Cittadino Presidente

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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camillobenso
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Re: Cittadino Presidente

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Per via del tempo limitato a disposizione, stamani avevo iniziato in via preliminare a pubblicare questo post in:

http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 6954#p6954


La lunga battaglia per la libertà

Quando Ahmed Ben Bella, del FLN, il Fronte di Liberazione Nazionale algerino, rilasciò la sua prima intervista al termine di una lunga lotta con le forze occupanti francesi, da capo dell’Algeria libera, al giornalista che gli chiedeva: << Presidente,..allora ce l’avete fatta,..adesso siete liberi…..>> il presidente algerino rispose:

<< Si è vero siamo liberi,…..ma i veri guai cominciano ora….>>

Infatti questa sacrosanta verità è un patrimonio dell’umanità, perché non basta conquistare la libertà liberandosi da qualsivoglia tirannia,…..la libertà va conquistata giorno dopo giorno, perché se ti distrai un’attimo sei fatto come un pesce.

E di conseguenza bisogna ricominciare daccapo.

Questo vale quindi anche per noi.

Ed è per questa ragione che si tenta in tutti i modi, già dal lontano 1967, in occasione dell’avvenuta conoscenza del primo tentativo di colpo di Stato da parte del generale De Lorenzo, Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, con il Piano Solo, di evitare di perdere del tutto la libertà.
http://it.wikipedia.org/wiki/Piano_Solo


Ad iniziare questa battaglia nel maggio del 1967 furono due giornalisti, Jannuzzi e Scalfari a denunciare sull’Espresso (dalle dimensioni enormi, 4 volte quello attuale) il tentativo di colpo di Stato.

Eugenio Scalfari aveva 45 anni di meno, ora si è un po’ ossidato in materia di libertà.
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Re: Cittadino Presidente

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Perché E. Scalfari era intervenuto su La Repubblica.

Il commento su RSera

Scalfari: irresponsabili gli attacchi a Napolitano
c’è chi prende di mira lui per far cadere Monti



ROMA - <<Sul caso Mancino, Napolitano ha fatto nient’altro che esercitare i suoi poteri e doveri. Non è la prima volta. Il presidente si è mosso ogni volta che si sono verificati casi analoghi (ma non vengono citati dal fondatore di Repubblica, così tanto per un informazione corretta – ndt), per far si che la magistratura andasse correttamente e completamente in una direzione.

Così commenta il fondatore di Repubblica in un intervento su RS Sera>>.

20 GIUGNO 2012
Scalfari: ''Quirinale sotto attacco''
"L'intervento del consulente giuridico di Napolitano rientra nell'ambito delle prerogative del Capo dello Stato. Chi lo critica, cerca di far precipitare la situazione politica". Il videoditoriale per RSera
LEGGI - Il consigliere del Colle contro i pm: "A Palermo fanno solo confusione

http://video.repubblica.it/politica/sca ... ref=HREA-1
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Re: Cittadino Presidente

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E’ un vero peccato che il fondatore di Repubblica che un tempo fu la punta di diamante contro l’eversione di destra, oggi si inventi una cronaca tutta sua particolare piegandola alle sue esigenze politiche.



Mancino sul patto mafia-Stato
"Non ne ho mai saputo nulla"

In aula l'ex ministro ed ex presidente del Senato nega l'esistenza di patti tra la criminalità organizzata e le istituzioni nel procedimento a carico del generale dei carabinieri Mario Mori

"Non ho mai avuto conoscenza di una trattativa dello Stato con la mafia. Se ne fossi stato a conoscenza l'avrei respinta e avrei posto la questione al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio chiedendo un dibattito in Consiglio dei Ministri".

Nega di avere saputo dell'esistenza di una trattativa tra mafia e Stato l'ex presidente del Senato Nicola Mancino, che depone al processo per favoreggiamento alla mafia all'ex generale dei Carabinieri Mario Mori.

Il generale Mori e il colonnello Mauro Obinu sono imputati per favoreggiamento aggravato per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano nell'ottobre del '95. L'ex presidente del Senato ed ex ministro dell'Interno Nicola Mancino fu al Viminale dal 28 giugno del '92 al '94, periodo cruciale, per i magistrati, della cosiddetta trattativa tra Stato e mafia.

