Re: MOVIMENTO 5 STELLE
Inviato: 22/05/2018, 16:25
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Magaldi: imbecilli a reti unificate minacciano Lega e 5 Stelle
Scritto il 19/5/18 • nella Categoria: idee Condividi Tweet
Imbecilli: lasciano credere che il debito dello Stato sia come quello della tabaccheria sotto casa, esposta con la banca. Imbecilli pericolosi: perché scrivono sui giornali e parlano ogni sera in televisione. Somari in buona fede, disastrosamente ignoranti, o vecchi marpioni in malafede? «Non so cosa sia peggio», dice Gioele Magaldi: una persona intelligente puoi sempre persuaderla, mentre di fronte a un cretino non ci sono speranze. Gli imbecilli di turno? Quelli che cercano di spaventare gli italiani, bocciando le “mirabolanti promesse” dell’ipotetico governo gialloverde di Salvini e Di Maio. Lega e 5 Stelle, in realtà, stanno terrorizzando solo l’establishment: i professori della catastrofe, i notai dell’infame declino del paese. Le loro ricette hanno devastato l’Italia, eppure insistono: bisogna tagliare redditi e consumi, senza capire che – per quella strada, se il Pil non cresce – poi a esplodere è proprio il debito, inevitabilmente. «Arriva a comprenderlo anche un mediocre studente di economia, ma non gli imbecilli che ci parlano ogni giorno sui giornali e in televisione», dice Magaldi, in una diretta web-streaming su YouTube con Marco Moiso, in cui rilancia un nome fortissimo per Palazzo Chigi: quello dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt.
Figlio del ministro democristiano Giovanni Galloni, da poco scomparso, Nino Galloni – docente universitario e allievo (come Mario Draghi e Bruno Amoroso) del professor Federico Caffè – ha lavorato ai vertici della burocrazia statale e fu consulente di Nino GalloniAndreotti quando il cancelliere tedesco Helmut Kohl ne pretese l’allontanamento, all’epoca delle trattative in vista di Maastricht: Galloni lottava per scongiurare il peggio, ovvero il piano franco-tedesco che prevedeva lo “scalpo” dell’Italia richiesto dalla Germania in cambio della rinuncia al marco per aderire all’euro, su pressione francese. «Ci hanno deliberatamente deindustrializzato – ha spiegato Galloni in tante interviste, anche a “ByoBlu” – per colpire di proposito la manifattura italiana, che faceva paura all’export tedesco». La camicia di forza dell’euro? Era parte del piano, ordito contro l’Italia. Vie d’uscita? Una: abbandonare il paradigma fallimentare del rigore neoliberista. E’ la strada su cui sembrano timidamente incamminarsi Lega e 5 Stelle, con il taglio delle tasse e il reddito di cittadinanza. A Salvini e Di Maio, Gioele Magaldi propone il nome di Galloni: «Ha insegnato alla scuola politica della Lega, e ha dato preziosi consigli a tanti pentastellati. E’ sicuramente gradito ai militanti dei due movimenti politici che stanno cercando di mettere insieme il nuovo governo, pur tra tanti nemici: avranno bisogno di sostegno, in Italia e fuori».
L’intervento di Magaldi, in tandem con Moiso (coordinatore generale del Movimento Roosevelt), è anche un’occasione per ripristinare verità fondamentali sulla situazione, italiana ed europea: la cosiddetta crisi, regolarmente mistificata dal mainstream. «In periodi di difficoltà, l’unica cosa di cui avere paura è proprio la paura», dice Moiso, citando il presidente Roosevelt, l’uomo che – non dando ascolto ai teorici del rigore – fece degli Usa una potenza mondiale, proprio ricorrendo al deficit per realizzare investimenti strategici. Keynes: la spesa pubblica (intelligente) come arma di benessere di massa. Poi è arrivato il neoliberismo, ed è cominciata la “crisi infinita”, fondata sui tagli. Se ne sono accorti tutti, tranne loro: gli “imbecilli” che pontificano sui giornali e in televisione, mettendo in guardia gli italiani dal “contratto” firmato da Salvini e Di Maio. «Si possono avere visioni economiche diverse e abbracciare differenti paradigmi – premette Magaldi – ma trovo particolarmente triste che un giornalista come Vittorio Feltri, nel suo voler essere superficialmente tuttologo, dimostri di non sapere come funziona l’economia e di non capirci proprio niente, visto quello che scrive nei suoi ultimi editoriali». Il caposcuola Feltri, e Vittorio Feltritanti suoi colleghi, ormai incarnano più ruoli: «Filosofo, economista, opinionista, storico, ospite di programmi in cui giornalisti intervistano altri giornalisti: poco sanno, ma molto dicono di cose che non sanno».
