G R E C I A
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Re: G R E C I A
Grecia, le banche francesi salvate (sottobanco) dall’Italia
Scritto il 24/7/15 • nella Categoria: segnalazioni
Il sito del “Council on Foreign Relations” (Cfr) sottolinea in maniera esplicita come il denaro che l’Italia perderebbe in seguito a un default della Grecia è in realtà quello che il nostro paese ha impegnato per il salvataggio delle banche francesi sovraesposte. (E'già successo in precedenza con le banche tedesche-ndt).
Se ne possono dedurre due considerazioni: la prima, evidente, è che non è stata la Grecia a usufruire dei soldi; la seconda, che nella socializzazione delle perdite dai debiti privati ai debiti pubblici, quello che conta non è la nazionalità delle banche, ma la partecipazione di ogni paese a questa “Unione europea per il salvataggio della finanza”.
«Nel marzo 2010, due mesi prima dell’annuncio del primo salvataggio greco, le banche europee erano esposte sulla Grecia per 134 miliardi di euro», scrivono Benn Steil e Dinah Walker. Le banche francesi erano di gran lunga le più esposte: 52 miliardi di euro, cioè 1,6 volte più della Germania, undici volte più dell’Italia e 62 volte più della la Spagna.
I 110 miliardi di euro di finanziamenti erogati alla Grecia dal Fmi e dall’Eurozona a maggio 2010 hanno permesso alla Grecia di evitare il default sulle sue obbligazioni verso queste banche. In assenza di tali prestiti, aggiungono Steil e Walker, la Francia sarebbe stata costretta a un piano di salvataggio di massa del suo sistema bancario. «Invece, le banche francesi sono state in grado di eliminare virtualmente la loro esposizione verso la Grecia vendendo le obbligazioni, portandole a scadenza, e subendo una parziale ristrutturazione nel 2012.
Il piano di salvataggio ha sostanzialmente socializzato gran parte della loro esposizione all’interno della zona euro».
Ma attenzione: «L’impatto di questo salvataggio clandestino delle banche francesi si fa sentire ora, con la Grecia sul punto di uno storico default.
Mentre a marzo 2010 circa il 40% del totale dei prestiti europei alla Grecia passava per le banche francesi, oggi è solo lo 0,6%.
I governi hanno coperto la falla, ma non in proporzione a quella che era la esposizione delle loro banche nel 2010. Piuttosto, in proporzione al loro capitale versato alla Bce – che nel caso della Francia è solo il 20%».
Di conseguenza, continuano Steil e Walker in un post ripreso da “Voci dall’Estero”, la Francia è effettivamente riuscita a ridurre la sua esposizione totale verso la Grecia – esposizione bancaria e sovrana – di 8 miliardi di euro.
«All’opposto, l’Italia, che nel 2010 non aveva praticamente nessuna esposizione verso la Grecia, ora ha un’esposizione massiccia: 39 miliardi di euro».
Complessivamente, l’esposizione tedesca è di un importo analogo, sui 35 miliardi, e la Spagna «ha visto la sua esposizione espolodere, passando da quasi nulla nel 2009 ai 25 miliardi di euro di oggi».
In breve, «la Francia è riuscita a utilizzare il salvataggio greco per scaricare 8 miliardi di euro di debito-spazzatura sui suoi vicini, caricandoli con decine di miliardi in più che essi avrebbero potuto evitare se nel 2010 alla Grecia fosse stato semplicemente permesso di fare default.
Il risultato è che oggi Italia e Spagna sono molto più vicine alla crisi».
Scritto il 24/7/15 • nella Categoria: segnalazioni
Il sito del “Council on Foreign Relations” (Cfr) sottolinea in maniera esplicita come il denaro che l’Italia perderebbe in seguito a un default della Grecia è in realtà quello che il nostro paese ha impegnato per il salvataggio delle banche francesi sovraesposte. (E'già successo in precedenza con le banche tedesche-ndt).
Se ne possono dedurre due considerazioni: la prima, evidente, è che non è stata la Grecia a usufruire dei soldi; la seconda, che nella socializzazione delle perdite dai debiti privati ai debiti pubblici, quello che conta non è la nazionalità delle banche, ma la partecipazione di ogni paese a questa “Unione europea per il salvataggio della finanza”.
«Nel marzo 2010, due mesi prima dell’annuncio del primo salvataggio greco, le banche europee erano esposte sulla Grecia per 134 miliardi di euro», scrivono Benn Steil e Dinah Walker. Le banche francesi erano di gran lunga le più esposte: 52 miliardi di euro, cioè 1,6 volte più della Germania, undici volte più dell’Italia e 62 volte più della la Spagna.
I 110 miliardi di euro di finanziamenti erogati alla Grecia dal Fmi e dall’Eurozona a maggio 2010 hanno permesso alla Grecia di evitare il default sulle sue obbligazioni verso queste banche. In assenza di tali prestiti, aggiungono Steil e Walker, la Francia sarebbe stata costretta a un piano di salvataggio di massa del suo sistema bancario. «Invece, le banche francesi sono state in grado di eliminare virtualmente la loro esposizione verso la Grecia vendendo le obbligazioni, portandole a scadenza, e subendo una parziale ristrutturazione nel 2012.
Il piano di salvataggio ha sostanzialmente socializzato gran parte della loro esposizione all’interno della zona euro».
Ma attenzione: «L’impatto di questo salvataggio clandestino delle banche francesi si fa sentire ora, con la Grecia sul punto di uno storico default.
Mentre a marzo 2010 circa il 40% del totale dei prestiti europei alla Grecia passava per le banche francesi, oggi è solo lo 0,6%.
I governi hanno coperto la falla, ma non in proporzione a quella che era la esposizione delle loro banche nel 2010. Piuttosto, in proporzione al loro capitale versato alla Bce – che nel caso della Francia è solo il 20%».
Di conseguenza, continuano Steil e Walker in un post ripreso da “Voci dall’Estero”, la Francia è effettivamente riuscita a ridurre la sua esposizione totale verso la Grecia – esposizione bancaria e sovrana – di 8 miliardi di euro.
«All’opposto, l’Italia, che nel 2010 non aveva praticamente nessuna esposizione verso la Grecia, ora ha un’esposizione massiccia: 39 miliardi di euro».
Complessivamente, l’esposizione tedesca è di un importo analogo, sui 35 miliardi, e la Spagna «ha visto la sua esposizione espolodere, passando da quasi nulla nel 2009 ai 25 miliardi di euro di oggi».
In breve, «la Francia è riuscita a utilizzare il salvataggio greco per scaricare 8 miliardi di euro di debito-spazzatura sui suoi vicini, caricandoli con decine di miliardi in più che essi avrebbero potuto evitare se nel 2010 alla Grecia fosse stato semplicemente permesso di fare default.
Il risultato è che oggi Italia e Spagna sono molto più vicine alla crisi».
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Re: G R E C I A
Questi giochini delle banche sono chiari ?
I cittadini Greci hanno messo nelle loro banche Xmiliardi di euro.
Quando i cittadini Greci vogliono prelevare i loro X miliardi di euro, questi non ci sono , deve intervenite la BCE per darne una parte con il contagocce .
Dove sono finiti quei X miliardi ?
I cittadini Greci hanno messo nelle loro banche Xmiliardi di euro.
Quando i cittadini Greci vogliono prelevare i loro X miliardi di euro, questi non ci sono , deve intervenite la BCE per darne una parte con il contagocce .
Dove sono finiti quei X miliardi ?
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Re: G R E C I A
DA GESU CRISTO A VESCOVO.
questo intervento di alfonso gianni va studiato e non letto.
chi è alfonso gianni ?
e stato con luca cafiero un leader del MLS movimento lavoratori per il socialismo la loro mission nel post 68 era menare i compagni democratici marxisti leninisti 'creativi' e un po anarchici di avanguardia operaia.
chi è alfonso gianni ?
e l autore del manuale good bye liberismo, in pratica per noi socialisti marxisti è la nostra bibbia quindi è il nostro gesu cristo anche se gesu cristo, non scrisse la bibbia ma il nostro si.
il nostro gesu cristo non va confuso con il vescovo ortodosso-sovietico autore di questo articolo.
e complesso entrare nello scritto di alfonso gianni.
e un scritto dialettico e quindi in questo senso e uno scritto marxista usa una dialettica 'chiusa' non 'aperta' è una dialettica stalinista e non del filosofo 'hegeliano' carlo marx.
ha risonanze sovietiche il vescovo che interviene a soccorso della sua chiesa, una lezione teologica.
i fautori dell' uscita dell' euro sarebbero amici del ministro tedesco, questo non è stalinismo questo è giuseppe stalin in persona !!!
il moticiclista greco ha cercato di giustificare la sua disfatta ma la sua analisi non sta in piedi.
era ovvio che dalle ore 21 alle ore 24 del giorno della vittoria del referendum il governo doveva mobilitare l 'esercito per mettere in sicurezza la banca centrale greca e la banca centrale greca dalle ore 22 doveva stampare i pagherò, questo non è stato fatto perchè Tsipras e il motociclista sono dilettanti allo sbaraglio.
e altrettanto ovvio che stampando 100 miliardi di euro in pagherò devi avere un piano economico straordinario da economia di guerra per produrre beni ECONOMICI almeno per 80 miliardi in tempi strettissimi da qui ECONOMIA DI GUERRA altrimenti l' inflazione ESPLODE come è successo a vladimiro Lenin che risposte all' iperinflazione abolendo ..la moneta cioè il rublo !!
la moglie di lenin usci per comprare un kg di pane con un carretto di ...sale.
Il dibattito sulla moneta EUROMED che esclude la germania, sulla doppia moneta, sulle monete locali sulla moneta fiscale non può essere bloccato ,
In nome di un padre nostro e di 2 ave maria di un vescovo un po sovietico.
la sconfitta della sinistra in grecia è epocale, una sconfitta di epistemologia politica i tecnici in grecia facevano i politici e i politici facevano i tecnici, una sconfitta di approccio sistemico al non studio all' empirismo, alla mancanza di STRATEGIA POLITICA e alla mancanza di un PROGRAMMA politico.
non basta la mensa sociale per il popolo serve una ENORME MENSA SOCIALE DENTRO IL CERVELLO SOCIALE CHE E' LO STATO , cioe il socialismo.
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MicroMega 5/2015
Sulla vicenda greca torna la tentazione dell’abbandono dell’euro
di Alfonso Gianni
La vicenda greca sta determinando un riposizionamento delle forze politiche in Europa e una ridisegno del loro punto di vista strategico – per chi ce l’ha naturalmente – che è degno di una qualche riflessione. Anche se purtroppo tutt’altro che ottimistica.
La pessima socialdemocrazia tedesca non smette di stupire. L’ex ministro delle finanze di grande coalizione, nonché sfidante – si fa per dire – della Merkel nelle ultime elezioni, in una intervista al Bild ha dichiarato che non bisogna dare altri miliardi alla Grecia e che ha ragione Schauble sulla uscita temporanea della Grecia dalla Ue, peraltro non prevista dai Trattati. Potrebbe essere una delle tante dichiarazioni stravaganti se non facesse presa anche in ambienti inaspettati.
Come si sa in questi giorni la Merkel ha perso molto appeal. Non è solo Habermas a criticarla duramente. E persino Prodi.
Ma le critiche vengono anche da destra. L’applauso sostenuto ricevuto da Schauble da parte del Bundestag, mostra dove vada il pendolo delle preferenze in Germania. A quest’ultimo viene riconosciuta una maggiore coerenza e combattività nella difesa degli interessi nazionali. Cioè l’avere insistito sulla cacciata della Grecia dall’Eurozona, per l’occasione travestita da fuoriuscita temporanea, la Grexit insomma. Del resto è proprio questo il senso profondo, ma evidente, del report cosiddetto dei cinque presidenti, Tusk, Djissembloim, Draghi, Juncker e Schulz sulla riforma della Ue comparso a fine giugno, ove la fuoriuscita della Grecia e di altri paesi che non tengono il passo di una Ue a supertrazione tedesca, è vista non come un accidente ma una eventualità da favorire.
Il guaio è che la convinzione sulle buone ragioni di Schauble nel proporre una Grexit, è diffusa anche tra la sinistra nel nostro paese. Si baserebbe sull’assioma che nessuna salvezza è possibile dentro questa Europa e con questa moneta unica. Si dovrebbe farla finita con “l’europeismo del dovere essere” e assumere il rude ma realistico punto di vista di Schauble per cui per la Grecia, ma non solo, sarebbe meglio fare fagotto. Per un po’, se crede, o per sempre, meglio ancora.
Contemporaneamente si parla della necessità di adottare un piano B. Ne ha parlato Varoufakis nella ormai famosa intervista al New Statesman, salvo riconoscere che tale piano non era stato effettivamente preparato e che comunque non c’erano le condizioni per metterlo in opera. È la sorte di molti piani B, che sulla carta sembrano affidabili, ma che trascurano, proprio perché ipotetici, il problema essenziale degli strumenti concreti per la loro implementazione, nei modi e nei tempi necessari alla loro riuscita. Poiché le posizioni di Varoufakis sono oggetto di una battaglia interpretativa – come si vede anche nei vari articoli che MicroMega dedica all’argomento – vale la pena di riportare esattamente le sue parole: “Abbiamo avuto un piccolo gruppo, un ‘gabinetto di guerra’ all’interno del ministero, di circa cinque persone che stavano studiando … tutto ciò che doveva essere fatto (per una Grexit n.d.r.). Ma una cosa è fare in teoria… tutta un’altra faccenda è preparare il paese per la Grexit… per fare doveva essere presa una decisione esecutiva che non è mai stata presa”.
