Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
l' analisi di napolitano sugli effetti negativi dell' euro.
sembra che napolitano alle europee voti nel segreto dell' urna per movimento 5 stelle.
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http://keynesblog.com/2013/04/23/quando ... tro-leuro/
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Il Giornale titola così:
Francia, tracollo della sinistra:
domani rimpasto di governo
Ai ballottaggi l'Ump dilaga. Il Front National della Le Pen oltre il 7%. Segolene Royal: "Severissima punizione"
http://www.ilgiornale.it/news/esteri/fr ... 06101.html
*
Il Fatto titola così:
Elezioni Francia, débâcle socialisti
Marine le Pen conquista sei città
Francia, elezioni amministrative: destra in vantaggio. “Rimpasto di governo”
I dati del ministero dell'interno segnalano un aumento dell'astensionismo rispetto al primo turno di domenica 23 marzo. Marine Le Pen: "Da oggi siamo il terzo grande partito nel Paese". A Parigi vincono i socialisti con Anne Hidalgo, la prima donna a guidare la capitale
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 30 marzo 2014
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03 ... 36/931442/
*
Il Corriere titola:
Francia, trionfa
il centrodestra
ma Parigi resta socialista
Francia: punizione severissima
per Hollande, cresce l’ultradestra
http://www.corriere.it/esteri/14_marzo_ ... b15f.shtml
Francia, tracollo della sinistra:
domani rimpasto di governo
Ai ballottaggi l'Ump dilaga. Il Front National della Le Pen oltre il 7%. Segolene Royal: "Severissima punizione"
http://www.ilgiornale.it/news/esteri/fr ... 06101.html
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Il Fatto titola così:
Elezioni Francia, débâcle socialisti
Marine le Pen conquista sei città
Francia, elezioni amministrative: destra in vantaggio. “Rimpasto di governo”
I dati del ministero dell'interno segnalano un aumento dell'astensionismo rispetto al primo turno di domenica 23 marzo. Marine Le Pen: "Da oggi siamo il terzo grande partito nel Paese". A Parigi vincono i socialisti con Anne Hidalgo, la prima donna a guidare la capitale
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 30 marzo 2014
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03 ... 36/931442/
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Il Corriere titola:
Francia, trionfa
il centrodestra
ma Parigi resta socialista
Francia: punizione severissima
per Hollande, cresce l’ultradestra
http://www.corriere.it/esteri/14_marzo_ ... b15f.shtml
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Romano Prodi: "Il Pd di Renzi è l'unico partito vivo, giusta la battaglia contro i no tedeschi"
L'ex premier: "Positiva la scelta del governo di concentrare benefici sui lavoratori. Lavori troppo precari non giovano e il tema non è l'articolo 18. Le riforme istituzionali vanno fatte cercando il massimo consenso"
di MASSIMO GIANNINI
L'ex premier dice di sentirsi "un uomo felice", si chiama fuori dalla futura corsa per il Quirinale e promuove Matteo Renzi. "È la grande aspettativa di rinnovamento, ma non deve deluderla, de- ve fare in fretta ma deve soprattutto fare bene". A partire dalla battaglia che sta conducendo in Europa: "Noi dobbiamo onorare il fiscal compact, ma non possiamo accettare che ci leghino le gambe e poi ci chiedano di correre.
Se oggi, per rispettare il tetto magico del 3 per cento, ci preoccupiamo solo di comprimere il deficit e non di far crescere il Pil, ci suicidiamo". Le colpe sono un po' di tutti: "Chi ha sentito più parlare della Commissione Ue?". Il virus antieuropeista però preoccupa: "Solo la Germania ne è immune perché la Merkel ha difeso gli interessi nazionali ed è diventata la padrona d'Europa"
Presidente Prodi, in Europa i popoli voltano le spalle ai governi. Come dice Bauman, i palazzi della politica sono vuoti, perché il vero potere è altrove, dai mercati alle banche. Cosa sta succedendo?
"Con una diagnosi semplicistica, si potrebbe dire che la ripresa mondiale è lenta, e in Europa è ancora più lenta. In realtà il male europeo è molto più complesso. Non c'è un solo cambiamento nella storia dell'umanità che veda l'Europa protagonista. Prenda la crisi ucraina: Putin chiama Obama, anche se gli Usa non c'entrano nulla. Ma vale la famosa domanda di Kissinger: qual è il numero di telefono dell'Europa? Nessuno lo sa. Nel frattempo, l'Europa è dominata dalla paura, dagli egoismi nazionali. Ogni leader europeo guarda alle prossime elezioni, non alle prossime generazioni".
Risultato: vincono gli anti-europeisti, come nella Francia di Marine Le Pen.
"Il virus francese mi preoccupa, ma non mi sorprende. Solo la Germania è immune, perché la Merkel ha difeso soprattutto gli interessi tedeschi ed è diventata la padrona d'Europa. Ma è assurdo che un Paese con un surplus commerciale di 280 miliardi, un'inflazione zero e un modesto tasso di crescita, si rifiuti di reflazionare la sua economia, e di consentire che l'Europa faccia altrettanto, solo perché questo verrebbe vissuto dai tedeschi come una 'elemosinà a favore dei pigri meridionali".
E non è così?
"Ovviamente no. Ma qui sta anche la responsabilità di noi "latinos". Non siamo in grado di esprimere un progetto politico unitario e condiviso non "contro" la Germania, ma a favore dello sviluppo e del lavoro. Su questo non vedo proposte concrete, né in Italia né altrove. Il modello sono gli Usa, che hanno iniettato nel sistema 800 miliardi di dollari in un colpo solo. Ci vorrebbe un po' di sano keynesismo...".
Dovremmo riscrivere i Trattati europei, smontando i famosi parametri che proprio lei una volta definì "stupidi"?
"Non ho mai pensato che si debbano rivedere i parametri. Li ho definiti 'stupidi', nel senso che vanno sempre tarati sui cicli dell'economia. E' chiaro che se oggi, per rispettare il 'tetto magicò del 3%, ci preoccupiamo solo di comprimere il deficit e non di far crescere il Pil, ci suicidiamo. In periodi di crisi servono politiche espansive dal lato della domanda. E' questo che l'Europa non fa. Dovrebbe mutualizzare i debiti pubblici e lanciare gli eurobond, ristabilire lo spirito solidaristico che a fine anni '90 ci consentì di azzerare gli spread, rafforzare le sue istituzioni rappresentative. La Bce, per quanto faccia, non potrà mai sostituirsi al Consiglio europeo. E mi dica, ha più sentito parlare della Commissione Ue?".
Grillo urla: usciamo dall'euro. Che effetto le fa, da "padre fondatore" della moneta unica?
"Questo è un Paese senza memoria. Usciamo dall'euro, facciamo come l'Argentina: follie. Dal giorno dopo avremmo Btp svalutati del 40%, tassi di interesse al 30%, Stato al collasso, banche fallite, dazi contro le nostre merci anche da parte dei paesi europei. Qualche anima bella obietta: avremmo le svalutazioni competitive! Altra follia. Una bilancia commerciale in attivo dello 0,6% del Pil è la prova che ai nostri imprenditori, non certo tutti pigri e poco competitivi, quello che oggi serve non sono le svalutazioni competitive, ma un rilancio della domanda e dei consumi interni, accompagnato da una drastica semplificazione delle regole e dalla ripresa della lotta all'evasione fiscale".
Renzi e Padoan hanno ragione a chiedere all'Europa di "cambiare verso"?
"Noi dobbiamo onorare i nostri impegni, compreso il Fiscal Compact. Ma dobbiamo pretendere dall'Europa politiche che ci consentano di rispettarli facendo ripartire l'economia. Non possiamo accettare che ci si leghino le gambe, e poi ci si chieda anche di correre. Serve un lungo e paziente dialogo, con tutti i nostri partner".
Crescita e lavoro ormai sono un mantra. Ma precariato e disoccupazione sono la malattia mortale dell'Occidente.
"Sono i temi che mi angosciano di più. A differenza delle rivoluzioni industriali del passato, le nuove tecnologie dell'informazione distruggono posti di lavoro. Il rapporto è 20 lavoratori espulsi per 1 nuovo assunto. A pagare il prezzo più alto è il ceto medio. Qualche giorno fa il Financial Times scriveva che l'Infor-mation Technology tra pochi anni farà sparire anche migliaia di analisti finanziari".
In Italia serve davvero più flessibilità in entrata (come prevede il decreto del governo) e in uscita (con la fine dell'articolo 18)?
"Posso dirle che lavori troppo precari non giovano all'economia, e che nelle aziende si assume e si licenzia come si vuole. Quando parli a tu per tu, gli imprenditori te lo dicono: il problema per loro non è l'articolo 18, ma semmai una contrattazione più legata alle aziende e ai territori, e una maggiore disponibilità su orari, turni, mansioni, gestione dei magazzini. Queste sono le vere riforme".
Dal Jobs Act al Fisco e alla PA, Renzi ne sta promettendo persino troppe. Non c'è da temere un effetto boomerang?
"Il nuovo governo ha obiettivamente aperto una speranza, e tutti dobbiamo crederci. Renzi ha un vantaggio: è la grande aspettativa di rinnovamento che c'è nella società italiana. Non deve deluderla. Ha in effetti lanciato molte proposte interessanti. Il problema è che ora servono norme e organizzazioni che le traducano rapidamente in atto. Se c'è tutto questo, va bene. Io sono in fiduciosa attesa".
