La crisi dell'Europa
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Re: La crisi dell'Europa
LIBRE news
Mai sprecare una bella crisi: ecco cos’hanno in mente
Scritto il 11/7/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
“Draghi vuole un Nuovo Ordine Mondiale che i populisti ameranno odiare”: così “Bloomberg” all’indomani del Brexit. «Mai sprecare una bella crisi, e il Brexit lo è», scrive Maurizio Blondet: «I globalizzatori sono dunque all’attacco: mentre gli europeisti (che sembrano essere la cosca perdente) cercano di cavalcare la crisi per instaurare “più Europa”, Draghi e complici puntano al Nuovo Ordine Mondiale. Ciò sarà venduto al pubblico come “necessario coordinamento fra le banche centrali”, in seguito ad un collasso finanziario globale che è stato già (deliberatamente?) innescato». Per “Bloomberg”, oggi le banche centrali sono ancora «governate da leggi concepite in patria, che richiedono loro di perseguire certi scopi, a volte espliciti, in genere legati all’inflazione e alla disoccupazione». Per di più, «devono rispondere ai legislatori nazionali, eletti». Il che è un guaio per i banchieri globali, commenta Blondet sul suo blog. Ecco perché, ora, «gli obbiettivi a breve termine dovrebbero essere sostituiti dagli obbiettivi globali». E cioè: più recessione e più disoccupazione. «La crisi ci farà cadere dalla padella dell’euro alla brace della moneta globale governata contro gli interessi dei popoli».Brandon Smith, economista e blogger, sostiene che il Brexit sia stato un evento artificiale, per preparare deliberatamente il prossimo collasso, che indurrà tutti – media e i governi – a «implorare il governo unico mondiale». Idea non peregrina, continua Blondet: come se l’uscita del Regno Unito dalla Ue sia stata voluta da Buckingham Palace «per posizionare la City come centrale globale di negoziazione dello yuan». La valuta cinese, infatti, «farà parte del paniere di monete che costituirà la moneta globale digitale, una volta tramontato il dollaro». Pechino s’è affrettata ad esprimere il proposito di collaborare, con la sua Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), con la Banca Mondiale? E’ la prova, per Smith, che «i cinesi non hanno mai avuto l’intenzione di fare di fare della Aiib un contro-Fmi», dato che «i cinesi lavorano con i globalizzatori, non contro di essi». Sta cambiando tutto. Anche per questo, oggi, Tony Blair viene scaricato come criminale di guerra 12 anni dopo l’Iraq. «Allo stesso modo, l’Unione Europea viene abbandonata come un guscio vuoto». Persino Schaeuble dice: se alcuni Stati membri vogliono perseguire le loro politiche al di fuori delle istituzioni europee, che lo facciano pure. «Una Ue ridotta ad accordi fra governi, adesso gli va benissimo».«Se il progetto è quello indicato da Bloomberg – salto nella globalizzazione totalitaria – si capisce anche l’imprevista pugnalata di Draghi al Montepaschi, a cui ha richiesto, ordinato, di liberarsi di 10 miliardi di crediti inesigibili: certo con ciò ha precipitato il fallimento della banca (del Pd), e magari il collasso del sistema bancario italiano, il più fragile, e non può non averlo fatto apposta», scrive Blondet. «Con ciò ha decretato anche la disfatta di Matteo Renzi. Deliberatamente ha pugnalato alla schiena il giovine rottamatore, come già fece con il vecchio Berlusconi». Come Blair, Juncker e Schulz, «simili personaggi non servono più», se l’Ue si sbriciola in favore della globalizzazione definitiva. «Anche Matteo Renzi sarà dato in pasto alle folle inferocite, e ai suoi sicari di partito», con un’Italia precipitata «nel collasso del suo sistema bancario senza un governo funzionante, e magari – il che è lo stesso – con un governo grillino eletto a furor di popolo». “Mai sprecare una bella crisi”. Meglio aggravarla, piuttosto che alleviarla – così sospetta Brandon Smith. «Non a caso Soros continua a dire che sta per arrivare la catastrofe. Non a caso il Fondo Monetario e la Banca dei Regolamenti Internazionali hanno “lanciato l’allarme” prevedendo un crash colossale nel 2016». Previsioni di crisi difficilmente sballate, «perché sono loro che pongono le condizioni perché esplodano».
Mai sprecare una bella crisi: ecco cos’hanno in mente
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“Draghi vuole un Nuovo Ordine Mondiale che i populisti ameranno odiare”: così “Bloomberg” all’indomani del Brexit. «Mai sprecare una bella crisi, e il Brexit lo è», scrive Maurizio Blondet: «I globalizzatori sono dunque all’attacco: mentre gli europeisti (che sembrano essere la cosca perdente) cercano di cavalcare la crisi per instaurare “più Europa”, Draghi e complici puntano al Nuovo Ordine Mondiale. Ciò sarà venduto al pubblico come “necessario coordinamento fra le banche centrali”, in seguito ad un collasso finanziario globale che è stato già (deliberatamente?) innescato». Per “Bloomberg”, oggi le banche centrali sono ancora «governate da leggi concepite in patria, che richiedono loro di perseguire certi scopi, a volte espliciti, in genere legati all’inflazione e alla disoccupazione». Per di più, «devono rispondere ai legislatori nazionali, eletti». Il che è un guaio per i banchieri globali, commenta Blondet sul suo blog. Ecco perché, ora, «gli obbiettivi a breve termine dovrebbero essere sostituiti dagli obbiettivi globali». E cioè: più recessione e più disoccupazione. «La crisi ci farà cadere dalla padella dell’euro alla brace della moneta globale governata contro gli interessi dei popoli».Brandon Smith, economista e blogger, sostiene che il Brexit sia stato un evento artificiale, per preparare deliberatamente il prossimo collasso, che indurrà tutti – media e i governi – a «implorare il governo unico mondiale». Idea non peregrina, continua Blondet: come se l’uscita del Regno Unito dalla Ue sia stata voluta da Buckingham Palace «per posizionare la City come centrale globale di negoziazione dello yuan». La valuta cinese, infatti, «farà parte del paniere di monete che costituirà la moneta globale digitale, una volta tramontato il dollaro». Pechino s’è affrettata ad esprimere il proposito di collaborare, con la sua Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), con la Banca Mondiale? E’ la prova, per Smith, che «i cinesi non hanno mai avuto l’intenzione di fare di fare della Aiib un contro-Fmi», dato che «i cinesi lavorano con i globalizzatori, non contro di essi». Sta cambiando tutto. Anche per questo, oggi, Tony Blair viene scaricato come criminale di guerra 12 anni dopo l’Iraq. «Allo stesso modo, l’Unione Europea viene abbandonata come un guscio vuoto». Persino Schaeuble dice: se alcuni Stati membri vogliono perseguire le loro politiche al di fuori delle istituzioni europee, che lo facciano pure. «Una Ue ridotta ad accordi fra governi, adesso gli va benissimo».«Se il progetto è quello indicato da Bloomberg – salto nella globalizzazione totalitaria – si capisce anche l’imprevista pugnalata di Draghi al Montepaschi, a cui ha richiesto, ordinato, di liberarsi di 10 miliardi di crediti inesigibili: certo con ciò ha precipitato il fallimento della banca (del Pd), e magari il collasso del sistema bancario italiano, il più fragile, e non può non averlo fatto apposta», scrive Blondet. «Con ciò ha decretato anche la disfatta di Matteo Renzi. Deliberatamente ha pugnalato alla schiena il giovine rottamatore, come già fece con il vecchio Berlusconi». Come Blair, Juncker e Schulz, «simili personaggi non servono più», se l’Ue si sbriciola in favore della globalizzazione definitiva. «Anche Matteo Renzi sarà dato in pasto alle folle inferocite, e ai suoi sicari di partito», con un’Italia precipitata «nel collasso del suo sistema bancario senza un governo funzionante, e magari – il che è lo stesso – con un governo grillino eletto a furor di popolo». “Mai sprecare una bella crisi”. Meglio aggravarla, piuttosto che alleviarla – così sospetta Brandon Smith. «Non a caso Soros continua a dire che sta per arrivare la catastrofe. Non a caso il Fondo Monetario e la Banca dei Regolamenti Internazionali hanno “lanciato l’allarme” prevedendo un crash colossale nel 2016». Previsioni di crisi difficilmente sballate, «perché sono loro che pongono le condizioni perché esplodano».