E ancora: “Non ho mai creduto che dovessimo andare direttamente a una nuova moneta. La mia idea era, e ho spiegato questo al governo, che se avessero osato chiudere le nostre banche, che giudico mossa aggressiva di incredibile ostilità, anche noi avremmo dovuto rispondere in modo aggressivo ma senza attraversare il punto di non ritorno”. Quindi Varoufakis illustra cosa si sarebbe dovuto fare o minacciare di fare: “Dovevamo rilasciare i nostri pagherò, o almeno annunciare che stavamo per farlo per rilanciare la nostra liquidità in euro; avremmo dovuto operare un taglio ai legami impostici dalla Bce nel 2012 o annunciare che stavamo per farlo; e così prendere noi il controllo della Banca di Grecia”.
Come si sa quel piano non è passato. Ma Varoufakis voleva sostanzialmente più simulare una Grexit che non attuarla. Del resto non sarebbe stata una grande tattica imbroccare la strada che proprio l’avversario stava costruendo per la Grecia: cioè l’uscita temporanea o definitiva dall’Eurozona!
Si chiama piano B perché si suppone che esso sia la soluzione di riserva qualora le rivendicazioni principali, diciamo il piano A, non vadano in porto. In sindacalese si direbbe più semplicemente “il punto di caduta” oppure “la via d’uscita dall’impasse”. Da questo punto di vista, pur con tutti i limiti intrinseci, un piano B va sempre pensato quando si va a discutere con avversari agguerriti per evitare di rimanere tra l’uscio e il muro.
Ma nella discussione che vedo e sento in queste ultime ore, su cui molti fondano le loro asperrime, quanto ingenerose e spesso infondate, critiche a Tsipras, la questione ha preso un’altra piega. Il piano B diventa di fatto il piano A. Ovvero i greci avrebbero dovuto fin dall’inizio proporsi un’uscita unilaterale della Grecia dall’Eurozona. In questo quadro Schauble diventerebbe paradossalmente un potenziale e potentissimo alleato.
Importerebbe poco o nulla che ripetuti sondaggi indicano la preferenza del popolo greco a rimanere nell’euro. Si sa, il popolo è un po’ bue e non capisce le gioie delle varie monete collaterali e sostitutive (dibattito in sé degnissimo, ma che andrebbe fatto veramente, senza l’angoscia degli ultimatum e per un’area più ampia che non quella di un solo stato).
Né sarebbe rilevante che Tsipras abbia detto che nei suoi contatti internazionali con le massime potenze, non ne ha trovata una realmente disponibile ad aiutare la Grecia in caso di fuoriuscita dall’euro. Anzi alcuni avanzano la supposizione che il leader greco possa mentire su questo punto. A parte il fastidio di introdurre la categoria dell’impostura o peggio del tradimento in una discussione di questa complessità, non ci dovrebbe essere bisogno di sottoporre il leader greco alla prova della macchina della verità per sapere come stanno le cose. Infatti gli Usa hanno interessi geostrategici che la Grecia permanga nella Ue. Lo hanno esplicitato in più di un’occasione; raccomandando fino all’ultimo secondo che si raggiungesse un accordo; criticando apertamente le intransigenze tedesche. Dal canto suo la Cina ha interesse, per ora prevalentemente di tipo economico, alla permanenza della Grecia nella Ue, mentre le conviene che la Ue si mantenga unita anche per contenere il ruolo e il potere degli Usa nel campo occidentale. La Russia quello che poteva fare nei confronti della Grecia lo ha fatto, con la famosa intesa sul futuro gasdotto, e nell’immediato non può largheggiare perché non se la passa benissimo.
Non avrebbero peso considerazioni come quelle che sviluppa, ad esempio, Ghiorgos Anandranistakis su Avghi secondo cui uscire dalla Ue non risolverebbe i problemi né nel breve né nel più lungo periodo, dal momento che “la parità della nuova valuta non viene unilateralmente stabilita dalla Grecia, ma viene fissata dai mercati internazionali” con conseguenze facilmente immaginabili. Né si può fare come ha detto Schauble per cui la Grecia pagherebbe i lavoratori con degli improbabili “I owe you”, mentre i creditori continuerebbero a essere ripagati in euro. Parole come queste vengono spesso tacciate di terrorismo psicologico da parte dei fautori dell’uscita unilaterale dall’euro. In realtà nessun economista o politologo, o semplice cittadino può dirsi in coscienza sicuro di quali siano le conseguenze di una simile mossa, se non altro per il fatto che non ci si è mai trovati in una circostanza simile. I vari parallelismi storici, come quello con l’Argentina, servono assai a poco, data la profonda diversità delle condizioni e delle situazioni storiche e geopolitiche. La questione andrebbe quindi affrontata con maggiore senso di realtà.
L’accordo non è bello. Il primo ad averlo detto è stato Tsipras, che ne ha denunciato i pericoli recessivi. Ma non sarebbe migliorato imbroccando la strada indicata dall’avversario. Non si può del resto tacere che questa intesa ha posto sul tavolo la questione della insostenibilità del debito greco. Che potrebbe allargarsi alla insostenibilità generale del debito dei paesi europei e degli squilibri commerciali che li determinano, in primo luogo dovuti alla agguerrita politica neomercantilista tedesca. Può essere anche ambivalente il richiamo del Fmi sulla necessità del taglio del debito: ma in primo luogo essa spacca il fronte della Troika e questo è un merito non casuale della tenacia del governo greco. Per la prima volta un dissidio vero è stato portato nel campo avverso. Non mi pare un risultato da poco e invece in diversi fingono di scordarsene.
Per i greci e Syriza si apre una nuova fase. L’applicabilità dell’accordo è dubbia in varie sue parti, come quella del fondo di garanzia. Si aprono spazi per ulteriori conflitti e discussioni. Elezioni anticipate o meno la nostra solidarietà non può venire meno. Specie per chi vuole ricostruire una nuova Sinistra.
(22 luglio 2015)
questo intervento di alfonso gianni va studiato e non letto.
chi è alfonso gianni ?
e stato con luca cafiero un leader del MLS movimento lavoratori per il socialismo la loro mission nel post 68 era menare i compagni democratici marxisti leninisti 'creativi' e un po anarchici di avanguardia operaia.
chi è alfonso gianni ?
e l autore del manuale good bye liberismo, in pratica per noi socialisti marxisti è la nostra bibbia quindi è il nostro gesu cristo anche se gesu cristo, non scrisse la bibbia ma il nostro si.
il nostro gesu cristo non va confuso con il vescovo ortodosso-sovietico autore di questo articolo.
e complesso entrare nello scritto di alfonso gianni.
e un scritto dialettico e quindi in questo senso e uno scritto marxista usa una dialettica 'chiusa' non 'aperta' è una dialettica stalinista e non del filosofo 'hegeliano' carlo marx.
ha risonanze sovietiche il vescovo che interviene a soccorso della sua chiesa, una lezione teologica.
i fautori dell' uscita dell' euro sarebbero amici del ministro tedesco, questo non è stalinismo questo è giuseppe stalin in persona !!!
il moticiclista greco ha cercato di giustificare la sua disfatta ma la sua analisi non sta in piedi.
era ovvio che dalle ore 21 alle ore 24 del giorno della vittoria del referendum il governo doveva mobilitare l 'esercito per mettere in sicurezza la banca centrale greca e la banca centrale greca dalle ore 22 doveva stampare i pagherò, questo non è stato fatto perchè Tsipras e il motociclista sono dilettanti allo sbaraglio.
e altrettanto ovvio che stampando 100 miliardi di euro in pagherò devi avere un piano economico straordinario da economia di guerra per produrre beni ECONOMICI almeno per 80 miliardi in tempi strettissimi da qui ECONOMIA DI GUERRA altrimenti l' inflazione ESPLODE come è successo a vladimiro Lenin che risposte all' iperinflazione abolendo ..la moneta cioè il rublo !!
la moglie di lenin usci per comprare un kg di pane con un carretto di ...sale.
Il dibattito sulla moneta EUROMED che esclude la germania, sulla doppia moneta, sulle monete locali sulla moneta fiscale non può essere bloccato ,
In nome di un padre nostro e di 2 ave maria di un vescovo un po sovietico.
la sconfitta della sinistra in grecia è epocale, una sconfitta di epistemologia politica i tecnici in grecia facevano i politici e i politici facevano i tecnici, una sconfitta di approccio sistemico al non studio all' empirismo, alla mancanza di STRATEGIA POLITICA e alla mancanza di un PROGRAMMA politico.
non basta la mensa sociale per il popolo serve una ENORME MENSA SOCIALE DENTRO IL CERVELLO SOCIALE CHE E' LO STATO , cioe il socialismo.
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MicroMega 5/2015
Sulla vicenda greca torna la tentazione dell’abbandono dell’euro
di Alfonso Gianni
La vicenda greca sta determinando un riposizionamento delle forze politiche in Europa e una ridisegno del loro punto di vista strategico – per chi ce l’ha naturalmente – che è degno di una qualche riflessione. Anche se purtroppo tutt’altro che ottimistica.
La pessima socialdemocrazia tedesca non smette di stupire. L’ex ministro delle finanze di grande coalizione, nonché sfidante – si fa per dire – della Merkel nelle ultime elezioni, in una intervista al Bild ha dichiarato che non bisogna dare altri miliardi alla Grecia e che ha ragione Schauble sulla uscita temporanea della Grecia dalla Ue, peraltro non prevista dai Trattati. Potrebbe essere una delle tante dichiarazioni stravaganti se non facesse presa anche in ambienti inaspettati.
Come si sa in questi giorni la Merkel ha perso molto appeal. Non è solo Habermas a criticarla duramente. E persino Prodi.
Ma le critiche vengono anche da destra. L’applauso sostenuto ricevuto da Schauble da parte del Bundestag, mostra dove vada il pendolo delle preferenze in Germania. A quest’ultimo viene riconosciuta una maggiore coerenza e combattività nella difesa degli interessi nazionali. Cioè l’avere insistito sulla cacciata della Grecia dall’Eurozona, per l’occasione travestita da fuoriuscita temporanea, la Grexit insomma. Del resto è proprio questo il senso profondo, ma evidente, del report cosiddetto dei cinque presidenti, Tusk, Djissembloim, Draghi, Juncker e Schulz sulla riforma della Ue comparso a fine giugno, ove la fuoriuscita della Grecia e di altri paesi che non tengono il passo di una Ue a supertrazione tedesca, è vista non come un accidente ma una eventualità da favorire.
Il guaio è che la convinzione sulle buone ragioni di Schauble nel proporre una Grexit, è diffusa anche tra la sinistra nel nostro paese. Si baserebbe sull’assioma che nessuna salvezza è possibile dentro questa Europa e con questa moneta unica. Si dovrebbe farla finita con “l’europeismo del dovere essere” e assumere il rude ma realistico punto di vista di Schauble per cui per la Grecia, ma non solo, sarebbe meglio fare fagotto. Per un po’, se crede, o per sempre, meglio ancora.
Contemporaneamente si parla della necessità di adottare un piano B. Ne ha parlato Varoufakis nella ormai famosa intervista al New Statesman, salvo riconoscere che tale piano non era stato effettivamente preparato e che comunque non c’erano le condizioni per metterlo in opera. È la sorte di molti piani B, che sulla carta sembrano affidabili, ma che trascurano, proprio perché ipotetici, il problema essenziale degli strumenti concreti per la loro implementazione, nei modi e nei tempi necessari alla loro riuscita. Poiché le posizioni di Varoufakis sono oggetto di una battaglia interpretativa – come si vede anche nei vari articoli che MicroMega dedica all’argomento – vale la pena di riportare esattamente le sue parole: “Abbiamo avuto un piccolo gruppo, un ‘gabinetto di guerra’ all’interno del ministero, di circa cinque persone che stavano studiando … tutto ciò che doveva essere fatto (per una Grexit n.d.r.). Ma una cosa è fare in teoria… tutta un’altra faccenda è preparare il paese per la Grexit… per fare doveva essere presa una decisione esecutiva che non è mai stata presa”.
E ancora: “Non ho mai creduto che dovessimo andare direttamente a una nuova moneta. La mia idea era, e ho spiegato questo al governo, che se avessero osato chiudere le nostre banche, che giudico mossa aggressiva di incredibile ostilità, anche noi avremmo dovuto rispondere in modo aggressivo ma senza attraversare il punto di non ritorno”. Quindi Varoufakis illustra cosa si sarebbe dovuto fare o minacciare di fare: “Dovevamo rilasciare i nostri pagherò, o almeno annunciare che stavamo per farlo per rilanciare la nostra liquidità in euro; avremmo dovuto operare un taglio ai legami impostici dalla Bce nel 2012 o annunciare che stavamo per farlo; e così prendere noi il controllo della Banca di Grecia”.
Come si sa quel piano non è passato. Ma Varoufakis voleva sostanzialmente più simulare una Grexit che non attuarla. Del resto non sarebbe stata una grande tattica imbroccare la strada che proprio l’avversario stava costruendo per la Grecia: cioè l’uscita temporanea o definitiva dall’Eurozona!