Lei magari sì, ma le parti sociali no. Non passa giorno che Confindustria e sindacati non facciano a sportellate col governo o con Bankitalia. Come lo spiega?
"Un po' di dialettica è fisiologica. Ma nel complesso mi pare che nel Paese, se non altro perché siamo davvero all'ultima spiaggia, c'è un forte desiderio di ritrovare l'ottimismo e di cavalcare il cambiamento. Questa per Renzi è una grande fortuna. Può sfruttare quel misto di angosce e di speranze che attraversano l'Italia. Deve fare in fretta, ma deve soprattutto fare bene. Quanto alla concertazione, è una bella cosa. Ma richiede unità nei sindacati e negli imprenditori. E invece l'Italia è sempre più frammentata. Da ex premier, mi ricordo riunioni fiume con decine di sigle sedute al tavolo. All'una la prima sigla diceva una cosa, alle due una seconda sigla la scavalcava, alle tre ne spuntava un'altra che andava oltre, alle quattro si chiudeva con un comunicato generico. Questo tipo di concertazione, onestamente, non funziona più".
Renzi taglia di 10 miliardi Il cuneo fiscale per i lavoratori. Lei lo fece già nel 2008, ma lo spartì anche alle imprese. E' giusto oggi privilegiare l'Irpef?
"Noi distribuimmo, 60 alle imprese e 40 ai lavoratori. Nonostante questo, a sorpresa, il giorno dopo fu proprio Confindustria ad attaccarci. Stranezze della storia... Oggi, di fronte alla deflazione salariale, Renzi fa bene a concentrare tutti i benefici sui lavoratori. Un po' più di potere d'acquisto per le famiglie, alla fine, sarà un vantaggio anche per le imprese".
La nuova legge elettorale e la riforma del Senato la convincono?
"Non entro nel merito. In generale, più ci si avvicina al modello dei collegi uninominali e del doppio turno, più si va verso una democrazia efficiente e funzionante".
Peccato che l'Italicum vada nella direzione opposta, per pagare un prezzo a Berlusconi. Lei che è l'unico ad averlo battuto due volte, come giudica questo patto col diavolo?
"Le riforme di sistema, elettorali e istituzionali, vanno fatte cercando il massimo dei consensi tra gli schieramenti politici. Ma diciamo che non bisogna esagerare nei modi. Di mediazioni se ne possono fare, ma la priorità resta sempre il bene del Paese".
E del Pd renziano cosa mi dice?
"Le dico solo questo: può anche darsi che il Pd abbia ancora la febbre, ma è l'unico partito vivo che c'è in Italia. Tutti gli altri sono crollati, e non esistono più forme minime di democrazia e di rappresentanza".
Quanto ancora le brucia, la vicenda dei 101 che l'hanno impallinata nella corsa al Quirinale?
"Con molta sincerità, della vicenda dei 101, che poi erano 120, non mi ha bruciato nulla. Anzi, è stata persino una cosa divertente. Ero in Mali, con gli africani che mi facevano il pollice alzato, mentre io facevo 'pollice versò perché già prevedevo come sarebbe finita. Feci le mie telefonate, a Marini, D'Alema, Monti e Napolitano. Alla fine chiamai mia moglie e le dissi "vedrai, non succederà niente". E così è andata. Ma davvero, non sono affatto amareggiato. Semmai mi brucia ciò che accadde prima, quando da Bari Berlusconi disse "al Quirinale chiunque, ma non Prodi". Dal Pd, tranne Rosi Bindi, non replicò nessuno. Quelli sono i momenti in cui ti senti veramente solo".
Napolitano potrebbe lasciare dopo la riforma elettorale. E di lei si sussurra: "Prodi si sta dando da fare per ritentare la scalata al Colle". Vero o falso?
"Vorrei proprio sapere in cosa consisterebbe questo mio "darmi da fare"... Mi occupo di questioni internazionali, studio l'economia globale, giro il mondo. Sono un uomo felice. In fondo nella vita ci sono tante gare, e per quanto mi riguarda quella del Quirinale è finita. Mi creda: the game is over. I tempi poi sono cambiati: il prossimo presidente della Repubblica finirà per dover condensare il suo messaggio in un twitter".
http://www.repubblica.it/politica/2014/ ... -82347739/
L'ex premier: "Positiva la scelta del governo di concentrare benefici sui lavoratori. Lavori troppo precari non giovano e il tema non è l'articolo 18. Le riforme istituzionali vanno fatte cercando il massimo consenso"
di MASSIMO GIANNINI
L'ex premier dice di sentirsi "un uomo felice", si chiama fuori dalla futura corsa per il Quirinale e promuove Matteo Renzi. "È la grande aspettativa di rinnovamento, ma non deve deluderla, de- ve fare in fretta ma deve soprattutto fare bene". A partire dalla battaglia che sta conducendo in Europa: "Noi dobbiamo onorare il fiscal compact, ma non possiamo accettare che ci leghino le gambe e poi ci chiedano di correre.
Se oggi, per rispettare il tetto magico del 3 per cento, ci preoccupiamo solo di comprimere il deficit e non di far crescere il Pil, ci suicidiamo". Le colpe sono un po' di tutti: "Chi ha sentito più parlare della Commissione Ue?". Il virus antieuropeista però preoccupa: "Solo la Germania ne è immune perché la Merkel ha difeso gli interessi nazionali ed è diventata la padrona d'Europa"
Presidente Prodi, in Europa i popoli voltano le spalle ai governi. Come dice Bauman, i palazzi della politica sono vuoti, perché il vero potere è altrove, dai mercati alle banche. Cosa sta succedendo?
"Con una diagnosi semplicistica, si potrebbe dire che la ripresa mondiale è lenta, e in Europa è ancora più lenta. In realtà il male europeo è molto più complesso. Non c'è un solo cambiamento nella storia dell'umanità che veda l'Europa protagonista. Prenda la crisi ucraina: Putin chiama Obama, anche se gli Usa non c'entrano nulla. Ma vale la famosa domanda di Kissinger: qual è il numero di telefono dell'Europa? Nessuno lo sa. Nel frattempo, l'Europa è dominata dalla paura, dagli egoismi nazionali. Ogni leader europeo guarda alle prossime elezioni, non alle prossime generazioni".
Risultato: vincono gli anti-europeisti, come nella Francia di Marine Le Pen.
"Il virus francese mi preoccupa, ma non mi sorprende. Solo la Germania è immune, perché la Merkel ha difeso soprattutto gli interessi tedeschi ed è diventata la padrona d'Europa. Ma è assurdo che un Paese con un surplus commerciale di 280 miliardi, un'inflazione zero e un modesto tasso di crescita, si rifiuti di reflazionare la sua economia, e di consentire che l'Europa faccia altrettanto, solo perché questo verrebbe vissuto dai tedeschi come una 'elemosinà a favore dei pigri meridionali".
E non è così?
"Ovviamente no. Ma qui sta anche la responsabilità di noi "latinos". Non siamo in grado di esprimere un progetto politico unitario e condiviso non "contro" la Germania, ma a favore dello sviluppo e del lavoro. Su questo non vedo proposte concrete, né in Italia né altrove. Il modello sono gli Usa, che hanno iniettato nel sistema 800 miliardi di dollari in un colpo solo. Ci vorrebbe un po' di sano keynesismo...".
Dovremmo riscrivere i Trattati europei, smontando i famosi parametri che proprio lei una volta definì "stupidi"?
"Non ho mai pensato che si debbano rivedere i parametri. Li ho definiti 'stupidi', nel senso che vanno sempre tarati sui cicli dell'economia. E' chiaro che se oggi, per rispettare il 'tetto magicò del 3%, ci preoccupiamo solo di comprimere il deficit e non di far crescere il Pil, ci suicidiamo. In periodi di crisi servono politiche espansive dal lato della domanda. E' questo che l'Europa non fa. Dovrebbe mutualizzare i debiti pubblici e lanciare gli eurobond, ristabilire lo spirito solidaristico che a fine anni '90 ci consentì di azzerare gli spread, rafforzare le sue istituzioni rappresentative. La Bce, per quanto faccia, non potrà mai sostituirsi al Consiglio europeo. E mi dica, ha più sentito parlare della Commissione Ue?".
Grillo urla: usciamo dall'euro. Che effetto le fa, da "padre fondatore" della moneta unica?
"Questo è un Paese senza memoria. Usciamo dall'euro, facciamo come l'Argentina: follie. Dal giorno dopo avremmo Btp svalutati del 40%, tassi di interesse al 30%, Stato al collasso, banche fallite, dazi contro le nostre merci anche da parte dei paesi europei. Qualche anima bella obietta: avremmo le svalutazioni competitive! Altra follia. Una bilancia commerciale in attivo dello 0,6% del Pil è la prova che ai nostri imprenditori, non certo tutti pigri e poco competitivi, quello che oggi serve non sono le svalutazioni competitive, ma un rilancio della domanda e dei consumi interni, accompagnato da una drastica semplificazione delle regole e dalla ripresa della lotta all'evasione fiscale".
Renzi e Padoan hanno ragione a chiedere all'Europa di "cambiare verso"?
"Noi dobbiamo onorare i nostri impegni, compreso il Fiscal Compact. Ma dobbiamo pretendere dall'Europa politiche che ci consentano di rispettarli facendo ripartire l'economia. Non possiamo accettare che ci si leghino le gambe, e poi ci si chieda anche di correre. Serve un lungo e paziente dialogo, con tutti i nostri partner".