Se il pentito di mafia Giovanni Brusca ha indicato Mancino come "terminale finale" del papello, cioè l'elenco con le richieste che Totò Riina avrebbe fatto allo Stato in cambio della fine della strategia stragista, Mancino ha negato l'esistenza di una trattativa.

E' stato il suo predecessore al ministero dell'Interno, Vincenzo Scotti, a raccontare ai magistrati che la decisione di togliere, nel giugno del 1992 - cioè appena un mese dopo la strage di Capaci - a Scotti l'incarico di ministro dell'Interno e di assegnarne la guida a Mancino sarebbe stata, "improvvisa". Ma Mancino ha spiegato ai pm di non sapere il perché venne scelto alla guida del Viminale.
(24 febbraio 2012)
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http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -30417610/
camillobenso
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Re: Cittadino Presidente

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Il corrispondente de La Repubblica per Palermo, evidente presente in aula nel capoluogo siculo, comunica quanto dichiarato da Mancino:

"Non ho mai avuto conoscenza di una trattativa dello Stato con la mafia. Se ne fossi stato a conoscenza l'avrei respinta e avrei posto la questione al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio chiedendo un dibattito in Consiglio dei Ministri".


Ma altre cronache riportano che sapendo di avere mentito in aula, Mancino telefona non al presidente della Repubblica, come racconta Scalfari, ma al suo consigliere D’Ambrosio.




10 giorni prima :


Trattativa mafia-Stato, Martelli contro Mancino
"Gli dissi: perché il Ros parla con Ciancimino?"

Ecco in esclusiva il testo del drammatico confronto, davanti ai pm di Palermo, fra l'ex ministro della Giustizia e l'ex titolare del Viminale, che insiste: "Il 4 luglio 1992 ho incontrato Martelli, ma abbiamo parlato d'altro"
di SALVO PALAZZOLO


Ministro contro ministro. Sembra a una svolta l'inchiesta dei pm di Palermo sui misteri della trattativa fra mafia e Stato, nell'estate 1992. L'ex titolare della Giustizia, Claudio Martelli, ha chiamato in causa l'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino: "Mi lamentai con lui del comportamento del Ros", ha messo a verbale. "Mi sembrò singolare che i carabinieri volessero fare affidamento su Vito Ciancimino". Martelli afferma senza mezzi termini di aver chiesto conto e ragione a Mancino dei colloqui riservati fra gli ufficiali del Ros e l'ex sindaco mafioso di Palermo. Mancino nega: dice con forza di non avere mai parlato del Ros e di Ciancimino con Claudio Martelli.

I due politici sono stati messi a confronto dai magistrati di Palermo: è emerso un faccia a faccia drammatico, che adesso i pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia hanno depositato al processo di Palermo che vede imputato il generale Mario Mori, il protagonista di quei colloqui riservati con Ciancimino, di aver favorito la latitanza del capomafia Bernardo Provenzano.

Ecco, cosa si sono detti Martelli e Mancino davanti al procuratore Francesco Messineo e ai sostituti Nino Di Matteo, Paolo Guido e Lia Sava. Era il pomeriggio dell'11 aprile 2011, negli uffici della Dia di Roma.

Martelli: Mi lamentai del comportamento del Ros in quanto ritenevo la loro iniziativa arbitraria, in considerazione del fatto che era stata istituita la Dia. Preciso che non parlai di trattativa con Mancino, perché io stesso non ne sapevo nulla

Mancino:
E' vero che il 4 luglio, alle 10.30, sono andato a trovare il ministro Martelli: l'ho annotato sulla mia agenda, ma abbiamo parlato di altro, ed in particolare, dell'opportunità di lavorare in sintonia, come era accaduto con il mio predecessore. Non ero io come ministro dell'Interno a dover autorizzare il Ros a compiere alcunché.

