Attacchi ideologici.soloo42001 ha scritto: Fortemente deluso da come proprio dai veci, e non da Renzi, vengano i peggiori attacchi ideologici al poco di buono che si è costruito nel dopoguerra.
Infatti, una volta che certe ideologie (dal razzismo leghista, al liberismo, al capitalismo straccione all'italiana, al mignottismo berlusconiano, ...) hanno fatto breccia proprio nel cuore del corpo elettorale ex DC, ex PCI, a quel punto
è impossibile ogni reazione o ricostruzione.
...Riguardo il "frazionismo", inutile girarci intorno.
Abbiamo a che fare con un fenomeno che nasce dalla disperazione profonda di chi sa di non poter vincere in nessun caso.
Non posso vincere, non vincerò mai, perchè tanto sarò sempre minoritario...
Forse un'analisi più oggettiva dei rapporti di forza in essere dovrebbe invece portare a definire una strategia più realistica.
1. intanto elaborare un programma plausibile
2. prendere i consensi maggiori possibili (non necessariamente vincere)
3. USARE quei consensi per portare a casa QUI E OGGI IL POSSIBILE, aprendosi ad accordi POLITICI nel rispetto dei consensi ricevuti e del programma
C'è di più e di diverso.
Gli attacchi sono un fenomeno contingente, ossia fanno parte del gioco politico - e tra l'altro non mi sembra che provengano dai "veci" in modo particolare.
Il leaderismo, che ha contrassegnato questi vent'anni, ha fatto perdere di vista uno dei punti chiave dell'analisi storico-politica, soprattutto di sinistra: i comportamenti sono la conseguenza dei fenomeni, o ne sono il sintomo, prima e più che esserne la causa.
La fenomenologia di questi anni era scritta nell'evoluzione del capitalismo e della democrazia post-industriale, ampiamente analizzata e descritta in tempi "non sospetti".
Il problema dei "valori" sta tutto dentro questa fenomenologia e dentro questa evoluzione.
Ma un passo indietro è necessario.
Non è vero che nel dopoguerra si è costruto "poco" di buono: questa idea è una banalità ed è sbagliata, e per certi aspetti rappresenta il cuore che anima gli attacchi ideologici.
Al di là della disputa sul fatto che che la società e la politica realizzate nel dopoguerra siano state liberali o socialdemocratiche, liberalsocialiste o liberaldemocratiche, quella che si è affermata è una società inclusiva, con fondamentali aspetti solidaristici, laica e fondata sui diritti civili dei cittadini: se ne è affermato soprattutto il principio, ossia se ne è realizzata una coscienza prevalente che ha assunto un ruolo politico forte e un ruolo culturale diffuso.
In massima (e determinante) parte, tutto ciò è avvenuto ad opera e per la presenza della sinistra: progressista, socialista, comunista, radicale, riformista, massimalista, cattolica, estrema o moderata che fosse, nel corso della prima metà del '900, fortemente accelerata dagli eventi della guerra, delle sue devastazioni e della ricostruzione che è seguita.
Questo, tutto questo, costituisce la vera, grande, incancellabile "vittoria" politica e culturale della sinistra, che non è nemmeno lontanamente misurabile con la partecipazione o meno al governo, o con le vicende dei partiti.
In più occasioni, per altro, mi è capitato di scrivere su un periodo cruciale di questa storia, che serve a uscire dai "voli d'uccello" dei luoghi comuni e a mettere invece la testa dentro la concretezza degli eventi.
Ci sono due o tre "generazioni" - quelle che hanno aperto gli occhi alla vita dalla fine degli anni '40 fino alla metà dei '60, o poco oltre - hanno "visto", in senso letterale, due mondi, come chi sta sul crinale di una catena montuosa che si affaccia su opposte sponde.
Anche fisicamente, le città, i paesi, le campagne, le persone, le case, l'immaginario e il linguaggio, i paesaggi, le abitudini, che costituivano le nostre famiglie, il nostro mondo, avevano in sé aspetti, valori e significati che appartenevano a due epoche diverse: il nostro mondo era in realtà l'intreccio di due mondi molto differenti, che però avevano tra loro un rapporto di forte continuità.
Il "fascismo" non era solo un concetto o una parola, ma era fatto di muri e di strade, che appena qualche anno prima erano state percorse da gente, la stessa che adesso aveva due rughe in più intorno agli occhi e ci sedeva accanto nel pranzo di Natale.
Continuità e diversità erano le due anime di quel mondo, e noi le "vedevamo", le vivevamo, ricavadone il senso profondo che il passato, il presente e il futuro trovano una spontanea rappresentazione dentro di noi e non sono categorie in cerca di definizione.
Questo rendeva non solo percepibile, ma quasi "materiale" il senso della storia: e non si trattava di un senso riservato a chi faceva filosofia esistenziale, ma di un valore culturale diffuso, anzi tanto più apprezzabile nei comportamenti e nei rapporti quotidiani, in una forma nuova anche là dove investiva situazioni tradizionalmente consolidate.
Per esempio, il rapporto con i "vecchi" di casa: conflittuale, come di tradizione ancestrale, ma fondato su una comunanza di valori, che venivano riscritti, di fatto, insieme. La storia non ammette cesure, ma solo evoluzione, e quando l'evoluzione sei tu non puoi fare a meno di avere il senso della continuità.
C'era insomma una percezione e una coscienza del nuovo e del diverso, che non passava attraverso il giudizio razionale, ma attraverso l'eloquente realismo della vita vissuta: la "libertà" non era un'astrazione istituzionale, ma si poteva leggere nelle persone dei vecchi, e in quelle mani deformate dal lavoro bestiale, e in quelle donne di quarant'anni sfatte dalla fatica, e in quei muratori che stavano costruendo le moderne periferie, in canottiera, magri, seduti a mezzogiorno a mangiare enormi pagnotte piene di pasta e fagioli e che potevano scioperare per smettere quella condizione di cani col guinzaglio al collo.
Era come assistere in diretta a un miracolo e a una nascita.
La forza della sinistra, in Italia e nel mondo occidentale, è sta quella di simboleggiare racchiudere in sé tutto il senso di questo miracolo.
I programmi - la vittoria.
La vittoria, oggi come allora, non sta nel governare, ma sta in qualcosa di più: nel simboleggiare e racchiudere un senso, che diventa coscienza.
I programmi sono come le parole: possono essere poche o tante, gridate o mormorate, ma contano e persuadono solo se c'è la fiducia in chi le pronuncia. La fiducia dipende da ciò che tu sei: anche le azioni sono giudicate in base a ciò che sei.
Ciò che sei non si costruisce a tavolino, o da un notaio, e tanto meno da un "documento", fondativo o programmatico che sia, ma dipende da una storia ed è fatto di un cumulo di fattori, molti dei quali razionali, altri frutto di suggestioni e di virtuose illusioni.
Una grande corrente di pensiero, un partito forte appartiene alla categoria del "mito": la politica è una mitologia con i piedi in terra e mani nel fango, che col fango sanno costruire sentimenti. I sentimenti sono idee che vivono e hanno paura della morte.
La forza di un partito esiste se riesce ad essere credibile quando riprende l'aforisma di GB Shaw: "Tu vedi le cose come sono e ti chiedi 'perché?', io immagino cose che ancora non sono e mi chiedo 'perché no?' ": se a dirlo è uno qualunque, gli fanno le pernacchie, un partito forte riesce a dirlo ed ad essere ascoltato con rispetto, meglio ancora con fiducia.
Dopo di che - ma solo dopo - forse, può pensare ai programmi: due o tre punti fermi, il resto puntini di sospensione.