Crescita e lavoro ormai sono un mantra. Ma precariato e disoccupazione sono la malattia mortale dell'Occidente.
"Sono i temi che mi angosciano di più. A differenza delle rivoluzioni industriali del passato, le nuove tecnologie dell'informazione distruggono posti di lavoro. Il rapporto è 20 lavoratori espulsi per 1 nuovo assunto. A pagare il prezzo più alto è il ceto medio. Qualche giorno fa il Financial Times scriveva che l'Infor-mation Technology tra pochi anni farà sparire anche migliaia di analisti finanziari".
In Italia serve davvero più flessibilità in entrata (come prevede il decreto del governo) e in uscita (con la fine dell'articolo 18)?
"Posso dirle che lavori troppo precari non giovano all'economia, e che nelle aziende si assume e si licenzia come si vuole. Quando parli a tu per tu, gli imprenditori te lo dicono: il problema per loro non è l'articolo 18, ma semmai una contrattazione più legata alle aziende e ai territori, e una maggiore disponibilità su orari, turni, mansioni, gestione dei magazzini. Queste sono le vere riforme".
Dal Jobs Act al Fisco e alla PA, Renzi ne sta promettendo persino troppe. Non c'è da temere un effetto boomerang?
"Il nuovo governo ha obiettivamente aperto una speranza, e tutti dobbiamo crederci. Renzi ha un vantaggio: è la grande aspettativa di rinnovamento che c'è nella società italiana. Non deve deluderla. Ha in effetti lanciato molte proposte interessanti. Il problema è che ora servono norme e organizzazioni che le traducano rapidamente in atto. Se c'è tutto questo, va bene. Io sono in fiduciosa attesa".
Lei magari sì, ma le parti sociali no. Non passa giorno che Confindustria e sindacati non facciano a sportellate col governo o con Bankitalia. Come lo spiega?
"Un po' di dialettica è fisiologica. Ma nel complesso mi pare che nel Paese, se non altro perché siamo davvero all'ultima spiaggia, c'è un forte desiderio di ritrovare l'ottimismo e di cavalcare il cambiamento. Questa per Renzi è una grande fortuna. Può sfruttare quel misto di angosce e di speranze che attraversano l'Italia. Deve fare in fretta, ma deve soprattutto fare bene. Quanto alla concertazione, è una bella cosa. Ma richiede unità nei sindacati e negli imprenditori. E invece l'Italia è sempre più frammentata. Da ex premier, mi ricordo riunioni fiume con decine di sigle sedute al tavolo. All'una la prima sigla diceva una cosa, alle due una seconda sigla la scavalcava, alle tre ne spuntava un'altra che andava oltre, alle quattro si chiudeva con un comunicato generico. Questo tipo di concertazione, onestamente, non funziona più".
Renzi taglia di 10 miliardi Il cuneo fiscale per i lavoratori. Lei lo fece già nel 2008, ma lo spartì anche alle imprese. E' giusto oggi privilegiare l'Irpef?
"Noi distribuimmo, 60 alle imprese e 40 ai lavoratori. Nonostante questo, a sorpresa, il giorno dopo fu proprio Confindustria ad attaccarci. Stranezze della storia... Oggi, di fronte alla deflazione salariale, Renzi fa bene a concentrare tutti i benefici sui lavoratori. Un po' più di potere d'acquisto per le famiglie, alla fine, sarà un vantaggio anche per le imprese".
La nuova legge elettorale e la riforma del Senato la convincono?
"Non entro nel merito. In generale, più ci si avvicina al modello dei collegi uninominali e del doppio turno, più si va verso una democrazia efficiente e funzionante".
Peccato che l'Italicum vada nella direzione opposta, per pagare un prezzo a Berlusconi. Lei che è l'unico ad averlo battuto due volte, come giudica questo patto col diavolo?
"Le riforme di sistema, elettorali e istituzionali, vanno fatte cercando il massimo dei consensi tra gli schieramenti politici. Ma diciamo che non bisogna esagerare nei modi. Di mediazioni se ne possono fare, ma la priorità resta sempre il bene del Paese".
E del Pd renziano cosa mi dice?
"Le dico solo questo: può anche darsi che il Pd abbia ancora la febbre, ma è l'unico partito vivo che c'è in Italia. Tutti gli altri sono crollati, e non esistono più forme minime di democrazia e di rappresentanza".
Quanto ancora le brucia, la vicenda dei 101 che l'hanno impallinata nella corsa al Quirinale?
"Con molta sincerità, della vicenda dei 101, che poi erano 120, non mi ha bruciato nulla. Anzi, è stata persino una cosa divertente. Ero in Mali, con gli africani che mi facevano il pollice alzato, mentre io facevo 'pollice versò perché già prevedevo come sarebbe finita. Feci le mie telefonate, a Marini, D'Alema, Monti e Napolitano. Alla fine chiamai mia moglie e le dissi "vedrai, non succederà niente". E così è andata. Ma davvero, non sono affatto amareggiato. Semmai mi brucia ciò che accadde prima, quando da Bari Berlusconi disse "al Quirinale chiunque, ma non Prodi". Dal Pd, tranne Rosi Bindi, non replicò nessuno. Quelli sono i momenti in cui ti senti veramente solo".
Napolitano potrebbe lasciare dopo la riforma elettorale. E di lei si sussurra: "Prodi si sta dando da fare per ritentare la scalata al Colle". Vero o falso?
"Vorrei proprio sapere in cosa consisterebbe questo mio "darmi da fare"... Mi occupo di questioni internazionali, studio l'economia globale, giro il mondo. Sono un uomo felice. In fondo nella vita ci sono tante gare, e per quanto mi riguarda quella del Quirinale è finita. Mi creda: the game is over. I tempi poi sono cambiati: il prossimo presidente della Repubblica finirà per dover condensare il suo messaggio in un twitter".
http://www.repubblica.it/politica/2014/ ... -82347739/
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Alberto Bagnai Professore associato di Politica economica, Facoltà di Economia, Uni. G.D’Annunzio,
Debito pubblico: quelli che ‘la monetizzazione si fa coi miniassegni…’
di Alberto Bagnai | 8 aprile
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Nel 2005 Barry Marshall, dell’Università di Perth (Australia), ha preso il premio Nobel per aver scoperto che l’ulcera non è causata dallo stress, ma dall’Helicobapter Pylori. Domanda: se voi aveste un ascesso a un dente, prendereste un aereo per Perth, o vi accontentereste del dentista di fiducia? Del dentista!? Sicuri!? Anche se non ha un Nobel?
Sono d’accordo con voi, e non solo perché da qui a Perth c’è più o meno un giorno di volo, ma anche perché si dà per scontato che un illustre gastroenterologo, di denti, non ne sappia un granché, e state ben certi che sarebbe lui il primo ad ammetterlo.
Nel 2011 Tito Boeri, dell’Università Bocconi di Milano, ha scritto un capitolo nel prestigioso Handbook of Labour Economics della Elsevier. Degno riconoscimento di una carriera scientifica di altissimo profilo interamente dedicata all’economia del lavoro. Domanda: se voi aveste un dubbio di economia monetaria, leggereste un fondo di Boeri, o un manuale di economia monetaria?
Qui la risposta è più difficile. Intanto, se un cardiologo va in televisione nel sottopancia c’è scritto “cardiologo”, e se ci va un dermatologo c’è scritto “dermatologo”. Se va in televisione un economista del lavoro, o industriale, o monetario, c’è scritto “economista”: todos economistas! Le qualifiche non ci aiutano, e allora analizziamo gli argomenti, partendo dal contributo del prof. Boeri apparso su La Repubblica del 7 aprile. Un’autentica miniera di perle che vale la pena di porre nel giusto risalto, incastonandole nella letteratura scientifica, questa sconosciuta (a Boeri).
L’argomento di Boeri pare sia che dall’euro si può uscire solo unilateralmente (almeno, lui non considera altri possibili scenari), ma questo sarebbe un disastro per le famiglie in quanto l’uscita farebbe aumentare sia il debito, che i relativi interessi. La conseguenza sarebbe un incremento del carico fiscale (per chi le tasse le paga, come Boeri ricorda). Tutto questo, naturalmente, dopo aver premesso che per mancanza di precedenti storici su uno scenario simile si può dire “tutto e il contrario di tutto senza timore che qualcuno dal pubblico alzi la mano contraddicendo”, facoltà della quale il prof. Boeri usa ed abusa largamente.
Cominciamo proprio da qui. Non è vero che manchino precedenti storici: anzi, come sanno gli specialisti, ce ne sono a iosa. Li trovate elencati ad esempio da Andrew Rose e da Volker Nitsch. Nitsch ci ricorda che le rotture di unioni monetarie non sono infrequenti, e Rose che non sono associate a particolare volatilità macroeconomica: i paesi che escono hanno sì un po’ più di inflazione (che oggi non pare sia un problema), ma generalmente sono più ricchi e più democratici.
È invece vero che se la valuta nazionale si svalutasse, il debito definito in valuta estera (dollari) o disciplinato dal diritto estero si rivaluterebbe. Ma, si sa, de minimis non curat praetor, e quindi casualmente Boeri trascura di dirvi la percentuale di debito interessata. Rimedio io: la trovate nei bollettini trimestrali del Tesoro, ed è circa il 3%. Una sua rivalutazione del 30% equivarrebbe quindi a una rivalutazione dello 0.9% del debito complessivo. Impressionante? Non direi.