La narrazione italiana ed europea degli ultimi anni, ricorda Magaldi, ha insistito molto sul debito pubblico italiano, «che sarebbe un macigno». Prima vengono i trattati europei, che limitano la spesa pubblica al 3% del Pil, per arrivare infine alla «famigerata vicenda dell’austerity», ovvero «una ricetta che prescrive ulteriore rigore nei conti, già sottoposti a restrizioni importanti in base ai trattati Ue». Prima ancora di dire che esiste un altro paradigma economico, alternativo a quello dell’austerity (il rigore nei conti pubblici come prima preoccupazione), vale la pena ricordare che sono completamente fuori strada i cantori dell’austerità, cioè «Feltri e a tutti i giornalisti che non sanno, e che sono protervi nel non voler capire e sapere – e sono tanti». La principale critica al governo “gialloverde”? Folli o cialtroni, i leghisti e i grillini, perché parlano di misure insostenibili, ma che possono anche piacere al popolo bue. «E il popolo, per gli esternatori televisivi, oggi è “bue” perché ha votato Lega e 5 Stelle: masticano amaro, i nostri commentatori, che sarebbero stati sollevati nel vedere una bella riedizione dell’inciucio tra Pd e Forza Italia». Centrodestra e centrosinistra? Alternativi solo per finta: in realtà «hanno malgovernato l’Italia negli ultimi 25 anni, nella Seconda Repubblica: e nella loro finta alternanza non si sono molto differenziati nel fare scempio del paese, come poi hanno fatto in maniera plateale e spudorata a partire dal governo Monti».
Monti e Letta, Renzi e Gentiloni: «Non c’è stata nessuna soluzione di continuità, nella rotta di governo delle grandi questioni sociali ed economiche», rileva Magaldi, che aggiunge: «Dentro il paradigma evidentemente caro anche a un personaggio come Feltri, la preoccupazione principale è il contenimento o addirittura l’abbattimento del debito pubblico, e quindi anche l’eliminazione del rapporto tra deficit e Pil». Già negli anni ‘60, ricorda Magaldi, Bob Kennedy spiegava che il Pil non è un indicatore adeguato del livello di prosperità di una nazione, e ora lo confermano economisti prestigiosi. Oggi il deficit italiano non è solo contenuto al 3% del Pil in forza dei trattati europei. Peggio: «L’Italia è l’unico paese che ha approvato anche il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione: per cui, tra poco dovremmo arrivare a un “rapporto zero” tra deficit e Pil, e già adesso (anziché sul 3%) siamo attestati sull’1,5%», nonostante le chiacchiere della meteora Renzi. «Con titanico coraggio e Gentiloni e Renzislancio eroico – ironizza Magaldi – Renzi ha avuto modo di scrivere nel suo libro “Avanti” (che credo di aver letto solo io, in Italia) che bisognava tornare al 3% di Maastricht, abbandonando le forche caudine degli ultimissimi anni. Poi uno capisce i suoi recenti successi elettorali».