Martelli: Prendo atto che fu il ministro Mancino a venire da me. Forse perché lui si era appena insediato. Non ricordo nel dettaglio il contenuto del nostro incontro, che ovviamente doveva aver avuto per oggetto temi politici. Non ricordo quando, se all'inizio o alla fine dell'incontro, parlai al senatore Mancino del Ros. Tengo a precisare che su questo argomento i miei ricordi sono andati riaffiorando via via: all'inizio non ricordavo se ne avevo parlato con lui o con il ministro Scotti.
Io mi lamentai con il ministro dell'Interno dell'eccessivo attivismo del Ros, anche perché ormai c'era la Dia, che sebbene non ancora completamente operativa era l'organo deputato a questo tipo di iniziativa, specie su una questione così delicata.


Non ricordo se parlai con il ministro Mancino del fatto che il Ros cercava una sponda politica per le sue condotte, per come mi aveva informato la dottoressa Ferraro. Quella è stata l'unica occasione in cui il Ros, o comunque una forza di polizia, mi ha chiesto copertura politica per una iniziativa. Verosimilmente il Ros cercava solo di tutelarsi, ma io non compresi per quale motivo il Ros non si uniformava al nuovo sistema che aveva previsto l'istituzione della Dia. Mi sembrò singolare che il Ros volesse fare affidamento su Ciancimino. Grosso modo, in termini succinti, raccontai al ministro Mancino qualcosa della vicenda, senza approfondirla.


Mancino: Il ministro Martelli non mi ha mai parlato della dottoressa Ferraro e della visita che il capitano De Donno le avrebbe fatto. Ciò esludo in maniera tassativa. La Dia non ha certo sostituito il Ros, ma si è affiancata agli altri organismi esistenti.


Martelli: Chiesi al ministro Mancino di accertare cosa stava facendo il Ros, anche se non ricordo con precisione oggi, a distanza di così tanti anni, se ho effettivamente riferito a lui delle circostanze apprese dalla dottoresa Ferraro.

Prima della visita del capitano De Donno alla dottoressa Ferraro (a fine giugni 1992) non avevo avuto notizie di altri comportamenti anomali del Ros. Il senatore Mancino promise di informarsi sui comportamenti del Ros.


Mancino: Non ho mai detto che mi riservavo di approfondire in merito al comportamento del Ros, anche perché non avevo certo titolo a farlo, ben poteva e doveva farlo il procuratore della repubblica di Palermo. La consultazione della mia agenda mi ha permesso di ricostruire la data del 4 luglio 1992 come quella dell'incontro con il ministro Martelli e rammento con certezza che non ero accompagnato da nessuno.


Martelli: Avevo saputo dalla dottoressa Ferraro che aveva riferito al dottore Borsellino del suo incontro con il capitano De Donno. Non ho mai comunque posto in connessione questo fatto con la strage di via D'Amelio. Non ricordo di aver poi chiesto al senatore Mancino se si fosse effettivamente informato sulle condotte del Ros.

Sono ragionevolmente certo di aver parlato del comportamento del Ros anche con il capo della polizia Parisi, anche non rammento se lo feci prima o dopo averne parlato con il senatore Mancino, sicuramente prima della strage di via d'Amelio e verosimilmente la prima settimana di luglio 1992.

(14 febbraio 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Re: Cittadino Presidente

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da Repubblica del 13 giugno 2012
Corrispondenza da Palermo.

L'INCHIESTA
Trattativa Stato-mafia
indagato Giovanni Conso

False informazioni a pubblico ministero. E' l'accusa rivolta all'ex Guardasigilli dai magistrati che si occupano della vicenda. Indagato anche il boss Giovanni Brusca. E' il terzo ministro a entrare nell'indagine. Sono stati iscritti, infatti, anche l'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino per falsa testimonianza e Calogero Mannino per violenza o minaccia a corpo politico dello Stato

L'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, 91 anni, è indagato per false informazioni a pubblico ministero nell'ambito dell'inchiesta condotta a Palermo sulla trattativa tra Stato e mafia. Sentito dai pm sulla revoca del carcere duro a oltre 300 mafiosi, disse di "avere agito in solitudine", versione che non ha convinto i magistrati.
Oltre a Conso è indagato anche Giovanni Brusca. Il boss mafioso risponde dell'accusa di violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato.