Si chiama piano B perché si suppone che esso sia la soluzione di riserva qualora le rivendicazioni principali, diciamo il piano A, non vadano in porto. In sindacalese si direbbe più semplicemente “il punto di caduta” oppure “la via d’uscita dall’impasse”. Da questo punto di vista, pur con tutti i limiti intrinseci, un piano B va sempre pensato quando si va a discutere con avversari agguerriti per evitare di rimanere tra l’uscio e il muro.
Ma nella discussione che vedo e sento in queste ultime ore, su cui molti fondano le loro asperrime, quanto ingenerose e spesso infondate, critiche a Tsipras, la questione ha preso un’altra piega. Il piano B diventa di fatto il piano A. Ovvero i greci avrebbero dovuto fin dall’inizio proporsi un’uscita unilaterale della Grecia dall’Eurozona. In questo quadro Schauble diventerebbe paradossalmente un potenziale e potentissimo alleato.
Importerebbe poco o nulla che ripetuti sondaggi indicano la preferenza del popolo greco a rimanere nell’euro. Si sa, il popolo è un po’ bue e non capisce le gioie delle varie monete collaterali e sostitutive (dibattito in sé degnissimo, ma che andrebbe fatto veramente, senza l’angoscia degli ultimatum e per un’area più ampia che non quella di un solo stato).
Né sarebbe rilevante che Tsipras abbia detto che nei suoi contatti internazionali con le massime potenze, non ne ha trovata una realmente disponibile ad aiutare la Grecia in caso di fuoriuscita dall’euro. Anzi alcuni avanzano la supposizione che il leader greco possa mentire su questo punto. A parte il fastidio di introdurre la categoria dell’impostura o peggio del tradimento in una discussione di questa complessità, non ci dovrebbe essere bisogno di sottoporre il leader greco alla prova della macchina della verità per sapere come stanno le cose. Infatti gli Usa hanno interessi geostrategici che la Grecia permanga nella Ue. Lo hanno esplicitato in più di un’occasione; raccomandando fino all’ultimo secondo che si raggiungesse un accordo; criticando apertamente le intransigenze tedesche. Dal canto suo la Cina ha interesse, per ora prevalentemente di tipo economico, alla permanenza della Grecia nella Ue, mentre le conviene che la Ue si mantenga unita anche per contenere il ruolo e il potere degli Usa nel campo occidentale. La Russia quello che poteva fare nei confronti della Grecia lo ha fatto, con la famosa intesa sul futuro gasdotto, e nell’immediato non può largheggiare perché non se la passa benissimo.
Non avrebbero peso considerazioni come quelle che sviluppa, ad esempio, Ghiorgos Anandranistakis su Avghi secondo cui uscire dalla Ue non risolverebbe i problemi né nel breve né nel più lungo periodo, dal momento che “la parità della nuova valuta non viene unilateralmente stabilita dalla Grecia, ma viene fissata dai mercati internazionali” con conseguenze facilmente immaginabili. Né si può fare come ha detto Schauble per cui la Grecia pagherebbe i lavoratori con degli improbabili “I owe you”, mentre i creditori continuerebbero a essere ripagati in euro. Parole come queste vengono spesso tacciate di terrorismo psicologico da parte dei fautori dell’uscita unilaterale dall’euro. In realtà nessun economista o politologo, o semplice cittadino può dirsi in coscienza sicuro di quali siano le conseguenze di una simile mossa, se non altro per il fatto che non ci si è mai trovati in una circostanza simile. I vari parallelismi storici, come quello con l’Argentina, servono assai a poco, data la profonda diversità delle condizioni e delle situazioni storiche e geopolitiche. La questione andrebbe quindi affrontata con maggiore senso di realtà.
L’accordo non è bello. Il primo ad averlo detto è stato Tsipras, che ne ha denunciato i pericoli recessivi. Ma non sarebbe migliorato imbroccando la strada indicata dall’avversario. Non si può del resto tacere che questa intesa ha posto sul tavolo la questione della insostenibilità del debito greco. Che potrebbe allargarsi alla insostenibilità generale del debito dei paesi europei e degli squilibri commerciali che li determinano, in primo luogo dovuti alla agguerrita politica neomercantilista tedesca. Può essere anche ambivalente il richiamo del Fmi sulla necessità del taglio del debito: ma in primo luogo essa spacca il fronte della Troika e questo è un merito non casuale della tenacia del governo greco. Per la prima volta un dissidio vero è stato portato nel campo avverso. Non mi pare un risultato da poco e invece in diversi fingono di scordarsene.
Per i greci e Syriza si apre una nuova fase. L’applicabilità dell’accordo è dubbia in varie sue parti, come quella del fondo di garanzia. Si aprono spazi per ulteriori conflitti e discussioni. Elezioni anticipate o meno la nostra solidarietà non può venire meno. Specie per chi vuole ricostruire una nuova Sinistra.
(22 luglio 2015)
Ultima modifica di aaaa42 il 26/07/2015, 0:43, modificato 2 volte in totale.
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Re: G R E C I A
E' una analisi che pressapoco l'avevo fatta pure io in un mio precedente post del 13/7/2015 e cioe' 9 giorni fa. http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 543#p40543aaaa42 ha scritto:questo intervento di alfonso gianni va studiato e non letto.
chi è alfonso gianni ?
e stato con luca cafiero un leader del MLS movimento lavoratori per il socialismo la loro mission nel post 68 era menare i compagni democratici marxisti leninisti 'creativi' e un po anarchici di avanguardia operaia.
chi è alfonso gianni ?
e l autore del manuale good bye liberismo, in pratica per noi socialisti marxisti è la nostra bibbia quindi è il nostro gesu cristo anche se gesu cristo, non scrisse la bibbia ma il nostro si.
il nostro gesu cristo non va confuso con il vescovo ortodosso-sovietico autore di questo articolo.
e complesso entrare nello scritto di alfonso gianni.
e un scritto dialettico e quindi in questo senso e uno scritto marxista usa una dialettica 'chiusa' non 'aperta' è una dialettica stalinista e non del filosofo 'hegeliano' carlo marx.
ha risonanze sovietiche il verscovo che interviene a soccorso della sua chiesa, una lezione teologica.
i fautori dell' uscita dell' euro sarebbero amici del ministro tedesco, questo non è stalinismo questo è giuseppe stalin in persona !!!
il moticiclista greco ha cercato di giustificare la sua disfatta ma la sua analisi non sta in piedi.
era ovvio che dalle ore 21 alle ore 24 del giorno della vittoria del referendum il governo doveva mobilitare l 'esercito per mettere in sicurezza la banca centrale greca e la banca centrale greca dalle ore 22 doveva stampare i pagherò, questo non è stato fatto perchè Tsipras e il motociclista sono dilettanti allo sbaraglio.
e altrettanto ovvio che stampando 100 miliardi di euro in pagherò devi avere un piano economico straordinario da economia di guerra per produrre beni ECONOMICI almeno per 80 miliardi in tempi strettissimi da qui ECONOMIA DI GUERRA altrimenti l' inflazione ESPLODE come è successo a vladimiro Lenin che risposte all' iperinflazione abolendo ..la moneta cioè il rublo !!
la moglie di lenin usci per comprare un kg di pane con un carretto di ...sale.
Il dibattito sulla moneta EUROMED che esclude la germania, sulla doppia moneta, sulle monete locali sulla moneta fiscale non può essere bloccato .
In nome di un padre nostro e di 2 ave maria di un vescovo un po sovietico.
la sconfitta della sinistra in grecia è epocale, una sconfitta di epistemologia politica i tecnici in grecia facevano i politici e i politici facevano i tecnici, una sconfitta di approccio sistemico al non studio all' emperismo, alla mancanza di STRATEGIA POLITICA e alla mancanza di un PROGRAMMA politico.
non basta la mensa sociale per il popolo serve una ENORME MENSA SOCIALE DENTRO IL CERVELLO SOCIALE CHE E' LO STATO , cioe il socialismo.
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MicroMega 5/2015
Sulla vicenda greca torna la tentazione dell’abbandono dell’euro
di Alfonso Gianni
La vicenda greca sta determinando un riposizionamento delle forze politiche in Europa e una ridisegno del loro punto di vista strategico – per chi ce l’ha naturalmente – che è degno di una qualche riflessione. Anche se purtroppo tutt’altro che ottimistica.
La pessima socialdemocrazia tedesca non smette di stupire. L’ex ministro delle finanze di grande coalizione, nonché sfidante – si fa per dire – della Merkel nelle ultime elezioni, in una intervista al Bild ha dichiarato che non bisogna dare altri miliardi alla Grecia e che ha ragione Schauble sulla uscita temporanea della Grecia dalla Ue, peraltro non prevista dai Trattati. Potrebbe essere una delle tante dichiarazioni stravaganti se non facesse presa anche in ambienti inaspettati.
Come si sa in questi giorni la Merkel ha perso molto appeal. Non è solo Habermas a criticarla duramente. E persino Prodi.
Ma le critiche vengono anche da destra. L’applauso sostenuto ricevuto da Schauble da parte del Bundestag, mostra dove vada il pendolo delle preferenze in Germania. A quest’ultimo viene riconosciuta una maggiore coerenza e combattività nella difesa degli interessi nazionali. Cioè l’avere insistito sulla cacciata della Grecia dall’Eurozona, per l’occasione travestita da fuoriuscita temporanea, la Grexit insomma. Del resto è proprio questo il senso profondo, ma evidente, del report cosiddetto dei cinque presidenti, Tusk, Djissembloim, Draghi, Juncker e Schulz sulla riforma della Ue comparso a fine giugno, ove la fuoriuscita della Grecia e di altri paesi che non tengono il passo di una Ue a supertrazione tedesca, è vista non come un accidente ma una eventualità da favorire.
Il guaio è che la convinzione sulle buone ragioni di Schauble nel proporre una Grexit, è diffusa anche tra la sinistra nel nostro paese. Si baserebbe sull’assioma che nessuna salvezza è possibile dentro questa Europa e con questa moneta unica. Si dovrebbe farla finita con “l’europeismo del dovere essere” e assumere il rude ma realistico punto di vista di Schauble per cui per la Grecia, ma non solo, sarebbe meglio fare fagotto. Per un po’, se crede, o per sempre, meglio ancora.
Contemporaneamente si parla della necessità di adottare un piano B. Ne ha parlato Varoufakis nella ormai famosa intervista al New Statesman, salvo riconoscere che tale piano non era stato effettivamente preparato e che comunque non c’erano le condizioni per metterlo in opera. È la sorte di molti piani B, che sulla carta sembrano affidabili, ma che trascurano, proprio perché ipotetici, il problema essenziale degli strumenti concreti per la loro implementazione, nei modi e nei tempi necessari alla loro riuscita. Poiché le posizioni di Varoufakis sono oggetto di una battaglia interpretativa – come si vede anche nei vari articoli che MicroMega dedica all’argomento – vale la pena di riportare esattamente le sue parole: “Abbiamo avuto un piccolo gruppo, un ‘gabinetto di guerra’ all’interno del ministero, di circa cinque persone che stavano studiando … tutto ciò che doveva essere fatto (per una Grexit n.d.r.). Ma una cosa è fare in teoria… tutta un’altra faccenda è preparare il paese per la Grexit… per fare doveva essere presa una decisione esecutiva che non è mai stata presa”.
E ancora: “Non ho mai creduto che dovessimo andare direttamente a una nuova moneta. La mia idea era, e ho spiegato questo al governo, che se avessero osato chiudere le nostre banche, che giudico mossa aggressiva di incredibile ostilità, anche noi avremmo dovuto rispondere in modo aggressivo ma senza attraversare il punto di non ritorno”. Quindi Varoufakis illustra cosa si sarebbe dovuto fare o minacciare di fare: “Dovevamo rilasciare i nostri pagherò, o almeno annunciare che stavamo per farlo per rilanciare la nostra liquidità in euro; avremmo dovuto operare un taglio ai legami impostici dalla Bce nel 2012 o annunciare che stavamo per farlo; e così prendere noi il controllo della Banca di Grecia”.
Come si sa quel piano non è passato. Ma Varoufakis voleva sostanzialmente più simulare una Grexit che non attuarla. Del resto non sarebbe stata una grande tattica imbroccare la strada che proprio l’avversario stava costruendo per la Grecia: cioè l’uscita temporanea o definitiva dall’Eurozona!
Si chiama piano B perché si suppone che esso sia la soluzione di riserva qualora le rivendicazioni principali, diciamo il piano A, non vadano in porto. In sindacalese si direbbe più semplicemente “il punto di caduta” oppure “la via d’uscita dall’impasse”. Da questo punto di vista, pur con tutti i limiti intrinseci, un piano B va sempre pensato quando si va a discutere con avversari agguerriti per evitare di rimanere tra l’uscio e il muro.
Ma nella discussione che vedo e sento in queste ultime ore, su cui molti fondano le loro asperrime, quanto ingenerose e spesso infondate, critiche a Tsipras, la questione ha preso un’altra piega. Il piano B diventa di fatto il piano A. Ovvero i greci avrebbero dovuto fin dall’inizio proporsi un’uscita unilaterale della Grecia dall’Eurozona. In questo quadro Schauble diventerebbe paradossalmente un potenziale e potentissimo alleato.
Importerebbe poco o nulla che ripetuti sondaggi indicano la preferenza del popolo greco a rimanere nell’euro. Si sa, il popolo è un po’ bue e non capisce le gioie delle varie monete collaterali e sostitutive (dibattito in sé degnissimo, ma che andrebbe fatto veramente, senza l’angoscia degli ultimatum e per un’area più ampia che non quella di un solo stato).
