Stato-mafia, Napolitano al telefono con Mancino Che cosa si saranno detti?
I nastri del Presidente sono segreti, non quelli di D’Ambrosio. Il consigliere del Quirinale all'ex ministro: "Il presidente sa tutto, dice se lei ha parlato con martelli". I tre mesi che sconvolsero il Colle.
di Marco Travaglio | 17 luglio 2012
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Cos’avrà mai detto Napolitano nelle due telefonate intercettate sull’utenza di Mancino? Impossibile saperlo: le conversazioni sono stralciate, segretate e destinate quasi certamente alla distruzione, e il Presidente si è ben guardato dal renderle pubbliche. Ora però la mossa inedita e clamorosa del conflitto contro i pm alla Consulta non fa che ingigantire i sospetti di chi pensa che quei nastri top secret contengano condotte scorrette: dal punto di vista non penale (i pm le ritengono “irrilevanti”), ma etico-politico-istituzionale. L’antefatto è noto, almeno per i lettori del Fatto: il 4 novembre 2011 il gip di Palermo Riccardo Ricciardi accoglie la richiesta della Procura di intercettare gli ex ministri Mancino e Conso e altri personaggi coinvolti nelle indagini sulle trattative Stato-mafia perché “è verosimile che gli stessi possano entrare in contatto tra loro o con altri soggetti che in quel medesimo arco temporale rivestivano cariche di rilevante importanza, per riferire elementi utili alle indagini (…) se non addirittura per concordare tra loro ‘versioni di comodo’ in vista degli imminenti interrogatori”. Infatti, appena gli inquirenti iniziano ad ascoltare Mancino, scoprono che sta cercando di intralciare le indagini financo con l’aiuto del Quirinale, che arriva addirittura a suggerirgli di concordare una versione di comodo con Martelli (che giura di averlo informato dei colloqui Ros-Ciancimino). Se infatti ignoriamo le parole di Napolitano, sappiamo tutto quello che il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio raccontava a Mancino sulla frenetica attività del Presidente in suo favore. Tutto vero o D’Ambrosio spendeva il nome di Napolitano millantando interventi mai avvenuti? Nella seconda ipotesi, Napolitano l’avrebbe già sconfessato e licenziato: invece D’Ambrosio, un mese dopo la diffusione delle sue telefonate (depositate dai pm agli avvocati degli indagati, dunque non più segrete ), è ancora al suo posto. Ergo diceva la verità.
Dicembre 2011. Mancino viene sentito come teste dalla Procura di Palermo, poi si lamenta dei pm con D’Ambrosio e rivendica il suo “diritto a una tutela”. Prima di Natale, si lagna anche col procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, che però risponde di non avere “poteri di avocazione”. Mancino replica: “Ma poteri di coordinamento sì”. D’Ambrosio lo rassicura: “Si faccia il Natale tranquillo, tanto questi non arriveranno a niente, stanno facendo solo confusione”.
Febbraio 2012. Mancino, sentito come teste anche al processo Mori, si allarma perché il pm Nino Di Matteo dichiara che “qualcuno nelle istituzioni mente”. Teme di finire indagato per falsa testimonianza. Richiama D’Ambrosio e questi gli promette di intervenire su Grasso.
Marzo 2012. Mancino tempesta D’Ambrosio. Si dice “messo in un angolo”, “emarginato”, “distrutto”, “perfino nel Pd nessuno mi parla”. E sputa il rospo: “Vorrei evitare che venisse accolta l’istanza di un ulteriore confronto con Martelli che dice colossali bugie”. Il 5 D’Ambrosio tira in ballo Napolitano.
D: Posso parlare col Presidente, perché se l’ha presa a cuore, se l’aveva presa a cuore la questione (…).
M: L’unico che può dire qualche cosa è Messineo. L’altro che può dire qualche cosa è Grasso.
D:E va bene adesso sento il Presidente (…) Intervenire sul collegio (del processo Mori, ndr) è una cosa molto delicata (…). Provo a chiamare Grasso.