Giovanni Conso, guardasigilli dal febbraio del 1993 ad aprile del 1994, è stato sentito più volte dai pm di Palermo che indagano sulla trattativa. Il suo nome è entrato nell'inchiesta dopo una sua audizione alla commissione Antimafia dell'11 novembre del 2010 nel corso della quale affrontò il capitolo dei 41 bis fatti scadere o non rinnovati. Il 1 novembre del 1993 non vennero rinnovati 140 decreti di carcere duro e altrettanti vennero fatti scadere tra fine novembre dello stesso anno e gennaio del 1994. "Una scelta fatta in autonomia" ha sempre ripetuto l'ex Guardasigilli, sia all'Antimafia che ai pm di Palermo. Ma per la Procura, invece, proprio l'alleggerimento del carcere duro sarebbe stato uno dei punti al centro della trattativa Stato-mafia.

Conso è il terzo ministro a entrare nell'indagine: sono stati iscritti anche l'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino per falsa testimonianza e Calogero Mannino per violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. Nei loro confronti e nei confronti degli altri indagati, in tutto una decina, si attende nelle prossime ore la notifica dell'avviso di conclusione dell'indagine. Nel caso del reato di false informazioni a pm contestato a Conso, prevede il codice penale, l'inchiesta si sospende fino alla definizione in primo grado del procedimento principale: in questo caso quello sulla trattativa.

Per quanto riguarda Mancino, l'ex ministro era stato ascoltato lo scorso febbraio come teste al processo Mori, e al termine dell'udienza i pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo avevano detto che "qualche uomo delle istituzioni mente". I pm, in sostanza, ritengono che Mancino insediatosi al Viminale il primo luglio 1992 sapesse della trattativa che prevedeva di cedere al ricatto dei boss in cambio della rinuncia all'aggressione terroristica e ai progetti di uccisione di altri uomini politici. E che ora l'ex presidente del Senato ed ex vicepresidente del Csm neghi l'evidenza per coprire "responsabilità proprie e di altri".


Nell'avviso di garanzia ricevuto da Mannino, ex ministro democristiano, oggi deputato, si parla genericamente di "pressioni" che il politico siciliano avrebbe esercitato su "appartenenti alle istituzioni", sulla "tematica del 41 bis", il carcere duro che i capimafia cercavano di far revocare.

(13 giugno 2012)
http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -37131550/
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Re: Cittadino Presidente

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IL CASO
Stato-mafia, Napolitano contrattacca
"Campagna di sospetti costruita sul nulla"

Il presidente della Repubblica a margine della festa della Guardia di finanza all'Aquila: "Interpretazioni arbitrarie e tendenziose e talvolta perfino manipolate". "I cittadini possono state tranquilli. Terrò fede ai miei doveri costituzionali". Di Pietro: "Nessuno, neppure lui, è al di sopra della legge". Fini: "Irresponsabile delegittimare il capo dello Stato"


L'AQUILA - Una campagna di insinuazioni e sospetti costruita sul nulla. Queste le parole pronunciate dal Giorgio Napolitano a margine della festa della Guardia di Finanza all'Aquila riguardo al coinvolgimento del Quirinale 1 nella vicenda della presunta trattativa tra Stato e mafia, per cui l'ex presidente del Senato Nicola Mancino è indagato per falsa testimonianza. Attorno al capo dello Stato fanno quadrato il ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri, e il presidente della Camera, Gianfranco Fini: "Irresponsabile delegittimare il Quirinale". Riferimento soprattutto al leader Idv Antonio Di Pietro, secondo cui "nessuno, neanche il presidente della Repubblica, è al di fuori della legge".

"In questi giorni è stata alimentata una campagna di insinuazioni e sospetti sul presidente della Repubblica e sui suoi collaboratori costruita sul nulla", ha detto il capo dello Stato all'Aquila aggiungendo: "Si sono riempite pagine di alcuni quotidiani con le conversazioni telefoniche intercettate in ordine alle indagini giudiziarie in corso sugli anni delle più sanguinose strage di mafia del '92-'93 e se ne sono date interpretazioni arbitrarie e tendenziose e talvolta perfino manipolate".