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Re: La crisi dell'Europa
Cosa fa una persona normale che di prima mattina legge la pubblicazione di Maurizio Blondet messa in evidenza da LIBRE Associazione di idee???????
Come minimo esce di casa e si infila dritto dritto in una botte di buon Merlot, oppure a piacere, di Barbera o di Salaparuta, e per 15 giorni non si fa più vedere in giro.
Come minimo esce di casa e si infila dritto dritto in una botte di buon Merlot, oppure a piacere, di Barbera o di Salaparuta, e per 15 giorni non si fa più vedere in giro.
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Re: La crisi dell'Europa
11 LUG 2016 13:49
IL GIGANTE MORIBONDO
- DEUTSCHE BANK È A RISCHIO PER I DERIVATI E ORA IL SUO CAPO-ECONOMISTA CHIEDE UN PIANO DA 150 MILIARDI PER STABILIZZARE LE BANCHE EUROPEE. ''OPPURE POTREBBE ESSERCI UN INCIDENTE'' - MERKEL-SCHAEUBLE SONO BRAVISSIMI A FARE (SOLO) L'INTERESSE TEDESCO. LO ASCOLTERANNO?
All' Eurogruppo di oggi, i ministri delle Finanze della zona euro si concentreranno sulla Brexit e le possibili sanzioni contro Spagna e Portogallo per i loro deficit eccessivi. Nell'agenda dell' Ecofin di domani è invece prevista una discussione sull' unione bancaria ma, con l' Italia che chiede un' eccezione alle regole attuali...
David Carretta per ''Il Messaggero''
LA RIUNIONE
Conseguenze della Brexit sulla situazione economica della zona euro, sanzioni a Spagna e Portogallo per non aver rispettato il Patto di stabilità, lotta alla frode fiscale: ufficialmente la situazione delle banche italiane non è nell'agenda di Eurogruppo e Ecofin, ma i colloqui tra i ministri delle Finanze dell' Unione Europea potrebbero rivelarsi decisivi nel momento in cui proseguono i negoziati tra l'Italia e la Commissione per cercare di stabilizzare gli istituti di credito.
«Le discussioni vanno avanti», ripetono da giorni fonti dell'esecutivo comunitario.
Ricapitalizzazione preventiva di diverse banche, salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, misure per affrontare il problema dei Non Performing Loans (i crediti deteriorati, ndr): sono diverse le opzioni esplorate dal Tesoro e dall'Antitrust europeo utilizzando le eccezioni al bail-in in caso di «grave perturbazione dell'economia di uno Stato membro» e rischio per «la stabilità finanziaria».
La Commissione è pronta ad usare un certo grado di flessibilità sulle nuove regole del bail-in al fine di non colpire i risparmiatori, ma insiste affinché i grandi investitori subiscano perdite in caso di salvataggio pubblico.
Ma alcuni paesi Germania e Olanda in testa insistono per preservare il principio del bail-in.
La preoccupazione è evidente: «Seguiamo l'evoluzione delle azioni bancarie italiane», ha spiegato una fonte dell' Eurogruppo.
Toccherà al ministro dell' Economia, Pier Carlo Padoan, rassicurare e al contempo cerca di convincere i partner e la Commissione a fare altre concessioni, giocando sulle prese di posizione della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale e sfruttando la debolezza di altri paesi.
La tedesca Deutsche Bank è a rischio per i derivati.
Il suo capo-economista David Folkerts-Landau ha chiesto un piano da 150 miliardi per stabilizzare il sistema bancario europeo. «L'Europa è estremamente malata e deve iniziare a affrontare i suoi problemi velocemente, oppure potrebbe esserci un incidente», ha avvertito Folkerts-Landau in un' intervista alla Welt am Sonntag.
IL DIBATTITO
All'Eurogruppo di oggi, i ministri delle Finanze della zona euro si concentreranno sulla Brexit e le possibili sanzioni contro Spagna e Portogallo per i loro deficit eccessivi.
Il dibattito sull'uscita del Regno Unito riguarderà le «conseguenze» economiche, mentre non c'è ancora un'intesa su una «risposta» comune, ha spiegato la fonte dell' Eurogruppo.
Su Madrid e Lisbona, la Commissione vorrebbe azzerare la multa, ma i paesi rigoristi insistono affinché ci siano sanzioni per preservare la credibilità del Patto.
Nell'agenda dell'Ecofin di domani è invece prevista una discussione sull'unione bancaria ma, con l' Italia che chiede un'eccezione alle regole attuali, non si prevedono progressi sulla garanzia dei depositi.
IL GIGANTE MORIBONDO
- DEUTSCHE BANK È A RISCHIO PER I DERIVATI E ORA IL SUO CAPO-ECONOMISTA CHIEDE UN PIANO DA 150 MILIARDI PER STABILIZZARE LE BANCHE EUROPEE. ''OPPURE POTREBBE ESSERCI UN INCIDENTE'' - MERKEL-SCHAEUBLE SONO BRAVISSIMI A FARE (SOLO) L'INTERESSE TEDESCO. LO ASCOLTERANNO?
All' Eurogruppo di oggi, i ministri delle Finanze della zona euro si concentreranno sulla Brexit e le possibili sanzioni contro Spagna e Portogallo per i loro deficit eccessivi. Nell'agenda dell' Ecofin di domani è invece prevista una discussione sull' unione bancaria ma, con l' Italia che chiede un' eccezione alle regole attuali...
David Carretta per ''Il Messaggero''
LA RIUNIONE
Conseguenze della Brexit sulla situazione economica della zona euro, sanzioni a Spagna e Portogallo per non aver rispettato il Patto di stabilità, lotta alla frode fiscale: ufficialmente la situazione delle banche italiane non è nell'agenda di Eurogruppo e Ecofin, ma i colloqui tra i ministri delle Finanze dell' Unione Europea potrebbero rivelarsi decisivi nel momento in cui proseguono i negoziati tra l'Italia e la Commissione per cercare di stabilizzare gli istituti di credito.
«Le discussioni vanno avanti», ripetono da giorni fonti dell'esecutivo comunitario.