Il 12 marzo D’Ambrosio informa Mancino che ha parlato con Napolitano e con Grasso e preannuncia che il Presidente parlerà direttamente con Grasso. Ma anche il Pg della Cassazione, Vitaliano Esposito, preposto al controllo sulla Procura nazionale, per costringere Grasso a fare qualcosa sebbene abbia ripetuto di non poter fare nulla. Anche perché il “coordinamento” fra Procure è già assicurato da un protocollo approvato da Grasso e dalle tre Procure il 28 aprile 2011 e ratificato dal Csm (presieduto da Napolitano) il 27 luglio 2011, che ora il Presidente finge di dimenticare.
D: Io ho parlato col Presidente e ho parlato anche con Grasso. Ma noi non vediamo molti spazi purtroppo (…) ma adesso probabilmente il Presidente parlerà con Grasso nuovamente… eh… vediamo un attimo anche di vedere con Esposito… qualche cosa… ma la vediamo difficile la cosa ecco.
M: Oh… ma visto che Grasso coordina Caltanissetta, non può coordinare tutte e due le procure?
D: Ma io gliel’ho detto pure oggi a Grasso. Grasso mi ha risposto: ‘Va bene, ma io in realtà, il Csm mi ha fatto una normativa, però non mi serve niente’. In realtà è lui che non vuole fare (…) Per adesso mi ha detto il Presidente di parlare con Grasso, di vederlo… vediamo un po’.
M: Eh, vedo che Macaluso batte sulla tesi dell’unicità dell’indagine.
D: Sì, sì, ma questo gliel’ho detto al Presidente… l’ho visto.
M: Eh, perché non è che anche sul 41 bis indaga Caltanissetta, che fa? Caltanissetta va in una direzione e quelli possono andare in un’altra? Ma non lo so se c’è serietà (…).
D: Ripeto, dopo aver parlato col Presidente riparlo anche con Grasso e vediamo un po’… lo vedrò nei prossimi giorni. Però, lui… proprio oggi dopo parlandogli, mi ha detto: ‘Ma sai, lo so, non posso intervenire’… Capito? Quindi mi sembra orientato a non intervenire. Tant’è che il Presidente parlava di… come la Procura nazionale sta dentro la Procura generale (della Cassazione, ndr), di vedere un secondo con Esposito (…). Ma io comunque riparlerò con Grasso perché il Presidente mi ha detto di risentirlo (…). Insomma, noi, parlando col Presidente, se Grasso non fa qualcosa, la vediamo proprio difficile qualunque cosa. Adesso lo possiamo rivedere, magari lo vede il Presidente un giorno di questi (…) M: Lei veda un po’ se Grasso ha intenzione anche di ascoltare me… sia pure in maniera riservatissima. Che nessuno ne sappia niente.
D: Va bene, tanto io lo devo sentire Grasso e lo sento domani. Va bene? D’Ambrosio confida a Mancino che Napolitano gli suggerisce di concordare una versione di comodo (dunque falsa: la verità non si concorda) con Martelli per appianare le divergenze. D: Qui il problema che si pone è il contrasto di posizione oggi ribadito pure da Martelli… e non so se mi sono spiegato (…) la posizione di Martelli… tant’è che il Presidente ha detto: “Ma lei ha parlato con Martelli?”… eh… indipendentemente dal processo diciamo così.
M: Ma io non è che posso parlare io con Martelli… che fa?
D: No no… dico no… io ho detto: “Guardi non credo, signor Presidente, comunque non lo so. A me aveva detto che aveva parlato con Amato giusto… e anche con Scalfaro…”.
Aprile 2012. Il giorno 3 Mancino scrive una lettera al Quirinale. D’Ambrosio: “Stiamo ragionando, ma il Presidente è orientato a fare qualcosa (…) ma per ora non le posso dire nulla (…). Sto elaborando un pochino le cose… però la decisione l’abbiamo già presa… Adesso il Presidente è in Giordania, quando torna si decide insieme… faccio la mia proposta e vediamo un attimino”. Poi anticipa a Mancino che il Quirinale girerà la lettera a Esposito con una richiesta precisa: “Il coordinamento consiste anche nell’utilizzare una strategia comune, nel compiere atti insieme (…) Tutto questo non sta accadendo”.