Ma a parte i politici di ieri, in prima linea restano purtroppo i narratori di oggi: «Chiedo a Feltri, a Paolo Mieli, a Massimo Giannini: ma scusate, non vi siete accorti che, dal 2011, le misure tuttora raccomandate dalla Commissione sedicente Europea non hanno fatto altro che aggravare il rapporto debito-Pil?». Forse, aggiunge Magaldi, «uno studente di economia dei primi anni potrebbe spiegare a lorsignori che, siccome sono due i termini del rapporto – Pil e deficit – se tu ti preoccupi solo del debito ma non di aumentare il Pil, puoi anche risparmiare e tagliare, ma dato che il Pil diminuisce diventa un pozzo senza fondo che non riesci mai a riempire: il Pil continua a cadere, ed è perfettamente inutile continuare a risparmiare, a tagliare, a non fare investimenti». E’ “fattuale”, come direbbe il Feltri della parodia di Crozza: «Per questa via, palesemente, l’Italia non ha risanato un bel niente», insiste il presidente del Movimento Roosevelt. «Molti dei Soloni televisivi – aggiunge – non hanno mai letto un libro di economia. Gli imbecilli sono più numerosi dei furbastri in malafede. E non so se è una buona notizia. Forse è cattiva, perché una persona intelligente la puoi sempre convincere dei suoi errori, mentre è difficile che un imbecille si ravveda».
I soldi ci sono, chiarisce Magaldi, se uno Stato decide di investire a deficit, «per esempio garantendo un reddito di cittadinanza o di integrazione, complementare e preliminare alla costituzionalizzazione del diritto al lavoro». Ancora: «Se si decide di riformare la legge Fornero o di tagliare le aliquote fiscali (nel rispetto della Costituzione, quindi non con una Flat Tax secca ma con imposte comunque progressive), è vero che si investe a deficit. Ma le risorse ci sono, cari imbecilli: lo Stato può tranquillamente spenderli, questi soldi, ascrivendoli alla voce deficit. Ma siccome questi denari immessi nell’economia, nelle tasche dei cittadini e delle imprese per creare lavoro, vanno invece alla fine dell’anno alla voce Pil, vuoi vedere che alla fine, nonostante si sia partiti dal deficit, il rapporto deficit-Pil migliorerà, alleggerendo il debito?». Questo, conclude Magaldi, «anche un mediocre studente di economia sarebbe in grado di capirlo, e di spiegarlo a questi imbecilli che dirigono giornali e Paolo Mieliscrivono pomposi editoriali». E la preoccupazione del rigore dei conti, «che è inefficace anche all’interno di questo paradigma neoliberista europeo», secondo Magaldi è in ogni caso fallimentare: «Perché un sistema economico complesso ha bisogno di equilibri, non di rigidità».
Un debito pubblico, aggiunge Magaldi, è sostenibile o insostenibile «non in astratto, come se fosse un debito privato», visto che è una delle variabili – che ha il suo peso – dentro un discorso «che riguarda anche l’inflazione, la deflazione, la capacità di consumo, la produzione di ricchezza, la mobilità e la pace sociale». Il Movimento Roosevelt? Propone un paradigma opposto, «che riveda le artificiose restrizioni dei trattati europei vigenti nell’Eurozona». Un paradigma progressista, «che offra all’Italia e all’Europa una sorta di nuovo, grande Piano Marshall di investimenti». Alla fine, assicura Magaldi, i due paradigmi si incontrano: «Facendo investimenti sapienti, senza sprecare denaro, ne guadagna l’intero sistema: quindi cala il rapporto deficit-Pil». Ma un sistema economico pubblico, ovviamente, «può permettersi il debito in termini diversi da come funziona per un privato». Per questo sono «narrazioni fasulle e mistificatorie», quelle secondo cui il debito pubblico è come il debito Massimo Gianniniprivato, «e i governanti sono come dei padri di famiglia che devono preoccuparsi innanzitutto di risanare il debito o comunque di poterlo sostenere».