Napolitano ha quindi riaffermato "l'assoluta correttezza della presidenza della Repubblica e dei suoi collaboratori, ispirata soltanto a favorire la causa dell'accertamento della verità". "Io ho reagito con serenità e con massima trasparenza - ha continuato - rendendo noto anche il testo di una lettera riservata al procuratore generale della Corte di Cassazione". E ancora: "Continuerò, perché è mio dovere e prerogativa, ad adoperarmi affinché vada avanti nel modo più corretto ed efficace, attraverso il necessario coordinamento, l'azione della magistratura. I cittadini possono stare tranquilli. Terrò fede ai miei doveri costituzionali".

Quanto alla riforma delle norme sulle intercettazioni, Napolitano ha sottolineato che si tratta di "una scelta che spetta al Parlamento ed è per la verità una scelta da molto tempo all'attenzione del Parlamento". "Se è da tanto tempo all'attenzione - ha proseguito - vuol dire che si tratta di una questione che meritava già da tempo di essere affrontata e risolta sulla base di un'intesa la più larga possibile".

Sulla vicenda è intervenuto anche il ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri, pure all'Aquila per la festa della Gdf: "Sono pienamente d'accordo con il presidente Napolitano: il Quirinale è al di sopra di ogni sospetto", ha risposto quando le è stato chiesto se sia lecito intercettare il Colle.

Di avviso diverso il leader dell'Idv Antonio Di Pietro: "Il presidente della Repubblica, proprio per la sua funzione, dovrebbe sapere bene che nessuno, neppure lui, è al di sopra e al di fuori della legge. Prendiamo atto che avalla il comportamento dei suoi più stretti collaboratori che hanno tentato di interferire in una inchiesta penale in corso". L'ex pm è tornato a chiedere una commissione d'inchiesta parlamentare sull'accaduto che possa "portare anche a concludere che ci siano fatti senza rilevanza penale" mentre si tratta di "cercare la verità in nome del sangue versato in quegli anni dalle vittime di uno Stato che aveva calato le brache". In una successiva intervista a Sky-Tg24, il leader dell'Italia dei valori ha insistito: "Tutti vogliamo rispettare il capo dello Stato. Ma devono spiegare per quale ragione un personaggio politico che ha presieduto il Senato e il Csm tenti di fuorviare il confronto con dei testi. Nessuno si deve sentire offeso: c'è invece la necessità di dare una mano agli inquirenti che stanno cercando la verità ".

"Il presidente della Repubblica non è al di sopra della legge, come dice l'onorevole Di Pietro - ribatte il leader Udc Pier Ferdinando Casini - ma nemmeno al di sotto. Ha adempiuto con scrupolo e innegabile correttezza istituzionale al suo ruolo doppio di presidente della Repubblica e del Csm. Ha operato per evitare distonie e sovrapposizioni, e disinnescare potenziali conflitti tra poteri dello Stato. Questo significa volere la verità, che non è mai figlia di strumentalizzazioni politiche, ma solo dei fatti che l'hanno determinata".

A stretto giro, le parole del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che esalta "l'alto senso dello Stato" di Napolitano, il suo impegno al servizio del Paese, ancor più rilevante in questa difficile fase della società nazionale, e un legame con le istituzioni che "deve essere salvaguardato da ogni forma di irresponsabile delegittimazione". "L'equilibrio, l'imparzialità e l'alto senso dello Stato con i quali il presidente della Repubblica svolge il suo mandato di massimo garante della Costituzione e di supremo magistrato - ha affermato Fini - si manifestano in ogni occasione e sono alla base del rispetto e della gratitudine di cui gode tra tutti gli italiani".
(21 giugno 2012) © RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ref=HREA-1
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Re: Cittadino Presidente

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Si dimette nessuno?
di Marco Travaglio | 19 giugno 2012

Commenti (212)




“A sua disposizione!”. Il Pg della Cassazione, membro di diritto del Csm, massima autorità della Pubblica Accusa in Italia, scatta sull’attenti come un soldatino di piombo dinanzi a Nicola Mancino, privato cittadino, che lo chiama “guagliò”, gli dà del tu e continua a tempestare lui e il consigliere giuridico del Capo dello Stato perché quei rompiscatole dei pm di Palermo Ingroia e Di Matteo (e anche quello di Caltanissetta Nico Gozzo, che viene da Palermo dunque è infetto) si ostinano a cercare la verità sulla trattativa Stato-mafia, avvenuta quando lui era ministro dell’Interno, dunque naturalmente a sua insaputa. Sono talmente fissati da non credergli quando smentisce l’agenda di Borsellino e i suoi ex colleghi Martelli e Scotti.