Né sarebbe rilevante che Tsipras abbia detto che nei suoi contatti internazionali con le massime potenze, non ne ha trovata una realmente disponibile ad aiutare la Grecia in caso di fuoriuscita dall’euro. Anzi alcuni avanzano la supposizione che il leader greco possa mentire su questo punto. A parte il fastidio di introdurre la categoria dell’impostura o peggio del tradimento in una discussione di questa complessità, non ci dovrebbe essere bisogno di sottoporre il leader greco alla prova della macchina della verità per sapere come stanno le cose. Infatti gli Usa hanno interessi geostrategici che la Grecia permanga nella Ue. Lo hanno esplicitato in più di un’occasione; raccomandando fino all’ultimo secondo che si raggiungesse un accordo; criticando apertamente le intransigenze tedesche. Dal canto suo la Cina ha interesse, per ora prevalentemente di tipo economico, alla permanenza della Grecia nella Ue, mentre le conviene che la Ue si mantenga unita anche per contenere il ruolo e il potere degli Usa nel campo occidentale. La Russia quello che poteva fare nei confronti della Grecia lo ha fatto, con la famosa intesa sul futuro gasdotto, e nell’immediato non può largheggiare perché non se la passa benissimo.
Non avrebbero peso considerazioni come quelle che sviluppa, ad esempio, Ghiorgos Anandranistakis su Avghi secondo cui uscire dalla Ue non risolverebbe i problemi né nel breve né nel più lungo periodo, dal momento che “la parità della nuova valuta non viene unilateralmente stabilita dalla Grecia, ma viene fissata dai mercati internazionali” con conseguenze facilmente immaginabili. Né si può fare come ha detto Schauble per cui la Grecia pagherebbe i lavoratori con degli improbabili “I owe you”, mentre i creditori continuerebbero a essere ripagati in euro. Parole come queste vengono spesso tacciate di terrorismo psicologico da parte dei fautori dell’uscita unilaterale dall’euro. In realtà nessun economista o politologo, o semplice cittadino può dirsi in coscienza sicuro di quali siano le conseguenze di una simile mossa, se non altro per il fatto che non ci si è mai trovati in una circostanza simile. I vari parallelismi storici, come quello con l’Argentina, servono assai a poco, data la profonda diversità delle condizioni e delle situazioni storiche e geopolitiche. La questione andrebbe quindi affrontata con maggiore senso di realtà.
L’accordo non è bello. Il primo ad averlo detto è stato Tsipras, che ne ha denunciato i pericoli recessivi. Ma non sarebbe migliorato imbroccando la strada indicata dall’avversario. Non si può del resto tacere che questa intesa ha posto sul tavolo la questione della insostenibilità del debito greco. Che potrebbe allargarsi alla insostenibilità generale del debito dei paesi europei e degli squilibri commerciali che li determinano, in primo luogo dovuti alla agguerrita politica neomercantilista tedesca. Può essere anche ambivalente il richiamo del Fmi sulla necessità del taglio del debito: ma in primo luogo essa spacca il fronte della Troika e questo è un merito non casuale della tenacia del governo greco. Per la prima volta un dissidio vero è stato portato nel campo avverso. Non mi pare un risultato da poco e invece in diversi fingono di scordarsene.
Per i greci e Syriza si apre una nuova fase. L’applicabilità dell’accordo è dubbia in varie sue parti, come quella del fondo di garanzia. Si aprono spazi per ulteriori conflitti e discussioni. Elezioni anticipate o meno la nostra solidarietà non può venire meno. Specie per chi vuole ricostruire una nuova Sinistra.
(22 luglio 2015)
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: G R E C I A
Renzi elenca i successi del governo. “Sarò breve”.
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Re: G R E C I A
il 'case' Grecia va seguito con attenzione in quanto ci permette di avere una discussione a sinistra su dove vogliamo andare e cosa fare in Italia.
C è stato un convegno su grecia italia e euro molto interessante,
chiedo di postare le relazioni.
questo intervento è un antipasto.
rispondo al commandante pancho io voglio bene Tsipras ma è evidente che senza preparazione teorico solo con l emiprismo non vai da nesuna parte.
per il momento la sinistra europea in grecia ha subito una sconfitta storica.
dalle sconfitta completa e totale nel soviet di febbraio 2017 Vladimiro costruiri il trionfo nel soviet dell' ottobre 2017.
Commandante Pancho lascia stare il ' volemoseben' o il 'basanasa' ed inizia a contare....
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Quali prospettive per la Grecia, e per l’Europa
di Paolo Pini *
Affrontare il tema che mi appresto a discutere qui è come afferrare un mazzo di rose a mani nude all’altezza dello stelo. Vi è la certezza che in qualche modo ci si farà male e si sanguinerà. Il mazzo di rose è la Grecia, le spine sono la Grexit. La mano è mia, naturalmente.
Mi chiedo: ma cosa glielo fa fare al popolo greco di subire il ricatto tedesco anziché uscire dall’Eurozona? La risposta di molti è: con la Grexit non vi è speranza. Io rispondo: perché, forse accettando l’ipotesi di accordo i greci avranno più speranza?
1. Le origini dei guai greci
I guai della Grecia hanno origini lontane, risalgono almeno all’ingresso nell’Eurozona. Non è stato un ingresso particolarmente voluto, secondo alcuni accettato se non addirittura subito. Secondo alcuni (non economisti), le ragioni del loro ingresso sono state in parte geopolitiche, le stesse peraltro che spingono alcuni governi atlantici (Stati Uniti) ad essere oggi molto preoccupati per la loro eventuale volontaria uscita o per la loro meno eventuale cacciata (dipende dal punto di vista in cui ci si pone, dei debitori o dei creditori): la Grecia è laggiù in fondo dell’area balcanica, ai confini con l’area asiatica nella quale è posta la Turchia il cui ingresso nell’Unione Europea è problematic(issimo)o, e nei pressi di paesi oltreconfine, di influenza della Madre Russia. Oggi c’è il conflitto ukraino, ieri quello balcanico ardeva ancora (sotto le ceneri arde eccome ancora!); e l’Isis è alle porte, se non in casa in territorio balcanico è presente. Ma le ragioni della geopolitica hanno avuto allora il sopravvento sulle ragioni delle criticità strutturali (leggi secondo alcuni “arretratezza”) della Grecia, oltre che sui suoi conti pubblici truccati per entrare nell’Eurozona. Peraltro l’Euro non doveva proprio favorire, anzi governare, la convergenza tra paesi strutturalmente differenti? E quale altro paese candidato all’ingresso era più divergente della Grecia a fine millennio? Da questo punto di vista rappresentava anche un ottimo case study su cui fare esperimenti, con l’adozione dell’Euro prima e con la sua sostenibilità ed irreversibilità poi.
Le criticità strutturali erano presenti e tali son rimaste, se non accresciute. Non solo in termini delle note questioni di inefficienza dello Stato e della sua pubblica amministrazione, dell’alta propensione ad evadere il pagamento delle imposte ed a corrompere per coprire o favorire evasione ed elusione, per l’arretratezza costituzionalizzata di un sistema fiscale assai regressivo ed iniquo sul piano economico e sociale, per un sistema di welfare anacronistico ed iniquo, per le carenze di infrastrutture fisiche ed immateriali, per l’alto tasso di protezione dei mercati interni sotto il controllo di lobby affaristiche potenti legate alla politica ellenica; ma fin qui siamo ad un elenco di criticità di cui altri paesi dell’area europea-mediterranea non sono esenti, fra cui l’Italia. A ciò dovremmo aggiungere un apparato di struttura industriale che produce per la Grecia un deficit strutturale nei flussi commerciali con l’estero e quindi un fabbisogno intrinseco di flussi finanziari in entrata a copertura di tale deficit. Al vincolo esterno poi si aggiunge il vincolo interno dato da un difetto di risparmio pubblico e privato, ed un livello di indebitamento non sostenibile, causato soprattutto dagli elevati tassi di interesse di mercato pre-euro.
Tutti fattori questi che pre-esistevano all’ingresso nell’Eurozona e che la moneta unica avrebbe secondo alcuni indotto a sanare (convergenza strutturale), ma che come ben sappiamo non ha affatto sanato. Le ragioni? Per alcuni, le riforme strutturali non fatte (quelle che l’Europa chiede pedissequamente con le sue Raccomandazioni) ed il non sfruttamento nel periodo di tassi di interesse convergenti e bassi delle opportunità di realizzare investimenti che favorissero un cambiamento strutturale ed un alleggerimento del vincolo esterno, invece di sostenere una domanda pubblica inefficiente ed una domanda privata di crescenti e sperequati consumi; per altri, non era la natura della moneta unica, peraltro depotenziata dalle regole dei Trattati che hanno imposto vincoli irragionevoli alla BCE, che poteva da sola indurre la convergenza, in assenza di politiche fiscali e di crescita coordinate e country-specific, di un bilancio europeo adeguato e con fondi propri che consentisse di finanziarle, di regole di imposizione fiscale armonizzate tra paesi, di un sistema bancario che garantisse solvibilità e controllo a livello europeo.
2. La crisi dopo il 2008 ed i Memorandum 1 e 2
Con la crisi del 2008, le cui origini apparenti si ricordi risalgono nel mercato statunitense dei prestiti sub-prime, tutto ciò è deflagrato. Non solo e non tanto in Grecia i conti pubblici truccati sono stati poi svelati (nel 2010), ma soprattutto e prima ancora la presunta sostenibilità dei vincoli esterni ed interni è franata, in Grecia come in Irlanda prima, Portogallo, Spagna, Italia, poi, attraversando il Regno Unito, l’Islanda per poi giungere ultima tappa a Cipro, con tutte le loro diversità. La strada percorsa è stata quella di un debito principalmente privato che ha messo in crisi il settore stesso che lo aveva generato, quello finanziario, e che per salvare proprio questo è stato poi trasformato in parte in debito pubblico addossandolo quindi ai cittadini con maggiori imposte e minori servizi. L’Europa dell’Unione e quella dell’Eurozona in particolare hanno reagito in modo miope più che altrove (Stati Uniti), rifiutandosi di praticare almeno una politica monetaria di contenimento del razionamento del credito, ed accelerando verso il rigore fiscale che con l’Euro a guida tedesca è assurto a fanatismo ideologico.
Nel caso greco, invece di risanare da subito il buco nei conti pubblici, ristrutturando il debito, si è prima tergiversato, perdendo tempo in stile tutto Merkiavelliano come ben narrato da Ulrich Beck, poi si è proceduto con il Memorandum 1 del 2010 (110 mld di euro di aiuti per 3 anni) e Memorandum 2 del 2012 (130 mld di euro di aiuti per 3 anni) e con il commissariamento del paese ellenico da parte della Troika nel 2011 all’insegna dell’austerità espansiva: riforme strutturali in tempo di crisi, taglio della spesa pubblica, dell’occupazione pubblica, di salari e stipendi dei pubblici dipendenti, del welfare, previdenza ed assistenza sociale, liberalizzazioni e privatizzazioni per favorire la concorrenza e recuperare risorse per ridurre il debito.
Tra politiche aggressive ispirate ai dettami liberisti portatrici di quegli interessi di classe di cui narrano da tempo Krugman e Stiglitz, da un lato, e previsioni errate causate da maldestri interventi fiscali suggeriti da mani sapienti che controllano modelli econometrici inaffidabili, dall’altro, gli esiti sono stati catastrofici per la Grecia e la popolazione greca, dalla classe media in giù. Il reddito è crollato del 25%, la disoccupazione ha superato la soglia del 25%, e ciò che si voleva curare, il rapporto debito pubblico sul Pil, è schizzato dal 125% circa del 2009 al 180% circa di oggi; per il FMI il debito è ora insostenibile e deve essere ristrutturato. Che all’origine della crisi greca non vi fosse però un eccesso di debito pubblico, ma un problema di sostenibilità del debito privato, è stato riconosciuto da tempo peraltro dalla stessa BCE.
Mentre le riforme di struttura che occorrevano non sono state fatte, quelle strutturali imposte dalla Troika sì: esse sono consistite appunto in un taglio netto della domanda pubblica e dei servizi di welfare che hanno affossato da domanda interna, mentre le privatizzazioni, le riduzioni salariali ed i licenziamenti che non è chiaro come avrebbero dovuto accrescere la competitività della Grecia sui mercati esteri, hanno solo tolto dal mercato altra domanda potenziale sulla base della fallace idea che per ristabilire flussi commerciali positivi con l’estero dovesse prima essere tagliata la fonte della domanda interna, ovvero i redditi delle persone. Il miglioramento dei conti con l’estero vi è stato così a causa del crollo delle importazioni, e non tanto di un recupero delle esportazioni. D’altronde se al contempo distruggi struttura produttiva e privatizzi ciò che hai vendendo all’estero ciò che ti consente di produrre per il mercato, è arduo pensare che l’offerta destinata ai mercati esteri possa crescere e compensare la caduta di quella per il mercato interno; anzi così facendo stai svendendo il tuo futuro, riducendo il tuo prodotto e reddito potenziale.