Per Magaldi, quindi, Salvini ha tutto il diritto di denunciare «il ricatto perenne dello spread che sale o scende, delle agenzie di rating, di non si sa bene quali “mercati”», per cui, di fronte a qualunque proposta di governo dell’economia che si discosti «da questa bussola perniciosa e perdente che ha fatto aumentare il debito», subito si ricorre a «forze sovranazionali e sovrumane che ci guardano e ci giudicano, pronte a punirci». Sono ricatti pericolosi, insiste Magaldi, maneggiati da “stregoni” che scherzano col fuoco, anche se «ormai si tratta di un fuoco fatuo», perché la storia dello spread «ha potuto incantare e terrorizzare gli italiani qualche anno fa», mentre adesso la popolazione ha cominciato ad aprire gli occhi, se è vero che – nella cabina elettorale – ormai «bastona gli adoratori del mercato come nuovo Moloch», bocciando Forza Italia, il Pd e compagnia ragliante. Oggi il popolo (nient’affatto “bue”) presta più attenzione a chi gli parla con un linguaggio differente. Lega e 5 Stelle, per esempio. Il Movimento Roosevelt? «Noi siamo capitalisti, per il libero mercato», chiarisce Magaldi. «L’economia capitalista è quella che può produrre maggiore ricchezza, e la finanza resta uno strumento indispensabile, al servizio dell’industria e dei commerci. Semplicemente – precisa – il mercato non può essere l’unico potere riconosciuto dai popoli sovrani: esiste la libertà del mercato, compresa quella degli speculatori, ed esistono istituzioni pubbliche che si curano del benessere della collettività».
Al primo posto, negli interessi dei governanti, «non può quindi esserci il rispetto di norme custodite da tecnocrati non-eletti di una Disunione Europea fallimentare, che tutela gli interessi di speculatori sovranazionali», sottolinea Magaldi. «Al primo posto c’è il lavoro, l’equilibrio tra chi vuole legittimamente arricchirsi e chi, altrettanto legittimamente, si accontenta di una vita dignitosa, sostenuta da un impiego e magari da un reddito di cittadinanza integrativo». E visto che si allarga sempre più la forbice tra i pochissimi ricchi e il resto della popolazione, «persino qualche miliardario con un po’ di sale in zucca si preoccupa di allontanare il momento in cui i tanti si ribelleranno a questo stato di cose». Niente rivoluzioni violente, per carità: «Non vogliamo tornare alle distopie palingenetiche del ‘900, che – tramite l’odio verso la libera economia capitalistica – promettevano il paradiso dei lavoratori e invece hanno costruito nuovi dispotismi e nuovi sfruttamenti delle classi subalterne», dice Magaldi, archivando a scanso di Gioele Magaldiequivoci l’utopia comunista. «Noi vorremmo una società equilibrata e plurale, fondata sulla mobilità sociale, e dove la prosperità sia proporzionalmente diffusa».
Tutto questo, conclude Magaldi, giusto per dire «a tutti questi decadenti, fatiscenti e a volte anche ributtanti custodi senza fantasia dello status quo», che hanno ragione Salvini e Di Maio: «Si comincia proprio così, col mettere in discussione questa idea di economia che non risponde né a qualche principio scientifico, né ad una (anche superficiale) consultazione di manuali economici». In altre parole: «Mettendoci sapienza e lungimiranza, quello che è il deficit di oggi può diventare il redditizio investimento di domani». E comunque, anche rimanendo nel paradigma esistente, «bisogna puntare sulla crescita del Pil e non sul risparmio, che in realtà non fa risparmiare: i tagli hanno solo fatto perdere denaro agli italiani». Chi oggi definisce “mirabolanti” le promesse della Lega e del Movimento 5 Stelle, magari «fatte sulle spalle delle nuove generazioni a danno degli italiani», sta semplicemente mentendo. «E talvolta mente non sapendo di mentire – chiosa Magaldi – perché spesso si tratta di imbecilli in buona fede». Sono gli stessi che ogni tanto sparano a zero sulla massoneria in generale (come tornano a fare oggi i 5 Stelle) senza però riuscire mai – nel loro mix di ingenuità e ipocrisia – a fermare «i massoni più potenti, e spesso subdoli, che non dichiarano la propria appartenenza, che peraltro è di base in luoghi lontani dall’Italia». E ovviamente non c’è caso che ne parlino, gli autorevoli “imbecilli” sempre in cattedra.