Boeri conosce la Lex monetae e quindi sa che la parte restante del debito (un “trascurabile” 96,7%) verrebbe ridenominata in valuta nazionale, per cui non si rivaluterebbe. Evidentemente, in questo caso sarebbero i creditori esteri a patire la svalutazione, e Boeri rabbrividisce al pensiero. Rilevato quali interessi Boeri abbia a cuore, notiamo che il mondo va così. Dopo il fallimento Lehman l’Inghilterra ha svalutato del 13% in termini effettivi, causando ai suoi creditori esteri una perdita secca superiore ai 1.000 miliardi di dollari. Non è stata esclusa dai mercati internazionali, non ha subito un incremento “all’infinito” dello spread.
“Ma” direte voi (o lui) “mica vorrai paragonare la liretta alla sterlinona?” Certo che no! Distratto dalla flexicurity, Boeri non ha notato che in tutti gli episodi di stress dell’economia europea, la sterlinona si è trovata a mal partito prima e peggio della liretta: è stato così all’epoca del serpente monetario, ed è stato così nella crisi dello Sme nel 1992. Quindi la sterlina non è una valuta più “forte” di per sé: è solo gestita da persone pragmatiche, che sanno quando allentare la scotta, invece di scuffiare per obbedire a ideologie vetuste (o ai creditori esteri).
Certo, è vero, la svalutazione è una forma di ripudio del debito. Ma chi ha studiato i costi del ripudio (come Ugo Panizza e suoi coautori), ha mostrato come essi siano relativamente minori: l’economia riprende a crescere dal trimestre successivo (guarda un po’), e l’esclusione dai mercati, quando c’è, dura poco (notate che questo studio Boeri non può ignorarlo, perché ne ha pubblicato un sunto nel sito da lui diretto, lavoce.info).
Boeri prosegue regalandoci un momento di franca ilarità, quando assimila la monetizzazione del debito al fenomeno dei miniassegni. Suvvia! I miniassegni erano emessi da banche private per supplire alla carenza di moneta divisionale, e non avevano nulla a che vedere col debito pubblico. E poi, cos’è la “monetizzazione del debito”? Diciamolo: è permettere alla Banca centrale di acquistare titoli di Stato. Cioè quello che stanno facendo gli Stati Uniti col quantitative easing e il Giappone con l’Abenomics. Noi no, e il risultato è il crollo del nostro mercato interno.
bagnai_1
Non solo: la monetizzazione è quella cosa che terrorizza talmente i mercati… che per farli stare calmi, per far scendere lo spread, Draghi ha dovuto promettere di farla! Eh già! Perché ormai lo ha ammesso anche Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale: a far scendere lo spread è stato l’annuncio delle Outright Monetary Transaction, cioè l’annuncio da parte della Bce di essere disposta a monetizzare qualsiasi ammontare di debito pur di salvare l’euro, certo non le “riforme strutturali” di Monti.
Tralascio altre perle delle quali mi sono occupato più volte: dai tassi di interesse che “schizzano” all’inflazione nemica della vedova e dell’orfano (commovente questo interesse per gli umili da parte di grandi banchieri e grandi economisti…). Storie di ordinario bispensiero, senza supporto né razionale né storico.
A questo punto, se volete, andate pure a fare un biglietto per Perth, o per Milano.
Se invece vi interessa sentir parlare del futuro della nostra economia in modo pacato e razionale da specialisti di economia monetaria, da persone che preferiscono parlare alla testa anziché alla pancia delle persone, iscrivetevi a questa conferenza (Roma, 12 aprile). Potrete ascoltare colleghi che, come Brigitte Granville, non parlano per sentito dire, avendo lavorato con Jeffrey Sachs allo smantellamento della moneta unica sovietica, mettendosi nel 1993 contro il Fondo Monetario Internazionale (che è cosa diversa dal tessere nel 2014 le lodi della troika). Potrete ascoltare economisti come Paolo Savona, che, non essendo certo un “euroscettico” stralunato, anche in virtù delle sue esperienze di governo ritiene che sia necessario ponderare seriamente uno scenario di uscita unilaterale, in assenza del quale, come qualsiasi dilettante di economia e di politica sa, i margini di negoziato dell’Italia nelle sedi europee sono inesistenti.
Se preferirete i racconti di Boeri, ben inseriti nel solco di una tradizione della sua terra, vi capirò: che brivido, la rivalutazione del 3% del debito! Ma in questo momento, di scrittori milanesi, mi pare più utile ricordare Parini: “Me non nato a percuotere le dure, illustri porte…”, con quel che ne segue, naturalmente senza fretta.
( da Il Fatto Quotidiano )
Debito pubblico: quelli che ‘la monetizzazione si fa coi miniassegni…’
di Alberto Bagnai | 8 aprile
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Nel 2005 Barry Marshall, dell’Università di Perth (Australia), ha preso il premio Nobel per aver scoperto che l’ulcera non è causata dallo stress, ma dall’Helicobapter Pylori. Domanda: se voi aveste un ascesso a un dente, prendereste un aereo per Perth, o vi accontentereste del dentista di fiducia? Del dentista!? Sicuri!? Anche se non ha un Nobel?
Sono d’accordo con voi, e non solo perché da qui a Perth c’è più o meno un giorno di volo, ma anche perché si dà per scontato che un illustre gastroenterologo, di denti, non ne sappia un granché, e state ben certi che sarebbe lui il primo ad ammetterlo.
Nel 2011 Tito Boeri, dell’Università Bocconi di Milano, ha scritto un capitolo nel prestigioso Handbook of Labour Economics della Elsevier. Degno riconoscimento di una carriera scientifica di altissimo profilo interamente dedicata all’economia del lavoro. Domanda: se voi aveste un dubbio di economia monetaria, leggereste un fondo di Boeri, o un manuale di economia monetaria?
Qui la risposta è più difficile. Intanto, se un cardiologo va in televisione nel sottopancia c’è scritto “cardiologo”, e se ci va un dermatologo c’è scritto “dermatologo”. Se va in televisione un economista del lavoro, o industriale, o monetario, c’è scritto “economista”: todos economistas! Le qualifiche non ci aiutano, e allora analizziamo gli argomenti, partendo dal contributo del prof. Boeri apparso su La Repubblica del 7 aprile. Un’autentica miniera di perle che vale la pena di porre nel giusto risalto, incastonandole nella letteratura scientifica, questa sconosciuta (a Boeri).
L’argomento di Boeri pare sia che dall’euro si può uscire solo unilateralmente (almeno, lui non considera altri possibili scenari), ma questo sarebbe un disastro per le famiglie in quanto l’uscita farebbe aumentare sia il debito, che i relativi interessi. La conseguenza sarebbe un incremento del carico fiscale (per chi le tasse le paga, come Boeri ricorda). Tutto questo, naturalmente, dopo aver premesso che per mancanza di precedenti storici su uno scenario simile si può dire “tutto e il contrario di tutto senza timore che qualcuno dal pubblico alzi la mano contraddicendo”, facoltà della quale il prof. Boeri usa ed abusa largamente.
Cominciamo proprio da qui. Non è vero che manchino precedenti storici: anzi, come sanno gli specialisti, ce ne sono a iosa. Li trovate elencati ad esempio da Andrew Rose e da Volker Nitsch. Nitsch ci ricorda che le rotture di unioni monetarie non sono infrequenti, e Rose che non sono associate a particolare volatilità macroeconomica: i paesi che escono hanno sì un po’ più di inflazione (che oggi non pare sia un problema), ma generalmente sono più ricchi e più democratici.
È invece vero che se la valuta nazionale si svalutasse, il debito definito in valuta estera (dollari) o disciplinato dal diritto estero si rivaluterebbe. Ma, si sa, de minimis non curat praetor, e quindi casualmente Boeri trascura di dirvi la percentuale di debito interessata. Rimedio io: la trovate nei bollettini trimestrali del Tesoro, ed è circa il 3%. Una sua rivalutazione del 30% equivarrebbe quindi a una rivalutazione dello 0.9% del debito complessivo. Impressionante? Non direi.
Boeri conosce la Lex monetae e quindi sa che la parte restante del debito (un “trascurabile” 96,7%) verrebbe ridenominata in valuta nazionale, per cui non si rivaluterebbe. Evidentemente, in questo caso sarebbero i creditori esteri a patire la svalutazione, e Boeri rabbrividisce al pensiero. Rilevato quali interessi Boeri abbia a cuore, notiamo che il mondo va così. Dopo il fallimento Lehman l’Inghilterra ha svalutato del 13% in termini effettivi, causando ai suoi creditori esteri una perdita secca superiore ai 1.000 miliardi di dollari. Non è stata esclusa dai mercati internazionali, non ha subito un incremento “all’infinito” dello spread.
“Ma” direte voi (o lui) “mica vorrai paragonare la liretta alla sterlinona?” Certo che no! Distratto dalla flexicurity, Boeri non ha notato che in tutti gli episodi di stress dell’economia europea, la sterlinona si è trovata a mal partito prima e peggio della liretta: è stato così all’epoca del serpente monetario, ed è stato così nella crisi dello Sme nel 1992. Quindi la sterlina non è una valuta più “forte” di per sé: è solo gestita da persone pragmatiche, che sanno quando allentare la scotta, invece di scuffiare per obbedire a ideologie vetuste (o ai creditori esteri).