3. Verso il terzo Memorandum
Siamo così giunti al Memorandum 3 di questi giorni, con l’ipotesi di accordo imposto dall’Eurogruppo e dal Consiglio dell’Eurozona nello scorso weekend e la ormai famosa maratona di 17 ore dell’Eurosummit conclusasi lunedì mattina. In cambio di una promessa ipotetica di altro indebitamento per la Grecia tra 82 e 86 mld di euro da negoziare, quindi ulteriore futuro cappio al collo con il quale i greci devono impiccarsi alla scadenza, di un fabbisogno di urgenza da soddisfare con aiuti per 7 mld entro il 20 luglio ed altri 5 per metà di agosto 2015, oltre che della necessità di onorare il rimborso dei debiti in scadenza con il FMI e con la BCE (tramite la Banca Nazionale della Grecia), il paese deve soddisfare immediatamente precondizioni coerenti con il rigore dei conti, tagli della spesa pubblica, degli occupati pubblici e loro retribuzioni, incrementi generali delle aliquote iva, comprese quelle sulle attività turistiche nelle isole, riforma in tempi draconiani delle pensioni per assicurare la sostenibilità del regime previdenziale, tagli ai servizi di welfare, interventi sulla contrattazione per consentire i licenziamenti collettivi immediati (secondo le migliori pratiche del lavoro attuale in Europa), liberalizzazioni nei mercati dei prodotti, dell’energia, delle professioni, piena attuazione delle disposizioni prevista dal Trattato di Stabilità e Crescita rendendo operativo il Consiglio di bilancio e tagli alla spesa quasi automatici in caso di deviazioni dagli obiettivi di avanzo primario nel bilancio pubblico previa approvazione delle istituzioni, cancellazione dei provvedimenti adottati sin qui dal nuovo governo presieduto da Tsipras in contrasto con la ricetta del rigore fiscale fatti salvi quegli interventi per crisi umanitaria, impegno tassativo del governo di Atene a non adottare alcun intervento in materie economiche se non preventivamente discusso ed approvato dalla Troika, finanche divieto ad intraprendere alcuna decisione che consenta al popolo greco di esprimersi con referendum sulle eventuali decisioni imposte dai creditori.
Come dire, la democrazia ha un costo che in tempo di crisi se vuoi salvarti con i soldi degli altri deve essere azzerato, sospendendo la democrazia stessa. Era già avvenuto preventivamente con il governo presieduto da George Papandreou nel novembre 2011, che cancellò il referendum previsto sul programma di aiuti in discussione e si dimise.
Ma tutto ciò non è sufficiente perché il governo greco proclamando il referendum popolare su una ipotesi di accordo del 25 giugno ha sfidato i creditori e quindi perso la loro fiducia, che ora deve essere ripristinata. Le condizioni sono un timing serratissimo (3 e 10 giorni) su specifici provvedimenti da prendere come condizione per avviare la negoziazione sugli aiuti del Fondo salva-Stati (Meccanismo Europeo di Stabilità, MES), e la creazione di un fondo indipendente di garanzia per privatizzazioni pari ad un valore di 50 mld di euro con gestione controllata dalla Troika, sebbene collocato in territorio greco e non lussemburghese come richiedevano i creditori.
Sebbene vengano indicate le procedure Ocse per realizzare la monetizzazione delle attività da privatizzare, temiamo che l’ingordigia tedesca punterà ad adottare come modello di riferimento il fondo di privatizzazioni che ha spogliato la ex DDR del suo patrimonio agricolo, industriale, dei servizi, tra cui quelli commerciali e bancari al tempo della sua “annessione” alla Germania Occidentale, a tutto vantaggio lo si ricordi delle imprese tedesche dell’ovest che con tale fondo hanno: a) acquistato a prezzi stracciati, persino ad 1 Euro, le imprese dell’est; b) acquisito un mercato di sbocco all’est per le loro produzioni reso sgombro dalla concorrenza locale; c) guadagnato i crediti che tali imprese e banche avevano con la popolazione tedesca dell’est, valutati al cambio paritario deciso nel 1989. Un affare d’oro le privatizzazioni, soprattutto per chi compra, un poco meno per chi è costretto a (s)vendere a prezzi da discount. Le risorse così ipoteticamente recuperate serviranno per ricapitalizzare il sistema bancario greco al collasso 25 mld), per ridurre il debito in rapporto al Pil (12,5 mld), per investimenti (12,5 mld).
Al contempo il debito contratto dallo stato ellenico nei confronti dei creditori deve essere interamente ripagato, e non può essere realizzata alcuna svalutazione nominale dello stesso, semmai è possibile che l’Eurogruppo prenda in esame se necessario una dilazione in termini di più lunghi periodi di tolleranza e di pagamento, al fine di assicurare la sostenibilità del fabbisogno lordo degli aiuti concessi, ma certo non quella suggerita dal FMI che ha prescritto un allungamento della scadenza dell’intero stock del debito di 30 anni (fino al 2053), ipotesi perentoriamente esclusa dalla Germania, e comunque a condizione che si realizzi la piena attuazione dei provvedimenti da concordare con l’Eurogruppo in un nuovo programma di aiuti.
Nel frattempo il FMI insiste nella sua posizione che da tecnica diviene politica: qualora la sostenibilità del debito e la necessità di una sua ristrutturazione non vengano riconosciute dalle istituzioni europee con proposte concrete per una soluzione, il Fondo ritenendo la Grecia paese a rischio di solvibilità non potrà per statuto intervenire in un programma eventuale di aiuti. Al FMI l’ipotesi di accordo non convince, forse lo ritiene esso stesso non sostenibile. Il deterioramento economico più recente della Grecia modifica le previsioni del FMI sul debito greco: prevede che il rapporto debito/Pil continuerà a crescere e raggiungerà la soglia del 200% in due anni e che nel 2022 si assesterà sul livello del 170%, invece del 142% previsto nell’ultimo rapporto di alcune settimane fa, o del 110% previsto sulla base del programma di aiuti nel 2012. Ma ulteriori peggioramenti, afferma il FMI, non possono essere esclusi. La stessa prescrizione di avere avanzi primari del 3,5% nel bilancio pubblico per diverse decadi future al fine di assicurare la sostenibilità del debito appare irrealistica, così come troppo ambizioso appare l’obiettivo di portare con l’adozione delle riforme strutturali la crescita della produttività e del tasso di partecipazione della forza lavoro dal livello più basso a quello più alto tra i paesi dell’Eurozona, infine il sistema bancario necessiterà di ulteriori sostegni di liquidità e capitalizzazione oltre a quelli previsti sinora.
Da ciò il FMI deriva un giudizio critico sul programma di aiuti individuato dall’Eurogruppo via il MES, valutandolo grandemente insufficiente per assicurare la sostenibilità del debito greco, ed indica opzioni di ristrutturazione del debito (tra cui trasferimenti annuali sul bilancio della Grecia, oppure un profondo taglio del debito, oltre ad una eccezionale proroga della scadenza di altri 30 anni) ben più ardite di quelle impercettibili annunciate dall’Eurogruppo e fatte proprie dall’Eurosummit nel documento finale. Per il Fondo il programma di aiuto alla Grecia è destinato al fallimento se non si ristruttura il debito. Conclusione apprezzabile, anche se tardiva, perché non sono gli ultimi eventi ad aver reso insostenibile il debito quanto le miopi politiche di austerità attuate.
Comunque, se si defila il FMI, l’Europa avrà un altro problema: chi si farà carico del debito pregresso della Grecia con il FMI? Verrà trasferito al MES? Ma non è ciò che la Germania vuole, anzi la presenza del FMI è condizione sine qua non per avviare il terzo Memorandum; la stessa Troika risulterebbe azzoppata. Se la Grecia non fosse solvibile, allora anche l’intervento della BCE potrebbe essere a rischio, per ragioni analoghe. La Commissione Europea rimarrebbe con il cerino in mano!
A favore della Grecia la Commissione Europea si impegnerebbe con il governo greco a mobilitare nei prossimi 3-5 anni fino a 35 mld di euro nei vari programmi della UE esistenti, per finanziare investimenti ed attività economiche, con la disponibilità ad anticipare non oltre 1 mld di euro per investimenti immediati. Scusate, ma mi suona tanto da piano Juncker dei 330 mld di euro con una leva di 15-20. Le risorse che mobilitano questi ipotetici e massimi 35 mld sono da trovarsi nelle pieghe del bilancio europeo, magari nei fondi già stanziati per la Grecia, oppure nell’abbuono degli interessi che la Grecia deve pagare alle istituzioni per i prestiti concessi ad esempio dalla BCE (le ipotesi annunciate sono un mix di allarmante e ridicolo al contempo). L’unica certezza è che l’Unione Europea ed i singoli paesi membri non intendono metterci un Euro per la crescita. Il governo del Regno Unito che sta nel Consiglio Europeo, ma ovviamente non partecipa ai Summit dell’Eurozona, ha già dichiarato che non rinuncerà neppure ad un euro che gli spetta dal bilancio europeo per devolverlo alla Grecia. Siam certi, altri lo seguiranno presto. La solidarietà è una risorsa molto scarsa, va usata con parsimonia.
4. L’accordo è la soluzione?
Crediamo veramente che i termini di questo ipotetico accordo che preventivamente richiede l’attuazione di determinare misure del tutto coerenti con i precedenti Memorandum possano consentire di rendere sostenibile il debito greco, di fare uscire dalla depressione l’economia greca, di poter essere realizzato nei termini e nelle dimensioni imposte dai creditori? I termini dell’accordo sono senza soluzione di continuità con gli stessi interventi che hanno portato la Grecia sull’orlo del disastro economico, finanziario ed umanitario da quando la Troika ha operato in Grecia, dal 2011. Le ipotesi di avanzi primari di bilancio prescrittivi per il prossimo triennio nell’ordine del 3,5% del Pil ed i tagli di bilancio non esattamente quantificati, ma che potrebbero aggirarsi attorno ai 15 mld di euro nel biennio 2015-2016, è ciò che non solo rende la Grecia non solvibile durante il suo percorso di ipotetica uscita dalla depressione, ma contribuirà a far diminuire ulteriormente il reddito prodotto da qui a 3 anni. I programmi di austerità draconiana da implementare non risulteranno economicamente sostenibili, e neppure il programma di monetizzazione delle attività economiche (porti, aeroporti, reti ed infrastrutture dell’energia, ecc.) via privatizzazioni per un ammontare che è pari a circa ¼ del Pil annuo greco si dimostrerà irrealizzabile, come è stato irrealizzabile analogo programma previsto dai Memorandum precedenti per identici volumi monetari.
L’esito dell’ingresso della Grecia in un nuovo programma di aiuti che coinvolge ancora il FMI, con compiti di controllo e verifica, oltre al MES europeo, con la Troika che avrà poteri di indirizzo, attuazione e supervisione pressoché assoluti, sarà con tutta probabilità il perdurare dello stato economico depressivo in cui si trova il paese, il suo aggravarsi nel tempo, l’approfondirsi della crisi umanitaria che tocca strati della popolazione crescenti, una esposizione debitoria ancora maggiore nei confronti delle istituzioni coinvolte, ed un corrispondente rischio di solvibilità ancora maggiore, una ipoteca ancora maggiore sul suo futuro economico e sociale. Qualora il programma veda l’attuazione, fra sei mesi od un anno la crisi greca sarà molto probabilmente nuovamente all’ordine del giorno dell’agenda delle istituzioni europee (BCE, Eurogruppo, Consiglio Europeo) ed internazionali (FMI), aggravata da maggiori debiti e più sofferenza umanitaria, e la Grexit che sembra essere stata ora evitata, sarà dietro l’angolo come unica opzione.
Se questo è il quadro, il contesto in cui si muove la crisi greca, forse non possiamo neppure essere certi che la Grecia con l’accordo abbia comprato tempo. Non tocchiamo qui la questione di cosa abbia comprato l’Europa. Forse solo lo svelamento di ciò che davvero è l’Europa in stile germanico. Qualcosa di raccapricciante credo, per coloro che avevano il sogno degli Stati Uniti d’Europa (sono tra questi). Perché questo tempo acquistato dalla Grecia, è forse tempo perso. Persi 5 mesi di inutile, defaticante, controproducente negoziazione che mai è partita, se stiamo alla lettura dell’ex Ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis. Mesi che potevano essere spesi per costruire uno scenario differente a quello della negoziazione, o meglio per lavorare ad un Piano B entro la negoziazione dato che iniziare una negoziazione sul Piano A (no Grexit) senza avere una alternativa, un second best che almeno copra la negoziazione, indebolisce la negoziazione stessa.
Se poi si utilizza l’arma di offesa meno gradita dalle istituzioni europee, dalla Germania e dalla Troika, cioè il responso elettorale via chiamata del popolo con referendum, allora occorre attrezzarsi per le eventuali ritorsioni che non possono che seguire (Papandreou del 2011 insegna), in tempi persino peggiori; ritorsioni peraltro prevedibili solo perché di fronte la Troika aveva un governo che unico nel panorama europeo si era nettamente contrapposto all’ideologia fanatica della austerità e del rigore tedesco. Abbassare le armi via le dimissioni di Varoufakis con un 61% di No ancora da conteggiare poteva essere certo inteso come un segnale di distensione offerto ad interlocutori responsabili. Ma gli interlocutori si sono dimostrati tutto fuorché responsabili. E non sono stupidi, lo han detto a Draghi de visu. Avevano un obiettivo: non negoziare nulla fuori dalle condizioni fissate dai creditori, ed al massimo negoziare la Grexit.