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Magaldi: imbecilli a reti unificate minacciano Lega e 5 Stelle
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Imbecilli: lasciano credere che il debito dello Stato sia come quello della tabaccheria sotto casa, esposta con la banca. Imbecilli pericolosi: perché scrivono sui giornali e parlano ogni sera in televisione. Somari in buona fede, disastrosamente ignoranti, o vecchi marpioni in malafede? «Non so cosa sia peggio», dice Gioele Magaldi: una persona intelligente puoi sempre persuaderla, mentre di fronte a un cretino non ci sono speranze. Gli imbecilli di turno? Quelli che cercano di spaventare gli italiani, bocciando le “mirabolanti promesse” dell’ipotetico governo gialloverde di Salvini e Di Maio. Lega e 5 Stelle, in realtà, stanno terrorizzando solo l’establishment: i professori della catastrofe, i notai dell’infame declino del paese. Le loro ricette hanno devastato l’Italia, eppure insistono: bisogna tagliare redditi e consumi, senza capire che – per quella strada, se il Pil non cresce – poi a esplodere è proprio il debito, inevitabilmente. «Arriva a comprenderlo anche un mediocre studente di economia, ma non gli imbecilli che ci parlano ogni giorno sui giornali e in televisione», dice Magaldi, in una diretta web-streaming su YouTube con Marco Moiso, in cui rilancia un nome fortissimo per Palazzo Chigi: quello dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt.
Figlio del ministro democristiano Giovanni Galloni, da poco scomparso, Nino Galloni – docente universitario e allievo (come Mario Draghi e Bruno Amoroso) del professor Federico Caffè – ha lavorato ai vertici della burocrazia statale e fu consulente di Nino GalloniAndreotti quando il cancelliere tedesco Helmut Kohl ne pretese l’allontanamento, all’epoca delle trattative in vista di Maastricht: Galloni lottava per scongiurare il peggio, ovvero il piano franco-tedesco che prevedeva lo “scalpo” dell’Italia richiesto dalla Germania in cambio della rinuncia al marco per aderire all’euro, su pressione francese. «Ci hanno deliberatamente deindustrializzato – ha spiegato Galloni in tante interviste, anche a “ByoBlu” – per colpire di proposito la manifattura italiana, che faceva paura all’export tedesco». La camicia di forza dell’euro? Era parte del piano, ordito contro l’Italia. Vie d’uscita? Una: abbandonare il paradigma fallimentare del rigore neoliberista. E’ la strada su cui sembrano timidamente incamminarsi Lega e 5 Stelle, con il taglio delle tasse e il reddito di cittadinanza. A Salvini e Di Maio, Gioele Magaldi propone il nome di Galloni: «Ha insegnato alla scuola politica della Lega, e ha dato preziosi consigli a tanti pentastellati. E’ sicuramente gradito ai militanti dei due movimenti politici che stanno cercando di mettere insieme il nuovo governo, pur tra tanti nemici: avranno bisogno di sostegno, in Italia e fuori».
L’intervento di Magaldi, in tandem con Moiso (coordinatore generale del Movimento Roosevelt), è anche un’occasione per ripristinare verità fondamentali sulla situazione, italiana ed europea: la cosiddetta crisi, regolarmente mistificata dal mainstream. «In periodi di difficoltà, l’unica cosa di cui avere paura è proprio la paura», dice Moiso, citando il presidente Roosevelt, l’uomo che – non dando ascolto ai teorici del rigore – fece degli Usa una potenza mondiale, proprio ricorrendo al deficit per realizzare investimenti strategici. Keynes: la spesa pubblica (intelligente) come arma di benessere di massa. Poi è arrivato il neoliberismo, ed è cominciata la “crisi infinita”, fondata sui tagli. Se ne sono accorti tutti, tranne loro: gli “imbecilli” che pontificano sui giornali e in televisione, mettendo in guardia gli italiani dal “contratto” firmato da Salvini e Di Maio. «Si possono avere visioni economiche diverse e abbracciare differenti paradigmi – premette Magaldi – ma trovo particolarmente triste che un giornalista come Vittorio Feltri, nel suo voler essere superficialmente tuttologo, dimostri di non sapere come funziona l’economia e di non capirci proprio niente, visto quello che scrive nei suoi ultimi editoriali». Il caposcuola Feltri, e Vittorio Feltritanti suoi colleghi, ormai incarnano più ruoli: «Filosofo, economista, opinionista, storico, ospite di programmi in cui giornalisti intervistano altri giornalisti: poco sanno, ma molto dicono di cose che non sanno».