Ricapitalizzazione preventiva di diverse banche, salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, misure per affrontare il problema dei Non Performing Loans (i crediti deteriorati, ndr): sono diverse le opzioni esplorate dal Tesoro e dall'Antitrust europeo utilizzando le eccezioni al bail-in in caso di «grave perturbazione dell'economia di uno Stato membro» e rischio per «la stabilità finanziaria».
La Commissione è pronta ad usare un certo grado di flessibilità sulle nuove regole del bail-in al fine di non colpire i risparmiatori, ma insiste affinché i grandi investitori subiscano perdite in caso di salvataggio pubblico.
Ma alcuni paesi Germania e Olanda in testa insistono per preservare il principio del bail-in.
La preoccupazione è evidente: «Seguiamo l'evoluzione delle azioni bancarie italiane», ha spiegato una fonte dell' Eurogruppo.
Toccherà al ministro dell' Economia, Pier Carlo Padoan, rassicurare e al contempo cerca di convincere i partner e la Commissione a fare altre concessioni, giocando sulle prese di posizione della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale e sfruttando la debolezza di altri paesi.
La tedesca Deutsche Bank è a rischio per i derivati.
Il suo capo-economista David Folkerts-Landau ha chiesto un piano da 150 miliardi per stabilizzare il sistema bancario europeo. «L'Europa è estremamente malata e deve iniziare a affrontare i suoi problemi velocemente, oppure potrebbe esserci un incidente», ha avvertito Folkerts-Landau in un' intervista alla Welt am Sonntag.
IL DIBATTITO
All'Eurogruppo di oggi, i ministri delle Finanze della zona euro si concentreranno sulla Brexit e le possibili sanzioni contro Spagna e Portogallo per i loro deficit eccessivi.
Il dibattito sull'uscita del Regno Unito riguarderà le «conseguenze» economiche, mentre non c'è ancora un'intesa su una «risposta» comune, ha spiegato la fonte dell' Eurogruppo.
Su Madrid e Lisbona, la Commissione vorrebbe azzerare la multa, ma i paesi rigoristi insistono affinché ci siano sanzioni per preservare la credibilità del Patto.
Nell'agenda dell'Ecofin di domani è invece prevista una discussione sull'unione bancaria ma, con l' Italia che chiede un'eccezione alle regole attuali, non si prevedono progressi sulla garanzia dei depositi.
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Re: La crisi dell'Europa
IL MONDO RIBOLLE TRA UNA SPONDA E L'ALTRA DELL'ATLANTICO.
E' SOLO IL CALDO O C'E' ALTRO???????
Berlino, guerra civile tra autonomi e polizia
123 agenti feriti, 86 antagonisti arrestati. Scontri ogni notte per le strade della capitale tedesca
Robert Favazzoli - Lun, 11/07/2016 - 16:39
commenta
Scene di guerra civile per le strade di Berlino. Un gruppo di circa mille persone, vestite di nero e con il volto coperto, si è ritrovato nella notte nel quartiere di Friedrichshain per assaltare le strutture della polizia presenti nella zona.
Armati di bottiglie molotov e di altri tipi di espolosivi, hanno preso di mira caserme e volanti degli agenti. A rimanere distrutte sono anche diverse macchine di normali cittadini che erano parcheggiate nel quartiere, alcuni negozi e molte vetrine e finestre. Queste ultime sono state sfondate con mazze e bastoni. Il motivo? Combattere il "terrore della polizia" come si legge su internet.
A rivendicare queste azioni è una rete di antagonisti di sinistra che nel quartiere in questione hanno i propri quartier generali. Il bilancio finale è di 123 poliziotti feriti e 86 arresti, tutte persone riconducibili al mondo dell'autonomia di sinistra. Secondo la polizia di Berlino si tratta degli atti di violenza e aggressione politica più gravi degli ultimi 5 anni.
Non si tratta del primo caso. Nell'ultimo mese le aggressioni violente e gratuite da parte degli estremisti sono continue. Le autorità stanno valutando come comportarsi per combattere il fenomeno.
E' SOLO IL CALDO O C'E' ALTRO???????
Berlino, guerra civile tra autonomi e polizia
123 agenti feriti, 86 antagonisti arrestati. Scontri ogni notte per le strade della capitale tedesca
Robert Favazzoli - Lun, 11/07/2016 - 16:39
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Scene di guerra civile per le strade di Berlino. Un gruppo di circa mille persone, vestite di nero e con il volto coperto, si è ritrovato nella notte nel quartiere di Friedrichshain per assaltare le strutture della polizia presenti nella zona.
Armati di bottiglie molotov e di altri tipi di espolosivi, hanno preso di mira caserme e volanti degli agenti. A rimanere distrutte sono anche diverse macchine di normali cittadini che erano parcheggiate nel quartiere, alcuni negozi e molte vetrine e finestre. Queste ultime sono state sfondate con mazze e bastoni. Il motivo? Combattere il "terrore della polizia" come si legge su internet.
A rivendicare queste azioni è una rete di antagonisti di sinistra che nel quartiere in questione hanno i propri quartier generali. Il bilancio finale è di 123 poliziotti feriti e 86 arresti, tutte persone riconducibili al mondo dell'autonomia di sinistra. Secondo la polizia di Berlino si tratta degli atti di violenza e aggressione politica più gravi degli ultimi 5 anni.
Non si tratta del primo caso. Nell'ultimo mese le aggressioni violente e gratuite da parte degli estremisti sono continue. Le autorità stanno valutando come comportarsi per combattere il fenomeno.
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Re: La crisi dell'Europa
11 LUG 2016 16:20
SIETE SBANCATI? CAZZI VOSTRI!
- IL CAPO DELL'EUROGRUPPO DIJSSELBLOEM: 'SOLDI PUBBLICI? LE BANCHE SI RISOLVANO DA SOLE I PROBLEMI. LA FACILITÀ CON CUI CHIEDONO DENARO È PROBLEMATICA. LA CRISI ITALIANA NON È ACUTA, C'È TEMPO PER AFFRONTARLA''
- E SCHAEUBLE È SULLA STESSA LINEA: QUELLO CHE AIUTA L'ITALIA, DANNEGGIA LA GERMANIA (E VICEVERSA)
Ogni soluzione in grado di rafforzare Matteo Renzi in Italia indebolisce Angela Merkel in Germania, e viceversa; ogni aggiramento delle regole più rigide nell' area euro finisce nella colonna dei profitti per il primo e delle perdite per la seconda - La Commissione vuole colpire investitori e azionisti, e tutelare i contribuenti...
1.BANCHE: DIJSSELBLOEM, RISOLVANO DA SOLE I PROBLEMI
2.BANCHE: DIJSSELBLOEM, CRISI ITALIA NON È ACUTA
3.BANCHE: DIJSSELBLOEM, NO AD AIUTO PUBBLICO, AUMENTA DEBITO
4.BANCHE: SCHAEUBLE, NON SPECULARE SU SITUAZIONE ITALIA
5.SULLA SOSPENSIONE DEL BAIL-IN LE RISERVE DI SCHÄUBLE IL FRONTE EUROPEO È DIVISO
SIETE SBANCATI? CAZZI VOSTRI!