Vorrebbero persino metterlo a confronto con loro (gli ex ministri, si capisce: Borsellino, purtroppo o per fortuna, non può più parlare).


“Possibile che non si possa proprio fare niente” per fermarli? Ecco la lettera di Esposito al gip di Caltanissetta che si è permesso di evidenziare le contraddizioni di Mancino, per acquisire – non si sa bene a che titolo – la sua ordinanza.


Così si capisce che in alto loco c’è chi non gradisce e bisogna stare attenti, perché il Pg è il titolare dell’azione disciplinare. “Ho letto che hai chiesto gli atti a Caltanissetta”, dice Mancino a Esposito, e gli fa i complimenti perché “difende i politici”.

È lì che l’alto magistrato si dice “a sua disposizione” e lo invita ad andarlo a trovare. “Eh, guagliò, come vengo? Vado sui giornali”. “Ahahah”.




Già, perché lo sanno anche loro che certe cose non si possono fare.


Mancino comunque è insoddisfatto, c’è il rischio che lo mettano a confronto con Martelli al processo Mori.


D’Ambrosio promette – non si sa bene a che titolo – di “parlare col Presidente” che – non si sa bene a che titolo – “si è preso a cuore la questione”.


E suggerisce di “parlare coi pm”, o col loro capo Messineo, o meglio ancora “col direttore nazionale Grasso”, perché quel Di Matteo è “autonomo” e “intervenire sul collegio è molto delicato”.


C’è il rischio che qualche giudice non sia “a disposizione”.

Ecco, Mancino vorrebbe un appuntamento con Grasso via Quirinale, ma “riservatissimo”, aumma aumma, “che nessuno sappia niente”.


Perché lo sa anche lui che queste cose non si possono fare.



D’Ambrosio prepara la lettera al nuovo Pg della Cassazione Ciani, poi firmata dal segretario generale del Quirinale Marra, per raccomandare – non si sa bene a che titolo – un maggiore “coordinamento” delle indagini di Firenze, Caltanissetta e Palermo per orientarle sulla linea più morbida per i “politici”.

Lettera – dice D’Ambrosio – concordata con lo stesso Ciani e letta in diretta a Mancino. Ciani esegue immantinente convocando Grasso, che però pretende ordini scritti: sa bene che queste cose non si possono fare.


Da questo nauseabondo scambio di telefonate, depositate dai pm di Palermo, si desumono alcuni fatti inequivocabili. A Roma decine di “uomini delle istituzioni” (si fa per dire) sanno perfettamente cosa accadde nel 1992-’93, ma anche dopo, fra Stato e mafia.

Temono che molte porcherie saltino fuori e si attivano per impedirlo.

Si conoscono tutti da tempo.

D’Ambrosio era all’Alto Commissariato Antimafia assieme a Mori e Francesco Di Maggio (altro uomo chiave della trattativa), poi fu vicecapogabinetto di Conso, nello stesso governo in cui c’era Mancino.

Napolitano era presidente della Camera.

Poi le parti s’invertirono: Mancino alla Camera e Napolitano al Viminale.

Poi Mancino vicepresidente del Csm di cui Esposito è membro e Napolitano presidente con D’Ambrosio consigliere.




Poi, naturalmente, a ogni anniversario, tutti a Capaci e in Via D’Amelio a chiedere “tutta la verità”.

Forse è il caso che si dimetta qualcuno, per aiutarci a credere che tutto sia avvenuto alle spalle di Napolitano. A questo siamo ridotti: a sperare nell’“a sua insaputa”.




Il Fatto Quotidiano, 19 Giugno 2012
Ultima modifica di camillobenso il 22/06/2012, 0:55, modificato 1 volta in totale.
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Re: Cittadino Presidente

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http://video.repubblica.it/politica/sul ... 9003/97385


21 GIUGNO 2012
Sulla linea di confine
Attilio Bolzoni: ''Non abbiamo mai saputo cosa sia esattamente successo vent'anni fa intorno alle stragi.