La narrazione italiana ed europea degli ultimi anni, ricorda Magaldi, ha insistito molto sul debito pubblico italiano, «che sarebbe un macigno». Prima vengono i trattati europei, che limitano la spesa pubblica al 3% del Pil, per arrivare infine alla «famigerata vicenda dell’austerity», ovvero «una ricetta che prescrive ulteriore rigore nei conti, già sottoposti a restrizioni importanti in base ai trattati Ue». Prima ancora di dire che esiste un altro paradigma economico, alternativo a quello dell’austerity (il rigore nei conti pubblici come prima preoccupazione), vale la pena ricordare che sono completamente fuori strada i cantori dell’austerità, cioè «Feltri e a tutti i giornalisti che non sanno, e che sono protervi nel non voler capire e sapere – e sono tanti». La principale critica al governo “gialloverde”? Folli o cialtroni, i leghisti e i grillini, perché parlano di misure insostenibili, ma che possono anche piacere al popolo bue. «E il popolo, per gli esternatori televisivi, oggi è “bue” perché ha votato Lega e 5 Stelle: masticano amaro, i nostri commentatori, che sarebbero stati sollevati nel vedere una bella riedizione dell’inciucio tra Pd e Forza Italia». Centrodestra e centrosinistra? Alternativi solo per finta: in realtà «hanno malgovernato l’Italia negli ultimi 25 anni, nella Seconda Repubblica: e nella loro finta alternanza non si sono molto differenziati nel fare scempio del paese, come poi hanno fatto in maniera plateale e spudorata a partire dal governo Monti».
Monti e Letta, Renzi e Gentiloni: «Non c’è stata nessuna soluzione di continuità, nella rotta di governo delle grandi questioni sociali ed economiche», rileva Magaldi, che aggiunge: «Dentro il paradigma evidentemente caro anche a un personaggio come Feltri, la preoccupazione principale è il contenimento o addirittura l’abbattimento del debito pubblico, e quindi anche l’eliminazione del rapporto tra deficit e Pil». Già negli anni ‘60, ricorda Magaldi, Bob Kennedy spiegava che il Pil non è un indicatore adeguato del livello di prosperità di una nazione, e ora lo confermano economisti prestigiosi. Oggi il deficit italiano non è solo contenuto al 3% del Pil in forza dei trattati europei. Peggio: «L’Italia è l’unico paese che ha approvato anche il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione: per cui, tra poco dovremmo arrivare a un “rapporto zero” tra deficit e Pil, e già adesso (anziché sul 3%) siamo attestati sull’1,5%», nonostante le chiacchiere della meteora Renzi. «Con titanico coraggio e Gentiloni e Renzislancio eroico – ironizza Magaldi – Renzi ha avuto modo di scrivere nel suo libro “Avanti” (che credo di aver letto solo io, in Italia) che bisognava tornare al 3% di Maastricht, abbandonando le forche caudine degli ultimissimi anni. Poi uno capisce i suoi recenti successi elettorali».