- IL CAPO DELL'EUROGRUPPO DIJSSELBLOEM: 'SOLDI PUBBLICI? LE BANCHE SI RISOLVANO DA SOLE I PROBLEMI. LA FACILITÀ CON CUI CHIEDONO DENARO È PROBLEMATICA. LA CRISI ITALIANA NON È ACUTA, C'È TEMPO PER AFFRONTARLA''
- E SCHAEUBLE È SULLA STESSA LINEA: QUELLO CHE AIUTA L'ITALIA, DANNEGGIA LA GERMANIA (E VICEVERSA)
Ogni soluzione in grado di rafforzare Matteo Renzi in Italia indebolisce Angela Merkel in Germania, e viceversa; ogni aggiramento delle regole più rigide nell' area euro finisce nella colonna dei profitti per il primo e delle perdite per la seconda - La Commissione vuole colpire investitori e azionisti, e tutelare i contribuenti...
1.BANCHE: DIJSSELBLOEM, RISOLVANO DA SOLE I PROBLEMI
2.BANCHE: DIJSSELBLOEM, CRISI ITALIA NON È ACUTA
3.BANCHE: DIJSSELBLOEM, NO AD AIUTO PUBBLICO, AUMENTA DEBITO
4.BANCHE: SCHAEUBLE, NON SPECULARE SU SITUAZIONE ITALIA
5.SULLA SOSPENSIONE DEL BAIL-IN LE RISERVE DI SCHÄUBLE IL FRONTE EUROPEO È DIVISO
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Re: La crisi dell'Europa
Londra, Theresa May nuovo premier inglese
Contraria a Brexit, dovrà negoziare uscita da Ue
Seconda donna dopo Margaret Thatcher a risiedere a Downing street, si insedierà mercoledì. Schierata
al referendum contro l’uscita del Regno dall’Europa, diventa leader dopo la rinuncia di Andrea Leadsom
may2-pp
Mondo
Theresa May sarà il nuovo primo ministro del Regno Unito. Il premier dimissionario David Cameron ha annunciato di essere “felice” di sostenerla e di passarle le consegne. May, 60 anni a ottobre, sarà la seconda donna a guidare il governo britannico dopo Margaret Thatcher. Figlia di un pastore anglicano del Sussex, proviene, come già fu per la lady di ferro, da un ambiente molto più modesto di quello dei tanti uomini educati a Eton e Oxford che circondano Cameron. Anche la May, che ha studiato nelle scuole statali, è stata a Oxford, ma grazie ad una borsa di studio. Prima di diventare deputato conservatore nel 1997, lavorava alla banca d’Inghilterra
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... y/2896929/
Contraria a Brexit, dovrà negoziare uscita da Ue
Seconda donna dopo Margaret Thatcher a risiedere a Downing street, si insedierà mercoledì. Schierata
al referendum contro l’uscita del Regno dall’Europa, diventa leader dopo la rinuncia di Andrea Leadsom
may2-pp
Mondo
Theresa May sarà il nuovo primo ministro del Regno Unito. Il premier dimissionario David Cameron ha annunciato di essere “felice” di sostenerla e di passarle le consegne. May, 60 anni a ottobre, sarà la seconda donna a guidare il governo britannico dopo Margaret Thatcher. Figlia di un pastore anglicano del Sussex, proviene, come già fu per la lady di ferro, da un ambiente molto più modesto di quello dei tanti uomini educati a Eton e Oxford che circondano Cameron. Anche la May, che ha studiato nelle scuole statali, è stata a Oxford, ma grazie ad una borsa di studio. Prima di diventare deputato conservatore nel 1997, lavorava alla banca d’Inghilterra
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... y/2896929/
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Re: La crisi dell'Europa
LIBRE news
La sinistra europeista che teme il popolo e la democrazia
Scritto il 12/7/16 • nella Categoria: idee Condividi
Uno spettro si aggira per l’Europa: è la democrazia. Dopo il referendum greco, con il quale più del 60% della popolazione di quel paese ha detto no all’austerità imposta dalla Ue e dalla Troika, è arrivata la Brexit, che ha visto una maggioranza meno netta, ma per molti versi più significativa, di cittadini inglesi chiedere il divorzio dalle istituzioni oligarchiche di quell’Europa che impone gli interessi del finanzcapitalismo globale ai propri sudditi. In entrambi i casi non ha funzionato la campagna del terrore orchestrata da partiti di centrosinistra e centrodestra, media, cattedratici, economisti, “uomini di cultura”, esperti di ogni risma, nani e ballerine per convincere gli elettori a chinare la testa ed accettare come legge di natura livelli sempre più osceni di disuguaglianza, tagli a salari, sanità e pensioni, ritorno a tassi di mortalità ottocenteschi per le classi subordinate e via elencando. In entrambi i casi la sconfitta è stata accolta con rabbia e ha indotto l’establishment a riesumare le tesi degli elitisti di fine Ottocento-primo Novecento: su certi temi “complessi”, che solo gli addetti ai lavori capiscono, non bisogna consentire alle masse di esprimere il proprio parere, se si vuole evitare che la democrazia “divori se stessa”. Ovvero: così ci costringete a imporre con la forza il nostro punto di vista.In entrambi casi ciò è infatti esattamente quanto è successo. In Grecia con il ricatto che ha indotto Tsipras a calare le brache e tradire ignominiosamente il verdetto popolare. In Inghilterra con il tentativo di far pagare così cara la Brexit a coloro che l’hanno votata da dissuadere altri a imboccare la stessa strada (non a caso il risultato deludente di Podemos e la marcia indietro di 5 Stelle sull’Europa sono state accolte con soddisfazione: la lezione è servita a qualcosa…). In entrambi i casi le élite hanno dispiegato tutto il loro disprezzo nei confronti dei proletari “sporchi, brutti e cattivi“ che si sono ribellati ai loro diktat. Imitati dalle sinistre: tutte, anche quelle che si proclamano radicali e antagoniste: non si può stare dalla parte degli operai inglesi perché sono egemonizzati dalla destra razzista e xenofoba (qualche idea sul perché ciò sia avvenuto?). I peggiori sono quegli intellettuali post operaisti che ormai sono parte integrante del polo liberal chic che definisce l’essere di sinistra o di destra non in base all’appartenenza e agli interessi di classe, bensì in base all’impegno per i diritti individuali, e affida l’emancipazione sociale a un immaginario “comunismo del capitale”.Ho quindi accolto con piacere un intervento di Bifo che ha rotto il fronte “europeista”, riconoscendo che l‘aspetto dirimente del voto inglese non è il colore ideologico, ma da quali interessi di classe è stato dettato. Credo però che occorra fare altri due passi: 1) chiedersi perché i giovani “creativi” hanno votato in massa Remain; 2) ragionare concretamente sulla forma politica che oggi assume la resistenza proletaria al finanzcapitalismo e alle sue istituzioni oligarchiche. Affrontare il primo punto significa fare i conti con il mito del cognitariato, prendere atto che questo gruppo sociale non ha mai espresso, non esprime, né mai esprimerà una cultura anticapitalista, che il suo strato superiore è parte integrante delle élite e, in quanto tale, è un nemico di classe, mentre lo strato inferiore – che continua a nutrire la speranza in una illusoria mobilità sociale, benché falcidiato da precariato, redditi miserabili, condizioni di vita oscene – potrà prendere coscienza dei propri interessi solo se egemonizzato dalla spinta antagonista che viene da fuori e dal basso.Quanto al secondo punto: se è vero – come è innegabile non appena si guardi a quanto avviene negli Stati Uniti e in tutti i paesi europei – che oggi la lotta di classe assume la forma dell’opposizione alto/basso, dell’odio per le élite politiche ed economiche (que se vayan todos), del rifiuto di ogni forma di delega, che assume cioè una forma populista, occorre decidersi a prenderne atto – perché la teoria e la prassi politica rivoluzionarie sono una cosa sola, sono cioè analisi concreta della situazione concreta – e agire di conseguenza. Il populismo di destra si combatte con il populismo di sinistra, non con le ammoine radical chic. Il che vuol dire lotta per l’egemonia (cioè cambiare il senso di parole come popolo, comunità, sovranità, ecc. trasformandole in armi nella battaglia fra i flussi globali del capitale e i luoghi da cui i flussi estraggono valore), costruire blocco sociale a partire dal basso e non dall’alto delle nuove aristocrazie del lavoro, costruire organismi di democrazia diretta e riaprire la vecchia sfida, tenendo conto che l’unica cosa che oggi produce contro terrore rispetto al terrorismo psicologico delle élite è la democrazia e che, dopo la morte della democrazia rappresentativa, l’unica forma esistente di democrazia è appunto il populismo.