Ci sono omertà di Stato, ma ci stiamo avvicinando a una delle verità: chi trattò con i boss?

Napolitano si è comportato in maniera lineare, i suoi collaboratori no''
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Re: Cittadino Presidente

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Dalla rassegna stampa del Ministero dell'Interno del 21 giugno 2012
http://tweb.interno.it/news/daily/rasse ... STAMPA.pdf

Articoli

LA REPUBBLICA 21-06-2012 14 SCALFARI: IRRESPONSABILI GLI ATTACCHI A NAPOLITANO
Numero di individuazione rapida a destra 50



FATTO QUOTIDIANO 21-06-2012 1
NAPOLITANO-MANCINO LE TELEFONATE TOP SECRET
Lillo Marco
Numero di individuazione rapida a destra 54

UNITA' 21-06-2012 13 LA VERITA' SU BORSELLINO PASSA DALL'INCHIESTA SULLA TRATTATIVA Numero di individuazione rapida a destra 56

***

Comunque la rassegna stampa di ieri era nutrita in proposito, tanto che ha indotto il Capo dello Stato ad intervenire dopo 5 giorni di silenzio.

Solo che è intervenuto molto male.

Se non esistono responsabilità dirette a suo carico, esistono però quelle dei suoi collaboratori, come sostiene Attilio Bolzoni di Repubblica.

Ma il problema non cambia il Capo dello Stato risponde ai cittadini e non ai suoi collaboratori.

Se hanno sbagliato se ne devono andare e lui non può permettersi di coprirli.

Attilio Bolzoni in pratica smentisce Scalfari.
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Re: Cittadino Presidente

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Napolitano, il garante della casta
di Daniela Gaudenzi | 22 giugno 2012Commenti (39)

L’ultimo capitolo della vicenda agghiacciante sulla trattativa o meglio sulle trattative tra Stato e Cosa Nostra registra l’irruzione, con un intervento senza precedenti nella storia repubblicana del presidente Giorgio Napolitano.

Il presidente della Repubblica, mentre si accumulano i verbali delle rassicurazioni indirette, tramite il consigliere giuridico-suggeritore Loris D’Ambrosio, ma pare anche dirette da parte dell’inquilino del Colle all’ex ministro dell’interno Nicola Mancino, ha ritenuto opportuno intervenire non solo a difesa del proprio operato, ma con un attacco inusuale all’informazione non allineata.

Napolitano ha parlato di diffusione “di pagine con conversazioni intercettate” di cui “sono state date interpretazioni tendenziose e versioni talvolta manipolate ” per screditare il suo operato e ha garantito i cittadini sulla sua assoluta fedeltà alla Costituzione.

Ma è anche andato all’attacco sulle intercettazioni sollecitando un intervento non più procrastinabile da parte del Parlamento per regolamentarle e cioè in concreto, limitarle nell’uso e nella diffusione con pene fino a tre anni come per i giornalisti come previsto nell’ultimo ddl, ovviamente con consenso bipartisan.

All’interventismo quotidiano del Capo dello Stato ci siamo forse ormai abituati, anche se sarebbe legittimo domandarsi se corrisponda allo spirito della Costituzione vigente, di cui tutti si riempiono la bocca, ma che viene sempre più affossato nella pratica.

Ma la domanda ineludibile è se, prima e dietro l’ultima esternazione quirinalizia non solo difensiva, il comportamento del Capo dello Stato e dei suoi più stretti e fidati collaboratori sia stato, su una vicenda di assoluta gravità e di primaria importanza sotto il profilo della indipendenza tra i poteri dello Stato, pienamente aderente al dettato costituzionale.