Ma a parte i politici di ieri, in prima linea restano purtroppo i narratori di oggi: «Chiedo a Feltri, a Paolo Mieli, a Massimo Giannini: ma scusate, non vi siete accorti che, dal 2011, le misure tuttora raccomandate dalla Commissione sedicente Europea non hanno fatto altro che aggravare il rapporto debito-Pil?». Forse, aggiunge Magaldi, «uno studente di economia dei primi anni potrebbe spiegare a lorsignori che, siccome sono due i termini del rapporto – Pil e deficit – se tu ti preoccupi solo del debito ma non di aumentare il Pil, puoi anche risparmiare e tagliare, ma dato che il Pil diminuisce diventa un pozzo senza fondo che non riesci mai a riempire: il Pil continua a cadere, ed è perfettamente inutile continuare a risparmiare, a tagliare, a non fare investimenti». E’ “fattuale”, come direbbe il Feltri della parodia di Crozza: «Per questa via, palesemente, l’Italia non ha risanato un bel niente», insiste il presidente del Movimento Roosevelt. «Molti dei Soloni televisivi – aggiunge – non hanno mai letto un libro di economia. Gli imbecilli sono più numerosi dei furbastri in malafede. E non so se è una buona notizia. Forse è cattiva, perché una persona intelligente la puoi sempre convincere dei suoi errori, mentre è difficile che un imbecille si ravveda».
I soldi ci sono, chiarisce Magaldi, se uno Stato decide di investire a deficit, «per esempio garantendo un reddito di cittadinanza o di integrazione, complementare e preliminare alla costituzionalizzazione del diritto al lavoro». Ancora: «Se si decide di riformare la legge Fornero o di tagliare le aliquote fiscali (nel rispetto della Costituzione, quindi non con una Flat Tax secca ma con imposte comunque progressive), è vero che si investe a deficit. Ma le risorse ci sono, cari imbecilli: lo Stato può tranquillamente spenderli, questi soldi, ascrivendoli alla voce deficit. Ma siccome questi denari immessi nell’economia, nelle tasche dei cittadini e delle imprese per creare lavoro, vanno invece alla fine dell’anno alla voce Pil, vuoi vedere che alla fine, nonostante si sia partiti dal deficit, il rapporto deficit-Pil migliorerà, alleggerendo il debito?». Questo, conclude Magaldi, «anche un mediocre studente di economia sarebbe in grado di capirlo, e di spiegarlo a questi imbecilli che dirigono giornali e Paolo Mieliscrivono pomposi editoriali». E la preoccupazione del rigore dei conti, «che è inefficace anche all’interno di questo paradigma neoliberista europeo», secondo Magaldi è in ogni caso fallimentare: «Perché un sistema economico complesso ha bisogno di equilibri, non di rigidità».
Un debito pubblico, aggiunge Magaldi, è sostenibile o insostenibile «non in astratto, come se fosse un debito privato», visto che è una delle variabili – che ha il suo peso – dentro un discorso «che riguarda anche l’inflazione, la deflazione, la capacità di consumo, la produzione di ricchezza, la mobilità e la pace sociale». Il Movimento Roosevelt? Propone un paradigma opposto, «che riveda le artificiose restrizioni dei trattati europei vigenti nell’Eurozona». Un paradigma progressista, «che offra all’Italia e all’Europa una sorta di nuovo, grande Piano Marshall di investimenti». Alla fine, assicura Magaldi, i due paradigmi si incontrano: «Facendo investimenti sapienti, senza sprecare denaro, ne guadagna l’intero sistema: quindi cala il rapporto deficit-Pil». Ma un sistema economico pubblico, ovviamente, «può permettersi il debito in termini diversi da come funziona per un privato». Per questo sono «narrazioni fasulle e mistificatorie», quelle secondo cui il debito pubblico è come il debito Massimo Gianniniprivato, «e i governanti sono come dei padri di famiglia che devono preoccuparsi innanzitutto di risanare il debito o comunque di poterlo sostenere».