(Carlo Formenti, “Brexit, uno spettro si aggira per l’Europa: la democrazia”, da “Micromega” del 28 giugno 2016).
La sinistra europeista che teme il popolo e la democrazia
Scritto il 12/7/16 • nella Categoria: idee Condividi
Uno spettro si aggira per l’Europa: è la democrazia. Dopo il referendum greco, con il quale più del 60% della popolazione di quel paese ha detto no all’austerità imposta dalla Ue e dalla Troika, è arrivata la Brexit, che ha visto una maggioranza meno netta, ma per molti versi più significativa, di cittadini inglesi chiedere il divorzio dalle istituzioni oligarchiche di quell’Europa che impone gli interessi del finanzcapitalismo globale ai propri sudditi. In entrambi i casi non ha funzionato la campagna del terrore orchestrata da partiti di centrosinistra e centrodestra, media, cattedratici, economisti, “uomini di cultura”, esperti di ogni risma, nani e ballerine per convincere gli elettori a chinare la testa ed accettare come legge di natura livelli sempre più osceni di disuguaglianza, tagli a salari, sanità e pensioni, ritorno a tassi di mortalità ottocenteschi per le classi subordinate e via elencando. In entrambi i casi la sconfitta è stata accolta con rabbia e ha indotto l’establishment a riesumare le tesi degli elitisti di fine Ottocento-primo Novecento: su certi temi “complessi”, che solo gli addetti ai lavori capiscono, non bisogna consentire alle masse di esprimere il proprio parere, se si vuole evitare che la democrazia “divori se stessa”. Ovvero: così ci costringete a imporre con la forza il nostro punto di vista.In entrambi casi ciò è infatti esattamente quanto è successo. In Grecia con il ricatto che ha indotto Tsipras a calare le brache e tradire ignominiosamente il verdetto popolare. In Inghilterra con il tentativo di far pagare così cara la Brexit a coloro che l’hanno votata da dissuadere altri a imboccare la stessa strada (non a caso il risultato deludente di Podemos e la marcia indietro di 5 Stelle sull’Europa sono state accolte con soddisfazione: la lezione è servita a qualcosa…). In entrambi i casi le élite hanno dispiegato tutto il loro disprezzo nei confronti dei proletari “sporchi, brutti e cattivi“ che si sono ribellati ai loro diktat. Imitati dalle sinistre: tutte, anche quelle che si proclamano radicali e antagoniste: non si può stare dalla parte degli operai inglesi perché sono egemonizzati dalla destra razzista e xenofoba (qualche idea sul perché ciò sia avvenuto?). I peggiori sono quegli intellettuali post operaisti che ormai sono parte integrante del polo liberal chic che definisce l’essere di sinistra o di destra non in base all’appartenenza e agli interessi di classe, bensì in base all’impegno per i diritti individuali, e affida l’emancipazione sociale a un immaginario “comunismo del capitale”.Ho quindi accolto con piacere un intervento di Bifo che ha rotto il fronte “europeista”, riconoscendo che l‘aspetto dirimente del voto inglese non è il colore ideologico, ma da quali interessi di classe è stato dettato. Credo però che occorra fare altri due passi: 1) chiedersi perché i giovani “creativi” hanno votato in massa Remain; 2) ragionare concretamente sulla forma politica che oggi assume la resistenza proletaria al finanzcapitalismo e alle sue istituzioni oligarchiche. Affrontare il primo punto significa fare i conti con il mito del cognitariato, prendere atto che questo gruppo sociale non ha mai espresso, non esprime, né mai esprimerà una cultura anticapitalista, che il suo strato superiore è parte integrante delle élite e, in quanto tale, è un nemico di classe, mentre lo strato inferiore – che continua a nutrire la speranza in una illusoria mobilità sociale, benché falcidiato da precariato, redditi miserabili, condizioni di vita oscene – potrà prendere coscienza dei propri interessi solo se egemonizzato dalla spinta antagonista che viene da fuori e dal basso.Quanto al secondo punto: se è vero – come è innegabile non appena si guardi a quanto avviene negli Stati Uniti e in tutti i paesi europei – che oggi la lotta di classe assume la forma dell’opposizione alto/basso, dell’odio per le élite politiche ed economiche (que se vayan todos), del rifiuto di ogni forma di delega, che assume cioè una forma populista, occorre decidersi a prenderne atto – perché la teoria e la prassi politica rivoluzionarie sono una cosa sola, sono cioè analisi concreta della situazione concreta – e agire di conseguenza. Il populismo di destra si combatte con il populismo di sinistra, non con le ammoine radical chic. Il che vuol dire lotta per l’egemonia (cioè cambiare il senso di parole come popolo, comunità, sovranità, ecc. trasformandole in armi nella battaglia fra i flussi globali del capitale e i luoghi da cui i flussi estraggono valore), costruire blocco sociale a partire dal basso e non dall’alto delle nuove aristocrazie del lavoro, costruire organismi di democrazia diretta e riaprire la vecchia sfida, tenendo conto che l’unica cosa che oggi produce contro terrore rispetto al terrorismo psicologico delle élite è la democrazia e che, dopo la morte della democrazia rappresentativa, l’unica forma esistente di democrazia è appunto il populismo.
(Carlo Formenti, “Brexit, uno spettro si aggira per l’Europa: la democrazia”, da “Micromega” del 28 giugno 2016).
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Re: La crisi dell'Europa
Questa è la risposta al motociclista greco mi
https://www.marxists.org/italiano/lenin ... europa.htm io
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Re: La crisi dell'Europa
I tedeschi: fuori dall’euro la Germania crolla (e l’Italia vola)
Scritto il 13/7/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Theo Waigel è stato per dieci anni Ministro delle Finanze di Helmut Kohl. Il 21 giugno scorso ha rilasciato un’intervista a “T-Online”. Questo è un frammento delle sue dichiarazioni.
Intervistatore: «I sondaggi sull’uscita dalla Ue mostrano che se si chiedesse ai francesi e ad altri, vincerebbe chi vuole uscire, con uno scarto minimo.
Secondo lei da dove viene questa disaffezione per l’Ue?». Theo Waigel: «Al grado di sviluppo della globalizzazione e dei mercati aperti cui siamo arrivati – che non è più reversibile – ci sono forze che si oppongono, sostenendo la necessità di ritornare ai confini e alle regolamentazioni nazionali, che prima funzionavano bene, per tornare ad appropriarsi delle proprie capacità decisionali».