Era forse compito e dovere del consigliere giuridico del Quirinale che si dichiara al telefono sempre in costante sintonia con la presidenza della Repubblica prestarsi a raccogliere quelli che vengono derubricati a “sfoghi” da parte di un indagato per false comunicazioni ai PM, quale è l’ex ministro ed ex vicepresidente del CSM Nicola Mancino? Dove prevede la Costituzione che il suo massimo garante tramite un consigliere giuridico o peggio ancora senza mediazione alcuna, come risulta da brogliacci di trascrizioni telefoniche, rassicuri un indagato terrorrizzato dall’interrogatorio e più ancora dal confronto con altri due testimoni in grado di smentirlo, gli ex ministri Vincenzo Scotti e Claudio Martelli?

E soprattutto come si fa a giustificare l’attivismo e la concitazione di cui lo staff quirinalizio si fa interprete e promotore in forza di supposte esigenze di coordinamento delle indagini tra procure a cui si appella un po’ vagamente Napolitano (disciplinate peraltro in modo adeguato ed esaustivo dal codice di procedura penale e non pertinenti al caso)?

Il presidente della Repubblica ha ribadito la bontà del suo operato e la correttezza dei suoi diretti collaboratori, difesi strenuamente per difendere se stesso, sostenendo che sempre e comunque il suo comportamento è stato motivato “dall’accertamento della verità” sulle “orribili stragi del ’92-’93“.

Solo che molto concretamente dietro a queste dichiarazioni di intenti chiarificatori rimangono dei documenti che proverebbero il contrario, come il verbale di riunione del 19 aprile 2012 a palazzo Cavour sede della Cassazione, dopo che Loris D’Ambrosio aveva rassicurato Mancino sull’ intervento di Napolitano: ”Adesso io parlo con il Presidente e lui chiama Grasso.” Da quella riunione, secondo i desiderata dei promotori, sarebbe potuta o dovuta uscire una agognata avocazione da parte del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso dell’inchiesta molto scomoda che turbava i sonni di Mancino e molti altri potentissimi della prima e seconda Repubblica, da Calogero Mannino a Marcello Dell’Utri.

Solo che come ha rilevato Piero Grasso, che aveva già fatto un incontro con le tre procure interessate di Palermo, Caltanissetta e Firenze impegnate su fronti non connessi già nell’aprile 2011, non esistevano violazioni tali da configurare l’ipotesi di avocazione prevista dall’art. 371 bis c.p.p. Senza contare il non piccolo dettaglio che l’istituto dell’avocazione e cioè la sottrazione dell’inchiesta al giudice naturale da parte della procura generale presso la corte d’appello o dei magistrati della direzione nazionale antimafia è stato sinonimo quasi ininterrottamente nella storia repubblicana di tentativi di insabbiamento delle indagini.

E la sua natura eccezionale è peraltro confermata dalla formulazione dell’art. 371 bis (Attività di coordinamento del procuratore nazionale antimafia) che la prevede solo ed esclusivamente nel caso di “prolungata e ingiustificata inerzia” del PM o nel caso di “ingiustificata o reiterata violazione dei doveri di coordinamento” in indagini collegate. E data la gravità della misura, la legge prevede anche che il decreto con cui viene disposta l’avocazione sia motivato e che il magistrato che la subisce possa ricorrere contro il provvedimento davanti al procuratore generale presso la Cassazione.

Non a caso “gli sfoghi” di Nicola Mancino finalizzati alla cosiddetta “unificazione” dei procedimenti, per sfilare l’inchiesta a Palermo, erano arrivati, tramite lettera inoltrata dal segretario generale Donato Marra e supervisionata dallo stesso Napolitano, al procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani che a seguire aveva convocato Piero Grasso.

Il ministro Severino in risposta all’interpellanza di Antonio Di Pietro sulla opportunità di istituire una commissione parlamentare di inchiesta “per accertare responsabilità politiche delle istituzioni” ha obiettato che non vi sono “violazioni di legge” che autorizzino iniziative del Ministero.

Ma al di là di specifiche violazioni di legge il combinato disposto dell’ attivismo del Quirinale, che esula dallo status di parte super partes come dal ruolo di presidente dell’organo di autogoverno dei magistrati, e del richiamo ultimativo a fare presto sul ddl anti-intercettazioni per autotutelare il sistema, è una palese rivendicazione di appartenenza alla casta. Ed un un pessimo modo per concludere un settennato che ha fatto rimpiangere quelli precedenti.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06 ... ta/271181/
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