacati, l’azzeramento della contrattazione disecondo livello che può essere stimato in un taglio del 20% della busta paga.
Subito dopo, la cura dimagrante ha riguardato la gestione amministrativa e l’organizzazione aziendale. Chiamatela polivalenza o job rotation la sostanza è che quasi nessuno copre una sola mansione ma si divide tra più compiti o funzioni.
Per la parte finanziaria è stato necessario immettere nell’azienda denaro fresco. La somma di 450 mila euro è arrivata dalle indennità di mobilità che l’Inps scongela a condizione che siano investite in operazioni diauto-imprenditorialità, mentre altri 450 mila euro sono stati versati a titolo di prestito da Coopfond, il fondo mutualistico della Lega delle Cooperative specializzato in operazionidi questo tipo.
Ma non è finita. Il nuovo management guidato da Occhiali, unico a non provenire dalla Pansac ma direttamente dalla Lega Coop, ha anche ricostruito la rete di vendita decisiva per piazzare un prodotto tecnico come i sacchi.
«Tutte queste mosse si sarebbero rivelate inutili – dice Occhiali – se non fossimo riusciti a coinvolgere i lavoratori con maggiori competenze e a dare quindi continuità alla cultura aziendale». E ad adottare un credo estremamente pragmatico: guai a fare a botte con il mercato.
twitter@dariodivico
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http://nuvola.corriere.it/2014/05/02/qu ... ipendenti/
02
Quelle 40 aziende rilevate (e salvate) dai dipendenti
Il tempo stimato per la lettura di questo post è di 5 minuto\i.
di Dario Di Vico
È stato un Primo Maggio ancora all’insegna della crisi del lavoro quello che si è festeggiato ieri. Lo scorso anno ci fu qualche esperimento di portare sui palchi delle manifestazioni insieme ai rappresentantidi Cgil-Cisl-Uil anche quelli delle organizzazioni imprenditoriali ma stavolta l’idea è stata derubricata.
La manifestazione con i tre segretari generali si è tenuta a Pordenone perché la vertenza Electrolux viene considerata «altamente simbolica».
Altri cortei e comizi si sono tenuti quasi ovunque e anche alla Malpensa, a dimostrazione dei timori che i sindacati hanno sul futuro dello scalo lombardo.
Non c’è stato nemmeno nel 2014 un Primo Maggio delle partite Iva, la riunificazione del lavoro è ancora lontana. Di positivo c’è l’aumento dei casi di«workers buy out», aziende ricomprate e salvate dai dipendenti.
Una speranza, infine, viene dai cinesi di seconda generazione: il futuro diPrato può dipendere anche da loro. A l corteo di Pordenone hanno partecipato oggi anche i lavoratori della Ideal Standard, un grande marchio della ceramica italiana la cui crisi non ha trovato ancora sbocchi.
Anche loro hanno cominciato a ragionare su un progetto di workers buy out (Wbo), disalvataggio dell’azienda grazie al riacquisto da parte dei dipendenti riuniti in cooperativa. Se l’operazione dovesse andare si salvaguarderebbero almeno metà dei 400 postidi lavoro a rischio.
Il movimento dei Wbo si sta allargando in tutta Italia e sono già una quarantina i casi di aziende salvate e rimesse in carreggiata in Toscana e in Emilia ma anche in Veneto e in Lazio.
L’ultimo esempio diWbo andato in porto è quello della Raviplast di Ravenna (gomma-plastica) che ha rilevato uno dei quattro siti produttivi del gruppo Pansac di proprietà della famiglia Lori, azionista a suo tempo del Mantova Calcio.
La Raviplast produce sacchi per usi industriali ed è stata acquistata da 25 dipendenti dopo una dichiarazione di insolvenza e la gestione commissariale. Però, a dimostrazione che un Wbo è tutt’altro che una passeggiata, un’altra quindicina di dipendenti non se l’è sentita didiventare azionista e ha preferito restare in cassa integrazione.
L’azienda è ripartita, infatti, grazie a una ristrutturazione dei costi che il neo-amministratore delegato Carlo Occhiali definisce «drastica e poi ancora drastica».
Il primo passo è stato, in accordo con i sindacati, l’azzeramento della contrattazione disecondo livello che può essere stimato in un taglio del 20% della busta paga.
Subito dopo, la cura dimagrante ha riguardato la gestione amministrativa e l’organizzazione aziendale. Chiamatela polivalenza o job rotation la sostanza è che quasi nessuno copre una sola mansione ma si divide tra più compiti o funzioni.
Per la parte finanziaria è stato necessario immettere nell’azienda denaro fresco. La somma di 450 mila euro è arrivata dalle indennità di mobilità che l’Inps scongela a condizione che siano investite in operazioni diauto-imprenditorialità, mentre altri 450 mila euro sono stati versati a titolo di prestito da Coopfond, il fondo mutualistico della Lega delle Cooperative specializzato in operazionidi questo tipo.