Certo, è vero, la svalutazione è una forma di ripudio del debito. Ma chi ha studiato i costi del ripudio (come Ugo Panizza e suoi coautori), ha mostrato come essi siano relativamente minori: l’economia riprende a crescere dal trimestre successivo (guarda un po’), e l’esclusione dai mercati, quando c’è, dura poco (notate che questo studio Boeri non può ignorarlo, perché ne ha pubblicato un sunto nel sito da lui diretto, lavoce.info).
Boeri prosegue regalandoci un momento di franca ilarità, quando assimila la monetizzazione del debito al fenomeno dei miniassegni. Suvvia! I miniassegni erano emessi da banche private per supplire alla carenza di moneta divisionale, e non avevano nulla a che vedere col debito pubblico. E poi, cos’è la “monetizzazione del debito”? Diciamolo: è permettere alla Banca centrale di acquistare titoli di Stato. Cioè quello che stanno facendo gli Stati Uniti col quantitative easing e il Giappone con l’Abenomics. Noi no, e il risultato è il crollo del nostro mercato interno.
bagnai_1
Non solo: la monetizzazione è quella cosa che terrorizza talmente i mercati… che per farli stare calmi, per far scendere lo spread, Draghi ha dovuto promettere di farla! Eh già! Perché ormai lo ha ammesso anche Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale: a far scendere lo spread è stato l’annuncio delle Outright Monetary Transaction, cioè l’annuncio da parte della Bce di essere disposta a monetizzare qualsiasi ammontare di debito pur di salvare l’euro, certo non le “riforme strutturali” di Monti.
Tralascio altre perle delle quali mi sono occupato più volte: dai tassi di interesse che “schizzano” all’inflazione nemica della vedova e dell’orfano (commovente questo interesse per gli umili da parte di grandi banchieri e grandi economisti…). Storie di ordinario bispensiero, senza supporto né razionale né storico.
A questo punto, se volete, andate pure a fare un biglietto per Perth, o per Milano.
Se invece vi interessa sentir parlare del futuro della nostra economia in modo pacato e razionale da specialisti di economia monetaria, da persone che preferiscono parlare alla testa anziché alla pancia delle persone, iscrivetevi a questa conferenza (Roma, 12 aprile). Potrete ascoltare colleghi che, come Brigitte Granville, non parlano per sentito dire, avendo lavorato con Jeffrey Sachs allo smantellamento della moneta unica sovietica, mettendosi nel 1993 contro il Fondo Monetario Internazionale (che è cosa diversa dal tessere nel 2014 le lodi della troika). Potrete ascoltare economisti come Paolo Savona, che, non essendo certo un “euroscettico” stralunato, anche in virtù delle sue esperienze di governo ritiene che sia necessario ponderare seriamente uno scenario di uscita unilaterale, in assenza del quale, come qualsiasi dilettante di economia e di politica sa, i margini di negoziato dell’Italia nelle sedi europee sono inesistenti.
Se preferirete i racconti di Boeri, ben inseriti nel solco di una tradizione della sua terra, vi capirò: che brivido, la rivalutazione del 3% del debito! Ma in questo momento, di scrittori milanesi, mi pare più utile ricordare Parini: “Me non nato a percuotere le dure, illustri porte…”, con quel che ne segue, naturalmente senza fretta.
( da Il Fatto Quotidiano )
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Dopo aver letto sopra sia l'intervista a Prodi sia quella ad Alberto Bagnai a quale conclusione possiamo arrivare ?
Certo tutti abbiamo dei dubbi, e fare paragoni con quanto successo ad altri Paesi in simili condizioni non sempre possiamo avere delle risposte sufficienti per il caso nostro. Le variabili in gioco sono tali che basta poco per avere dei risultati imprevedibili
Più che all'economia io guarderei alla Storia e mi sembra che la direzione da prendere per un futuro migliore sia quella che vede l'unione di stati, di popoli piuttosto che una loro divisione in singoli stati,regioni o campanili.
Per questo credo che vada corretto l'attuale modo di stare insieme, bisogna superare la visione di una politica nazionale a favore di una politica internazionale, nel nostro caso di una politica EUROPEA, UNA POLITICA che dia più importanza ai valori delle persone, dei popoli, dell'ambiente e si serva dell'economia come di uno strumento al servizio del benessere generale.
A parole PPE e PSE sembrano promettere e volere un'Europa politicamente unita, ma nei fatti
ci sono molti freni, ancora troppi egoismi.
"L'ALTRA EUROPA CON TSIPRAS" è LA SOLA FORZA POLITICA a livello europeo che potrebbe spostare gli equilibri, a differenza delle altre ha un solo simbolo in tutta Europa, purtroppo attualmente non ha molte risorse per farsi conoscere, cerchiamo di darle una mano.
Certo tutti abbiamo dei dubbi, e fare paragoni con quanto successo ad altri Paesi in simili condizioni non sempre possiamo avere delle risposte sufficienti per il caso nostro. Le variabili in gioco sono tali che basta poco per avere dei risultati imprevedibili
Più che all'economia io guarderei alla Storia e mi sembra che la direzione da prendere per un futuro migliore sia quella che vede l'unione di stati, di popoli piuttosto che una loro divisione in singoli stati,regioni o campanili.
Per questo credo che vada corretto l'attuale modo di stare insieme, bisogna superare la visione di una politica nazionale a favore di una politica internazionale, nel nostro caso di una politica EUROPEA, UNA POLITICA che dia più importanza ai valori delle persone, dei popoli, dell'ambiente e si serva dell'economia come di uno strumento al servizio del benessere generale.
A parole PPE e PSE sembrano promettere e volere un'Europa politicamente unita, ma nei fatti
ci sono molti freni, ancora troppi egoismi.
"L'ALTRA EUROPA CON TSIPRAS" è LA SOLA FORZA POLITICA a livello europeo che potrebbe spostare gli equilibri, a differenza delle altre ha un solo simbolo in tutta Europa, purtroppo attualmente non ha molte risorse per farsi conoscere, cerchiamo di darle una mano.
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
in riferimento ad post precedente che non riesco a ritrovare
LA SOLIDARIETA' E IMPORTANTE DENTRO LE COMUNITA ( tra comunardi) o tra COMUNITA DI EGUALI,
LA SOLIDARIETA TRA STATI E SCRITTA DAI TRATTATI INTERNAZIONALI, i TRATTATI INTERNAZIONALE sono la forma PACIFICA della GUERRA.
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su EURO Stiglitz dice questo :
Nel sentiero stretto che secondo Stiglitz può portare alla salvezza dell’euro e dell’Europa, il primo passo tocca alla virtuosa Germania: deve aumentare i salari, per riequilibrare i pesi nell’eurozona e trainare la crescita (Keynes, ricorda il professore della Columbia, voleva una tassazione sui paesi in avanzo commerciale). Il secondo tocca a tutti: “L’euro era un progetto collettivo e si chiede ora un’azione collettiva per salvarlo”. Con ricette già circolate molto negli ultimi mesi tra gli economisti progressisti e lontano dalla cancelleria tedesca: eurobond, quadro fiscale unico, unione bancaria, politica industriale, ristrutturazione dei debiti. E un fisco contro le diseguaglianze: in tutt’Europa, dice Stiglitz collegandosi al manifesto di Thomas Piketty e altri economisti francesi , deve crescere la tassazione sulla ricchezza e sui capitali. Se non è una patrimoniale per salvare l’euro, poco ci manca.
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il ' programma' di Stiglitz è PERFETTO, nulla del programma perfetto potrà essere attuato,
quindi gli USA continueranno ad avere un ruolo prevalente ( anche se non più dominante ).
il nostro premio nobel ha 2 cittadinanze USA per il dollaro e MARTE per l' Euro.
LA SOLIDARIETA' E IMPORTANTE DENTRO LE COMUNITA ( tra comunardi) o tra COMUNITA DI EGUALI,
LA SOLIDARIETA TRA STATI E SCRITTA DAI TRATTATI INTERNAZIONALI, i TRATTATI INTERNAZIONALE sono la forma PACIFICA della GUERRA.
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su EURO Stiglitz dice questo :
Nel sentiero stretto che secondo Stiglitz può portare alla salvezza dell’euro e dell’Europa, il primo passo tocca alla virtuosa Germania: deve aumentare i salari, per riequilibrare i pesi nell’eurozona e trainare la crescita (Keynes, ricorda il professore della Columbia, voleva una tassazione sui paesi in avanzo commerciale). Il secondo tocca a tutti: “L’euro era un progetto collettivo e si chiede ora un’azione collettiva per salvarlo”. Con ricette già circolate molto negli ultimi mesi tra gli economisti progressisti e lontano dalla cancelleria tedesca: eurobond, quadro fiscale unico, unione bancaria, politica industriale, ristrutturazione dei debiti. E un fisco contro le diseguaglianze: in tutt’Europa, dice Stiglitz collegandosi al manifesto di Thomas Piketty e altri economisti francesi , deve crescere la tassazione sulla ricchezza e sui capitali. Se non è una patrimoniale per salvare l’euro, poco ci manca.
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il ' programma' di Stiglitz è PERFETTO, nulla del programma perfetto potrà essere attuato,
quindi gli USA continueranno ad avere un ruolo prevalente ( anche se non più dominante ).
il nostro premio nobel ha 2 cittadinanze USA per il dollaro e MARTE per l' Euro.