Come sempre non vi può essere riprova per un evento non avvenuto, e quindi nessuna riprova di ciò che sarebbe stato il negoziato se fossero state mantenute sul tavolo le tre frecce di Varoufakis (annuncio di introdurre la moneta parallela per uso interno, annuncio di assumere il controllo della Banca di Grecia, annuncio di tagliare il debito greco del 2012 con la BCE). E’ però altrettanto vero che scomparse quelle tre frecce e sostituito il Ministro delle Finanze, nessuna parvenza del Piano B è rimasta, ed il re è rimasto nudo, ovvero Tsipras è andato all’Eurosummit con il solo Piano A, negoziare le condizioni della resa. E gli irresponsabili sono stati implacabili, o la borsa o la vita! Ma gli irresponsabili hanno anche un altro obiettivo, forse l’obiettivo prioritario, non quello economico ma politico: far cadere il governo Tsipras, costringere alla crisi la sua maggioranza, provocare una frattura insanabile entro Syriza, instaurare un ennesimo governo di unità semi-nazionale amico dei tecnocrati, poi, con tutta calma, molta calma, andare a nuove elezioni. Sconfiggerne uno, per educarne almeno quattro (Spagna, Portogallo, Italia, Francia). E questo scenario è ancora praticabile.
Conclusioni
Quindi, cosa hanno da guadagnare i Greci accettando il Memorandum 3? Forse neppure il tempo... perché con le prescrizioni che quel Memorandum fissa e con una crisi politica dietro l’angolo, quel tempo neppure può essere utilizzato per preparare un Piano B, una Grexit che minimizzi i suoi costi, un poco concordata, un poco governata, per non penalizzare troppo il paese e le classi che da una Grexit potranno risultare le più penalizzate, in termini di perdita di reddito, di risparmi e di lavoro. Si troveranno forse tra sei mesi, forse tra un anno, di fronte ad una Grexit forzata dai creditori, che intanto avranno quanto più possono spogliato la Grecia.
Speriamo che tutto ciò sia un ennesimo errore previsivo di un economista non mainstream, un personale nightmare, che si aggiunge a quello che a seguire potrebbe accadere all’Europa, e che qui non ho raccontato. Ma credo che Krugman abbia ragione quando afferma: “There are only terrible alternatives at this point, thanks to the fecklessness of the Greek government and, far more important, the utterly irresponsible campaign of financial intimidation waged by Germany and its allies. And I guess I have to say it: unless Merkel miraculously finds a way to offer a much less destructive plan than anything we’re hearing, Grexit, terrifying as it is, would be better.” (Paul Krugman, Disaster in Europe, “The Conscience of a Liberal”, NYT 12 luglio 2015).
* si ringrazia Annaflavia Bianchi, Emiliano Brancaccio, Carlo Clericetti per i primi commenti al presente testo
(16 luglio 2015)
C è stato un convegno su grecia italia e euro molto interessante,
chiedo di postare le relazioni.
questo intervento è un antipasto.
rispondo al commandante pancho io voglio bene Tsipras ma è evidente che senza preparazione teorico solo con l emiprismo non vai da nesuna parte.
per il momento la sinistra europea in grecia ha subito una sconfitta storica.
dalle sconfitta completa e totale nel soviet di febbraio 2017 Vladimiro costruiri il trionfo nel soviet dell' ottobre 2017.
Commandante Pancho lascia stare il ' volemoseben' o il 'basanasa' ed inizia a contare....
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Quali prospettive per la Grecia, e per l’Europa
di Paolo Pini *
Affrontare il tema che mi appresto a discutere qui è come afferrare un mazzo di rose a mani nude all’altezza dello stelo. Vi è la certezza che in qualche modo ci si farà male e si sanguinerà. Il mazzo di rose è la Grecia, le spine sono la Grexit. La mano è mia, naturalmente.
Mi chiedo: ma cosa glielo fa fare al popolo greco di subire il ricatto tedesco anziché uscire dall’Eurozona? La risposta di molti è: con la Grexit non vi è speranza. Io rispondo: perché, forse accettando l’ipotesi di accordo i greci avranno più speranza?
1. Le origini dei guai greci
I guai della Grecia hanno origini lontane, risalgono almeno all’ingresso nell’Eurozona. Non è stato un ingresso particolarmente voluto, secondo alcuni accettato se non addirittura subito. Secondo alcuni (non economisti), le ragioni del loro ingresso sono state in parte geopolitiche, le stesse peraltro che spingono alcuni governi atlantici (Stati Uniti) ad essere oggi molto preoccupati per la loro eventuale volontaria uscita o per la loro meno eventuale cacciata (dipende dal punto di vista in cui ci si pone, dei debitori o dei creditori): la Grecia è laggiù in fondo dell’area balcanica, ai confini con l’area asiatica nella quale è posta la Turchia il cui ingresso nell’Unione Europea è problematic(issimo)o, e nei pressi di paesi oltreconfine, di influenza della Madre Russia. Oggi c’è il conflitto ukraino, ieri quello balcanico ardeva ancora (sotto le ceneri arde eccome ancora!); e l’Isis è alle porte, se non in casa in territorio balcanico è presente. Ma le ragioni della geopolitica hanno avuto allora il sopravvento sulle ragioni delle criticità strutturali (leggi secondo alcuni “arretratezza”) della Grecia, oltre che sui suoi conti pubblici truccati per entrare nell’Eurozona. Peraltro l’Euro non doveva proprio favorire, anzi governare, la convergenza tra paesi strutturalmente differenti? E quale altro paese candidato all’ingresso era più divergente della Grecia a fine millennio? Da questo punto di vista rappresentava anche un ottimo case study su cui fare esperimenti, con l’adozione dell’Euro prima e con la sua sostenibilità ed irreversibilità poi.
Le criticità strutturali erano presenti e tali son rimaste, se non accresciute. Non solo in termini delle note questioni di inefficienza dello Stato e della sua pubblica amministrazione, dell’alta propensione ad evadere il pagamento delle imposte ed a corrompere per coprire o favorire evasione ed elusione, per l’arretratezza costituzionalizzata di un sistema fiscale assai regressivo ed iniquo sul piano economico e sociale, per un sistema di welfare anacronistico ed iniquo, per le carenze di infrastrutture fisiche ed immateriali, per l’alto tasso di protezione dei mercati interni sotto il controllo di lobby affaristiche potenti legate alla politica ellenica; ma fin qui siamo ad un elenco di criticità di cui altri paesi dell’area europea-mediterranea non sono esenti, fra cui l’Italia. A ciò dovremmo aggiungere un apparato di struttura industriale che produce per la Grecia un deficit strutturale nei flussi commerciali con l’estero e quindi un fabbisogno intrinseco di flussi finanziari in entrata a copertura di tale deficit. Al vincolo esterno poi si aggiunge il vincolo interno dato da un difetto di risparmio pubblico e privato, ed un livello di indebitamento non sostenibile, causato soprattutto dagli elevati tassi di interesse di mercato pre-euro.
Tutti fattori questi che pre-esistevano all’ingresso nell’Eurozona e che la moneta unica avrebbe secondo alcuni indotto a sanare (convergenza strutturale), ma che come ben sappiamo non ha affatto sanato. Le ragioni? Per alcuni, le riforme strutturali non fatte (quelle che l’Europa chiede pedissequamente con le sue Raccomandazioni) ed il non sfruttamento nel periodo di tassi di interesse convergenti e bassi delle opportunità di realizzare investimenti che favorissero un cambiamento strutturale ed un alleggerimento del vincolo esterno, invece di sostenere una domanda pubblica inefficiente ed una domanda privata di crescenti e sperequati consumi; per altri, non era la natura della moneta unica, peraltro depotenziata dalle regole dei Trattati che hanno imposto vincoli irragionevoli alla BCE, che poteva da sola indurre la convergenza, in assenza di politiche fiscali e di crescita coordinate e country-specific, di un bilancio europeo adeguato e con fondi propri che consentisse di finanziarle, di regole di imposizione fiscale armonizzate tra paesi, di un sistema bancario che garantisse solvibilità e controllo a livello europeo.
2. La crisi dopo il 2008 ed i Memorandum 1 e 2
Con la crisi del 2008, le cui origini apparenti si ricordi risalgono nel mercato statunitense dei prestiti sub-prime, tutto ciò è deflagrato. Non solo e non tanto in Grecia i conti pubblici truccati sono stati poi svelati (nel 2010), ma soprattutto e prima ancora la presunta sostenibilità dei vincoli esterni ed interni è franata, in Grecia come in Irlanda prima, Portogallo, Spagna, Italia, poi, attraversando il Regno Unito, l’Islanda per poi giungere ultima tappa a Cipro, con tutte le loro diversità. La strada percorsa è stata quella di un debito principalmente privato che ha messo in crisi il settore stesso che lo aveva generato, quello finanziario, e che per salvare proprio questo è stato poi trasformato in parte in debito pubblico addossandolo quindi ai cittadini con maggiori imposte e minori servizi. L’Europa dell’Unione e quella dell’Eurozona in particolare hanno reagito in modo miope più che altrove (Stati Uniti), rifiutandosi di praticare almeno una politica monetaria di contenimento del razionamento del credito, ed accelerando verso il rigore fiscale che con l’Euro a guida tedesca è assurto a fanatismo ideologico.
Nel caso greco, invece di risanare da subito il buco nei conti pubblici, ristrutturando il debito, si è prima tergiversato, perdendo tempo in stile tutto Merkiavelliano come ben narrato da Ulrich Beck, poi si è proceduto con il Memorandum 1 del 2010 (110 mld di euro di aiuti per 3 anni) e Memorandum 2 del 2012 (130 mld di euro di aiuti per 3 anni) e con il commissariamento del paese ellenico da parte della Troika nel 2011 all’insegna dell’austerità espansiva: riforme strutturali in tempo di crisi, taglio della spesa pubblica, dell’occupazione pubblica, di salari e stipendi dei pubblici dipendenti, del welfare, previdenza ed assistenza sociale, liberalizzazioni e privatizzazioni per favorire la concorrenza e recuperare risorse per ridurre il debito.
Tra politiche aggressive ispirate ai dettami liberisti portatrici di quegli interessi di classe di cui narrano da tempo Krugman e Stiglitz, da un lato, e previsioni errate causate da maldestri interventi fiscali suggeriti da mani sapienti che controllano modelli econometrici inaffidabili, dall’altro, gli esiti sono stati catastrofici per la Grecia e la popolazione greca, dalla classe media in giù. Il reddito è crollato del 25%, la disoccupazione ha superato la soglia del 25%, e ciò che si voleva curare, il rapporto debito pubblico sul Pil, è schizzato dal 125% circa del 2009 al 180% circa di oggi; per il FMI il debito è ora insostenibile e deve essere ristrutturato. Che all’origine della crisi greca non vi fosse però un eccesso di debito pubblico, ma un problema di sostenibilità del debito privato, è stato riconosciuto da tempo peraltro dalla stessa BCE.
Mentre le riforme di struttura che occorrevano non sono state fatte, quelle strutturali imposte dalla Troika sì: esse sono consistite appunto in un taglio netto della domanda pubblica e dei servizi di welfare che hanno affossato da domanda interna, mentre le privatizzazioni, le riduzioni salariali ed i licenziamenti che non è chiaro come avrebbero dovuto accrescere la competitività della Grecia sui mercati esteri, hanno solo tolto dal mercato altra domanda potenziale sulla base della fallace idea che per ristabilire flussi commerciali positivi con l’estero dovesse prima essere tagliata la fonte della domanda interna, ovvero i redditi delle persone. Il miglioramento dei conti con l’estero vi è stato così a causa del crollo delle importazioni, e non tanto di un recupero delle esportazioni. D’altronde se al contempo distruggi struttura produttiva e privatizzi ciò che hai vendendo all’estero ciò che ti consente di produrre per il mercato, è arduo pensare che l’offerta destinata ai mercati esteri possa crescere e compensare la caduta di quella per il mercato interno; anzi così facendo stai svendendo il tuo futuro, riducendo il tuo prodotto e reddito potenziale.
3. Verso il terzo Memorandum
Siamo così giunti al Memorandum 3 di questi giorni, con l’ipotesi di accordo imposto dall’Eurogruppo e dal Consiglio dell’Eurozona nello scorso weekend e la ormai famosa maratona di 17 ore dell’Eurosummit conclusasi lunedì mattina. In cambio di una promessa ipotetica di altro indebitamento per la Grecia tra 82 e 86 mld di euro da negoziare, quindi ulteriore futuro cappio al collo con il quale i greci devono impiccarsi alla scadenza, di un fabbisogno di urgenza da soddisfare con aiuti per 7 mld entro il 20 luglio ed altri 5 per metà di agosto 2015, oltre che della necessità di onorare il rimborso dei debiti in scadenza con il FMI e con la BCE (tramite la Banca Nazionale della Grecia), il paese deve soddisfare immediatamente precondizioni coerenti con il rigore dei conti, tagli della spesa pubblica, degli occupati pubblici e loro retribuzioni, incrementi generali delle aliquote iva, comprese quelle sulle attività turistiche nelle isole, riforma in tempi draconiani delle pensioni per assicurare la sostenibilità del regime previdenziale, tagli ai servizi di welfare, interventi sulla contrattazione per consentire i licenziamenti collettivi immediati (secondo le migliori pratiche del lavoro attuale in Europa), liberalizzazioni nei mercati dei prodotti, dell’energia, delle professioni, piena attuazione delle disposizioni prevista dal Trattato di Stabilità e Crescita rendendo operativo il Consiglio di bilancio e tagli alla spesa quasi automatici in caso di deviazioni dagli obiettivi di avanzo primario nel bilancio pubblico previa approvazione delle istituzioni, cancellazione dei provvedimenti adottati sin qui dal nuovo governo presieduto da Tsipras in contrasto con la ricetta del rigore fiscale fatti salvi quegli interventi per crisi umanitaria, impegno tassativo del governo di Atene a non adottare alcun intervento in materie economiche se non preventivamente discusso ed approvato dalla Troika, finanche divieto ad intraprendere alcuna decisione che consenta al popolo greco di esprimersi con referendum sulle eventuali decisioni imposte dai creditori.