E cosa gli si può rispondere? Waigel: «Gli si può rispondere in modo del tutto chiaro quali svantaggi ne scaturirebbero. Se la Germania oggi uscisse dall’unione monetaria, allora avremmo immediatamente, il giorno dopo, un apprezzamento tra il 20% e il 30% del marco tedesco – che tornerebbe nuovamente in circolazione.
Chiunque si può immaginare che cosa significherebbe per il nostro export, per il nostro mercato del lavoro, o per il nostro bilancio federale».
L’euro conviene alla Germania, ecco perché ci restiamo dentro.
Va da sè che se il marco diventasse sconveniente, la lira diventerebbe conveniente per i mercati, per gli investitori e per i consumatori.
Queste cose i commentatori nazionali non ve lo dicono.
Queste notizie ai telegiornali non passano.
Per chi lavora la stampa italiana? Per chi lavora la politica italiana? Per l’Italia o per Berlino?
Se lavorasse per gli italiani, interviste come queste sarebbero in prima pagina su tutti i quotidiani, in luogo dello spettro dell’inflazione, e la gente inizierebbe a trarne le conclusioni.
In Germania, invece, non si fanno problemi a dirlo con chiarezza.
Anche perché hanno interessi opposti.
Ci fu anche un pezzo dello “Spiegel Online”, che io riportai puntualmente sul blog, datato 13 giugno 2012 (ben 4 anni fa), che lo disse con altrettanta chiarezza:«Con un’uscita dall’euro e un taglio netto dei debiti la crisi interna italiana finirebbe di colpo.
La nostra invece inizierebbe proprio allora.
Una gran parte del settore bancario europeo si troverebbe a collassare immediatamente.
Il debito pubblico tedesco aumenterebbe massicciamente perché si dovrebbe ricapitalizzare il settore bancario e investire ancora centinaia di miliardi per le perdite dovute al sistema dei pagamenti target 2 intraeuropei.
E chi crede che non vi saranno allora dei rifiuti tra i paesi europei, non s’immagina neanche cosa possa accadere durante una crisi economica così profonda.
Un’uscita dall’euro da parte dell’Italia danneggerebbe probabilmente molto più noi che non l’Italia stessa e questo indebolisce indubbiamente la posizione della Germania nelle trattative.
Non riesco ad immaginarmi che in Germania a parte alcuni professori di economia statali e in pensione qualcuno possa avere un Interesse a un crollo dell’euro».
(“Ministro delle finanze tedesco: se uscite dall’euro la Germania crollerà”, dal blog “Byoblu” di Claudio Messora del 9 luglio 2016).
Scritto il 13/7/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Theo Waigel è stato per dieci anni Ministro delle Finanze di Helmut Kohl. Il 21 giugno scorso ha rilasciato un’intervista a “T-Online”. Questo è un frammento delle sue dichiarazioni.
Intervistatore: «I sondaggi sull’uscita dalla Ue mostrano che se si chiedesse ai francesi e ad altri, vincerebbe chi vuole uscire, con uno scarto minimo.
Secondo lei da dove viene questa disaffezione per l’Ue?». Theo Waigel: «Al grado di sviluppo della globalizzazione e dei mercati aperti cui siamo arrivati – che non è più reversibile – ci sono forze che si oppongono, sostenendo la necessità di ritornare ai confini e alle regolamentazioni nazionali, che prima funzionavano bene, per tornare ad appropriarsi delle proprie capacità decisionali».
E cosa gli si può rispondere? Waigel: «Gli si può rispondere in modo del tutto chiaro quali svantaggi ne scaturirebbero. Se la Germania oggi uscisse dall’unione monetaria, allora avremmo immediatamente, il giorno dopo, un apprezzamento tra il 20% e il 30% del marco tedesco – che tornerebbe nuovamente in circolazione.
Chiunque si può immaginare che cosa significherebbe per il nostro export, per il nostro mercato del lavoro, o per il nostro bilancio federale».
L’euro conviene alla Germania, ecco perché ci restiamo dentro.
Va da sè che se il marco diventasse sconveniente, la lira diventerebbe conveniente per i mercati, per gli investitori e per i consumatori.
Queste cose i commentatori nazionali non ve lo dicono.
Queste notizie ai telegiornali non passano.
Per chi lavora la stampa italiana? Per chi lavora la politica italiana? Per l’Italia o per Berlino?
Se lavorasse per gli italiani, interviste come queste sarebbero in prima pagina su tutti i quotidiani, in luogo dello spettro dell’inflazione, e la gente inizierebbe a trarne le conclusioni.
In Germania, invece, non si fanno problemi a dirlo con chiarezza.
Anche perché hanno interessi opposti.
Ci fu anche un pezzo dello “Spiegel Online”, che io riportai puntualmente sul blog, datato 13 giugno 2012 (ben 4 anni fa), che lo disse con altrettanta chiarezza:«Con un’uscita dall’euro e un taglio netto dei debiti la crisi interna italiana finirebbe di colpo.
La nostra invece inizierebbe proprio allora.
Una gran parte del settore bancario europeo si troverebbe a collassare immediatamente.
Il debito pubblico tedesco aumenterebbe massicciamente perché si dovrebbe ricapitalizzare il settore bancario e investire ancora centinaia di miliardi per le perdite dovute al sistema dei pagamenti target 2 intraeuropei.
E chi crede che non vi saranno allora dei rifiuti tra i paesi europei, non s’immagina neanche cosa possa accadere durante una crisi economica così profonda.
Un’uscita dall’euro da parte dell’Italia danneggerebbe probabilmente molto più noi che non l’Italia stessa e questo indebolisce indubbiamente la posizione della Germania nelle trattative.
Non riesco ad immaginarmi che in Germania a parte alcuni professori di economia statali e in pensione qualcuno possa avere un Interesse a un crollo dell’euro».
(“Ministro delle finanze tedesco: se uscite dall’euro la Germania crollerà”, dal blog “Byoblu” di Claudio Messora del 9 luglio 2016).