Per Magaldi, quindi, Salvini ha tutto il diritto di denunciare «il ricatto perenne dello spread che sale o scende, delle agenzie di rating, di non si sa bene quali “mercati”», per cui, di fronte a qualunque proposta di governo dell’economia che si discosti «da questa bussola perniciosa e perdente che ha fatto aumentare il debito», subito si ricorre a «forze sovranazionali e sovrumane che ci guardano e ci giudicano, pronte a punirci». Sono ricatti pericolosi, insiste Magaldi, maneggiati da “stregoni” che scherzano col fuoco, anche se «ormai si tratta di un fuoco fatuo», perché la storia dello spread «ha potuto incantare e terrorizzare gli italiani qualche anno fa», mentre adesso la popolazione ha cominciato ad aprire gli occhi, se è vero che – nella cabina elettorale – ormai «bastona gli adoratori del mercato come nuovo Moloch», bocciando Forza Italia, il Pd e compagnia ragliante. Oggi il popolo (nient’affatto “bue”) presta più attenzione a chi gli parla con un linguaggio differente. Lega e 5 Stelle, per esempio. Il Movimento Roosevelt? «Noi siamo capitalisti, per il libero mercato», chiarisce Magaldi. «L’economia capitalista è quella che può produrre maggiore ricchezza, e la finanza resta uno strumento indispensabile, al servizio dell’industria e dei commerci. Semplicemente – precisa – il mercato non può essere l’unico potere riconosciuto dai popoli sovrani: esiste la libertà del mercato, compresa quella degli speculatori, ed esistono istituzioni pubbliche che si curano del benessere della collettività».
Al primo posto, negli interessi dei governanti, «non può quindi esserci il rispetto di norme custodite da tecnocrati non-eletti di una Disunione Europea fallimentare, che tutela gli interessi di speculatori sovranazionali», sottolinea Magaldi. «Al primo posto c’è il lavoro, l’equilibrio tra chi vuole legittimamente arricchirsi e chi, altrettanto legittimamente, si accontenta di una vita dignitosa, sostenuta da un impiego e magari da un reddito di cittadinanza integrativo». E visto che si allarga sempre più la forbice tra i pochissimi ricchi e il resto della popolazione, «persino qualche miliardario con un po’ di sale in zucca si preoccupa di allontanare il momento in cui i tanti si ribelleranno a questo stato di cose». Niente rivoluzioni violente, per carità: «Non vogliamo tornare alle distopie palingenetiche del ‘900, che – tramite l’odio verso la libera economia capitalistica – promettevano il paradiso dei lavoratori e invece hanno costruito nuovi dispotismi e nuovi sfruttamenti delle classi subalterne», dice Magaldi, archivando a scanso di Gioele Magaldiequivoci l’utopia comunista. «Noi vorremmo una società equilibrata e plurale, fondata sulla mobilità sociale, e dove la prosperità sia proporzionalmente diffusa».
Tutto questo, conclude Magaldi, giusto per dire «a tutti questi decadenti, fatiscenti e a volte anche ributtanti custodi senza fantasia dello status quo», che hanno ragione Salvini e Di Maio: «Si comincia proprio così, col mettere in discussione questa idea di economia che non risponde né a qualche principio scientifico, né ad una (anche superficiale) consultazione di manuali economici». In altre parole: «Mettendoci sapienza e lungimiranza, quello che è il deficit di oggi può diventare il redditizio investimento di domani». E comunque, anche rimanendo nel paradigma esistente, «bisogna puntare sulla crescita del Pil e non sul risparmio, che in realtà non fa risparmiare: i tagli hanno solo fatto perdere denaro agli italiani». Chi oggi definisce “mirabolanti” le promesse della Lega e del Movimento 5 Stelle, magari «fatte sulle spalle delle nuove generazioni a danno degli italiani», sta semplicemente mentendo. «E talvolta mente non sapendo di mentire – chiosa Magaldi – perché spesso si tratta di imbecilli in buona fede». Sono gli stessi che ogni tanto sparano a zero sulla massoneria in generale (come tornano a fare oggi i 5 Stelle) senza però riuscire mai – nel loro mix di ingenuità e ipocrisia – a fermare «i massoni più potenti, e spesso subdoli, che non dichiarano la propria appartenenza, che peraltro è di base in luoghi lontani dall’Italia». E ovviamente non c’è caso che ne parlino, gli autorevoli “imbecilli” sempre in cattedra.