Come dire, la democrazia ha un costo che in tempo di crisi se vuoi salvarti con i soldi degli altri deve essere azzerato, sospendendo la democrazia stessa. Era già avvenuto preventivamente con il governo presieduto da George Papandreou nel novembre 2011, che cancellò il referendum previsto sul programma di aiuti in discussione e si dimise.
Ma tutto ciò non è sufficiente perché il governo greco proclamando il referendum popolare su una ipotesi di accordo del 25 giugno ha sfidato i creditori e quindi perso la loro fiducia, che ora deve essere ripristinata. Le condizioni sono un timing serratissimo (3 e 10 giorni) su specifici provvedimenti da prendere come condizione per avviare la negoziazione sugli aiuti del Fondo salva-Stati (Meccanismo Europeo di Stabilità, MES), e la creazione di un fondo indipendente di garanzia per privatizzazioni pari ad un valore di 50 mld di euro con gestione controllata dalla Troika, sebbene collocato in territorio greco e non lussemburghese come richiedevano i creditori.
Sebbene vengano indicate le procedure Ocse per realizzare la monetizzazione delle attività da privatizzare, temiamo che l’ingordigia tedesca punterà ad adottare come modello di riferimento il fondo di privatizzazioni che ha spogliato la ex DDR del suo patrimonio agricolo, industriale, dei servizi, tra cui quelli commerciali e bancari al tempo della sua “annessione” alla Germania Occidentale, a tutto vantaggio lo si ricordi delle imprese tedesche dell’ovest che con tale fondo hanno: a) acquistato a prezzi stracciati, persino ad 1 Euro, le imprese dell’est; b) acquisito un mercato di sbocco all’est per le loro produzioni reso sgombro dalla concorrenza locale; c) guadagnato i crediti che tali imprese e banche avevano con la popolazione tedesca dell’est, valutati al cambio paritario deciso nel 1989. Un affare d’oro le privatizzazioni, soprattutto per chi compra, un poco meno per chi è costretto a (s)vendere a prezzi da discount. Le risorse così ipoteticamente recuperate serviranno per ricapitalizzare il sistema bancario greco al collasso 25 mld), per ridurre il debito in rapporto al Pil (12,5 mld), per investimenti (12,5 mld).
Al contempo il debito contratto dallo stato ellenico nei confronti dei creditori deve essere interamente ripagato, e non può essere realizzata alcuna svalutazione nominale dello stesso, semmai è possibile che l’Eurogruppo prenda in esame se necessario una dilazione in termini di più lunghi periodi di tolleranza e di pagamento, al fine di assicurare la sostenibilità del fabbisogno lordo degli aiuti concessi, ma certo non quella suggerita dal FMI che ha prescritto un allungamento della scadenza dell’intero stock del debito di 30 anni (fino al 2053), ipotesi perentoriamente esclusa dalla Germania, e comunque a condizione che si realizzi la piena attuazione dei provvedimenti da concordare con l’Eurogruppo in un nuovo programma di aiuti.
Nel frattempo il FMI insiste nella sua posizione che da tecnica diviene politica: qualora la sostenibilità del debito e la necessità di una sua ristrutturazione non vengano riconosciute dalle istituzioni europee con proposte concrete per una soluzione, il Fondo ritenendo la Grecia paese a rischio di solvibilità non potrà per statuto intervenire in un programma eventuale di aiuti. Al FMI l’ipotesi di accordo non convince, forse lo ritiene esso stesso non sostenibile. Il deterioramento economico più recente della Grecia modifica le previsioni del FMI sul debito greco: prevede che il rapporto debito/Pil continuerà a crescere e raggiungerà la soglia del 200% in due anni e che nel 2022 si assesterà sul livello del 170%, invece del 142% previsto nell’ultimo rapporto di alcune settimane fa, o del 110% previsto sulla base del programma di aiuti nel 2012. Ma ulteriori peggioramenti, afferma il FMI, non possono essere esclusi. La stessa prescrizione di avere avanzi primari del 3,5% nel bilancio pubblico per diverse decadi future al fine di assicurare la sostenibilità del debito appare irrealistica, così come troppo ambizioso appare l’obiettivo di portare con l’adozione delle riforme strutturali la crescita della produttività e del tasso di partecipazione della forza lavoro dal livello più basso a quello più alto tra i paesi dell’Eurozona, infine il sistema bancario necessiterà di ulteriori sostegni di liquidità e capitalizzazione oltre a quelli previsti sinora.
Da ciò il FMI deriva un giudizio critico sul programma di aiuti individuato dall’Eurogruppo via il MES, valutandolo grandemente insufficiente per assicurare la sostenibilità del debito greco, ed indica opzioni di ristrutturazione del debito (tra cui trasferimenti annuali sul bilancio della Grecia, oppure un profondo taglio del debito, oltre ad una eccezionale proroga della scadenza di altri 30 anni) ben più ardite di quelle impercettibili annunciate dall’Eurogruppo e fatte proprie dall’Eurosummit nel documento finale. Per il Fondo il programma di aiuto alla Grecia è destinato al fallimento se non si ristruttura il debito. Conclusione apprezzabile, anche se tardiva, perché non sono gli ultimi eventi ad aver reso insostenibile il debito quanto le miopi politiche di austerità attuate.
Comunque, se si defila il FMI, l’Europa avrà un altro problema: chi si farà carico del debito pregresso della Grecia con il FMI? Verrà trasferito al MES? Ma non è ciò che la Germania vuole, anzi la presenza del FMI è condizione sine qua non per avviare il terzo Memorandum; la stessa Troika risulterebbe azzoppata. Se la Grecia non fosse solvibile, allora anche l’intervento della BCE potrebbe essere a rischio, per ragioni analoghe. La Commissione Europea rimarrebbe con il cerino in mano!
A favore della Grecia la Commissione Europea si impegnerebbe con il governo greco a mobilitare nei prossimi 3-5 anni fino a 35 mld di euro nei vari programmi della UE esistenti, per finanziare investimenti ed attività economiche, con la disponibilità ad anticipare non oltre 1 mld di euro per investimenti immediati. Scusate, ma mi suona tanto da piano Juncker dei 330 mld di euro con una leva di 15-20. Le risorse che mobilitano questi ipotetici e massimi 35 mld sono da trovarsi nelle pieghe del bilancio europeo, magari nei fondi già stanziati per la Grecia, oppure nell’abbuono degli interessi che la Grecia deve pagare alle istituzioni per i prestiti concessi ad esempio dalla BCE (le ipotesi annunciate sono un mix di allarmante e ridicolo al contempo). L’unica certezza è che l’Unione Europea ed i singoli paesi membri non intendono metterci un Euro per la crescita. Il governo del Regno Unito che sta nel Consiglio Europeo, ma ovviamente non partecipa ai Summit dell’Eurozona, ha già dichiarato che non rinuncerà neppure ad un euro che gli spetta dal bilancio europeo per devolverlo alla Grecia. Siam certi, altri lo seguiranno presto. La solidarietà è una risorsa molto scarsa, va usata con parsimonia.
4. L’accordo è la soluzione?
Crediamo veramente che i termini di questo ipotetico accordo che preventivamente richiede l’attuazione di determinare misure del tutto coerenti con i precedenti Memorandum possano consentire di rendere sostenibile il debito greco, di fare uscire dalla depressione l’economia greca, di poter essere realizzato nei termini e nelle dimensioni imposte dai creditori? I termini dell’accordo sono senza soluzione di continuità con gli stessi interventi che hanno portato la Grecia sull’orlo del disastro economico, finanziario ed umanitario da quando la Troika ha operato in Grecia, dal 2011. Le ipotesi di avanzi primari di bilancio prescrittivi per il prossimo triennio nell’ordine del 3,5% del Pil ed i tagli di bilancio non esattamente quantificati, ma che potrebbero aggirarsi attorno ai 15 mld di euro nel biennio 2015-2016, è ciò che non solo rende la Grecia non solvibile durante il suo percorso di ipotetica uscita dalla depressione, ma contribuirà a far diminuire ulteriormente il reddito prodotto da qui a 3 anni. I programmi di austerità draconiana da implementare non risulteranno economicamente sostenibili, e neppure il programma di monetizzazione delle attività economiche (porti, aeroporti, reti ed infrastrutture dell’energia, ecc.) via privatizzazioni per un ammontare che è pari a circa ¼ del Pil annuo greco si dimostrerà irrealizzabile, come è stato irrealizzabile analogo programma previsto dai Memorandum precedenti per identici volumi monetari.
L’esito dell’ingresso della Grecia in un nuovo programma di aiuti che coinvolge ancora il FMI, con compiti di controllo e verifica, oltre al MES europeo, con la Troika che avrà poteri di indirizzo, attuazione e supervisione pressoché assoluti, sarà con tutta probabilità il perdurare dello stato economico depressivo in cui si trova il paese, il suo aggravarsi nel tempo, l’approfondirsi della crisi umanitaria che tocca strati della popolazione crescenti, una esposizione debitoria ancora maggiore nei confronti delle istituzioni coinvolte, ed un corrispondente rischio di solvibilità ancora maggiore, una ipoteca ancora maggiore sul suo futuro economico e sociale. Qualora il programma veda l’attuazione, fra sei mesi od un anno la crisi greca sarà molto probabilmente nuovamente all’ordine del giorno dell’agenda delle istituzioni europee (BCE, Eurogruppo, Consiglio Europeo) ed internazionali (FMI), aggravata da maggiori debiti e più sofferenza umanitaria, e la Grexit che sembra essere stata ora evitata, sarà dietro l’angolo come unica opzione.
Se questo è il quadro, il contesto in cui si muove la crisi greca, forse non possiamo neppure essere certi che la Grecia con l’accordo abbia comprato tempo. Non tocchiamo qui la questione di cosa abbia comprato l’Europa. Forse solo lo svelamento di ciò che davvero è l’Europa in stile germanico. Qualcosa di raccapricciante credo, per coloro che avevano il sogno degli Stati Uniti d’Europa (sono tra questi). Perché questo tempo acquistato dalla Grecia, è forse tempo perso. Persi 5 mesi di inutile, defaticante, controproducente negoziazione che mai è partita, se stiamo alla lettura dell’ex Ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis. Mesi che potevano essere spesi per costruire uno scenario differente a quello della negoziazione, o meglio per lavorare ad un Piano B entro la negoziazione dato che iniziare una negoziazione sul Piano A (no Grexit) senza avere una alternativa, un second best che almeno copra la negoziazione, indebolisce la negoziazione stessa.
Se poi si utilizza l’arma di offesa meno gradita dalle istituzioni europee, dalla Germania e dalla Troika, cioè il responso elettorale via chiamata del popolo con referendum, allora occorre attrezzarsi per le eventuali ritorsioni che non possono che seguire (Papandreou del 2011 insegna), in tempi persino peggiori; ritorsioni peraltro prevedibili solo perché di fronte la Troika aveva un governo che unico nel panorama europeo si era nettamente contrapposto all’ideologia fanatica della austerità e del rigore tedesco. Abbassare le armi via le dimissioni di Varoufakis con un 61% di No ancora da conteggiare poteva essere certo inteso come un segnale di distensione offerto ad interlocutori responsabili. Ma gli interlocutori si sono dimostrati tutto fuorché responsabili. E non sono stupidi, lo han detto a Draghi de visu. Avevano un obiettivo: non negoziare nulla fuori dalle condizioni fissate dai creditori, ed al massimo negoziare la Grexit.
Come sempre non vi può essere riprova per un evento non avvenuto, e quindi nessuna riprova di ciò che sarebbe stato il negoziato se fossero state mantenute sul tavolo le tre frecce di Varoufakis (annuncio di introdurre la moneta parallela per uso interno, annuncio di assumere il controllo della Banca di Grecia, annuncio di tagliare il debito greco del 2012 con la BCE). E’ però altrettanto vero che scomparse quelle tre frecce e sostituito il Ministro delle Finanze, nessuna parvenza del Piano B è rimasta, ed il re è rimasto nudo, ovvero Tsipras è andato all’Eurosummit con il solo Piano A, negoziare le condizioni della resa. E gli irresponsabili sono stati implacabili, o la borsa o la vita! Ma gli irresponsabili hanno anche un altro obiettivo, forse l’obiettivo prioritario, non quello economico ma politico: far cadere il governo Tsipras, costringere alla crisi la sua maggioranza, provocare una frattura insanabile entro Syriza, instaurare un ennesimo governo di unità semi-nazionale amico dei tecnocrati, poi, con tutta calma, molta calma, andare a nuove elezioni. Sconfiggerne uno, per educarne almeno quattro (Spagna, Portogallo, Italia, Francia). E questo scenario è ancora praticabile.