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Da alcuni mesi circolano articoli e commenti relativi a un ampio gruppo di premi Nobel che si sono espressi, alcuni di recente, altri in un passato ormai piuttosto remoto, in termini fortemente negativi nei confronti dell’unione monetaria europea. In ordine di attribuzione del premio:
Milton Friedman, 1976
James Tobin, 1981
James Mirrless, 1996
Amartya Sen, 1998
Joseph Stiglitz, 2001
Paul Krugman, 2008
Cristopher Pissarides, 2010
Si è creato un dibattito, tra le altre cose, in merito all’interpretazione delle loro dichiarazioni. Dibattito che spesso è stato riassunto come segue: questi signori sono a favore della fine dell’euro, o no ? Dove gli anti-euro hanno citato questi studiosi a sostegno della tesi euroexit, mentre i pro-euro hanno controbattuto che in realtà si tratta di un’interpretazione forzata.
Posta in questi termini, la domanda tende a sintetizzare il problema ma anche a semplificarlo e a banalizzarlo un po’ troppo. Esaminando però con attenzione le effettive recenti dichiarazioni dei sette Premi Nobel – o meglio di cinque di loro, visto che Friedman e Tobin sono mancati alcuni anni fa – la loro posizione emerge con molta chiarezza.
Le gravissime inefficienze dell’Eurozona, nell’ambito dell’attuale governance economica dell’Unione Europea, sono evidenti e incontrovertibili.
L’euro, inteso come l’attuale sistema macroeconomico-monetario dell’Eurozona, è insostenibile.
Una deflagrazione violenta e improvvisa, come quella che presumibilmente si verificherebbe a seguito di una “spaccatura” della moneta unica, potrebbe tuttavia portare a violente turbolenze sui mercati finanziari e a conseguenze negative per l’economia mondiale.
La “spaccatura” non è quindi uno scenario da augurarsi, anche se sarebbe comunque da percorrere se l’unica alternativa fosse la continuità con la situazione odierna.
Esistono strade diverse ? sul piano tecnico, sicuramente sì. E potrebbero tranquillamente essere promosse dalla Commissione Europea e dalla BCE medesime.
L’attuale grave malessere dell’economia europea è riconducibile a due fattori principali: (1) necessità per la maggior parte delle economie nazionali, e in particolare per i paesi mediterranei, di incrementare la domanda e di riavviare produzione, redditi e occupazione; e (2) necessità di riallineare i costi di produzione, omogeneizzando i paesi che hanno perso competitività rispetto a chi invece l’ha guadagnata – in particolare, alla Germania – in modo da evitare sbilanci commerciali (senza però passare da processi di deflazione salariale, che sono socialmente iniqui e, peraltro, peggiorano la situazione in quanto comprimono domanda e redditi).
Può essere fatto, tutto questo, mantenendo in essere l’euro ? Sotto il profilo tecnico, ripeto, certamente sì. Immaginiamo che la BCE emetta moneta per un importo pari al 10% del PIL di ogni singolo paese dell’Eurozona, e la metta a disposizione (senza contropartite, cioè non sotto forma di credito) di ogni singolo paese.
Le nazioni che non hanno necessità di sostenere la domanda delle rispettive economie – per esempio la Germania – utilizzano la moneta per ricomprare titoli del loro debito pubblico e annullarli. Ottengono quindi l’effetto di ridurre il passivo statale.
Le nazioni che hanno invece tale necessità sono anche quelle che hanno bisogno di riportare il costo del lavoro per unità di prodotto delle loro aziende a livelli più vicini a quelli tedeschi. Utilizzano quindi la moneta per incrementare la domanda, con un’azione che passa in buona parte tramite la riduzione della fiscalità e, in particolare, delle imposte che gravano sul costo del lavoro delle aziende.
La Germania vedrebbe calare il suo debito pubblico. I paesi periferici riceverebbero una forte spinta su domanda, produzione e redditi, senza però che si creino sbilanci commerciali – in quanto a fronte della crescita della domanda interna c’è anche un miglioramento della competitività verso l’estero. Anche per loro il debito pubblico scenderebbe grazie all’incremento del gettito fiscale prodotto dal maggior PIL, e ancora più velocemente si avrebbe un calo del rapporto debito pubblico / PIL, dovuto all’aumento del denominatore.
Il recupero delle economie rimetterebbe al lavoro risorse (persone e impianti) inutilizzate, e non avrebbe quindi effetti nocivi sull’inflazione; probabilmente ci sarebbe un leggero incremento che la risolleverebbe dall’attuale livello prossimo (pericolosamente prossimo) allo 0%, fino al 2% circa – che è peraltro l’obiettivo della BCE.
Questa azione potrebbe essere protratta nel tempo, graduandola e via via riducendola, fino al momento in cui i pesanti effetti della lunghissima fase di crisi che si è aperta nel 2008 fossero totalmente recuperati.
Non c’è quindi un motivo tecnico per il quale l’euro, inteso come meccanismo di gestione macroeconomica-monetaria dell’Eurozona, non possa funzionare.
Esiste invece una carenza di volontà politica, le cui possibili motivazioni ho cercato di elencare qui.
Ma, anche supponendo che la volontà politica continui a mancare, è possibile introdurre modifiche del sistema di funzionamento dell’Eurozona, in grado di ottenere effetti analoghi in conseguenza di azioni unilaterali effettuate dai singoli paesi.
C'è una Riforma Morbida / progetto CCF, che descrivono una strada – implementabile da parte di ogni singola nazione che ne ha la necessità e/o l’utilità – tramite la quale tutto questo può essere ottenuto.
A me pare, in definitiva, che la posizione dei Premi Nobel si riassuma molto semplicemente nei seguenti punti:
Così, è assurdo andare avanti.
Riformare il sistema senza “spaccare” la moneta unica è possibile.
Se questo non avviene per effetto di un’iniziativa presa a livello degli organi centrali dell’Unione Europea e dell’Eurozona è per effetto di carenza di volontà e/o di diagnosi errate in merito alle origini della crisi.
In assenza di quanto sopra, l’iniziativa può (e quindi deve) essere presa dalle singole nazioni.
Esistono rischi significativi se questa iniziativa è condotta con una procedura “deflagrante” (il break-up dell’euro), anche se accettare questi rischi è di gran lunga preferibile rispetto a proseguire con lo status quo.
Detto tutto ciò la via non deflagrante esiste.
Milton Friedman, 1976
James Tobin, 1981
James Mirrless, 1996
Amartya Sen, 1998
Joseph Stiglitz, 2001
Paul Krugman, 2008
Cristopher Pissarides, 2010
Si è creato un dibattito, tra le altre cose, in merito all’interpretazione delle loro dichiarazioni. Dibattito che spesso è stato riassunto come segue: questi signori sono a favore della fine dell’euro, o no ? Dove gli anti-euro hanno citato questi studiosi a sostegno della tesi euroexit, mentre i pro-euro hanno controbattuto che in realtà si tratta di un’interpretazione forzata.
Posta in questi termini, la domanda tende a sintetizzare il problema ma anche a semplificarlo e a banalizzarlo un po’ troppo. Esaminando però con attenzione le effettive recenti dichiarazioni dei sette Premi Nobel – o meglio di cinque di loro, visto che Friedman e Tobin sono mancati alcuni anni fa – la loro posizione emerge con molta chiarezza.
Le gravissime inefficienze dell’Eurozona, nell’ambito dell’attuale governance economica dell’Unione Europea, sono evidenti e incontrovertibili.
L’euro, inteso come l’attuale sistema macroeconomico-monetario dell’Eurozona, è insostenibile.
Una deflagrazione violenta e improvvisa, come quella che presumibilmente si verificherebbe a seguito di una “spaccatura” della moneta unica, potrebbe tuttavia portare a violente turbolenze sui mercati finanziari e a conseguenze negative per l’economia mondiale.
La “spaccatura” non è quindi uno scenario da augurarsi, anche se sarebbe comunque da percorrere se l’unica alternativa fosse la continuità con la situazione odierna.
Esistono strade diverse ? sul piano tecnico, sicuramente sì. E potrebbero tranquillamente essere promosse dalla Commissione Europea e dalla BCE medesime.
L’attuale grave malessere dell’economia europea è riconducibile a due fattori principali: (1) necessità per la maggior parte delle economie nazionali, e in particolare per i paesi mediterranei, di incrementare la domanda e di riavviare produzione, redditi e occupazione; e (2) necessità di riallineare i costi di produzione, omogeneizzando i paesi che hanno perso competitività rispetto a chi invece l’ha guadagnata – in particolare, alla Germania – in modo da evitare sbilanci commerciali (senza però passare da processi di deflazione salariale, che sono socialmente iniqui e, peraltro, peggiorano la situazione in quanto comprimono domanda e redditi).
Può essere fatto, tutto questo, mantenendo in essere l’euro ? Sotto il profilo tecnico, ripeto, certamente sì. Immaginiamo che la BCE emetta moneta per un importo pari al 10% del PIL di ogni singolo paese dell’Eurozona, e la metta a disposizione (senza contropartite, cioè non sotto forma di credito) di ogni singolo paese.
Le nazioni che non hanno necessità di sostenere la domanda delle rispettive economie – per esempio la Germania – utilizzano la moneta per ricomprare titoli del loro debito pubblico e annullarli. Ottengono quindi l’effetto di ridurre il passivo statale.