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Re: La crisi dell'Europa
LIBRE news
Euro, chi tocca muore: Finlandia ko, salve Svezia e Norvegia
Scritto il 15/7/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Ora sappiamo che la Finlandia è nei guai. Una serie di forti shock dal lato dell’offerta ha devastato l’economia. Quando Nokia è crollata sulla scia della crisi finanziaria del 2007-2008, creando un buco enorme nel Pil del paese, il governo ha risposto con un sostanziale sostegno fiscale. Questo ha rovinato la sua già virtuosa posizione fiscale: in un anno è passata da un surplus del 6% a un deficit del 4%, e anche se il suo deficit da allora è leggermente migliorato, è ancora al di fuori dei parametri di Maastricht. A causa di questo, l’attuale governo – sotto la pressione degli eurocrati folli – sta attuando l’austerità fiscale, per portare il deficit al di sotto del 3% del Pil. Per un’economia che ha subito una grave diminuzione della sua capacità produttiva, questo è disastroso, scrive Frances Coppola, in un post ripreso su “Luogo Comune”. Che svela una verità drammatica: in Scandinavia, si salva solo chi sta lontano dall’euro, come la Svezia. E meglio ancora la Norvegia, che non è neppure nell’Ue.In Finlandia, le misure di austerità non saranno in grado né di ridurre il deficit né di far ripartire l’economia, scrive Coppola. «Al contrario, provocheranno un’ulteriore riduzione dell’economia e, di conseguenza – è una questione di semplice aritmetica – provocheranno un aumento del deficit in percentuale sul Pil». La Finlandia è stata in recessione per quasi tutti gli ultimi quattro anni: «Quello di cui ha bisogno è una politica fiscale espansiva, non di salassi». L’austerità? «E’ una strategia del tutto controproducente per un’economia che ha avuto danni sul fronte dell’offerta a causa di shock esogeni». L’unica cosa che sta impedendo all’economia finlandese di crollare è la politica monetaria espansiva della Bce: «Tassi negativi e “quantitative easing” possono essere uno stimolo debole, ma sono meglio di niente». Ma la verità è che la Finlandia, fatta passare per un paese prospero, «è molto più simile agli Stati deboli del sud Europa». E se la Finlandia sta male, neppure la Danimarca si sente molto bene.La Danimarca ha subito una profonda recessione dopo la crisi finanziaria, toccando il fondo nel secondo trimestre del 2010. Ma, a differenza della Svezia, non ha recuperato: il modello dell’andamento del suo Pil è molto più simile a quello della Finlandia, anche se non ha avuto gli shock sull’offerta subiti da Helsinki. Perché è rimasta stagnante per gran parte degli ultimi sette anni? Molte spiegazioni tendono a incolpare il welfare danese, “troppo generoso” e costoso: una tassazione elevata soffocherebbe le imprese, mentre lo stato sociale scoraggerebbe il lavoro produttivo. Tagliare il welfare, quindi? Ma no: «Anche la Svezia ha un generoso stato sociale e una tassazione relativamente elevata. E anche la Norvegia. E in effetti anche la Finlandia. Tutti gli stati nordici sono così. E tutti, negli ultimi anni, hanno fatto seri sforzi per migliorare l’efficienza dei loro sistemi di welfare e ridurne il costo». La Danimarca è addirittura in testa alla classifica dell’Ocse tra i paesi scandinavi per lo sforzo nell’azione riformatrice. Eppure i suoi risultati economici differiscono enormemente da quelli di Svezia e Norvegia.La vera ragione di questa profonda differenza non è difficile da trovare, scrive Frances Coppola: la Finlandia, quella che tra questi paesi ha le peggiori prestazioni, è un membro dell’euro. «Questo non solo le impedisce di gestire la propria politica monetaria, compresa la possibilità di svalutare per proteggere la sua economia dagli shock esogeni, ma anche incatena la sua politica fiscale alle regole del Patto di Stabilità e Crescita. La Finlandia è soggetta alla procedura prevista in caso di deficit eccessivo e, in quanto membro dell’euro, questo significa che deve conformarsi alle azioni richieste o affrontare le sanzioni – anche se le azioni previste sono direttamente nocive per la sua economia». A Parte la Finlandia, nessuno degli altri paesi scandinavi ha l’euro, ma la Danimarca è un membro del meccanismo di cambio Erm II, che è un precursore dell’euro: «E’ obbligata a mantenere il valore della propria moneta entro fasce stabilite rispetto al valore all’euro».Anche la politica monetaria danese è quindi determinata in larga misura non dalle condizioni locali, ma dalle decisioni della Bce – siano o meno appropriate per l’economia danese. «La Danimarca ha anche accettato di essere vincolata dalla forma più rigorosa del Patto di Stabilità e Crescita, il Fiscal Compact, il che significa che è soggetta alle stesse regole fiscali e alle stesse sanzioni di un membro della zona euro». Al contrario, la Svezia non è un membro dell’Erm II. «Avrebbe dovuto aderire all’euro, a un certo punto, ma – misteriosamente – persiste nel non soddisfare i criteri di convergenza. La corona svedese fluttua rispetto alle valute di tutto il mondo, tra cui l’euro, consentendo alla Svezia un controllo molto maggiore della propria politica monetaria rispetto alla Danimarca o alla Finlandia». Sul versante fiscale, «anche se la Svezia ha ratificato il Fiscal Compact, ha rifiutato di lasciarsi vincolare dalle disposizioni previste finché rimane al di fuori dell’euro. Quindi, anche se dovrebbe mantenersi entro i parametri di Maastricht, non incorre in sanzioni se non lo fa».Quanto alla Norvegia, notoriamente, non è neppure un membro dell’Ue. Dal momento che il paese è un esportatore di petrolio, la corona norvegese è una “petrovaluta”. «La Norvegia ha usato efficacemente il suo fondo sovrano per assorbire le entrate derivanti dalla produzione di petrolio e impedire che la sua moneta si apprezzasse eccessivamente», spiega Coppola. Il recente crollo del prezzo del petrolio l’ha colpita duramente? Certo: la crescita del Pil di gennaio è stata negativa. Ma attualmente la Norvegia sta attingendo al suo fondo sovrano per mantenere i programmi di bilancio. Le difficoltà momentanee sono dovute alla congiuntura globale, «non a legami con un’Eurozona depressa e ossessionata dall’austerità». Attenzione: «La capacità di gestire la propria politica monetaria e di bilancio è preziosa. Le banche centrali dell’Eurozona, bloccate in una politica monetaria uguale per tutti, hanno scarsa capacità di proteggere le loro economie dagli shock locali; con la centralizzazione della vigilanza bancaria, hanno anche in gran parte perso il controllo delle politiche di vigilanza a livello sistemico».Le autorità fiscali dell’Eurozona, a loro volta, hanno poca autonomia se un paese è entrato nella procedura per disavanzo eccessivo; mentre per quelli che ne sono rimasti fuori, evitare la supervisione di Bruxelles può diventare la preoccupazione principale. Per i paesi della zona euro, il vero obiettivo di politica monetaria non è l’inflazione, ma il rapporto deficit-Pil. «La Bce sta combattendo una battaglia persa per alzare l’inflazione, contro la determinazione della burocrazia di Bruxelles nel forzare 19 autorità fiscali a deprimere la domanda in nome dei conti in regola. E così il disastro economico della Finlandia è, almeno in parte, una conseguenza della sua appartenenza all’euro». La Danimarca, invece, «soffre per la perdita dell’autonomia monetaria a causa della sua appartenenza all’Erm II, e della perdita dell’autonomia di bilancio perché ha scelto di essere vincolata al Fiscal Compact». Al contrario, la Svezia «ha il controllo sia della politica monetaria sia di bilancio», mentre la Norvegia «non solo ha il controllo della sua politica monetaria e fiscale, ma è ulteriormente ammortizzata dal suo ampio fondo sovrano». Altro che iper-welfare: «La Grande Divergenza scandinava è principalmente causata dall’euro».