Conclusioni
Quindi, cosa hanno da guadagnare i Greci accettando il Memorandum 3? Forse neppure il tempo... perché con le prescrizioni che quel Memorandum fissa e con una crisi politica dietro l’angolo, quel tempo neppure può essere utilizzato per preparare un Piano B, una Grexit che minimizzi i suoi costi, un poco concordata, un poco governata, per non penalizzare troppo il paese e le classi che da una Grexit potranno risultare le più penalizzate, in termini di perdita di reddito, di risparmi e di lavoro. Si troveranno forse tra sei mesi, forse tra un anno, di fronte ad una Grexit forzata dai creditori, che intanto avranno quanto più possono spogliato la Grecia.
Speriamo che tutto ciò sia un ennesimo errore previsivo di un economista non mainstream, un personale nightmare, che si aggiunge a quello che a seguire potrebbe accadere all’Europa, e che qui non ho raccontato. Ma credo che Krugman abbia ragione quando afferma: “There are only terrible alternatives at this point, thanks to the fecklessness of the Greek government and, far more important, the utterly irresponsible campaign of financial intimidation waged by Germany and its allies. And I guess I have to say it: unless Merkel miraculously finds a way to offer a much less destructive plan than anything we’re hearing, Grexit, terrifying as it is, would be better.” (Paul Krugman, Disaster in Europe, “The Conscience of a Liberal”, NYT 12 luglio 2015).
* si ringrazia Annaflavia Bianchi, Emiliano Brancaccio, Carlo Clericetti per i primi commenti al presente testo
(16 luglio 2015)
Ultima modifica di aaaa42 il 04/08/2015, 0:32, modificato 1 volta in totale.
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Re: G R E C I A
Grecia, riapre la borsa dopo 5 settimane: crollo verticale. Giù le banche
Forti ribassi sui titoli bancari con Piraeus Bank e National Bank of Greece che perdono il 30%. Sullo sfondo rimangono ancora i negoziati per il terzo piano di salvataggio. L’ultima seduta del listino era stata quella di venerdì 26 giugno, la vigilia dell’annuncio a sorpresa da parte del primo ministro ellenico Alexis Tsipras del referendum sulle misure di austerità imposte dall’Europa
di F. Q. | 3 agosto 2015
La Borsa di Atene ha aperto in forte ribasso dopo essere stata chiusa per cinque settimane: a pochi minuti dall’avvio degli scambi l’indice Ase segna un calo record del 22,87% a 615,6 punti, poi diminuito al 17%. Forti ribassi sui titoli bancari con Piraeus Bank e National Bank of Greece che perdono il 30%. Deboli le borse europee: gli indici oscillano attorno alla parità, con ribassi frazionali.
Francoforte, Madrid, Parigi e Londra perdono terreno mentre Milano apre in positivo. Sullo sfondo rimangono ancora i negoziati per il terzo piano di salvataggio della Grecia. L’ultima seduta del listino greco è stata quella di venerdì 26 giugno, la vigilia dell’annuncio a sorpresa da parte del primo ministro ellenico Alexis Tsipras del referendum sulle misure di austerità imposte dall’Europa.
Venerdì scorso il ministro delle Finanze Euclid Tsakalotos ha firmato il relativo decreto ministeriale. Si è trattato del più lungo periodo di chiusura del mercato azionario greco dagli Anni Settanta. Da oggi gli investitori greci possono acquistare azioni, obbligazioni, derivati e warrant, ma solo se useranno denaro nuovo come fondi trasferiti all’estero, depositi in contanti, soldi guadagnati dalla vendita di azioni future o da saldi dei conti esistenti su investimenti detenuti da società di intermediazione elleniche. Gli investitori stranieri, invece, saranno esclusi da qualsiasi restrizione a condizione che fossero già attivi nel mercato prima dell’imposizione del controlli sui capitali alla fine di giugno.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08 ... 1/1929248/
Forti ribassi sui titoli bancari con Piraeus Bank e National Bank of Greece che perdono il 30%. Sullo sfondo rimangono ancora i negoziati per il terzo piano di salvataggio. L’ultima seduta del listino era stata quella di venerdì 26 giugno, la vigilia dell’annuncio a sorpresa da parte del primo ministro ellenico Alexis Tsipras del referendum sulle misure di austerità imposte dall’Europa
di F. Q. | 3 agosto 2015
La Borsa di Atene ha aperto in forte ribasso dopo essere stata chiusa per cinque settimane: a pochi minuti dall’avvio degli scambi l’indice Ase segna un calo record del 22,87% a 615,6 punti, poi diminuito al 17%. Forti ribassi sui titoli bancari con Piraeus Bank e National Bank of Greece che perdono il 30%. Deboli le borse europee: gli indici oscillano attorno alla parità, con ribassi frazionali.
Francoforte, Madrid, Parigi e Londra perdono terreno mentre Milano apre in positivo. Sullo sfondo rimangono ancora i negoziati per il terzo piano di salvataggio della Grecia. L’ultima seduta del listino greco è stata quella di venerdì 26 giugno, la vigilia dell’annuncio a sorpresa da parte del primo ministro ellenico Alexis Tsipras del referendum sulle misure di austerità imposte dall’Europa.
Venerdì scorso il ministro delle Finanze Euclid Tsakalotos ha firmato il relativo decreto ministeriale. Si è trattato del più lungo periodo di chiusura del mercato azionario greco dagli Anni Settanta. Da oggi gli investitori greci possono acquistare azioni, obbligazioni, derivati e warrant, ma solo se useranno denaro nuovo come fondi trasferiti all’estero, depositi in contanti, soldi guadagnati dalla vendita di azioni future o da saldi dei conti esistenti su investimenti detenuti da società di intermediazione elleniche. Gli investitori stranieri, invece, saranno esclusi da qualsiasi restrizione a condizione che fossero già attivi nel mercato prima dell’imposizione del controlli sui capitali alla fine di giugno.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08 ... 1/1929248/
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Re: G R E C I A
La vox populi
HarleyKing • 40 minuti fa
Il piano Varoufakīs, per la borsa che prevedeva? Di dargli fuoco?
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16dB HarleyKing • 28 minuti fa
Dichiarare guerra al resto del mondo con la sua cumpa di super-amici immaginari geneticamente modificati, e con l'aiuto degli Avangers!
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bock2 • 44 minuti fa
Si beh, ma senza esagerare.
Dopo un mese di chiusura, che i listini perdessero il 23% in avvio era abbastanza scontato.
Ad ogni modo in questo momento perdono il 15%, direi che gli sta andando alquanto bene...
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grimm • un'ora fa
No sono pratico ma è un segnale di sfiducia da parte del mercato, un pessimo segnale.
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Simone Il Nox • un'ora fa
Eh infatti rimaneva scoperta la questione "finanza", dove i numeri vengono manovrati facilmente dalle "grandi mani". Alla fine la grecia ha pagato la propria intransigenza (referendum) a caro prezzo, anche ammesso che riesca a portare a casa un taglio del debito. Perchè non si riesce proprio a dare alla grecia ciò che desidera, cioè l'uscita dall'euro? Quali interessi ha ancora la troika per mantenerla nell'euro, a spese comunitarie? Sarebbe meglio per tutti se la grecia finalmente riuscisse ad uscire.
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HarleyKing • 40 minuti fa
Il piano Varoufakīs, per la borsa che prevedeva? Di dargli fuoco?
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16dB HarleyKing • 28 minuti fa
Dichiarare guerra al resto del mondo con la sua cumpa di super-amici immaginari geneticamente modificati, e con l'aiuto degli Avangers!
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bock2 • 44 minuti fa
Si beh, ma senza esagerare.
Dopo un mese di chiusura, che i listini perdessero il 23% in avvio era abbastanza scontato.
Ad ogni modo in questo momento perdono il 15%, direi che gli sta andando alquanto bene...
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grimm • un'ora fa
No sono pratico ma è un segnale di sfiducia da parte del mercato, un pessimo segnale.
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Simone Il Nox • un'ora fa
Eh infatti rimaneva scoperta la questione "finanza", dove i numeri vengono manovrati facilmente dalle "grandi mani". Alla fine la grecia ha pagato la propria intransigenza (referendum) a caro prezzo, anche ammesso che riesca a portare a casa un taglio del debito. Perchè non si riesce proprio a dare alla grecia ciò che desidera, cioè l'uscita dall'euro? Quali interessi ha ancora la troika per mantenerla nell'euro, a spese comunitarie? Sarebbe meglio per tutti se la grecia finalmente riuscisse ad uscire.
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Re: G R E C I A
moltodeluso • un'ora fa
MI spiace per l'amico Popolo greco, ma Tsipras se lo merita! Dopo aver avuto dal suo Popolo un plebiscito con l'indovinato Referendum, ha tradito quel suo stesso Popolo nel modo più ignobile; accettando dai criminali della troika condizioni ancora peggiori di quelle che il suo Popolo aveva rifiutato.
Mi spiace per il Popolo Greco, ma tsipras se lo merita tutto il tracollo che si sta delineando.
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Fabio Mazzoli • un'ora fa
Quando qualcuno esprime opinioni economiche, c'è sempre una schiera di soloni che gli si rivolge con termini del genere: che cavolo stai dicendo? Sei un genio!! Pochi conoscono l'economia! Tutti professori, ecc ecc. Tutti allenatori e economisti!
Sono le stesse frasi che sento ripetere sui giornali e nei talk show da giornalisti, economisti e politici.
E allora chiedo a costoro (e a quelli che gli fanno il verso) come mai siamo alla canna del gas? Come mai ciascun Italiano ha pro-capite circa un 40-mila euro di debito sulla testa (neonati compresi)? Come mai nonostante le vostre ricette e il progresso che rende più facile e produttivo il lavoro si sta sempre peggio.
Come mai io che iniziai a lavorare il 1° settembre del 1969 avevo molti più diritti di un ragazzo che inizia adesso?
Come mai in nazioni come la Grecia le persone non si possono neppure permettere le medicine salvavita?
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bock2 Fabio Mazzoli • 44 minuti fa
Eh, quante domande, come puoi pretendere una risposta esauriente?
Circa i debiti, una idea me la sono fatta: negli anni '80 qualcuno ha cominciato ad aprire i rubinetti della spesa pubblica, essenzialmente per guadagnarci (o soldi o consenso elettorale). Siamo arrivati a un passo dal crack, e hanno cercato di tamponare in qualche modo, ma senza riuscire/volere arrestare il flusso, lo hanno solo rallentato. Poi ci si è messa la crisi a peggiorare una situazione già grave.
Con questo non pretendo di averti risposto, è solo una opinione mia sul debito italiano.
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MI spiace per l'amico Popolo greco, ma Tsipras se lo merita! Dopo aver avuto dal suo Popolo un plebiscito con l'indovinato Referendum, ha tradito quel suo stesso Popolo nel modo più ignobile; accettando dai criminali della troika condizioni ancora peggiori di quelle che il suo Popolo aveva rifiutato.
Mi spiace per il Popolo Greco, ma tsipras se lo merita tutto il tracollo che si sta delineando.
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Fabio Mazzoli • un'ora fa
Quando qualcuno esprime opinioni economiche, c'è sempre una schiera di soloni che gli si rivolge con termini del genere: che cavolo stai dicendo? Sei un genio!! Pochi conoscono l'economia! Tutti professori, ecc ecc. Tutti allenatori e economisti!
Sono le stesse frasi che sento ripetere sui giornali e nei talk show da giornalisti, economisti e politici.
E allora chiedo a costoro (e a quelli che gli fanno il verso) come mai siamo alla canna del gas? Come mai ciascun Italiano ha pro-capite circa un 40-mila euro di debito sulla testa (neonati compresi)? Come mai nonostante le vostre ricette e il progresso che rende più facile e produttivo il lavoro si sta sempre peggio.
Come mai io che iniziai a lavorare il 1° settembre del 1969 avevo molti più diritti di un ragazzo che inizia adesso?
Come mai in nazioni come la Grecia le persone non si possono neppure permettere le medicine salvavita?
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bock2 Fabio Mazzoli • 44 minuti fa
Eh, quante domande, come puoi pretendere una risposta esauriente?
Circa i debiti, una idea me la sono fatta: negli anni '80 qualcuno ha cominciato ad aprire i rubinetti della spesa pubblica, essenzialmente per guadagnarci (o soldi o consenso elettorale). Siamo arrivati a un passo dal crack, e hanno cercato di tamponare in qualche modo, ma senza riuscire/volere arrestare il flusso, lo hanno solo rallentato. Poi ci si è messa la crisi a peggiorare una situazione già grave.
Con questo non pretendo di averti risposto, è solo una opinione mia sul debito italiano.
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- Iscritto il: 18/03/2012, 10:43
Re: G R E C I A
Ritengo che lo sbaglio n. 1 sia stato di non proporre subito delle misure alternative per ripianare, eventualmente dilazionandolo, un debito che comunque andava onorato. Ha parlato tardi del livello di evasione e corruzione che c'è in quello stato, sulla chiesa ortodossa non ha detto nulla come sulle pensioni dove andava chi aveva 55 anni. Non so se ha fatto bene a fare il referendum che per molti equivaleva, se vincevano i no, all'uscita dalla moneta unica. Ora probabilmente non poteva fare altro ma non capisco questi critici del Fatto in che modo poteva portare avanti la linea dell'opposizione intransigente, come se avesse tutti questi mezzi.
Ultima modifica di cielo 70 il 04/08/2015, 10:17, modificato 1 volta in totale.
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