Ma non è finita. Il nuovo management guidato da Occhiali, unico a non provenire dalla Pansac ma direttamente dalla Lega Coop, ha anche ricostruito la rete di vendita decisiva per piazzare un prodotto tecnico come i sacchi.
«Tutte queste mosse si sarebbero rivelate inutili – dice Occhiali – se non fossimo riusciti a coinvolgere i lavoratori con maggiori competenze e a dare quindi continuità alla cultura aziendale». E ad adottare un credo estremamente pragmatico: guai a fare a botte con il mercato.
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Tags: aziende, cooperative, crisi, disoccupazione, Electrolux, lavoro, primo maggio, Raviplast, sindacati, workers buy out
MAG
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Il tempo stimato per la lettura di questo post è di 5 minuto\i.
di Dario Di Vico
È stato un Primo Maggio ancora all’insegna della crisi del lavoro quello che si è festeggiato ieri. Lo scorso anno ci fu qualche esperimento di portare sui palchi delle manifestazioni insieme ai rappresentantidi Cgil-Cisl-Uil anche quelli delle organizzazioni imprenditoriali ma stavolta l’idea è stata derubricata.
La manifestazione con i tre segretari generali si è tenuta a Pordenone perché la vertenza Electrolux viene considerata «altamente simbolica».
Altri cortei e comizi si sono tenuti quasi ovunque e anche alla Malpensa, a dimostrazione dei timori che i sindacati hanno sul futuro dello scalo lombardo.
Non c’è stato nemmeno nel 2014 un Primo Maggio delle partite Iva, la riunificazione del lavoro è ancora lontana. Di positivo c’è l’aumento dei casi di«workers buy out», aziende ricomprate e salvate dai dipendenti.
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Anche loro hanno cominciato a ragionare su un progetto di workers buy out (Wbo), disalvataggio dell’azienda grazie al riacquisto da parte dei dipendenti riuniti in cooperativa. Se l’operazione dovesse andare si salvaguarderebbero almeno metà dei 400 postidi lavoro a rischio.
Il movimento dei Wbo si sta allargando in tutta Italia e sono già una quarantina i casi di aziende salvate e rimesse in carreggiata in Toscana e in Emilia ma anche in Veneto e in Lazio.
L’ultimo esempio diWbo andato in porto è quello della Raviplast di Ravenna (gomma-plastica) che ha rilevato uno dei quattro siti produttivi del gruppo Pansac di proprietà della famiglia Lori, azionista a suo tempo del Mantova Calcio.
La Raviplast produce sacchi per usi industriali ed è stata acquistata da 25 dipendenti dopo una dichiarazione di insolvenza e la gestione commissariale. Però, a dimostrazione che un Wbo è tutt’altro che una passeggiata, un’altra quindicina di dipendenti non se l’è sentita didiventare azionista e ha preferito restare in cassa integrazione.
L’azienda è ripartita, infatti, grazie a una ristrutturazione dei costi che il neo-amministratore delegato Carlo Occhiali definisce «drastica e poi ancora drastica».
Il primo passo è stato, in accordo con i sindacati, l’azzeramento della contrattazione disecondo livello che può essere stimato in un taglio del 20% della busta paga.
Subito dopo, la cura dimagrante ha riguardato la gestione amministrativa e l’organizzazione aziendale. Chiamatela polivalenza o job rotation la sostanza è che quasi nessuno copre una sola mansione ma si divide tra più compiti o funzioni.
Per la parte finanziaria è stato necessario immettere nell’azienda denaro fresco. La somma di 450 mila euro è arrivata dalle indennità di mobilità che l’Inps scongela a condizione che siano investite in operazioni diauto-imprenditorialità, mentre altri 450 mila euro sono stati versati a titolo di prestito da Coopfond, il fondo mutualistico della Lega delle Cooperative specializzato in operazionidi questo tipo.
Ma non è finita. Il nuovo management guidato da Occhiali, unico a non provenire dalla Pansac ma direttamente dalla Lega Coop, ha anche ricostruito la rete di vendita decisiva per piazzare un prodotto tecnico come i sacchi.
«Tutte queste mosse si sarebbero rivelate inutili – dice Occhiali – se non fossimo riusciti a coinvolgere i lavoratori con maggiori competenze e a dare quindi continuità alla cultura aziendale». E ad adottare un credo estremamente pragmatico: guai a fare a botte con il mercato.
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Luxottica, turno in fabbrica alle 5 del mattino e i…
Atahotel il coop-padrone
Quei contratti nazionali con aumenti da 130 euro
Il Friuli felix diventato l’epicentro della crisi…
http://nuvola.corriere.it/2014/05/02/qu ... ipendenti/
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