Le nazioni che hanno invece tale necessità sono anche quelle che hanno bisogno di riportare il costo del lavoro per unità di prodotto delle loro aziende a livelli più vicini a quelli tedeschi. Utilizzano quindi la moneta per incrementare la domanda, con un’azione che passa in buona parte tramite la riduzione della fiscalità e, in particolare, delle imposte che gravano sul costo del lavoro delle aziende.
La Germania vedrebbe calare il suo debito pubblico. I paesi periferici riceverebbero una forte spinta su domanda, produzione e redditi, senza però che si creino sbilanci commerciali – in quanto a fronte della crescita della domanda interna c’è anche un miglioramento della competitività verso l’estero. Anche per loro il debito pubblico scenderebbe grazie all’incremento del gettito fiscale prodotto dal maggior PIL, e ancora più velocemente si avrebbe un calo del rapporto debito pubblico / PIL, dovuto all’aumento del denominatore.
Il recupero delle economie rimetterebbe al lavoro risorse (persone e impianti) inutilizzate, e non avrebbe quindi effetti nocivi sull’inflazione; probabilmente ci sarebbe un leggero incremento che la risolleverebbe dall’attuale livello prossimo (pericolosamente prossimo) allo 0%, fino al 2% circa – che è peraltro l’obiettivo della BCE.
Questa azione potrebbe essere protratta nel tempo, graduandola e via via riducendola, fino al momento in cui i pesanti effetti della lunghissima fase di crisi che si è aperta nel 2008 fossero totalmente recuperati.
Non c’è quindi un motivo tecnico per il quale l’euro, inteso come meccanismo di gestione macroeconomica-monetaria dell’Eurozona, non possa funzionare.
Esiste invece una carenza di volontà politica, le cui possibili motivazioni ho cercato di elencare qui.
Ma, anche supponendo che la volontà politica continui a mancare, è possibile introdurre modifiche del sistema di funzionamento dell’Eurozona, in grado di ottenere effetti analoghi in conseguenza di azioni unilaterali effettuate dai singoli paesi.
C'è una Riforma Morbida / progetto CCF, che descrivono una strada – implementabile da parte di ogni singola nazione che ne ha la necessità e/o l’utilità – tramite la quale tutto questo può essere ottenuto.
A me pare, in definitiva, che la posizione dei Premi Nobel si riassuma molto semplicemente nei seguenti punti:
Così, è assurdo andare avanti.
Riformare il sistema senza “spaccare” la moneta unica è possibile.
Se questo non avviene per effetto di un’iniziativa presa a livello degli organi centrali dell’Unione Europea e dell’Eurozona è per effetto di carenza di volontà e/o di diagnosi errate in merito alle origini della crisi.
In assenza di quanto sopra, l’iniziativa può (e quindi deve) essere presa dalle singole nazioni.
Esistono rischi significativi se questa iniziativa è condotta con una procedura “deflagrante” (il break-up dell’euro), anche se accettare questi rischi è di gran lunga preferibile rispetto a proseguire con lo status quo.
Detto tutto ciò la via non deflagrante esiste.
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
la questione si euro no euro è molto complessa.
la confindustria tedesca sta preparando un piano di uscita euro, lo stesso sta facendi l' economista italiano paolo savona che rappresenta poteri finanziari lo stessosta facendo economista brancaccio esponente della scuola dell' economista augusto graziani.
non si tratta di politica d' accattonaggio ma di questioni molto complesse.
in questo contesto le dichiarazioni di nichi vendola sull' euro sono la sintesi di una classe politica inesistente
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Paul Krugman: “Usano il panico da deficit per smantellare i programmi sociali”
INVIATO DA CAMBIAILMONDO ⋅ 4 AGOSTO 2012
Un articolo illuminante, da leggere e diffondere, del premio Nobel Paul Krugman, uscito in questi giorni sul New York Times. Come è ormai chiaro a tutti, Krugman spiega perché le politiche di austerity non hanno senso dal punto di vista economico, al contrario: l’austerity è solo la scusa per smantellare i programmi sociali su scala globale. Ecco l’articolo:
L’AGENDA DELL’AUSTERITY
“Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.
Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?
Nei giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV. Tutte queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono cominciate con una metafora sbagliata, e sono terminate con la rivelazione di motivi ulteriori (alla ripresa economica NDR).
La cattiva metafora – che avrete sicuramente ascoltato molte volte – equipara i problemi di debito di un’economia nazionale, a quelli di una famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: Una famiglia che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia, ed allo stesso modo, se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti – cosa che ha fatto, anche se per la maggior parte si tratta di debito privato e non pubblico – dovrebbe fare altrettanto!
COSA C’È DI SBAGLIATO IN QUESTO PARAGONE?
La risposta è che un’economia non è come una famiglia indebitata. Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito.
E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora.
Questo meccanismo non è di recente comprensione. Il grande economista americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933, e descrisse sommariamente quello che lui chiamava “deflazione da debito” con lo slogan:”Più i debitori pagano, più aumenta il debito”. Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da austerity in Europa, illustrano drammaticamente la veridicità del pensiero di Fisher.
Questa storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico dovrebbe fare l’opposto, spendendo proprio quando il settore privato non vuole, o non può. Per carità, una volta che l’economia avrà recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di bilancio, ma non ora. Il momento giusto per l’austerity è il boom, non la depressione.
Come ho già detto, non si tratta di una novità. Allora come mai così tanti politici insistono con misure di austerity durante la depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l’esperienza diretta conferma le lezioni di teoria e della storia?
Beh, qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando gli “austeri” vengono pressati sulla fallacità della loro metafora, quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: “Ma è essenziale ridurre la grandezza dello Stato”.
Queste asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la crisi stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico. Ciò e manifestamente falso. Basta guardare la lista delle nazioni che stanno affrontando meglio la crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi settori pubblici, come la Svezia e l’Austria.
Invece, se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori prima della crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche inglesi, descriveva l’Irlanda come “un fulgido esempio del possibile”. Allo stesso modo l’istituto CATO (think tank libertario americano) tesseva le lodi del basso livello di tassazione in Islanda, sperando che le altre nazioni industriali “imparino dal successo islandese”.
Dunque, la corsa all’austerity in Gran Bretagna, in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali. Naturalmente, la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti.
In tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi non sono gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro i mali del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l’aliquota più alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno determinati della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i poveri. Comunque, la direzione delle loro politiche è la stessa, e fondamentalmente mentono alla stessa maniera con i loro richiami all’austerity.
Ora, la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche di austerità porterà alla formulazione di un “piano B”. Forse. La mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di rilancio, si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il recupero dell’economia non è mai stato l’obiettivo; la spinta all’austerity è per usare la crisi, non per risolverla. E lo è tutt’ora.
la confindustria tedesca sta preparando un piano di uscita euro, lo stesso sta facendi l' economista italiano paolo savona che rappresenta poteri finanziari lo stessosta facendo economista brancaccio esponente della scuola dell' economista augusto graziani.
non si tratta di politica d' accattonaggio ma di questioni molto complesse.
in questo contesto le dichiarazioni di nichi vendola sull' euro sono la sintesi di una classe politica inesistente
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Paul Krugman: “Usano il panico da deficit per smantellare i programmi sociali”
INVIATO DA CAMBIAILMONDO ⋅ 4 AGOSTO 2012
Un articolo illuminante, da leggere e diffondere, del premio Nobel Paul Krugman, uscito in questi giorni sul New York Times. Come è ormai chiaro a tutti, Krugman spiega perché le politiche di austerity non hanno senso dal punto di vista economico, al contrario: l’austerity è solo la scusa per smantellare i programmi sociali su scala globale. Ecco l’articolo:
L’AGENDA DELL’AUSTERITY
“Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.
Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?
Nei giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV. Tutte queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono cominciate con una metafora sbagliata, e sono terminate con la rivelazione di motivi ulteriori (alla ripresa economica NDR).
La cattiva metafora – che avrete sicuramente ascoltato molte volte – equipara i problemi di debito di un’economia nazionale, a quelli di una famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: Una famiglia che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia, ed allo stesso modo, se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti – cosa che ha fatto, anche se per la maggior parte si tratta di debito privato e non pubblico – dovrebbe fare altrettanto!
COSA C’È DI SBAGLIATO IN QUESTO PARAGONE?
La risposta è che un’economia non è come una famiglia indebitata. Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito.
E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora.
Questo meccanismo non è di recente comprensione. Il grande economista americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933, e descrisse sommariamente quello che lui chiamava “deflazione da debito” con lo slogan:”Più i debitori pagano, più aumenta il debito”. Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da austerity in Europa, illustrano drammaticamente la veridicità del pensiero di Fisher.
Questa storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico dovrebbe fare l’opposto, spendendo proprio quando il settore privato non vuole, o non può. Per carità, una volta che l’economia avrà recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di bilancio, ma non ora. Il momento giusto per l’austerity è il boom, non la depressione.
Come ho già detto, non si tratta di una novità. Allora come mai così tanti politici insistono con misure di austerity durante la depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l’esperienza diretta conferma le lezioni di teoria e della storia?
Beh, qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando gli “austeri” vengono pressati sulla fallacità della loro metafora, quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: “Ma è essenziale ridurre la grandezza dello Stato”.
Queste asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la crisi stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico. Ciò e manifestamente falso. Basta guardare la lista delle nazioni che stanno affrontando meglio la crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi settori pubblici, come la Svezia e l’Austria.