Euro, chi tocca muore: Finlandia ko, salve Svezia e Norvegia
Scritto il 15/7/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Ora sappiamo che la Finlandia è nei guai. Una serie di forti shock dal lato dell’offerta ha devastato l’economia. Quando Nokia è crollata sulla scia della crisi finanziaria del 2007-2008, creando un buco enorme nel Pil del paese, il governo ha risposto con un sostanziale sostegno fiscale. Questo ha rovinato la sua già virtuosa posizione fiscale: in un anno è passata da un surplus del 6% a un deficit del 4%, e anche se il suo deficit da allora è leggermente migliorato, è ancora al di fuori dei parametri di Maastricht. A causa di questo, l’attuale governo – sotto la pressione degli eurocrati folli – sta attuando l’austerità fiscale, per portare il deficit al di sotto del 3% del Pil. Per un’economia che ha subito una grave diminuzione della sua capacità produttiva, questo è disastroso, scrive Frances Coppola, in un post ripreso su “Luogo Comune”. Che svela una verità drammatica: in Scandinavia, si salva solo chi sta lontano dall’euro, come la Svezia. E meglio ancora la Norvegia, che non è neppure nell’Ue.In Finlandia, le misure di austerità non saranno in grado né di ridurre il deficit né di far ripartire l’economia, scrive Coppola. «Al contrario, provocheranno un’ulteriore riduzione dell’economia e, di conseguenza – è una questione di semplice aritmetica – provocheranno un aumento del deficit in percentuale sul Pil». La Finlandia è stata in recessione per quasi tutti gli ultimi quattro anni: «Quello di cui ha bisogno è una politica fiscale espansiva, non di salassi». L’austerità? «E’ una strategia del tutto controproducente per un’economia che ha avuto danni sul fronte dell’offerta a causa di shock esogeni». L’unica cosa che sta impedendo all’economia finlandese di crollare è la politica monetaria espansiva della Bce: «Tassi negativi e “quantitative easing” possono essere uno stimolo debole, ma sono meglio di niente». Ma la verità è che la Finlandia, fatta passare per un paese prospero, «è molto più simile agli Stati deboli del sud Europa». E se la Finlandia sta male, neppure la Danimarca si sente molto bene.La Danimarca ha subito una profonda recessione dopo la crisi finanziaria, toccando il fondo nel secondo trimestre del 2010. Ma, a differenza della Svezia, non ha recuperato: il modello dell’andamento del suo Pil è molto più simile a quello della Finlandia, anche se non ha avuto gli shock sull’offerta subiti da Helsinki. Perché è rimasta stagnante per gran parte degli ultimi sette anni? Molte spiegazioni tendono a incolpare il welfare danese, “troppo generoso” e costoso: una tassazione elevata soffocherebbe le imprese, mentre lo stato sociale scoraggerebbe il lavoro produttivo. Tagliare il welfare, quindi? Ma no: «Anche la Svezia ha un generoso stato sociale e una tassazione relativamente elevata. E anche la Norvegia. E in effetti anche la Finlandia. Tutti gli stati nordici sono così. E tutti, negli ultimi anni, hanno fatto seri sforzi per migliorare l’efficienza dei loro sistemi di welfare e ridurne il costo». La Danimarca è addirittura in testa alla classifica dell’Ocse tra i paesi scandinavi per lo sforzo nell’azione riformatrice. Eppure i suoi risultati economici differiscono enormemente da quelli di Svezia e Norvegia.La vera ragione di questa profonda differenza non è difficile da trovare, scrive Frances Coppola: la Finlandia, quella che tra questi paesi ha le peggiori prestazioni, è un membro dell’euro. «Questo non solo le impedisce di gestire la propria politica monetaria, compresa la possibilità di svalutare per proteggere la sua economia dagli shock esogeni, ma anche incatena la sua politica fiscale alle regole del Patto di Stabilità e Crescita. La Finlandia è soggetta alla procedura prevista in caso di deficit eccessivo e, in quanto membro dell’euro, questo significa che deve conformarsi alle azioni richieste o affrontare le sanzioni – anche se le azioni previste sono direttamente nocive per la sua economia». A Parte la Finlandia, nessuno degli altri paesi scandinavi ha l’euro, ma la Danimarca è un membro del meccanismo di cambio Erm II, che è un precursore dell’euro: «E’ obbligata a mantenere il valore della propria moneta entro fasce stabilite rispetto al valore all’euro».Anche la politica monetaria danese è quindi determinata in larga misura non dalle condizioni locali, ma dalle decisioni della Bce – siano o meno appropriate per l’economia danese. «La Danimarca ha anche accettato di essere vincolata dalla forma più rigorosa del Patto di Stabilità e Crescita, il Fiscal Compact, il che significa che è soggetta alle stesse regole fiscali e alle stesse sanzioni di un membro della zona euro». Al contrario, la Svezia non è un membro dell’Erm II. «Avrebbe dovuto aderire all’euro, a un certo punto, ma – misteriosamente – persiste nel non soddisfare i criteri di convergenza. La corona svedese fluttua rispetto alle valute di tutto il mondo, tra cui l’euro, consentendo alla Svezia un controllo molto maggiore della propria politica monetaria rispetto alla Danimarca o alla Finlandia». Sul versante fiscale, «anche se la Svezia ha ratificato il Fiscal Compact, ha rifiutato di lasciarsi vincolare dalle disposizioni previste finché rimane al di fuori dell’euro. Quindi, anche se dovrebbe mantenersi entro i parametri di Maastricht, non incorre in sanzioni se non lo fa».Quanto alla Norvegia, notoriamente, non è neppure un membro dell’Ue. Dal momento che il paese è un esportatore di petrolio, la corona norvegese è una “petrovaluta”. «La Norvegia ha usato efficacemente il suo fondo sovrano per assorbire le entrate derivanti dalla produzione di petrolio e impedire che la sua moneta si apprezzasse eccessivamente», spiega Coppola. Il recente crollo del prezzo del petrolio l’ha colpita duramente? Certo: la crescita del Pil di gennaio è stata negativa. Ma attualmente la Norvegia sta attingendo al suo fondo sovrano per mantenere i programmi di bilancio. Le difficoltà momentanee sono dovute alla congiuntura globale, «non a legami con un’Eurozona depressa e ossessionata dall’austerità». Attenzione: «La capacità di gestire la propria politica monetaria e di bilancio è preziosa. Le banche centrali dell’Eurozona, bloccate in una politica monetaria uguale per tutti, hanno scarsa capacità di proteggere le loro economie dagli shock locali; con la centralizzazione della vigilanza bancaria, hanno anche in gran parte perso il controllo delle politiche di vigilanza a livello sistemico».Le autorità fiscali dell’Eurozona, a loro volta, hanno poca autonomia se un paese è entrato nella procedura per disavanzo eccessivo; mentre per quelli che ne sono rimasti fuori, evitare la supervisione di Bruxelles può diventare la preoccupazione principale. Per i paesi della zona euro, il vero obiettivo di politica monetaria non è l’inflazione, ma il rapporto deficit-Pil. «La Bce sta combattendo una battaglia persa per alzare l’inflazione, contro la determinazione della burocrazia di Bruxelles nel forzare 19 autorità fiscali a deprimere la domanda in nome dei conti in regola. E così il disastro economico della Finlandia è, almeno in parte, una conseguenza della sua appartenenza all’euro». La Danimarca, invece, «soffre per la perdita dell’autonomia monetaria a causa della sua appartenenza all’Erm II, e della perdita dell’autonomia di bilancio perché ha scelto di essere vincolata al Fiscal Compact». Al contrario, la Svezia «ha il controllo sia della politica monetaria sia di bilancio», mentre la Norvegia «non solo ha il controllo della sua politica monetaria e fiscale, ma è ulteriormente ammortizzata dal suo ampio fondo sovrano». Altro che iper-welfare: «La Grande Divergenza scandinava è principalmente causata dall’euro».
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