Il 4 il segretario generale del Quirinale, Donato Marra, trasmette la lettera a Esposito accompagnata da una nota con i desiderata di Napolitano, cioè di Mancino: “Illustre Presidente, per incarico del Presidente della Repubblica trasmetto la lettera con la quale il Senatore Nicola Mancino (che non è più senatore dal 2006, ndr) si duole del fatto che non siano state fin qui adottate forme di coordinamento delle attività svolte da più uffici giudiziari sulla cd. ‘trattativa’ che si assume intervenuta fra soggetti istituzionali ed esponenti della criminalità organizzata a ridosso delle stragi del 1992-‘93. (…) Il Capo dello Stato auspica possano essere prontamente adottate iniziative che assicurino la conformità di indirizzo delle procedure ai sensi degli strumenti che il nostro ordinamento prevede (…); e ciò specie al fine di dissipare le perplessità che derivano dalla percezione di gestioni non unitarie delle indagini collegate, i cui esiti possono anche incidere sulla coerenza dei successivi percorsi processuali. Il Presidente Napolitano le sarà grato di ogni consentita notizia”.
L’indomani, giorno 5, nessuno sa (né saprebbe mai, se a metà giugno non venissero pubblicate le intercettazioni) della lettera del Colle al Pg. Nessuno tranne Mancino, subito informato da D’Ambrosio, che gliela legge e gli confida che l’ha voluta Napolitano in persona, concordandola preventivamente col nuovo Pg Gianfranco Ciani e col sostituto Pasquale Ciccolo. D: Ho parlato pure, abbiamo parlato pure con Ciani. (…). Ho parlato sia con Ciccola che con Ciani: han voluto la lettera così fatta per sentirsi più forti (…) C’era una situazione che il Presidente aveva già detto all’Adunanza (del Csm, ndr), ha rilevato e percepisce questa mancanza di coordinamento e ti dice: esercita questi tuoi poteri anche nei confronti di Grasso. Qui il problema vero… Grasso si copre, questa è la verità, con la storia dell’avocazione, no? Perché è una gran cretinata l’avocazione, perché lui la cosa a cui deve pensare è il coordinamento (…).
M: Esatto, esatto.
D: Perché il minimo del coordinamento è questo, adesso vediamo come lo risolverà Ciani (…) noi non abbiamo mandato lei allo sbaraglio (…) Adesso lei lo sa, quando uscirà quello che il Presidente auspica, tra l’altro il Presidente l’ha letta prima di mandarla, eh non è una cosa solo di Marra. Lei può dire che ha saputo della lettera che le è stata mandata, è stato informato che la lettera è stata mandata al Pg. Poi ha saputo che era ai fini di un coordinamento investigativo, lei lo può dire parlando informalmente con il Presidente, perché no? (…). Lui sa tutto. E che, non lo sa? L’ha detto lui: “Io voglio che la lettera venga inviata, ma anche con la mia condivisione”.
Ciani, “più forte” grazie alla lettera del Colle, convoca segretamente il Pna Grasso il 19 aprile per parlare sia di avocare l’inchiesta di Palermo, sia di “coordinarla” con Caltanissetta e Firenze. Grasso respinge entrambe le proposte indecenti e se le fa mettere per iscritto. Recita il verbale della riunione: “Il Pna precisa di non avere registrato violazioni del protocollo del 28 aprile 2011 tali da poter fondare un intervento di avocazione. Il Pna rimetterà al Pg un’informativa scritta”.
Cioè ogni mossa del Quirinale pro Mancino è destituita di ogni fondamento: Grasso non ha né i poteri né i presupposti per fare ciò che gli viene chiesto: le indagini di Palermo sono regolarmente “coordinate” con quelle delle altre Procure da un anno. Resta da capire in base a quali norme o poteri o prerogative il Quirinale abbia tentato per mesi di condizionare, intralciare, deviare un’indagine in corso su richiesta di un potente ma privato cittadino, coinvolto in veste di testimone e prossimo indagato per falsa testimonianza. E in base a quali norme Napolitano pretenda ora che le sue telefonate vengano subito distrutte, trascinando alla Consulta i pm che obbediscono alla legge anziché a lui. Un abuso di potere per coprirne un altro.
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