Invece, se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori prima della crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche inglesi, descriveva l’Irlanda come “un fulgido esempio del possibile”. Allo stesso modo l’istituto CATO (think tank libertario americano) tesseva le lodi del basso livello di tassazione in Islanda, sperando che le altre nazioni industriali “imparino dal successo islandese”.
Dunque, la corsa all’austerity in Gran Bretagna, in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali. Naturalmente, la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti.
In tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi non sono gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro i mali del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l’aliquota più alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno determinati della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i poveri. Comunque, la direzione delle loro politiche è la stessa, e fondamentalmente mentono alla stessa maniera con i loro richiami all’austerity.
Ora, la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche di austerità porterà alla formulazione di un “piano B”. Forse. La mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di rilancio, si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il recupero dell’economia non è mai stato l’obiettivo; la spinta all’austerity è per usare la crisi, non per risolverla. E lo è tutt’ora.
Ultima modifica di aaaa42 il 18/05/2014, 0:24, modificato 1 volta in totale.
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
Paul Krugman: “Usano il panico da deficit per smantellare i programmi sociali”
INVIATO DA CAMBIAILMONDO ⋅ 4 AGOSTO 2012
Un articolo illuminante, da leggere e diffondere, del premio Nobel Paul Krugman, uscito in questi giorni sul New York Times. Come è ormai chiaro a tutti, Krugman spiega perché le politiche di austerity non hanno senso dal punto di vista economico, al contrario: l’austerity è solo la scusa per smantellare i programmi sociali su scala globale. Ecco l’articolo:
L’AGENDA DELL’AUSTERITY
“Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.
Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?
*********
E’ fuori di dubbio che ““Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione
Certo che Keynes aveva ragione.
La stessa scemenza è stata messa in atto durante il governo Monti da madama Fornero.
Anche in questo caso si sono allungati i tempi di permanenza nel mondo del lavoro per recuperare fondi da impiegare nel controllo dei conti dello Stato.
Anche queste operazioni si fanno in tempi di boom economico e non in tempi di crisi nera come questa in assenza di lavoro.
Allungando i tempi della permanenza nel mondo del lavoro, in assenza di lavoro, diventa evidente anche ai sassi che si blocca permanentemente l’entrata nel mondo del lavoro delle nuove generazioni.
Però Monti doveva fare in fretta il riordino dei conti dello Stato e ha scelto la via più breve infischiandosene altamente della disoccupazione.
Queste operazioni si fanno solo negli stati canaglia dove domina la criminalità organizzata, non solo quella tradizionale di stampo italiano che conoscono tutti, ma anche quella dei colletti bianchi.
Siamo di fronte ad uno Stato forte con i deboli e debole coi forti. Monti poteva recuperare quei soldi in altri settori, ma dato che era un uomo dei poteri forti, non si è minimamente azzardato a cercare soldi dove ci stavano.
In questo modo ha aggravato la posizione dell’economia produttiva e dell’economia in genere, a favore dei poteri forti.
M a per quanto riguarda il termine “austerità” è ovvio che esiste un fraintendimento banditesco tra l’Europa, il kaiser Merkel, ed il governo italiano.
La gestione attuale dello Stato costa 820 miliardi (i dati precisi questo Stato non è mai in grado di fornirli), di cui 400 ricavati dalle tasse dirette ed indirette, e il restanti 420 miliardi li andiamo chiedere a prestito sul mercato.
Sappiamo tutti che si vive nello spreco assoluto. Quindi i tagli che l’Europa non intende spiegare al popolo italiano quando chiede austerità, riguarda gli sprechi.
La Germania impiega un numero ridotto di auto blu. Noi cicale, malate di esibizionismo, disponiamo di un parco auto blu da far spavento. Solo 7 anni fa quello sprecone di La Russa ha comprato delle Maserati che oggi non si riescono a vendere.
Il Quirinale costa 3 volte la Corte d’Inghilterra.
Pertini andava a dormire a casa sua. Il Quirinale veniva usato solo come ufficio. Durante i sei mesi in cui ci stava bel tempo a casa sua ritornava a piedi con un solo uomo di scorta a debita distanza perché non lo voleva tra le palle. I giornali se li pagava per conto suo. I viaggi di Stato, in quanto di servizio, li pagava lo Stato, mentre i viaggi privati se li è pagati di tasca sua.
Tutti gli altri invece si sentono dei Faraoni e vogliono vivere da nababbi.
Scajola, in quanto ex ministro dell’Interno gode ancora della scorta.
Sono tutte queste cose che devono essere tagliate.
Lo Stato ha condonato alla cosca delle slot machine 98 miliardi di euro. Mentre porta al suicidio chi fa veramente fatica a pagare le tasse.
Il Kaiser Merkel, e i vari economisti tutte queste cose le conoscono, ma evitano di renderle note quando si parla di tagli agli sprechi in Italia.
In Sicilia e in Calabria ci sono più guardie forestali che alberi. Ma questi sono voti di scambio.
INVIATO DA CAMBIAILMONDO ⋅ 4 AGOSTO 2012
Un articolo illuminante, da leggere e diffondere, del premio Nobel Paul Krugman, uscito in questi giorni sul New York Times. Come è ormai chiaro a tutti, Krugman spiega perché le politiche di austerity non hanno senso dal punto di vista economico, al contrario: l’austerity è solo la scusa per smantellare i programmi sociali su scala globale. Ecco l’articolo:
L’AGENDA DELL’AUSTERITY
“Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.
Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?
*********
E’ fuori di dubbio che ““Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione
Certo che Keynes aveva ragione.
La stessa scemenza è stata messa in atto durante il governo Monti da madama Fornero.
Anche in questo caso si sono allungati i tempi di permanenza nel mondo del lavoro per recuperare fondi da impiegare nel controllo dei conti dello Stato.
Anche queste operazioni si fanno in tempi di boom economico e non in tempi di crisi nera come questa in assenza di lavoro.
Allungando i tempi della permanenza nel mondo del lavoro, in assenza di lavoro, diventa evidente anche ai sassi che si blocca permanentemente l’entrata nel mondo del lavoro delle nuove generazioni.
Però Monti doveva fare in fretta il riordino dei conti dello Stato e ha scelto la via più breve infischiandosene altamente della disoccupazione.
Queste operazioni si fanno solo negli stati canaglia dove domina la criminalità organizzata, non solo quella tradizionale di stampo italiano che conoscono tutti, ma anche quella dei colletti bianchi.
Siamo di fronte ad uno Stato forte con i deboli e debole coi forti. Monti poteva recuperare quei soldi in altri settori, ma dato che era un uomo dei poteri forti, non si è minimamente azzardato a cercare soldi dove ci stavano.
In questo modo ha aggravato la posizione dell’economia produttiva e dell’economia in genere, a favore dei poteri forti.
M a per quanto riguarda il termine “austerità” è ovvio che esiste un fraintendimento banditesco tra l’Europa, il kaiser Merkel, ed il governo italiano.
La gestione attuale dello Stato costa 820 miliardi (i dati precisi questo Stato non è mai in grado di fornirli), di cui 400 ricavati dalle tasse dirette ed indirette, e il restanti 420 miliardi li andiamo chiedere a prestito sul mercato.
Sappiamo tutti che si vive nello spreco assoluto. Quindi i tagli che l’Europa non intende spiegare al popolo italiano quando chiede austerità, riguarda gli sprechi.
La Germania impiega un numero ridotto di auto blu. Noi cicale, malate di esibizionismo, disponiamo di un parco auto blu da far spavento. Solo 7 anni fa quello sprecone di La Russa ha comprato delle Maserati che oggi non si riescono a vendere.
Il Quirinale costa 3 volte la Corte d’Inghilterra.
Pertini andava a dormire a casa sua. Il Quirinale veniva usato solo come ufficio. Durante i sei mesi in cui ci stava bel tempo a casa sua ritornava a piedi con un solo uomo di scorta a debita distanza perché non lo voleva tra le palle. I giornali se li pagava per conto suo. I viaggi di Stato, in quanto di servizio, li pagava lo Stato, mentre i viaggi privati se li è pagati di tasca sua.
Tutti gli altri invece si sentono dei Faraoni e vogliono vivere da nababbi.
Scajola, in quanto ex ministro dell’Interno gode ancora della scorta.
Sono tutte queste cose che devono essere tagliate.
Lo Stato ha condonato alla cosca delle slot machine 98 miliardi di euro. Mentre porta al suicidio chi fa veramente fatica a pagare le tasse.
Il Kaiser Merkel, e i vari economisti tutte queste cose le conoscono, ma evitano di renderle note quando si parla di tagli agli sprechi in Italia.
In Sicilia e in Calabria ci sono più guardie forestali che alberi. Ma questi sono voti di scambio.
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Re: Europa e recessione-Dove sta' il vero problema?
BONUS IRPEF
l inserimento dei cassaintegrati, percettori di indennità di mobilità e indennità di disoccupazione ( aspi)
tra gli avventi diritto al bonus fiscale è una prima vittoria della mobilitazione della rete.
ora la battaglia continua per gli INCAPIENTI e per i PENSIONATI.
del resto gli avvocati di altri tempi con penna, pennino e calamaio sono ..pronti.
l inserimento dei cassaintegrati, percettori di indennità di mobilità e indennità di disoccupazione ( aspi)
tra gli avventi diritto al bonus fiscale è una prima vittoria della mobilitazione della rete.
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del resto gli avvocati di altri tempi con penna, pennino e calamaio sono ..pronti.
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